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DOPO L’OTTANTANOVE

LE SINISTRE E
L’INTERNAZIONALE

di Franco Ferrari
Introduzione

La dimensione internazionale della sinistra è una delle caratteristiche peculiari che l’hanno
caratterizzata fin dal suo sorgere. Nel secolo scorso la nascita di una organizzazione sovranazionale
(pur se limitata quasi esclusivamente all’Europa) ha in buona parte preceduto la creazione di partiti
nazionali. Tutto ciò non ha però impedito che spesso le forze politiche della sinistra, in momenti
storici cruciali, accantonassero i valori internazionalisti per aderire ad una visione nazionalista e a
volte persino sciovinista del proprio ruolo. Il caso paradigmatico di questo percorso è stato offerto
dalla prima guerra mondiale, con l’adesione della maggior parte dei partiti socialisti e
socialdemocratici allo spirito di guerra, a fianco della propria borghesia e contro i proletari delle
altre nazioni, la cui unità, secondo i proclami dei consessi dell’Internazionale socialista, avrebbe
dovuto impedire il ricorso alla guerra stessa.
Con la scissione tra comunisti e socialdemocratici si sono costituite organizzazioni
internazionali rivali e tra loro molto diverse. Solo nel caso dei comunisti, almeno all’inizio,
l’organizzazione internazionale doveva prevalere sulle sezioni nazionali, nella formulazione della
strategia politica come anche nella stessa formazione dei gruppi dirigenti. Questa visione, peraltro
inadeguata al radicamento di partiti nazionali di massa, subiva un processo degenerativo con il
prevalere della direzione sovietica all’interno del movimento, che produceva una subordinazione
delle sezioni nazionali agli interessi dello Stato-guida.
Dopo la crisi dell’internazionalismo socialista seguito alla Grande guerra, i partiti
socialdemocratici si radicavano sempre più nell’ambito nazionale cominciando a diventare partiti di
governo e l’organizzazione internazionale, pur se riformata (come Internazionale operaia e
socialista), perdeva di importanza.
L’analisi delle forme e delle strutture nelle quali si organizza l’internazionalismo delle forze
di sinistra oggi, non può non tenere conto di questa lunga e complessa storia (e non è questa
l’occasione per ripercorrerla nemmeno per cenni). Come d’altra parte non si può non tenere conto
che da una quindicina d’anni si è diffusa, anche nel senso comune, la convinzione che esista una
crescente interdipendenza tale da globalizzare i problemi, ridurre il ruolo degli Stati nazionali e
accelerare e intensificare le comunicazioni tra tutti gli angoli del pianeta.
Globalizzazione è ormai una parola usata in tutte le salse, anche se per chi si è familiarizzato
con l’analisi marxista del capitalismo, essa rimanda ad un movimento di fondo del capitalismo
stesso che è parte del suo nocciolo strutturale. E proprio da questo elemento Marx derivava la
propria visione della necessità (e non solo del valore di principio) dell’internazionalismo dei
proletari.
Oggetto di questo quaderno di documentazione è di offrire delle informazioni e dei dati sulle
sedi e strutture internazionali delle forze di sinistra, concentrandosi sugli anni che vanno dalla crisi
dei Paesi socialisti e dalla scomparsa del blocco dominato dall’Unione sovietica ad oggi.
Naturalmente l’attività internazionale dei partiti non è riducibile agli incontri, colloqui, seminari e
quant’altro viene detto e scritto in tali sedi. Per molte forze politiche, soprattutto se hanno ruoli di
governo più o meno importanti, la presenza internazionale si svolge soprattutto attraverso altri
canali. Resta però il fatto che è diffusa la consapevolezza che sia necessaria una collaborazione e un
confronto tra forze politiche al fine di elaborare, per quanto possibile, un atteggiamento o un sentire
comune di fronte ai problemi attuali.
La scomparsa del blocco socialista non ha affatto determinato una cancellazione del
pluralismo delle sinistre, benché sia indubbio che vi sia oggi una egemonia delle forze
socialdemocratiche. D’altra parte restano in campo forze consistenti che si considerano come
anticapitalistiche (e in questo elemento di fondo si differenziano dalla socialdemocrazia che si
muove all’interno del capitalismo considerato un dato incontestabile) anche se queste non sono più
esclusivamente riconducibili ai partiti comunisti. Del resto non era più così da tempo, se si
considerano gli apporti venuti da almeno trent’anni dalle correnti sorte nel terzo mondo e dalla
nuova sinistra. Il movimento comunista ormai rappresentava una realtà estremamente differenziata
sul piano ideologico, politico e organizzativo ed era sempre più difficile considerarlo un insieme
omogeneo.
La struttura del quaderno tiene conto di due livelli dell’attività internazionale delle sinistre.
La prima è quella mondiale, la seconda è quella regionale. Al primo livello appartengono quattro
diversi poli. Il primo e certamente il più importante per numero di forze politiche interessate, per la
loro influenza ed anche per la continuità dell’attività svolta, è quello socialdemocratico che si
organizza nell’Internazionale socialista. Come si vedrà alla luce degli avvenimenti dell’ultimo
decennio questa organizzazione ha beneficiato di una consistente crescita nelle adesioni e può
presentarsi come la sede di confronto e di raccordo fra la maggior parte delle forze di sinistra.
Questo è certamente vero per tutta l’area della sinistra moderata anche se non mancano settori
vicini a tesi anticapitalistiche, ma questi restano comunque minoritari. Si vedrà comunque che il
bilancio non è privo di ombre.
Il secondo polo è dato dalle forze di ispirazione comunista le quali sono state attraversate da
una profonda crisi, come era inevitabile considerato che, nella grande maggioranza, erano rimaste
legate ad una visione del mondo che continuava ad assegnare un ruolo centrale all’URSS e al
blocco socialista. Molte di esse si erano rifiutate fino all’ultimo di vedere le degenerazioni esistenti
nel cosiddetto ‘socialismo reale’. Ma a differenza di quanto si poteva pensare alla luce degli
avvenimenti del 1989-91, le forze comuniste sono tutt’altro che scomparse. Non solo per il
permanere di cinque Stati che continuano ad essere retti da partiti che si definiscono comunisti e
marxisti-leninisti (Cina, Corea del Nord, Vietnam, Laos, Cuba), quanto per la ripresa politica ed
elettorale di forze comuniste in diverse parti del mondo. Oggi vi sono partiti comunisti dotati di un
seguito elettorale più o meno importante in diversi paesi quali: Francia, Spagna, Italia, Portogallo,
Grecia, Cipro, Russia ed altri Stati dell’ex URSS, Repubblica Ceca, Sudafrica, Giappone, India,
Cile. Manca una struttura di riferimento internazionale per i partiti comunisti, ma negli ultimi anni è
aumentato il numero di incontri, seminari, conferenze oltre che una intensificazione delle relazioni
bilaterali, verificabile dalla presenza di delegazioni ai Congressi dei vari partiti. Come già prima
dell’89 manca però una concezione unitaria di quali debbano essere le relazioni tra i partiti
comunisti e tra loro ed altre forze politiche anticapitalistiche.
Il terzo polo è individuabile nella proiezione internazionale del movimento zapatista
messicano. E’ anche questa una iniziativa che si muove in controtendenza rispetto all’egemonia
liberista a livello mondiale come anche dell’egemonia socialdemocratica nell’ambito della sinistra.
A differenza delle altre iniziative prese in esame essa non si rivolge esclusivamente e nemmeno
prevalentemente ad una sinistra fatta di partiti. I principali interlocutori dei due incontri
intercontinentali fin ad ora svolti sono quelle aggregazione dette della società civile. L’iniziativa
zapatista, che configura quello che ho chiamato lo zapatismo globale, è quella che più
esplicitamente assume la rottura determinata dall’89.
Il quarto polo, quello dell’estrema sinistra, in realtà non esiste in quanto tale perché sotto
questa denominazione si ritrovano correnti tra loro molto diverse. Sotto questa etichetta generica ho
considerato due filoni molto diversi, che rientrano fra i prodotti di scissioni storiche del movimento
comunista, quello trotzkista e quello maoista. Sono tutti precedenti alla scomparsa dell’URSS e del
blocco socialista ma di fronte ad uno sviluppo inaspettato hanno dovuto misurarsi con una
situazione politica nuova. In qualche caso hanno riformulato le proprie strategie, in molti altri sono
rimasti strettamente ancorati alle formulazioni ideologiche prodotte nei decenni precedenti,
frammentandosi al proprio interno in varie sottocorrenti.
Il secondo livello riguarda le strutture esistenti a livello regionale, il Partito del Socialismo
Europeo, articolazione regionale della socialdemocrazia per i Paesi dell’Unione Europa, la sinistra
alternativa europea (che raccoglie le forze a sinistra della socialdemocrazia nella stessa area
geografica), e il Forum di S. Paolo. Quest’ultimo è il punto di raccolta della sinistra latinoamericana
e rappresenta uno delle forme più interessanti di struttura internazionale, in quanto riconosce
esplicitamente il pluralismo delle sinistre ed ha ormai quasi dieci anni di esistenza alle proprie
spalle.
L’Internazionale Socialista
Dal 1990 ad oggi l’Internazionale socialista ha tenuto due Congressi, nel 1992 a Berlino e nel 1997
a New York. Questi due appuntamenti hanno permesso di delineare l’analisi e la prospettiva della
socialdemocrazia alla luce degli avvenimenti intercorsi dal 1989 al 1991.
La socialdemocrazia ha potuto presentarsi come la corrente vincente nei confronti dei
comunisti, e nelle prese di posizione di questi anni traspare la soddisfazione per quella che sembra
ormai la definitiva eliminazione del maggiore rivale nel conflitto di egemonia nell’ambito della
sinistra. L’elemento più importante che ha caratterizzato questi Congressi non è tanto
l’elaborazione ideologica, in genere non particolarmente originale, quanto l’ampliamento del
numero dei membri con l’ingresso di partiti provenienti dal movimento comunista (dopo essersi
debitamente trasformati) e dalle correnti di nuova sinistra del terzo mondo (miscela di marxismo,
nazionalismo e populismo).
L’Internazionale socialista può quindi rivendicare di essere oggi l’unico grande forum
mondiale di confronto e di elaborazione collettiva della sinistra, dato che dal 1988 non c’è stata più
alcuna conferenza internazionale di partiti comunisti che avesse per numero di partecipanti
dimensioni comparabili (vedi oltre), anche se certamente non lo stesso rilievo mediatico. D’altra
parte ci sono molte forze politiche di sinistra, anche rilevanti, che non fanno parte
dell’Internazionale socialista e parte delle stesse forze politiche che sono state accolte
nell’organizzazione, possono essere definite di sinistra solo con una eccessiva larghezza di vedute.
Per la socialdemocrazia gli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, se hanno visto declinare la
sfida da sinistra, hanno però presentato una dura offensiva della destra neoliberista, per effetto della
quale si è potuto parlare di ‘fine del secolo socialdemocratico’. Il senso della posizione
socialdemocratica come si esprime nelle prese di posizione dell’Internazionale socialista ha dunque
questo doppio profilo: trionfalistico nei confronti della sinistra classista e alternativa; in difesa nei
confronti della destra liberista. Mentre nei confronti della prima, identificata tout court col
socialismo di stato dell’est Europa, si evidenzia una differenza radicale (ideologica e politica), nei
confronti della seconda pur rivendicando una differenza sostanziale, i termini del confronto e dello
scontro sono assai più nebulosi.

Cenni storici

La rifondazione dell’attuale Internazionale socialista è avvenuta nel 1951 nella città tedesca di
Francoforte, con la partecipazione di partiti provenienti quasi esclusivamente dall’Europa
occidentale. Per giungere a questo momento la socialdemocrazia aveva dovuto superare vari
problemi e conflitti. Innanzitutto alcuni partiti, come il laburista inglese, erano scettici di fronte alla
riproposizione di un organismo sovranazionale del quale temevano potessero venire limitazioni
all’azione politica interna e internazionale dei singoli partiti. I laburisti avevano conquistato il
governo in Gran Bretagna alla fine della guerra e, a differenza di altri partiti che si trovavano
all’opposizione, potevano svolgere direttamente la propria azione in politica internazionale senza
aver bisogno di dover passare attraverso un organismo quale la ricostituita Internazionale. In
secondo luogo erano emersi conflitti fra i partiti. Nei confronti dei socialdemocratici tedeschi, vi era
alla fine della guerra un diffuso ostracismo. Su di essi pesavano quelle che erano considerate
responsabilità collettive del popolo tedesco. Superati gli strascichi più diretti della guerra mondiale
si apriva la guerra fredda e la rigida suddivisione dell’Europa in due blocchi contrapposti. La
maggioranza della socialdemocrazia si schierò con il blocco occidentale, sotto la guida degli Stati
uniti. Dato il carattere ideologico e non solo politico-militare del confronto Est-Ovest, la scelta di
campo della socialdemocrazia significò la rottura verso le forze comuniste, sia quelle al potere In
Europa orientale che quelle presenti nella parte occidentale. I partiti e le tendenze che si
opponevano a questa scelta, come i socialisti italiani, o i gruppi est europei che accettavano
l’unificazione con i più potenti e organizzati partiti comunisti, vennero esclusi.
La rilettura della Carta di Francoforte, il documento fondativo dell’Internazionale socialista,
fatta a quasi quarant’anni dalla sua stesura, rivela il lungo percorso ideologico compiuto dalla
socialdemocrazia in questi decenni. A Francoforte l’influenza delle idee marxiste era ancora
evidente. Il capitalismo veniva esplicitamente nominato e considerato un sistema sociale da
superare, seppure in modo gradualistico e nell’ambito delle strutture democratico-parlamentari. La
socialdemocrazia si presenta in questo testo come una forza moderatamente ma chiaramente
anticapitalista, quanto anticomunista.
Dalla fondazione al 1976 l’Internazionale socialista ha avuto un ruolo assai modesto. Sede
occasionale di incontro tra i Partiti europei, con una scarsa incidenza politica ed un poco rilevante
rilievo pubblico. I tentativi di penetrazione negli altri continenti, nei quali stavano emergendo i
nuovi Paesi indipendenti ,figli della fine del colonialismo classico, furono in generale poco
fruttuosi. Scarsi furono anche i rapporti con i nuovi movimenti di liberazione che guardavano al
campo socialista, oppure cercavano di aprirsi uno spazio autonomo. La prolungata complicità dei
partiti socialisti delle grandi potenze europee con il colonialismo non facilitava certamente una
presa di contatto. D’altra parte il carattere fortemente elettoralistico e parlamentare della
socialdemocrazia rendeva difficile la presenza in realtà in cui o si affermavano partiti unici al potere
(particolarmente in Africa) e in quanto tali esclusi dall’affiliazione, oppure all’opposizione si
doveva lottare in difficili condizioni di clandestinità e a volte di lotta armata.
Il 1976 viene considerato dalla stessa IS l’anno del rilancio, del quale viene attribuito il
merito principale a Willy Brandt, sostenuto, seppur con un impegno meno diretto, da Olaf Palme e
Bruno Kreisky. E’ il Congresso che si tiene a Ginevra in quell’anno ad eleggere alla presidenza
Brandt, il quale inserisce l’azione dell’Internazionale nella visione sviluppata al governo della
Germania Federale. Gli assi principali sono costituiti dallo sviluppo della distensione Est-Ovest e
dall’apertura al Terzo Mondo. Il leader tedesco riesce effettivamente ad attribuire un ruolo
peculiare all’organizzazione che in quanto tale non interviene nelle scelte di politica interna dei
singoli partiti e trova una propria dimensione nel presentare proposte e iniziative sui temi globali.
L’elaborazione dell’Internazionale diventa elemento di fondo nella stesura di rapporti internazionali
prodotti da commissioni istituite dall’ONU: La Commissione sui rapporti Nord-Sud, la
Commissione sul Disarmo, la Commissione sulla questione ambientale.
L’espansione territoriale dell’organizzazione socialdemocratica ha successo
prevalentemente in America Latina dove sviluppa rapporti con partiti di massa appartenenti alla
tradizione populista come l’APRA peruviana fondata da Raul Haya de la Torre e il PDT brasiliano
di Leonel Brizola. Ma se questo tipo di adesioni tendono ad allontanare più che a conquistare in
quella fase gran parte delle forze di sinistra, affascinate da altri modelli, sono le relazioni con un
settore dei sandinisti e con i socialdemocratici salvadoregni di Guillermo Ungo, alleati alla
guerriglia raccolta nel Fronte Martì, a consentire all’IS di presentare un volto meno moderato e
ultra legalitario.
Nel congresso di Stoccolma del 1989 in coincidenza della celebrazione del centenario
dell’Internazionale socialista (un po’ abusivamente assunto dall’attuale IS come data della propria
fondazione) viene elaborata una nuova carta programmatica che rielabora i temi principali del
pensiero socialdemocratico. Questo nuovo “manifesto” coincide con una fase di generale riflessione
programmatica di tutti i maggiori partiti socialdemocratici europei. Se è già delineata l’esistenza di
un processo riformatore sostanziale in Unione Sovietica ad opera di Gorbaciov al potere da 4 anni,
e si cominciano a fare più forti i segnali di un possibile crollo del blocco socialista (a partire dalla
Polonia, dove il potere passa nelle mani di Solidarnosc nell’ambito di una intesa di compromesso
con i comunisti), non è ancora chiaro l’esito della crisi dell’URSS..

Il Congresso di Berlino
A questo Congresso, che si tiene nel settembre 1992 nella sede dell’ex-Reichstag, non partecipa
Brandt, gravemente malato (morirà poco dopo). E’ significativo che sia lo stesso leader tedesco a
scegliere nella possibile platea di leader socialdemocratici della nuova generazione colui a cui voler
passare il mantello della rappresentatività per la nuova fase che si apre. L’apertura del Congresso è
affidata al leader socialista e capo del governo spagnolo Felipe Gonzales. Un legame quello tra
Brandt e Gonzales che risale agli anni in cui (ancora vivo il dittatore Franco) all’interno del PSOE
si aprì uno scontro fra i vecchi capi dell’esilio e una nuova generazione di dirigenti giovani
provenienti dall’interno del Paese. La decisione del’SPD di appoggiare Gonzales, Guerra e il loro
gruppo, e di trascinare in questa scelta l’Internazionale socialista, divenne determinante nel far
pendere il piatto della bilancia nello scontro interno.
Gonzales era riuscito a trasformare un partito con una lunga storia ma ridotto ormai da
tempo al fantasma di sé stesso, in una forza politica dinamica, capace di incanalare la voglia di
cambiamento morbido espressa dai ceti medi spagnoli alla fine del franchismo. Sorpassato
largamente il Partito comunista spagnolo (pur molto più presente e combattivo nella lotta
democratica clandestina) Gonzales aveva dato vita ad un grande partito di governo di centro-
sinistra, capace di restare al potere per un lungo periodo. Questo in una fase in cui i partiti storici
della socialdemocrazia europea si trovavano più o meno tutti in difficoltà e confinati da lungo
tempo all' opposizione.
La scelta di Brandt è stata forse ancora più emblematica di quanto egli stesso non
immaginasse. Gonzales infatti può rappresentare al meglio sia i meriti che i demeriti della
socialdemocrazia degli anni ’80. Alla capacità di costruire una grande platea elettorale nella quale
convivono i settori popolari tradizionali con i nuovi ceti medi rampanti (con tutte le sfumature
intermedie) e di saper usare sapientemente i tasti del populismo ha saputo affiancare la
spregiudicata volontà di applicare senza remore le ricette neoliberiste. Dalla critica dell’atlantismo,
il PSOE è approdato alla difesa a oltranza della NATO e ad un suo impegno diretto nell’espansione
della NATO all’est e nel suo rilancio complessivo. Senza dimenticare in tutto questo un uso
disinvolto del potere ai fini dell’arricchimento di un nuovo ceto politico-finanziario.
Se a Gonzales viene affidato un ruolo primario sul piano simbolico, è al francese Pierre
Mauroy che viene assegnato l’incarico della presidenza, e al quale spetterà pertanto la direzione
politica corrente dell’organizzazione e la sua rappresentanza pubblica. Gli impegni connessi al
ruolo non consentono ad un uomo politico di governo di assumerne l’impegno ma la scelta dell’ex
primo ministro francese conferma che alla guida dell’Internazionale è necessario insediare un uomo
che abbia alcune caratteristiche precise: che sia un europeo e che abbia svolto funzioni di governo
al massimo livello.
Non si può dire che il Congresso compia un vero bilancio degli avvenimenti avvenuti negli
anni intercorsi dal precedente appuntamento di Stoccolma. Si celebra il successo della corrente
socialdemocratica su quella comunista, considerato ormai definitivo, e si rivendica il diritto della
socialdemocrazia, dei suoi valori e del suo metodo politico, a divenire l’alveo esclusivo nel quale si
devono collocare le forze di sinistra.
Sul piano politico l’elemento trainante è l’espansione della democrazia. E’ stato notato che
tale espansione viene fatta coincidere con l’introduzione di sistemi parlamentari elettivi e pluralisti.
Le possibili difficoltà all’espansione della democrazia possono venire da difficoltà economiche o da
nuovi pericoli come il risorgente nazionalismo e dal fondamentalismo religioso. I concetti di
derivazione marxista sono ormai definitivamente espunti dal credo socialdemocratico. Il
“capitalismo” come termine descrittivo dell’attuale sistema sociale dominante sul piano mondiale
non esiste, e infatti la parola non ricorre mai nei documenti approvati. Non esistendo il capitalismo,
per contraltare non esiste nemmeno il “socialismo”, come indicazione di un ordinamento sociale
possibile e auspicabile, qualitativamente differente dal capitalismo stesso. Classi e conflitto di
classe non sono più elementi presenti nella società. Capitale e lavoro sono interessi operanti nella
società portatori entrambi di legittime rivendicazione che è solo necessario far muovere quanto più
possibile in sintonia.
Il quadro della situazione globale che viene presentato è sostanzialmente positivo e alla
socialdemocrazia viene ascritto il merito principale di tutto ciò. Naturalmente non mancano i grandi
problemi da affrontare, sulla base dei valori che sono insiti nel “metodo” socialdemocratico:
democrazia, solidarietà, libertà, eguaglianza. I problemi vengono enumerati con attenzione, la
povertà in grandi aree del mondo, il pericolo di nuovi conflitti militari locali pur in presenza di un
accantonamento dell’eventualità di una guerra nucleare globale, i danni all’ambiente determinati
dal tipo di sviluppo che si è realizzato nei decenni scorsi.
L’Internazionale socialista affida un grande ruolo agli strumenti di cooperazione a livello
mondiale ed in primo luogo all’ONU, nella quale si intravede, se non l’incarnazione, quantomeno
un accenno di possibile utopico ‘governo mondiale’. Il metodo concertativo, a-conflittuale viene
proiettato nella sua dimensione globale.
Il Congresso di Berlino procede all’accettazione di un consistente numero di nuovi partiti,
soprattutto in Paesi del terzo mondo, prima non rappresentati. Entra anche il PDS, per la cortesia
dell’allora ancora potente Bettino Craxi, come riconosce esplicitamente Mauroy nel suo discorso
alla platea congressuale. Viene sottolineata l’importanza dell’adesione alla socialdemocrazia
dell’erede del più grande e per molti versi più prestigioso partito comunista operante al di fuori del
blocco socialista, e questo fatto tende ad avallare il riconoscimento all’IS come l’unico forum della
sinistra ormai esistente. Prudenza e scetticismo vengono espressi per quanto riguarda gli ex partiti
unici al potere nell’Est Europa, di cui si segnala con sospetto l’assunzione di nuovi nomi tutti più o
meno richiamanti la socialdemocrazia o il socialismo. In questo momento l’Internazionale socialista
(e soprattutto l’SPD) è ancora impegnata nel tentativo di rilanciare i piccoli partiti socialdemocratici
ricostruiti dagli esiliati del dopoguerra. Operazione sostanzialmente fallita tranne nella Repubblica
Ceca, dove si possono avvalere dell’afflusso di parte dei dissidenti ex comunisti della Primavera del
’68.
Al fine di incentivare l’afflusso di nuove forze politiche viene introdotto un nuovo status di
adesione: oltre a quello di membro a pieno titolo, e di membro consultivo, i partiti possono
diventare osservatori.
I nuovi partiti che entrano a Berlino (con diverso status) sono: il Partito socialista popolare
argentino, il Partito socialdemocratico della Slovacchia, il Partito democratico della sinistra
italiano, il Partito socialdemocratico d’Albania, il Fronte delle forze socialiste algerino, il Partito
africano dell’indipendenza di Capo Verde, il Partito per la democrazia cileno, il Partito socialista
cileno, il Partito liberale colombiano, il Partito laburista delle Figi, il Congresso nazionale dei
movimenti democratici di Haiti, il Fronte popolare avoriano, il Partito socialdemocratico mongolo,
il Partito socialista democratico filippino, il Partito laburista di St.Kitts-Nevis, il Partito laburista di
S.Lucia, il Partito per il governo del popolo uruguayano, l’Unione democratica delle forze di
progresso del Benin, il Movimento per la democrazia e il progresso sociale del Benin, il Fronte
patriottico per il progresso della Repubblica Centrafricana, l’Alleanza democratica M-19
colombiana, il Partito Socialdemocratico ungherese, il Partito socialista ungherese, il Fronte
sandinista di liberazione nazionale del Nicaragua, il Partito socialdemocratico di Slovenia.
Nel complesso, dopo Berlino l’IS, con i 25 nuovi entrati, conta tra le sue file 101 partiti, di
cui 25 provenienti dall’Europa occidentale.

Il Congresso di New York.

La scelta della sede in cui tenere il XX congresso dell’IS non è naturalmente casuale. Volta per
volta vengono individuate capitali o città che possano rappresentare roccaforti tradizionali della
socialdemocrazia europea (come Stoccolma nel 1989) o sedi che segnalino la volontà di penetrare
nuove aree geografiche. E’ stato così ad esempio per il Congresso che si tenne a Lima, in Perù, nel
1986. Negli Stati Uniti l’IS ha solo due piccoli partiti membri: i Socialdemocratici e i Democratici
Socialisti d’America. Entrambi operano all’interno del Partito Democratico: i primi rappresentano
un’anima fortemente anticomunista e schierata nel conflitto ideologico della guerra fredda; i
secondi uniscono correnti di tradizione marxista con settori provenienti dalla nuova sinistra
americana del post-68. Inoltre come sottolinea lo stesso documento generale approvato dal
Congresso, New York è la sede dell’ONU, il cui ruolo viene esaltato dall’Internazionale Socialista.
Come per tutte le correnti di sinistra, la socialdemocrazia rappresenta negli Stati Uniti un
fenomeno elitario, intellettuale o al più di settori delle burocrazie sindacali. Il Congresso di New
York costituisce un tentativo di apertura al Partito democratico sul piano simbolico per inglobare la
nuova presidenza democratica nell' arco del centro-sinistra di governo di cui l’IS rappresenta sempre
più la proiezione internazionale, dall’altro un riconoscimento implicito della centralità della potenza
americana nel nuovo assetto determinato dalla scomparsa dell’URSS e del blocco socialista.
Il Congresso ha dato la consueta dimostrazione pubblica di unità fra i partiti
socialdemocratici e contemporaneamente quella di una ulteriore espansione quantitativa, attraverso
l’ingresso di nuovi partiti, parte dei quali provenienti dalla tradizione comunista o marxista. La
presidenza Mauroy non sembra però raccogliere l’unanimità dei consensi tra i maggiori partiti,
sembra anzi che vi sia stato un esplicito tentativo di scalzare l’ex-primo ministro francese
collocando al suo posto Felipe Gonzales. Il sotterraneo conflitto avrebbe avuto come protagonisti i
socialdemocratici tedeschi favorevoli ad un cambio della guardia al vertice.
Nei documenti approvati viene fatto il punto sulla situazione mondiale e sulle maggiori areei
di conflitto del mondo. L’IS dà un giudizio sostanzialmente positivo della globalizzazione
dell’economia mondiale,pur in presenza di una serie di ricadute negative o di pericoli che
richiedono un intervento statuale. Il documento politico evidenza che alcuni aspetti della
globalizzazione aprono delle contraddizioni negli assetti democratici. Fondamentale diventa
l’azione di coordinamento a livello sovranazionale. L’IS continua a schierarsi a favore dello
sviluppo di forme di governo sovranazionale. Centrale in questa visione è il ruolo dell’ONU,
l’espansione dei suoi interventi di ‘pacificazione’ anche militare, la maggiore possibilità
d’iniziativa del suo Segretario generale.
La risoluzione principale esamina area per area elementi positivi e contraddizioni e indica
possibili vie di soluzione dei problemi.
Per l’Africa il principale obbiettivo è rafforzare il processo di democratizzazione
attualmente in corso come condizione per rispondere alla sfida dello sviluppo. L’IS si propone di
fare tutto quanto possibile per rafforzare la cultura democratica, in particolare intensificando il suo
ruolo di osservatore delle scadenze elettorali e sostenendo i movimenti socialisti e
socialdemocratici. Paesi esplicitamente citati in quanto negazione di questo generale processo
democratico in corso sono la Nigeria, la Guinea Equatoriale e lo Zaire (occorre ricordare che non è
ancora avvenuto il tracollo del regime di Mobutu). Critico è il giudizio sulle istituzioni di Bretton
Woods, “le cui pressioni per la liberalizzazione hanno determinato una diffusione della povertà tra
le popolazioni africane. Le politiche di aggiustamento strutturale sono state imposte senza quelle
misure sociali correttive che il movimento socialdemocratico è stato fortunatamente in grado di
introdurre in Europa.” L’IS chiede all’Unione Europea di non diventare un blocco chiuso,
interessato solo alla propria prosperità, ma di rimanere aperto particolarmente nelle relazioni con i
suoi partner africani. Inoltre l’IS sollecita i Paesi africani a promuovere l’integrazione economica a
livello continentale.
La regione Asia-Pacifico, a differenza del continente africano ha goduto di un effettivo
processo di sviluppo economico (oggi per la verità in forte crisi) e in questo caso l’accento si sposta
su altre contraddizioni quali distruzioni ambientali, carenze energetiche e di cibo, il ché unito alla
rapida crescita della popolazione può seriamente minacciare la sicurezza della regione. Alcuni
paragrafi sono dedicati a singoli Paesi. Per quanto riguarda gli Stati a indirizzo socialista una breve
valutazione è rivolta a Cina e Corea del Nord.
Per quanto riguarda la prima l’IS dichiara che “il regime autoritario rimane al suo posto ma
sembrano continuare le sue politiche aperte e riformatrici. Mentre stiamo tenendo sotto
osservazione il suo atteggiamento verso i diritti umani, dobbiamo aiutare Pechino a promuovere
ulteriormente l’attuale corso delle politiche aperte e riformiste”. Sulla seconda si ricorda la difficile
situazione determinata dalle inondazioni e dalla conseguente carestia e come Pyongyang abbia
sollecitato aiuti dall’estero. Per l’IS nel “mentre estendiamo tale aiuto umanitario, dobbiamo
spingerli ad accettare l’idea di un incontro di tutti i partiti e ad integrarsi gradualmente nella
comunità internazionale”. Si tratta di valutazioni piuttosto prudenti, nelle quali, in particolare per la
Cina, è evidente l’interesse a non inasprire un conflitto sui temi politici che potrebbe mettere in
discussione i possibili sviluppi nei rapporti economici.
All’Europa è dedicata una parte importante della risoluzione congressuale. E’ confermata
l’adesione all’Unione Europea e al processo di integrazione politica, economica e sociale in atto.
Pur confermando una visione positiva della scomparsa del blocco socialista viene ricordato che
“rimangono seri problemi”, quali la disoccupazione e il riapparire di un nazionalismo estremistico. I
Paesi europei non possono affrontare questi problemi senza muoversi nella dimensione europea.
Sulla verifica in atto del trattato di Maastricht (completatasi successivamente ad Amsterdam,
nel giugno 1997) l’IS propone tre correzioni: 1) ampliare l’applicazione del voto a maggioranza (il
che implica accrescere il tasso di federalismo e sopranazionalità); 2) permeare la politica europea
con la più grande trasparenza e apertura; aumentare i poteri del Parlamento europeo, rafforzando
contemporaneamente la partecipazione dei Paesi nazionali. I socialdemocratici europei devono
confermare il loro impegno affinché l’Unione Economica e Monetaria vada avanti, e fare in modo
che alla sua terza fase (quella che deve portare all’introduzione dell’euro) partecipi il maggior
numero di Paesi possibile.
Largo spazio è dedicato al tema dell’occupazione. L’IS lancia la parole d’ordine del “nuovo
contratto sociale” che dovrebbe unire sindacati e imprenditori, con l’appoggio delle autorità
pubbliche. Le tesi principale affermate sono queste: 1) avviare un’iniziativa concertata di politiche
macroeconomiche a livello europeo; 2) l’investimento e l’occupazione nel settore privato sono un
obiettivo prioritario, che deve essere portato avanti mediante investimenti pubblici nella ricerca e
sviluppo, nelle infrastrutture, nel settore edilizio e nella gestione dell’ambiente, con uno sguardo
volto a garantire livelli soddisfacenti di duratura competitività; 3) far uso del vasto potenziale nel
campo delle nuove attività legate al settore dei servizi; 4) la riorganizzazione delle attuali strutture
occupazionali può e deve essere raggiunta mediante trattative che salvaguardino la competitività e
impegnino alla riduzione dell’orario di lavoro, guardando anche a migliorare la distribuzione
dell’occupazione esistente.
Nel capitolo relativo all’Europa centrale e orientale grande attenzione è riservata alla ex
Iugoslavia e alla Russia. L’IS saluta con soddisfazione l’accordo di Dayton che ha consentito di
porre termine alle ostilità e alle sofferenze della popolazione civile e di cominciare un processo di
pace che ha come suo obbiettivo la coesistenza pacifica sullo stesso territorio di distinte comunità
etniche. L’IS chiede alla comunità internazionale di riconfermare la missione di pace internazionale
dell’Ifor in Bosnia Erzegovina.
Per quanto riguarda la Russia si dà una valutazione positiva delle recenti elezioni (che hanno
confermato Eltsin alla presidenza del Paese), passo significativo in direzione del consolidamento
della democrazia e dello stabilirsi del pluralismo politico. La transizione in Russia a un’economia di
mercato ha continuato ad essere segnata da insufficienti investimenti stranieri e da incertezza e
confusione in tutte le politiche settoriali. Il contesto generale è di incertezza, dall’assenza di chiare
regole e dall’assalto delle forze speculative, dalla crescita dell’economia illegale e soprattutto
dall’aumento delle ineguaglianze sociali più acute. Il rischio principale secondo l’IS, è che mentre
nell’Europa centrale l’opinione pubblica si è rivolta alla sinistra (cioè alla socialdemocrazia), in
Russia si rivolga ai sostenitori di programmi autoritari.
L’IS proprio nel capitolo dedicato all’ex-blocco socialista tratta il tema della NATO, della
sua espansione e del suo ruolo nei nuovi assetti strategici. La prospettiva dell’allargamento
dell’Alleanza atlantica agli stati dell’Europa centrale e orientale deve essere definita in base a tre
obbiettivi: quello del mantenimento della capacità decisionale della NATO e dell’alto livello di
efficienza nel suo operare; quello del fornire una risposta positiva alle domande di integrazione e
sicurezza che vengono da tutti i paesi dell’Europa centrale e orientale attraverso la piena
appartenenza all’alleanza e attraverso il rafforzamento del partneriato per la pace; e in terzo luogo
quello del pieno coinvolgimento della Russia nella politica di sicurezza della regione, in modo da
evitare da una parte il rischio della rinascita di forme surrettizie di bipolarismo e dall’altra
l’emergere a Mosca di sospetti e di pregiudizi nei confronti del ruolo della NATO e del suo
allargamento.
Al ruolo svolto in Medio oriente, nel conflitto tra israeliani e palestinesi, l’IS ha affidato
buona parte del proprio prestigio internazionale da almeno una decina d’anni. I congressi e i
consigli generali dell’organizzazione hanno fornito l’occasione per incontri tra rappresentanti dei
laburisti israeliani con esponenti dell’OLP. All’inizio, quando Israele (laburisti compresi)
considerava l’organizzazione palestinese solo un centro terroristico, le occasioni di colloquio
venivano cercate al riparo dall’attenzione dei media. Negli ultimi anni e soprattutto dopo che con
gli accordi di Oslo governo laburista israeliano e Arafat sono diventati interlocutori riconosciuti e
partner nella ricerca di una soluzione stabile, agli incontri delle due delegazioni è stato attribuito
grande ruolo mediatico. Al congresso di New York è stato accolto con lo status di osservatore il
movimento Al Fatah, la principale delle forze politiche operanti all’interno dell’OLP, fondata e
diretta da Arafat.
Nel documento congressuale l’IS conferma il proprio convinto appoggio agli accordi di
Oslo, considerati un progresso storico il cui merito viene attribuito ai governi israeliani presieduti
da Rabin e Peres, e ad Arafat. Il documento deve però prendere in considerazione la nuova
situazione che si è creata con la vittoria della destra di Benyamin Netanhyau alle elezioni del marzo
1996. Il processo di pace è entrato in un periodo difficile. Per farlo ripartire l’esigenza principale è
onorare gli accordi raggiunti tra le due parti, adempiere a tutti gli obblighi della fase intermedia,
compresa la rimozione della chiusura dei territori palestinesi e il ridispiegamento da Hebron.
Contemporaneamente dovrebbero partire i negoziati che dovrebbero portare all’assetto definitivo.
L’IS riafferma il diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione e ad un proprio stato, così
come la necessità di trovare una soluzione alle complesse e difficili questioni degli insediamenti
(ebraici), di Gerusalemme, e dei rifugiati (palestinesi).
Anche il problema delle popolazione curde (divise su un territorio che ricade in parte in
Turchia, in parte in Iraq e in parte in Iran) emerso all’attenzione dell’Occidente soprattutto dopo la
guerra del Golfo è ampiamente affrontato con una disamina della situazione specifica per ognuno
dei tre Stati. E’ interessante sottolineare le distinzioni che vengono introdotte. I curdi, afferma l’IS
sono “oppressi” in Iran e in Iraq, mentre hanno “seri problemi” in Turchia. Per quanto riguarda la
parte turca viene sottolineata l’importanza di un complessivo processo di democratizzazione del
Paese. Alla Turchia viene chiesto di aprire un costruttivo dialogo con i cittadini curdi e i loro
rappresentanti che rinunciano alla violenza (e questa precisazione sembra escludere il PKK, mai
direttamente citato), di rilasciare i prigionieri politici, tra i quali i parlamentari del DEP (partito filo-
curdo). Per quanto riguarda la parte iraniana, l’IS denuncia la pulizia etnica, gli attacchi di
artiglieria e altre azioni ostili lungo il confine con l’Iraq che hanno costretto la popolazione a
trovare rifugio nel territorio del Kurdistan iracheno. Infine per la parte irakena l’IS chiede la
continuazione delle garanzie internazionali nel nord Iraq al di sopra del 36° parallelo, inoltre invita
le organizzazioni curde a trovare una soluzione pacifica alle loro controversie. In generale viene
sottolineato che un duraturo accordo di pace nel Medio oriente sarebbe incompleto se non
garantisse il rispetto dei diritti internazionali per il popolo curdo. L’IS chiede a tutti gli stati della
zona di trovare una soluzione specifica per la soluzione del problema curdo, senza specificare di
quale debba essere questa soluzione (indipendenza, autonomia).
L’America Latina è l’area geografica, extra europea nella quale l’IS ha iniziato per prima ad
espandersi, accogliendo nuovi partiti. Nell’analizzare l’attuale situazione il documento ricorda
come sia un importante passo avanti l’estensione della democrazia e delle libere elezioni al posto di
regimi militari. Vi sono però anche nuove sfide, l’incapacità delle strutture politiche tradizionali di
fronteggiare le richieste popolari per riforme sociali hanno prodotti reazioni di avversione verso i
partiti politici. E’ impossibile mantenere la fede dei popoli nella democrazia quando essi soffrono la
povertà e la fame. I socialdemocratici dell’America Latina respingono le strategie monetarie
neoliberali, che si limitano a controllare le variabili macroeconomiche, mantenendo in tal modo il
basso livello di produzione interna. Su Cuba l’IS conferma la propria opposizione alle sanzioni in
quanto ritiene più utile rimuovere le barriere e facilitare una pacifica transizione verso la
democrazia multipartitica nell’isola caraibica.
Benché la riunione si tenga negli Stati Uniti, è interessante rilevare come nessuna attenzione
venga dedicata al nord America, pur in una risoluzione che compie un giro d’orizzonte della
situazione politica ed economica di tutto il mondo. Quali sono le ragioni di questo vuoto? Non può
essere l’assenza di un forte partito aderente all’Internazionale, perché questa situazione si riscontra
anche per altri Paesi che sono invece esaminati dalla risoluzione (come la Russia, l’ex Iugoslavia,
parte dell’Africa). E’ rintracciabile in questo silenzio una forma di ossequio al paese guida
dell’Occidente, il cui ruolo non può essere messo in discussione nemmeno da un consesso così
ampio e autorevole? Non esiste un accordo sulla politica degli Stati uniti tra i paesi membri?
L’interrogativo resta aperto. Eppure esisterebbero importanti temi sui quali una valutazione dell’IS,
pur con la terminologia sempre cauta e lo stile diplomatico che contraddistingue i documenti
approvati, sarebbe interessante. La politica degli USA nei confronti dell’ONU, caratterizzata anche
da forti polemiche, fino alla decisione di silurare il Segretario generale, l’egiziano Boutros
Boutros-Ghali, di cui pure veniva sottolineata in occasione del precedente congresso di Berlino
l’appartenenza ad uno dei partiti membri dell’IS e al quale veniva allora espresso tutto il sostegno.
Il peso degli Stati uniti nelle istituzioni di Bretton Woods (FMI, BM) che svolgono un ruolo
crescente di intervento nelle politiche economiche e quindi nelle politiche tout court di tutto il
mondo. Nessun giudizio è espresso ad esempio sulla dichiarata volontà degli Stati uniti
(repubblicani e democratici convergenti su questo obbiettivo) di svolgere un ruolo di leadership
mondiale al quale istituzioni come l’ONU stessa dovrebbero completamente subordinarsi o
altrimenti accettare l’emarginazione. Sembra qui riemergere un dato originario dell’IS, ai tempi
della fondazione di Francoforte nel 1951, lo schieramento di campo (un campo diretto dagli USA),
non intaccato dall’estendersi del numero dei partiti a tutti i continenti. C’è qui una contraddizione
evidente e non affrontata fra la riaffermazione dell’utopia del governo mondiale (di cui l’ONU
dovrebbero essere una anticipazione) con la realtà molto più prosaica e molto meno democratica
della struttura di potere globale.
L’IS si trova nella necessità, secondo molti dei suoi componenti, di rivedere la propria
struttura organizzativa, al fine di far fronte alla crescita del numero dei membri e in qualche caso
anche alle aspettative che verso di essa si sono rivolte. E’ stata istituita un commissione alla cui
testa è stato nominato Felipe Gonzales per mettere a punto le modalità di iniziativa in vista delle
sfide del nuovo secolo. D’Alema ha ipotizzato che l’IS diventi un vero centro di iniziativa politica,
pur respingendo qualsiasi similitudine con il Comintern e il Cominform.
Il Congresso di New York ha aperto le porte ad un consistente numero di nuovi membri: il
Moodukad (Estonia), il Partito della rivoluzione democratica (Messico), l’Unione del lavoro
(Polonia), la Socialdemocrazia della Repubblica di Polonia, il Partito della sinistra democratica
slovacco, la Lista unita dei socialdemocratici slovena, l’Unione civica radicale argentina, il Fronte
socialdemocratico del Camerun, il Partito laburista di Dominica, la Convergenza per la democrazia
sociale (Guinea Equatoriale), il Partito gabonese del progresso, il Partito africano per la solidarietà
e la giustizia del Mali, il Movimento militante mauriziano, il Partito rivoluzionario istituzionale
messicano, il Partito Frelimo del Mozambico, il Partito per la democrazia e il socialismo del Niger,
il Partito rivoluzionario democratico di Panama, il Partito social democratico romeno, il Partito
democratico di Romania, il Movimento popolare per la liberazione dell’Angola, il Partito socialista
armeno, il Partito socialdemocratico dell’Azerbaigian, il Partito socialdemocratico di Bosnia e
Herzegovina, il Fronte nazionale del Botswana, il Partido democratico del Salvador, l’Unione dei
cittadini della Georgia, l’Organizzazione politica Lavalas, il Janata dal indiano, il Partito
democratico del Kurdistan iraniano, l’Unione socialdemocratica della Macedonia, il Partito
socialdemocratico di Moldova, il Partito socialdemocratico del Montenegro, il movimento
palestinese Al Fatah.
Si tratta di un ampio numero di partiti in cui spiccano forze politiche di grande peso ma
anche provenienti da orizzonti politici molto diversi. Due i criteri privilegiati: inglobare partiti che
sono al potere o che sono realisticamente in condizione di arrivarvi in tempi ragionevoli, e cercare
di includere almeno una forza politica per nazione. In qualche caso tale scelta porta ad accettare
l’adesione di forze politiche contrapposte a livello nazionale come il PRI messicano, tradizionale e
sempre più corrotto partito di potere, e il PRD che raccoglie la sinistra di opposizione e che tenta di
mettere fine al lungo predominio priista. In Polonia entrano sia il partito erede del POUP, il partito
unico al potere fino al 1989, che l’Unione del Lavoro, formata dall’ala progressista della vecchia
Solidarnosc, nel frattempo finita in mano alla destra populista e bigotta. Per quanto riguarda in
generale i partiti ex comunisti dell’Est Europa, le porte sono state aperte con maggiore larghezza di
quanto non fosse accaduto nel precedente Congresso di Berlino dove era prevalso invece il sospetto
sulla loro reale conversione alla socialdemocrazia. Fra i nuovi ingressi che segnalano il tentativo
dell’IS di inglobare forze provenienti da altre tradizioni vanno segnalati l’MPLA e il Frelimo
africani, l’Unione civica radicale argentina, e Al Fatah.

