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PLATONE:PRIMO CAPITOLO

1. Il platonismo come risposta filosofica a una società e a una cultura in crisi


Politicamente parlando, il periodo di Platone, è caratterizzato dal tramonto dell’età d’oro della
Grecia periclea, e quindi da una serie di avvenimenti che portano a una situazione di decadenza.
Platone, essendo un aristocratico, avverte maggiormente tale crisi e desidera una stabilità,
soprattutto politica. Ed essendo un filosofo vive questa crisi nella sua totalità, e non solo per quanto
riguarda l’ambito della politica. Per queste ragioni, egli inizia a idealizzare fortemente la figura di
Socrate, che lo reputa un simbolo della crisi e una speranza di superamento di essa. Per questi
motivi, Platone si convince sempre di più dell’insufficienza di un semplice mutamento di forme
governative, infatti da ciò deriva il suo abbandono alla politica, e dall’improrogabile necessità di una
riforma globale dell’esistenza umana. Ma quest’ultima non viene ottenuta tramite una rinnovata
filosofia; da questo nasce l’idea platonica di una politica filosofica.

2. La vita
Platone nacque ad Atene da una famiglia aristocratica nel 427 a.C. A vent’anni comincia a
frequentare Socrate e diviene uno dei suoi discepoli sino alla sua morte, momento che rappresentò
in Platone un momento decisivo. Secondo quello che afferma nella Lettera VII, Platone avrebbe
voluto dedicarsi alla politica. Ma egli interpretò la morte di Socrate come un’ingiustizia
imperdonabile e come una condanna generale della politica del tempo. Da quel momento, la sua
unica salvezza era la filosofa, la sola via che potesse condurre l’uomo singolo e la comunità verso la
giustizia. Dopo la morte di Socrate Platone si recò a Magara, in Egitto e a Cirene; ma di questi viaggi
lui non ne parla. Invece, parla del viaggio che fece nell’Italia meridionale, ma in particolare a
Siracusa, dove strinse una forte amicizia con Dione. Si dice che per opera di quest’ultimo, Platone fu
venduto come schiavo e fu riscattato Anniceride, ma questo denaro fu rifiutato solo quando venne
a conoscenza di chi si trattava e servì alla fondazione dell’Accademia, ossia della scuola di Platone.
Platone fu richiamato a Siracusa da Dione per la seconda volta, affinché desse il proprio consiglio
per la riforma dello Stato; ma ogni tentativo risultò impossibile. Alcuni anni dopo, venne richiamato
per la terza volta a Siracusa, e andò poiché fu spinto dal desiderio di aiutare Dione, che era rimasto
esiliato. Ma nessun accordo si stabilì tra Platone e Dionigi, che era solo un dilettante presuntuoso;
per questo motivo fu costretto a lasciare Siracusa e a ritornare ad Atene, dove morì nel 347 a.C.

3. Le opere e le “dottrine non scritte”


Platone è il primo filosofo di cui ci sono rimaste tutte le sue opere. Di lui abbiamo L’Apologia di
Socrate, 34 dialoghi e 13 lettere. Il grammatico Trasillo organizzo queste opere in nove teologie.
Alcuni dialoghi e una raccolta di Definizioni, poiché ritenuti spuri, rimasero fuori dalle teologie. Ve
ne sono anche altre spurie comprese tra la teologie, e sta alla critica storica a riconoscere quali
siano quelle non spurie.
L’attività letterarie viene suddivisa in:
-primo periodo, che comprende gli scritti giovanili o socratici;
-secondo periodo; che comprende gli scritti della maturità:
-terzo periodo, che comprende gli scritte della vecchiaia.
delle fonti antiche affermano che Platone tenne dei corsi intitolati Intorno al Bene, che non volle
mettere per iscritto perché ritiene più opportuna l’oralità dialettica.
4. I caratteri della filosofia platonica
Socrate e Platone
L a fedeltà all’insegnamento e alla persona di Socrate è il carattere che domina nell’attività
filosofica di Platone. La ricerca filosofica tende a configurarsi come uno sforzo di interpretazione
della personalità filosofica di Socrate. Platone interpreta la filosofia come dialogo. Che è un atto di
fedeltà al silenzio letterario di Socrate, entrambe hanno lo stesso fondamento, ossia la concezione
della filosofia come sapere “aperto”. Il dialogo è l’unico mezzo, mediante il quale si può
comunicare agli altri la modalità filosofica. Questa concezione di filosofare come dialogo, ha
permesso a Platone di vivere la filosofia come una ricerca inesauribile e mai conclusa, ossia come
un infinito sforzo verso una verità che l’uomo non possiede mai totalmente, sulla quale è
assolutamente doveroso continuare a interrogarsi.

