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MONIA

sici o spirituali: a questo tendono le terapie dellanima elaborate da Socrate no a Seneca. Da Cartesio in poi la losoa ha per abbandonato credendolo forse impossibile il compito di orire la felicit e si dedicata alla conquista della conoscenza in quanto potere. Secondo la denizione di Hobbes, la felicit ad nes semper ulteriores minime impedita progressio , un progredire che incontra un minimo di impedimenti al conseguimento di obiettivi sempre pi avanzati. Riformulando la frase hobbesiana si potrebbe anche dire che la felicit del pensiero anche quella che conduce a oltrepassare conni sempre pi remoti del sapere, ad andare alla ricerca dellignoto, dellavventura, a dire, con le parole di Cromwell che nessuno sale tanto in alto come quando non sa dove va. Se continua a essere vero che per molti la vera, completa, felicit si trova soltanto in Paradiso, in et moderna gli uomini hanno cercato di rivalutare questa vita e di trasformare il mondo da valle di lacrime o squallido albergo in casa avita che si deve trasmettere pi bella e ospitale ai pronipoti. Hanno cos suscitato un patriottismo del mondo, puntando sulla storia e sulla politica (spesso intesa come rivoluzione o trasformazione progressiva della societ) quali strumenti di felicit collettive in questa terra. Ora pare che questo obiettivo non sia pi conseguibile, che la ricerca della felicit individuale si sia ulteriormente staccata da quella della felicit collettiva. Anche perch il potere politico latitante, spesso la gente persegue una vita migliore in forme futili, coltivando sogni nel cassetto ed elaborando utopie private. Non compito della politica assicurare la felicit agli individui, ma lo togliere quegli ostacoli che impediscono loro di realizzare i loro nes ulteriores.
REMO BODEI Professore di Filosoa presso la University of California (Los Angeles)
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MONTAIGNE

SINDACO
POTERE FILOSOFO Il primo

criveva Enrico III, re di Francia, nellottobre del : Monsieur de Montaigne, poich ho molta stima della vostra fedelt e della vostra zelante devozione nei miei confronti, ho accolto con piacere la notizia che eravate stato eletto sindaco della mia citt di Bordeaux. Dunque vi ordino di fare immediatamente e senza indugio ritorno in citt per assumere lincarico a cui siete stato legittimamente chiamato. Un losofo alla guida di una citt. Come la prese il diretto interessato? Ne abbiamo parlato con Sarah Bakewell, autrice della fortunata biograa Montaigne. Larte di vivere (Fazi ), che ci ha spiegato che quella che per alcuni era unutopia allautore dei Saggi allinizio sembr soprattutto una seccatura, tanto da ritardare il suo ritorno in citt per accettare lincarico di ben sei settimane. Montaigne non voleva diventare sindaco, accett solo perch non aveva scelta dice la Bakewell . Ciononostante due anni dopo avanz la sua candidatura per il secondo mandato. Forse non era cos riluttante. Eppure negli Essais il losofo ammette di essere stato obbligato ad accettare: cera di mezzo il comando del re, scrive. Che cosa pu avere apprezzato il pensatore che si richiamava allo scetticismo pirroniano del mestiere di sindaco? Era un negoziatore di talento, capace di trattare con tutte le fazioni e con gli estremisti. Tutto ci nel bel mezzo delle guerre civili di religione che spaccavano la Francia, risponde la biografa. Cos il losofo si trov a mediare tra gli ufciali del re, i cattolici della lega di Bordeaux e il protestante Enrico di Navarra (futuro sovrano col nome di Enrico IV). Era orgoglioso del fatto che sotto la

punto del programma? Dire Non successo niente. Lautore dei Saggi fu un primo cittadino riluttante, ricorda Sarah Bakewell

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sua amministrazione a Bordeaux non fosse accaduto nulla di rilevante osserva la Bakewell . Poter dire non successo niente, in un tempo di guerra e caos, per lui era un ottimo risultato. Qualcuno lo accusava di immobilismo, lui replicava: Questa bella, si accusa la mia inattivit in un tempo in cui quasi tutti sono accusati di fare troppo (Saggi, III, ). Cos i suoi mandati furono caratterizzati da ordine e silenziosa tranquillit. Questo non vuol dire che Montaigne sostenesse che i politici dovessero essere pigri o incompetenti; ma che invece avrebbero dovuto essere moderati, riessivi, saggi non persone guidate dalle passioni o in fuga da se stessi. N tantomeno dei fanatici. Questo potrebbe essere di un qualche interesse per i politici odierni, suggerisce la Bakewell. E se invece noi volessimo giudicare il politico Montaigne con i parametri di oggi? Cosa sarebbe, un liberal, un conservatore, o un pragmatico? Tutte queste cose e nessuna. A volte stato molto conservatore, altre un vero radicale. Anche un pragmatico, ma non sarebbe mai sceso a compromessi sulle questioni che giudicava importanti. Come quando resistette a un tentativo di golpe da parte del barone di Vaillac, governatore cattolico dello Chateau Trompette. Si mostr pronto a reagire a un attacco militare e arriv persino a fare una notte di guardia alle porte della citt quando la minaccia sembrava pi vicina. Sembra che lui si impegnasse a svolgere il suo lavoro al meglio. Anche se ci teneva a sottolineare che non si identicava no in fondo nel ruolo del sindaco; n voleva sforzarsi pi di tanto continua la scrittrice . Probabilmente per due ragioni: innanzitutto non si dava delle persone che cercavano fama e grandezza attraverso lostentazione dellimpegno in pubblici uci. Pensava che, nella migliore delle ipotesi, questo fosse un modo per sottrarsi al vero impegno di un essere umano: vivere bene. Chi faceva cos confondeva la gloria pubblica con la vita buona. Nella peggiore delle ipotesi, invece, limpegno pubblico era una copertura per avidit e corruzione. La seconda ragione, invece, era personale: egli stesso voleva vivere bene come essere umano. Non voleva essere ricordato come un buon sindaco, ma come Michel de Montaigne, lindividuo.
ANTONIO SGOBBA Giornalista