Il Consiglio Generale di Roma

La prima riunione del Consiglio dell’IS successiva al Congresso di New York si è tenuta a Roma il
21 e il 22 gennaio del 1997. Quest’incontro ha consentito al PDS, diventato ormai di gran lunga la
maggiore sezione italiana dell’Internazionale dopo la crisi che ha travolto il Partito socialista
craxiano, di sottolineare il proprio ruolo all’interno della socialdemocrazia internazionale. Già il
PCI a partire dagli anni ’70 con Berlinguer e poi con maggiore intensità negli anni ’80, aveva
sviluppata una trama di rapporti con la socialdemocrazia europea in particolare quella tedesca e
francese, via via che si era reso autonomo e poi staccato dal movimento comunista internazionale.
Per un certo periodo la strategia del PCI è stata affidata al concetto di eurosinistra che prefigurava
una confluenza di forze provenienti dalle diverse correnti storiche del movimento operaio, e il cui
nucleo centrale doveva essere costituito da partiti socialdemocratici rinnovati e dai partiti
provenienti dalla tradizione eurocomunista. In realtà l’idea dell’eurosinistra non si è concretizzata
per la crisi e la differenziazione avvenuta all’interno del movimento eurocomunista ed anche per lo
spostamento in senso moderato della stessa socialdemocrazia. Con la trasformazione del PCI in
PDS è avvenuta una esplicita adesione all’orizzonte ideologico socialdemocratico e quindi
l’adesione a pieno titolo all’IS, un orizzonte peraltro in fase di parziale modificazione, dato il
definitivo abbandono dei residui elementi classisti e l’avvicinamento che attrae parte delle forze
socialdemocratiche verso il modello di partito democratico all’americana. All’interno delle strutture
operative dell’IS l’impegno del PDS si è rivolto in particolare all’attività del Comitato che si
occupa degli ex Paesi socialisti, nei quali si è aperta la strada all’adesione delle forze politiche nate
dalla ceneri di alcuni dei vecchi PC al potere.
La riunione romana del Consiglio ha dedicato particolare attenzione a due temi già
abbondantemente affrontati dalle riunione dell’Internazionale socialista: il Medio oriente e l’ex-
Iugoslavia.
L’avvenimento più significativo è stata la contemporanea presenza per la prima volta ad un
appuntamento dell’IS di Shimon Peres e Yasser Arafat, inoltre, come viene sottolineato nel
resoconto pubblicato dalla rivista ufficiale dell’organizzazione, essi si sono incontrati per la prima
volta come membri dell’IS dopo l’ingresso in qualità osservatore di Al Fatah, avvenuto a New
York. Nell’incontro è stato ricordato che la ricerca del dialogo e della pace in Medio oriente è stato
uno degli impegni principali dell’Internazionale stessa nel corso degli ultimi anni. Viene
confermato il pieno appoggio all’intesa di Oslo, della quale si dice anche che non ha alternative,
anche se il successo elettorale della destra israeliana ha aggravato i molti punti deboli dell’intesa.
Al momento della riunione di Roma era stato appena raggiunto un accordo che confermava
l’evacuazione degli occupanti israeliani dalla città palestinese di Hebron, uno dei pochi punti
dell’intesa Israele-Palestina al quale Netanyahu ha mantenuto fede. L’adesione all’accordo
raggiunto ad Oslo è resa ancora più esplicita dalla elezione al ruolo di presidente del Comitato
dell’IS per il Medio oriente (SIMAC) del ministro degli esteri laburista norvegese Bjorn Tore
Godal. L’Amministrazione USA del Presidente Clinton (il cui atteggiamento sulla questione
palestinese è stato ed è quantomeno ambiguo ed estremamente sbilanciato a favore del governo
israeliano) viene elogiato per il contributo dato alla soluzione del problema di Hebron.
Al centro del dibattito sull’ex-Iugoslavia la presenza come invitata speciale di Vesna Pesic,
presidente dell’Alleanza civica di Serbia, parte della coalizione di opposizione Zajedno. Era in
corso in quelle stesse settimane la protesta popolare dei cittadini di Belgrado contro il tentativo,
messo in atto dal governo di Slobodan Milosevic, di non riconoscere i risultati delle elezioni
municipali nelle principali città, risultati favorevoli all’opposizione. Se la protesta era
indubbiamente legittima contro gli aspetti autoritari presenti nella direzione serba, è altrettanto
indubbio che la coalizione Zajedno, che si è dissolta pochi mesi dopo aver ottenuto il
riconoscimento del voto municipale, in molte sue componenti era inquinata da elementi xenofobi,
ultranazionalisti, monarchici e reazionari di vario tipo. L’appoggio all’opposizione a Milosevic
viene inserito dall’IS nel quadro degli obbiettivi definiti dal Comitato per l’Europa centrale e
orientale (del quale è copresidente l’italiano Fassino): 1) il consolidamento del processo del dopo-
Dayton in Bosnia; il rafforzamento delle istituzioni democratiche in Croazia e l’apertura della
strada ad una transizione democratica nella Repubblica Federale Yugoslavia (nell’uso sempre
accorto dei termini e delle definizioni si rivela in questa una promozione democratica alla Croazia
rispetto alla Federazione capeggiata dalla Serbia, sulla cui oggettività si potrebbe ampiamente
discutere); 3) favorire il dialogo tra governo e opposizione per risolvere la crisi politica in Albania e
Bulgaria; 4) rafforzare la strategia di integrazione avviata dell’Unione europea e delle altre
istituzioni regionali di cooperazione.
Un altro aspetto al quale il Consiglio dedica parte dei propri lavori riguarda l’attività avviata
dalla Commissione presieduta dallo spagnolo Gonzales, il cui compito è quello di ridisegnare ruolo
e struttura dell’IS alla luce dell’allargamento dei suoi membri, e delle novità intercorse nella
situazione mondiale. Gonzales elenca le sette principali aree tematiche attorno alle quali lavorerà la
Commissione stessa, attraverso una serie di riunioni alle quali saranno invitati politici ed
intellettuali di vari Paesi: globalizzazione, rivoluzione tecnologica, politica macroeconomica, ruolo
dello stato, coesione sociale e legittimazione del potere e dell’attività politica, finanza
internazionale, riforma delle Nazioni unite. Altri temi avranno un rilevo trasversale come
l’eguaglianza femminile, l’ambiente e la formazione della forza-lavoro.

La struttura e il funzionamento.

L’attività dell’Internazionale socialista ha come appuntamento pubblico fondamentale il Congresso


che si dovrebbe tenere statutariamente ogni tre anni. Ad essi partecipano i partiti membri con diritto
di voto, i partiti consultivi con diritto di parola ma non di voto e osservatori senza diritto di parola e
di voto. Sono presenti anche partiti invitati, parte dei quali diventeranno membri a vario titolo al
termine del Congresso. Ogni partito partecipa al Congresso con una delegazione il cui numero non
è legato alla rappresentatività specifica del partito di appartenenza. L’ingresso di nuovi partiti deve
avere il beneplacito di eventuali partiti già membri provenienti da quello stesso paese.
Due volte all’anno si riunisce il Consiglio Generale, il quale approva in genere risoluzioni
specifiche su determinati problemi e conflitti di ordine internazionale. Le cariche previste
dall’Internazionale socialista sono quella di Presidente, di Vicepresidente, di Segretario (al quale
spetta in misura maggiore l’attività operativa quotidiana), affiancati da una presidenza composta dai
leader dei maggiori partiti. E’ importante rilevare che malgrado la crescita dei partiti membri in tutti
i continenti la maggioranza dei componenti della presidenza restino espressi da partiti europei.
L’IS rivendica in particolare il ruolo di mediazione svolto in diversi conflitti politici e
militari, in particolare tra israeliani e palestinesi, ma anche in Sudafrica, in America centrale ecc.
Nel caso della Colombia l’IS è servita come mediatrice tra il movimento di guerriglia M-19 e il
governo, alfine di portare al disarmo dei guerriglieri e al loro reinserimento nella vita politica civile.
Inoltre svolge una attività di sostegno ai nuovi partiti aderenti all’IS soprattutto nei Paesi dell’est
Europa e dell’Africa. Gli aiuti materiali in realtà passano prevalentemente attraverso i partiti più
ricchi, come i socialdemocratici tedeschi e le attività internazionali che essi svolgono direttamente
attraverso la fondazione Friedrich Ebert, finanziata con fondi statali. I bilanci indirizzati a queste
attività da parte dei partiti maggiori sono più consistenti di quelli di cui può disporre
l’Internazionale stessa.
Per poter intervenire più attivamente nelle varie aree geografiche l’IS ha costituito dei
Comitati che si riuniscono periodicamente, producendo documenti di analisi e di proposta ad hoc. I
documenti dell’IS, come del resto la sua rivista (Socialist Affairs) non hanno una grande diffusione.

Dove va l’Internazionale Socialista?

L’IS ha accresciuto la propria presenza sul piano mondiale e può oggi vantarsi, con una
qualche legittimità, di essere l’unico forum globale della sinistra. Essa funziona come risorsa per i
singoli partiti che possono valorizzare il loro essere parte di un movimento mondiale che pur nella
piena autonomia dei singoli membri può consentire di definire valori comuni e orientamenti
programmatici unitari sui temi sovranazionali. Questo viene particolarmente sottolineato alla luce
del fatto che esiste una diffusa consapevolezza che vi sono questioni (sviluppo economico,
ambiente, democrazia) che non possono essere affrontati (se mai è stato possibile) in un ambito
strettamente nazionale. Le vie nazionali al riformismo dovrebbero essere oggi integrate in una
concordanza di iniziative da parte degli Stati nei quali i governi sono controllati da partiti di
orientamento socialdemocratico.
L’IS resterà come è stata nel passato un club di primi ministri e di aspiranti tali. Non è e non
sarà una sede di impulso per movimenti di massa, per azioni politiche che si svolgano anche dal
basso. Nella sua fiducia nella diplomazia, nel compromesso e nell’utopia del governo globale, come
è avvenuto ai suoi predecessori storici l’IS sembra ben poco attrezzata a far fronte ad una crisi dello
sviluppo, ad un acuirsi all’interno dei singoli Paesi e a livello mondiale dei conflitti sociali. In
buona parte l’IS esprime settori di quell’establishment globale che determina oggi gran parte delle
politiche economiche e sociali nel mondo. Uomini provenienti da partiti dell’IS sono stati o sono
tuttora in funzioni di primo piano nell’ONU (Boutros Ghali), la NATO (Claes e Solana), l’Unione
Europea (Delors), il Fondo Monetario nazionale (Camdessus). L’IS resterà elemento di integrazione
e coordinamento di questo settore dell’establishment, non diventerà certamente, nonostante
l’allargamento a nuovi partiti di diversa tradizione, elemento catalizzatore di un conflitto.
La crescita numerica dell’IS non è probabilmente ancora finita (l’obiettivo dichiarato è di
avere almeno un partito membro per ogni Stato). Esistono ancora numerose richieste di affiliazione.
L’incremento numerico apre un problema di funzionalità dell’organizzazione ma determina anche
una crescente difficoltà a tenere insieme sensibilità differenti. Per un verso l’estensione numerica
dell’IS potrebbe portare ad una sua progressiva irrilevanza politica. Un ulteriore elemento di
difficoltà deriva anche dal fatto che alcuni paesi chiave dello scenario mondiale non hanno un
significativo partito socialdemocratico: è il caso degli Stati uniti, della Russia e del Giappone. Nel
primo caso il tentativo di allineare Clinton alla famiglia socialdemocratica, si traduce nei fatti alla
tendenza contraria. L’allineamento della socialdemocrazia alla filosofia dei new democrats Usa, ai
quali Clinton appartiene, decisamente ancorati al centro dello schieramento politico, con un
assorbimento a dosi non omeopatiche di aspetti rilevanti dell’ideologia liberista. Il New Labour di
Blair è quello che più si è esplicitamente richiamato all’esperienza di Clinton. In questo senso la
proposta avanzata dal primo ministro britannico, attraverso una intervista al Guardian che ha
trovato una grande eco in Italia, per un incontro a livello mondiale tra le forze di centro e di
centrosinistra punta a consolidare questo asse tra la destra socialdemocratica e l’amministrazione
USA, forzando la linea di tendenza verso la quale si dirige la stessa IS. L’ipotesi di una
trasformazione dell’IS in internazionale democratica, non è una proposta inedita (venne formulata,
ai tempi suoi, anche da Bettino Craxi), ma per ora non sembra ancora matura. Per questo Blair
punta ad aggirare la struttura formale creando delle sedi di confronto politico, attraverso le quali
consolidare una egemonia dell’asse tra Labour britannico e Democratici USA. Dal punto di vista
simbolico è particolarmente significativo che gli epigoni di una tradizione socialista che, anche se
spesso velleitariamente e solo a parole, si proponevano innanzitutto la lotta contro l’uso della guerra
come strumento della politica di potenza, si ritrovino oggi uniti innanzitutto nella decisione, di stile
imperiale e neocolonialista, di bombardare l’Iraq. L’iniziativa di Blair ha come obbiettivo evidente
quello di impedire che attorno al processo di Unione Europea, la socialdemocrazia sia tentata di
ritrovarsi attorno ad un progetto politicamente e socialmente autonomo dal modello statunitense,
costruendo con esso nuove relazioni con i paesi del terzo mondo.
BOX

I partiti membri

Membri a pieno titolo

Europa (38 partiti)

Albania Partito Socialdemocratico (PSD)


Austria Partito Socialdemocratico (SPOe)
Belgio Partito Socialista (PS)
Partito Socialista (SP)
Bulgaria Partito Socialdemocratico Bulgaro (BSDP)
Cipro EDEK- Partito Socialista di Cipro
Repubblica Ceca Partito Socialdemocratico Ceco
Danimarca Partito Socialdemocratico
Estonia Moodukad
Finlandia Partito Socialdemocratico Finnico (SDP)
Francia Partito Socialista (PS)
Germania Partito Socialdemocratico di Germania (SPD)
Gran Bretagna Partito Laburista
Grecia Movimento Socialista Panellenico (PASOK)
Ungheria Partito Socialista Ungherese (MSzP)
Islanda Partito Socialdemocratico
Irlanda Partito Laburista
Italia Partito Democratico della Sinistra (PDS)
Partito Socialista Democratico Italiano (PSDI)
Socialisti Italiani (SI)
Lettonia Partito Socialdemocratico dei Lavoratori Lettone (LSDSP)
Lituania Partito Socialdemocratico Lituano (LSDP)
Lussemburgo Partito Socialista Operaio Lussemburghese (LSAP/POSL)
Malta Partito Laburista maltese
Paesi Bassi Partito Laburista, PvdA
Irlanda del Nord Partito Socialdemocratico e Laburista, SDLP
Norvegia Partito Laburista Norvegese, DNA
Polonia Socialdemocrazia della Repubblica di Polonia, SdRP
Unione del Lavoro, UP
Portogallo Partito Socialista Portoghese
San Marino Partito Socialista di San Marino (PSS)
Repubblica Slovacca Partito Socialdemocratico di Slovacchia
Partito della Sinistra democratica, (ZDL)
Slovenia Lista Unita dei Socialdemocratici, ZL
Spagna Partito Socialista Operaio Spagnolo, PSOE
Svezia Partito Socialdemocratico Svedese, SAP
Svizzera Partito Socialdemocratico di Svizzera
Turchia Partito Repubblicano del Popolo, CHP

Medio Oriente (7 partiti)

Algeria Fronte delle Forze Socialiste, FFS


Egitto Partito Nazional Democratico, NDP
Israele Partito Laburista
Partito Unificato dei Lavoratori d’Israele, MAPAM
Libano Partito Socialista Progressista, PSP
Marocco Unione Socialista delle Forze Popolari, (USFP)
Tunisia Assemblea Costituzionale Democratica (RCD)
Africa (5 partiti)

Burkina Faso Partito per la Democrazia e il Progresso


Capo Verde Partito Africano per l’Indipendenza di capo Verde, PAICV
Costa d’Avorio Fronte Popolare della Costa d’Avorio, FPI
Maurizio Partito Laburista delle Maurizio
Senegal Partito Socialista del Senegal, PSS

Asia e Oceania (5 partiti)

Australia Partito Laburista Australiano


Giappone Partito Socialdemocratico, SDP
Malaysia Partito Azione Democratica, DAP
Mongolia Partito Socialdemocratico Mongolo, MSDP
Nuova Zelanda Partito Laburista Neozelandese

Americhe (23 partiti)

Argentina Partito Socialista Popolare, PSP


Aruba Movimento Elettorale del Popolo, MEP
Barbados Partito Laburista di Barbados
Bolivia Movimento Sinistra Rivoluzionaria
Brasile Partito Democratico Laburista
Canada Nuovo Partito Democratico, NDP/NPD
Cile Partito Radicale Socialdemocratico, PRSD
Partito per la Democrazia, PPD
Partito Socialista del Cile, PS
Costa Rica Partito di liberazione Nazionale, PLN
Curaçao Movimento per le Nuove Antille, MAN
Rep. Dominicana Partito Rivoluzionario Dominicano, PRD
Guatemala Partito Socialdemocratico, PSD
Haiti Partito Nazionalista Progressista Rivoluzionario di Haiti, PANPRA
Partito del Congresso Nazionale dei Movimenti Democratici, KONAKOM
Giamaica Partito Nazionale Giamaicano, PNP
Messico Partito della Rivoluzione Democratica, PRD
Nicaragua Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale, FSLN
Paraguay Partito Rivoluzionario Febrerista, PRF
Porto Rico Partito per l’Indipendenza di Porto Rico
USA Socialisti Democratici d’America, DSA
Socialdemocratici USA, SDUSA
Venezuela Azione Democratica, AD

Partiti con status consultivo

Europa (2 partiti)

Groenlandia SIUMUT
Romania Partito Socialdemocratico Romeno, PSDR
Partito Democratico, PD

Medio Oriente (1 partito)

Tunisia Movimento Unità Popolare, MUP

Africa (8 partiti)

Camerun Fronte Socialdemocratico, SDF


Guinea Equatoriale Convergenza per la Socialdemocrazia, CPDS
Gabon Partito Gabonese del Progresso, PGP
Madagascar Partito per l’Unità Nazionale, VTM
Mali Partito Africano per la Solidarietà e la Giustizia, ADEMA-PASJ
Maurizio Movimento Militante Mauriziano
Mozambico Partito Frelimo
Niger Partito per la Democrazia e il Socialismo del Niger, PNDS

Asia e Oceania (4 partiti)

Figi Partito Laburista di Figi


Nepal Partito del Congresso Nepalese
Pakistan Partito Popolare Pakistano, PPP
Filippine Partito Socialista Democratico Filippino, PDSP

Americhe (12 partiti)

Argentina Unione Civica Radicale, UCR


Colombia Partito Liberale di Colombia, PLC
Dominica Partito Laburista della Dominica
Guyana Alleanza Popolare di Guyana
Messico Partito Rivoluzionario Istituzionale
Panama Partito Rivoluzionario Democratico
Perù Partito Aprista Peruviano, PAP
St. Kitts-Nevis Partito Laburista di St. Kitts-Nevis
St. Lucia Partito Laburista di St Lucia, SLP
St. Vincent e Grenadine Partito Laburista Unito, SVGLP
Uruguay Partito per il Governo del Popolo, PGP
Venezuela Movimento Elettorale del Popolo, MEP

Partito con status di osservatore

Europa (9 partiti)

Armenia Partito Socialista Armeno, ARF


Azerbaijan Partito Socialdemocratico di Azerbaijan, SDPA
Bosnia-Herzegovina Partito Socialdemocratico di Boznia e Herzegovina, SDP BiH
Unione dei Socialdemocratici di Bosnia e Herzegovina, UBSD
Georgia Unione dei Cittadini di Georgia, CUG
Ungheria Partito Socialdemocratico Ungherese, MSzDP
ex-Rep. di Macedonia Unione Socialdemocratica di Macedonia, SDUM
Moldovia Partito Socialdemocratico di Moldovia,
Montenegro Partito Socialdemocratico di Montenegro, SDPM

Medio Oriente (2 partiti)

Iran Partito Democratico del Kurdistan Iraniano, PDKI


Palestina Fatah

Africa (4 partiti)

Angola Movimento popolare per la Liberazione dell’Angola, MPLA


Benin Unione Democratica delle Forze Progressiste, UDFP
Botswana Fronte Nazionale del Botswana, BNF
Rep. Centro Africana Fronte Patriottico Progressista, FPP

Asia e Oceania (1 partito)

India Janata Dal

Americhe (3 partiti)
Colombia Alleanza Democratica M-19
El Salvador Partito Democratico, PD
Haiti Organizzazione Politica Lavalas, OPL

Fonte: sito web dell’Internazionale socialista


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Il Presidium

Presidente
Pierre Mauroy (Francia)
Vicepresidenti
Gro Harlem Brundtland (Primo Vicepresidente, Norvegia)
Rolando Araya Monge(Costa Rica)
Tony Blair (Gran Bretagna)
Leonel Brizola (Brasile)
Philippe Busquin (Belgio)
Massimo D' Alema (Italia)
Ousmane Tanor Dieng (Senegal)
Felipe González (Spagna)
António Guterres (Portogallo)
Gyüla Horn (Ungheria)
Erdal Inönü (Turchia)
Lionel Jospin (Francia)
Oskar Lafontaine (Germania)
Paavo Lipponen (Finlandia)
Wim Kok (Paesi Bassi)
Alexa McDonough (Canada)
Pedro París Montesinos (Venezuela)
Jaime Paz Zamora (Bolivia)
Shimon Peres (Israele)
Göran Persson (Svezia)
Poul Nyrup Rasmussen (Danimarca)
Costas Simitis (Grecia)
Anselmo Sule (Cile)
Makoto Tanabe (Giappone)
Franz Vranitzky (Austria)
d’ufficio
Pauline Green (Gran Bretagna)
José Francisco Peña Gómez (Rep. Dominicana)
Audrey McLaughlin (Canada)
Rudolf Scharping (Germania)
Nicola Zingaretti (Italia)
Segretario Generale
Luis Ayala (Cile)

Fonte: sito web dell’Internazionale socialista


Le Relazioni tra i Partiti Comunisti
Il movimento comunista internazionale, a differenza dell’Internazionale socialista, non è una
struttura la cui organizzazione, i cui confini e la cui attività siano formalmente definite. Al
momento è difficile poter parlare di un tale movimento se non nella forma molto lata di un certo
numero di partiti che ne riconoscono l’esistenza o ne auspicano la ricostruzione, avendo spesso tra
loro riferimenti ideologici e orientamenti strategici sensibilmente diversi. Questo stato di fatto è
incontestabile dopo il crollo del blocco socialista e dell’Unione Sovietica, ma è stato oggetto di
controverso dibattito già prima della dissoluzione del PCUS.
Alcuni partiti comunisti, in particolare quello italiano, negavano che si potesse continuare a
parlare di movimento comunista a livello internazionale e tendevano a sottolineare l’esigenza di un
nuovo internazionalismo che vedeva entrare in relazione, e cercare una convergenza programmatica
sui grandi temi internazionali, forze politiche provenienti da diversi orizzonti, da quelle
socialdemocratiche a forze del terzo mondo alla ricerca di una nuova ispirazione socialista. Il PCUS
fin verso la fine degli anni ’80, e certamente ancora nella prima fase della direzione Gorbaciov,
continuava invece a sostenere l’esistenza di un movimento comunista internazionale in grado di
muoversi come soggetto unitario sulla scena internazionale. Nonostante la scissione avvenuta negli
anni ’60 con la Cina, l’Albania e altri partiti e correnti che ad essi si richiamavano, e poi nel
decennio successivo l' emergere della tendenza eurocomunista, per il PCUS i partiti comunisti
continuavano ad avere una piattaforma ideologica e una visione del conflitto internazionale,
sostanzialmente omogenea. Quanto questa tesi fosse frutto di una reale convinzione e quanto una
mera posizione propagandistica è difficile chiarire oggi.
Dal punto di vista formale l’unica struttura ancora esistente negli anni ‘80 che collegasse la
maggioranza dei PC era la rivista di Praga “Problemi della pace e del socialismo” (nota anche con
altri nomi a seconda delle lingue nelle quali era pubblicata, World Marxist Review in inglese,
Revista Internacional in spagnolo, Nouvelle Revue Internationale in francese, Nuova Rivista
Internazionale in italiano). Questa pubblicazione mensile era l’espressione di un collegio
redazionale nel quale erano rappresentati 70 partiti. Parte di questi avevano propri delegati
permanenti nella capitale cecoslovacca. La pubblicazione veniva edita, con qualche variazione
politicamente significativa, in numerose lingue.
L’attività della rivista consentiva di organizzare simposi tematici ma soprattutto di
convocare periodicamente una assemblea mondiale di partiti comunisti e simpatizzanti. Sono stati
questi gli ultimi appuntamenti collettivi grazie ai quali si poteva ancora parlare di movimento
comunista internazionale. Gli ultimi due si sono tenuti nel 1984 e nel 1988. Nel frattempo la
situazione era profondamente cambiata a seguito dell’azione di Gorbaciov in URSS.
Facendo qualche passo indietro occorre ricordare che il movimento comunista
internazionale è esistito sotto varie forme. La prima è stata quella che ha formalizzato la nascita di
un movimento internazionale autonomo, ispirato dalla Rivoluzione russa e dai bolscevichi, e dato
vita all’Internazionale comunista. In realtà la continuità formale maschera in questo una netta
evoluzione. Mentre in una prima fase essa era una organizzazione che si considerava sovraordinata
ai partiti nazionali, vero partito mondiale articolato in sezioni nazionali, via via ha ridotto il suo
ruolo ad apparato di collegamento fra l’URSS e i partiti comunisti e fra i partiti stessi. L’ultimo
Congresso si tenne nel 1935 (il VII, rimasto famoso perché identificato con la politica dei fronti
popolari), mentre l’Internazionale veniva sciolta per volontà di Stalin e con l’avallo dei dirigenti dei
partiti che si trovavano a Mosca, nel 1943, in piena guerra mondiale. Nel 1948 i sovietici e gli altri
partiti del blocco socialista, diedero vita al Cominform, al quale vennero chiamati inoltre a
partecipare i soli PC francese e italiano. La fondazione di questo organismo, che nasce con
aspirazioni più modeste del Comintern, era finalizzata a coordinare l’azione dei comunisti dopo la
spaccatura dell’unità antifascista e la formazione di due campi politico-ideologico-militari
contrapposti. Saranno soprattutto la rottura con la Iugoslavia di Tito e l’azione di mobilitazione
internazionale per la pace, a caratterizzare la fase più intensa della vita del Cominform. Periodo che
in verità dura dalla fondazione al 1950-51, oltre il quale l’Ufficio di informazione scivola in
secondo piano e sopravvive a sé stesso senza avere un peso particolare nella vicende del movimento
comunista internazionale.
La destalinizzazione avviata con molte contraddizioni da Krusciov apre una fase nuova nella
quale si strutturano due modalità di relazione dei PC a livello mondiale. Una sede è permanente ed
è la già citata rivista Problemi della Pace e del Socialismo, voluta dal dirigente sovietico (avversata
da Togliatti), che in parte eredita l’apparato del Cominform collocato a Bucarest e trasferito in
Cecoslovacchia. La scelta di quest’ultimo paese era probabilmente dovuta al fatto che erano lì
installate molte delle organizzazioni “frontiste” mondiali di ispirazione comunista, come il
Consiglio mondiale della pace. Saranno però le Conferenze mondiali dei partiti comunisti, senza
scadenza fissa, a costituire il punto di riferimento principale per mettere a fuoco le analisi generali
della fase politica e coordinare le strategie da applicare nelle varie aree geografiche. In tutto si sono
tenute solo tre Conferenze di questo tipo, nel 1957 e nel 1960 ancora con la presenza dei cinesi, nel
1969 con la rottura Cina-URSS già consumata.
Già la stessa conferenza del 1969 fu il prodotto di un parto travagliato in quanto alcuni
partiti comunisti, dotati di una certa influenza, non volevano che diventasse la sede per una
condanna del partito di Mao Zedong, analoga a quanto era avvenuto nei confronti della Iugoslavia
di Tito. Inoltre la spinta autonomista, accelerata dall’opposizione espressa nei confronti
dell’invasione della Cecoslovacchia e della soppressione della Primavera di Praga, soprattutto da
parte dei comunisti dell’Europa occidentale, era ormai abbastanza forte da far guardare con
diffidenza a incontri che dovevano servire a creare un’impressione di unità attorno all’URSS e al
blocco socialista.
Dopo il 1969 il tema della convocazione di una nuova conferenza venne regolarmente
agitato dai partiti più vicini all’URSS ma respinto con sempre maggiore vigore dalla corrente
autonomista. Per vent’anni si tennero solo conferenze a livello regionale: l’ultima in Europa nel
1975, che consacrò una sorta di compromesso tra eurocomunisti e filosovietici, con più regolarità in
America Latina e nel Medio oriente, dove i partiti avevano mantenuto una collocazione
internazionale più omogenea.
L’ultimo incontro internazionale di Partiti comunisti si è tenuto a Praga dal 12 al 15 aprile
1988. Non può però essere considerato alla stregua delle conferenze mondiali, in quanto
l’obbiettivo della riunione restava la discussione dell’attività di una rivista sempre più ininfluente
sul piano politico ed ideologico. In generale i partiti erano rappresentati da dirigenti non di primo
piano (soprattutto quelli contrari ad ogni forma di struttura mondiale). Mentre la conferenza del
1984 si era concentrata soprattutto sul tema dello scontro est-ovest che aveva portato ad una nuova
guerra fredda, e sottolineava l’importanza della partecipazione dei comunisti nella lotta per la pace,
ma in un quadro ancora tutto interno alla logica dei blocchi e quindi subalterno alla politica e agli
interessi dell’URSS, il 1988 vedeva i partiti comunisti confrontarsi allo sviluppo rapido e
inaspettato della perestrojka.
Nel 1984 il PCUS era rappresentato da Ponomariov, che per un lungo periodo aveva gestito
i rapporti con i Partiti comunisti a livello mondiale, e il suo intervento non si scostava dagli schemi
tradizionali della leadership sovietica ripetuti, praticamente inalterati, in tutta la fase brezneviana.
Ciò che si poteva rilevare era la sordina messa alla polemica nei confronti dei partiti non allineati
all’URSS. Quattro anni dopo faceva la sua comparsa, per la prima e ultima volta in un simile
consesso, il nuovo responsabile del PCUS per il dipartimento internazionale, Anatoli Dobrynin.
Era un diplomatico di mestiere con una conoscenza superiore alla media, tra la leadership sovietica,
del mondo capitalistico ed in particolare degli Stati uniti, quello che si presentava di fronte alle 93
delegazioni presenti.
Il suo discorso rompeva con le formule ormai logore e ripetitive usate dal suo predecessore e
cercava di marcare i punti caratterizzanti della politica gorbacioviana per quanto riguardava i
rapporti con i partiti comunisti e la definizioni dei possibili elementi comuni della loro politica.
Il rappresentante sovietico enucleava tre fattori principali nella situazione complessa e
contraddittoria del movimento comunista internazionale. Il primo riguardava i cambiamenti
importanti emersi nella situazione sociale mondiale, e soprattutto i fenomeni nuovi che si stavano
osservando nell’evoluzione del capitalismo, sistema rivelatosi ben più solido di quanto non si
pensasse. Questi cambiamenti determinavano una modifica della stessa base sulla quale si
appoggiava tradizionalmente il movimento comunista. Nei paesi in via di sviluppo i PC si erano
trovati nella necessità di lottare per lo sviluppo democratico progressista all’interno delle condizioni
poste del capitalismo.
Il secondo complesso di cause è legato al fatto che il socialismo non è ancora servito ai paesi
occidentali come esempio convincente di una profonda democratizzazione della società e di
soluzioni radicali e prioritarie dei problemi economici.
Il terzo gruppo di fatti che hanno esercitato una influenza negativa concerne le relazioni tra i
partiti fratelli. L’autonomia e l’indipendenza dei partiti hanno cessato di essere un problema,
nessuno e niente può impedire di affermarlo. Tuttavia il ritardo dei comunisti in materia di
cooperazione internazionale è particolarmente evidente se lo si compara a ciò che avviene in altre
correnti politiche. Questo ritardo deve essere superato e la cooperazione tra i PC approfondita.
Il movimento, sosteneva Dobrynin, ha tardato troppo a prendere coscienza delle realtà nuove
della fine del XX secolo. Occorre affrontare tutte le questioni teoriche nuove. Una di queste è il
rapporto tra gli interessi e i problemi universali da una parte e quelli di classe dall’altra. Non si può
contare su un successo della lotta di classe senza armarsi di parole d’ordine e di compiti di carattere
universale. Numerosi PC hanno da tempo tratto la conclusione che occorre assicurare una via
pacifica alle trasformazioni sociali nel contesto di una democratizzazione permanente. Altre
situazioni sono possibili nelle quali l’imperialismo e la destra possono provocare una reazione
giustificata, anche armata, delle forze rivoluzionarie. Come limitare un tale conflitto nell’ambito
nazionale e non lasciarlo degenerare a nuovo focolaio di tensione internazionale?
Occorre affrontare liberamente, senza timore di scontro di opinioni, l’esame dei problemi
generali e specifici del nostro movimento, elaborare una cultura della discussione che escluda tanto
l’ingerenza negli affari dei partiti che le offese reciproche. Una situazione nuova sta per crearsi in
seno al movimento operaio. Si vede apparire una atmosfera favorevole per promuovere un largo
dialogo, per sviluppare le relazioni tra le due principali correnti del movimento operaio: i comunisti
e i socialdemocratici. La rivista deve essere più democratica e più collettiva.
Questi concetti espressi da Dobrynin sembrano riportare ai tempi del Memoriale di Yalta
steso da Togliatti nel 1964, e da essi emerge tutto il ritardo con cui il PCUS ha affrontato il tema
del rinnovamento politico e ideologico proprio e del movimento comunista internazionale. La
direzione sovietica, con la crisi della perestrojka, in quanto processo di rinnovamento e riforma e
non smantellamento del sistema socialista, crisi che comincia ad evidenziarsi proprio in questo
periodo, modifica il proprio orientamento e riduce sempre più il proprio interesse verso il
movimento comunista internazionale e cercherà soprattutto di stabilire nuovi contatti con i partiti
socialdemocratici e con altre forze, non solo di sinistra, soprattutto in funzione della ricerca di un
sostegno alla direzione gorbacioviana. L’ampio rilievo, in generale con un approccio favorevole,
che trova Gorbaciov nei media occidentali, rende per la direzione sovietica sempre meno rilevante
quel ruolo di propagandisti delle tesi sovietiche che impegnavano soprattutto i piccoli partiti
comunisti con una influenza poco significativa nella vita sociale e politica nazionale.
L’atteggiamento dei partiti comunisti nei confronti della perestrojka tende in questo periodo
a differenziarsi. I partiti autonomisti la vedono con favore, come un processo positivo e
indispensabile di cambiamento secondo linee che rispondono almeno in parte alle critiche che
quegli stessi partiti erano venuti rivolgendo al socialismo sovietico. Una parte dei partiti
tradizionalmente filosovietici comincia a temere invece uno smantellamento di quel sistema, nella
prospettiva di una restaurazione capitalistica. Per un brevissimo periodo tra il 1988 e il 1989 sembra
potersi delineare a livello internazionale un’area di partiti critici nei confronti della politica
sovietica. Di quest’asse sembravano far parte la SED tedesco orientale, il PC cecoslovacco, e con
una posizione più defilata il PC cubano, con l’implicita adesione di altri partiti e gruppi. La caduta
dei regimi socialisti in Germania orientale e in Cecoslovacchia fece cadere la possibilità di una
effettiva costruzione di un asse ‘marxista-leninista’ all’interno del movimento internazionale.
La rivista Problemi della Pace e del Socialismo, tradizionale bastione dell’ortodossia, si
trova per un breve periodo a svolgere un ruolo opposto, dando voce ad un maggiore pluralismo sia
all’interno del movimento comunista che con altre forze di sinistra e democratiche. Anche voci
critiche trovano occasionale spazio tra le pagine della pubblicazione praghese. Nel numero del
luglio 1990 esce un breve avviso che annuncia la fine delle pubblicazioni dopo 32 anni di esistenza.
I cambiamenti del movimento comunista e operaio internazionale, le nuove condizioni nel mondo, i
processi rapidi e contraddittori che hanno avuto luogo nei Paesi dell’Europa orientale così come le
difficoltà di ordine materiale e tecnico hanno reso impossibile la prosecuzione delle pubblicazioni
della rivista. Il fatto che il PCUS decidesse di abbandonare la rivista era un ulteriore segnale che
con la scomparsa del blocco socialista in Europa, la direzione sovietica considerava ormai superata
la stessa sopravvivenza del movimento comunista internazionale. Del resto la crisi ormai
catastrofica dell’Unione sovietica poneva ben altri problemi all’ordine del giorno.
BOX

I partiti presenti alla conferenza di Praga del 1988 (i partiti sottolineati facevano parte del Consiglio
di redazione della rivista). Si segnalano i cambiamenti di nome intervenuti successivamente.

