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In copertina: Spaghetti, what else? di Annarita Migliaccio www.flickr.

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Simone Piazzesi

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Vite in cucina

Dopo una cena pesante e un dopo cena molto intenso ero crollato sul divano. Passare la notte l sopra mi aveva rotto le ossa. Avevo dolori ovunque e come facevo un movimento pi brusco mi sembrava di sentire le frecce degli indiani che si piantavano nei muscoli. Erano le nove, mi feci due caff e gironzolai un po' su internet. Verso le undici mi infilai nel giubbotto e andai in bici al ristorante. Lavoravo da qualche mese come aiuto cucina in quella che era stata una vecchia osteria del centro. Col tempo, per, aveva perso la sua sincerit ruspante per trasformarsi in un ristorantino molto lounge, di quelli che ci vai per rimorchiare la bella di turno e nel piatto potrebbero metterci pure un topo morto. In verit si mangiava ancora bene, ma le forme avevano preso d'assalto i contenuti. Era chiaro appena entravi che le poltroncine in finta pelle lucida e la luce soffusa che colava dalle lampade bizzarre sui muri contavano pi delle lasagne o dello stufato che avresti mangiato. In cucina io lavavo i piatti, sistemavo le posate, raggruppavo la roba sporca in arrivo e porgevo il mestolo di turno allo chef. Insieme a me c'erano tre personaggi che rendevano pi leggero lo stare l dentro.

Il pi caratteristico di tutti era Alek, il cuoco egiziano. Era un mostro ai fornelli, un vero genio che se solo si fosse trovato a Parigi invece che a Pistoia avrebbe potuto fare miliardi. Il suo cavallo di battaglia era la pasta all'amatriciana: una vera bomba, da resuscitare i morti. Ho visto clienti ordinarla due volte e non mangiare altro. E la cosa davvero superba era che lui, Alek, non la poteva neanche assaggiare perch era musulmano e aveva con la pancetta lo stesso rapporto di Superman con la criptonite. Andava cos, a naso, come Beethoven. Un artista dei fornelli. A volte lo sfottevo per questa cosa, due battute innocenti, ma pur non essendo un ortodosso che prega cinque volte al giorno rivolto verso La Mecca, si vedeva che non la prendeva bene. Abbozzava un mezzo sorriso e tornava a chiudersi nel suo mutismo. Se poi insistevi ti sparava due o tre frasi in arabo e avevi voglia poi a cercare di farti dire cosa significassero. Ti tenevi il dubbio che avesse maledetto te, tua mamma e tua sorella, e zitto.

Poi c'era Anna, anzi c'era e non c'era, perch lei in cucina andava e veniva. Serviva in sala e la vedevi sempre di corsa a prendere al volo i piatti pronti e a lanciare le ordinazioni e le lamentele dei clienti. Io l'amavo, la desideravo come da piccolo avevo desiderato le puppe al vento di Sabrina Salerno che saltava in piscina cantando boys boys boys. Lei era cos. Bella, formosa, eccitante. Facevo di tutto per non osservarla nelle pieghe della vestaglia, per non andare sulle nuvole mentre maneggiavo coltelli e bicchieri di cristallo ma era una battaglia persa. E s che non era pi una ragazzina, si avvicinava ai cinquanta, sposata, con due figli, pure un po' pienotta. Eppure niente poteva impedirmi di sognare rotolarmici nel letto, o nella doccia, o sui tavoli della sala.

Infine c'era Adelmo, il vecchio pelapatate, come lo chiamavano noi, che in realt preparava di tutto. Facilitava parecchio la vita ad Alek che non doveva far altro che buttare in pentola quello che lui gli faceva trovare gi pronto. Diceva che aveva sempre lavorato l, fin da prima che arrivasse il Vanni, l'attuale proprietario, fin da quando, negli anni '60, avevano aperto la trattoria. Una volta esager, si spinse a dire che prima, quando era bambino, l, al posto della trattoria c'era un'autorimessa. La teneva un americano, un certo Johnny, che dopo la guerra era rimasto in Italia ad aggiustare i carburatori delle jeep. E lui, Adelmo, i primi stipendi li aveva guadagnati facendo il garzone allo yankee. Poi un giorno Johnny aveva tirato gi il bandone e l'aveva salutato. "Take it easy" gli aveva detto "The world is waiting for me". Adelmo l'aveva fissato stralunato, lui gli fece una risata grassa. Lo salut con un pacca affettuosa sulla testa e part. Non si vide pi. Insomma, Adelmo era una specie di fossile che conservava la memoria del luogo, di quelle mura, di quei pavimenti. Magari se domani anche il Vanni avesse mandato tutto a ramengo e in quei locali avessero aperto uno streap-bar il vecchio Adelmo si sarebbe riciclato abilmente come guardarobiere delle conigliette.

Feci le mie quattro ore anche quel giorno e quando uscii di l, stanco e puzzolente di fritto, mi prese una voglia matta di buttarmi in mare, di fare un bagno nell'acqua salata. Ma di prendere la macchina e mettermi sull'autostrada per Viareggio proprio non se ne parlava. Avrei voluto averlo l, il mare, a cinque minuti a piedi. Senn niente, mi sarei accontentato di stendermi sui giardini di piazza della Resistenza. Mentre mi avviavo molleggiandomi sulle ginocchia mi sentii chiamare. Era Anna. Per un attimo sognai cose impossibili. Ha detto il Vanni se domani, prima di entrare, puoi passare a prendergli aranci, limoni e lime dall'ortolano, quello sulla Sala. Io non ce la faccio, devo portare i bimbi in piscina e arriver all'ultimo momento. Che merda, il Vanni, lo sapeva che ad Anna non sapevo dire di no. Un giorno mi avrebbe fatto chiedere di firmare cambiali, ne ero sicuro. Lei non aspett nemmeno la risposta, mi fece un sorriso rapido e vol via. Quando mi stesi sull'erba, all'ombra della Fortezza, mi sembr davvero di essere sulla spiaggia e di sentire squosciare l'acqua sulla battigia.

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