Mito e filosofia
Un’altra delle caratteristiche dell’opera di Platone, è l’utilizzo dei miti, ovvero dei racconti fantastici
attraverso cui vengono esposti concetti e dottrine filosofiche. Il mito, in Platone, possiede due
significati:
-il mito come strumento di cui il filosofo si serve per comunicare in maniera più accessibile le
proprie dottrine;
-il mito come mezzo di cui il filosofo si serve per poter parlare di realtà che vanno al di là dei limiti.
In altre parole, la filosofia tende a muoversi nei “sentieri interrotti”, che la costringono a tornare
indietro oppure a prendere un’altra via. Da questo punto di vista, il mito viene visto come qualcosa
che si interseca nella parte lesa della ricerca filosofica. Si può notare come il mito platonico ha
senso solo se viene connesso con il discorso filosofico, ma ciò non implica che il mito non possiede
una profondità e una ricchezza. Inoltre, il mito se da un lato rende più difficile l’interpretazione
filosofica, dall’altro conferisce al platonismo.

SECONDO CAPITOLO
1. La dottrina delle idee
La teoria delle idee e la sua importanza
Platone dà molta importanza al metodo delle definizioni di Socrate, poiché le reputa il primo passo
verso un sapere assoluto capace di oltrepassare il relativismo sofistico. Ed è proprio in questa
battaglia antisofistica che Platone formula “la teoria delle idee”, che segna l’inizio della seconda
fase in cui il filosofo va al di là delle dottrine che Socrate aveva insegnato. La teoria delle idee forse
faceva parte delle “dottrine non scritte”; per questo motivo alcuni studiosi l’hanno posta in
secondo piano, ma in realtà la dottrina delle idee rappresenta il cuore stesso del platonismo
maturo. Infatti, sembra che Platone riuscì a risolvere i massimi problemi della filosofia, solo dopo
aver conosciuto tale teoria. Di conseguenza, pretendere di immaginate Platone senza idee, sarebbe
come immaginare Pitagora senza numeri, ecc.

La genesi della teoria delle idee


Secondo Platone la scienza deve avere i caratteri della stabilità e dell’immutabilità, e di
conseguenza della perfezione. Ma essendo profondamente convinto che il pensiero riletta l’essere,
ossia che la mente rifletta ciò che esiste, Platone si domanda quale dia l’oggetto della scienza, e per
lui senza dubbio sono le idee. Noi consideriamo le idee come una rappresentazione di ciò che
pensiamo. Platone invece le considerava un’entità immutabile e perfetta, che costituisce, insieme
ad altre idee, una zona d’essere differente dalla nostra, che i filosofi chiamano metaforicamente e
poeticamente “iperuranio” , parola greca che significa “ al di là del cielo”.
Secondo Platone lo stretto rapporto con gli oggetti, riflette nei termini di modello-coppia. Infatti,
per il filosofo le cose sono copie di idee. In Platone esistono due gradi di conoscenza: l’opinione e la
scienza, a cui corrispondono due tipi d’essere: le cose e le idee. La verità imperfetta dell’opinione
dipende dalla configurazione imperfette del suo oggetto, mentre la verità perfetta della scienza
dipende dalla configurazione perfetta del suo oggetto. Da Eraclito Platone trae la teoria secondo cui
il nostro mondo è il regno della mutevolezza, mentre da Parmenide trae il concetto secondo cui
l’essere autentico è immutabile. Dall’eleatismo Platone deriva anche il dualismo gnoseologico tra
sensibilità e ragione e il dualismo ontologico tra le cose e l’essere.