Partito Popolare Democratico dell’Afganistan (si è trasformato in Partito Watan prima della caduta
del Paese in mano agli islamici, risulta tuttora esistente)
Partito dell’Avanguardia Socialista dell’Algeria (ha cambiato nome in Movimento Et-Tahadi, La
sfida)
MPLA-Partito del Lavoro, Angola
PC dell’Arabia Saudita
PC d’Argentina
Partito Socialista d’Australia (ha cambiato nome in Partito comunista d’Australia)
PC d’Austria
Fronte di Liberazione Nazionale del Bahrein
PC del Bangladesh
PC del Belgio
Partito della Rivoluzione Popolare del Benin (dissolto)
Partito Socialista Unificato di Berlino Ovest (dissolto)
PC della Bolivia
PC Brasiliano (si è trasformato in Partito popolare socialista)
PC Bulgaro (ha cambiato nome in Partito socialista bulgaro)
PC del Canada
PC della Cecoslovacchia (nella Rep. Ceca è diventato PC Boemo-Moravo, nella parte slovacca
Partito Democratico della sinistra)
Partito Progressista del Popolo Lavoratore (AKEL)
PC del Cile
PC Colombiano
Partito del Lavoro Congolese
Partito del Lavoro di Corea
Fronte Democratico Nazionale della Corea del Sud
Partito d’Avanguardia Popolare di Costarica
PC di Cuba
PC della Danimarca
PC Dominicano (si è unificato con altri gruppi marxisti per dar vita a Forza Rivoluzionaria)
PC dell’Ecuador
PC Egiziano
Partito del Lavoro di Etiopia (dissolto con la caduta di Menghistu)
PC Filippino
PC di Finlandia (si è trasformato in Alleanza di Sinistra)
PC Francese
PC Tedesco
Partito Socialista Unificato di Germania (si è trasformato in Partito del socialismo democratico)
Partito Operaio della Giamaica (si è sciolto nel 1990)
PC del Giappone
PC Giordano
PC della Gran Bretagna (si è trasformato in Sinistra democratica)
PC di Grecia
PC di Guadalupe
Partito del Lavoro Guatemalteco (si è unificato con le altre organizzazioni guerrigliere nell’Unione
nazionale rivoluzionaria guatemalteca)
Partito Popolare Progressista della Guyana
Partito Africano dell’Indipendenza di Guinea e CapoVerde
Partito Unificato dei Comunisti di Haiti
PC dell’Honduras
PC Indiano
Partito Tudeh dell’Iran
PC Iracheno
PC d’Irlanda
PC d’Israele
Partito Rivoluzionario Popolare di Kampuchea (ha cambiato nome in Partito popolare di
Kampuchea)
Partito Rivoluzionario Popolare del Laos
PC del Lesotho
PC Libanese
PC del Lussemburgo
Partito del Congresso dell’Indipendenza del Madagascar
PC di Malta
Partito del Progresso e del Socialismo del Marocco
Partito Socialista Messicano (si è unificato con altre forze per dar vita al Partito rivoluzionario
democratico)
Partito Popolare Rivoluzionario Mongolo
Partito del FRELIMO, Mozambico
PC del Nepal
PC di Norvegia
Partito dell’Unità Socialista di Nuova Zelanda
PC Palestinese (ha cambiato nome in Partito del popolo palestinese)
Partito Popolare di Panama
PC Paraguaiano
PC Peruviano
Partito Operaio Unificato Polacco (si è trasformato in Socialdemocrazia della Repubblica di
Polonia)
PC Portoghese
PC Romeno (si è dissolto con la caduta del regime di Ceausescu)
PC del Salvador (si è unificato con le altre organizzazioni guerrigliere per trasformare il Fronte
Martì di Liberazione Nazionale in partito politico)
Partito dell’Indipendenza e del Lavoro, Senegal
PC Siriano (si è scisso in PC Siriano e PC di Siria)
PC Spagnolo
PC Sudafricano
PC Sudanese
Partito di Sinistra-Comunista, Svezia (ha tolto dal nome la parola comunista)
Partito del Lavoro Svizzero
PC Tunisino (ha cambiato nome diventando Et Tajdid, Rinnovamento)
PC della Turchia (si è unito ad altri per dar vita al Partito socialista unificato poi confluito nel
Partito della libertà e solidarietà)
Partito Socialista Operaio Ungherese (si è trasformato in Partito socialista ungherese)
PC dell’Unione Sovietica (si è dissolto dando spazio a molte organizzazioni diverse)
PC dell’Uruguay
PC degli USA
PC del Venezuela
PC del Vietnam
Partito Socialista Yemenita
Unione Nazionale Africana dello Zimbabwe

altri due partiti hanno chiesto di restare anonimi

Due partiti facenti parte del Collegio redazionale non risultano presenti alla riunione.
PC Indonesiano
PC di Sri Lanka

Fonte: Nouvelle Revue Internationale


Con la chiusura della rivista di Praga l’ultimo filo organizzativo che teneva in vita
l’apparenza di un movimento comunista internazionale viene a mancare. Fra il 1989 e il 1991 tutti i
partiti di ispirazione comunista devono fare i conti con le implicazioni degli avvenimenti dell’est
dovendo affrontare una doppia offensiva, quella delle forze liberiste che nel crollo del blocco
socialista vedono possibile il definitivo trionfo di un capitalismo senza freni, e quella delle forze
socialdemocratiche che proclamano la definitiva vittoria della corrente secondinternazionalista su
quella emersa dall’impulso della rivoluzione d’Ottobre.
Quasi tutti i partiti comunisti entrano in un periodo di turbolenza, nel quale emergono forze
tese ad abbandonare ogni riferimento o anche ogni ricerca attorno ad una identità comunista. Parte
di queste riprendono temi e analisi della socialdemocrazia e considerano ormai prioritario il ritorno
alla “casa comune”, e di conseguenza guardano principalmente alla Internazionale socialista. Altre
forze si muovono alla ricerca di una nuova strategia anticapitalista, rimettendo in discussioni molti
elementi del “paradigma marxista-leninista” cercando di aprirsi ad altre culture radicali
(ambientalismo, femminismo, ecc.) o recuperando elementi teorici e politici del socialismo marxista
rimasto politicamente ai margini delle due correnti maggiori del socialismo internazionale, ma
anche per questo ricco di fermenti originali e di idee non logorate.
La presenza internazionale per molti partiti passa in questa fase in secondo piano, dovendo
affrontare crisi interne, ripensamenti, e soprattutto venendo a mancare quel quadro tradizionale che
faceva riferimento all’URSS e al blocco socialista.
A partire del 1992 vengono ripresi i contatti internazionali, fioriscono incontro, colloqui e
seminari fra forze provenienti dal movimento comunista internazionale con altre che invece ne
erano esterne o ai margini. In queste attività si possono verificare diverse modalità di azione
collettiva: 1) la dichiarazione comune, stilata generalmente a seguito di un incontro di delegazioni
di partiti; 2) il seminario politico-teorico nel quale vengono scambiate le opinioni dei partiti
presenti ma senza che venga approvato un documento comune. Un primo tentativo di repertoriare
alcuni di questi momenti di incontro e di verificare le principali tesi che in essi si riscontrano deve
quindi tenere presente queste due diverse modalità

Dichiarazioni collettive

La Lettera aperta alle forze rivoluzionarie d’America latina e dei Caraibi

I segretari di 5 partiti comunisti dell’America Latina pubblicano nel marzo 1990 un documento
collettivo, sotto forma di “lettera aperta alle forze rivoluzionarie”, nel quale tracciano un bilancio
della crisi dell’URSS e della scomparsa del blocco socialista, delle ricadute che queste vicende
hanno sulla sinistra internazionale ed in particolare l’America latina, e le prospettive nella lotta per
il socialismo. Questa presa di posizione collettiva rappresenta un fatto piuttosto straordinario nel
momento in cui i PC attivi all’interno del movimento comunista internazionale tendono a reagire in
modo disperso e contrastante a quanto sta accadendo nell’ex “socialismo reale”.
I firmatari (Humberto Vargas Carbonell di Costa Rica, Rigoberto Padilla Rush
dell’Honduras, Narciso Isa Conde di S. Domingo, Jorge Schafik Handal del Salvador, Patricio
Etchegaray dell’Argentina) esprimono contemporaneamente il proprio sostegno al processo di
democratizzazione in atto in URSS ma anche forti preoccupazioni per alcuni aspetti di questa
politica sul piano internazionale, e per il pericolo che essa contribuisca al rafforzamento
dell’imperialismo nordamericano e alla demoralizzazione della sinistra rivoluzionaria.
L’URSS è sul bordo della stagnazione economica e della crisi. Le riforme della perestrojka
sono nate dal bisogno di far fronte a questa crisi e di rinnovare il socialismo. Dopo essere state
limitate in un primo tempo all’accelerazione economica e allo sviluppo intensivo, esse si sono
orientate sul terreno della democratizzazione politica e della trasparenza dell’informazione. Questa
svolta necessaria provoca dei nuovi problemi imprevisti e mette in evidenza delle grandi debolezze
ideologiche, in assenza di una strategia coerente di rinnovamento socialista e di una forza capace di
condurlo a buon termine. I 5 veterani del movimento comunista latinoamericano esprimono il
proprio rallegramento perché le aspirazioni al cambiamento, alla democrazia e
all’autodeterminazione si rafforzano nei paesi dell’Est, i cui modelli burocratici sono in crisi e in
agonia.
Ciò che invece non viene accettato è che anche da parte di settori della dirigenza sovietica si
pretenda che l’imperialismo non esista più e che esso possa diventare un alleato nel quadro di una
convergenza tra sistemi. Non crediamo, scrivono, al disarmo unilaterale del socialismo e delle forze
rivoluzionarie. L’indebolimento dell’internazionalismo in URSS rafforza lo sciovinismo
controrivoluzionario che minaccia l’unità di questo paese.
In conclusione l’impatto degli avvenimenti in Europa dell’est e in America latina (come la
sconfitta elettorale dei sandinisti in Nicaragua) è stata contraddittoria per le forze rivoluzionarie e
progressiste: ha portato a volte alla demoralizzazione e ha stimolato l’avvento di idee estranee alla
realtà latinoamericana, in altri settori ha rafforzato le profonde convinzioni rivoluzionarie
antimperialiste e socialiste. I firmatari della lettera aperta si collocano fra questi ultimi. Invitano
inoltre all’unione delle forze su tutti i fronti per rilanciare l’ideale rivoluzionario, per superare il
dogmatismo e affrontare le deviazioni di destra e le esitazioni, per combattere i nemici con forza,
per rettificare e innovare in modo rivoluzionario, per rafforzare l’antimperialismo, e dare un senso
popolare alla lotta per la democrazia, per avanzare verso delle rivoluzioni democratiche e
patriottiche e sviluppare delle lotte concrete che rafforzino il morale e il potenziale delle forze di
liberazione nella periferia e nel centro del sistema capitalista mondiale.

La dichiarazione di Pyongyang

Il 20 aprile 1992, in occasione dell’ottantesimo compleanno di Kim Il-sung, Presidente della


Repubblica popolare di Corea, e segretario generale del Partito del lavoro si riuniscono a
Pyongyang i rappresentanti di partiti comunisti, operai e progressisti di tutto il mondo.
Dall’incontro, che non assume però le caratteristiche di una vera e propria conferenza, scaturisce
una Dichiarazione collettiva “a difesa del socialismo”. Si tratta del primo tentativo di esprimere una
posizione comune di fronte agli avvenimenti dell’est Europa, culminati alla fine del 1991 con la
dissoluzione dell’Unione Sovietica, da parte di forze di ispirazione comunista.
Non è un testo di analisi e di proposta politica organico come quelli prodotti dalle
conferenze internazionali degli anni ’60. L’obbiettivo è molto più limitato, quello di dare un
segnale della presenza sulla scena mondiale di forze che continuano a battersi per il socialismo,
anche dopo il crollo del blocco socialista in Europa. Provenendo l’iniziativa dai comunisti
nordcoreani, è sotteso anche un obbiettivo specifico alla leadership di questo Paese, che, impegnata
in una delle ultime frontiere di conflitto fra i blocchi, teme di restare completamente isolata.
Il partito coreano all’inizio del conflitto cino-sovietico, si schierò con Pechino, in funzione
anti-revisionista, ma cercò comunque di mantenere una propria indipendenza, e, a differenza
dell’Albania, non diventò parte organica della corrente maoista. I coreani non seguirono la
direzione cinese sulla strada radicale della rivoluzione culturale, preferendo perseguire la strada di
un nazional-stalinismo. Simili per un verso agli albanesi, a differenza del partito di Henver Hoxha
non si proposero mai di diventare il partito-guida di una specifica corrente del movimento
comunista. Ripresero i contatti con l’Unione Sovietica e cercarono di non inasprire il conflitto con
nessuna delle componenti del movimento internazionale. In questo pesarono certamente le esigenze
geopolitiche e la necessità di mantenere relazioni economiche e militari. Il loro isolamento li
avrebbe esposti all’iniziativa anche militare degli Stati uniti, massicciamente presenti nella parte
meridionale del Paese, e della stessa Corea del Sud.
Kim Il-sung ha elaborato una specifica versione del marxismo-leninismo, il cosiddetto
Juche, teorizzazione piuttosto vaga nel quale veniva esaltato sia il contare sulle proprie forze (in
senso nazionale) sia il ruolo preminente e diretto del leader del partito e del paese nei confronti
delle masse. Un paese gestito in modo sempre più autoritario, per di più entrato agli inizi degli anni
’90 in una crisi economica gravissima (anche per effetto di disastri naturali), non sembra offrire una
possibilità reale di diventare il punto di riferimento per le forze comuniste e socialiste indebolite
dalla scomparsa del blocco socialista. Il partito coreano è molto più vicino a quelle tendenze che
vedono nella destalinizzazione kruscioviana l’inizio della crisi e della degenerazione del socialismo
in URSS, piuttosto che a coloro che aspirano a un rinnovamento politico e ideologico della sinistra
anticapitalista. Nonostante ciò, i comunisti coreani sono riusciti a stabilire collegamenti con un gran
numero di forze politiche diverse, in parte per solidarietà antimperialista, e in parte per il sostegno
concreto, spesso di carattere militare, che nel corso degli anni hanno fornito a movimenti di
liberazione, stati del terzo mondo, guerriglie. Questo elemento spiega anche l’insolita ampiezza di
adesioni che la Dichiarazione di Pyongyang ha potuto ricevere. L’ultima lista nota, che risale al
1993, conta 193 partiti e movimenti, ma informazioni successive portano ad oltre 200 il numero di
forze che l’hanno sottoscritta.
Trattandosi di un testo breve vale la pena di riportarlo integralmente:
“I delegati dei partiti politici di diversi paesi del mondo in lotta per la vittoria del
socialismo, animati dalla ferma volontà di difendere e far progredire la causa del socialismo,
pubblicano la seguente dichiarazione:
La nostra è l’epoca dell’indipendenza e la causa del socialismo è sacra per l’emancipazione
delle masse popolari.
Basandosi sulle sconfitte subite dal socialismo negli ultimi anni in diversi paesi, gli
imperialisti e i reazionari parlano di “fine” dell’esperienza socialista. Ma questo è un sofisma che
serve in realtà ad abbellire il capitalismo e a sostenere l’ordine antico.
Il rovesciamento del socialismo e la restaurazione del capitalismo in certi paesi
costituiscono una perdita enorme per la causa socialista, ma non smentiscono né la superiorità del
socialismo né il carattere reazionario del capitalismo.
Il socialismo è un ideale che l’umanità ha sognato per molto tempo e ne rappresenta il
futuro.
Il socialismo per sua essenza è una società veramente popolare, in cui le masse popolari
sono padrone in ogni campo e ogni cosa è al loro servizio.
La società capitalista invece, caratterizzata com’è dall’onnipotenza del denaro, è un sistema
iniquo in cui domina una minoranza di sfruttatori e “i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri
sempre più poveri”. Inevitabilmente una tale società si accompagna alla privazione dei diritti, alla
disoccupazione, alla miseria, a ogni sorta di mali sociali che violano la dignità dell’uomo.
Solo il socialismo permette di eliminare ogni sorta di dominazione, di asservimento, di
ineguaglianza sociale e di assicurare veramente ai popoli la libertà, la democrazia autentica e i
diritti dell’uomo.
Le masse popolari hanno lottato per molto tempo e duramente per costruire la società
socialista e hanno dovuto versare molto sangue per questa causa.
Il fallimento del socialismo in alcuni paesi deriva dal fatto che non sono riusciti a costruire
la società modellandola sulle esigenze fondamentali del socialismo sulla base della teoria scientifica
socialista.
Quando le masse popolari sono veramente padrone della società, questa progredisce
vittoriosamente, come dimostrano tanto la teoria che la pratica.
I partiti impegnati a costruire il socialismo e l’umanità progressista ne hanno tratto una
lezione preziosa.
Per difendere la causa del socialismo e farla progredire bisogna che ogni partito mantenga
con fermezza la propria autonomia e sviluppi le proprie forze.
Il movimento socialista è un movimento autonomo. Il socialismo si disegna e si costruisce
nel quadro di ogni paese e di ogni stato nazionale, sotto la responsabilità esclusiva del partito e del
popolo di ogni paese.
Ogni partito deve stabilire la propria linea politica in base alla realtà del proprio paese e alle
esigenze del proprio popolo e deve attuarla facendo affidamento sulle masse popolari.
I partiti non devono mai abbandonare i principi rivoluzionari, quali che siano le difficoltà e
le circostanze, ma devono sempre tenere alta la bandiera del socialismo.
La causa del socialismo è la causa di ogni nazione ma è anche, al tempo stesso, la causa
comune di tutta l’umanità.
Tutti i partiti sono chiamati perciò a stringere i rapporti di unità, cooperazione e solidarietà
tra compagni basandosi sui principi dell’autonomia e dell’uguaglianza.
L’unità internazionale è una necessità urgente nella lotta per il socialismo. In una fase in cui
a livello internazionale gli imperialisti e i traditori del socialismo si coalizzano contro il socialismo
e contro i popoli, bisogna che i partiti che stanno edificando il socialismo e quelli che ad esso
aspirano difendano e facciano avanzare il socialismo su scala internazionale e si aiutino
reciprocamente nella lotta contro il dominio imperialista, l’asservimento capitalista e il
neocolonialismo, per la giustizia sociale, la democrazia, il diritto alla vita e alla pace.
Questo è un dovere internazionalista che si impone a tutti i partiti e a tutte le forze
progressiste che aspirano al socialismo, ma è anche un impegno necessario alla causa di ciascuno.
Noi avanzeremo tenendo alta la bandiera del socialismo, in stretta unione con tutti i partiti,
le organizzazioni e i popoli del mondo che lottano per la difesa del socialismo e contro il
capitalismo e l’imperialismo.
Forti di una convinzione incrollabile, lottiamo uniti fino alla fine per aprire la strada al
futuro dell’umanità.
La vittoria finale spetterà ai popoli che lottano uniti per il socialismo.
La causa del socialismo è invincibile.”
Questo appello per quanto abbastanza generico nelle sue formulazioni non ha ottenuto
l’adesione di partiti comunisti che erano presenti alla celebrazione di Pyongyang. Si può ritenere,
sebbene non risultino essere state espresse pubblicamente, che vi siano due diversi ordini di motivi
ad aver spinto molti partiti comunisti a non firmarla: nel merito, la mancanza di specifici riferimenti
ai limiti delle esperienze socialiste, soprattutto sul terreno della democrazia, nel metodo, il timore
che esso potesse diventare la base per creare un nuovo centro dirigente internazionale del
comunismo a Pyongyang.
Fra le forze politiche che hanno immediatamente sottoscritto la dichiarazione si possono
segnalare un certo numero di partiti significativi nel terzo mondo, come l’MPLA angolano, i due
PC indiani, il PC e il Partito Socialista cileni, il PC Unificato Marxista-Leninista del Nepal, il
Partito socialista della rinascita araba, la SWAPO namibiana, il PC sudafricano. Mancano invece
tutti i partiti ancora al potere (cinesi, cubani, vietnamiti, laotiani), e i maggiori PC europei. Dalla
lista più completa finora disponibile emerge una grande pluralità di soggetti politici. Accanto ai PC
tradizionali si trovano le nuove forze comuniste dell’Est Europa, partiti maoisti o sostenitori del
Partito del lavoro albanese, movimenti guerriglieri ed anche alcuni partiti aderenti
all’Internazionale Socialista. L’obbiettivo di raccogliere il più grande numero di adesioni fa
accantonare la ricerca dell’omogeneità ideologica e politica dei partiti firmatari.
Nel giugno 1993 il Partito del lavoro coreano inviava ai partiti firmatari una lettera nella
quale si metteva in evidenza l’impatto positivo che avrebbe avuto la Dichiarazione sull’insieme del
movimento comunista e antimperialista Essa ha rappresentato “un duro colpo inferto agli
imperialisti e ai reazionari che disprezzano gli ideali del socialismo, e ha fornito la prova evidente
che la sua missione storica di rimettere in piedi e rivitalizzare il movimento socialista mondiale sta
dando buoni frutti”. Nelle manifestazioni organizzate dai partiti comunisti e operai e dagli altri
partiti progressisti in occasione del primo anniversario della Dichiarazione di Pyongyang, così
come nei contatti bilaterali e multilaterali e negli incontri regionali e internazionali, i partecipanti
hanno sottolineato che la Dichiarazione di Pyongyang costituisce “un fatto storico, che ha aperto
una nuova fase nello sviluppo del movimento comunista internazionale”. A conferma di tale
valutazione nella lettera vengono citate una serie di iniziative: un seminario per la difesa del
socialismo in Belgio con più di 50 partiti, un seminario sulle esperienze di edificazione del partito
in Ecuador con 15 partiti dell’America Latina, un seminario sulla situazione attuale e i compiti dei
partiti politici in Benin con 15 partiti, un seminario dei PC dell’Europa orientale sull’edificazione
del partito in Slovacchia con 6 partiti.
Non è facile fare un valutazione oggettiva sulla reale diffusione e il peso che i vari partiti
firmatari assegnano alla Dichiarazione firmata nella capitale nordcoreana, ma non sembra che le
forze politiche più significative abbiano attribuito ad essa quel rilievo storico che viene invece
asserito dal Partito del lavoro coreano. D’altra parte non si può nemmeno sostenere che da essa sia
realmente venuto un impulso alla riorganizzazione del movimento comunista internazionale, e se
effettivamente dal 1992 in poi si è determinata una ripresa di contatti bilaterali e di incontri
multilaterali fra partiti comunisti, ciò è in gran parte frutto del superamento della fase di maggior
difficoltà seguita la crollo dei regimi dell’est Europa. Infine per la caratteristiche proprie del partito
nordcoreano non sembra proprio che esso sia in grado dal punto di vista ideologico come dal punto
di vista del sostegno materiale di dare un impulso significativo ad una ripresa del movimento
comunista sul piano internazionale. L’unico tentativo di riorganizzazione che si possa fondare su
una filiazione diretta con il comunismo nordcoreano è quello messo in campo dal Partito del lavoro
Belga di Ludo Martens, attraverso i seminari annuali di Bruxelles (vedi oltre il capitolo sui centri
dell’estrema sinistra). Tentativo che per ora sembra molto lontano dal riuscire a coinvolgere forze
significative del movimento comunista e di uscire dalla marginalità politica.
BOX

I partiti firmatari della Dichiarazione di Pyongyang (al settembre 1993)

Europa

PC d’Albania
Partito socialista del lavoro d’Albania

Partito del Lavoro del Belgio


Movimento comunista del Belgio

Partito dei comunisti di Bielorussia

PC di Bulgaria
PC di Bulgaria (marxista)

Partito progressista del popolo lavoratore, AKEL, Cipro

Partito del Lavoro Causa Comune, Faelles Kurs, Danimarca


PC in Danimarca
PC di Danimarca (m-l)

PC dei Lavoratori - per la pace e il socialismo - di Finlandia

PC Tedesco, DKP
PC della Germania, KPD

PC Britannico
Nuovo PC Britannico
Organizzazione comunista d’Inghilterra

PC Irlandese
Partito dei lavoratori d’Irlanda

Movimento per la Pace e il Socialismo, Italia

Lega dei Comunisti - Movimento per la Iugoslavia


Nuovo movimento comunista jugoslavo
PC della Yugoslavia

PC di Malta

PC norvegese

Unione dei comunisti polacchi (proletariato)

Nuovo partito socialista rumeno


Partito socialista dei lavoratori di Romania
PC bolscevico di tutta l’Unione, ex URSS
PC Operaio russo
Partito socialista del popolo lavoratore di Russia
Unione dei comunisti della Russia
Partito dei comunisti russi
PC della Federazione russa

PC dei popoli di Spagna


Partito comunista operaio di Spagna, PCOE

Partito operaio comunista di Svezia


PC marxista-leninista di Svezia, KPMLr
Associazione dei comunisti di Svezia

PC della Slovacchia

Partito del lavoro della Svizzera

Partito socialista dell’Ucraina

Partito operaio ungherese

Partito del lavoro di Turchia

Medio oriente

Partito socialista della rinascita araba, Baath

PC dell’Arabia Saudita

PC di Giordania
Partito democratico del popolo di Giordania
Partito di unità popolare democratica della Giordania
Partito arabo progressista Baath, Giordania
Movimento dell’avanguardia nazionale democratica, Giordania
Fronte di azione nazionale, Giordania
Movimento di liberazione dei popoli arabi, Giordania
Partito socialista arabo Baath, organizzazione unita, Giordania
Partito arabo democratico di Giordania
Partito rivoluzionario del popolo giordano
Partito progressista democratico di Giordania

Partito socialista nazionalista siriano in Libano


Partito socialista progressista del Libano
Comitato regionale libanese del Partito arabo socialista Baath

Partito progressista socialista del Marocco

PC della Siria
Fronte popolare per la liberazione della Palestina
Fronte democratico per la liberazione della Palestina

Partito di unità popolare di Tunisia

Africa

Movimento popolare di liberazione dell’Angola

Partito della rivoluzione del Benin


Partito nazionale del lavoro del Benin

Partito rivoluzionario della gioventù democratica del Burkina


Partito socialista del Burkina

PC del Congo
Partito socialista del Congo
Movimento socialista africano, Congo
Movimento congolese per la costruzione della nuova società

Avanguardia rivoluzionaria del Madagascar


Partito del congresso per l’indipendenza del Madagascar
Organizzazione socialista Monima del Madagascar

PC di Mauritius

Organizzazione del popolo dell’Africa di sud - ovest, SWAPO, Namibia

Partito africano indipendente, Senegal

PC sudafricano

Partito del lavoro dello Zaire


Movimento nazionale congolese fondato da Lumumba, Zaire
Movimento nazionale congolese Lumumba, Zaire
Movimento nazionale dei veri lumumbisti combattenti dello Zaire

Asia

Organizzazione rivoluzionaria dei lavoratori dell’Afganistan


Organizzazione dei lavoratori dell’Afganistan

Partito comunista d’Australia


Associazione per l’unità comunista dell’Australia

Partito operaio del Bangladesh


Partito socialista nazionale del Bangladesh
Lega popolare del Bangladesh
PC del Bangladesh (marxista-leninista)
Partito socialista del Bangladesh
Partito socialista degli operai e contadini del Bangladesh

Partito del lavoro di Corea

Fronte nazionale democratico delle Filippine

Partito socialista del Kazakhstan

PC indiano (marxista)
PC indiano
Partito socialista rivoluzionario dell’India
Partito popolare indiano
Blocco progressista panindiano

PC del Nepal (marxista-leninista)


PC del Nepal (centro unificato)
Partito operaio e contadino del Nepal
Lega comunista del Nepal

Partito popolare del Pakistan


Partito socialista del Pakistan
Partito popolare democratico del Pakistan

PC dello Sri Lanka

Nord e centro America

Partito dell’avanguardia nazionale e socialista delle Bahamas

Partito del lavoro di Barbados


Partito di pressione popolare di Barbados

Partito laburista progressista delle Bermuda

PC del Canada

Movimento nazionale dei Caraibi

Partito popolare del Costarica


Partito di avanguardia popolare di Costarica

Forza di resistenza per la liberazione popolare di Dominica


Partito laburista del commonwealth di Dominica

PC dominicano
Movimento sinistra unita (Rep. dominicana)
Partito dei lavoratori dominicani
Partito del lavoro dominicano
PC dominicano (marxista-leninista)
PC dei lavoratori di S. Domingo
Unità rivoluzionaria Caamanista, Rep. dominicana

Movimento patriottico Maurice Bishop di Grenada

Unità nazionale rivoluzionaria guatemalteca

Partito per la trasformazione dell’Honduras


Movimento di unità popolare rivoluzionaria dell’Honduras

PC di Martinica

Partito popolare socialista del Messico


Partito del lavoro del Messico

Fronte sandinista di liberazione nazionale del Nicaragua

Partito socialista di Portorico

Fronte Farabundo Marti di liberazione nazionale del Salvador, FMLN


Partito rivoluzionario dei lavoratori centroamericani del Salvador

Partito laburista di St. Kitts-Nevis

Movimento 18 febbraio di Trinidad e Tobago

PC degli Stati Uniti


Partito operaio socialista, SWP, USA
Partito operaio internazionale, WWP, USA

Sud America

PC argentino
Partito popolare intransigente d’Argentina
Partito operaio rivoluzionario d’Argentina
Movimento di base dell’Argentina
Partito rivoluzionario per l’indipendenza e il socialismo dell’Argentina
PC boliviano
Movimento Bolivia libera

PC del Brasile
Movimento rivoluzionario ‘8 ottobre’ del Brasile
PC brasiliano

PC cileno
Partito socialista cileno
Movimento della sinistra rivoluzionaria, MIR, Cile
Movimento di azione popolare unita di operai e contadini, Cile
PC colombiano
Partito rivoluzionario dei lavoratori della Colombia

PC dell’Ecuador
Movimento popolare democratico, Ecuador
Partito socialista dell’Ecuador
Fronte ampio democratico di sinistra dell’Ecuador

Partito laburista di Guyana


Partito forza unita di Guyana
Movimento democratico popolare di Guyana
Movimento di azione amerindia di Guyana
Movimento nazionale per la vera indipendenza della Guyana
Partito unificato del lavoro di Guyana

PC paraguaiano

Partito nazionale democratico del Suriname

PC peruviano
Partito rivoluzionario socialista del Perù
PC del Perù, Patria Rossa
Unione rivoluzionaria della sinistra del Perù, UNIR
Partito d’azione politica socialista del Perù
Fronte popolare di operai, contadini, studenti del Perù
Fronte di liberazione nazionale del Perù
Partito rivoluzionari mariateguista del Perù
Partito socialista del Perù

PC uruguayano
Frente amplio, Uruguay
Movimento 26 marzo dell’Uruguay
Partito rivoluzionario dei lavoratori dell’Uruguay
Movimento rivoluzionario orientale dell’Uruguay

PC del Venezuela
Nuova alternativa del Venezuela
Movimento elettorale del popolo, Venezuela

Fonte: Agenzia di Informazione


La Conferenza dei PC d’America (Città del Messico)

Dal 10 al 12 marzo del 1994 si sono riuniti a Città del Messico i partiti comunisti e operai del
continente americano con all’ordine del giorni due temi: la lotta ideologica nella situazione attuale e
i popoli delle Americhe del secolo XXI. Il documento finale approvato dai partecipanti è stato
pubblicato in Italia dall’Agenzia di informazione dell’MPS, purtroppo senza nessuna ulteriore
indicazione sui partiti presenti ne sul dibattito che lì si è svolto.
Da alcuni elementi si può ritenere che il promotore dell’incontro sia il Partito popolare
socialista, una forza politica che non era riconosciuta come parte del movimento comunista
mondiale, pur dichiarandosi marxista-leninista e vicina in politica estera all’Unione Sovietica. Il
Partito comunista messicano, da parte sua, aveva partecipato con altre forze politiche marxiste
messicane prima alla formazione del Partito socialista unificato e poi del Partito socialista, il quale
ha deciso di sostenere elettoralmente la candidatura di Cardenas nelle elezioni presidenziali del
1989 e successivamente di partecipare alla formazione del nuovo Partito rivoluzionario democratico
che raccoglie ormai gran parte dell’opposizione politica di sinistra. Il Partito popolare socialista è la
più recente incarnazione di un corrente politica con tratti specificamente nazionali, creata da
Vicente Lombardo Toledano, che è stato per molti anni e fino alla sua scomparsa uno dei maggiori
leader sindacali del suo Paese. Il suo partito a differenza del PC si è sempre riconosciuto
nell’ideologia nazionalista della rivoluzione messicana di cui voleva rappresentare l’ala sinistra. Fu
di fatto per molti anni, quando i comunisti erano spesso perseguitati, uno dei partiti utilizzati dal
PRI per mantenere una parvenza di pluralismo politico ed e elettorale.
Con la crisi del Partito-Stato e la faticosa evoluzione politica in senso democratico del
Messico (fino alla recente significativa vittoria del PRD nelle municipali di Città del Messico), il
PPS ha perso la sua utilità per il regime, e oggi si trova sostanzialmente ai margini della vita
politica. Alle ultime elezioni del 1997 ha ottenuto meno dell’1%. Ha però sviluppato le proprie
attività internazionali grazie anche al fatto che per alcuni partiti ha sostituito il vecchio PC
messicano come partito fratello. Il PPS ha partecipato ad esempio al seminario di Calcutta
organizzato dal PC marxista indiano. L’iniziativa di convocare una conferenza di partiti a Città del
Messico era stata preannunciata proprio in quella sede dal delegato del PPS. Che sia proprio questo
partito ad aver promosso l’incontro lo si deduce dal fatto che nel documento finale viene esaltata la
figura di Lombardo Toledano a fianco di quella del peruviano Marategui.
Nella dichiarazione conclusiva viene riaffermato il valore del socialismo scientifico e del
marxismo-leninismo. Due paragrafi sono dedicati alle vicende dell’est Europa. In essi si scrive che
la disintegrazione dell’URSS non è stata determinata dalla teoria marxista ma dal fatto che essa è
stata adulterata e sclerotizzata ed è rimasta inapplicata in aspetti basilari. Non è l’ideale socialista
che è fallito, ma le insufficienze, le deformazioni e gli errori commessi nella transizione
rivoluzionaria per raggiungere questi ideali. E’ stato il fallimento dell’autoritarismo, della
burocratizzazione, della mancanza di democrazia operaia e popolare, dei limiti del processo di
socializzazione della proprietà, dell’economia e del potere politico; tutti processi che hanno dovuto
fare i conti, peraltro, con un’intensa, continua, onerosa aggressione da parte dell’imperialismo.
La sconfitta di quei modelli di transizione al socialismo non consente assolutamente di
negare i processi di sviluppo, le enormi conquiste economiche, sociali, scientifiche e culturali
realizzate in quegli anni nell’URSS e negli altri paesi dell’Europa orientale. Il valore storico di quel
tentativo, di quell’esperienza di ricerca della giustizia e dell’emancipazione sociale non potrà essere
negata.
Per quanto riguarda la situazione dell’America Latina il documento sottolinea che sono
falliti tutti i modelli, i piani e i governi al servizio del capitalismo dipendente. Per quanto riguarda
le forze di sinistra si rileva con una nota di ottimismo, che dalla fase caratterizzata dalla depressione
e dal trauma ideologico e politico provocato dal crollo del socialismo reale in Europa e da altre
pesanti sconfitte, si é passati ad un periodo di rinnovamento del pensiero e dell’azione
rivoluzionaria, democratica, antimperialista e socialista.
La dichiarazione che contiene formulazioni piuttosto generali e non entra nel merito delle
questioni aperte, né per quanto riguarda l’analisi né per quanto riguarda la proposta politica, esorta
le altre forze democratiche a realizzare l’unità nella diversità e a dare impulso alla formazione di
ampi movimenti politici e sociali capaci di unificare e mettere in movimento l’iniziativa popolare
contro le devastanti politiche neoliberali e per il recupero della sovranità, per l’ampliamento dei
diritti democratici, per le rivendicazioni che garantiscono il diritto ad una vita dignitosa. Al di là di
alcune formule rituali il documento approvato ha un carattere ‘centrista’, e sembra essere la base
comune fra partiti che non hanno una lettura del tutto coincidente della situazione.

La dichiarazione dei PC dell’ex URSS

La riunione dei partiti comunisti dell’ex Unione sovietica costituisce un fatto del tutto inedito nella
storia del movimento comunista. Come è evidente, un simile incontro si è reso necessario solo in
quanto l’Unione sovietica si è divisa nelle sue repubbliche costitutive, e lo stesso PCUS si è
frammentato seguendo i confini dei nuovi stati ma anche per effetto dei cambiamenti di
orientamento politico e di interessi che hanno attraversato i quasi 20 milioni di iscritti che contava
alla fine degli anni ‘80. La gran parte delle organizzazioni comuniste statali hanno cambiato nome
trasformandosi in partiti socialisti o, in qualche repubblica asiatica, in strumento per regimi
autoritari continuatori del vecchio potere ma senza più alcuna giustificazione ideologica. Questo ha
portato alla formazione di nuovi partiti comunisti e in qualche caso (come nella stessa Russia,
soprattutto nella fase iniziale) ad una frammentazione delle organizzazioni comuniste.
Il più forte PC attivo nella repubblica russa, diretto da Guennadi Ziuganov, si collega
all’organizzazione repubblicana russa fondata durante la perestrojka. In precedenza infatti
esistevano partiti repubblicani specifici in tutte le repubbliche tranne nella più grande. Nella stessa
Russia alcuni circoli comunisti erano contrari alla ricostituzione di un partito russo, propendendo
invece per il rilancio del PCUS, come organizzazione unitaria presente in tutto il territorio
dell’Unione Sovietica. In una certa fase il PCUS che ha tenuto anche un XXIX congresso è
sembrato porsi in concorrenza con le altre organizzazioni. La scarsa credibilità di tale ipotesi ha
fatto sì che esso si trasformasse in Unione dei partiti comunisti - PCUS, con la funzione di raccordo
e di coordinamento tra le esistenti organizzazioni nazionali.
Il documento sottoscritto in data 22 maggio 1994 approva tale decisione e porta le firme di
19 organizzazioni: il PC d’Azerbaigian (presidente P. Akhmetov), PC d’Armenia (segretario S.
Badaian), PC di Bielorussia (segretario del comitato centrale V. Novikov), PC dei lavoratori di
Georgia (segretario del comitato centrale I. Tsiklaouri), PC del Kirghizistan (K. Azibekova,
vicepresidente del comitato esecutivo), Unione dei comunisti di Lettonia, PC della Transdnistria
(territorio abitato da russi all’interno della Moldavia, I. Kossevoi, segretario), PC della federazione
Russa (G. Ziuganov, presidente), PC operaio di Russia (V. Tiulkin, primo segretario), Unione dei
comunisti di Russia (A. Prigarin, segretario), PC della Repubblica del Tatarstan (si trova all’interno
della Federazione russa, A. Salii, primo segretario), PC del Tagikistan (S. Samdolov, presidente),
Comitato d’organizzazione per la ricostruzione del PC del Turkmenistan, PC d’Ucraina (A.
Martiniuk, segretario del Comitato centrale) Comitato d’organizzazione per la ricostruzione del PC
d’Uzbekistan, PC d’Ossezia meridionale (S. Kotsiev, presidente) PC d’Estonia, e infine l’Unione
dei PC-PCUS (O. Shenin, presidente).
Si tratta di partiti che rappresentano forze di importanza molto diversa. Il PC russo di
Ziuganov è la principale forza di opposizione a Yelsin, e lo stesso Ziuganov, a capo di una più vasta
coalizione popolare e patriottica, ha ottenuto oltre il 40% dei voti, nelle elezioni presidenziali del
1996. Fra gli altri partiti l’influenza maggiore la detengono i PC ucraino, bielorusso (che si è
successivamente scisso), e del Tagikistan, mentre un certo seguito hanno anche i comunisti
georgiani e del Kirghizistan. In altri casi si tratta di piccoli gruppi, che in Lettonia e in Estonia
sono anche illegali e perseguitati.
I partiti firmatari danno un giudizio completamente negativo della dissoluzione dell’URSS,
decisa, tra l’altro, in contrasto con la volontà espressa dalla maggioranza degli elettori di tutta
l’Unione sovietica nel referendum del 17 marzo 1991. La ricostruzione dell’Unione della
Repubblica Socialista Sovietica come unione volontaria degli stati indipendenti sulla base dei
principi del patriottismo sovietico, dell’internazionalismo e dell’amicizia tra i popoli, del rispetto
delle tradizioni nazionali resta l’obbiettivo proclamato dai comunisti. Nel caso del più importante
dei PC, quello russo, l’elemento nazionale-patriottico, non privo di qualche concessione
sciovinistica, sembra però prevalere sulla difesa dell’ideologia sovietica. Del resto se si eccettua la
Bielorussia dove esiste effettivamente una forte spinta all’unione con la Russia, negli altri stati sono
più forti le spinte indipendentiste o comunque il riconoscimento della frammentazione dell’URSS
come di un fenomeno non più invertibile.
Pur trattandosi della prima conferenza di comunisti dopo lo scioglimento del vecchio PCUS,
non c’è una analisi nemmeno sommaria delle ragioni di ciò che accaduto, al di là della denuncia
molto forte delle conseguenze del prevalere dell’opzione capitalistica. I Partiti firmatari continuano
a richiamarsi al marxismo-leninismo e al materialismo dialettico, denunciano la restaurazione
capitalistica, propongono la conquista, la difesa e il rafforzamento del potere politico dei lavoratori
sotto la forma dei soviet.

La Conferenza dei PC del Mediterraneo (Atene)

Per impulso del PC greco, il 22 e 23 marzo 1997, si è tenuta ad Atene una conferenza dei partiti
comunisti e operai dei paesi del mediterraneo orientale e meridionale, del Golfo e del mar Rosso,
con la partecipazione di dieci delegazioni. Le forze politiche presenti sono, oltre al PC greco, il PC
giordano, il PC iracheno, il Partito Tudeh iraniano, il PC israeliano, l’AKEL di Cipro, il Partito
popolare palestinese, il PC siriano e il PC di Siria.
Il carattere delle delegazioni presenti, e il documento conclusivo approvato e reso pubblico
configurano questo incontro nel solco delle conferenze regionali comuniste che si sono svolte negli
anni ’70 e negli anni ’80. D’altronde l’intervento, reso pubblico, della segretaria del PC greco,
Aleka Papariga, indica esplicitamente che l’obbiettivo perseguito dai greci è la ricostruzione del
movimento comunista internazionale. Il documento finale si mantiene però a livello di sintesi delle
analisi e degli obbiettivi politici perseguiti nell’area mediterranea e mediorientale dai partiti
presenti, senza avventurarsi in analisi ideologiche e senza rilanciare la prospettiva della ripresa del
movimento comunista a livello internazionale. La frase conclusiva del documento fa riferimento più
genericamente all’importanza di sviluppare le relazioni di lotta e solidarietà tra i partiti, e all’intesa
di proseguire lo scambio di informazioni e di continuare il dialogo sulle questioni di comune
interesse nel campo della teoria, ideologia e pratica e per la definizione di azioni comuni. Non ci
sono impegni precisi per dare regolarità alle conferenze o per definire strumenti permanenti di
raccordo.
I punti comuni sui quali i partiti partecipanti concordano sono, per quanto riguarda l’analisi
della situazione mondiale: 1) l’inasprimento dei conflitti interimperialisti, 2) l’estensione della
resistenza popolare ai programmi di austerità e privatizzazione della Banca mondiale e del Fondo
monetario internazionale. Sui principali aspetti della situazione mediterranea i PC: 1) sostengono la
richiesta di denuclearizzazione di tutta la zona, con la rimozione della presenza militare USA e
NATO, la pressione su Israele affinché distrugga l’arsenale nucleare di cui dispone; 2) condannano
l’occupazione israeliana dei territori arabi di Palestina, Siria, Libano nonché la politica coloniale
nei territori occupati; 3) sostengono la lotta palestinese per uno stato indipendente con capitale a
Gerusalemme est, e il ritorno dei rifugiati palestinesi nelle loro case; 4) solidarizzano con il popolo
cipriota nella lotta contro l’occupazione turca della parte settentrionale dell’isola; 5) sostengono la
lotta dei popoli di Iraq, Iran, Bahrein e Sudan contro i regimi dittatoriali dei loro paesi e i diritti
legali del popolo curdo (non c’è una richiesta di indipendenza per i curdi).
Nella sua relazione Aleka Papariga ha affermato che il 21° secolo sarà un secolo di ripulsa
dell’attacco del capitale, un secolo di contrattacco nella quale sorgerà un nuovo ciclo di movimenti
rivoluzionari e di rivoluzioni socialiste, intanto i margini di manovra del capitalismo si restringono
in quanto esso traversa la fase della putrefazione e del parassitismo. Per quanto riguarda i rapporti
con altre forze di sinistra la segretaria del PC greco sottolinea la necessità di intensificare la lotta e
migliorare la qualità della polemica con i punti di vista riformista e opportunista, che minano l’unità
combattiva dei lavoratori e lo sviluppo della coscienza antimperialista e antimonopolista. La linea
di separazione passa oggi attraverso la lotta dei lavoratori e dei popoli contro i monopoli,
l’imperialismo e i suoi organi politico-militari come la NATO, e contro la politica della Banca
mondiale del Fondo monetario internazionale.
L’analisi delle forze comuniste secondo il PC Greco rivela una situazione di crisi e di
arretramento, per questo è urgente la ricostituzione del movimento comunista internazionale, per
definire una strategia unificata. Il dialogo e lo scambio di esperienze tra i PC devono cominciare
avendo come contenuto l’identità ideologica del movimento comunista, che ad avviso dei comunisti
greci non può non essere basata sulla teoria del socialismo scientifico e del marxismo-leninismo. La
prospettiva indicata prevede anche la ricostituzione del movimento comunista in ogni paese.

La Conferenza di Leningrado per l’80° della rivoluzione d’Ottobre (7-8 novembre 1997)

L’anniversario della rivoluzione d’Ottobre è stato celebrato a Leningrado da un gruppo di partiti


comunisti russi che si collocano ideologicamente e politicamente su una linea più radicale del PC
della Federazione russa di Ziuganov. Il più importante, dotato di un certo seguito elettorale e di
circa 30.000 aderenti è il PC operaio russo il cui leader è Tyulkin. Da questo partito è stato espulso
per dissensi politici la figura più nota, sia in Russia che all’estero, Viktor Anpilov, arrestato con
altri militanti in occasione dell’assalto del Parlamento russo ordinato da Boris Eltsin per mettere in
riga un’istituzione che non era più in grado di controllare. I partiti comunisti radicali sono
organizzati nel Roskomsoyuz, coordinamento situato a Mosca, del quale fanno parte oltre al PC
operaio, il PC bolscevico di tutta l’Unione, alla cui testa si trova Nina Andreyeva diventata famosa
durante gli anni della perestrojka per un suo articolo di dura critica alla politica di Gorbaciov,
considerato in quel frangente il segnale di una possibile riscossa dell’ala conservatrice del PCUS, il
piccolo Partito operaio e contadino russo, e altri gruppi minori.
Nell’ambito dei festeggiamenti dell’anniversario della rivoluzione queste organizzazioni
hanno promosso una conferenza di partiti comunisti con l’obbiettivo di rilanciare la formazione del
movimento comunista internazionale. Si tratta di forze che pur avendo posizioni politiche tra loro
divergenti si riconoscono tutte in una linea ‘anti-revisionista’ (ovvero contraria al XX Congresso) e
neo staliniana.
La conferenza internazionale si è svolta in tre giorni, avendo come sedi luoghi simbolici
della rivoluzione bolscevica, come lo Smolnyi, ed essendo più una occasione di sostegno pubblico
alle organizzazioni russe che di vero e proprio dibattito internazionale. Ciò malgrado ne è emerso
un documento finale e, fatto più rilevante, sarebbe stato decisa la costituzione di un ufficio
internazionale di informazione.
La lista dei partiti che hanno sottoscritto il documento finale rende chiaro che, almeno al
momento della conferenza, si era ben lontani dal raccogliere forze significative tra i partiti
comunisti a livello mondiale. Fra i PC ‘ufficiali’, ovvero riconosciuti all’interno del movimento
comunista fino alla fine degli anni ’80 compaiono i PC greco, iracheno, egiziano. L’area più
importante è quella relativa ai partiti che si sono formati negli stati dell’ex Unione sovietica, sono
infatti rappresentati i PC dell’Azerbaigian, del Tagikistan, della Bielorussia, dell’Ucraina,
dell’Estonia, della Lettonia, della Kirgizia e della Georgia. Vi è una significativa presenza di partiti
provenienti dall’area maoista come i Partiti dei lavoratori del Belgio e della Turchia, il PC delle
Filippine, il PC indiano (m-l) Liberazione. Altri partiti sono frutto di scissioni più o meno recenti
come il PC di Siria, il PC palestinese, il PC rumeno, il PC dei popoli di Spagna. Fra le altre
presenze le più significative sono il Fronte democratico per la liberazione della Palestina (di
Hawatmeh), e il PC di Slovacchia. Gli altri firmatari sono gruppi del tutto marginali come il Nuovo
PC della Yugoslavia, l’Organizzazione dei guerriglieri fedayin del popolo iraniani, l’Azione
ciadiana per l’unità e il socialismo, il PC tedesco (KPD), la Sinistra radicale del Lussemburgo.
In questa iniziativa vi è certamente anche un elemento di rottura con il Partito di Ziuganov,
con il quale molti PC intrattengono relazioni e ciò ha probabilmente limitato l’arco delle forze
presenti.
Il carattere del documento finale lo rende largamente irricevibile dalla gran parte delle forze
di ispirazione comunista. Rivendica il modello di partito rivoluzionario e i successi del socialismo
di Lenin e di Stalin (affermando implicitamente la piena e totale identificazione fra i due). Il
fondamento del potere dei soviet in quanto espressione della dittatura del proletariato e la proprietà
collettiva dei mezzi di produzione. La frase chiave del documento afferma che la degenerazione
politica e ideologica alla testa dell’apparato del partito e dello stato sovietici, la revisione del
marxismo-leninismo condotta al 20° e 22° congresso del PCUS e portati al parossismo con la
perestrojka, il rigetto, in teoria e in pratica dei principi comunisti fondamentali, hanno condotto alla
controrivoluzione e, con l’aiuto dell’imperialismo internazionale al rovesciamento del socialismo
nell’URSS.
Inoltre vengono denunciate le idee opportuniste e revisioniste diffuse dalla borghesia
all’interno del movimento comunista internazionale, il quale può acquistare forza purificando sé
stesso dai socialtraditori. Secondo i firmatari del documento il movimento comunista internazionale
deve riorganizzarsi e superare l’attuale crisi per combattere contro l’imperialismo e la guerra. Uno
dei principali compiti è inoltre combattere il revisionismo in tutte le sue forme e senza compromessi
in quanto esso il principale pericolo che lo minaccia.
Su tali basi risulta improbabile che l’iniziativa promossa a Leningrado di costituire un
ufficio internazionale di informazioni, il quale ricorderebbe molto da vicino il Cominform, anche
per l’impostazione zdanoviana del documento prima citato, possa diventare l’effettivo punto di
riferimento delle forze comuniste. Ad animare tale Ufficio sarebbe stato incaricato il Partito
comunista greco, uno dei più impegnati a rilanciare la riorganizzazione del movimento comunista
internazionale.

