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ROBERTO GUERRA INTERVISTA EUGENIO SQUARCIA

D- Il tuo nuovo film, da indiscrezioni, un lavoro molto impegnativo e complesso, un


poco alla Kubrick, un Cristallo bombardato per anni, il prezzo della perfezione?

Imperfezione, semmai. Per me di gran lunga più interessante.


Le strade in salita, se viste con lungimiranza, ripagano sempre lo sforzo di
percorrerle. Lo Zen insegna molto, a tal proposito. Certo è che questo secondo
capitolo della mia particolare trasposizione cinematografica integrale de "Le Città
Invisibili" di Italo Calvino non è stato un parto facile. Una strada particolarmente in
salita, un'avventura durata quattro anni, compagni di viaggio meravigliosi e unici,
sessioni di ripresa in totale anarchia, un lungo lavoro di grafica e montaggio in
solitaria.
Dopo l'immenso impegno dedicato al precedente capitolo, "AMYGDALA" (2007),
sintesi della sezione "le città continue" del testo di Calvino, qui ci troviamo nel
capitolo dedicato a "le città e i morti". Da cui il titolo, TOTENTANZ, ovvero "danza
della morte", in lingua tedesca, già nome di una memorabile danza macabra per
pianoforte e orchestra, composta da Franz Liszt nella prima metà del XIX secolo.
Le ispirazioni sono state tante, infinite, a partire dai testi narrati dai personaggi del
film: il "Manifesto Mistico" di Salvadro Dalì, "Brave New World" (il mondo nuovo) di
Aldous Huxley, "The Waste Land" (la terra desolata) di Thomas Stearns Eliot, "A
Midsummer Night's Dream" (sogno di una notte di mezz'estate) di William
Shakespeare e tanti altri frammenti sparsi qua e la. Per non parlare delle ispirazioni
cinematografiche, primo tra tutti il maestro Terry Gilliam, ma anche Marc Caro e
Jean-Pierre Jeunet, solo per citarne alcuni; creatori di immagini bucoliche e
ridondanti, a cui ho cercato di ispirarmi, usando in larga parte l'ottica
grandangolare, sovraffollando gli spazi di soprammobili, oggetti, elementi misteriosi
e metafisici, luci e ombre, nel tentativo di descrivere un mondo fiabesco e
polveroso, sconclusionato, denso di simboli e rimandi letterari, ma allo stesso tempo
graffiante e graffiato, crudo, malinconico, disilluso. Immaginazione al potere, questo
il mio motto per la realizzazione di TOTENTANZ. Proprio con questa impostazione ho
cominciato a lavorare in pre-produzione sul concept del film assieme ad un grande
artista, Piero Trabanelli, che ha realizzato una quantità di bellissimi disegni
preparatori e storyboards, studi grafici che sono serviti da punto di partenza per la
costruzione dei personaggi e delle ambientazioni. Un team ristretto di collaboratori.
Pochi, ma grandi. Voglio citare Ruth Zanella, che ha creato la coreografia per la
"danza della vita", sulle note di un non facile frammento de "L'uccello di fuoco" di
Igor Stravinskij. E ovviamente il cast: Roberto Guerra, interprete di un ardito
rivoluzionario tecnofobico, che, colto da furore mistico, inneggia alla vita
dichiarando a gran voce "voi siete morti!"; Alex Gezzi, nei panni di un soprabito noir
e underground in cerca del 'suono generatore' (o etere lapislazzulino) sui tasti di
una macchina per scrivere senza carta; Alessandra Fabbri, meravigliosa donna
meccanica, bambola o simulacro, di fattezze semiumane, alla disperata ricerca della
vita, quella vera, prigioniera di un corpo che non ha sangue, né carne. E, per finire,
Elena Pavoni, grande danzatrice, interprete della "vita" e della "morte", nelle loro
rispettive apparizioni.
Quattro personaggi, un appartamento senza finestre. Essi condividono lo stesso
spazio vitale, senza sapere l'uno dell'altro, senza mai incontrarsi. L'impianto, qui, è
dichiaratamente teatrale. E il discorso viaggia sul metafisico andante. Poi la città,
Orissa, oscura e lontana. Città dei morti, sotterranea fossa comune, dove alcuni
individui speciali (i nostri eroi) scoprono la possibilità di tornare alla vita,
abbracciando la controversa idea di una reincarnazione spirituale, termine ultimo di
un percorso di iniziazione che culmina nel sonno ri-generatore.
Orissa. Città notturna, immersa nell'intrico di tante religioni, avvolta nel canto dei
muezzin, in netto contrasto con le poche immagini di una metropoli veloce e
automatizzata, inconsapevolmente piegata sotto una dittatura artistica, governata
da un "sovrintendente" illuminato, padre di un partito di chiare origini
avanguardiste (nello specifico dadaiste e futuriste) che risponde al nome di KOON.