Quali sono le idee


In Platone vi sono due tipi di idee:
- le idee-valori, che corrispondono ai principi estetici, politici ecc (Bene, Bellezza, Giustizia…);
- le idee matematiche, che corrispondono ai principi dell’aritmetica e della geometria.
Oltre a questi due tipi di idee, Platone parla anche delle “idee di cose naturali” e delle “idee di cose
artificiali”, ma questo genere di idee rimane a lungo incerto, e solo negli ultimi dialoghi tende ad
emergere, facendo corrispondere ad ogni realtà la sua specifica “forma”. Così, l’idea platonica finirà
per configurarsi come la forma unica e perfetta di qualsiasi gruppo, o classe, di cose a cui viene
attribuito un nome e che di conseguenza possono essere fatte oggetto di scienza. Le idee pur
essendo tante, non formano la pluralità, piuttosto esse costituiscono un’organizzazione piramidale,
in cui le idee-valori sono in cima e l’idea del Bene al vertice. Tuttavia, l’idea del Bene è stata
attribuita a Dio; il Bene non crea le idee, ma comunica la loro perfezione. Inoltre, possiamo dire,
che nell’universo metafisico di Platone non esiste un Dio-persona, ma solo il “divino”. Infatti
Platone utilizza molto il termine to théion (ossia, il divino) per affermare una molteplicità di cose
differenti, ad esempio: divina è l’ide del Bene, divina è l’anima, divine sono le stelle e gli astri ec.

Il rapporto tra le idee e le cose


Le idee sono:
- criteri di giudizio delle cose, ad esempio diciamo che due cose sono uguali in base al criterio di
uguaglianza, ecc.
- causa delle cose, ad esempio diciamo che due individui sono uomini sulla base dell’idea di
umanità, che è la causa che li rende tali.
Tuttavia, il rapporto tra idee-cose non è stato ben delineato dal Platone della maturità, il quale pur
parlando di “mimesi” (per cui le cose imitano le idee), di “metessi” (per cui le cose partecipano alle
idee), di “parusia” (per cui le idee sono presenti nelle cose)ecc., rimane assai incerto. Infatti, egli
riprenderà tale argomento anche nella sua vecchiaia, cercando di risolvere questo problema.

Come e dove esistono le idee


Le idee sono “trascendenti”, in quanto esistono oltre la mente e oltre le cose. La tradizione ha
considerato le idee platoniche come qualcosa di analogo all’empireo dantesco o al paradiso
cristiano. Alcuni studiosi, invece, hanno considerato le idee platoniche come dei modelli di
classificazione delle idee. Molti studiosi considerano la prima interpretazione molto lagata al mito.
Di conseguenza, essi affermano che il mondo platonico delle idee, non deve essere interpretato
come un universo di “super-cose”, ma come un ordine eterno di formi o valori ideali. Stabilire quali
tra le due interpretazioni sia quella giusta non è possibile, in quanto entrambe possiedono dei punti
di debolezza. In conclusione possiamo affermare che le idee costituiscono una zona d’essere
diversa dalle cose.

La conoscenza delle idee


Come si spiega che noi abbiamo la nozione delle forme ideali?
Per risolvere tale quesito, Platone ricorre alla teoria della “reminescenza”, ossia del ricordo: egli,
infatti, afferma che l’anima prima di calarsi nel nostro corpo, ha vissuto nel mondo delle idee. Una
volta che discende nel nostro corpo, l’anima conserva un ricordo di ciò che ha vissuto; per questo
Platone afferma ch “conoscere è ricordare”, in quanto le idee sono dentro di noi e basta uno sforzo
per tirarle fuori. La gnoseologia di Platone rappresenta, dunque, una forma di innatismo, in quanto
ritiene che la conoscenza derivi da metri di giudizio già presenti nel nostro intelletto. Troviamo un
esempio in Menone, in cui affronta il caso dello schiavo che, pur non essendo colto, è riuscito,
aiutato da Socrate, a rispondere con esattezza a cose si cui non aveva mai sentito parlare. In questo
modo, la maieutica in Platone subisce un’evidente cambiamento, in quanto coincide con la teoria
della reminescenza.