Colloqui e seminari

“Il socialismo come ideologia e il ruolo della sinistra alle soglie del XXI secolo” (Nicosia)

Il partito AKEL ha un notevole seguito di massa nell’isola di Cipro, un sostegno che, con alti e
bassi, e con momenti di dura repressione (prima da parte degli occupanti inglesi, poi dei fascisti
dell’EOKA) mantiene dal 1945. Alle ultime elezioni politiche ha ottenuto il 33% dei voti,
confermando di aver superato la crisi seguita alla scissione dell’ala riformista che ha dato vita, con
scarso successo, ad un partito rivale, l’ADISOK. Nell’ambito del movimento comunista
internazionale l’AKEL ha sempre seguito una linea filosovietica, anche in considerazione del fatto
che l’isola di Cipro ha dovuto difendere con fatica la propria indipendenza e la propria neutralità
dalle mire della destra nazionalista greca e della Turchia (che occupa tuttora la parte settentrionale),
e ha trovato nell’Unione sovietica la potenza mondiale che più si è schierata a favore della politica
neutralista, fin dai tempi della presidenza dell’arcivescovo Makarios. In politica interna è un partito
pragmatico, che ha sempre utilizzato la propria forza con prudenza, appoggiando politici moderati
(come appunto lo stesso Makarios) sulla base di un programma minimo di difesa nazionale.
L’attività internazionale del partito, finalizzata anche ad ottenere solidarietà per la battaglia
di Cipro contro l’invasione turca, ha sempre svolto un ruolo rilevante nell’azione dell’AKEL. Dopo
la crisi del blocco socialista il partito dei comunisti ciprioti ha organizzato tre conferenze
internazionali, alle quali hanno partecipato i PC delle aree contigue (Mediterraneo e Medio oriente),
come altre forze di diversa ispirazione. Si tratta di incontri che hanno assunto la forma di seminari
cioè privi di dichiarazioni finali, se si eccettua brevi comunicati sulla situazione di Cipro.
Il primo seminario si è svolto a Nicosia dal 18 al 20 ottobre 1991, con il titolo “Il socialismo
come ideologia e il ruolo della sinistra alle soglie del XXI secolo”. Ad esso hanno partecipato 16
partiti di 12 paesi: il Fronte di liberazione nazionale del Bahrein, il partito socialista EDEK (Cipro),
il PC francese, il PC greco, l’Alleanza di sinistra e del progresso (Synaspismos, Grecia), il PASOK
greco, il Partito operaio socialista ungherese (che successivamente ha cambiato nome in Partito
operaio), il PC israeliano, il PC giordano, il PC libanese, il PC palestinese (poi diventato Partito
popolare), il Partito Baath siriano, il PC siriano e il PC di Siria, il Partito socialista del Kazakhstan.
Se i partiti comunisti sono prevalenti all’incontro partecipano quindi anche forze socialiste.
Nel suo intervento introduttivo il segretario dell’AKEL, Demetrios Christofias, precisa che
non vi è alcuna volontà dei comunisti ciprioti di dar vita ad un nuovo centro internazionale della
sinistra, in quanto una simile prospettiva sarebbe in contraddizione con il corso della storia,
ciononostante è però utile sviluppare azioni congiunte a livello regionale ed internazionale, sia
come immediata risposta all’offensiva neoliberale che per più ampi obbiettivi sociali. L’AKEL, nel
suo 17° congresso, aveva delineato, sulla base dell’esperienza storica, i contorni del socialismo
democratico per il quale si battono i comunisti ciprioti, che sono stati descritti nel documento
ideologico “La nostra concezione del socialismo”. Questi caratteri fondamentali sono sintetizzati da
Christofias nel suo intervento: 1) pluralismo nella superstruttura politica, 2) pluralismo nelle forme
di proprietà, con la proprietà socializzata come forma dominante, 3) un rafforzato ruolo dello stato a
beneficio degli strati popolari, 4) il rispetto e l’ulteriore sviluppo dei diritti umani, delle tradizioni e
delle conquiste del nostro popolo. C’è una indubbia rottura rispetto modello sovietico di socialismo,
con l’affermazione di un ampio pluralismo politico e il rifiuto di una statalizzazione generalizzata
dell’attività economica.
Il seminario si tiene durante il periodo di crisi terminale della perestrojka, con la sconfitta di
Gorbaciov e il trionfo di Eltsin che si appresta a dissolvere l’Unione sovietica. Gli sconvolgimenti
del blocco socialista sono ancora recenti e nella relazione al seminario il responsabile esteri
dell’AKEL, Donis Christofinis, dedica ampio spazio ad un primo bilancio di quanto è accaduto. A
metà degli anni ’80 è stata avviata in Unione sovietica una politica di radicale rinnovamento del
socialismo sulla base della democratizzazione del sistema in tutti i campi della vita: la perestrojka.
L’AKEL ha dato il benvenuto fin dall’inizio agli scopi e agli ideali della perestrojka, riconoscendo
che quello specifico modello di socialismo era stato condotto ad un punto morto sotto il fardello
degli errori, distorsioni ed anche crimini che sono stati commessi. “Noi continuiamo ad aderire ai
principi, agli obbiettivi e agli ideali della perestrojka”. Sfortunatamente le nostre speranze, che
erano quelle di milioni di progressisti in tutto il pianeta, non sono state corrisposte. In Europa
orientale le forze che lavorano per la restaurazione del capitalismo hanno prevalso.
I cambiamenti in Europa orientale e in Unione sovietica, nella misura in cui sono
l’espressione della libera volontà dei popoli di questi paesi, vanno naturalmente rispettati. Allo
stesso tempo, tuttavia, “dobbiamo dire che essi non ci piacciono. Siamo negativamente colpiti dal
fatto che invece del rinnovamento del socialismo e della creazione di società di socialismo
democratico, il capitalismo è stato restaurato con tutte le conseguenze negative”.
Questo tipo di analisi critica del modello di socialismo sovietico si ritrova in diversi
interventi ed in modo più diffuso in quello dell’esponente del PC israeliano (Salem Jubran), e del
PC di Siria (Hounein Nemer). Per Jubran vi sono difficili questioni alle quali occorre dare risposte
vere e coraggiose. Nell’esperienza del socialismo non ci sono stati solo errori, ma anche distorsioni.
Il collasso e la tragedia hanno ragioni profonde, burocrazia, regime arbitrario, l’oppressione
dell’iniziativa di massa e dell’attività collettiva, la mancanza di partecipazione di massa e la
mancanza di democrazia, sono alcune delle ragioni di ciò che è accaduto. La democrazia non è solo
un fatto formale, non è solo un mezzo, è un reale diritto umano e uno scopo. Il socialismo deve
essere umanista e democratico. Il siriano Nemer respinge il modello stalinista di costruzione del
socialismo basato su un estremo centralismo economico. Quanto è avvenuto in Unione Sovietica
non è che la conseguenza di tutta una serie di contraddizioni accumulatesi nel corso degli anni in un
socialismo burocratico, che ha consentito per un certo periodo lo sviluppo delle forze produttive per
poi diventare un ostacolo a tenere il passo con la rivoluzione scientifico-tecnologica. Un’altra
interpretazione più ideologica è offerta dell’esponente dell’EDEK, il partito cipriota che aderisce
all’Internazionale socialista, il quale vede le ragioni del fallimento del socialismo sovietico
nell’adozione di due concetti fondamentali, dai quali è stata fatta discendere la pratica politica dei
PC dell’est Europa: il centralismo democratico e la dittatura del proletariato.
In diversi interventi, in particolare quelli del PC israeliano, del PC francese, del PC di Siria e
del PC palestinese viene sottolineata la necessita di radicare maggiormente le forze comuniste nelle
realtà e nelle tradizioni nazionali.
Le maggiore divaricazione di analisi e prospettiva politica espressa nel seminario è quella
registrata tra il PC greco e il Synaspimos, da poco attraversati da una spaccatura che ha portato una
consistente minoranza del PC ad uscire dal partito per trasformare il Synaspimos (nel quale erano
presenti socialisti, ambientalisti e altre forze) da coalizione in nuova forza politica post-comunista.
Yannis Tolios esponente del Synaspimos, sottolinea i profondi cambiamenti in atto nel capitalismo
e quindi la necessità di una radicale revisione della strategia della sinistra, che tenga conto del
fallimento dell’URSS e della crisi dell’esperienza socialdemocratica. Il socialismo che resta la
visione e la missione dell’umanità, viene definito come la via democratica di prolungate
trasformazioni strutturali e rotture che portino oltre lo stato di cose esistenti basato sullo
sfruttamento, la repressione, l’alienazione, la catastrofe ambientale. La modernizzazione della
strategia e della tattica e la riorganizzazione dei soggetti politici della sinistra sono la condizione
necessaria per rovesciare l’egemonia del neoliberismo, e devono portare al superamento della
frattura storica tra le due principali correnti della sinistra (il socialismo reale e la socialdemocrazia)
con la promozione di una nuova sintesi, a livello politico, ideologico, organizzativo.
I comunisti greci respingono questa visione e sostengono che il collasso dei regimi del
socialismo realmente esistente non comporta l’esigenza di una revisione della teoria del marxismo-
leninismo, anche se questo avviene oggi in una situazione internazionale che ha visto mutare i
rapporti di forza a favore del capitalismo e dell’imperialismo.
L’isola di Cipro è stata la sede anche di successivi incontri per i quali, a differenza del
primo, il cui dibattito si è potuto perciò ampiamente citare, il contenuto degli interventi non è stato
pubblicato. Dal 9 all’11 dicembre 1994 una conferenza si è tenuta a Larmasa per iniziativa
congiunta dell’AKEL e del PC greco, i quali hanno invitato 40 partiti dei quali 22, di 18 paesi
diversi, hanno inviato delegazioni. Secondo quanto riferito dal giornale di Rifondazione comunista,
Liberazione, all’incontro hanno preso parte oltre i due partiti promotori il PRC, i PC portoghese,
spagnolo, francese, della Federazione Russa, d’Armenia, siriano, giordano, iracheno, sudanese, la
Lega dei comunisti - movimento per la Iugoslavia, il Partito socialista serbo, il PC operaio russo, il
Partito popolare palestinese, il Tudeh iraniano, l’Unione progressista egiziana, il Baath siriano, il
Fronte democratico per la liberazione della Palestina, il Partito del lavoratori curdi (PKK). Invitati
inoltre gli altri due partiti della sinistra cipriota il socialista EDEK e l’ADISOK. Un nuovo
appuntamento si è tenuto nel 1997, indice di una volontà precisa da parte dei comunisti ciprioti di
continuare a fare della loro isola una delle sedi di confronto fra forze comuniste e socialiste almeno
nell’area che comprende l’Europa meridionale, i Balcani, l’ex URSS e il Medio oriente.

La situazione mondiale contemporanea e la validità del marxismo (Calcutta)

Calcutta, capitale dello stato indiano del Bengala occidentale, è stata la sede di un conferenza
internazionale di partiti comunisti promossa dal Partito comunista indiano (marxista), in occasione
del 175° della nascita di Karl Marx, tenutasi dal 5 al 7 maggio 1993. All’incontro hanno preso parte
i seguenti partiti: Partito socialista australiano, Partito dei lavoratori del Bangladesh, Partito del
lavoro del Belgio, PC del Brasile, PC Britannico, Nuovo PC britannico, PC canadese, PC Cubano,
PC francese, PC tedesco (DKP), PC greco, PC Indiano, PC indiano (marxista), Partito Tudeh
iraniano, Partito del lavoro di Corea, Partito popolare socialista messicano, PC del Nepal (marxista
- leninista unito), PC delle Filippine, PC portoghese, PC Sudafricano, Partito dei lavoratori turchi,
PC del Vietnam. Il PC siriano e il PC USA hanno inviato interventi scritti.
I partecipanti provengono sia dalla corrente internazionale filosovietica che da quella
filocinese e rappresentano uno spettro abbastanza ampio di forze, con una prevalenze dei settori che
si definiscono antirevisionisti, ovvero che criticano le tendenze rinnovatrici emerse all’interno del
campo comunista come la critica dello stalinismo emersa dal XX congresso, l’eurocomunismo o la
perestrojka. Il PC Indiano (marxista), è la principale forza comunista del subcontinente indiano,
governa da venticinque anni lo stato del Bengala occidentale, e si era distaccato dalla corrente
maggioritaria del movimento comunista internazionale dopo la scissione del PC Indiano a seguito
della quale era nato. Inizialmente vicino alle tesi cinesi, si orientò rapidamente verso una posizione
di equidistanza fra le due maggiori potenze comuniste, mentre l’ala maoista radicale lo
abbandonava per dare vita al PC indiano (marxista-leninista). Nel corso degli anni ’80 il PC
(marxista) si è riavvicinato all’Unione sovietica e ciò, unitamente all’evoluzione della situazione
politica interna indiana, ha portato all’avvicinamento ideologico con l’altro partito comunista, il
PCI. I due partiti hanno sostenuto il governo di centrosinistra subentrato al partito del Congresso
dopo la grave sconfitta che questo ha subito nelle ultime elezioni politiche. Lo hanno però fatto da
posizioni diverse in quanto il PCI ne ha fatto parte con propri ministri, mentre il PCI (M) lo ha
sostenuto dall’esterno. Ad un certo punto della crisi post-elettorale, nella fase di formazione della
nuova coalizione di governo, è sembrato che il candidato favorito a diventare primo ministro fosse
l’anziano Jyoti Basu, leader del governo comunista nel Bengala occidentale. La decisione assunta
dal PCI(M) di non entrare al governo ha reso impraticabile tale soluzione.
Il PC (marxista) che per quasi vent’anni è rimasto piuttosto isolato sulla scena internazionale
ha ormai allacciato relazioni con quasi tutti i partiti comunisti, e il seminario di Calcutta rappresenta
un momento significativo di ripresa di un ruolo attivo sulla scena mondiale.
I partecipanti al seminario internazionale hanno confermato tutti di credere al permanere
della validità del marxismo sia come strumento di analisi che di elaborazione di una strategia
politica socialista. Con la sola eccezione dei francesi tutti gli altri partiti si definiscono come
marxisti-leninisti, anche se nessuno ha dato una definizione esaustiva del contenuto di tale concetto.
Seguendo quanto pubblicato da Nature, Science and Thought, nel fare una sintesi del confronto, si
possono individuare questi elementi chiave che dovrebbero restare alla base dell’ideologia dei PC:
1) materialismo storico e dialettico, incluso il socialismo scientifico; 2) analisi di Lenin
dell’imperialismo; 3) il carattere di classe degli stati socialisti e capitalisti; 4) il concetto leninista
del partito di avanguardia della classe operaia con il centralismo democratico quale base
organizzativa; 5) la solidarietà internazionale.
Dal punto di vista ideologico gran parte degli interventi si presentano come il riepilogo e la
riaffermazione di concetti che sono stati propri del movimento comunista dalla fine degli anni ‘20
alla fine degli anni ’50, con pochi elementi di innovazione e una dubbia efficacia dal punto di vista
dell’analisi delle trasformazioni in atto nel capitalismo, e della ricostruzione di una strategia
anticapitalista adeguata a tali trasformazioni.
I classici del comunismo a cui tutti i partiti presenti fanno riferimento sono Marx, Engels e
Lenin. Alcuni partiti continuano a considerare Stalin come un fondamentale punto di riferimento e
ne valutano positivamente l’opera complessiva, pur con qualche critica. Altri aggiungono Mao
Zedong, per la sua visione del permanere all’interno della società socialista del conflitto fra i
restauratori del capitalismo e coloro che vogliono proseguire sulla strada del socialismo. Infine vi
sono alcuni riferimenti propri di determinati partiti, come la sottolineatura del ruolo di Ho Chi Min
da parte dei vietnamiti e di Kim Il-sung, per l’invenzione della teoria del Juché, da parte dei
nordcoreani.
Nel dibattito sono emerse analisi diverse del crollo del blocco socialista. Per una parte dei
partiti presenti sono soprattutto i difetti del modello di socialismo costruito che hanno condotto a
gravi difficoltà economiche, violazioni della democrazia interna nel partito e nello stato, e la
burocratizzazione del partito e del suo gruppo dirigente, e ad aver isolati i dirigenti dalle masse. Su
questo tipo di analisi si ritrovano, con accenti e argomentazioni in parte diverse, brasiliani,
britannici del CPB, cubani, francesi, indiani del PCI, nepalesi, portoghesi, sudafricani e vietnamiti.
Un secondo gruppo di interventi addossa il carico principale delle responsabilità alla politica della
perestrojka condotta da Gorbaciov. I più espliciti nel sostenere questa tesi sono i britannici del
NCP, e i greci. Infine il terzo gruppo rintraccia le cause del collasso del sistema nell’allontanamento
da parte di Krusciov dalla politica di Stalin, un politica considerata come il conseguente sviluppo
della prima fase leninista di costruzione del socialismo in URSS. A far propria questa visione sono
tutti i partiti influenzati dal maoismo come quelli del Bangladesh, del Belgio, dell’India (il PCI
Marxista), e di Turchia, ai quali si aggiungono i siriani che vengono invece dalla tradizione
filosovietica.

Il seminario di Atene

Il PC Greco ha convocato il 17 e 18 giugno 1995 un incontro internazionale di partiti comunisti


dedicato ad esaminare le ragioni del crollo dei paesi socialisti in Europa. Alla conferenza hanno
preso parte 25 partiti provenienti dall’Europa, dall’Asia e dall’America. Non è nota la lista
completa delle delegazioni presenti, si sa, secondo quanto comunicato da un dispaccio dell’AFP,
che erano assenti fra le forze politiche maggiori dell’area comunista, francesi, portoghesi, cubani e
cinesi.
Quale base per la discussione, il PC Greco ha presentato un documento, approvato dal suo
Comitato centrale il 24 marzo 1995, e pubblicato in inglese, in un opuscolo di 66 pagine, nel quale
viene esposto in modo approfondito il punto di vista dei comunisti greci sui fattori che avrebbero
determinato il rovesciamento del sistema socialista. Si tratta probabilmente del più ampio
documento di questo tipo che abbia avuto l’approvazione del comitato centrale di un partito, e
quindi non sia solo l’espressione dell’orientamento di un singolo dirigente o intellettuale.
Secondo i comunisti greci, nonostante i problemi che possono essere esistiti nei Paesi
socialisti, con il sistema creato nel 20° secolo, è stato tentato uno dei più grandi risultati della
civilizzazione, l’abolizione dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Esso ha provato la sua
superiorità sul capitalismo e offerto grandi benefici al lavoro e alla vita dei lavoratori. Molto netto e
radicalmente critico il giudizio espresso sulla perestrojka. Inizialmente è apparsa inserita nello
slogan che proclamava il rinnovamento e la ristrutturazione del socialismo, ma molto presto ha
iniziato a rivelare il suo vero volto controrivoluzionario. L’essenza delle riforme avviate sotto la
direzione di Gorbaciov era il trasferimento dei mezzi di produzione alla proprietà privata, iniziando
con l’economia agraria e con la chiara intenzione di estenderla a tutti i settori. Viene respinta anche
la tesi, sostenuta da altri partiti comunisti secondo i quali la perestrojka era partita con buone
intenzioni e in qualche modo lungo la strada è finita male ed è diventata un veicolo per la
controrivoluzione. “Non siamo d’accordo con questa valutazione”.
Sul piano globale per il KKE essa si e’ rivelata come una politica finalizzata ad esportare la
controrivoluzione attraverso misure e opzioni che abolivano l’internazionalismo proletario. Il
‘nuovo pensiero’ in politica estera era basato sulla posizione sbagliata, anti-scientifica, che la
contraddizione fondamentale del nostro tempo è la contraddizione, interclassista, tra guerra e pace.
Gli sviluppi drammatici del 1989-91 non riguardano solo i comunisti e il movimento
comunista internazionale. Gli effetti negativi hanno colpito l’intera umanità. I popoli sono stati
privati temporaneamente del loro più importante sostegno, il loro vero alleato nella lotta per il
progresso, lo sviluppo, la democrazia, la libertà e il socialismo, afferma il documento del KKE.
Non sfugge alla valutazione demolitoria nemmeno il 20° Congresso del PCUS in quanto, si
dice, le critiche in esso avanzate allo stalinismo non costituivano un esame obbiettivo della
costruzione del socialismo in quelle particolari condizioni storiche. La discussione venne
focalizzata sulla questione del culto della personalità, un tema che di per sé non consentiva una
spiegazione comprensiva dei fenomeni negativi. Il 20° congresso condannò la posizione corretta
cioè che la lotta di classe si stava inasprendo nei paesi socialisti. Con questo giudizio i comunisti
greci si ricollegano ad una delle critiche principali avanzate dei cinesi alla destalinizzazione. Infine,
le critiche del 20° Congresso vennero utilizzate per lanciare un attacco distruttivo contro il
socialismo.
Il ruolo guida di avanguardia del partito venne gradualmente perduto. Il fatto che la
minaccia di controrivoluzione non fosse sospettata dimostrava l’alterazione dell’identità e del
carattere dei PC nei paesi socialisti. Specifici eventi avrebbero dovuto essere riconosciuti come
‘segnali d’allarme’ (Ungheria, Polonia, Cecoslovacchia, i problemi della Iugoslavia, Romania,
Albania, cosi come l’attacco revisionista che utilizzava l’eurocomunismo come testa di ponte per
colpire il movimento comunista nell’Europa capitalista). La democrazia all’interno del partito era
violata, la strada era aperta per il carrierismo dei quadri, lo sfruttamento del partito e delle posizioni
di governo.
La direzione del 20° Congresso verso una varietà di forme di transizione di vari paesi verso
il socialismo, sotto certe condizioni, è stata utilizzata dalle leadership dei PC come un fondamento
teorico per una offensiva contro la teoria scientifica del socialismo. Nel nome delle specificità e
particolarità nazionali, le immutabili leggi della rivoluzione socialista vennero riviste. Problemi
sono apparsi nello sviluppo di forme di democrazia socialista e nel loro corretto funzionamento,
inclusi eccessivi poteri e fenomeni che non potrebbero essere tutti giustificati dalla natura obbiettiva
dei problemi e/o speciali condizioni.
Per quanto riguarda la strategia politica dei comunisti per il futuro si afferma che il
principale problema è l’azione per creare le condizioni soggettive per la rivoluzione socialista. La
lotta quotidiana per risolvere i problemi immediati e pressanti che toccano il nostro popolo devono
diventare parte organica di una prospettiva (rimettere in movimento il processo di sostituzione del
capitalismo in molti paesi dove la situazione oggi è oggettivamente matura).
Il rappresentante del PCE (José Maria Laso Prieto), in un articolo pubblicato su Mundo
Obrero, ha sintetizzato il dibattito che si e’ svolto ad Atene raggruppando le interpretazioni delle
ragioni della crisi dei regimi socialisti in tre gruppi:
1) la teoria del complotto. Secondo questa interpretazione un settore maggioritario della
nomenclatura sovietica optò a partire dal 1985 per abbandonare i principi marxisti e la via socialista
per instaurare la cosiddetta ‘economia di mercato’. Benché l’argomentazione avanzata dai
sostenitori della riforma nel senso del mercato si basasse sulla supposta maggiore efficacia di
questa, tale opzione non si produsse solo per ragioni di razionalità economica, ma in quanto un
settore privilegiato della burocrazia sovietica si sarebbe allontanato abissalmente dagli interessi
popolari. Si tratterebbe di una decisione freddamente deliberata, favorita dal processo di
mondializzazione dell’economia, ma non resa urgente per la pressione di una crisi interna del
sistema.
2) La teoria della restaurazione capitalista graduale. Secondo questa interpretazione, il
processo di restaurazione del capitalismo nell’URSS si inizio’ già a metà degli anni ‘50, con le
riforme politiche di Krusciov e quelle economiche del prof. Libermann. Si tratta, commenta Laso
Prieto, di una tesi stalinista tanto per il suo fondamento teorico come per le sue conseguenze
politiche che portano a mettere in questione non solo le riforme politiche ed economiche dirette da
Khrusciov, quanto l’elaborazione di concetti come ‘lo Stato di tutto il popolo e di partito di tutto il
popolo’. Questa argomentazione e’ stata sviluppata in particolare dal Partito Socialista d’Australia.
3) La teoria del degrado della democrazia socialista. Questa analisi si ricollega alle ultime
tesi di Lenin sul futuro del regime sovietico a causa della mancata estensione del processo
rivoluzionario ad altri Paesi dell’Europa e dell’Asia. A giudizio del leader della rivoluzione in tal
caso l’arretratezza e la barbarie semiasiatica della Russia determinerebbe il degrado del potere
sovietico. Questa interpretazione la condividono con alcune differenze i PC di Israele e britannico
(CPB) e di Siria con sfaccettature che si avvicinano a quelle dell’eurocomunismo.
Nonostante queste differenze di interpretazione sulle cause che determinarono la caduta del
modello di socialismo reale tutti i partiti partecipanti al dibattito di Atene hanno concordato nel
considerare che il futuro appartiene al socialismo, in quanto il capitalismo è incapace di dare
soluzione ai problemi fondamentali dell’umanità. Ugualmente hanno condiviso l’idea che il
socialismo dovrà essere democratico, nel senso pieno di essere più partecipativo, e del rispetto dei
diritti umani politici e sociali, e esente da dogmatismo e settarismo.

“Verso il futuro” meeting politico-teorico internazionale (Praga)

Questo incontro di partiti comunisti e di sinistra è stato organizzato dal PC di Boemia e Moravia
(Repubblica Ceca) con la collaborazione del PC di Slovacchia, cogliendo come occasione il 75°
anniversario della fondazione del PC Cecoslovacco.
I comunisti cecoslovacchi hanno subito numerose crisi dopo la caduta del regime ricostituito
sulle ceneri della primavera di Praga grazie all’intervento militare dei sovietici e degli altri paesi del
blocco. Salvo rarissime eccezioni, la gran parte degli esponenti comunisti che avevano partecipato o
sostenuto la politica di riforma del socialismo condotta da Alexander Dubcek ed allontanati dal
partito nel corso della normalizzazione (circa 400.000), non sono rientrati nel PC. Coloro che hanno
continuato a svolgere attività politica sono per lo più confluiti nella socialdemocrazia o in altre
formazioni. All’interno del PC Cecoslovacco si sono combattute per diversi anni linee politiche
conflittuali, con consistenti tendenze favorevoli ad un mutamento di nome e ad un riallineamento in
direzione della socialdemocrazia. Con la divisione della Cecoslovacchia in due repubbliche
separate il PC si è trovato diviso necessariamente in due diverse entità. Nella parte ceca essa ha
preso il nome di PC Boemo-Moravo e ha mantenuto un consistente seguito elettorale (circa il 13-
14%) pur restando isolato sul piano politico. Nelle ultime elezioni il crescente orientamento anti-
liberista dell’elettorato si è rivelato verso la socialdemocrazia anziché verso il PC, che comunque
mantiene solidi bastioni in diversi centri operai. Nella parte slovacca la maggioranza del PC ha
deciso di mutare nome in Partito della Sinistra Democratica e di aderire all’Internazionale
socialista. In contrasto con questa scelta si sono formati piccoli gruppi comunisti che hanno poi
dato vita al PC Slovacco. Il suo seguito elettorale resta limitato (2-3%) anche se considerato in
crescita.
Il PC di Boemia-Moravia è spesso rappresentato come una forza ultraortodossa erede dei
normalizzatori della primavera. Bisogna rilevare che nell’impostazione di questo seminario
internazionale e nel contributo fornito a nome del PCBM dal vicepresidente e professore di filosofia
Miroslav Ransdorf, questa immagine non viene confermata.
All’incontro hanno preso parte, oltre i due partiti organizzatori altre 14 formazioni politiche:
i PC austriaco, tedesco (DKP), danese (KPiD), greco, giapponese, portoghese, spagnolo, della
Federazione Russa, svedese (SKP), il PRC italiano, Izquierda Unida spagnola, la PDS tedesca, il
Partito dei lavoratori ungherese, il Partito del lavoro Coreano. Ai partecipanti sono stati sottoposti
tre temi attorno ai quali sviluppare la discussione: 1) L’Europa contemporanea e il mondo, gli sforzi
imperialisti per creare il cosiddetto Nuovo ordine mondiale e come farvi fronte, i problemi della
pace, sicurezza, democrazia e diritti umani; 2) Le prospettive dello sviluppo e il futuro del
socialismo; 3) La cooperazione reciproca e la solidarietà internazionale.
Gli interventi, come spesso accadde in questo genere di incontri sono tra loro diseguali. La
maggior parte espongono le situazioni politiche e sociali nazionali e la politica dei rispettivi partiti
nel farvi fronte.
E’ soprattutto l’intervento di Ransdorf che cerca di affrontare alcuni nodi teorici e anche di
formulare concetti e valutazioni nuove. Per quanto riguarda le formazioni sociali crollate all’est,
egli introduce la definizione di “protosocialismo”, considerata come equivalente a quelle di
socialismo burocratico o socialismo di stato. Per esaminarne la crisi oltre che prendere in
considerazione la struttura economica, politica, ideologica, occorre inserirlo nella logica dell’intero
sistema mondiale. E’ il declino dell’industrialismo classico all’interno della struttura del tardo
capitalismo ad avere eroso le fondamenta dello stesso protosocialismo.
Per il leader comunista ceco la prospettiva socialista del futuro deve tener conto che viviamo
nell’età della comunicazione e questo rende particolarmente valida l’idea gramsciana dell’egemonia
culturale come elemento fondamentale in una strategia di cambiamento. La soluzione dei problemi
globali richiede un socialismo che sia democrazia avanzata, democrazia della vita quotidiana.
Occorre anche un nuovo concetto di partito, in quanto i partiti marxisti non possono più basarsi su
una base elettorale omogenea, sull’applicazione di una sola tattica, sulla gestione di un solo tipo di
conflitto.
I comunisti giapponesi hanno consolidato da oltre trent’anni una linea autonomista, dopo
aver polemizzato duramente sia con i sovietici che con i cinesi, accusati entrambi di aver alimentato
manovre e frazioni per cercare di allineare il PCG alle rispettive tesi. La presenza dei giapponesi in
occasioni di incontri e convegni internazionali è piuttosto rara ed è pertanto da sottolineare
l’intervento del capo del dipartimento internazionale del PCG, Hikaru Nashiguchi, al convegno
praghese.
Per i giapponesi il collasso dell’Unione sovietica non è il prodotto del socialismo scientifico
(definizione che viene utilizzata in alternativa a quella di marxismo-leninismo), ma di una
deviazione dalle sue ragioni. Nella storia dell’URSS emerge un’evidente contrasto tra lo sviluppo
del socialismo subito dopo la Rivoluzione d’Ottobre e l’autocrazia e l’egemonismo instaurati da
Stalin e per tutta la fase successiva. Stalin e i suoi successori hanno promosso una politica esterna
di sciovinismo di grande potenza e all’interno un sistema autocratico che escludeva il popolo dalla
gestione economica, e nel quale i dissidenti e molte persone innocenti erano oppresse e inviate nei
campi di concentramento.
Per i comunisti giapponesi la possibilità di promuovere la cooperazione internazionale e il
lavoro comune tra partiti comunisti, anche quando questi hanno visioni diverse su punti
fondamentali deve essere finalizzata ad obbiettivi immediati come l’eliminazione delle armi
nucleari, lo scioglimento di tutti i blocchi militari, e il ritiro delle basi militari straniere.
L’intervento di Paolo Ferrero, della segreteria di Rifondazione Comunista, mette l’accento
sulle profonde trasformazioni del capitalismo, il cui vecchio ciclo di accumulazione
fordista/taylorista è stato superato, insieme ai mercati nazionali e alle politiche keynesiane. La
globalizzazione delle forze produttive, i movimenti finanziari del capitale, sempre più estesi,
riscrivono la geografia del pianeta, ridefinendo poteri e sovranità. Oggi i veri governanti sono il
Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale, il G7, e la nuova Organizzazione mondiale del
commercio. Non è prevedibile una ipotesi redistributiva a livello mondiale, al contrario si fa avanti
uno “sviluppo malthusiano” che si collega ad una più forte militarizzazione, per controllare i
conflitti.
All’analisi il rappresentante del PRC fa seguire una proposta di piattaforma minima sulla
quale costruire una discussione e un miglior coordinamento, almeno a livello europeo: 1) la
riduzione dell’orario di lavoro a 35 ore a parità di salario; 2) la lotta per la difesa dei livelli salariali
e contro la precarizzazione del lavoro, in un quadro di riconversione ambientale; 3) la difesa dello
stato sociale insieme alla valorizzazione del volontariato e dell’autogestione; 4) la lotta contro la
NATO; 5) la lotta per rinegoziare il debito estero, in particolare per i paesi del sud del mondo; 6)
l’opposizione ai test nucleari e il sostegno al disarmo nucleare.
In generale il meeting di Praga, rispetto ad altri precedenti, è stato meno orientato alla
ripresentazione di formule ideologiche tradizionali e più al confronto delle analisi politiche con uno
sforzo, almeno da parte di alcuni partiti, a misurarsi con gli elementi di novità della situazione
internazionale.

Quali prospettive ?

Gli incontri e seminari che si sono fin qui richiamati segnalano il superamento del punto di
maggiore crisi dei partiti comunisti dopo gli sconvolgimenti della fine degli anni ’80. Quanto però
alla possibilità di un ritorno alla formazione di un movimento comunista internazionale esso non
sembra fare alcun passo avanti. Apparentemente la scomparsa dell’Unione sovietica potrebbe
riaprire la possibilità della costituzione di strutture internazionale che non siano più subordinate e
identificate con un con un Partito-guida e con gli interessi di grande potenza ad esso connessi. Oggi
l’autonomia delle varie forze politiche comuniste è un fatto reale che non ha più bisogno di essere
conquistato. Nonostante ciò restano ostacoli che appaiono a tutt’oggi insuperabili. Ad eccezione dei
nordcoreani nessuno dei partiti al potere è interessato a partecipare alla promozione di un
movimento internazionale. La Cina e il Vietnam sono interessati a sostenere lo sviluppo economico
nazionale unendo consistenti elementi di mercato e di capitalismo ad aspetti di un socialismo che
resta in buona parte autoritario. Entrambi non sono interessati a subordinare gli interessi nazionali
che si confrontano con i reali rapporti di forza economici e finanziari oggi esistenti nel mondo, ad
una attività politica che verrebbe vista con sospetto dai possibili partner economici e finanziari,
dagli Stati uniti e dalle altre potenze occidentali. D’altra parte un loro impegno diretto riporterebbe
la contraddizione tra prospettive e ruolo del movimento internazionale e interessi statali che ha
condizionato la storia del movimento fin dal suo nascere. In parte diverso il ruolo di Cuba, che per
necessità e convinzione, mantiene un ruolo conflittuale e di critica nei confronti del neoliberismo e
degli Stati uniti. Ma anche il PC Cubano ha costruito un arco di rapporti politici che, soprattutto in
America Latina, vanno ben al di la dei partiti comunisti. Infatti i cubani si sono impegnati
direttamente nello sviluppo del Foro di S. Paolo, aperto ad una pluralità di correnti politiche che
vanno dalla socialdemocrazia all’estrema sinistra. Per quanto riguarda i nordcoreani come si è già
detto non hanno la credibilità politica e la forza materiale per sostenere la riorganizzazione del
movimento.
Anche molti dei partiti più forti hanno affermato ripetutamente negli ultimi anni la volontà
di mantenere relazioni con un arco ampio di forze politiche e non solo di quelle comuniste. E’ il
caso dei principali partiti europei quali i francesi, gli italiani e gli spagnoli, nessuno dei quali è oggi
favorevole a dar vita anche in forme rinnovate al movimento comunista internazionale.
Ciò che rende impraticabile la riorganizzazione di un movimento di PC è la differenziazione
ideologica che si è avuta all’interno delle stesse forze comuniste, come d’altra parte l’emergere di
un pluralità di forze anticapitaliste non riconducibili ad un unico contenitore. Non è quindi un caso
che le forze che più sono impegnate in una direzione restauratrice sono quelle che propongono
piattaforme ideologiche più che elementi di iniziativa politica ed anche quelle meno aperte al
necessario processo di rinnovamento.

BOX

ADERENTI AI PARTITI COMUNISTI


(questa lista comprende i principali partiti dei quali è nota la consistenza organizzata)

Europa occidentale

PC Francese 300.000
PC Portoghese 140.000
PRC Italia 130.000
PC Spagnolo 47.000
PC Greco 30.000
AKEL Cipro 16.000
PC Finlandese 10.000

Europa centro-orientale ed ex URSS

Unione dei PC-PCUS 1.500.000


di cui
PC Federazione Russa 540.000
PC Ucraino 120.000
PC Armeno 50.000
PC Operaio Russo 50.000

PC Boemo-Moravo 160.000
Sinistra Unita Iugoslava 150.000
Partito Operaio Ungherese 30.000
PC Slovacco 20.000

Africa

PC Sudafricano 75.000

Asia

PC Cinese 54.000.000
Partito del lavoro Corea 3.000.000
PC Vietnamita 2.196.000
PC Indiano (Marxista) 703.000
PC Indiano 468.000
PC Giapponese 360.000
PC Nepal (UML) 83.000
Partito Rivol. Popolare Laos 78.000

America

PC Cubano 770.000
PC del Brasile 200.000
PC Cileno 70.000
PC Colombiano 51.000

Fonti: diverse
Lo zapatismo globale
Il movimento neozapatista messicano, nella forma dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale
si è presentato al mondo il 1° gennaio 1994 con l’occupazione della cittadina di S. Cristobal de las
Casas in Chiapas. La data coincideva con l’entrata in vigore dell’ALENA (o NAFTA in inglese),
l’accordo di libero scambio tra Stati uniti, Canada e Messico, strumento importante per la
promozione del liberismo e dell’egemonia statunitense nell’ambito del nord America. Il movimento
indios, con una iniziativa clamorosa in una realtà del tutto periferica dello stato messicano, cercava
di mettere in evidenza le contraddizioni sottostanti al presunto ingresso nella modernità capitalistica
del Messico. Una sfida che appariva del tutto impari, data la modestia dei mezzi militari di cui
l’Esercito zapatista poteva disporre, e la marginalità del soggetto sociale di cui il movimento era
l’espressione, ovvero alcune comunità indios che vivono al confine tra Messico e Guatemala.
Eppure quella iniziativa apriva una crepa, per quanto piccola, in una struttura che appariva
solidissima e ormai inattaccabile. Abilità mediatica, è stato detto da molti, che ha permesso di
costruire una guerra virtuale sul terreno ma capace di mandare messaggi e suggestioni in molte parti
dal mondo, tali da suscitare interesse, curiosità, e solidarietà.
Lo zapatismo e il suo esponente pubblico, il subcomandante Marcos, sono stati oggetto
anche a sinistra di reazioni molto diverse che vanno dallo sfottimento (vedi certe dichiarazioni di
esponenti del PDS e articoli dell’Unità) a manifestazioni di entusiasmo acritico. Ma al di là di
questi estremi si è guardato da più parti allo zapatismo, come ad un fenomeno interessante ed
importante della nuova fase aperta dal crollo del socialismo cosiddetto reale.
Fin dall’inizio Marcos e l’EZLN hanno voluto dare una dimensione globale alla loro
iniziativa, non tanto nella volontà di proporsi come modello esportabile quanto nel focalizzare
movimenti, esperienze, persone che vogliano contrastare il neoliberismo in nome di una serie di
valori di giustizia, libertà, solidarietà. L’intreccio culturale rappresentato dalle riflessioni
autocritiche di militanti dell’estrema sinistra marxista-leninista messicana con l’esperienza concreta
dell’oppressione delle etnie indie del sud del Messico e della loro visione del mondo, ha prodotto
una miscela intellettualmente interessante anche se non priva di contraddizioni e approssimazioni.
La proiezione internazionale dell’EZLN nasce come necessità, per non essere militarmente
schiacciati dall’esercito e dalle guardie bianche, ma è anche frutto di una analisi della situazione
mondiale che coglie l’elemento globale dell’egemonia liberista e di come un conflitto come quello
che oppone gli indios allo stato messicano e all’oligarchia locale vada affrontato non come
problema di arretratezza di una situazione (pur essendo frutto di centinaia di anni di storia), ma
come parte della modernità del conflitto tra il capitalismo attuale e la maggioranza dell’umanità.

