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LA VITA
L’esteta
La vita di D’annunzio può essere considerata una delle sue opere più interessanti, in quanto egli tentò di perseguire
l’obbiettivo di fare della propria vita un’opera d’arte. Nel 1863 nacque a Pescara da una famiglia borghese e studiò in
una delle scuole più importanti. Ottenuto l’odierno diploma, a 18 anni si trasferì a Roma per frequentare l’università,
abbandonando però presto gli studi. Divenne subito famoso grazie alla pubblicazione di numerose opere narrative,
articoli di giornale, ecc. In questo periodo D’Annunzio si cuce addosso la maschera dell’esteta, dell’individuo superiore,
che rifiuta la mediocrità borghese, rifugiandosi in un modo di pura arte.
Il superuomo
Tale fase estetizzante però incombette in una crisi negli anni ’90, che portò D’Annunzio alla formazione del nuovo mito
del superuomo. Stravolgendo la filosofia di Nietzsche, D’annunzio crea la nuova figura del “superuomo” che per il
momento non “vive”, ma fa vivere nella sua letteratura. Nella vita reale egli tentava di farne della sua una “inimitabile”,
unica. Tutto ciò fu dato dal grande lusso in cui egli visse e dalle sue storie d’amore tormentate. In tal modo il poeta
tentava di mettersi in primo piano nell’attenzione pubblica (come oggi tutti fanno in tv) per vendere meglio la sua
immagine e le sue opere. Il culto della bellezza e il superomismo risultavano così finalizzati a ciò contro cui si poneva sia
la vita che la produzione letteraria dannunziana. Proprio lo scrittore che più disprezzava la massa, era costretto a
solleticarla e a lusingarla.
L’estetismo
Nella fase dell’estetismo dannunziano, l’arte assume valore supremo e ad essa devono essere subordinati tutti gli altri
valori. Le cose si sottraggono alla categorizzazione nel bene o nel male, ma soggiacciono solo alla categoria del bello. Sul
piano letterario questo sfocia nella ricerca continua della bellezza, dell’eleganza, della piacevolezza, della musicalità ecc.
Nasce così una poesia non figlia della realtà sensibile ma della precedente letteratura. Il ruolo dell’esteta, che si isola
dalla realtà borghese e che mira ad un mondo di arte pura, è il ruolo assunto dall’intellettuale che non trova più spazio
nella nuova società industriale, privandolo della posizione privilegiata e prestigiosa di cui aveva goduto
precedentemente, e che doveva assistere al processo inarrestabile della mercificazione dell’arte. Sentimento già vissuto
dagli scapigliati e da Verga. Il personaggio dell’esteta dannunziano è una forma di risarcimento immaginario da una
condizione reale di degradazione dell’artista. Obbiettivo di D’Annunzio è riuscire a far diventare realtà questo sogno:
sfruttando abilmente i nuovi meccanismi della produzione capitalistica, propone un’immagine nuova di intellettuale che
si pone fuori dalla società borghese e fa rivivere in una condizione prestigiosa l’artista.
Il piacere e la crisi dell’estetismo
D’Annunzio però si accorge della debolezza della figura dell’esteta. Esso non ha la forza di opporsi realmente alla classe
borghese in ascesa. Il suo isolamento, la sua sterilità, la sua impotenza, e il culto della bellezza che si trasforma in
menzogna (passioni) minano la stabilità dell’esteta. Il principio di fare della propria vita un’opera d’arte diventa una
forza distruttrice che priva il protagonista del “Il piacere”, Andrea Sperelli (che rispecchia Gabriele), di ogni energia
morale e creativa, isterilendolo. La crisi sfocia nell’indecisione dell’uomo tra due donne: Elena Muti (erotica e lussuriosa)
e Maria Ferres (pura e casta). Andrea però mente a se stesso: la figura della donna angelo è solo oggetto di un gioco
perverso, fungendo dal sostituito di Elena, che egli desidera ma che lo rifiuta. Mediante il narratore però si tradisce il
non completo abbandono dell’estetismo da parte di D’Annunzio, che continua a nutrire della stime verso Andrea.
D’Annunzio e Nietzsche
D’annunzio fa all’oltreuomo di Nietzsche un’estremizzazione, caricandolo di un atteggiamento fortemente antiborghese,
aristocratico, reazionario e imperialistico. Il motivo nietzscheano del superuomo è quindi interpretato da D’Annunzio
nel senso del diritto di pochi esseri eccezionali ad affermare se stessi, sprezzando le leggi comuni del bene e del male. Il
dominio di questi esseri privilegiati al di sopra della massa deve tendere ad una nuova politica aggressiva dello Stato
italiano, che strappi la nazione alla sua mediocrità e la avvii verso destini imperiali, di dominio sul mondo, come l’antica
Roma.
Il superuomo e l’esteta
La nuova figura del superuomo ingloba in se la figura dell’esteta, conferendole una diversa funzione. L’eroe
dannunziano non si accontenta più di vagheggiare la bellezza in una dimensione appartata, rifuggendo dalla vita sociale,
ma si adopera per imporre, attraverso di essa, il dominio di un’élite, violenta e raffinata insieme, su un mondo meschine
e vile come quello borghese. Contrariamente all’esteta, il superuomo non si crogiola nella solitudine, ma mira ad avere il
controllo delle masse, quindi assume in un certo senso una missione politica.