Reminescenza, verità ed eristica


Per Platone, la teoria della reminescenza, è quella teoria secondo cui “non è possibile,all’uomo,
indagare né ciò che sa, né ciò che non sa”. A questa affermazione Platone, afferma la tesi per cui
apprendere non significa partire da zero, bensì ricordare; in pratica, secondo il filosofo, l’uomo non
possiede la verità, e neppure la ignora totalmente, ma la porta in sé a titolo di ricordo, in quanto
noi conoscendo non partiamo né dalla verità, né dall’ignoranza,bensì da una pre-conoscenza, o di
ignoranza di sapere. La dottrina della reminescenza viene interpretata in due modi:
- coloro che credevano che Platone pensasse a una preesistenza delle anime nell’aldilà;
- coloro che credevano che l’anima coglie le idee a priori, ossia indipendentemente dai sensi.

L’immortalità dell’anima e il mito di Er


L’immortalità dell’anima diviene oggetto di uno dei dialoghi più ricchi di phatos: il Fedone. In
quest’opera, Platone indica una serie di prove dell’immortalità dell’anima. La prima, detta “dei
contrari”, afferma che ogni cosa viene generata dal suo contrario, così la morte si genera dalla vita
e la vita si genera dalla morte. Una seconda, detta “della somiglianza”afferma che l’anima essendo
simile alle idee, che sono eterne, anch’essa sarà tale. Una terza, detta “ della vitalità”, afferma che
l’anima è vita e che non può avere l’idea di morte.
Nel Fedone troviamo la filosofia come preparazione alla morte. La teoria dell’immortalità
dell’anima, a Platone serve anche per chiarire il problema del destino. Platone, infatti, ritiene che la
sorte di ogni individuo sia dovuta da una scelta fatta dalla sua anima nel mondo delle idee; illustra
la sua tesi tramite il mito di Er, con cui si chiude la Repubblica. Morto in battaglia e resuscitato dopo
dodici giorni, Er può raccontare agli uomini la sorte che gli attende dopo la morte. La centralità di
questo mito è quella che riguarda la scelta del destino, in quanto ogni anima sceglie il modello di
vita che incarnerà. Ma tale scelta è guidata il più delle volte dalle esperienze compiute nella vita
terrena. Dunque, per Platone l’uomo sceglie il proprio destino da quello che in vita è voluto essere.

La dottrina delle idee come “salvezza” dal relativismo sofistico


L’opposizione al relativismo sofistico costituisce il cuore della dottrina delle idee. Secondo Platone,
il relativismo sofistico si identifica con una filosofia negatrice di ogni stabile punto di vista sulle
cose. Di fronte a tale relativismo, troviamo l’assolutismo platonico, infatti, Platone rimaneva
lontano da quella fase intermedia tra assolutismo tradizionale e relativismo estremo che era stata
imboccata da Socrate e Protagora. Siccome Platone trovava nell’assolutismo l’unica via percorribile,
la dottrina delle idee diviene lo strumento più prezioso della filosofia. In tal modo, l’umanesimo
sofistico e socratico venne sostituito dalla concezione secondo cui l’uomo viene di nuovo regolato
da qualcosa di extraumano. Infatti, nel platonismo, non è più l’uomo a misurare la verità, ma è la
verità a misurare l’uomo. Analogamente, il relativismo conoscitivo e morale dei sofisti crolla
totalmente. Infine, il linguaggio che i sofisti reputavano convenzionale torna a caricarsi si un valore
assoluto.

La finalità politica della teoria delle idee


Platone giudica il relativismo disordinato e violente, di conseguenza, con la dottrina delle idee egli
vuole offrire quello strumento che consente agli uomini di uscire da questo caos delle opinioni e dei
costumi. In Platone, l’assolutismo della teoria delle idee rappresenta, dunque, lo strumento che va
contro il relativismo politico e l’anarchia sociale. Da ciò nasce l’equazione: conoscenza delle idee =
fondazione di una scienza politica universale = pace e giustizia tra gli uomini.

2. La dottrina dell’amore e dell’anima


Il sapere stabilisce tra l’uomo e le idee un rapporto che impegna l’uomo nella sua totalità, che
Platone definisce “amore”. A tale teoria, vengono dedicati due dialoghi: il Simposio e il Fedro.
Il Simposio consiste prevalentemente l’oggetto dell’amore, ossia della bellezza; mentre il Fedro
considera l’elevazione dell’anima al mondo delle idee.