Il primo Incontro intercontinentale per l’umanità e contro il neoliberismo

Attraverso l’Incontro intercontinentale della fine di luglio del 1997, gli zapatisti hanno costruito una
tribuna di riflessione e di proposta rivolta alla sinistra mondiale. Dato il carattere stesso della
guerriglia zapatista, che esalta il ruolo della società civile come agente del cambiamento
(riducendo, ma non eliminando, quello dei partiti politici) e che si propone non di conquistare il
potere ma di costringere il potere a misurarsi con i bisogni e le aspirazioni della società, l’incontro
non poteva essere rivolto a delegazioni di partiti e pertanto si distingue nettamente da tutte le altre
forme di azione internazionale considerate in questo quaderno.
L’EZLN ha lanciato con la prima dichiarazione della Realidad un appello a tutte le forze
contrarie al neoliberismo a realizzare degli incontri continentali che sarebbero poi dovuti culminare
in un incontro finale nel Chiapas. L’invito ha fatto sì che si realizzassero dei coordinamenti
nazionali i quali a loro volta si sono confrontati per promuovere un incontro a livello continentale.
Riunioni si sono tenute a Berlino con i gruppi europei e nel Chiapas per le realtà americane. Sono
queste le due aree continentali nelle quali le idee zapatiste hanno trovato maggiore eco, come hanno
confermato le presenze all’incontro finale dell’estate ’97. Mentre sono state poco coinvolte l’Asia
(ad eccezione di Australia e Filippine), l’Africa e il Medio oriente.
Molto eterogenee sono state anche le forze e le correnti politiche coinvolte, alcuni partiti
comunisti (come Rifondazione comunista e il PC Francese) e della sinistra alternativa (Izquierda
unida), vari settori dell’estrema sinistra trotzkista e maoista, gruppi anarchici, ma soprattutto realtà
di base (come i centri sociali italiani), gli autonomi tedeschi, gruppi alternativi di vario genere,
intellettuali e figure pubbliche con una certa notorietà che hanno partecipato all’appuntamento
finale (Eduardo Galeano, Danielle Mitterrand, Alain Touraine).
All’incontro intercontinentale realizzatosi nelle cinque Aguascalientes, i villaggi costruiti
dagli indios zapatisti per ospitare i partecipanti, hanno preso parte dalle 3 alle 4.000 persone in
rappresentanza di 43 paesi. Le delegazioni più numerose erano quelle francese, italiana e spagnola
con circa 200 partecipanti ciascuna. La maggior parte dei partecipanti stranieri non erano militanti
o esponenti di forze politiche. Per quanto riguarda la rappresentanza latinoamericana la presenza di
delegazioni rappresentative dei partiti di sinistra è stata limitata dal contemporaneo svolgimento
dell’appuntamento annuale del Foro di S. Paolo.
Il dibattito è strato strutturato attorno a cinque temi (definiti come Tavoli): 1) politica, 2)
economia, 3) cultura, 4) società civile, 5) minoranze etniche. Alcuni di essi si sono poi strutturati in
gruppi più piccoli, anche per consentire una più ampia partecipazione, come nel caso del primo
tavolo. Oltre agli interventi nel corso dei lavori era possibili presentare relazioni scritte (sui temi
politici ne sono state presentate 110).
A conclusioni dei lavori dei gruppi sono stati elaborati dei documenti riepilogativi, in parte
di analisi e in parte di proposta, che cercavano di realizzare una prima sintesi, mantenendo il
carattere di materiali aperti dal quale far emergere lo stato del dibattito in corso.
Un punto comune ai partecipanti è stato l’individuazione del neoliberismo, al di là delle
diverse forme nazionali che può adottare, come un’offensiva globale contro la vita e contro l’uomo,
di portata planetaria. Le sue conseguenze sono l’impoverimento, la disoccupazione, lo
smantellamento dei diritti sociali, la privatizzazione dei beni e dei servizi pubblici, la distruzione
dell’ambiente, la rottura delle organizzazioni sociali, l’autoritarismo, la dittatura ideologica,
l’atomizzazione sociale e la riconduzione dell’essere umano alla logica del denaro e del mercato. Il
documento espresso da uno dei sottogruppi del tavolo politico definisce il neoliberismo come la
forma ideologico-discorsiva adottata dalla ristrutturazione mondiale del dominio capitalistico,
iniziata con lo scoppio della crisi mondiale del 1974. Questa ristrutturazione ha rotto con il vecchio
modello di accumulazione keynesiano che, come risposta alla crisi degli anni trenta, aveva
permesso la lunga fase espansiva del secondo dopoguerra.
Il neoliberismo ha determinato una serie di trasformazioni nel campo della società, dello
stato, della cultura e della politica: l’universalizzazione del potere del denaro e l’incorporazione di
comunità, paesi e regioni intere in una nuova divisione internazionale del lavoro disegnata dai
grandi centri finanziari, l’inefficacia del potere statale per il progetto di ristrutturazione
capitalistica, il progressivo smantellamento dei sistemi di sicurezza sociale la privatizzazione di
beni e servizi pubblici, la costruzione di un potere autocratico multinazionale, interstatale, al di
sopra degli stati e dei governi nazionali.
Come si resiste al potere autocratico globale del capitale? E’ questo il tema che si è posto un
secondo gruppo di discussione il cui documento, piuttosto breve, dopo aver riproposto una analisi,
sostanzialmente simile a quella dell’altro gruppo già citato, sulla globalizzazione e sulla crisi dello
stato nazionale, mette in evidenza la crisi delle organizzazioni tradizionali (partiti, sindacati) per cui
lavoratori, immigrati, donne, giovani si sono trovati costretti a cercare nuove strade e nuove forme
di organizzazione per resistere al neoliberismo. Nei paesi meno sviluppati la lotta è stata più
difficile per l’acutizzazione massiccia della povertà. Nei paesi sviluppati i lavoratori si sono trovati
con le loro vecchie armi (lo sciopero, la mobilitazione sindacale) spuntate perché la loro nuova
composizione, ridimensionata dalle tecnologie avanzate e sottomessa alle nuove condizioni di
lavoro e di vita, li ha costretti ad utilizzarle sempre meno di fronte alla minaccia di grande quantità
di manodopera a basso costo che costituisce il maggior esercito industriale di riserva che abbia mai
avuto il capitale nella sua storia.
Il limite principale di queste lotte contro gli effetti negativi del neoliberismo è di essere state
isolate, locali e molte volte incapaci di identificare il vero nemico. Per questo si rendono necessarie
nuove forme di organizzazione e di lotta. Quali siano gli elementi caratterizzanti di queste nuove
forme il documento non lo specifica. La conclusione prefigura un fronte internazionale contro il
neoliberismo che abbia come caratteristiche la orizzontalità e un funzionamento democratico, nella
forma di una rete di informazione che parta dal locale e tenda ad ampliare la portata delle lotte fino
al piano internazionale, che promuova azioni coordinate e che impedisca la burocratizzazione
tramite la presa delle decisioni dal basso.
E’ un altro documento, frutto di un altro gruppo di discussione, a fornire maggiori elementi
di riflessione sulle nuove forme “di dire e fare la politica”. Innanzitutto occorre partire dal rispetto
della diversità, riconoscendo l’altro come legittimo, e dal rispetto dell’autonomia. Sono questi i
punti di partenza per relazioni orizzontali. Se si vuole costruire una forza politica bisogna essere
tolleranti, saper ascoltare gli altri, trovare meccanismi democratici per annullare le differenze,
rompere con la disperante burocratizzazione dei nostri strumenti di lotta. Le lotte sociali della fine
del secolo si devono dirigere verso un ampliamento continuo della capacità della società civile di
determinare liberamente la forma degli organi delle cosiddette società democratiche, di partecipare
direttamente all’esercizio del potere che viene delegato a tali organi, e di sottometterli al proprio
controllo.
Di fronte all’arrivismo e alla corruzione, di fronte alla burocrazia e alla verticalità che
avvolge oggi il potere e stravolge la democrazia, si deve far procedere la proposta innovatrice che
viene dagli zapatisti di “comandare obbedendo”, di servire e non servirsi, di rappresentare e non
soppiantare, di costruire e non distruggere, di proporre e non imporre, di convincere e non vincere.
La proposta zapatista mira a costruire organizzazioni aperte, orizzontali ed includenti. Un potere
diverso si può costruire facendolo nascere meno dall’interno dello stato di quanto non sia
tradizionalmente accaduto e spostandone l’asse verso la società.
La formula del “comandare obbedendo” utilizzata da Marcos e dagli zapatisti, viene
presentata nel documento come la sintesi di una nuova concezione del potere. Essa è stata però
criticata anche a sinistra (si veda l’articolo di Guillermo Almeyra citato in bibliografia) così come
altri aspetti delle tesi zapatiste. Per Almeyra la frase “comandare obbedendo” è una stupidaggine
perché la democrazia si oppone sia al comandare che all’obbedire, perché il cittadino deve
partecipare, con gli altri e in uguaglianza di condizioni, all’elaborazione delle regole (a cui non
obbedisce ma che rispetta perché sono un suo frutto e possono essere da lui modificate) e non può
comandare a suoi uguali neanche quando, per ragioni tecniche, dà loro istruzioni e direttive. La
critica di fondo all’uso estensivo di questa formula per Almeyra deriva dal pericolo di
idealizzazione di un esercito contadino che ha come punto di appoggio urbano tutta una gerarchia di
piccoli “commissari politici” in pectore. Sotto questo aspetto gli zapatisti non hanno superato il
vecchio e non rappresentano il nuovo né lo potranno fintanto che non diverranno un movimento
moderno e di massa e non solamente il suo germe.
L’esigenza di un potere diverso sia da quello del capitalismo neoliberista, sia da quello
burocratizzato ed autoritario del “socialismo reale”, è affermata nelle tesi zapatiste ed è ampiamente
ripresa dai documenti dell’Incontro intercontinentale, ma essa resta lontana dall’essere
concretizzata anche in termini generali.
Dai molti materiali prodotti nell’incontro della Realidad vi sono due documenti che
meritano, per l’interesse dei temi affrontati, di essere ripresi in questa sede.
Nell’ambito del tavolo politico un gruppo ha affrontato l’interrogativo del che fare con il
passato, alla luce della caduta del muro di Berlino che, si afferma, ha un significato enorme per i
rivoluzionari di tutto il mondo, ma sul significato di tale avvenimento non c’è una interpretazione
unica. La varietà di posizioni è sintetizzata attorno a due letture. La prima è di chi pensa che si
debba utilizzare la memoria dei vecchi movimenti, e che si debba tornare a pensare Marx, Lenin,
Gramsci, Mao, Trotzky, Che Guevara ed altri. Non è necessaria una nuova ideologia rivoluzionaria
perché continua ad essere valido il socialismo democratico. La seconda è di chi ritiene che non si
debbano riscattare le vecchie ideologie delle sinistre ma costruirne una sostanzialmente nuova,
piena dei valori umanisti. Delle vecchie ideologie si dovrà imparare a non ripetere gli errori. Con
una formula sintetica si dice che è necessario fondare quello che non esiste e non rifondare quello
che non esiste più. Molti dei sostenitori di questo nuovo inizio ritengono che lo zapatismo sia il
miglior esempio del nuovo pensiero rivoluzionario.
Che cosa propone di nuovo lo zapatismo rispetto alla tradizionale pratica ideologica della
sinistra: non un nuovo modello rivoluzionario, quanto una nuova utopia radicale ed etica fondata
sulla democrazia radicale, non una ideologia chiusa quanto uno stile di azione. La sua proposta di
non lottare per il potere rompe con il passato e lo rende inassimilabile a qualsiasi ideologia. Per
queste ed altre caratteristiche è una proposta concreta che si può riprendere in altre parti del mondo.
Lo zapatismo apporta alla lotta rivoluzionaria la sua opposizione agli avanguardismi
autoproclamatori, l’antielitismo, le nuove forme di organizzazione e comunicazione collettiva, la
nuova politica del comandare obbedendo e l’inserimento definitivo di due nuovi soggetti
rivoluzionari: gli indigeni e le donne. Esso dichiara che l’obbiettivo della rivoluzione non è la
conquista, ma la costruzione di una nuova forma di società cooperativa e solidale.
Con l’emergere pubblico del movimento zapatista il 1° gennaio 1994 si mette fine ad un
lustro di confusione nel movimento rivoluzionario mondiale, derivato da una insufficiente
autocritica e critica delle esperienze di edificazione socialista.
Infine gli zapatisti, è scritto ancora nel documento, hanno la democrazia diretta come forma
di vivere, ma come è possibile riprendere la democrazia diretta sotto altre latitudini? Per costruire la
democrazia che vogliamo bisogna capire i limiti di quella che conosciamo, ma anche preservare le
conquiste ottenute dalle generazioni che hanno lottato in passato. La democrazia esistente è
insufficiente, ma non inutile, in quella che si vuole costruire il potere deve essere visto come un
servizio alla comunità, in cui predomini l’autogestione, il decentramento, l’autonomia e il principio
della revoca.
Un’altra domanda chiave alla quale ha cercato di rispondere uno dei sottogruppi del tavolo
economico è questa: è possibile un’alternativa a questo sistema? A questa si collegano altre
domande quali: esiste già un modello alternativo o è necessario costruirlo?; il processo alternativo
può ricevere impulso dallo stato o fuori di esso?.
La discussione ha prodotto una risposta unanimemente favorevole alla prima domanda, e
questo, data la sede, era abbastanza scontato. Non si può dire però che il documento si avvicini
significativamente ad una risposta compiuta. Si dice che l’alternativa esiste ma non ha una forma
unica, né obbedisce a ricette, modelli rigidi o preconcetti. Sono relativamente chiari i principi ai
quali essa si deve richiamare come la giusta redistribuzione del benessere, inoltre non dovrebbe
promuovere il consumismo o la produttività del lavoro, ma rispettare l’ambiente. Si citano poi
alcuni esempi di lotte e di esperienze che contrastano il liberismo e più in generale il capitalismo,
come le ricerche di esperienze alternative nella produzione agricola, che cercano di ridurre l’uso e
l’impatto di prodotti nocivi, le azione di ampi fronti per l’abolizione del debito estero per i paesi del
terzo mondo, la stessa resistenza zapatista, come esempio di lotta per il miglioramento della qualità
della vita.
Sul ruolo che deve e può svolgere lo stato nella costruzione di un alternativa, il documento
indica alcuni punti discussi mettendo in evidenza che su di essi non si è raggiunta una posizione
unitaria. Molti dei modelli statali esistenti (compresi quelli basati sulla pianificazione dello Stato)
hanno fallito, il che non significa, necessariamente, che la pianificazione della produzione sia
inutile. Essa deve essere portata avanti in maniera non burocratica. L’assemblea ed i consigli operai
e contadini rappresenterebbero una forma alternativa al controllo statale della produzione ed una
garanzia di protezione delle risorse naturali. Le autonomie locali possono rappresentare un
contrappeso al potere dello stato.
Sul piano delle proposte il documento avanza alcune idee che vanno dalla formulazione di
un nuovo concetto di progresso o sviluppo che non sia capitalista-quantitativo, alla formazione di
reti di comunicazione e informazione credibili, alla trasformazione di tutte le Costituzioni politiche
che non rispettano le aspirazioni ad una democrazia avanzata, al dare impulso a reti di commercio
che promuovano, prima che la produzione per l’esportazione, l’economia locale e la sua
integrazione con la comunità, all’attuazione di uno sciopero della società civile per dare impulso
all’introduzione di una imposta sulla speculazione finanziaria, la cui riscossione sia destinata a
progetti socio-ecologici contro la povertà.
Il contenuto delle elaborazioni e proposte dei cinque tavoli sono stati riportati nella fase
finale dell’Incontro, ad una assemblea generale di tutti i partecipanti. L’Incontro non ha prodotto un
documento conclusivo unico approvato dai presenti, ma sono stati gli stessi zapatisti con la
“Seconda dichiarazione della Realidad per l’umanità e contro il neoliberismo” a farsi carico di
indicare i possibili sviluppi dell’iniziativa. Non è prevista la nascita di una organizzazione a livello
mondiale e quando gli zapatisti parlano di Internazionale della speranza fanno riferimento ad una
idea piuttosto che a una struttura. D’altronde il concetto chiave contenuto nella Seconda
dichiarazione è quello della rete, che indica una forma non gerarchica di relazione, esistente a
livello orizzontale e formata da un insieme di forze ,gruppi e persone che si attivano e si collegano
fra loro. L’obbiettivo è realizzare una rete collettiva di tutte le lotte e di tutte le resistenze
individuali. Questa rete intercontinentale di resistenza sarà il mezzo con il quale le diverse
resistenze si aiuteranno l’una con l’altra, non è una struttura organizzativa, non ha un centro
direttivo o decisionale, non ha deleghe centralizzate, né gerarchie, “la rete siamo tutti noi che
resistiamo”. Affiancata a questa una rete di comunicazione alternativa attraverso la quale le singole
resistenze comunicheranno fra di loro.
In conclusione gli zapatisti propongono che si tenga per l’anno successivo (estate 1997), un
Secondo incontro intercontinentale che abbia sede in Europa.
Il bilancio complessivo che viene tratto dell’incontro della Realidad da quasi tutti coloro che
vi hanno partecipato, è che si è trattato di un successo. Esso ha rappresentato indubbiamente un
momento importante di solidarietà con la causa zapatista, sempre a rischio di essere cancellata con
mezzi militari, o di essere fatta esaurire per mancanza di risultati concreti, con accordi mai rispettati
e impegni da parte statale mai concretizzati.
La presenza di tante persone provenienti da realtà diverse e con profili politici e culturali
tanto differenti (un fatto che difficilmente può essere oggi realizzato da altre organizzazioni) ha
confermato che il discorso zapatista ha suscitato attenzione e interesse nella sinistra diffusa a livello
mondiale, soprattutto in coloro che non si ritrovano nelle attuali forze politiche.

Il Secondo incontro intercontinentale.

La Spagna ha ospitato nell’agosto 1997 il Secondo appuntamento intercontinentale, accogliendo


circa 2.500 partecipanti. La struttura dell’incontro è rimasta abbastanza simile alla prima (anche se
con una accentuata disorganizzazione, come hanno lamentato molti partecipanti). I lavori sono stati
organizzati per Tavoli che poi si sono a loro volta suddivisi in gruppi più piccoli alfine di consentire
una discussione più omogenea. Ogni gruppo ha prodotto dei materiali e dei documenti di sintesi
della discussione. Tutto questo è poi stato riportato nella seduta finale conclusiva. L’esercito
zapatista era presente con i delegati Dalia e Felipe, e per la prima volta una delegazione dell’EZLN
usciva fuori dal Messico.
La partecipazione si è allargata ad alcuni Paesi asiatici e del Medio oriente assenti l’anno
precedente portando a 45 le nazioni presenti all’Incontro. La delegazione di gran lunga più
numerosa è stata quella italiana con 900 partecipanti, persino più degli spagnoli che erano 400,
mentre un centinaio venivano dall’America del nord e del sud. Il profilo dei partecipanti è rimasto
molto diversificato: attivisti di ONG, sindacalisti, femministe, ecologisti, religiosi, pacifisti ed
esponenti di guerriglie nazionaliste (come il PKK curdo), organizzazioni indigene (il Consiglio dei
popoli maya del Guatemala), contadine (il Movimento dei Senza Terra brasiliano, il KMP
filippino).
La diversa dislocazione geografica ha immediatamente prodotto una minore o nulla
attenzione da parte dei grandi media internazionali, che invece erano largamente presenti alla
Realidad l’anno precedente. Lo stesso quotidiano spagnolo El Pais che aveva mandato un proprio
inviato speciale a seguire i lavori del primo incontro ha pressoché ignorato il secondo
appuntamento. Assenti erano anche quelle personalità, più o meno credibili, che l’anno precedente
si erano scomodate per visitare le Aguascalientes zapatiste.
“Per un mondo che contiene molti mondi” è il tema che riassume le questioni affrontate
negli otto giorni di dibattito, articolate in: economia, politica, cultura, terra, emarginazione e lotta
contro il patriarcato.
L’obbiettivo principale di questo Secondo incontro era quello di verificare lo stato di
attuazione di quella rete intercontinentale di lotta e di comunicazione che era stata proposta alla
Realidad; contemporaneamente si trattava di sviluppare le analisi e le proposte elaborate dai tavoli
del primo incontro, stimolanti ma su molti aspetti carenti e confuse. La pubblicazione dei materiali
(che al momento di scrivere non mi è ancora disponibile) consentirà una valutazione più precisa, ma
stando a quanto si è potuto leggere nei siti internet dedicati al Secondo incontro, non sembra vi
siano stati passi avanti veramente significativi
Alla conclusione del secondo Incontro è stato approvato un documento che si pone
soprattutto due obbiettivi ribadire e definire con più precisione il concetto di rete e come questa si
può concretizzare e fissare in una serie di proposte di iniziative militanti globali.
La rete viene proposta come il paradigma di una nuova maniera di lottare contro questo stato
di cose (il liberismo e il capitalismo) in quanto essa è per definizione versatile ed aperta e comporta
inoltre bassi costi di mantenimento.
Che cosa si intenda per rete viene ulteriormente precisato:
A) Una rete di informazione che configura uno spazio di comunicazione e di riflessione con
un flusso continuo di dati, informazioni e denunce a partire dalla pratica quotidiana di tutte le realtà
coinvolte.
B) Una rete di prevenzione ed azione che possa anticipare e risolvere i problemi prima che
sia troppo tardi e, contemporaneamente, moltiplicare e combinare forze tra loro diverse.
C) Una rete di esperienze, concezioni, metodi, capacità e relazioni personali che permetta
l’incontro e l’arricchimento di popoli, culture, collettivi ed individui così come la scoperta di
alternative sociali ed economiche che portino a scelte in armonia con le persone e con il pianeta che
abitiamo.
Dal punto di vista di un possibile bilancio il documento valuta che la rete per l’umanità e
contro il neoliberismo stia cominciando ad esistere in primo luogo nello spazio europeo e
americano. Allo stesso tempo, si vede una crescente partecipazione di persone e rappresentanti di
movimenti sociali di altre parti del mondo: Asia, Africa, i paesi dell’est europeo e Oceania. Questo
è solo l’inizio e il cammino da percorrere è ancora molto lungo. Una maniera di stimolare questa
dinamica è impiegare le strutture di coordinamento regionale già esistenti, create per organizzare
l’Incontro spagnolo. Accanto al lavoro di rafforzamento della rete a livello planetario, è importante
rafforzare i contatti con tutte le reti di carattere settoriale come quelle che operano nel campo della
salute, della lotta antinucleare, dell’ecologia, dell’informazione, le donne femministe e lesbiche, la
libera circolazione e la cittadinanza globale.
Infine vengono proposte dieci azioni e campagne, alcune lanciate specificamente
dall’incontro, altre già in corso e per le quali si auspica un impegno di sostegno. Viene lanciata una
campagna contro l’Organizzazione mondiale del commercio che dovrebbe culminare in occasione
del summit ufficiale del’OMC nel maggio 1998, mentre si invita al sostegno contro i vari trattati
regionali come il NAFTA, Mercosur, APEC, Maastricht. Si propongono per l’ottobre (1997)
manifestazioni di denuncia dell’imperialismo del Nord in coincidenza con la catena umana
dall’America centrale a New York. Si chiede il boicottaggio delle compagnie multinazionali che si
distinguono per pratiche antisindacali, inquinamento o sfruttamento dei popoli indigeni, e vengono
citate la Shell, la Nestlé, la Nike e la Siemens. Alcune giornate dovrebbero essere dedicate a temi
specifici come la denuncia delle condizioni dei prigionieri politici (9 febbraio 1998), contro il
patriarcato (25 novembre 1997), in favore delle donne (1° gennaio 1998), per un’alimentazione
sana (14 dicembre). Infine si denuncia il trattato di Schengen e i centri di internamento e di
segregazione per gli emigranti.
Questo programma ambizioso di campagne e iniziative non sembra avere avuto fin ad oggi
un impatto significativo, peraltro alcune giornate di iniziativa hanno obbiettivi troppo generici, o
arretrati rispetto al dibattito delle forze che dovrebbero animarle (si veda, ad esempio, la giornata
“in favore delle donne”).
E’ previsto che si tenga un terzo incontro intercontinentale nel 1998 (le ipotesi avanzate in
Spagna per una possibile sede sono il Messico, il Brasile, l’Australia e il Marocco), ma si ipotizza
la possibilità di rendere l’appuntamento biennale.

Quale futuro per un internazionale zapatista?

Alla luce dei due incontri intercontinentali si possono vedere i pregi ma anche i limiti dell’iniziativa
promossa dagli zapatisti messicani. Il primo incontro ha certamente rappresentato un’occasione
utile per favorire una ripresa del dibattito internazionale della sinistra antagonista, cercando di
guardare a di là di schemi ideologici antiquati senza perdere la carica di radicalità e di contestazione
dell’egemonia neoliberista
Certamente non è intenzione degli zapatisti proporsi come partito-guida di una serie di forze
che ad esso si riconoscano, ma quello di mettere in comunicazione correnti politiche, ideologiche,
forme organizzative tra loro diverse e in molti casi non comunicanti. La sottolineatura zapatista del
ruolo della società civile, il fatto che lo stesso discorso proposto da Marcos sia chiaro nel rifiutare
le logiche avanguardiste e militariste (in senso lato), ma molto meno definito su tante altre questioni
di programma e di strategia, dovrebbe evitare che si cristallizzi una corrente politico-ideologica che
si affianchi ad altre prodotte dalla storia del movimento operaio e della sinistra nel corso dei
decenni passati. Anche se in alcuni documenti del primo incontro della Realidad si nota qualche
tentativo di far assumere al concetto del “comandare obbedendo” e ad altre formule usate
dall’EZLN nelle sue espressioni pubbliche, una valenza eccessiva, che esse in realtà non hanno.
L’utilità degli incontri intercontinentali per l’umanità e contro il neoliberismo dovrebbe
consistere nel poter mettere a confronto la sinistra dei partiti con la sinistra della società civile in
modo da favorire la crescita di entrambe, e la progressiva convergenza attorno ad un programma di
lotte e di iniziative, e ad un progetto di alternativa al neoliberismo, mettendo in comune idee,
strumenti e risorse, pur nel mantenimento dell’autonomia e del pluralismo. Il rischio è che diventi
invece la sede di un’area via via più ristretta di soggetti certamente alternativi ma sostanzialmente
marginali e senza capacità vera di incidere sui grandi conflitti che l’evoluzione del capitalismo ha
aperto e ancora di più aprirà nel futuro, rigettando il confronto con le forze politiche che pure si
collocano sul terreno della trasformazione della società.
I centri dell’estrema sinistra
La definizione di ‘estrema sinistra’, che qui si utilizza, è abbastanza imprecisa e discutibile
in quanto raccoglie tendenze e organizzazioni che hanno posizioni politiche, strategie, riferimenti
ideologici tra loro opposti. Per quanto insoddisfacente consente comunque di raggruppare un
insieme di realtà che si collocano alla sinistra delle due maggiori correnti storiche del movimento
operaio: la socialdemocrazia (nelle sue varie espressioni) e il comunismo (identificato in questo
caso con la corrente maggioritaria per lungo tempo sotto la guida dell’Unione Sovietica).
Le organizzazioni di estrema sinistra si considerano in generale le autentiche espressioni
dello spirito rivoluzionario in contrasto con il riformismo, il revisionismo del resto della sinistra,
anche se come spesso succede non sempre la pratica politica di organizzazioni che si collocano sul
versante radicale dello spettro politico corrisponde effettivamente a questa autovalutazione.
In gran parte i partiti e i gruppi (spesso di dimensioni molto modeste) che rientrano sotto
questa classificazione, derivano da due diverse scissioni del movimento comunista.
La prima risale agli anni ’20, con la spaccatura avvenuta nel gruppo dirigente del partito
bolscevico russo, dopo la morte di Lenin, tra Stalin e Trotsky.Quest’ultimo, politicamente sconfitto,
emarginato e poi perseguitato fino all’assassinio, diede vita prima ad una opposizione di sinistra
russa e poi ad una opposizione di sinistra internazionale. Il rivoluzionario russo, che aveva avuto un
ruolo di primissimo piano nella rivoluzione d’Ottobre, secondo solo a Lenin, contestava in
particolare la tesi, lanciata da Stalin e da suoi seguaci, della possibilità di costruire il socialismo in
un Paese solo, ovvero nell’Unione sovietica, rimasta isolata sul piano mondiale per effetto del
mancato successo dei tentativi rivoluzionari operai in altri paesi, in particolare in Germania.
Nell’arco di una decina d’anni Trotsky sviluppava una critica complessiva alla politica staliniana,
per come si veniva svolgendo sia all’interno dell’Unione sovietica che attraverso il Comintern. Nel
1938 i gruppi trotzkisti davano vita, in un congresso clandestino, tenuto alla periferia di Parigi, alla
IV Internazionale, dalla quale hanno avuto origine una miriade di gruppi nazionali e di tendenze
internazionali rivali.
La seconda scissione, nasce dal conflitto che vede protagonisti l’URSS e la Cina, e risale
all’inizio degli anni ’60. I cinesi sotto la guida di Mao Ze-dong, contestavano la politica di
coesistenza pacifica dei sovietici, rilanciando l’inevitabilità di una guerra mondiale tra i due sistemi,
negavano validità all’opzione parlamentare e pacifica nell’avvicinamento al socialismo da parte dei
partiti comunisti, anche di quelli dei Paesi capitalisti sviluppati, e mettevano al centro della
prospettiva rivoluzionaria i Paesi del terzo mondo.
Nel corso della storia del movimento comunista non sono state queste le uniche divisioni ad
avere avuto una dimensione internazionale. Già nei primi anni del Comintern si formavano
tendenze marxiste radicali, con cui Lenin polemizzò aspramente. Si formò anche una internazionale
rivale, L’Internazionale comunista operaia (Kai in sigla tedesca), che aveva seguaci soprattutto in
Olanda, Germania e Bulgaria. Nel giro di pochi anni si frantumò in una quantità di piccole sette
senza più influenza politica, mantenendo una più limitata influenza intellettuale. Ancora oggi vi
sono piccoli gruppi organizzati a livello internazionale che si richiamano alla sinistra comunista
olandese e tedesca, così come altri si richiamano a Bordiga e alla frazione di sinistra del PC d’Italia,
esclusa alla fine degli ani ’20. Si tratta di gruppi la cui attività è quasi esclusivamente pubblicistica,
con un seguito complessivo di qualche decina di persone, e un’influenza che non esce da una
cerchia ristrettissima, e a sua volta percorsa da feroci polemiche e contrapposizioni.
Un’altra opposizione alla corrente principale del movimento comunista, che fu definita però
di destra, si formò alla fine degli anni ‘20, attorno alle posizioni di Bucharin (anche se il dirigente
russo, a differenza di Trotzky, non diventò il leader della tendenza che ad esso si richiamava).
Gruppi tedeschi, americani, svedesi e di altri Paesi diedero vita ad un raggruppamento
internazionale (l’Unione internazionale dell’opposizione comunista) che contestava la politica
estremista detta di “classe contro classe”, perseguita dal Comintern, dalla fine degli anni ’20, ai
primi anni ’30. Solo in Germania piccoli gruppi organizzati attorno ad alcune riviste
(Arbeiterstimme, Arbeiterpolitik) hanno continuato a richiamarsi a questa tendenza.

Gli eredi del conflitto Cina-Urss

Il movimento filocinese non è riuscito a costruire una vera alternativa alla corrente maggioritaria.
Esso stesso si è poi diviso in varie sottotendenze, via via che si sono registrate la rottura tra Cina e
Albania, e poi la demaoizzazione della Cina stessa. Così i partiti nati genericamente come filocinesi
e maoisti negli anni ‘60, si sono suddivisi in maoisti radicali contrari alla nuova direzione cinese,
maoisti moderati filocinesi, filoalbanesi, e altre varianti minori.
In molti Paesi questi gruppi politici, che avevano ottenuto consensi soprattutto in settori
giovanili, si sono dissolti, o comunque si sono fortemente ridimensionati. La stessa scomparsa
dell’Unione Sovietica (che pure queste forze non consideravano più come socialista) ha avuto un
impatto nelle organizzazioni “anti-revisioniste”.

I seminari di Bruxelles

Il Partito del Lavoro del Belgio (PTB) si è fatto promotore a partire dal 1993, di seminari
internazionali di partiti e gruppi comunisti con l’obbiettivo di cercare la strada per una
riunificazione del movimento comunista internazionale.
Il PTB ha le proprie radici in un movimento di ispirazione maoista fondato da un gruppo di
dirigenti e militanti del ‘68 belga. Fu l’Universita’ cattolica di Lovanio a costituire la culla di questa
organizzazione che e’ riuscita a sopravvivere alla crisi che, a partire dalla seconda metà degli anni
’70, ha colpito un gran numero di organizzazioni filocinesi. Il PTB ha continuato a guardare con
favore alla Cina, benché essa con la direzione dengista si sia allontanata di molto dalle tesi di Mao,
mantenendo contemporaneamente un giudizio favorevole sulla rivoluzione culturale.
Con il crollo del socialismo reale il PTB ha intravisto la possibilità di superare la
frammentazione delle varie tendenze marxiste-leniniste del comunismo, indipendentemente dal
fatto che queste fossero state favorevoli all’URSS, alla Cina, all’Albania o a Cuba.
Ciò che si propone il PTB è di avvicinare tutti quei partiti e gruppi che non sono d’accordo
con la condanna di Stalin operata al 20° congresso del PCUS, con le riforme kruscioviane, e men
che meno con la perestrojka. Non viene avanzata per il momento la proposta di dar vita ad una
nuova internazionale comunista, in quanto, si dice, non vi è nessun partito che abbia il peso politico
e l’autorità del PCUS dei tempi di Lenin e di Stalin, ma è possibile dar vita ad un quadro di attività
comuni.
Il PTB ha appoggiato la dichiarazione di Pyongyang e negli ultimi anni ha stretto rapporti
molto fitti con il Partito del lavoro coreano. Dei partiti rimasti al potere questo è considerato quello
più coerentemente marxista-leninista e antirevisionista.
Ludo Martens, leader del PTB, in un testo intitolato ‘Per l’unità del movimento comunista
internazionale (MCI)’ ha enunciato alcuni principi: 1) L’MCI è nato dal II Congresso del
Comintern nel 1920, la sua unità strategica si è mantenuta fino al 1956 e il 19° congresso del PCUS
è stato la sede per l’ultima grande manifestazione unitaria del movimento. L’MCI deve rivendicare
questo passato storico comune. 2) Occorre approfondire la critica del revisionismo di Gorbaciov,
espressione politica e ideologica della nuova borghesia che ha condotto direttamente alla
restaurazione capitalista. 3) Occorre riaprire la discussione su Stalin, la negazione senza principi
dell’opera di Stalin è stata una componente principale del revisionismo in URSS. 4) Occorre
emettere una nuova valutazione dell’opera di Mao, che dal 1956 ha resistito al revisionismo.
Il PTB ha adottato come principio di mantenere e sviluppare dei rapporti con partiti e gruppi
la cui linea esso giudica opportunista di destra o revisionista (ma sono esclusi pregiudizialmente
partiti appartenuti alla corrente eurocomunista o trotzkisti e in generale antistalinisti). L’unità
necessaria non deve mascherare il fatto che la lotta ideologica contro il revisionismo è essenziale.
E’ a partire dal terzo seminario, tenuto dal 2 al 4 maggio 1995, che si è allargata la
partecipazione. Ad esso hanno preso parte 57 delegazioni di 35 paesi. Fra le presenze più
significative quelle di due partiti al potere. il Partito del Lavoro coreano e il PC cubano, del PC
delle Filippine, del Tudeh iraniano, dell’FPLP palestinese, del PKK curdo. Il seminario ha discusso
un documento presentato dal PTB nel quale si dice che i partiti e le organizzazioni fedeli ai principi
rivoluzionari del marxismo-leninismo cercano di trarre gli insegnamenti necessari dai processi
controrivoluzionari che hanno distrutto il socialismo nell’Unione sovietica. Di fronte all’offensiva
scatenata dalla reazione, sentono la necessità di unirsi per condurre una controffensiva in favore
degli interessi delle masse sfruttate e oppresse.
Con questo seminario i promotori hanno cercato di delineare un quadro minimo comune che
permetta a organizzazioni marxiste-leniniste di diverse tendenze di incontrarsi, di scambiarsi le
esperienze e le analisi e prendere iniziative comuni. Questo quadro minimo comune dovrebbe
consentire di avviare un processo di unificazione teorica e pratica.
Dopo la restaurazione completa del capitalismo nell’Unione sovietica tutti i comunisti
devono ammettere che il revisionismo è il nemico ideologico più pericoloso del marxismo-
leninismo. La vita ha dimostrato che il revisionismo rappresenta la borghesia in seno al movimento
comunista. I comunisti devono unirsi sulla base del marxismo-leninismo e dell’internazionalismo
proletario. Si deve accettare il fatto che per molto tempo possano esistere divergenze anche
estremamente importanti. La lotta contro le ideologie socialdemocratiche e trotzkiste è una
condizione per lo sviluppo del movimento marxista-leninista.
Nella situazione attuale non è possibile costruire una nuova organizzazione internazionale
sul modello della Terza internazionale con un organismo dirigente e una disciplina comune per tutti
i membri. Per il momento la forma organizzativa più adatta dell’iniziativa unitaria è quella dei
seminari, il cui primo scopo è lo scambio di informazioni, documenti e analisi. In secondo luogo si
potranno organizzare dibattiti su questioni di importanza cruciale e di comune interesse. In terzo
luogo si potrà dar vita, su base volontaria, al coordinamento di iniziative e attività. Si potranno
preparare testi di risoluzione in uno spirito di largo consenso.
La grande maggioranza dei partiti che hanno partecipato ai seminari ha espresso un giudizio
favorevole sull’utilità degli incontri quale occasione di scambio di opinioni e di conoscenza
reciproca. Ma la proposta ha sollevato anche molte critiche. Secondo il Partito marxista-leninista
tedesco (MLPD), il documento vuole unire delle correnti revisioniste mentre la nuova costituzione
internazionale del movimento comunista deve farsi sulla base del marxismo-leninismo e del
pensiero di Mao. L’MLPD vuole unire i comunisti sulla base della tesi che la presa del potere da
parte del revisionismo kruscioviano significa l’instaurazione di una dittatura controrivoluzionaria di
una borghesia burocratica e che l’URSS si è trasformata in superpotenza socialimperialista.
L’MLPD vede nella proposta discussa un attacco contro Mao Ze-dong. Su queste posizioni si sono
schierati altri partiti che appartengono alla stessa corrente maoista come il PC Filippino e il PC
rivoluzionario argentino.
Una violenta critica avanzata dal PC marxista-leninista, (Fondazione) turco afferma il
contrario: la proposta vuole imporre ai partiti comunisti la presunta giustezza della politica di Mao.
Il PCML-F afferma che il documento tende ad instaurare una internazionale revisionista che servirà
gli interessi dell’imperialismo e della borghesia ‘poiché essa riunirà degli ex agenti del
socialimperialismo quali il PC cubano e vietnamita, la PDS tedesca a revisionisti quali il PC
sudafricano e dei criminali come i Khmer Rossi (per la verità nessuno dei partiti citati sembra
interessato a partecipare a questa iniziativa).
Altri partiti ritengono che qualsiasi menzione del ‘revisionismo’ nuoccia all’unificazione
futura del movimento.
Nel seminario che si è tenuto nel 1997, nel quale si è rafforzata la partecipazione dei PC
russi radicali, oltre alla presentazione di relazioni e al dibattito, che avevano in particolare come
oggetto l’80° anniversario della rivoluzione d’Ottobre, sono stati per la prima volta approvati dei
documenti comuni. Si tratta di brevi testi nei quali si esprime solidarietà per la Corea, Cuba, e per il
piccolo PC d’Albania, che si dichiara erede del Partito del lavoro di Enver Hoxha, ed è stato messo
fuori legge dall’ex presidente Berisha.
Il PTB cerca di collegare settori ‘ortodossi’ del movimento comunista tradizionale con
gruppi dell’estrema sinistra, spesso tra loro divisi sia a livello nazionale che internazionale, ma
anche con personalità del terzo mondo di eterogenea provenienza. Fra gli invitati del seminario del
1997 figurava anche Winnie Mandela, la quale, assente, ha inviato una relazione scritta.

La conferenza di Quito (Ecuador)

A Quito nel luglio 1994 si è tenuta la ‘Conferenza internazionale dei partiti e delle organizzazione
marxiste-leniniste’, con la presenza di 15 delegazioni. Questa riunione ha raccolto ciò che resta
della corrente che fino alla fine degli anni ‘80 faceva capo al Partito del lavoro albanese.
L’anfitrione dell’incontro è stato il PC marxista-leninista dell’Ecuador, di gran lunga
l’organizzazione più importante tra quelle presenti, che festeggiava i trent’anni dalla sua
fondazione. Negli stessi giorni si è tenuta una manifestazione popolare con la partecipazione di
alcune migliaia di persone. Presenti anche i parlamentari del Movimento Popolare Democratico,
una coalizione di organizzazioni sindacali e popolari, di cui i marxisti-leninisti rappresentano la
forza guida. I sostenitori del partito sono sfilati per le vie della capitale sotto grandi ritratti di Marx,
Engels, Lenin e Stalin.
Questa corrente internazionale si caratterizza per il rifiuto della destalinizzazione, e
condanna ancora oggi con grande accanimento il ‘tradimento’ compiuto da Krusciov. Gli albanesi,
guidati da Enver Hoxha, dominatore del comunismo albanese dagli anni quaranta fino alla sua
morte, ruppero con i sovietici nel 1960. Essi fecero da battistrada ai cinesi e furono attivi nel
sostenere i raggruppamenti che sorgevano nei PC in favore della loro linea ‘anti-revisionista’. Con
la Cina ruppero nel ’77, dopo la morte di Mao. Hoxha denunciò, post-mortem, il suo unico alleato
importante nel comunismo internazionale. Oltre a condannare la nuova direzione cinese, gli
albanesi fecero un bilancio retrospettivo completamente negativo delle idee di Mao.
La rottura comportò numerose scissioni nei gruppi che avevano seguito la linea cino-
albanese. Questi ultimi continuarono a mantenere rapporti con una trentina di gruppi operanti in
quasi tutti i continenti. In parte si trattava di movimenti nati a metà degli anni ‘60 e schieratasi con
gli albanesi contro la Cina, come il PCML dell’Ecuador, e in parte di nuovi gruppi frutto di
scissioni avvenute nei partiti filocinesi.
Se nei confronti del movimento comunista ufficiale i ‘marxisti-leninisti’ rivendicavano la
continuità con la linea ideologica e politica del comunismo staliniano, nei confronti della Cina fu
particolarmente contestata la cosiddetta teoria dei tre mondi. Questa tesi, portava i cinesi ad
individuare nel ‘socialimperialismo russo’ il nemico principale.
Gli albanesi non diedero mai vita ad una vera e propria struttura internazionale. I partiti si
ritrovavano ai Congressi del Partito del lavoro. Occasionalmente venivano organizzate delle
riunioni multipartitiche in vari Paesi, iniziative, sembra, non particolarmente incoraggiate dal
partito-guida. I gruppi marxisti-leninisti diedero vita anche ad una rivista teorica internazionale, in
tre lingue, che assemblava documenti dei vari partiti.
Il movimento pro-albanese ha subito inevitabilmente i contraccolpi del crollo del regime
stalinista albanese. Un crollo in tutto e per tutto simile a quello avvenuto negli altri Paesi dell’est
Europa. Le varie reazioni politiche si possono raggruppare in tre modalità:
1) alcuni settori hanno abbandonato le tesi portando allo scioglimento delle organizzazioni in cui
erano maggioritari. E’ il caso della Spagna dove il PCE(ml) e’ entrato in una crisi radicale, con la
destituzione del suo leader storico Raul Marco, e l’avvicinamento di una parte dei quadri e dei
militanti alla Sinistra Unita. Ed anche della Colombia dove il PCC (ml) aveva dato vita ad una
formazione politico-militare, l’Esercito Popolare di Liberazione, che conduceva operazioni di
guerriglia. La maggioranza dell’EPL ha abbandonato la lotta armata ed ha accompagnato la
socialdemocratizzazione della principale organizzazione guerrigliera, l’M-19. In Etiopia il
movimento armato che ha abbattutto il regime di Mengistu, aveva la propria base nel Tigrai ed era
guidato dalla Lega marxista-leninista, che dichiarava la propria fedeltà alle tesi albanesi, fino a
quando arrivato alle porte di Addis Abeba, ha proclamato la propria conversione al pluralismo
politico e all’economia di mercato.
2) un secondo settore ha mantenuto una linea ideologica marxista-leninista ma ha ritenuto in via di
superamento le divisioni presenti tra i partiti comunisti, sulla base dell’adesione alle posizioni
politiche di questo o quel paese. Sostenitore di questa visione è il PC del Brasile (che è uno dei
pochi partiti dell’area filoalbanese ad avere una significativa presenza parlamentare ed un seguito di
massa), che ha reso nota una sua proposta al movimento comunista internazionale, tesa a superare
le differenze storiche.
3) infine il settore restante e’ quello continuista che sostiene la necessità di unire il movimento
marxista-leninista attorno alle opzioni ideologiche difese nel corso degli ultimi dieci-quindici anni.
E’ questa area che ha dato vita alle conferenze internazionali iniziate nel 1994.
La Conferenza di Quito aveva come oggetto tre temi:
- la crisi del sistema capitalistico e la situazione del movimento operaio,
- il socialismo e la lotta contro il revisionismo,
- le norme di funzionamento del movimento marxista-leninista,
L’approccio dei temi è quindi di carattere ideologico o molto generale nei primi due casi e interno
alle relazioni tra i partiti nel terzo.
Dalle scarse informazioni riportate dal mensile francese L Forge si apprendono alcuni dei
temi di dibattito: aspetti particolari della economia nei paesi dipendenti, definizione dell’oligarchia
finanziaria, conseguenza della rivoluzione tecnico-scientifica sulla configurazione della classe
operaia. In continuità con la tradizione della corrente ‘albanese’ è l’uso di quella ‘langue de bois’
che rende spesso impenetrabile il dibattito teorico e politico.
Per quanto riguarda il bilancio da trarre dalla vicenda dei Paesi socialisti la principale
discussione ha riguardato l’analisi delle cause della ‘degenerazione del socialismo’, fra coloro che
sostengono l’esclusiva presenza di fattori esterni (le pressioni dell’imperialismo), e chi invece mette
l’accento sulle contraddizioni interne del sistema, sulle quali i fattori esterni hanno potuto far presa.
La maggioranza dei partiti presenti si sono riconosciuti in questa seconda tesi.
Sono state prese le seguenti decisioni: 1) convocare regolarmente la Conferenza
internazionale, come istanza di discussione, di coordinamento e di impulso a campagne comuni.
Non si tratta in ogni caso di un organismo superiore ai singoli partiti. 2) pubblicare la rivista teorica
‘Unita’ e lotta’ in tre lingue (francese, spagnolo, inglese). 3) costituire un Comitato di
coordinamento che prepari le conferenze e la pubblicazione della rivista.
La Forge parla di lotta interna al movimento comunista sulla questione della pratica
dell’internazionalismo proletario, evidentemente tra chi non è favorevole a sviluppare strutture
sovranazionali e chi ritiene che questa sia la condizione necessaria affinché i marxisti-leninisti
agiscano come corrente politica e ideologica organizzata. Qualcuno dei gruppi presenti a Quito
(britannici, canadesi, irlandesi) non hanno sottoscritto l’appello finale, e non fanno parte della
redazione della rivista internazionale.
La Conferenza ha anche approvato un ‘Proclama comunista ai lavoratori e ai popoli del
mondo’. In questo testo si riconosce che il movimento comunista ha subito dei grandi rovesci nel
corso degli ultimi decenni. Le limitazioni storiche, l’inesperienza, la mancanza di sviluppo della
teoria, la sottovalutazione delle contraddizioni interne della società socialista, la burocratizzazione e
l’isolamento del partito comunista dai lavoratori e dalle masse sono state le cause che hanno fatto si
che i comunisti, la classe operaia e i popoli non abbiano potuto difendere le loro conquiste e evitare
la restaurazione del capitalismo.
I progressi e le scoperte scientifiche e tecniche non mettono in causa la natura del
proletariato e il fatto che i mezzi di produzione siano nelle mani dei capitalisti. Nessun’altra classe
che non sia la classe operaia può svolgere il compito rivoluzionario.
L’epoca attuale resta quella dell’imperialismo e della rivoluzione proletaria come definito da
Lenin. Il revisionismo costituisce un pericolo per il processo rivoluzionario. I revisionisti e gli
opportunisti di tutte le sfumature continuano ad essere un pericolo contro il quale la lotta non può
essere né arrestata né attenuata.
Un anno dopo l’incontro di Quito si è tenuta a Parigi la II Conferenza internazionale dei PC
marxisti-lninisti. Identico il numero dei partecipanti, 15 tra partiti e gruppi. Sono rappresentati tre
nuovi paesi (Grecia, Iran, Costa d’Avorio) in sostituzione di tre assenti (Cile, Canada, Irlanda). In
questa occasione non sono stati approvati documenti di carattere generale ma solo un breve
comunicato nel quale si segnalano i tre elementi principali del dibattito:
- il bilancio dei compiti fissati l’anno precedente.
- uno scambio di punti di vista sull’esperienza della costruzione del socialismo in URSS e sulle
cause del suo fallimento.
- l’assegnazione alla successiva conferenza del compito di elaborare una piattaforma tattica per il
movimento operaio e popolare.
La terza conferenza si è tenuta a S. Domingo, con 14 delegazioni di altrettanti Paesi,
nell’autunno del 1996. Il commento pubblicato da La Forge conferma che il dibattito sull’URSS ha
rivelato l’esistenza di punti di vista molto differenti e persino contraddittori. Nonostante le
difficoltà il mensile francese si augura che le Conferenze rappresentino un polo di attrazione per le
forze rivoluzionarie che si richiamano al marxismo-leninismo. Questa iniziativa resta comunque
limitata a forze preesistenti. Nessuna nuova significativa organizzazione sorta nell’ultimo decennio
si è avvicinata a questa tendenza, che tra l’altro subisce la concorrenza dell’iniziativa del PT Belga.