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POVERT

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NON SOLO PIL Altro che la casta, la recessione avrebbe dovuto farci riettere sui concetti di ricchezza, povert e miseria,

MISERIA
osserva Silvano Petrosino. E invece continuiamo a credere al capitalismo e ai suoi bisogni indotti. La via duscita ci viene indicata da un ministro dellEconomia iraniano: Il povero semplicemente luomo comune

o hanno sottolineato in molti, senza essere tuttavia ascoltati: la profonda crisi economica di questi anni avrebbe potuto favorire, e in verit lo potrebbe ancora, una seria e rigorosa riessione sulla natura stessa delleconomia e sul contenuto di alcuni concetti di fondo, come ad esempio quelli di ricchezza e povert. Si preferito invece scegliere altre strade, insistendo in particolare solo sulla necessit di rilanciare i consumi per salvaguardare un sistema che si continua a considerare, quasi fosse una verit del cielo, senza alternative. In Italia, poi, ci si accontentati di denunciare i costi dei pranzi dei parlamentari per provare il brivido della lotta contro gli sprechi e a favore della povera gente. Diciamo la verit, cose risibili che possono tutto al pi incrementare le vendite di qualche libro, ma che scivolano come olio sul marmo di una crisi che bisognerebbe invece tentare di comprendere, se non proprio di risolvere, con ben altro coraggio e con ben altre intelligenze. Tra i concetti che a tale riguardo meriterebbero un approfondimento vi sono quelli gi citati di ricchezza e povert. La questione semplice da formulare ma estremamente complessa da arontare: che cosa vale per l'uomo, che cosa fa di un uomo un essere ricco o povero? O anche: in base a quale criterio noi percepiamo e deniamo un uomo come ricco o come povero? Un contributo in questo senso viene dalla riessione assolutamente fuori dal coro di Majid Rahnema, ex ministro iraniano, ed ex membro del Consiglio esecutivo dellUnesco, di cui sono stati tradotti in italiano due importanti volumi: Quando la povert diventa miseria (Einaudi ) e pi recentemente La potenza dei poveri (Jaca Book , in collaborazione con Jean Robert). Il merito di questi lavori quello di svolgere una riessione ampia e approfondita attorno a un concetto, quello di povert, che si tende spesso a relegare a oggetto di interesse solo di alcune buone persone. Lidea di fondo che questo autore propone che la povert deve essere ben distinta dalla miseria, sopratutto perch essa non caratterizza aatto una condizione assolutamente negativa e opprimente. impossibile denire la povert in modo generale e su un piano universale. Essa non pu essere considerata che nel suo contesto storico e culturale, nelle sue forme culturalmente incarnate, o inculturate. Di fatto, nella maggior parte delle culture, il povero semplicemente luomo comune, lumile il cui numero costituisce la maggioranza dei mortali, e la sua condizione la povert indissociabile da un modo di vivere, unarte di vivere e fare (La potenza dei poveri, pp. - ). Come ovvio, se ne fa esperienza tutti i giorni, luomo comune, il povero, lumile, colui che non ha alcun tratto del cosiddetto uomo di successo, pu senzaltro essere un uomo felice, realizzato, in pace con se stesso e con gli altri, pu essere lartece di unarte di vivere ricca e piena di soddisfazioni. Questa idea di povert come originariamente connessa a uno stato e non a un possesso, come propria di un certo modo di essere e di vivere del soggetto e non come relativa al possesso o meno di oggetti, una delle costanti della tradizione umanistica di cui Seneca, ad esempio, certamente uno dei padri nobili: La povert, se bene accolta, non pi povert. povero non chi possiede poco, ma chi brama avere di pi. Che conta quanto uno abbia nella cassaforte o nei granai, quanti armenti abbia al pascolo o quanto gli rendano i crediti, se pensa sempre alla ricchezza altrui e fa calcoli, non su quello che possiede, ma su quello che vorrebbe acquistare? (Lettere a Lucilio, seconda). Accanto a questa concezione della povert, che a ben vedere coincide anche con una cer-

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