Il Simposio
I discorsi trovati nel Simposio erano in lode all’éros che mettevano in luce una serie di
caratteristiche dell’amore. Pausania distingue dall’éros volgare, ossia quello che si rovolge ai corpi,
l’éros celeste, ossia quello che si rivolge alle anime. Il medico Erisse vede nell’amore una forza
cosmica. Invece, Aristofane, con il mito degli “androgeni”, esprime uno dei caratteri fondamentali
dell’amore, ossia l’insufficienza. Da qui, Socrate prende le mosse per il proprio discorso: l’amore
desidera qualcosa che non ha, ma di cui ha bisogno, ossia la mancanza. Infatti, secondo il mito, esso
è figlio di Pòros e Penìa, e di conseguenza non è un Dio, ma un “demone”, ovvero quell’essere dalla
natura intermedia tra l’uomo e il divino, perciò non ha sapienza,ma è spinto a possederla, e per
questo è un “filosofo”. Infine, il fine è l’oggetto dell’amore, ossia la bellezza che può avere diversi
gradi. In primo luogo è la bellezza di un bel corpo. Poi si accorge che la bellezza è uguale in tutti i
corpi e così passa ad amare la bellezza corporea nella sua totalità. Ma al di sopra c’è la bellezza
dell’anima, ma al di sopra ancora c’è la bellezza delle istituzioni e delle leggi, e poi la bellezza delle
scienza, e infine ancora la bellezza in sé, che è eterna.

Il Fedro
La natura dell’anima può essere espresso con il mito della biga alata, in cui vi è una coppia di cavalli
alati, guidati da un auriga: un cavallo bianco, eccellente, e uno nero, pessimo. Di conseguenza il
lavoro dell’auriga risulta difficoltoso, in quanto deve indirizzare i cavalli verso il cielo, l’iperuranio,
ossia la sede dell’essere autentico dove sta la totalità delle idee, priva di forma e colore che può
essere contemplata solo dalla ragione. Ma l’anima può contemplarla solo per poco, perché il
cavallo nero tira verso il mondo terreno e quando si appesantisce, lui perde le ali e si incarna in un
corpo umano in cui il ricordo delle sostanze ideali viene risvegliato dalla bellezza. In pratica
quest’ultima fa da tramite tra l’uomo caduto e il mondo delle idee. L’éros diventa la dialettica. La
vera retorica è la scienza delle idee e dell’anima.
3. Lo stato e il compito del filosofo
Lo stato ideale
Tutti i temi vengono riassunti nella massima opera di Platone, ossia la Repubblica. La costituzione di
una comunità politica governata dalla filosofia presenta in Platone due quesiti fondamentali:
-qual è lo scopo e il fondamento di questa comunità?
-chi sono i filosofi?

La giustizia
Lo scopo fondamentale della comunità per Platone è la giustizia, in quanto nessuna comunità può
sussistere senza di essa. La giustizia è la condizione fondamentale della nascita e della vita dello
Stato. Lo Stato deve essere costituito dai:
-governanti, in cui la saggezza è la virtù di questi, in quanto basta che i governanti siano saggi che
tutto lo Stato sia saggio;
-guerrieri, in cui il coraggio è la virtù di questi
-cittadini, in cui la temperanza è la virtù di questi.
Ma la giustizia comprende tutte queste virtù: essa si realizza quando i compiti di uno Stato sono
tanti, e tutti necessari alla vita della comunità, e ognuno deve scegliere il compito a cui è dedicarsi.
La giustizia garantisce l’unità, e di conseguenza la forza dello Stato, ma essa garantisce anche la
forza e l’unità di ciascun individuo. Nell’anima individuale Platone distingue tre tipi:
-la parte razionale, che è quella parte che permette all’anima di ragionare e dominare gli impulsi;
-la parte concupiscibile, che è il sito di tutti gli impulsi corporei;
-la parte irascibile, che è la parte che combatte per ciò che ritiene giusto.
Anche nel singolo individuo la giustizia si avrà quando ogni parte dell’anima svolgerà soltanto la
propria funzione.