Il Movimento Rivoluzionario Internazionalista

Nel marzo 1984 si è tenuta in una località non precisata la “II Conferenza internazionale dei Partiti
e delle organizzazioni marxiste-leniniste”. La lista dei firmatari del documento finale che hanno
concordato di dar vita al Movimento Rivoluzionario Internazionalista, comprendeva 17
organizzazioni di 14 paesi, e l’annuncio della sua costituzione venne dato in una conferenza stampa
tenuta a Londra il 12 marzo 1984, alla quale presero parte Dalal Komaci del PC turco marxista-
leninista, il veterano comunista singalese N. Sanmugathasan (leader di un PC filocinese che si era
staccato dalla maggioranza filosovietica all’inizio degli anni ’60), Carl Dix del PC rivoluzionario
degli Stati uniti. Questa conferenza, che porta la stessa denominazione di quella tenuta a Quito
esattamente dieci anni dopo, è stata il punto di raccolta delle organizzazioni maoiste più radicali, tra
cui il Partito comunista del Perù, universalmente noto come Sendero luminoso.
L’incontro dell’84 faceva seguito ad una prima riunione di gruppi maoisti avvenuta
nell’autunno del 1980. Solo alcuni dei partecipanti al primo incontro erano presenti anche nel
secondo. Ciò che distingue i due appuntamenti è l’avvicinamento intervenuto nel frattempo proprio
con Sendero Luminoso. Questo ingresso ha fornito un importante riferimento politico e la
possibilità di costruire una campagna di propaganda di rilevanza internazionale.
La Conferenza dell’84 rendeva pubblica una lunga dichiarazione che costituisce tuttora la
cornice ideologica e politica del MRI, benché due documenti successivi, abbiano introdotto alcune
novità. La Dichiarazione rende conto di una grave e profonda crisi che si è approfondita e che è
scoppiata in seguito al ‘colpo di stato reazionario’ che ha avuto luogo in Cina all’indomani della
morte di Mao Ze-dong e del ‘perfido tradimento’ commesso da Enver Hoxha. Ma, si aggiunge, il
movimento comunista internazionale è in via di ripresa. Dal 1980 sono state conquistate delle forze.
D’altra parte tutte le contraddizioni essenziali del sistema imperialista mondiale si
accentuano ad un ritmo accelerato: la contraddizione fra le differenti potenze imperialiste; la
contraddizione fra l’imperialismo e le nazioni e i popoli oppressi, e le contraddizioni fra la
borghesia e il proletariato nei paesi imperialisti. Tutte queste contraddizioni hanno come matrice
comune il modo di produzione capitalistico e la contraddizione fondamentale del capitalismo.
Si prevede che la rivalità tra i due ‘blocchi imperialisti’ (USA e URSS) porterà sicuramente
allo scatenamento di una guerra mondiale a meno che la rivoluzione non possa impedirla.
Riaffermazione di una tesi maoista che veniva sostenuta in contrasto con la politica di coesistenza
pacifica messa in campo dall’inizio degli anni ‘60 dall’Unione sovietica.
Compito dei marxisti-leninisti è di lanciare la guerra rivoluzionaria laddove è possibile e di
raddoppiare gli sforzi per prepararvisi laddove le condizioni non sono sufficientemente mature per
la guerra rivoluzionaria.
La rivoluzione proletaria mondiale è composta da due correnti, la rivoluzione nelle
metropoli imperialiste, e la rivoluzione di liberazione nazionale (o rivoluzione di nuova
democrazia), nei paesi oppressi dal giogo imperialista. Ed è soprattutto in questi ultimi che si è
registrata la principale ‘area di tempesta’. L’MRI, come le altre forze maoiste, si considera l’erede
di Marx, Engels, Lenin, Stalin, Mao.
Il revisionismo più o meno ‘aperto’, che proviene dai partiti tradizionalmente filosovietici, o
dalla corrente eurocomunista, dagli usurpatori revisionisti in Cina o dai trotzkisti e critici piccolo-
borghesi del leninismo, continua a costituire il più grave pericolo per il movimento comunista
internazionale. La forma dogmatica del revisionismo continua a porsi come nemico implacabile del
maoismo rivoluzionario. Questa corrente, la cui espressione più flagrante è la linea politica di Enver
Hoxha e del Partito del lavoro albanese, pretendendo di difendere Stalin ne profana l’autentica
eredità rivoluzionaria.
Il pensiero di Mao Ze-dong costituisce una nuova tappa del marxismo-leninismo. Il PC
cinese non fece gli sforzi necessari per costruire l’unità su scala mondiale in materia
d’organizzazione. La politica di avvicinamento della Cina ad esponenti reazionari in funzione
antisovietica è attribuita, nella Dichiarazione, ai ‘revisionisti’ che controllavano una buona parte
della diplomazia e dei rapporti tra il PCC e gli altri partiti marxisti-leninisti. La ‘teoria dei tre
mondi’ e’ considerata la logica evoluzione di queste posizioni revisioniste. Viene respinta
l’attribuzione di questa teoria a Mao.
La teoria elaborata da Mao durante la guerra rivoluzionaria in Cina, continua ad essere il
riferimento fondamentale per l’elaborazione della strategia e della tattica rivoluzionaria nei paesi
coloniali e neocoloniali. La rivoluzione prende la forma della guerra rivoluzionaria prolungata,
attraverso la quale le forze rivoluzionarie possono riuscire a stabilire una forma qualunque di base
di appoggio nelle campagne, e a mettere in opera la strategia fondamentale che consiste
nell’accerchiare la città a partire dalle campagne. In alcuni paesi capitalisti un piccolo numero di
persone hanno optato per il terrorismo, una linea ideologica e politica che non si appoggia sulle
masse e senza nessuna prospettiva corretta per il rovesciamento rivoluzionario dell’imperialismo.
Oggi si sente la necessita’ di una nuova organizzazione internazionale, una Internazionale di
tipo nuovo (che eviti i rischi di una eccessiva centralizzazione) fondata sul marxismo-leninismo-
Mao Ze-dong pensiero. Occorre un centralismo democratico, ma differente da quello che deve
esistere all’interno di un singolo partito. Gli obbiettivi pratici definiti nel documento sono:
- creare una rivista internazionale.
- aiutare a formare nuovi partiti marxisti-leninisti e rafforzare quelli che già esistono.
- campagne comuni e coordinate.
- mettere in pratica la linea politica e le decisioni adottate nelle conferenze.
- partecipare al finanziamento dell’attività internazionale.
- creare di un comitato provvisorio per formare una direzione d’insieme.
Secondo la ricostruzione giornalistica, basata su documenti confiscati dalla polizia
peruviana nel 1993, una delegazione del PC rivoluzionario degli USA (piccolo gruppo sorto dallo
sfaldamento del movimento studentesco del ’68) visitò Lima in un tentativo inizialmente
infruttuoso di convincere il PCP a firmare l’Appello dell’autunno 1980. Sendero luminoso lo
avrebbe respinto in quanto non veniva dato il giusto peso al maoismo. Secondo Simon Strong,
giornalista britannico specializzatosi nella conoscenza di Sendero luminoso, le organizzazioni
presenti alla II Conferenza avrebbero ceduto alle richieste ideologiche di Guzman (il presidente
Gonzalo, leader del PC del Perù, oggi in prigione).
A partire dal 1985 è iniziata la pubblicazione della rivista A world to win, la cui sede è a
Londra, mentre il comitato di coordinamento del movimento, secondo Strong, si troverebbe a
Parigi. Dopo quella di fondazione non si sono finora tenute altre conferenze internazionali dei
partiti maoisti radicali.
Con le novità emerse sulla scena internazionale nel periodo ‘89-‘91, in particolare la
scomparsa dell’Unione Sovietica, i maoisti hanno dovuto aggiornare le proprie tesi fondamentali,
visto anche la mancata realizzazione delle previsioni sulla guerra fra USA e URSS. Lo hanno fatto
in due documenti datati 26 dicembre 1993, ma pubblicati in A world to win solo nel gennaio 1995.
La prima risoluzione di carattere ideologico si intitola ‘Viva il Marxismo-Leninismo-
Maoismo’. Il titolo indica un passaggio simbolico compiuto dai partiti dell’MRI. Mentre la
Dichiarazione dell’84 parla ancora di Mao Ze-dong pensiero, ora si assume ufficialmente il termine
maoismo, che serve a esaltarne ulteriormente l’importanza. Il maoismo non è solo la somma dei
contributi offerti da Mao ma è un nuovo e più alto stadio di sviluppo del marxismo-leninismo. Il
marxismo-leninismo-maoismo è una ideologia vivente, scientifica e universalmente applicabile. “E’
onnipotente perché è vera”. In particolare è con la Rivoluzione culturale proletaria che si afferma il
contributo originale del maoismo, ed esso diventa la nuova pietra miliare.
Il collasso del campo imperialista sovietica è visto come una importante manifestazione
della severa crisi dell’intero sistema imperialista mondiale.
L’MRI ha dovuto fronteggiare a partire del 1993 la crisi che ha colpito il movimento
senderista peruviano. A un anno dall’arresto di Guzman, il capo di Stato peruviano Fujimori ha
annunciato una clamorosa svolta nella guerriglia, con la decisione di Gonzalo e di altri dirigenti del
PCP in carcere di avviare una trattativa di pace col regime. Questa ‘resa’ (sulla cui autenticità,
almeno per quanto riguarda Gonzalo/Guzman, non si sono del tutto dissipati i dubbi) ha aperto uno
scontro nel PCP. La maggioranza del Comitato centrale avrebbe respinto la ‘Linea opportunista di
destra’ e riaffermato la propria volontà di continuare la guerriglia nonostante le accresciute
difficoltà politiche e militari.
L’MRI si e’ schierato con i continuatori della lotta armata, che effettivamente ha dato
qualche segnale di ripresa negli ultimi mesi, anche se oggi ai seguaci della linea dura non viene
attribuito più di un migliaio di uomini, rispetto ai 10-12.000 che avrebbe contato Sendero nel suo
momento di maggior successo.
Nel frattempo nel 1997 una nuova guerriglia condotta dal PC del Nepal (maoista), che
aderisce all’MRI, è scoppiata nel paese asiatico. Le forze maoiste hanno così potuto sostituire
almeno in parte l’esaltazione della declinante guerriglia peruviana, con le azioni del nuovo
movimento armato. E’ da sottolineare che la decisione di avviare la guerriglia (non condivisa da
altri gruppi maoisti) è avvenuta in un momento in cui era al governo del Nepal il PC (unito-
marxista-leninista), che ha unificato i principali gruppi comunisti nepalesi compresa una forte
componente maoista, il quale ha scelto, con successo, di perseguire la via della lotta politica ed
elettorale.

Le conferenze maoiste del PC Filippino

Una terza tendenza che organizza “Conferenze internazionali dei partiti e delle organizzazioni
marxiste-leniniste” fa riferimento al PC filippino (CPP) di José Maria Sison, e raggruppa un altro
spezzone delle forze di ispirazione maoista.
La 5a e per ora ultima conferenza si è tenuta nell’ottobre del 1996, in una località non
specificata, con la partecipazione di 20 delegazioni provenienti da Europa, Asia, Africa, America
latina. Per la maggior parte si tratta di piccoli gruppi di scarso rilievo, con tre eccezioni. Oltre al già
citato PC filippino, il PC (unificato-marxista-leninista) nepalese, e il Congresso Pan-Africano
(PAC) del Sud Africa.
I comunisti filippini si sono organizzati nel 1968, dopo una scissione animata
prevalentemente dall’ala giovanile del vecchio PC filosovietico, decidendo sulla base dell’adesione
alle teorie maoiste di impegnarsi nella lotta armata. Tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80 il
PC filippino ha visto crescere le sue fila e quelle del Nuovo esercito popolare, il suo braccio armato.
Con la caduta di Marcos, a seguito di un forte movimento popolare, che i maoisti non hanno saputo
prevedere né egemonizzare, il CPP è entrato in una profonda crisi, dalla quale è uscito con una
spaccatura insanabile fra il settore favorevole alla continuazione della lotta armata, capeggiato da
Sison che vive in esilio in Olanda, e le correnti favorevoli a rientrare nella lotta politica e di massa.
Mentre queste ultime hanno denunciato lo stalinismo e il maoismo, il CPP di Sison ha riaffermato
una integrale adesione al maoismo.
Il PAC è invece un movimento nazionalista africano, nato da una scissione dall’ANC che
risale alla fine degli anni ’50. Contrario all’ingresso di bianchi nel movimento anti-apartheid, ed in
particolare all’alleanza strategica con il Partito comunista, il PAC, ha guardato con una certa
simpatia alla Cina, anche per gli argomenti che essa forniva in funzione antisovietica (e in Sud
Africa in funzione anti PC e anti ANC). Il Congresso panafricano ha perso molto del suo seguito e
non è riuscito a contrastare la crescita dell’ANC come principale organizzazione politica dei neri.
Può difficilmente essere considerato un partito maoista, anche se al suo interno sono certamente
presenti simpatie in tal senso. Ha comunque partecipato a diverse di queste conferenze
internazionali.
La conferenza dell’ottobre 1996 ha approvato alcune risoluzione di contenuto molto
generale. Si tratta prevalentemente di formulazioni ideologiche tese a distinguere le posizioni
marxiste-leniniste e maoiste, come interpretate dai partecipanti, dai vari ‘revisionismi’. Si afferma
che il collasso dei regimi ’burocratico-capitalisti’ dell’ex Unione sovietica e dell’est Europa non
costituisce una sconfitta del socialismo ma una conferma della validità marximo-leninismo-pensiero
di Mao Ze-dong. Il capitalismo, lungi dall’essere stabilizzato, sta dimostrando un aggravamento
della sua crisi generale, risultato della contraddizione tra le forze produttive e le relazioni di
produzione. L’altro elemento caratterizzante della situazione è l’intensificarsi delle contraddizioni
interimperialistiche. Il terreno è fertile per i marxisti-leninisti nel loro impegno a costruire partiti
proletari e la solidarietà internazionale.
I partiti presenti alla conferenza si impegnano a promuovere l’unità dei partiti guidati dal
pensiero di Mao o che comunque abbiano un atteggiamento favorevole al leader rivoluzionario
cinese, per sconfiggere il revisionismo (compreso quello del Partito comunista cinese). Danno il
loro sostegno alle lotte armate nelle Filippine, Cambogia (i Khmer rossi), India, Kurdistan,
Messico, Colombia, Perù. Si propongono di riconvocare una nuova Conferenza internazionale entro
due-tre anni.
I comunisti nepalesi CPN (UML) hanno distinto la loro posizione su molti punti delle
risoluzioni approvate, non sottoscrivendo né le parti relative alla pregiudiziale maoista come base
dell’unità dei comunisti, né l’analisi dell’URSS come sistema burocratico-capitalista, né la
condanna della Cina e in generale del ‘revisionismo’.

Il movimento trotzkista

Al momento della sua fondazione la IV internazionale poteva contare su non più di 2 o 3.000
militanti. La componente russa era ormai scomparsa nel Gulag, mentre la forza politica più
consistente era il Socialist workers party degli Stati uniti, che poteva contare su qualche centinaio di
militanti, con un certo seguito fra i circoli intellettuali. Alcuni seguaci di Trotsky (tra cui il polacco
Isaac Deutscher, poi diventato suo biografo), si opposero alla fondazione di un’organizzazione che,
per debolezza propria e per la repressione a cui era sottoposta, non aveva un seguito di massa
significativo in alcun Paese.
La marginalità del movimento trotzkista rispetto alle grandi corrente politiche organizzate è
rimasto un tratto caratterizzante di tutta la sua storia. L’unico partito di massa è stato quello
ceylonese, il Lanka Sama Samaja Party, organizzatosi prima della stessa formazione di un partito
comunista. Le ragioni della sua forza erano però largamente legate alle specificità nazionali
piuttosto che al suo essere espressione di un movimento internazionale. Anche questo partito
all’inizio degli anni ’60 è entrato in conflitto con l’Internazionale ed ha abbandonato il movimento
trotzkista.
Colpiti dalla scissione del 1953 che aveva portato alla formazione di due raggruppamenti
rivali, aprendo la strada ad un processo di frammentazione che non si è mai più bloccato, e isolati
nel movimento operaio, i trotzkisti hanno potuto conquistare un seguito di massa, in alcuni Paesi,
grazie alla radicalizzazione giovanile del ’68, che cercava nuove strade rispetto alla politica
considerata troppo burocratica e moderata dei partiti comunisti. In quegli anni si trovavano a
rivaleggiare con le organizzazioni influenzate dal maoismo, o in America latina, dalla rivoluzione
cubana e dal Che.
Le varie correnti trotzkiste hanno continuato a fare riferimento alla concezione della
rivoluzione permanente elaborata da Trotzky, ovvero la ritenuta impossibilità di separare la lotta
democratica da quella socialista e quindi il rifiuto di ogni concezione dell’avvicinamento al
socialismo per tappe. Hanno condannato ogni forma di Fronte popolare (come Trotzky aveva fatto
negli anni ‘30 in Spagna e in Francia), in quanto comprendente l’alleanza con formazioni politiche
borghesi. Hanno difeso la necessità di una organizzazione internazionale, più o meno centralizzata,
considerando un tradimento lo scioglimento del Comintern, anche se ormai questo non era più
ritenuto una centrale rivoluzionaria ma solo lo strumento del dominio sovietico sull’insieme dei
partiti comunisti.
La maggioranza dei trotzkisti ha continuato a considerare valida la definizione dell’URSS,
data da Trotsky, come stato operaio degenerato, ovvero uno stato che manteneva una struttura
sociale di tipo socialista (soppressione della proprietà privata, e pianificazione), ma nel quale la
classe operaia era stata espropriata dal potere politico da parte di un ceto burocratico che avrebbe
dovuto essere abbattuto da una rivoluzione politica (ma non sociale, a differenza delle rivoluzioni
auspicate per i Paesi capitalisti).
Anche se vi sono state, molte eccezioni, in generale le organizzazioni trotzkiste hanno
interpretato la concezione del centralismo democratico come possibilità di pieno dibattito interno
anche con la formazione di correnti e frazioni, e non in modo monolitico come nella versione
staliniana. Questa forma di organizzazione interna, anziché ampliare le adesioni, ha favorito un
processo di scissioni e di divisioni. Anche la proiezione internazionale che il trotzkismo, ha sempre
voluto mantenere come principio fondamentale, ha contribuito alla frammentazione, in quanto ogni
tendenza internazionale tende a formare delle sezioni nazionali anche minuscole e a contribuire in
tal modo ad ulteriori divisioni.
Il movimento trotzkista conta attualmente qualche decina di migliaia di aderenti (40-50.000)
in tutto il mondo, suddivisi in una quindicina di tendenze internazionali (alcune delle quali
minuscole). Tra le organizzazioni nazionali quelle che contano 1.000 o più iscritti, non sono più di
una decina. In Francia l’LCR di Alain Krivine dichiara 2.000 aderenti, Lutte Ouvriere ne conta
probabilmente altrettanti, mentre il Partito dei lavoratori di Lambert ne dichiara più di 6.000. In
Gran Bretagna i due gruppi più importanti sono il Socialist Workers Party di Tony Cliff che ne
dichiara 10.000, e il Partito Socialista (ex-Militant) che ne dichiara 2.500. In America Latina si
possono contare il PRT messicano che dichiara più di 6.000 iscritti (ma negli ultimi anni ha subito
numerose scissioni e si è molto indebolito), il PSTU brasiliano che ne dichiara 1.000, mentre
l’argentino MAS, che era arrivato a contare 6.000 iscritti, dopo aver subito ripetute scissioni è sceso
probabilmente sotto la soglia dei 1.000 iscritti. In Asia solo l’organizzazione pakistana che fa capo
al Committee for a Workers’ International, arriva a contare un migliaio di iscritti.
Non è questa l’occasione per entrare nel dettaglio della frammentazione delle correnti
trotzkiste e nelle differenze, a volte esoteriche, di politica e di strategia. Per dare un quadro
sufficientemente rappresentativo si possono richiamare le posizioni delle quattro maggiori correnti
attive a livello internazionale.
Quarta internazionale (segretariato unificato)

Questa organizzazione può vantare la continuità formale con la Quarta internazionale fondata nel
1938, ed anche un gruppo dirigente effettivamente internazionale (con almeno una figura di rilievo
intellettuale la cui influenza è andata ben al di là del movimento trotzkista, come l’economista belga
Ernest Mandel, recentemente scomparso), mentre le altre correnti si basano sul prevalere di un
gruppo nazionale che si è poi esteso in altri Paesi. E’ anche la tendenza che, almeno a partire dagli
anni ’80, si è dimostrata più aperta al confronto e alla collaborazione unitaria con altre forze della
sinistra anticapitalista.
Le sue forze organizzate sono andate via via diminuendo nell’ultimo decennio, come ha
riconosciuto l’ultimo congresso mondiale, il XIV°, che si è tenuto dal 5 al 10 giugno 1995, in
Belgio, e alcuni settori ritengono ormai superata la funzione stessa di una Quarta Internazionale che
non è riuscita a diventare un’organizzazione di massa, né a conquistare l’egemonia in nessun Paese.
Anche per questo motivo l’ultimo congresso è stato definito come un congresso di mutazione.
Il dibattito ha analizzato tre livelli di trasformazione: della situazione mondiale, segnata dal
crollo del sistema degli stati staliniani dell’ex URSS e dell’Europa dell’est; della sinistra
anticapitalista mondiale; della stessa Quarta internazionale. Per quanto riguarda il quadro mondiale
esso viene tratteggiato in termini ancora pessimisti, pur essendosi dissipati i miti e le illusioni di
una facile restaurazione capitalista nelle società post-staliniane, la crisi di credibilità del progetto
socialista determina che le reazioni alla crisi socio-economica prendano prevalentemente la forma
di tendenze reazionarie, ripiegate sul nazionalismo, l’etnia, la razza o la religione.
I cambiamenti avvenuti sulla scena mondiale hanno determinato, secondo la Quarta
internazionale, un processo di ricomposizione del movimento operaio, sotto l’effetto del ‘doppio
fallimento della socialdemocrazia e dello stalinismo’. Nella sinistra anticapitalista si registra ancora
una situazione di sfiducia, che ha portato a numerose “capitolazioni politiche e ideologiche”. Ma è
anche in atto il superamento di tradizioni settarie lasciate in eredità dallo stalinismo. Ciò ha
consentito di avviare dei processi di raggruppamento di forze determinate a trarre le lezioni
negative dello stalinismo, continuando, anche controcorrente, la lotta contro il capitalismo.
Questo percorso di riunificazione e rinnovamento di forze anticapitaliste assume varie
forme, dalla creazione di nuove forze politiche che rispettano l’identità e le posizioni delle diverse
componenti interne, alla formazione di coalizioni meno strutturate che agiscono sul terreno
elettorale e sulle quello delle lotte sociali. In qualche caso si tratta di aggregazioni larghe di forze
anticapitaliste sorte principalmente dalla decomposizione dello stalinismo, mentre in altri casi si
uniscono gruppi più ristretti provenienti dalla sinistra rivoluzionaria.
La Quarta internazionale vuole essere parte, con la propria tradizione, di questo processo di
ricomposizione, respingendo invece l’idea di lavorare prioritariamente per la riunificazione degli
spezzoni separati del movimento trotzkista. Per questa corrente il futuro della sinistra anticapitalista
non può più essere ancorato alle divisioni emerse con la scissione del partito bolscevico negli anni
’20. In pratica molte sezioni della Quarta internazionale operano all’interno di partiti della sinistra,
con una logica che non è più quella dell’entrismo (una tattica di breve periodo che utilizzava
strumentalmente la possibilità di operare all’interno di partiti della sinistra per uscire
dall’isolamento e conquistare militanti), ma con la volontà di partecipare, alla pari con altri, alla
formazione di nuove forze politiche anticapitaliste. In Italia il gruppo che fa capo alla rivista
Bandiera Rossa ha partecipato alla creazione del PRC, in Germania uno dei due gruppi che
aderiscono al Segretariato unificato sono confluiti nella PDS, in Spagna in Izquierda Unida, in
Senegal nel PADS (sorto dall’unione di un’organizzazione maoista con altri gruppi di sinistra), in
Brasile nel PT, in Messico collaborano elettoralmente con il PRD, in Ecuador dispongono di un
parlamentare eletto nel movimento Pachakutik (sinistra indigenista).
Anche a livello internazionale il Segretariato unificato, ha ormai rinunciato all’idea,
evidentemente irrealistica, di diventare il Partito mondiale della rivoluzione socialista, e si propone
invece di essere parte di un processo più ampio di unità delle forze di sinistra.

Il Comitato per un’Internazionale Operaia

Questa organizzazione, in inglese Committee for a Workers’ International (CWI), è stata fondata a
Londra nel 1974, dal gruppo trotzkista britannico Militant e da altre tre piccole organizzazioni con
analogo orientamento politico. Militant ha acquisito una certa notorietà ed un certo seguito,
soprattutto giovanile, negli anni ’80, quanto operava come tendenza all’interno del partito laburista,
arrivando anche a far eleggere tre propri parlamentari. La crescita della sua influenza (che toccava
anche alcune importanti organizzazioni sindacali) ha provocato la reazione della leadership del
Partito laburista, la quale ha proceduto ad espellerne i principali esponenti, estendendo poi le
misure disciplinare a gran parte dei sostenitori della tendenza. Al di fuori dell’attività “entrista” tra i
laburisti, Militant ha svolto un ruolo significativo nel movimento di massa contro la poll tax
(soprattutto in Scozia). La sempre maggiore difficoltà ad operare all’interno del Labour, che nel
frattempo si è spostato ancora più a destra, fino alle attuali posizioni di Tony Blair, ha portato
Militant a rivedere la strategia che lo aveva caratterizzato fin dalla sua nascita nel 1964, e di
decidere di dar vita ad una organizzazione autonoma, prima col nome di Militant labour e poi di
Partito socialista. Questa decisione ha portato ad una divisione nel gruppo dirigente e
all’allontanamento da esso del leader storico e principale teorico delle sue tesi, il sudafricano Ted
Grant (il quale ha dato vita a Socialist Appeal, e ad una propria tendenza internazionale, alla quale
fa capo l’italiano Falcemartello).
La svolta operata in Gran Bretagna è stata assunta come orientamento generale anche
dell’organizzazione internazionale di cui Militant fa parte, il CWI, e consacrata nel congresso
mondiale che si è tenuto nel dicembre 1993. Per molti anni l’attività e la stessa esistenza del CWI
non è stata pubblicizzata dalle organizzazioni che ne facevano parte, essendo quasi tutte impegnate
all’interno di partiti politici che aderivano all’Internazionale socialista. Del 6° Congresso tenutosi a
fine ’93, sono state invece stampate le risoluzioni conclusive, e sono state date informazione sullo
svolgimento, e l’organizzazione dispone ormai di un sito web, nel quale sono indicate quasi tutte le
sezioni nazionali. Al momento del 6° congresso il CWI poteva contare propri affiliati in 31 Paesi.
Il Comitato per un’internazionale operaia, intravedeva a fine ’93 i segnali di un radicale
spostamento a sinistra dell’opinione pubblica, essendo ormai superato il momento più acuto
dell’offensiva ideologica borghese. Il capitalismo è considerato trovarsi in un periodo di
stagnazione, anche se non si possono escludere brevi periodi di crescita, destinati però a non
tramutarsi in una crescita generalizzata e sostenuta di lungo periodo.
La socialdemocrazia a livello internazionale, secondo il CWI, sta perdendo credibilità e si
indeboliscono le sue radici all’interno della classe operaia, nonostante continui a mantenere un
ampio consenso elettorale, in quanto spesso non vi sono alternative. Secondo la tradizionale visione
di Militant, la grande massa dei lavoratori passerà da una visione riformista ad una centrista, prima
di arrivare al marxismo (definizione che coincide con la politica sostenuta da Militant stesso). Lo
schema sul quale questa tendenza è stata costruita è che dall’interno dei partiti di massa della
sinistra sarebbe stato possibile, in momenti di crisi acuta del capitalismo e di spinta a sinistra delle
masse, assumerne direttamente la direzione. Con la svolta del ’92 che ha portato a mettere fine alla
tattica dell’entrismo in diversi paesi (Gran Bretagna, Irlanda, Austria, Svezia, Pakistan e altri) la
CWI si propone di canalizzare lo spostamento a sinistra di settori del movimento operaio e
soprattutto di strati giovanili. Per la verità in nessun paese (forse con la parziale eccezione del
Pakistan, dove la sinistra è sempre stata molto debole e dell’Irlanda) i gruppi di questa tendenza
sembrano in grado di uscire dalla marginalità politica ed elettorale.
A differenza delle altre organizzazioni trotzkiste, che hanno sempre dedicato grande
impegno a progetti di riunificazione con altre tendenze, Militant ha sempre denunciato i frammenti
della IV internazionale, anche con un certo disprezzo, in quanto gruppi piccolo borghesi, estranei al
movimento operaio. Oggi invece il CWI non esclude più di potersi unificare con altri gruppi
trotzkisti, ma continua a ritenere di essere in germe la nuova internazionale dei massa dei lavoratori
(al momento della sua fondazione nel 1974, la realizzazione di questa prospettiva era prevista per la
‘prossima decade’).

La Tendenza socialista internazionale

Formalmente non si può parlare, in questa caso, di una organizzazione internazionale, ma soltanto
di una tendenza che accomuna organizzazioni che hanno una politica comune. Di fatto questa
tendenza internazionale raccoglie gruppi che si riconoscono nelle tesi del Socialist Workers Party
britannico, le cui origini risalgono al 1950, quando Tony Cliff ruppe con il resto del trotzkismo, in
quanto non considerava più valida l’analisi dell’URSS come Stato operaio degenerato, ritenendola
invece una società a capitalismo di stato. Questa posizione teorica comportava anche il rifiuto della
tesi, condivisa generalmente dagli altri trotzkisti, della necessità di difendere l’Unione sovietica da
eventuali attacchi dell’imperialismo. In concreto, Cliff e il suo piccolo gruppo, nel conflitto di
Corea scoppiato in quegli anni, non si schierò, a differenza della maggioranza del movimento, in
favore della Corea del nord.
Attualmente il Socialist Workers Party dichiara di aver 10.000 iscritti, con un consistente
incremento avvenuto negli ultimi anni, dovuto alla crisi di altri gruppi dell’estrema sinistra
britannica, e allo spostamento a destra del Labour, e molto anche ad una maggiore flessibilità nei
criteri di tesseramento al partito. Tale scelta deriva dall’idea che esistano le condizioni per
trasformare un gruppo di qualche migliaio di iscritti in una organizzazione di massa, in coincidenza
con una prevista radicalizzazione della situazione politica e sociale. Le principali basi militanti
dell’SWP sono tra gli attivisti sindacali (circa 2.000 fanno riferimento alle posizione del partito) e
tra i giovani.
Sul piano internazionale, della quindicina di gruppi che fanno parte della Tendenza
socialista internazionale (nome che si rifà alla precedente denominazione dell’SWP, quando si
chiamava International Socialists) nessuno ha le stesse dimensioni, e sono circa 2.000 in tutto i
militanti che ne fanno parte, al di fuori della Gran Bretagna.
Le principali tesi della TSI sono sintetizzate in una dichiarazione di principio riportata su
tutti i giornali dei vari gruppi. L’obbiettivo è costruire una società socialista, basata sul controllo
collettivo delle ricchezze e sulla pianificazione democratica, anche la Cina e Cuba come i paesi
dell’ex blocco socialista sono Paesi a capitalismo di stato, i sindacati sono dominati da un ceto
burocratico e pertanto occorre sviluppare l’autonoma iniziativa dei lavoratori, l’apparato statale del
capitalismo va abbattuto attraverso un’azione di massa, la lotta per il socialismo è una lotta
internazionale, occorre mettere fine ad ogni forma di razzismo, sessismo e ad ogni discriminazione
nei confronti degli omosessuali, i lavoratori coscienti devono essere organizzati in un partito
rivoluzionario socialista che può essere costruito solo attraverso la partecipazione alle lotte
quotidiane.
Sul piano internazionale l’SWP britannico ha introdotto un sostanziale mutamento di
strategia, dagli anni ’70 quando manteneva rapporti con organizzazioni straniere di diverso
orientamento (tra cui Avanguardia Operaia in Italia), a quella successiva in cui si è preoccupato di
costruire dei piccoli cloni nazionali basati sullo stesso modello originario.