D- La tua fantascienza sembra orwelliana, ma forse rivela una sorta di geologia


appunto d'altrove, molte sinapsi interfacciate, quasi nano-olografie esatto?

Molte, per l'appunto, sono le sinapsi interfacciate, molti i riferimenti, forse troppi,
ma mai di obbligatoria lettura. Gli elementi, le citazioni, i frammenti sono tutti li,
mescolati e amalgamati in un impasto finale zuccherato e aspro, aromatizzato di
cannella e ibisco. Chiunque può farne la lettura che vuole, o semplicemente goderne
l'emozione. Il rimando a George Orwell, al suo "1984", è sempre presente, forse in
tutti i miei lavori, oramai innestatosi nel mio patrimonio genetico, probabilmente fin
dalla mia stessa nascita, che, per l'appunto, è avvenuta nell'anno 1984. Un destino.
E una necessità. Poiché le tematiche di Mr Orwell sono così attuali e così poco
conosciute da generare in me un continuo desiderio di rivisitazione, ora in chiave
sociale (AMYGDALA), ora in chiave metafisica (TOTENTANZ). Ma poi si va oltre e c'è
ben altro. Una geologia d'altrove. Io la vedo così: l'arte narrativa dei fratelli Grimm
innestata sull'impianto postmoderno della fantascienza di Philip K. Dick, o Ray
Bradbury, o James Ballard, con il quale, peraltro, condivido l'interesse per quel
magnifico e inquietante esperimento sociale chiamato "condominio".
D- Avanguardia pura o imminente una svolta più massmediatica, nel circuito del
cinema "commerciale"?

No, lascio volentieri il cinema commerciale ai commercianti di cinema. Io mi tengo


volentieri la nicchia di cui faccio parte, perché è li che io riesco a raccontare la storia
che sento dentro. E poi, a dirla tutta, un progetto di questo tipo è impensabile nel
circuito più ampio del cinema mainstream, soprattutto in Italia, dove il cinema è
divenuto strumento di guadagno di imprenditori e manager senza cultura o prodotto
professionale (e non) di giovani accademici che danno fondo alle loro capacità
tecniche, senza per questo riuscire a raccontare o a trasmettere un messaggio.
L'arte, senza contenuto, è solo forma. E la forma si squaglia al vento, non appena la
temperatura sale e i neuroni entrano in fase di ebollizione. Certo, non raccontare
alcunché è anch'essa una forma di racconto, del tutto figlia del nostro tempo. Non
raccontare alcunché, però, richiede una certa arte, molto più sottile di quella che
occorre per raccontare. Bisogna essere bravi. E molto. Pochi ne hanno le capacità e
io non sono tra quelli. A me piace raccontare, essere, immaginare. C'è bisogno di
contenuti in un mondo di forme vuote, per riesumare l'arte uccisa (spesso e
volentieri) dagli "artisti". Soprattutto, per poter dare bisogna saper ricevere.
Bisogna saper assorbire ogni possibile visione del mondo per poter poi trasmettere
agli altri la nostra personale chiave di lettura del mondo stesso. Bisogna leggere,
suonare, ascoltare, disegnare, imparare, sognare, approfondire, smisuratamente, in
ogni istante. Bisogna, in fondo, vivere. Solo l'esperienza produce la capacità di
inventare un nuovo personale modello per noi stessi, valido solo per noi e non per
altri. Allora, e solo allora, siamo riusciti a fuggire dalle forme imposte, dai modelli
preconfezionati, dall'illusione di avere una personalità. Da qui, il desiderio di
raccontare. E il cinema, per questo, è un grande strumento.
Con queste premesse la nave salpa verso il terzo (e non ultimo) capitolo dedicato ai
mondi descritti da Italo Calvino, questa volta indagando la sezione dedicata a "le
città e gli occhi". La sceneggiatura è già abbozzata, le vele sono issate. Ora si
aspetta il vento in poppa, o il soffio della Musa.

D- Tecnologia o meta-fisica (con la lineetta) il cuore pacemaker della tua cifra


artistica?

Meta-fisica. Con lineetta o senza. Assolutamente. La tecnologia è solo un mezzo,


utile per veicolare una stupefacente magia.
Roby Guerra
http://www.youtube.com/watch?v=Bveb48qVmbk

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