Caratteri e motivazioni delle classi


Per Platone lo Stato deve per forza essere suddiviso in classi, in quanto vi sono dei compiti diversi
che vanno esercitati da degli individui differenti. Inoltre, afferma che la diversità tra gli individui
dipendono dalla prevalenza di una parte dell’anima sulle altre. Di conseguenza, abbiamo gli
individui prevalentemente razionali, gli individui prevalentemente impulsivi e gli individui
prevalentemente soggetti al corpo e ai suoi desideri. Per Platone la divisione in classi non è
determinata da un diritto di nascita, ma da differenti attitudini naturali.
Nella società platonica si dice esplicitamente che un bimbo “ferreo” nato tra uomini “aurei” dovrà
essere retrocesso di classe e viceversa. Ma solitamente, i figli assomigliano ai padri e quindi
rimangono nella classe di provenienza; solo eccezionalmente avviene il contrario.

Il “comunismo” platonico
Affinchè lo Stato funzioni correttamente e la giustizia si realizzi, Platone suggerisce l’eliminazione
della proprietà privata e la comunanza dei beni per le classi superiori. La classe al potere non avrà
famiglia, e per Platone ritiene che i governanti debbano avere in comune anche le donne. Ma ciò
non implica la prostituzione della donna, bensì le donne staranno alla pari degli uomini e potranno
partecipare persino alla vita dello Stato. Le unioni matrimoniali verranno stabilite dallo Stato in
base a dei criteri volti alla procreazione di figli sani. Tutti i bambini verranno tolti sin dalla nascita
dalle proprie famiglie, in modo che si avrà una grande e solidale famiglia.
I guardiani sono felici?
A questa domanda Platone risponde che la felicità sta nella giustizia. Inoltre, non bosogna
dimenticare che i filosofi sono felici già di per sé, in quanto non hanno bisogno di cercare la propria
felicità nei beni materiali.

Le degenerazioni dello Stato


Sono varie le degenerazioni dello Stato. Una di esse è la timocrazia che è un governo fondato
sull’onore a cui corrisponde l’uomo timocratico, ambizioso e amante dei comandi e diffidente verso
i sapienti. Un’altra forma è l’oligarchia che è un governo in cui comandano i ricchi a cui corrisponde
l’uomo avido di ricchezza. Ulteriore forma è la democrazia che è un governo fondato sul libero
arbitrio dei cittadini a cui corrisponde l’uomo democratico. Infine, al più bassa di tutte le forme
governative è il tirannide, che è la forma di governo più spregevole in quanto il tiranno è l’individuo
peggiore a cui corrisponde l’uomo tiranno che è l’uomo più infelice e schiavo delle proprie passioni.
Inoltre, questa nasce dall’eccessiva libertà della democrazia.

Platone e la democrazia
Due opposte concezioni della vita associata
L’ostilità platonica si riversa nella democrazia. Le radici storiche della concezione platonica, va
collocata nel contesto sociale della sua epoca, caratterizzata dagli scontri tra i nobili e il popolo.
Tale scontro determina, non solo una contrapposizione di interessi, ma anche l’antitesi tra due
opposte concezioni della vita associata e della giustizia. Secondo la visione aristocratica devono
essere i migliori a governare la cosa pubblica; mentre, secondo la visione democratica, deve essere
il popolo a governare la cosa pubblica.

La politica come prerogativa di classe e la ferrea regolamentazione dello Stato


La divisioni in classi nella Repubblica, non obbedisce solo al fatto che ciascun individuo abbia un
proprio mestiere da svolgere, ma anche da un modello statale e gerarchico basato su ruoli fissi e
bene differenziati. Secondo l’organicismo platonico, uno Stato è giusto quando ogni individuo
svolge la sua attività per il bene comune; viceversa, lo Stato sarà ingiusto quando le classi non
sanno più stare al loro posto. In tal modo Platone abbatte le tesi della necessità di una gestione
comune della cosa pubblica.
Il rigetto platonico verso la democrazia viene accompagnato da uno “statalismo” esasperato.
Alcuni studiosi hanno fatto alcune critiche allo statalismo platonico e hanno osservato che per la
cultura classica l’individuo aveva realtà solo nella pòlis. Ma ciò non regge, in quanto un conto è dire
che la vita dell’individuo può concretizzarsi solo nella pòlis e un altro conto è togliere alla maggior
parte degli individui appartenenti a una società di partecipare al governo. Pur non essendo
democratico, lo Stato platonico non deve essere confuso con l’aristocrazia tradizionale. Infatti, lo
Stato, è aristocratico, in quanto governano i migliori, ma questi ultimo sono tali perché “sanno”.