Intesa internazionale dei lavoratori

Dietro questa insegna c’è una iniziativa promossa principalmente da una corrente trotzkista, nota
come ‘lambertista’ dal nome del suo leader storico Pierre Lambert, attivo nel movimento trotzkista
francese già dalla seconda guerra mondiale. Fra i dirigenti della sezione francese della Quarta
Internazionale nel 1953, fu tra i promotori della scissione che porto alla formazione del Comitato
internazionale, che cercava di unire quella parte del movimento che contestava la politica voluta da
Michel Pablo, a quel tempo segretario della Quarta. Dopo varie vicissitudini, ricomposizioni e
ulteriori scissioni, la tendenza ‘lambertista’ ha promosso nel gennaio 1991, un conferenza mondiale
aperta, tenutasi a Barcellona, con la presenza oltre che di gruppi trotzkisti di vari Paesi, di esponenti
politici e sindacali di diverso orientamento
L’Intesa internazionale dei lavoratori, fondata a Barcellona, si propone di diventare la base
per una internazionale di massa formata da organizzazioni indipendenti sia dalla socialdemocrazia
che dallo stalinismo. Il modello storico a cui essa esplicitamente si rifà è quello della prima
Internazionale a cui aderivano marxisti, anarchici, ecc. Essa si presenta come una ampia coalizione
di partiti e gruppi socialisti, trotzkisti, anarco-sindacalisti, federazioni sindacali, sindacalisti
indipendenti e attivisti, uniti dalla volontà di sostenere l’indipendenza del movimento sindacale e
un’organizzazione politica della classe autonoma dal grande capitale e dalle classi dominanti.
Dopo la fondazione l’Intesa ha tenuto altri due Congressi (nel 1993 e nel 1996), che si sono
tenuti in un sobborgo di Parigi, e sono stati ospitati dal Partito dei Lavoratori francese (PT). Il PT è
un partito che non si presenta come trotzkista, ma si tratta sostanzialmente dell’emanazione
pubblica della tendenza trotzkista di Pierre Lambert. Presentatosi a varie scadenze elettorali, non ha
mai raccolto più di qualche decina di migliaia di voti. La sua forza gli deriva tradizionalmente dalla
presenza di cui dispone nell’apparato di Force Ouvriere, il sindacato nato da una scissione della
CGT e con una linea socialdemocratica di destra e anticomunista.
Al 3° congresso dell’Intesa hanno partecipato 300 delegati di 70 paesi. Si tratta
prevalentemente di esponenti sindacali, mentre sono poche le organizzazioni politiche che
partecipano all’iniziativa (tra cui l’AZAPO sudafricano, e l’Associazione dei lavoratori slovacchi).
Le organizzazioni trotzkiste che vi partecipano sono molto marginali, l’unica eccezione è il Partito
dei lavoratori algerino di Louisa Hanoune, che ha ottenuto 4 parlamentari nelle elezioni politiche
del 1997.
Il programma e le attività dell’Intesa sono rivolte ad opporsi alla ‘globalizzazione’ e
all’attività delle strutture internazionali che invece la sostengono facendone uno strumento contro i
lavoratori: il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale e l’Organizzazione mondiale del
commercio. Conseguentemente vengono condannate le privatizzazioni e i trattati regionali come il
NAFTA (nord America) Mercosur (America latina), Maastricht. In Europa l’Intesa ha lanciato una
iniziativa per l’abolizione del trattato di Maastricht, parola d’ordine sulla quale ha costruito una
manifestazione a Parigi, nella primavera del 1997, con 30.000 persone.
Parallelamente questa tendenza trotzkista ha proceduto nel 1993 a ‘riproclamare’ la IV
Internazionale, sulla base dell’attualità del programma di transizione di Trotzky (scritto per la
fondazione dell’organizzazione nel 1938), e sulla base del proclamato successo, almeno rispetto alle
dimensioni di partenza del movimento, dell’Intesa internazionale dei lavoratori.
Il Partito del Socialismo Europeo
La più importante struttura regionale che si siano dati i partiti socialdemocratici è il Partito del
Socialismo Europeo. Esso è stato fondato il 9 e 10 novembre 1992 a l’Aia in Olanda, succedendo
all’Unione dei Partiti socialisti della CEE. Fondamentale in questa direzione è la crescita del ruolo
del Parlamento Europeo e dell’integrazione dei paesi di quella che è diventata l’Unione Europea.
Mentre il soggetto istituzionale europeo progrediva da una comunità finalizzata prevalentemente ad
una diversa strutturazione del mercato economico, ad uno spazio politico titolare di poteri in
precedenza affidati agli stati nazionali, anche le forze politiche si sono dovute porre il tema della
loro organizzazione sovranazionale. La socialdemocrazia da questo punto di vista è stata la prima a
darsi almeno una parvenza di struttura a livello di Unione Europea. Il fatto che a tale struttura si sia
dato il nome di Partito è significativo della volontà programmatica delle forze politiche che ne
fanno parte di accompagnare e sostenere un percorso federalista dell’integrazione europea.
Nell’argomentare la formazione del PSE viene richiamato l’articolo 138-A del Trattato di
Maastricht il quale afferma: “I partiti politici a livello europeo sono un importante fattore per
l’integrazione in seno all’Unione. Essi contribuiscono a formare una coscienza europea e ad
esprimere la volontà politica dei cittadini dell’unione.” Si prevede uno sviluppo delle sedi
decisionali europee e quindi la necessità di definire politiche comuni e di una comune presenza
elettorale, oltre che, come già avviene, la formazione di un unico gruppo nel parlamento europeo.
Lo statuto prevede inoltre la preparazione di strutture per una più stretta collaborazione tra i partiti e
i gruppi parlamentari nazionali ed europeo, e di impegnare i membri dei partiti nelle attività del
PSE (manifestazioni a carattere europeo su temi di attualità e di grande rilevanza).
Nella struttura del partito vengono naturalmente inserite le sedi decisionali, a partire dal
Congresso. La struttura nuova è la Conferenza dei leaders che si deve riunire due volte l’anno, in
sostanza queste riunioni sono programmate secondo le cadenze istituzionali dell’Unione. Di fatto si
tengono immediatamente prima delle riunioni del Consigli dei Primi ministri dell’Unione Europea,
convocate appunto due volte l’anno. Il raccordo istituzionale (in modo ancora più esplicito che per
l’Internazionale socialista) resta la motivazione più importante della formazione del PSE.
Nella formulazione delle decisioni lo statuto distingue tra due possibilità: una parte di esse
saranno prese sempre all’unanimità, un’altra parte invece potranno essere assunte anche a
maggioranza qualificata (ovvero con l’adesione del 75%, calcolato in modo ponderato). Le materie
nelle quali l’eventuale opposizione di uno o più partiti non è tale da impedire la decisione del PSE
sono le stesse nelle quali il Consiglio dei ministri della CEE decide a maggioranza. E’ quindi
prevedibile con l’estensione delle materie comunitarie nelle quali non è indispensabile l’unanimità
anche nel Consiglio dei leader del PSE si verranno ad estendere i campi di applicazione di tale
regola.
Ciò che ancora distingue il PSE da un vero partito sovranazionale è la modalità di
formazione del congresso ed anche il vincolo esistente all’espressione del voto. I delegati (fissati in
base al peso riconosciuto al Paese, non a quello del partito) sono nominati dai rispettivi partiti e non
eletti dagli iscritti, e il voto è espresso per Partito, non è possibile, qualora in Congresso vi siano
orientamenti diversi, che questi si esprimano trasversalmente all’interno delle forze politiche
nazionali. E quindi il nome di Partito che è stato introdotto nel PSE ha più valore simbolico e
significato programmatico che non la definizione di un organismo che sia realmente tale.
Sono membri del Partito europeo, 21 partititi nazionali (o subnazionali nel caso del Belgio).
Considerato che attualmente l’Unione conta 15 stati membri, a questa cifra si arriva considerando
che vi sono tre stati plurirappresentati, il Belgio con i partiti fiammingo e vallone, l’Italia con tre
delegazioni (il PDS, il SI e il PSDI) , il Regno unito con i Laburisti britannici e il Partito
socialdemocratico e laburista dell’Irlanda del Nord, e inoltre sono stati affiliati due partiti di paesi
che non fanno parte dell’Unione, la Norvegia e Cipro.
Nella dichiarazione approvata al Congresso di fondazione dell’Aia viene confermato il
pieno sostegno della socialdemocrazia al Trattato di Maastricht, del quale si chiede la conclusione
del processo di ratifica quanto prima e senza ulteriori negoziati (la questione si poneva per l’esito
negativo del primo referendum popolare danese sull’adesione a Maastricht). “Il Trattato rende
possibile la messa in opera di migliori politiche comuni nel settore sociale e dell’ambiente. Senza
Maastricht, il mercato sarà la sola forza dominante. Il Trattato segna l’inizio di una politica estera e
di sicurezza comune. Esso migliorerà anche il controllo democratico. L’Unione economica e
monetaria ottenuta sulle basi della convergenza economica, aiuterà a creare delle condizioni di
stabilità monetaria e fiscale indispensabili al successo economico”. Queste affermazioni così prive
di sfumature sono parzialmente contraddette da altre parte della stessa dichiarazione. “Dobbiamo
riuscire a fissare un tasso di crescita senza il quale la convergenza monetaria sarebbe solo un
meccanismo puramente deflazionistico e l’Europa sociale diventerebbe un mezzo di compensazione
anziché una fonte di diritti, di responsabilità e di vere opportunità”. Seconda una tipica
articolazione per fasi si dichiara che il Trattato costituirà la base sulla quale costruire un’Europa
sociale (confermando che applicazione del Trattato di Maastricht e aspetti sociali non vanno di pari
passo e quindi non è affatto detto che alla realizzazione dell’Unione economica e monetaria segua
questo completamento).
Per quanto riguarda il tema cruciale dell’occupazione, la dichiarazione lo mette al primo
posto e sottolinea l’esigenza di rilanciare il tasso di crescita economica in modo concertato tra i vari
Paesi europei. Si continua a dare per scontato che incremento della crescita e diminuzione della
disoccupazione siano due fenomeni strettamente intrecciati, mentre sembra che uno degli elementi
chiave del nuovo ciclo capitalistico sia la deconnessione dei due momenti, attraverso l’estensione
delle nuove tecnologie.
Il più recente congresso del PSE si è tenuto a Malmö, in Svezia il 5, 6 e 7 giugno 1997. Nel
frattempo si sono avute le elezioni politiche in Gran Bretagna e in Francia, che hanno portato alla
vittoria delle forze di sinistra. Attesa nel primo caso, inaspettata nel secondo, essa si aggiunge al
precedente successo della coalizione di centrosinistra in Italia. Comprensibile un certo clima
trionfalistico che circolava nel Congresso e del quale si trova abbondante riscontro nella
presentazione al volumetto pubblicato da l’Unità con i principali interventi e documenti del
congresso stesso. “Momento straordinario per il movimento socialista europeo”, “un’onda che
travolge la destra in tutta Europa”, “inizio di una nuova fase storica per l’Europa”, ecc.
Si può rilevare per la verità che nonostante gli indubbi e rilevanti successi ottenuti nelle
elezioni citate e il fatto, anch’esso sottolineato con grande vigore, che la socialdemocrazia ha
“conquistato 12 governi su 15 nell’Unione europea”, il quadro si presenta più ricco di chiaroscuri di
quanto l’agiografia lasci intendere. Buona parte di quei 12 paesi su 15 vedono governi di coalizione
nel quale sono rappresentati, a volte in posizione dominante o fortemente condizionante, partiti
moderati (democristiani e liberali), come Belgio, Olanda, Lussemburgo, Irlanda, Finlandia.
Importanti partiti socialdemocratici come quello tedesco, svedese, belga non sono ancora usciti
dalla crisi apertasi con la fine del ciclo fordista e del modello di riformismo ad esso connesso. Una
parte rilevante della socialdemocrazia appare più impegnata a gestire una variante morbida del
neoliberismo che non ad opporre ad esso quella vigorosa alternativa che viene proclamata nei
documenti collettivi. La stessa presentazione citata deve riconoscere che “non tutto quello che si è
detto a Malmö è stato realizzato ad Amsterdam, una settimana dopo, alla chiusura della Conferenza
intergovernativa” (che aveva il compito di aggiornare il Trattato di Maastricht). Né si può dire che
in quella sede il tentativo di Jospin di imporre ai tedeschi almeno un’articolazione dell’agenda
dell’Unione europea, che consentisse di dare maggior rilievo al tema della occupazione e della
definizione di politiche attive, concertate in tal senso a livello europeo, abbia trovato il sostegno
unanime e convinto di quei 12 governi socialdemocratici su 15 esistenti in Europa.
Il congresso è stata l’occasione per trovare l’eco, in forma attenuata dalla regola
dell’unanimismo, che impera nei consessi internazionali della socialdemocrazia, delle differenze
esistenti tra le piattaforme politiche di Blair e Jospin. E non c’è dubbio che differenze sensibili vi
siano nel linguaggio, nell’individuazione dei problemi e nella formulazione delle priorità
programmatiche. Del resto una prima differenza si trova nella collocazione spaziale nel sistema
politico. Se Jospin fa riferimento al successo delle sinistre in Francia e Gran Bretagna, Blair parla
sempre di partiti di centro e centrosinistra, per definire le forze socialdemocratiche. Questa formula
ricorre continuamente nel suo discorso e non può quindi essere considerata casuale. Ne è la
controprova il fatto che nell’unico passaggio in cui si parla di partiti di sinistra e di centrosinistra
questo sia preceduta dalla formula “nel passato”. Per Blair la collocazione a sinistra della
socialdemocrazia appartiene al passato e non al futuro (e non saremo noi a volergli dare torto).
Il primo ministro francese inizia sottolineando la necessità di prendere le distanze
dall’attuale costruzione europea. I popoli quando si sono pronunciati hanno fatto chiaramente capire
che vogliono un’altra Europa, più vicina alle loro preoccupazioni, più solidale, più umana, che crei
più posti di lavoro. Ma noi non siamo disposti - per lo meno lo spero (NdA: questo inciso del
discorso di Jospin è molto illuminante) - a lasciare che l’Europa si impantani in una visione
monetaria e liberale. Per troppo tempo il metodo usato, per costruire l’unità politica europea, ha
privilegiato l’economia a spese del sociale, ha aggirato i popoli a scapito della democrazia. La
partenza del progetto europeo giustificava apparentemente il metodo usato, ed il progresso
economico e materiale faceva accettare tutto questo ai nostri popoli. Ma oggi l’Europa non si può
più costruire così, alle spalle dei popoli. Da sottolineare anche l’accenno che Jospin fa al rapporto
fra ruolo dello stato-nazione e globalizzazione. Rifugiarsi dietro ad illusorie barriere nazionali non
risolverà i nostri problemi, d’altra parte l’Europa non può sostituirsi alle nazioni che lo
compongono. Molte questioni - e fra le più importanti - che si presentano a noi devono essere
risolte nel quadro nazionale. La definizione di questa Europa nuova, Europa diversa è affidata a tre
termini: lavoro, solidarietà, cittadinanza. Per quanto riguarda il lavoro. l’idea centrale è che esistano
oggi considerevoli bisogni nel campo dell’istruzione, della formazione umana, delle infrastrutture
dei trasporti, delle reti di telecomunicazioni, del rinnovamento delle città. Non si ritroverà un
sentiero di crescita equilibrata se questi investimenti non redditizi a breve termine, non saranno
avviati oggi (è implicito che ciò richiede un intervento politico pubblico). Sul tema della
cittadinanza Jospin sottolineare in particolare il concetto di servizio pubblico che deve restare un
elemento centrale del nostro modello di civiltà.
Se esiste davvero un’ideologia del nuovismo Tony Blair ne rappresenta l’iperbole. “Nuovo,
nuovo, nuovo: tutto è nuovo” questo è il refrain che regge il suo discorso. Le differenze politiche
non si misurano sull’asse destra-sinistra ma su quello vecchio-nuovo. Alla destra liberista si
rimprovera di essere antiquata non di essere ideologicamente e programmaticamente reazionaria.
Così alla sinistra non allineata con la direzione del nuovo Labour di Blair si rimprovera di essere
vecchia, sorpassata ecc. I principi della socialdemocrazia vista dal leader inglese sono: essere
internazionalisti e non isolazionisti, essere i campioni della lotta contro il crimine, essere i paladini
della famiglia, essere i guerrieri contro la discriminazione in particolare razziale, essere i guardiani
dell’ambiente. Sul piano dell’economia l’obbiettivo è essere competitivi, è questa la chiave per
creare lavoro. La competitività non è solo all’interno dell’Europa, né solo con gli Stati uniti, ma con
il sud America, l’Asia e il mondo intero. Rifiutiamo il modo di competere della destra, che si bassa
sui bassi salari, eccetto per pochi privilegiati. Ma sappiamo anche che oggi non possiamo
competere soffocando le imprese. Il ruolo del governo è dare ai cittadini l’istruzione, la
specializzazione, le conoscenze tecniche di cui hanno bisogno per far fiorire il loro talento e la loro
impresa sul nuovo mercato. Dobbiamo essere i partiti della prudenza economica e fiscale.
Combinato con esso ci deve essere la riforma dello stato fiscale. Dall’insieme dell’intervento di
Blair, che ben rispecchia la sua visione politica, è difficile sfuggire all’impressione che dietro
all’enfasi nuovista, ci sia in sostanza poco più che un liberismo temperato.
Si può dire che esista oggi uno scontro all’interno della socialdemocrazia tra due paradigmi
diversi? La risposta è no. Esiste però un’articolazione di posizioni con molte sfumature intermedie e
ovviamente specificità nazionali, e questa è una dialettica positiva. Comunque se si dovesse
valutare verso quale parte dello spettro si colloca oggi la maggioranza della socialdemocrazia
questa è certamente verso Blair piuttosto che verso Jospin.
La sinistra alternativa europea

Alla fine degli anni ’80 i partiti comunisti europei si trovano in una condizione di profonda crisi e
sono attraversati da tendenze contrapposte, al punto che viene data ormai certa la loro tendenziale
estinzione o comunque la loro riduzione a gruppuscoli del tutto marginali nella vita politica dei
rispettivi Paesi. A livello europeo non esiste alcun momento di collegamento e di confronto unitario
dopo che anche il gruppo parlamentare europeo si è scisso in due componenti.
L’emergere di una profonda divisione nel movimento comunista può essere fatta risalire
almeno al 1968, con la posizione critica assunta dalla maggioranza dei PC nei confronti
dell’invasione della Cecoslovacchia. Successivamente si sviluppa la corrente eurocomunista che
accentua la propria autonomia nei confronti dell’Unione sovietica e sottolinea il tema del rapporto
tra socialismo e democrazia, dal quale emerge l’affermazione di una netta distinzione dal modello
autoritario del socialismo sovietico e del blocco dei Paesi dell’est Europa. La tendenza
eurocomunista si basa su tre partiti, l’italiano, il francese e lo spagnolo, ma attorno ad essa
gravitano anche gli svedesi, i britannici, i belgi, gli svizzeri, la maggioranza dei finlandesi e la
minoranza greca detta “dell’interno”. Sul versante opposto di trovano i greci del KKE e portoghesi,
affiancati da diversi partiti di piccole dimensioni come austriaci, tedesco-occidentali, irlandesi,
lussemburghesi, danesi.
L’eurocomunismo non riesce a delineare una diversa prospettiva strategica per la sinistra
alternativa europea e si definisce prevalentemente in termini di differenza dal modello sovietico. La
scelta di non dar vita ad un vero e proprio polo alternativo all’interno del movimento comunista,
l’insufficienza dell’elaborazione teorica e programmatica e la rapida divaricazione delle scelte dei
tre partiti promotori (divaricazione nelle quali tendono a diventare determinanti le condizioni
politiche nazionali) fanno sì che l’eurocomunismo, nonostante l’eco molto forte che raccoglie nei
mezzi d’informazione, non riesca a rispondere all’esigenza di rinnovamento del movimento
comunista.
La linea portata avanti da Gorbaciov, dopo la sua elezione alla segreteria del PCUS, sembra
rafforzare l’opzione riformista all’interno dei PC, ma il fallimento dell’operazione di rinnovamento
del socialismo apre una ulteriore fase di crisi radicale dell’area comunista. Sviluppando in parte
tendenze che erano già presenti nel periodo precedente si distinguono quattro opzioni:
1) l’avvicinamento e poi la confluenza nella socialdemocrazia come unica prospettiva realistica per
la sinistra. Questa opzione riceve un forte impulso con la trasformazione operata dalla
maggioranza del PCI in PDS e l’adesione all’Internazionale socialista. Nessun partito
dell’Europa occidentale compie la stessa operazione, ed in questo si riflette la diversità di
situazione politica nazionale. In Italia la socialdemocrazia è rimasta minoritaria rispetto alla
componente comunista, la quale, attraverso la politica prima di Togliatti e poi dei suoi
successori, ha assunto parte della funzione riformista dei partiti socialdemocratici di massa (tipo
SPD tedesca) pur non arrivando mai ad identificarvisi completamente. Negli altri paesi
dell’Europa occidentale i gruppi di provenienza comunista favorevoli all’opzione
socialdemocratica sono confluiti in partiti già esistenti. In Italia il PSI, che con l’ascesa di Craxi
alla segreteria e poi alla guida del governo si era posto l’obbiettivo di scalzare l’egemonia del
PCI, travolto dalle conseguenze dell’inchiesta di “mani pulite”, ha lasciato campo libero al PDS.
2) La trasformazione in partito alternativo post-comunista. Questa strada è stata incoraggiata
dall’emergere dei nuovi movimenti sociali, alcuni dei quali hanno fornito nuovo materiale ideale
e politico per una visione non più strettamente classista del conflitto sociale nel capitalismo
maturo. Anche la crescita dei nuovi partiti verdi, in particolare quello tedesco, con una forte
componente anticapitalista ed ecosocialista, hanno proposto una nuova prospettiva. Su questa
ipotesi si sono incamminati soprattutto i partiti della sinistra nordica, ma anche l’esperienza di
Izquierda Unida in Spagna è stata attratta dall’opzione rosso-verde, come alternativa alla crisi
del comunismo.
3) La rifondazione comunista, ovvero il proseguimento di un processo di rinnovamento, in parte
contenuto nelle letture di sinistra dell’eurocomunismo, tale da portare alla creazione di partiti
sensibilmente diversi, per modalità di organizzazione interna e per rapporto con la società, dai
PC tradizionali di origine terzinternazionalista. Questo asse di ricerca è stato perseguito, pur tra
incertezze, dai comunisti spagnoli e poi dalla minoranza del PCI che ha dato vita al PRC.
4) Ultima opzione quella della continuità dei partiti comunisti che scontasse la sconfitta subita con
la scomparsa del blocco socialista, senza che ciò implicasse un sostanziale rinnovamento di
impianto analitico e di elaborazione ideologica o di proposta politica. A questa impostazione si
richiamano comunisti greci e portoghesi, in parte anche quelli francesi fino all’elezione di
Robert Hue alla carica di segretario generale, nonché altri piccoli partiti della corrente cosiddetta
“filosovietica”.
Questa divaricazione ha indebolito l’area della sinistra alternativa ma ha anche aperto
opportunità nuove per cercare terreni di confronto e iniziativa comune che potessero dare per
superate le differenziazioni e le cristallizzazioni di posizioni che si erano determinate nei vent’anni
precedenti. A partire dal 1994 e poi con più forza dal 1996 si è verificato contestualmente un
processo di ripresa elettorale e politica dell’area a sinistra della socialdemocrazia e l’affermarsi di
nuove possibilità di incontro a livello sovranazionale. L’emergere di un polo di sinistra
trasformatrice a livello europeo ha beneficiato di due fattori ambientali, la progressione
dell’integrazione europea fino al salto di qualità determinato dal trattato di Maastricht, e la fine
dell’espansione dei partiti verdi che hanno dimostrato i loro limiti ad uscire dall’ambito tematico
proprio e a dar vita ad “nuovo paradigma” in grado di modificare lo spettro politico della sinistra.
Le sedi nelle quali si è andata riorganizzando la sinistra alternativa in questi anni sono tre, in
parte tra loro diverse e anche contraddittorie: il Forum della nuova sinistra europea, il Gruppo
unitario di sinistra nel Parlamento europeo, la serie di incontri iniziati a Parigi nel maggio 1996 e
poi proseguiti a Lisbona e Madrid, l’anno seguente.

Il Forum della nuova sinistra europea

Il nome che si è dato questo organismo (analogo al Forum latinoamericano di S. Paolo) non rende
pienamente conto del carattere fortemente strutturato che esso ha. In questo senso si avvicina
all’Internazionale socialista anche se ha un raggio d’azione limitato al continente europeo.
Naturalmente la strutturazione organizzativa non corrisponde necessariamente al peso politico in
quanto come vedremo non tutte le forze politiche che ne fanno parte vi attribuiscono lo stesso
rilievo.
Il Forum nasce a Madrid nel novembre 1991, con l’obbiettivo molto preciso di collegare
forze della sinistra ‘post-comunista’ e quindi di delineare una terza posizione fra la
socialdemocrazia raccolta nell’Internazionale socialista, e la sinistra comunista ‘ortodossa’
identificata nei PC francese, portoghese e greco. Al momento della sua fondazione sono presenti 9
partiti: l’Alleanza di sinistra finlandese, il Partito di sinistra svedese, il Partito socialista di sinistra
norvegese, il Partito socialista popolare danese, la Sinistra rossoverde dei Paesi Bassi, la Sinistra
democratica irlandese, il PDS italiano, il Synaspimos greco, la Sinistra unita spagnola. Come si
vede non vi è nessun partito comunista anche se le forze che si sono raccolte a Madrid si sono in
gran parte staccate dal movimento comunista, in momenti diversi della loro storia. Sono solo
indirettamente presenti i comunisti spagnoli in quanto costituiscono la forza principale di IU.
I principali promotori dell’iniziativa sono il PDS, e la componente ex comunista di Izquierda
Unida tra cui in particolare l’organizzazione catalana di Rafael Ribò, Iniciativa per Catalunya. Per il
PDS è abbastanza evidente che si tratta di una operazione strumentale rispetto all’avvicinamento e
all’ingresso nell’Internazionale socialista, cercando di staccare il più possibile settori di partiti
comunisti per portarli all’avvicinamento con la socialdemocrazia. Altre forze come gli olandesi
mirano invece ad avvicinare forze di sinistra ai partiti verdi, anche per costituire un contrappeso
rispetto alla tendenza verde ‘purista’, che respinge l’idea di collocarsi a sinistra dello schieramento
politico, valorizzando invece il ‘superamento’ della divisione destra-sinistra a partire dalla
contraddizione ambientale.
Il Forum ha mantenuto, dal momento della fondazione, il ritmo di due riunioni annuali
svoltesi nei diversi paesi dei partiti di appartenenza. Il PDS ha rapidamente abbandonato la sua
azione in questo organismo, come era prevedibile, per integrarsi pienamente nelle strutture
sovranazionali della socialdemocrazia. Nel frattempo il Forum ha accolto altri partiti fino a
raggiungere al momento della riunione di Helsinki dell’ottobre 1996 il numero di 21 membri,
provenienti da 17 paesi europei. Ai partiti promotori (meno il PDS), si sono aggiunti la Sinistra
democratica di Gran Bretagna, la PDS tedesca, il Partito democratico del lavoro di Estonia, le
Sinistre unite del Belgio, il PC francese, il Movimento dei cittadini francese, il Partito svizzero del
lavoro, il PRC italiano, il Movimento dei comunisti unitari italiani, il partito ADISOK e il partito
AKEL di Cipro e il PC austriaco.
Perso il PDS sono entrati in campo alcuni partiti comunisti, anche se altri, presenti nel
gruppo della sinistra al Parlamento europeo, restano fuori, in parte per volontà propria, in parte per
l’orientamento ancora prevalente fra alcuni dei partiti facenti parte del Forum, di mantenere una
secca distinzione nei confronti di quei partiti comunisti ritenuti troppo tradizionalisti.
Le riunioni del Forum si sono incentrate sempre su temi politici nel tentativo di formulare
delle politiche comuni o quantomeno di avvicinare posizioni spesso diverse. Un ruolo centrale nelle
riflessioni del Forum lo hanno i temi della politica europea, di Maastricht, delle politiche per
l’occupazione.
L’unico documento di carattere generale è stato approvato nella riunione di Barcellona del
1994, prima delle elezioni europee.
Il PRC italiano, pur avendo aderito al Forum mantiene un atteggiamento critico, perché lo
vede come un elemento di divisione della sinistra alternativa, con il tentativo di emarginare alcune
forze comuniste. Questa posizione ha portato nel II congresso ad inserire nelle tesi politiche il
rifiuto delle ipotesi di organizzare una ‘terza via’ della sinistra. Il PRC, pur partecipandovi, non ha
dato alcun rilievo all’attività del Forum stesso, indice di un giudizio negativo non ancora
pienamente superato.
Izquierda Unida invece pur avendo sconfitto almeno per ora al suo interno le forze
favorevoli alla liquidazione della componente comunista che più avevano appoggiato l’istituzione
del Forum, continua ad impegnarsi attivamente in tale sede, e collega l’azione del Forum alle altre
presenze sullo scenario europeo e internazionale.

Il Gruppo unitario della sinistra europea - sinistra verde nordica

Con le prime elezioni dirette del Parlamento europeo i comunisti hanno potuto immediatamente
costituire un gruppo proprio che si è poi allargato parallelamente all’ingresso di nuovi Paesi nella
Comunità (ora Unione) europea. Inizialmente il parlamento aveva scarsi poteri, e non costituiva una
sede importante nell’ambito dell’attività dei singoli partiti che continuavano ad essere interessati
quasi esclusivamente alla dimensione nazionale. Sono stati i comunisti italiani quelli che più si sono
impegnati in questa sede e ciò per più motivi. Innanzitutto la dimensione quantitativa della loro
presenza in termini di seggi permetteva di avere una influenza maggiore, anche se pur sempre
limitata dallo strapotere dei gruppi democristiano e socialdemocratico. In secondo luogo sono stati,
fra i comunisti, il partito che ha compiuto prima e con più radicalità una scelta favorevole allo
sviluppo dell’integrazione europea, abbandonando la linea che vedeva nel Mercato comune e nella
Comunità un puro e semplice strumento capitalistico. Infine l’autonomizzazione dal movimento
comunista dalla leadership sovietica e la ricerca di nuovi terreni di confronto e di intesa con alcuni
partiti socialisti e socialdemocratici (in particolare i tedeschi e i francesi) li portava a cercare di
valorizzare il ruolo che una sede come quella comunitaria poteva loro offrire per sviluppare contatti
sui principali temi politici.
La differenziazione in atto nel movimento comunista dell’Europa occidentale non poteva
non avere riflessi anche sul gruppo parlamentare europeo. Dopo le elezioni del 1989 il gruppo
comunista si scindeva in due parti. Il PCI assieme agli spagnoli, agli eurocomunisti greci e al
rappresentante del PSP danese formava il Gruppo della sinistra unitaria europea, il quale si
proponeva di assumere un atteggiamento favorevole all’integrazione europea (anche se con
differenti gradi di entusiasmo) e di poter favorire la collaborazione col gruppo socialista. I restanti
partiti si trovavano a dover reagire alla rottura e diedero vita alla Coalizione delle sinistre, nel quale
trovavano collocazione comunisti francesi, greci, e portoghesi. Ad essi si aggiungeva anche il
rappresentante del Workers’ Party irlandese (poi diventato Democratic Left). Quest’ultimo
costituiva una formazione politica dalle caratteristiche molto peculiari, in quanto trovava la propria
origine storica in una delle componenti dell’IRA (quella cosiddetta ufficiale) che alla fine degli anni
’60 aveva deciso di abbandonare la lotta armata riducendo il peso dell’ideologica nazionalista e
sposando invece l’idea della priorità della lotta di classe anche per l’Irlanda. Il Workers’ Party
aveva al suo interno una componente marxista-leninista filosovietica, anche se questa stava
perdendo terreno proprio nel momento in cui il partito decideva di aderire al gruppo formato dai
partiti comunisti ‘ortodossi’.
La decisione del PDS di entrare nel gruppo socialista nel corso della legislatura terminata
nel 1994, ha lasciato le forze che gli si erano alleate nonché i parlamentari europei che avevano
aderito al neocostituito PRC, senza la possibilità di mantenere in vita un proprio gruppo. Le elezioni
europee del 1994 hanno però aperto nuove possibilità grazie alla crescita elettorale di Izquierda
Unita e alla buona affermazione del PRC che poteva portare 5 propri eletti al parlamento di
Strasburgo.
Si determinava la possibilità di tornare a riunire in un unico gruppo tutte le forze politiche
che si collocano a sinistra della socialdemocrazia, superando i non pochi ostacoli che si
presentavano. Alcune forze politiche riaffermavano la loro volontà di costituire un polo di terza via
rossoverde, che rappresentasse il superamento di socialdemocrazia e comunismo ‘dogmatico’.
Questo era in particolare l’obbiettivo dichiarato di PSP danese (che già aveva aderito al gruppo
verde) e del Synaspimos greco. Considerato che a livello nazionale ad esempio Synaspimos e PC
greco non hanno alcuna relazione, non era certamente facile ricondurli dentro un unico gruppo
parlamentare a livello europeo. Nella stessa Izquierda Unida vi erano settori che puntavano ad una
relazione privilegiata con i Verdi.
Alla fine di complesse trattative si è arrivati alla costituzione del Gruppo Unitario della
sinistra europea, nel quale confluivano tutte le forze politiche a sinistra della socialdemocrazia
presenti in Parlamento. Questo gruppo è il quarto per consistenza e ha sviluppato buoni rapporti sia
con settori della socialdemocrazia che dei verdi.
Con l’ampliamento dell’Unione europea ad alcuni Paesi del nord Europa, si sono integrati
nel nuovo gruppo anche il Partito di sinistra svedese e l’Alleanza di sinistra finlandese, nonché il
Partito socialista popolare, che ha privilegiato i rapporti storici intessuti nella sinistra nordica alla
propria propensione per il gruppo verde.

Gli incontri della sinistra alternativa

Sulla base di una proposta avanzata da Bertinotti al segretario comunista francese Robert Hue, si è
tenuto nel maggio 1996, nella capitale francese, un meeting progressista contro la disoccupazione.
L’incontro ha avuto le caratteristiche di una manifestazione di massa alla quale erano presenti
militanti francesi e di altri paesi (1.500 dall’Italia, 400 dal Portogallo, 200 dalla Germania).
Questo incontro è stato variamente commentato dalla stampa europea, alcuni vi hanno visto
un tentativo di rilancio dell’eurocomunismo, altri nientemeno che l’annuncio di una imminente
rifondazione dell’Internazionale comunista (questo il giudizio formulato da Stephane Courtois, noto
per essere il curatore del “libro nero del comunismo”). In genere la stampa d’informazione ha
cercato di incasellare l’iniziativa negli schemi mentali di cui dispone, che sono piuttosto poveri, e
comunque quando si tratta di sinistra alternativa, tesi a leggerli con gli occhiali del passato, più con
quelli del presente.
In realtà, per quella di Parigi, come per le altre successive, non siamo certamente in presenza
di iniziative preliminari alla rinascita del Comintern, ma nemmeno ad un tentativo di tornare ad una
esperienza come quella dell’eurocomunismo, irrimediabilmente legata ad un’altra fase storica. Le
forze della sinistra trasformatrice europea (comunista e non) si sono poste il problema di affermare
una presenza politica in un ambito sovranazionale, data ormai l’impossibilità di rinchiudersi
all’interno dei confini statali. Queste iniziative si caratterizzano per il riconoscimento del
pluralismo ideologico che non impedisce la ricerca di obiettivi politici comuni. In secondo luogo
cerca di costruire uno spazio di mobilitazione europea che non sia fatto solo di incontri tra leaders
di partito (come nel caso dell’Internazionale socialista) ma che unisca sedi di confronto
programmatico con iniziative di lotta.
I leaders dei partiti di sinistra presenti a Parigi hanno sviluppato alcuni temi comuni, in
particolare la denuncia delle politiche neoliberiste e delle conseguenze che queste hanno prodotto in
termini di aumento della disoccupazione, e in generale dell’attacco in corso contro lo stato sociale e
altre conquiste ottenute dal movimento dei lavoratori in Europa nei decenni scorsi.
Il trattato di Maastricht è stato criticato come uno dei passaggi chiave del tentativo di
consolidare in Europa l’egemonia neoliberista. Su questo punto si è distinto dalla posizione
maggioritaria, il presidente di Iniciativa per Catalunya, Rafel Ribò che ha invece sostenuto la tesi
(vicina a quella della socialdemocrazia) della correzione del deficit sociale del trattato, in un quadro
di ‘difesa e approfondimento dello stesso’. Più differenziato il quadro delle posizioni per quanto
riguarda l’atteggiamento sull’unità europea. Alcuni partiti, tra cui il PC francese, che in questo ha
parzialmente corretto la sua tradizionale visione politica, si schierano a favore dell’Unione europea,
pur contestandone l’attuale configurazione, e sostenendo la possibilità e la necessità di dare ad essa
una diversa connotazione politica e sociale.
Sul tema specifico della disoccupazione, alcuni partiti avanzano proposte dettagliate, mentre
altri si limitano a considerazioni più generali, o in qualche caso (come il rappresentante del PC
greco) a denunce piuttosto rituali delle multinazionali e del capitalismo. Uno dei temi che ricorre
più frequentemente è quello della riduzione dell’orario di lavoro, visto come strumento praticabile
sia per il miglioramento della qualità della vita, che come strumento di redistribuzione del lavoro
stesso, per poter ridurre il numero dei disoccupati. E’ soprattutto Bertinotti a sottolineare la
centralità politica di questa obbiettivo nella lotta contro la disoccupazione, la quale è il punto di
partenza per la costruzione di un movimento di massa europeo, contro Maastricht e contro le
politiche liberiste, per una nuova politica economica, per un nuovo stato sociale, per un nuovo e
diverso modello di sviluppo.
Il leader di Izquierda unida, Julio Anguita, ricollega la lotta contro la disoccupazione alla
costruzione di una alternativa al sistema dominante, della quale individua i concetti chiave: 1) il
concetto di economia di mercato deve essere corretto in quello di un’economia basata sulla
necessità della domanda; 2) il concetto di crescita sostenuta deve essere sostituito da quello di
sviluppo economico, sociale ed ecologicamente sostenibile; 3) il concetto di competitività deve
essere contrastato, corretto e trasformato in quello di solidarietà.
Il secondo appuntamento delle forze di sinistra e progressiste europee è stato promosso dal
Partito comunista portoghese, e si è tenuto a Lisbona il 24 maggio 1997, alla vigilia delle elezioni
francesi. Mancavano alcuni dei partiti presenti a Parigi (la Democratic left irlandese, i socialisti di
sinistra norvegesi e i socialisti popolari danesi), mentre era rappresentato per la prima volta l’AKEL
cipriota, un partito comunista molto influente nell’isola mediterranea.
“L’occupazione e i diritti in un’Europa di progresso sociale, pace e cooperazione”, questo il
titolo dell’iniziativa che vedeva i principali leaders della sinistra alternativa europea intervenire di
fronte a diverse migliaia di portoghesi (presenti anche piccole delegazioni di altri Paesi) fra cui
molti giovani che negli ultimi anni hanno ripreso a fare la loro comparsa nelle iniziative pubbliche
del Partito comunista.
Molti temi degli interventi ripercorrevano analisi e ragionamenti già sviluppati
nell’iniziativa di Parigi, sulla gravità della disoccupazione, sui danni delle politiche liberiste, sulla
negatività del trattato di Maastricht. Diversi discorsi, in particolare quello di Bertinotti, che lo ha
sintetizzato nella formula “il vento in Europa può cambiare direzione”, hanno segnalato la ripresa di
movimenti di lotta, una nuova capacità delle forze di sinistra di avanzare parole d’ordine
mobilitanti, e le indicazioni di una possibile internazionalizzazione dei movimenti sociali (molti
citavano le lotte multinazionali per la difesa dei posti di lavoro alla Renault-Vilvoorde). In questa
prospettiva lo sviluppo delle iniziative politiche della sinistra, da Parigi a Lisbona e poi
successivamente a Madrid, venivano valutate in modo particolarmente positivo.
Il rappresentante dell’AKEL, Andreas Christou, ha delinea i possibili elementi chiave di una
piattaforma politica della sinistra: 1) revisione radicale del trattato di Maastricht; 2) lotta contro la
disoccupazione, incorporazione obbligatoria nel trattato di Maastricht di una ‘carta sociale’; 3)
democratizzazione delle istituzioni dell’Unione europea e salvaguardia di tutti i diritti umani; 4)
nuova politica di sicurezza per l’Europa, poiché non vi è nessuna relazione tra il rafforzamento
della NATO ed il suo allargamento ad est e la stessa sicurezza europea. Ciò a cui l’Europa deve
puntare è un sistema di sicurezza mondiale sotto l’egida delle Nazioni Unite, certamente
democratizzate.
Anguita ha sottolineato la necessità di far crescere l’identità politica e programmatica tra le
forze presenti, da cui far scaturire un impegno comune che si articoli in due punti: 1) coordinare
azioni di lotta che possano concretizzarsi in giornate di mobilitazione generale che diano visibilità
alla capacità di risposta della sinistra. Questa fatto implica, naturalmente una capacità di dialogo
con i sindacati europei; 2) elaborare un’alternativa politica e programmatica basata su un’idea
centrale: rilanciare una proposta di stato sociale che dia il senso della possibilità di costruire una
nuova società attraverso grandi idee alternative (riduzione dell’orario di lavoro, sviluppo
economico ecologicamente sostenibile, nuove idee di qualità della vita, ecc.)
Come già a Parigi era presente a Lisbona, Ken Coates, parlamentare laburista europeo
(recentemente espulso con un suo collega per aver criticato la politica di Tony Blair),
particolarmente impegnato nella riflessione e nell’azione politica sui temi della lotta alla
disoccupazione. La sua presenza indica la possibilità per la sinistra alternativa di collegarsi, su
alcuni obbiettivi e nella stessa formulazione di un programma della sinistra, con la parte più
avanzata dell’area socialista e socialdemocratica e dei verdi. Da Lisbona, con la presenza di partiti
come l’Alleanza di sinistra finlandese e il Synaspimos greco, particolarmente impegnati nella
creazione di una terza sinistra distinta dai comunisti ‘dogmatici’, emerge il superamento di alcune
pregiudiziali, e la conferma della possibilità di lavorare unitariamente anche fra forze politiche
ideologicamente differenziate.
Su invito di Izquierda unida si sono riuniti a Madrid il 5 luglio 1997, 21 partiti comunisti,
socialisti, progressisti di 16 Paesi europei, in grado di rappresentare una forza elettorale di 14
milioni di cittadini. L’appuntamento era stata convocato in coincidenza, e evidentemente in
opposizione ad un imminente incontro dei capi di governo dei Paesi NATO che dovevano decidere
l’allargamento del patto militare ai Paesi dell’est Europa.
All’appuntamento madrileno, il più ampio e rappresentativo finora svolto, sono intervenuti
per la prima volta altri partiti che, pur di piccole dimensioni, segnalavano il coinvolgimento nelle
iniziative della sinistra alternativa, di nuovi Paesi: il Partito socialista laburista britannico di Arthur
Scargill, il PC belga, il Movimento dei cittadini francese (scissione del Partito socialista), il Partito
socialista olandese (di lontane origini maoiste), il Partito svizzero del lavoro.
Se al centro di molti interventi era la contestazione della NATO e del suo allargamento ai
Paesi dell’ex blocco sovietico, e la rivendicazione di una nuovo assetto democratico della sicurezza
collettiva, basato sul rinnovamento democratico di strutture come l’ONU e l’OSCE
(Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione europea), anche altri temi politici e sociali sono
stati toccati negli interventi, che hanno fornito un panorama dei molti elementi comuni e di qualche
aspetto di differenziazione presenti nella sinistra alternativa europea.
A differenza di quanto avvenuto a Parigi e a Lisbona sono state approvate delle conclusioni
comuni che cercano di fissare alcuni punti di partenza per lo sviluppo ulteriore dell’iniziativa. Il
quadro generale a cui si fa riferimento è dato dalle vittorie elettorali dei laburisti in Gran Bretagna e
delle sinistre in Francia, e dalla crescita di un movimento di fondo contro le idee neoliberali. Non
tutti i partiti riuniti a Madrid hanno la stessa posizione sulla moneta unica però tutti condividono
una visione profondamente critica del progetto di Unione economica e monetaria e considerano
nefasto il Patto di stabilità che conduce a rendere permanenti le politiche di austerità e di
soppressione di posti di lavoro. I partiti condividono la necessità di una più ampia partecipazione
popolare alle decisioni sullo sviluppo dell’Europa, senza la quale non sarà possibile fare passi
avanti e propongono, dove ne esistono le condizioni, un referendum su Maastricht e l’Unione
monetaria.
L’altro tema toccato è quello della sicurezza, per la quale si propone un nuovo modello
fondato sulla fine delle minacce militari e la creazione di istituzioni capaci di garantire la sicurezza
di tutti i popoli del continente. Questa è la ragioni per la quale i partiti riuniti a Madrid si
oppongono al rafforzamento della NATO e al suo ampliamento, chiedendone invece lo
scioglimento. La OSCE, una volta rinnovata e dotata di mezzi effettivi adeguati, come strumento
regionale dell’ONU, potrà contribuire alla prevenzione dei conflitti e al loro superamento con mezzi
politici.
Infine le forze politiche riunite a Madrid hanno espresso la loro determinazione a lavorare
uniti e ad ampliare rapidamente il dialogo all’insieme della sinistra e dei verdi, per la costruzione di
una Europa democratica, sociale, solidale, di pace e di equilibrio ecologico.
Nel loro insieme questi tre appuntamenti, hanno fatto emergere un nuovo soggetto politico
pluralista di sinistra, che si propone come la forze più avanzata e coerente nella lotta contro il
neoliberismo e per la realizzazione di una alternativa politica trasformatrice. Come far crescere
questo soggetto, consolidandone l’intesa politica e programmmatica, e la capacità di stimolare la
crescita di movimenti sociali a dimensione europea? E’ questo un interrogativo che non ha ancora
trovato piena risposta anche se i passi avanti fin qui fatti sono indubbiamente rilevanti. Inoltre resta
aperta l’esigenza di allargare geograficamente l’iniziativa agli Paesi dell’ex blocco socialista, finora
esclusi, e di sviluppare le relazione con i partiti della sinistra alternativa degli altri continenti,
cominciando a rompere l’egemonia delle forze socialdemocratiche.

BOX

I Partiti della sinistra alternativa europea

Paese Nome Voti Deputati Deputati Iscritti Leaders


(%) PE
Belgio Partito Comunista 0,1 0 0 1.000 Pierre Beauvois
Catalogna Iniziativa per Catalogna 9,8 11 1 8.000 Rafael Ribò
Cipro AKEL 33,0 19 --- 16.000 Demetris Christofias
Danimarca Partito Socialista Popolare 7,5 13 1 7.000 Holger Nielsen
Francia Partito Comunista Francese 10,0 35 7 300.000 Robert Hue
Movimento dei Cittadini 1,1 7 0 10.000 Jean Pierre Chevenement
Finlandia Alleanza di Sinistra 11,2 19 2 17.000 Claes Andersson
Germania Partito del Socialismo 4,4 30 0 105.000 Lothar Bisky
Democratico
Gran Bretagna Partito Socialista Laburista 0,2 0 0 5.000 Arthur Scargill
Grecia Partito Comunista Greco 5,6 11 2 30.000 Aleka Papariga
Synaspismos 5,1 10 2 18.000 Nicos Costantopoulos
Irlanda Sinistra Democratica 2,5 4 0 1.500 Proinsias De Rossa
Italia Partito Rifondazione Comunista 8,6 35 3 130.000 Fausto Bertinotti,
Armando Cossutta
Movimento Comunisti Unitari -- 8 2 3.000 Famiano Crucianelli
Norvegia Partito Socialista di Sinistra 6,0 9 --- 11.500 Erik Solheim,
Turid Leirvoll
Paesi Bassi Partito Socialista 1,3 2 0 21.000 Jan Marijnissen
Portogallo Partito Comunista Portoghese 8,6 13 3 140.000 Carlos Carvalhas
Spagna Sinistra Unita 11,1 21 8 59.000 Julio Anguita
Svezia Partito di Sinistra 6,2 22 3 11.500 Gudrun Schyman
Svizzera Partito Svizzero del Lavoro 1,1 3 --- 3.500 Josef Zizyades

Fonte: Correspondences Internationales (nouvelle epoque, ètè 1997), con integrazioni e


aggiornamenti.
Il Forum di S. Paolo
Dal 1990 e per iniziativa del Partito dei lavoratori brasiliano (PT) la sinistra latino-americana si è
data una sede di confronto comune, il Forum di S. Paolo, dal nome della città brasiliana nella quale
si è riunito la prima volta. Negli anni successivi esso è stato ospitato da altri Paesi del centro e del
sud America, ma ha mantenuto la denominazione derivatagli dal primo incontro. Il Partito
comunista cubano, al quale una parte importante della sinistra continua a guardare come ad un
punto di riferimento (anche se certamente con un occhio più critico di quanto non avvenisse in
passato) è stato coinvolto fin dall’inizio ed ha contribuito al successo dell’iniziativa.
Al Forum partecipano regolarmente partiti di orientamento molto diverso, che vanno dalla
sinistra nazionalista alla socialdemocrazia, ai comunisti e alle varie ramificazioni dell’estrema
sinistra. Esso unisce grandi partiti di massa con un forte seguito elettorale a gruppuscoli di scarsa
influenza. Se le riunioni del Forum non hanno finora contributo a diminuire la frammentazione
della sinistra latino-americana e alla riunificazione dei suoi molti rivoli, hanno quanto meno
consentito un nuovo clima di rispetto reciproco e di dibattito, anche nell’asprezza con cui vengono
sostenute le rispettive posizioni. Dal 1990 al 1997 si sono tenute sette riunioni annuali. Solo nel
1994 non è stata prevista alcuna riunione perché in quell’anno molti dei principali partiti della
sinistra erano impegnati in importanti appuntamenti elettorali.
La tenuta del Forum, le forze in campo, i dibattiti che in essa si sono svolti e l’impronta che
i partiti che l’hanno ospitato vi hanno impresso, hanno fornito un quadro particolarmente
significativo dello stato della sinistra in America latina, e dei forti elementi di novità che sono
emersi nel corso dell’ultimo decennio. Si sono consolidate o formate nuove forze politiche come il
PT brasiliano e il PRD messicano, alcuni movimenti di guerriglia hanno siglato accordi di pace e si
sono trasformati in attori politici ed elettorali, come l’M-19 colombiano e l’FMLN del Salvador.
C’è stato un processo di democratizzazione, per quanto viziato da enormi limiti, che ha coinciso
con il declino delle dittature militari che hanno lasciato dietro di sé centinaia di migliaia di morti.
La scomparsa dell’Unione sovietica e il fallimento del modello di socialismo che essa aveva
rappresentato ha costretto la sinistra, anche quella che non era strettamente legata al movimento
comunista, a ripensare i suoi punti di riferimento ideologici.

La fondazione a S. Paolo (1990)

Il primo incontro si è tenuto in Brasile, il 4 luglio 1990, con la partecipazione di 48 organizzazioni,


partiti e fronti di 14 Paesi. Quasi tutti i Paesi vengono rappresentati da più di una delegazione fino
ad un massimo di 10 per l’Argentina e per l’Uruguay. Fra le molte presenze significative, il PC
Cileno, il PC Cubano, l’FMLN del Salvador, Izquierda Unida peruviana, il Fronte ampio
uruguayano, il MAS e Causa radicale del Venezuela, spiccano anche alcune assenze. In particolare
mancano all’appello i sandinisti nicaraguensi, da poco sconfitti alle elezioni, ma che continuano a
rappresentare una delle voci più significative della nuova sinistra latino-americana.
Il dibattito tocca in particolare cinque temi: l’offensiva capitalista contro l’America Latina,
la crisi dell’Europa dell’Est, la situazione di Cuba, alcune esperienze della sinistra latino-americana,
e il progetto di società socialista e democratica. Il quadro che viene condiviso da quasi tutte le
organizzazioni è quello di una complessiva difficoltà della sinistra di fronte all’azione
dell’imperialismo che ha saputo utilizzare gli accresciuti spazi di manovra fornitigli dalla crisi dei
Paesi dell’est e dell’URSS. Su quest’ultima vicenda si esprime un orientamento comune alla grande
maggioranza delle forze presenti: è la crisi di un modello di dominazione burocratica. La
maggioranza parla di ‘caduta della burocrazia’, ‘transizione al socialismo’, ‘crisi del modello di
partito unico’, ‘assenza di democrazia socialista’, ecc.
E’ soprattutto sul rapporto tra democrazia e socialismo che si concentrano molti degli
interventi. Marco Aurelio Garcia, intellettuale e dirigente del PT, rivendica la necessità del
multipartitismo nella costruzione della nuova società socialista. Anche la situazione cubana è
oggetto di discussione. La sinistra latino-americana, al di là delle molte differenze ideologiche e
politiche, è tutta solidale con l’isola caraibica e con la sua tenace resistenza alle pressioni
americane. Ma evidentemente le vicende del socialismo reale aprono molti elementi di riflessione e
anche di preoccupazione sulle prospettive della rivoluzione cubana. Il PC Cubano è rappresentato
da Carlos Aldana (che verrà successivamente allontanato da incarichi di direzione), il quale dichiara
“a Cuba non c’è crisi e non ci sarà’. Un’affermazione che evidentemente tenta di sottovalutare i non
pochi problemi che il crollo dell’URSS e del campo socialista determinerà per Cuba, come gli anni
successivi dimostreranno. Aldana fa due affermazioni interessanti. Nella prima rivela che in diverse
occasioni i cubani si sono trovati in disaccordo con l’URSS, ma hanno taciuto per solidarietà
politica, come nel caso della famosa presa di posizione in favore dell’invasione della
Cecoslovacchia. In secondo luogo anticipa che la separazione tra partito e Stato rappresenterà uno
dei temi centrali dell’imminente IV congresso del partito.
La riunione di San Paolo ha anche registrato la sostanziale chiusura delle esperienze della
lotta armata, e la necessità di ripensare una strategia politica, in una situazione in cui sono
determinati maggiori spazi per la partecipazione istituzionale ed elettorale.
Il documento finale sottolinea che si è trattato di un incontro inedito per l’ampiezza e la
partecipazione delle più diverse correnti ideologiche della sinistra. Il dibattito è stato veramente
intenso, franco, pluralista e democratico, ed ha confermato la disponibilità delle forze di sinistra
socialiste e antimperialiste del continente a condividere analisi e bilanci delle esperienze compiute.
Viene rimandato al successivo confronto, fissato per l’anno successivo in Messico, l’obbiettivo di
avanzare proposte consensuali di unità d’azione nella lotta antimperialista e popolare.
Tutte le organizzazioni della sinistra ritengono che la società giusta, libera e sovrana e il
socialismo possano nascere ed essere sostenuti solo dalla volontà dei popoli, accomunati nelle loro
radici storiche, manifestano perciò la volontà comune di rinnovare il pensiero della sinistra e del
socialismo, di riaffermare il suo carattere emancipatore, correggere le concezioni erronee, superare
ogni manifestazione di burocratismo e ogni mancanza di democrazia sociale e di massa. Il
socialismo non può esistere senza la più autentica delle democrazie.
D’altra viene respinta ogni pretesa di approfittare della crisi dell’Europa orientale per
alimentare illusioni nell’inesistente bontà del liberalismo e del capitalismo. Vengono riaffermate le
concezioni e gli obiettivi socialisti, antimperialisti e popolari alla base della nascita e dello sviluppo
di vaste forze sociali, democratiche e popolari a livello continentale, che si scontrano con le
imposizioni dell’imperialismo e del capitalismo neoliberali.
Il documento denuncia le politiche filoimperialiste e neoliberali applicate dalla maggior
parte dei governi latinoamericani e critica le proposte di integrazione americana presentate da Bush.
Il piano del presidente USA ha lo scopo di aprire l’economia nazionale sudamericana alla sleale e
diseguale concorrenza con l’apparato economico imperialista. La dichiarazione propone, in
contrapposizione al piano Bush, le basi di un nuovo concetto di unità e di integrazione continentale.
Esso si fonda sulla riaffermazione della sovranità e della autodeterminazione; sulla difesa del
patrimonio latinoamericano, mettendo fine alla fuga dei capitali, e sulla soluzione del flagello
costituito dall’impagabile debito estero; sull’impegno per i diritti umani, la democrazia e la
sovranità popolare come valori strategici. In questo quadro la sinistra latinoamericana rinnova il
proprio impegno “per la conquista del pane, della bellezza e dell’allegria”.

Città del Messico (1991)

Ad organizzare il secondo meeting, che si tiene a Città del Messico dal 12 al 15 giugno 1991, con la
presenza di 68 organizzazioni provenienti da 22 paesi, è il PRD di Cuhautemoc Cardenas, di
recente formazione, sorto dalla confluenza di una corrente democratica e neo-nazionalista del
partito al potere in Messico (il PRI), con le principali organizzazioni della sinistra (comunisti
compresi). Fra i partecipanti compaiono per la prima volta il Fronte Sandinista del Nicaragua e
l’Organizzazione Lavalas, di Haiti. Sono inoltre presenti con il ruolo di osservatori, una dozzina di
partiti provenienti dall’Europa, dagli USA e dal Canada.
Questa riunione è servita a porre le basi per un largo fronte continentale che si oppone
all’offensiva neoliberale e neoconservatrice, anche se, al di là di questa intesa di fondo, esiste,
nell’arco di forze presenti, un largo ventaglio di interpretazioni, analisi e prospettive politiche. Una
parte della sinistra latino-americana inizia un percorso di avvicinamento ad un discorso
sostanzialmente di tipo socialdemocratico, che accantona sbrigativamente idee, progetti e bilanci
dell’esperienza politica precedente, e ritiene che esista uno spazio possibile di umanizzazione del
capitalismo liberista. Anzi, dati i rapporti di forza, l’egemonia unipolare degli Stati Uniti, e la
scomparsa di un contrappeso e possibile retrovia nel blocco socialista, che questo sia l’unico spazio
realistico.
Lula, leader del PT brasiliano, durante l’inaugurazione dell’incontro ha sostenuto la difesa
di una prospettiva socialista, che per il PT non si è mai identificato con i Paesi sovietici. La
relazione che ha aperto il Forum è stata tenuta da Cardenas, il quale partendo dalla situazione
messicana, non ha affrontato i temi ideologici, ma ha cercato di tracciare i contorni di una strategia
continentale, per la quale le forze di sinistra potessero operare anche da posizioni di governo. In
particolare Cardenas si è soffermato sulla situazione economica, sul debito estero e sulla proposta di
‘Iniziativa per le Americhe’ di Bush, formulando la proposta di stipulare un ‘Patto continentale di
sviluppo e commercio’, che abbia come caratteristica fondante la pari dignità fra i partecipanti e,
conseguentemente, il riconoscimento dei differenti livelli di sviluppo dei vari Paesi. Questo
dovrebbe costituire una leva per lo sviluppo e un argine contro le forme e le strategie del
neocolonialismo.
Uno dei temi centrali che ha percorso tutto il dibattito è stato quello della democrazia. Un
tema che avrebbe riproposto (stando a quanto scritto dal rappresentante del PDS italiano al Forum,
Donato di Santo) antiche differenziazioni. Democrazia non come tattica, ma come fondamento
imprescindibile della lotta per il socialismo. Così ne hanno parlato molti, come Freddy Munoz,
segretario del MAS venezuelano, Hernan del Canto, del PS cileno, Victor Granda del PS
ecuadoriano, Ferman Cienfuegos dell’FMLN. Dai documenti conclusivi si può però ritenere che vi
sia un elemento di maturazione di tutte le forze di sinistra, con eccezioni marginali, nel valutare
l’importanza delle conquiste democratiche, anche quando queste sono insufficienti e soprattutto si
inseriscono in quadro di crescente diseguaglianza sociale, emarginazione di interi settori di
popolazione, corruzione e ingerenza degli Stati Uniti. Semmai il timore è che una parte della
sinistra, nell’avvicinarsi all’ottica socialdemocratica, accetti una visione puramente elettoralistica e
istituzionale della democrazia.
Anche sulla questione cubana, sempre secondo la ricostruzione del delegato del PDS, si
sarebbe aperto un dibattito fra i vari partiti, pur all’interno di una comune espressione di solidarietà
e di opposizione al blocco economico, fra chi avrebbero voluto inviare alla dirigenza del PC
cubano, in vista del IV congresso, un invito ad una maggiore apertura al pluralismo politico e alla
separazione tra Stato e partito. Queste posizioni non avrebbero ottenuto l’unanimità delle forze in
campo, e soprattutto l’opposizione dei gruppi più legati a Cuba.
Con l’obbiettivo di dare maggiore stabilità agli appuntamenti annuali del Forum, e di dar
vita ad altri appuntamenti tematici che potessero contribuire ai lavori del Forum stesso, è stato
costituito un gruppo di lavoro permanente con la partecipazione dell’FMLN, dell’FSLN, del PC
Cubano, della IU del Perù, del PT, di Lavalas, del Movimento Bolivia libera, del Fronte ampio
dell’Uruguay.
Dal documento finale emerge un evidente allargamento della composizione ideologica del
Forum. Mentre il documento approvato in Brasile ne sottolineava il carattere socialista e
antimperialista, in questo secondo documento si dice che alcune forze hanno un’identità
nazionalista, democratica e popolare mentre molte altre portano questi concetti fino a delineare
identità socialiste di vario genere, tutte comunque sono impegnate nell’obbiettivo di raggiungere
trasformazioni strutturali.
Il documento elenca i temi trattati: 1) gli impatti economici, politici, sociali e culturali delle
politiche neoliberiste; 2) la transizione democratica, le strategie democratiche e popolari. L’analisi
sulle politiche neoliberiste si concentra su alcuni aspetti. Finché la partecipazione dello Stato è stata
funzionale alla necessità di accumulazione del capitale, non è stata messa in questione. Attualmente
di fronte alla necessità di ampliare la frontiera agli investimenti del capitale nazionale ed
internazionale, si propone la riduzione e l’assottigliamento dello Stato. Questi processi di
privatizzazione relegano all’ultimo posto i principi di sovranità e la realizzazione degli obbiettivi
nazionali per crescite economiche più equilibrate e sostenute.
L’imposizione del neoliberismo e delle sue pratiche proimperialiste e antipopolari è stata
possibile, in buona misura, grazie ai controlli verticali e alle democrazie ristrette predominanti in
molti dei Paesi latinoamericani. La ristrutturazione neoliberista ha implicato un processo di maggior
sudditanza degli stati nazionali agli interessi imperialisti dei Paesi sviluppati.
La politica degli Stati Uniti è finalizzata a ricostruire nella regione una zona di dominazione
economica e geopolitica, la ‘fortezza americana’, legando i Paesi centroamericani ad una nuova e
più profonda subordinazione consentita dai loro stessi governi. Di fronte a questa sfida il
documento indica la soluzione nella trasformazione profonda delle società latino americane e
nell’integrazione politica ed economica dell’America latina e del Caribe. Avanzare verso questa
meta sarà possibile solo se si stabiliscono Stati democratici e indipendenti e governi impegnati nella
trasformazione, sostenuti da un forte appoggio e da una partecipazione decisiva dei loro popoli. In
questo processo un ruolo primario dovranno averlo i settori esclusi dal modello neoliberale, vale a
dire i lavoratori delle città e delle campagne, la piccola e media borghesia, l’imprenditoria
nazionale, ampi settori di donne e di giovani, le nazionalità con etnie oppresse e così pure i settori
meno potenti della società.
In campo economico, si tratta di fare in modo che l’organizzazione democratica della società
definisca le funzioni del mercato e la partecipazione dello stato nella vita economica. Questo dovrà
essere fatto in una prospettiva antimonopolistica e di giustizia sociale. I partiti del Forum hanno
riaffermato il loro impegno per la democrazia economica, politica e sociale, che considerano un
valore permanente in tutti i momenti di lotta. Una democrazia come processo aperto di creazione di
nuovi diritti.

Managua 1992

Il terzo incontro della sinistra latino-americana si è tenuto a Managua, organizzato dal Fronte
sandinista, dal 16 al 19 luglio 1992, con la presenza di 122 delegati in rappresentanza di 61
organizzazioni di 17 Paesi. Ad essi si aggiungono 60 osservatori di organizzazioni di altre parti del
mondo. Rispetto a Città del Messico c’è una leggera flessione del numero dei partiti presenti e dei
Paesi rappresentati, anche se si tratta in buona parte di piccole organizzazioni.
Questo terzo appuntamento ha segnato un momento di difficoltà nel processo di
consolidamento del Forum, in quanto l’esito dell’incontro non ha consentito di fare quel passo
avanti nella formulazione di un progetto politico, economico e sociale alternativo al neoliberismo
che, anche sulla base della discussione realizzata a Città del Messico l’anno precedente, molti si
aspettavano.
Il leader sandinista Daniel Ortega, ha sottolineato l’importanza dell’unità delle forze di
sinistra, ma ha anche rilanciato il tema dell’apertura del Forum ad una dimensione mondiale e non
più solo latinoamericana. Come già in precedenti occasioni l’ex presidente nicaraguense ha
ipotizzato una internazionale dei poveri, ovvero delle forze di sinistra e antimperialiste del terzo
mondo (America latina, Africa, Asia) che tentassero di fare da contrappeso all’egemonia ideologica
e al predominio politico ed economico del nord. In questa ipotesi era anche contenuta un critica
verso l’Internazionale socialista (con la quale peraltro i sandinisti avevano sempre mantenuto dei
legami informali, e alla quale avevano da poco chiesto di poter aderire). Questa proposta per la sua
genericità non ha trovato particolari appoggi. D’altra parte molte delle forze politiche aderenti al
Forum ritengono che se il Forum stesso è uno strumento importante di confronto e di unità della
sinistra latinoamericana, rischierebbe di perdere gran parte del suo valore nel momento in cui si
diluisse in una struttura mondiale.
Non a caso le discussioni più accese si sono avute sull’opportunità o meno di approvare
risoluzioni su temi extralatinoamericani. Alla fine si è deciso favorevolmente e questo ha prodotto
forti tensioni. L’atmosfera si è fatta molto tesa quando il rappresentante del PT brasiliano ha detto
che, nello stesso modo in cui l’incontro aveva approvato una mozione di solidarietà con il popolo
iracheno, esigendo l’eliminazione del blocco imposto con la guerra del Golfo, doveva anche
esprimere il proprio sostegno con il popolo curdo vittima della repressione da parte dei governi di
Iraq, Iran e Turchia. Un testo in tal senso è stato approvato malgrado i voti ostili del PC Cubano e
dell’FSLN e le astensioni delle organizzazioni colombiane (ELN, FARC e PC), dei PC argentino e
dominicano e del PS di Porto Rico.
La dichiarazione di Managua riconferma l’analisi negativa sulle conseguenze del modello
neoliberista. Progetto liberista che non ammette emendamenti poiché il suo male è radicato
nell’ingiusto ordine economico mondiale. Solo l’unità ampia di tutte le sinistre e le forze
progressiste del mondo, in tutta la loro diversità, potrà conseguire un cambiamento di obbiettivo.
Il contenuto economico di un’integrazione alternativa deve partire dall’interno della società,
dalla lotta finalizzata a superare le strutture e i modelli dominanti ed a eliminare controlli
monopolistici e oligopolistici. L’attuale alleanza tra i settori transnazionalizzati della borghesia e il
capitale internazionale va sostituita con un’alleanza tra tutte le forze interessate alla promozione di
progetti nazionali. Ogni processo di sviluppo economico genuino passa per un mutamento dei
soggetti sociali al potere.
Lo Stato è obbligato a giocare un ruolo centrale di regolatore e promotore dell’equità
sociale, senza abbandonare la direzione dell’economia alla cosiddetta suprema volontà del mercato,
che non è altro che la volontà del grande capitale nazionale e straniero e degli organismi finanziari e
multilaterali.
Il documento elenca alcuni principi e obbiettivi per dar vita ad un nuovo ordine economico e
politico internazionale, diverso da quello che si intende imporre sotto l’egemonia nordamericana e
delle potenze capitaliste: democratizzazione dell’ONU, risoluzione del problema del debito,
rinnovamento delle politiche e delle funzioni dell’FMI e della Banca Mondiale, politiche di
conservazione dell’ambiente, democratizzazione dei meccanismi di informazione mondiale.

L’Avana 1993

Il Partito comunista cubano, che ospita il quarto incontro, si impegna a fare di questo appuntamento
una occasione importante per raccogliere la solidarietà della sinistra latinoamericana, ma anche per
dare un proprio contributo a sviluppare la funzione del Forum di S. Paolo come punto di incontro
per la gran parte delle forze di sinistra.
La riunione si tiene all’Avana dal 21 al 24 luglio, con la partecipazione di 112
organizzazioni. Un numero di forze presenti che non verrà più raggiunto negli appuntamenti
successivi. Molti dei partiti presenti inviano i loro massimi leaders, a cominciare dal partito
ospitante, rappresentato per tutto il dibattito da Fidel Castro.
Il primo punto all’ordine del giorno è l’analisi della situazione politica ed economica della
regione, sviluppato in quattro relazioni presentate da Marco Aurelio Garcia del PT brasiliano,
Eduardo Pozo del MAS venezuelano, Shafic Handal dell’FMLN-Salvador (e al suo interno
segretario del PC), José Balaguer del PC Cubano. Due gruppi di lavoro affrontano temi specifici: il
primo sull’educazione politica e il secondo su stato, democrazia, partiti e movimenti sociali. Il terzo
punto di discussione riguarda il funzionamento del Forum e la formulazione della dichiarazione
finale.
Fra le forze presenti si esprime un consenso sull’esistenza di una crisi del progetto
neoliberista e diventa dunque particolarmente urgente formulare i contenuti concreti di un
programma alternativo. Il clima politico nella sinistra non è più solo segnato dalle sconfitte, come
quelle dei sandinisti in Nicaragua, e dal crollo del blocco socialista, ma si intravedono possibilità
concrete per importanti forze di sinistra (in Brasile, Uruguay, Salvador, ecc.) di arrivare al governo
attraverso il successo elettorale. Queste vittorie potrebbero modificare sensibilmente i rapporti di
forza in America latina.
Un progetto alternativo, attento ai problemi sociali causati da un neoliberismo devastatore,
secondo la convinzione comune diffusa tra le forze di sinistra, deve scontare il fatto che la
costruzione del socialismo non è all’ordine del giorno (e che lo stesso profilo di una società
socialista, anche per chi continua a muoversi in questo orizzonte, deve essere profondamente
ripensato). La leva di una alternativa di sinistra e democratica deve essere l’integrazione
latinoamericana, senza tuttavia sviluppare una visione autartica, da realizzare attraverso delle
riforme strutturali che modifichino il rapporto di forze all’interno e all’esterno.
Naturalmente la possibilità che la sinistra arrivi al governo, anche per le tragiche esperienze
dei decenni passati lascia aperti diversi interrogativi, di cui si sono fatti portavoce alcuni intervenuti
Quale sarebbe l’atteggiamento delle istituzioni militari e quali difficoltà specifiche crea l’esistenza
di un mondo sostanzialmente unipolare soprattutto in un’area fortemente soggetta all’interventismo
politico, economico, e quando necessario anche militare degli Stati Uniti? Domande che non hanno
avuto una risposta definitiva né univoca.
Anche la questione del ruolo dello Stato in un processo di cambiamento ha ricevuto
particolare attenzione. Alcuni, tra cui Castro, hanno difeso una posizione classica che sottolinea la
necessità delle nazionalizzazioni e il ruolo centrale del potere statale come trasformatore delle
condizioni economiche, sociali, politiche e culturali. Dall’altra parte coloro che, in considerazione
anche del fallimento delle esperienze dell’Europa dell’est e del Welfare State di tipo
socialdemocratico, optano per una riduzione massima del ruolo dello Stato in queste trasformazioni.
Una posizione che si può definire intermedia è quella sostenuta dal PT brasiliano il quale, pur non
mettendo lo Stato al centro del progetto di alternativa, non lo relega nemmeno al rango di semplice
apparato amministrativo. Lo Stato è necessario in quanto strumento capace di impedire che la
ricchezza nazionale si concentri in poche mani, limitando la logica cieca dei meccanismi di
mercato, senza che ciò significhi pertanto che lo Stato diventi proprietario della maggioranza delle
imprese.
Nell’anno trascorso -afferma la dichiarazione finale - si sono manifestate vistose crepe nel
progetto neoliberista che fino a poco tempo fa era chiaramente egemone, perché oggi le
conseguenze di quelle politiche sono più visibili.
Il Forum ha sottolineato l’importanza della battaglia per la democrazia politica, intesa come
prodotto storico della lotta dei popoli. Ha riaffermato la necessità di approfondire la democrazia
mediante la combinazione di meccanismi rappresentativi e forme di democrazia diretta, integrando
le lotte istituzionali con quelle sociali. Inoltre ha sottolineato la necessità di riconoscere e
incorporare nell’esercizio della democrazia la pluralità etnica e culturale e l’uguaglianza di genere.
Per vincere le sfide imposte dal quadro di miseria sociale, crisi etica, instabilità sociale e
politica ed autoritarismo, bisogna passare dalla denuncia e dalla resistenza a proposte e azioni
alternative concrete. E’ urgente formulare ed attuare progetti di sviluppo. L’asse di questo progetto
è costituita da trasformazioni economiche, politiche e sociali che consentano alla grande
maggioranza di accedere al lavoro, al consumo, alle proprietà e ai diritti civili. Bisogna definire una
strategia di crescita con distribuzione. Il progetto combina l’esistenza del mercato con la funzione
regolatrice dello Stato.
Il IV incontro ritiene che nelle relazioni dell’attuale governo nordamericano (nel frattempo è
stato eletto Bill Clinton alla presidenza degli Stati Uniti) continuino a prevalere le politiche delle
precedenti amministrazioni. E’ necessario che gli USA rispettino l’autodeterminazione dei popoli e,
di conseguenza, la pluralità di sistemi economico-sociali del continente. Sul piano internazionale il
Forum dichiara che è necessario impegnarsi per la costruzione di un nuovo ordine mondiale. La
situazione attuale a livello degli organismi sovranazionali si manifesta in forme assolutamente
ingiuste e prive di garanzie. Col pretesto di obbiettivi legittimi, l’interpretazione delle norme viene
distorta in funzione degli interessi delle grandi potenze e lasciando che siano condizionate
dall’egemonia militare degli Stati Uniti.

Montevideo 1995

Il ciclo elettorale del 1994 non ha corrisposto alle aspettative che la sinistra aveva espresso
all’Avana nel 1993 e questo elemento ha condizionato la riunione tenutasi a Montevideo, in
Uruguay, organizzata dal Frente amplio (vasta coalizione di partiti della sinistra), dal 25 al 28
maggio 1995. Erano presenti 65 delegazioni latinoamericane, delle quali ben 18 dalla sola
Argentina. Fra gli elementi di novità intercorsi rispetto alla precedente riunione anche l’emergere in
Chiapas dell’Esercito zapatista.
Sul tema dell’integrazione dei Paesi dell’America latina (questione che ricorre
continuamente nei dibattiti del Forum) ha aperto la discussione il dirigente del PRD messicano
Profirio Muñoz Ledo sostenendo che per far fronte ad iniziative come quelle del NAFTA è
necessario che la sinistra avanzi proposte concrete. Il PRD propone la creazione di una comunità
delle nazioni con un passaporto comune, e l’elezione diretta di un parlamento latinoamericano che
dovrebbe lottare per migliorare lo sviluppo sociale, soprattutto l’alfabetizzazione, ottenere uno
sviluppo economico con giustizia sociale, stabilità e pace, rinegoziare il NAFTA e rafforzare gli
accordi esistenti come quelli del Cono sud (Mercosur) e del Patto Andino. Questo potrebbe essere
parte di una strategia complessiva per disegnare le relazioni con gli Stati uniti in modo da
respingere i tentativi di convertire gli eserciti latinoamericani (in particolare quello messicano) in
guardie di confine degli Stati uniti, ridurre le spese militari e rimuovere ‘patti e basi militari USA
ingiustificate’ e raggiungere l’unità e la coesione su questioni come le Malvine e Panama.
Parte del dibattito si è rivolto all’analisi dei risultati elettorali, sottolineando che i partiti
membri del Forum hanno conquistato più di 300 deputati, 60 senatori, diversi governatori, centinaia
di sindaci e migliaia di consiglieri, arrivando a rappresentare circa il 30% degli elettori. Risultati
positivi quindi ma inferiori alle aspettative e comunque anche tra i settori della popolazione
impoveriti dalle politiche liberiste, in molti hanno continuato a votare per i candidati della destra.
Secondo il rappresentante cubano Abel Prieto la sinistra non ha saputo precisare un
programma politico ed economico capace di attrarre la maggioranza della popolazione e ha inoltre
osservato che il livello di unità al suo interno è ancora precario ed insufficiente. Per Marco Aurelio
Garcia fra i fattori che hanno contribuito alla sconfitta della sinistra (in particolare in Brasile) vi è la
cattiva gestione del dibattito sulla stabilità monetaria perché la sinistra ha sottostimato l’impatto del
sollievo a breve termine che la stabilizzazione dell’inflazione ha dato alle classi più povere. La
demagogia della destra sulle privatizzazioni e sulla deregulation finanziaria ha anche approfittato
dell’ostilità popolare verso una macchina statale autoritaria, burocratica ed inefficiente.
L’esponente del PT brasiliano ha anche sostenuto che la sinistra non può basarsi su una strategia
catastrofista che spera nel collasso del capitalismo, in quanto la destra è altrettanto capace di
sfruttare la crisi. I progressisti devono sviluppare alternative immediate di transizione che
rispondano alle domande di coloro che sono colpiti dal neoliberismo.
Per effetto dei risultati elettorali alcuni partiti appartenenti al Forum, come il MAS
venezuelano, il Partito socialista cileno, il PRD di Panama, Lavalas di Haiti e il Movimento Bolivia
libera (MBL) sono entrati a far parte dei governi. In genere in coalizioni con formazioni non di
sinistra. Una accesa polemica ha riguardato l’MBL partner di un governo che ha applicato una
politica liberista e ha proclamato lo stato d’assedio contro la COB, l’organizzazione sindacale del
Paese, arrivando anche ad arrestarne molti dirigenti. Alcuni partiti hanno chiesto l’espulsione
dell’MBL, ma la loro proposta è stata respinta, il Forum si è limitato ad escludere questo partito dal
gruppo di lavoro permanente che gestisce l’attività del Forum stesso.
Per superare i limiti organizzativi che si sono riscontrati il Forum ha deciso di avviare dei
momenti di incontro e collaborazione subregionale, di creare un segretariato permanente, e di
ridurre il numero dei membri del suo gruppo di lavoro. Per quanto riguarda l’ammissione di nuovi
partiti è stato mantenuto il criterio per cui occorre il nulla osta dei partiti dello stesso Paese che
fanno già parte del Forum.
La dichiarazione finale constata lo sviluppo della combattività dei movimenti popolari.
Queste lotte si sono scontrate a misure energiche di repressione politica e istituzionale.
Parallelamente si è rafforzato il ruolo di gendarme degli Stati uniti che nella situazione militare
unipolare a scala mondiale, utilizzano il Consiglio di Sicurezza dell’ONU per imporre il loro ordine
ingiusto e il loro modello. Il summit di Miami, (voluto da Bill Clinton) del dicembre 1994 segna,
secondo i partiti del Forum, il punto culminante della prima fase di un processo che punta ad
installare un nuovo dispositivo di sicurezza collettiva e a rafforzare un modello di integrazione
ancora più subordinato agli USA.
Anche in occasione della riunione di Montevideo la sinistra ha confermato la prudenza e
anche una certa freddezza nei confronti dell’iniziativa dell’Esercito zapatista. Molte forze politiche
provengono da esperienze, più o meno lontane, di guerriglia, ed è forte il timore che si riapra un
ciclo di militarizzazione del conflitto che riduca gli spazi di libertà conquistati negli ultimi anni.
Inoltre il regime messicano del PRI, per quanto autoritario e corrotto sia, ha sempre consentito a
molte forze di sinistra perseguitate di trovare rifugio in Messico, e queste non intervengono
facilmente sui conflitti politici interni, come ha dimostrato anche il rifiuto del Forum, in un
precedente incontro, di condannare i brogli elettorali compiuti dal PRI a danno della sinistra.

S. Salvador 1996

Il Fronte Martì di Liberazione Nazionale ha potuto ospitare la riunione del VI Forum, a seguito
degli accordi di pace che hanno messo fine alla guerriglia all’inizio degli anni ’90, e che gli hanno
consentito di trasformarsi in una forza politica legale. Alla riunione hanno partecipato delegati di 52
partiti, ai quali si aggiungevano altri osservatori latinoamericani, nonché invitati da tutto il mondo.
Il tema centrale dell’incontro è stato ancora una volta quello delle ‘Alternative al
neoliberismo’. Altri dibattiti hanno affrontato i problemi riguardanti le migrazioni, i diritti delle
donne, l’ambiente, il lavoro parlamentare, la cultura e l’identità. La principale conclusione
sintetizzata nel documento finale è che ogni alternativa al neoliberismo, definito come una nuova
forma di dominio capitalistico, deve rispondere ai bisogni fondamentali delle persone, creare
occupazione, e garantire un livello di vita decente per tutti. I principi generali contenuti nelle
proposte si basano su una strategia di medio periodo che combini la proprietà pubblica, il rispetto
per la proprietà privata, la regolazione statale, investimenti produttivi, efficienza economica e
stabilità macroeconomica. Il Forum ritiene che attorno a questa piattaforma sia possibile attrarre
alleanze di settori tradizionalmente vicini alla destra, particolarmente quei gruppi agricoli e
industriali i cui interessi sono colpiti dalle politiche economiche neoliberali. Tuttavia una simile
alternativa deve basarsi sulla mobilitazione di massa, e portare avanti profonde trasformazioni
strutturali. Questo modello prevede uno sviluppo in senso partecipativo di tutta la società.
La riunione plenaria ha appoggiato la proposta del Movimento panafricano per un Forum
internazionale ampio sul modello di quello di S. Paolo, per contrastare la globalizzazione
imperialista.

Porto Alegre 1997

Il VII Forum ha riportato i partiti della sinistra in Brasile, ma questa volta è stata scelta la città di
Porto Alegre (un milione e mezzo di abitanti), in quanto, essendo governata dal PT, rappresenta un
esempio di quel municipalismo di sinistra, che ha consentito in vari Paesi ad alcune delle forze
partecipanti al Forum, di realizzare delle prove pratiche di governo.
Grazie al successo ottenuto da Cardenas e dal PRD nelle amministrative per la capitale
federale del Messico, e quello dell’FMLN nella capitale del Salvador, la sinistra si è presentata
all’appuntamento di Porto Alegre con un spirito di ottimismo. Il confronto tra i 58 partiti, di 20
Paesi, presenti ha confermato quanto già emerso negli appuntamenti precedenti, cioè una
differenziazione fra settori che “guardano al centro” per realizzare delle alleanze elettorali, tali da
consentire di arrivare al governo, anche a rischio di snaturare la capacità delle forze di sinistra di
produrre reali cambiamenti, ed altre che ritengono la possibilità di vittoria elettorale subordinata
alla effettiva capacità di mobilitazione popolare e alla formulazione di un progetto effettivamente
alternativo al liberismo. In questa occasione la dialettica si è polarizzata tra il delegato cubano, José
Balaguer, appoggiato dai partiti più radicali del Forum, che ha sostenuto la tesi secondo cui l’unica
alternativa al neoliberismo è il socialismo, e Cuauhtemoc Cardenas, fautore di una linea più
pragmatica, anche se comunque nettamente critica nei confronti del liberismo. Parallelamente al
Forum, dal 1996 e per iniziativa di due intellettuali, il messicano Jorge Castañeda e il brasiliano
Roberto Mangabeira Unger, si sono riuniti alcuni dei leader delle forze di sinistra e centro-sinistra
latinoamericane che si confrontano con la concreta possibilità di diventare forze di governo o che lo
sono già (come i socialisti cileni). Vi hanno partecipato tra gli altri Cardenas, Lula, Sergio Ramirez
(sandinista dissidente), Facundo Guardado (dell’FMLN salvadoregno), “Chacho” Alvarez (del
Frepaso argentino). Dopo quattro riunioni hanno formulato un documento, definito del “consenso di
Buenos Aires”, reso noto nel dicembre 1997, nel quale si definiscono delle proposte alternative al
liberismo, ma considerate sufficientemente realistiche e moderate da raccogliere un consenso
elettorale maggioritario, e da essere considerate praticabili allo stato attuale dei rapporti di forza.
Le differenziazioni tendono comunque ad attraversare i maggiori partiti o le coalizioni
elettorali. Un ampio ventaglio di posizioni è infatti presente nel PT brasiliano, nel PRD messicano,
nell’FMLN salvadoregno, nel Fronte ampio uruguayano e così via.
La dichiarazione finale del VII Forum, denominata Carta di Porto Alegre, denuncia
l’intenzione dell’imperialismo nordamericano di eternizzare lo status quo. Per quanto riguarda la
legittimità delle forme di lotta (alcune settori anche se minoritari, non escludono il possibile ricorso
a forme di lotta armata), il documento afferma che i partiti del Forum di S. Paolo, ritengono
opportuno sviluppare, nelle condizioni di ciascun Paese, le alleanze e le relazioni politiche che
favoriscano il consolidamento del progetto democratico e popolare contro il neoliberismo.
Alcuni delegati hanno rilanciato la proposta di creare un fronte congiunto dei paesi debitori,
però questa iniziativa non ha trovato un consenso maggioritario, e la maggioranza dei partiti si è
pronunciata perché ogni Paese regoli direttamente la questione.
Per il 1998 è previsto che il Forum torni a riunirsi a Città del Messico, mentre tra gli
impegni che finora non hanno trovato applicazione è quello di un incontro in Europa tra sinistra
latinoamericana e sinistra europea. Più volte è stata fissata una scadenza che poi non è stata
rispettata. La difficoltà principale sembra quella di individuare gli interlocutori europei. Da una
parte non si vuole escludere la socialdemocrazia che rappresenta la maggiore componente della
sinistra e controlla importanti leve di governo in molti Paesi, ma questa non sembra particolarmente
interessata ad aprire una sede di confronto che sia esterna all’Internazionale socialista, e quindi
riconosca implicitamente il pluralismo della sinistra. D’altra parte molte forze della sinistra hanno
buoni rapporti con i partiti comunisti europei e con le altre forze della sinistra alternativa, e su
alcuni temi importanti è sicuramente maggiore la convergenza con queste che con i
socialdemocratici.
Il Forum di S. Paolo ha ormai consolidato un ruolo importante nella realtà latinoamericana
ed un metodo positivo di lavoro, ma ancora non ha trovato le strade per collegarsi ad una
dimensione mondiale della lotta delle sinistre contro il liberismo e per la costruzione di una
alternativa politica e programmatica ad esso.

BOX

Partiti membri del Forum


(al momento del quarto incontro dell’Avana)

Argentina
Movimento ‘Los de Abajo’
Partito Operaio
Movimento Incontro Popolare
Partito Intransigenza Popolare
Fronte Grande
Partito Rivoluzionario per la Indipendenza e il Socialismo di Argentina
Sinistra Democratica Popolare
Partito Umanista
Partito Intransigente
Partito Operaio Rivoluzionario-Posadista
Democrazia Avanzata

Bolivia
Movimento Bolivia Libera
Alternativa del Socialismo Democratico
Asse di Convergenza Patriottica
Partito Comunista di Bolivia

Brasile
Partito Comunista del Brasile
Partito dei Lavoratori
Partito Socialista Brasiliano
Partito Democratico Laburista

Colombia
Unione Camilista-Esercito di Liberazione Nazionale
Corrente di Rinnovamento Socialista
Coordinamento Guerrigliero Simon Bolivar
Partito Comunista di Colombia
Unione Patriottica
Partito Rivoluzionario dei Lavoratori
Forze Armate Rivoluzionarie di Colombia
Alleanza Democratica M-19
Partito Operaio Rivoluzionario

Costarica
Gruppo Sovranità

Cuba
Partito comunista di Cuba

Curaçao
Movimento Antillano Nuovo

Cile
Movimento della Sinistra Rivoluzionaria, MIR
Partito Comunista del Cile
Partito Socialista del Cile
Movimento della Sinistra Rivoluzionaria, MIR-R

Dominica
Partito Laburista della Dominica

Ecuador
Movimento Popolare Democratico
Azione Popolare Rivoluzionaria Ecuadoriana
Partito Liberazione Nazionale
Partito Socialista Ecuadoriano

El Salvador
Fronte Farabundo Martì di Liberazione Nazionale
Convergenza Democratica

Granada
Movimento Politico Maurice Bishop

Guadalupe
Partito Comunista di Guadalupe
Unione e Resistenza
Unione Popolare per la Liberazione di Guadalupe

Guatemala
Unità Nazionale Rivoluzionaria Guatemalteca

Guyana
Alleanza del Popolo Lavoratore

Haiti
Forza per Difendere i Diritti del popolo Haitiano Annavan
Partito dei Lavoratori Haitiani
Movimento Lavalas

Honduras
Partito per la Trasformazione di Honduras

Martinica
Consiglio Nazionale dei Comitati Popolari
Partito Comunista per l’Indipendenza e il Socialismo
Gruppo Rivoluzione Socialista
Partito Comunista di Martinica

Messico
Partito Rivoluzionario dei Lavoratori
Partito del Lavoro
Partito popolare Socialista
Partito della Rivoluzione Democratica
Nicaragua
Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale
Partito Socialista Nicaraguense

Panama
Partito Rivoluzionario Democratico

Paraguay
Movimento Indipendente Paraguay per Tutti
Partito Democratico popolare
Patito Comunista Paraguaiano
Movimento Cittadino Asuncion per Tutti
Movimento Patria Libera

Perù
Partito Comunista Peruviano
Fronte Patria Libera
Partito Mariateguista Rivoluzionario
Partito Unificato Mariateguista
Unione della Sinistra Rivoluzionaria
Movimento di Affermazione Socialista

Portorico
Partito Socialista Portoricano
Fronte Socialista

Repubblica Dominicana
Partito Comunista Dominicano
Movimento Popolare di Liberazione
Partito dei Lavoratori Dominicani
Partito Comunista del Lavoro
Movimento Sinistra Unita
Alleanza per la Democrazia
Movimento Onda Democratica
Partito Comunista Dominicano- Unità Rivoluzionaria Caamañista
Forza di Resistenza e Liberazione Popolare- Unità Rivoluzionaria Caamañista
Concertazione Democratica

Trinidad e Tobago
Movimento 18 di Febbraio
Movimento per la Trasformazione Sociale

Uruguay
Partito Socialista dell’Uruguay
Corrente di Unità Frenteamplista
Patito Socialista dei Lavoratori
Partito per la Vittoria del Popolo
Movimento di Partecipazione Popolare
Movimento di Liberazione Nazionale (Tupamaros)
Partito Operaio Rivoluzionario (Trotskista-Posadista)
Movimento 26 di Marzo
Fronte di Sinistra di Liberazione (FIDEL)
Movimento Rivluzionario Orientale
Partito Comunista
Vertiente Artiguista
Convocatoria
Corrente Popolare

Venezuela
Partito Comunista del Venezuela
Movimento Elettorale del Popolo - Partito Socialista del Venezuela
Partito Bandiera Rossa
Unione Patriottica del Venezuela
Lega Socialista
Foro Democratico
La Causa Radicale
Movimento al Socialismo

Fonti: Agenzia di informazione, Nueva Sociedad.

Conclusioni
Come si è potuto vedere da quanto fin qui scritto, la sinistra presenta un ampio arco di forze con
ideologia, programma politico, strategia molto differenziati. Si può quindi sostenere legittimamente
che esistono molte sinistre, ma si può anche semplificare l’analisi affermando che esistono due
sinistre (tema come è noto oggetto di particolare discussione in Italia).
A livello mondiale la sinistra moderata si ritrova nell’Internazionale socialista, che ne
costituisce l’unica sede strutturata e rappresentativa, e attraverso di essa punta a consolidare
un’egemonia e a ridurre gli spazi possibili per una sinistra che si proponga di essere soggetto di
trasformazioni politiche e sociali. Il ruolo dell’Internazionale socialista viene oggi rimesso in
discussione con l’iniziativa di Tony Blair, che la vorrebbe sostanzialmente subordinata ad un asse
centrista Blair-Clinton. In prospettiva si potrebbero realizzare due diversi scenari: la creazione di
una struttura informale di coordinamento che inglobi i democratici USA e altri esponenti politici
troppo poco di sinistra persino per l’IS (come il presidente brasiliano Cardoso) che si
affiancherebbe all’attuale struttura, condizionandola sul piano programmatico; 2) la trasformazione
dell’IS in internazionale “democratica”. Questo secondo scenario mi sembra meno probabile.
Resta finora del tutto irrisolto se e come la sinistra alternativa possa proiettarsi in una
dimensione internazionale, tale da costituire un polo autonomo di riferimento per le forze che si
collocano a sinistra della socialdemocrazia (e in grado anche di attrarre forze che si collocano a
sinistra nella socialdemocrazia). Come già scritto sopra, ritengo improbabile la ricostituzione di un
movimento comunista internazionale, seppure formato da partiti effettivamente autonomi e quindi
non subordinato ad una logica di blocco politico-militare. Né credo che una simile ipotesi sia oggi
adeguata a rappresentare una pluralità di storie, percorsi politici, e identità non riconducibili a
quella comunista (essa stessa poi tutt’altro che omogenea). D’altra parte la sinistra alternativa non
può rinviare per troppo tempo il tema della sua proiezione internazionale. In Europa occidentale è
in fase di costruzione un polo strutturato di sinistra trasformatrice, che comincia ad assumere una
sua identità politica e un certo grado di intesa programmatica. Può essere il punto di partenza per
costruire una analoga iniziativa che abbia una dimensione globale.
Esso dovrebbe garantire il pluralismo interno, l’orientamento al confronto politico-
programmatico piuttosto che ideologico, la capacità di suscitare movimenti di massa attorno a
grandi obiettivi comuni. Parallelamente a questo esistono spazi per il confronto delle riflessioni
teoriche, il lavoro concreto di solidarietà contro tutte le forme di repressione e di persecuzione, lo
scambio di informazioni. Tutto ciò dovrebbe poter coinvolgere non solo le strutture dirigenti dei
partiti, ma un’area più ampia di militanti, intellettuali, gruppi parlamentari, amministrazioni locali,
ecc.
Credo che l’analisi delle esperienze che si sono attivate nell’ultimo decennio offrano già
importanti indicazioni per compiere questo salto di qualità, ma perché esso si realizzi occorrono i
soggetti politici determinati ad impegnarvisi.
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