Chi custodirà i custodi? L’importanza dell’educazione nella città platonica


Come si può essere sicuri che i governanti realizzeranno davvero il bene comune della città e non il
loro personale tornaconto?
Platone supera tale preoccupazione credendo che i custodi, prima di custodire gli altri, sono capaci
di custodire se stessi. Da qui nasce l’importanza del sistema educativo. Ovviamente, l’educazione al
sapere e alla virtù di cui parla Platone, riguarda solo le prime due classi, infatti della classe
lavoratrice non ne parla. Anzi, è convinto che il sapere riguarda solo le classi superiori, in quanto
sostiene che la massa non rifletta.

I gradi della conoscenza e l’educazione


Platone afferma che “ciò che è, è assolutamente conoscibile; ciò che non è, non è conoscibile”.
Perciò all’essere corrisponde la scienza, ossia la conoscenza vera; al non essere l’ignoranza; al
divenire, che sta tra l’essere e il non essere, l’opinione, che sta tra la conoscenza e l’ignoranza.
Platone identifica quattro gradi del sapere. La conoscenza sensibile rispecchia il nostro mondo
mutevole e corrisponde:
-eikasìa, ossia la congettura o immaginazione;
-pìstis, ossia la credenza.
La conoscenza razionale o scientifica, che rispecchia il mondo immutabile delle idee, comprede:
-diànoia, ossia la ragione matematica o discorsiva;
-nòesis, ossia l’intelligenza filosofica o noetica.
Platone sostiene che la filosofia sia superiore alla matematica, e pensa che le discipline
matematiche-scientifiche da un lato si attaccano al mondo sensibile, dall’altro partono da delle
ipotesi indimostrate. Ma la superiorità della filosofia sta anche nel fatto che occupa dei problemi
dell’uomo e della città. Ciò non esclude che in Platone la matematica non abbia importanza. Infatti,
l’educazione scientifica dell’uomo ha il suo punto critico nel passaggio dalla conoscenza sensibile
alla conoscenza razionale matematica, e tale passaggio si fa mediante i metodi di misura. Se
misuriamo la distanza, il volume, ecc. raggiungiamo conoscenze che non sono più mutevoli e
soggettive, ma oggettive e stabili. Nella Repubblica ci sono una serie di discipline fondamentali:
-l’aritmetica, ossia l’arte del calcolo;
-la geometria, ossia la scienza degli enti immutabili;
-l’astronomia, ossia la scienza del movimento più ordinato e perfetto;
-la musica, ossia la scienza dell’armonia.
Queste discipline matematiche costituiscono la propedeutica della filosofia.

Il mito della caverna


La teoria della conoscenza e dell’educazione trova un esempio nel racconto della caverna, uno dei
miti più noti della Repubblica. Immaginiamo che vi siano degli schiavi incatenati in una caverna
sotterranea e costretti a guardare solo davanti. Sul fondo della caverna si riflettono immagini di
statuette che sporgono al di la di un muro situato alle spalle dei prigionieri che raffigurano tutti i tipi
di cose. Dietro il muro si muovono, senza essere visti, i portatori delle statuette, e più in la si trova
un fuoco che permette il proiettarsi delle immagini. I prigionieri scambiano le ombre per delle
realtà. Ma se uno di essi riuscirebbe a liberarsi dalle catene, voltandosi si accorgerebbe delle
statuette e si convincerebbe che esse sono la vera realtà. Ma se uno riuscisse in seguito a fuggire
dalla caverna, si accorgerebbe che la vera realtà non sono le statuette, in quanto queste sono le
imitazioni delle cose reali. Inizialmente, il prigioniero, non riuscirà a guardare il sole, ma una volta
abituato sarà finalmente in grado di osservarlo e di ammirare le cose reali. Ovviamente, lo schiavo,
preferirebbe rimanere in quel mondo ricco di bellezza, che tornare a essere prigioniero delle cose
“non reali”. Ma se egli tornasse nella caverna, per avvisare i suoi amici schiavi di ciò che aveva visto,
verrebbe deriso e accusato di avere gli occhi malsani, e alla fine, infastiditi dal suo atteggiamento, lo
ucciderebbero. La simbologia filosofica di questo mito è ricchissima. Le catene rappresentano
l’ignoranza e le passioni che questa vita ci inchiodano; il mondo fuori della caverna, le idee; il sole,
l’idea del Bene che tutto rende possibile e conoscibili;l’uccisone del filosofo, la morte di Socrate.
In questo mito troviamo il dualismo gnoseologico ed ontologico, il fatto che Platone tende a
guardare i nostro mondo come un regno delle tenebre, in contrapposizione al regno della luce. Ma
soprattutto vi è il concetto della finalità politica della filosofia, ossia quell’idea secondo cui tutte le
conoscenze acquisite debbano essere utilizzate per la fondazione di una comunità giusta e felice.
Secondo Platone, il ritorno alla caverna fa parte del percorso educativo e significa porre ciò che si è
visto a disposizione della comunità e obbedire al vincolo di giustizia che lega ogni individuo
all’umanità. Infatti, soltanto con il ritorno alla caverna l’uomo avrà compiuto la propria educazione
e sarà veramente filosofo.

La condanna dell’arte imitativa


Tra le innumerevoli branchie della filosofia, vi è l’estetica che studia i problemi dell’arte e della
bellezza. I motivi per cui Platone condanna l’arte sono fondamentalmente due: uno di tipo
metafisico - gnoseologico e uno di tipo pedagogico - politico. Per quanto riguarda la prima, Platone
ritiene che l’arte sia un’imitazione di un’imitazione, in quanto essa si limita a produrre l’immagine
di cose e eventi naturali, che a loro volta sono la riproduzione delle idee; inoltre, l’arte possiede il
valore conoscitivo più basso. Per quanto riguarda il secondo punto, Platone ritiene che l’arte sia
negativa per il suo potere corruttore sugli animi. Invece l’arte incatena l’animo alle passioni e
raffigura un mondo dominato dal destino. Oltre a questi due motivi, vi è un altro di tipo storico-
culturale. Infine, per Platone l’arte può esistere solo se assoggettata alla filosofia.

TERZO CAPITOLO
Il confronto con Parmenide
La tematica della sofistica è preparata dal Parmenide e dal Teeto. Nel Parmenide il filosofo si
interroga sull’esistenza della teoria delle idee, trovando alcune difficoltà. In primo luogo,
supponendo che “l’uno” è l’idea, e “i molti” sono gli oggetti che costituiscono l’idea, non si capisce
come l’idea può essere composta da più oggetti, senza risultare molteplice. Ma il problema
fondamentale è il confronto-scontro con la logica parmenidea. La tesi fondamentale dell’eleatismo
è il principio per cui “solo l’essere è, mentre il non essere non è”. Platone si accorge che questa
affermazione potrebbe mettere in dubbio la teoria delle idee, in quanto l’inesistenza assoluta di
ogni forma di non essere danneggerebbe la molteplicità delle idee.
nonostante questi ostacoli, nel Parmenide Platone afferma di non voler rinunciare alla teoria delle
forme ideali. Ma se rinunciare alle idee risulta impossibile, non rimane che rinunciare al principio
eleatico, infatti, Platone conclude il Sofista con un vero e proprio “parmenicidio”.

I generi dell’essere e il problema del nulla


Platone elabora la teoria dei “generi sommi”, ossia degli attributi fondamentali delle idee, che sono
cinque: l’essere, l’identico, il diverso, la quiete e il movimento.
Ogni idea è o esiste, e quindi rientra nel genere dell’essere.
Ogni idea è identica a se stessa, e quindi rientra nel genere dell’identico.
Ogni idea è identica a se stessa, ma diversa dalle altre, e quindi rientra nel genere del diverso.
Ogni idea può stare in sé, e quindi rientra nel genere della quiete.
Ogni idea può entrare in comunicazione con le altre, e quindi rientra nel genere del movimento.
L’errore del filosofo sta nel confondere il diverso con il nulla, infatti, l’unico modo in cui può
esistere il non essere è quello dell’essere diverso. L’errore in sé, non sta nel pronunciare il nulla, ma
nel dire le cose in modo diverso da quello che sono in realtà.

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