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Traducibilit e processi traduttivi. Un caso: A. Gramsci linguista Derek Boothman (2004) Guerra Edizioni, Perugia, pp. 197.

reviewed by: Klaus Bochmann I titoli dei libri sono come richiami pubblicitari. Boothman tuttavia sembra non avere tenuto propriamente conto di questo principio, e il titolo del suo lavoro potrebbe cos finire per scoraggiare chi, pur nutrendo interesse per Gramsci, non si occupa di questioni legate alla linguistica e alla traduzione, se non marginalmente. Lungi dal rivolgersi ai soli specialisti in materie linguistiche, questopera affronta invece le questioni pi rilevanti della riflessione teorica gramsciana, nei paradigmi scientifici e concetti attraverso i quali essa si articola e traduce le teorie politiche del suo tempo secondo un processo dialettico che eleva elementi di contraddizione a principi di conoscenza. Cinque dei sei capitoli del libro sono dedicati alla ricostruzione dellapproccio di Gramsci alla linguistica e alla traduzione sulla base di studi gi pubblicati, cosa che giustifica un certo numero di ripetizioni e sovrapposizioni. Lultimo capitolo offre infine una sintesi degli argomenti sviluppati. In apertura si ripropone una questione che gi alcuni, come Franco Lo Piparo oppure Utz Maas, avevano sollevato in passato. Boothman, a ragione, evidenzia come la ricezione di Gramsci, influenzata dalla critica agli approcci scientisti espressa da Togliatti, non abbia tenuto in considerazione il ruolo della linguistica come fattore determinante nellelaborazione del pensiero gramsciano. (Gramsci studi Lettere a Torino per quattro anni e fu allievo di Matteo Bartoli, dal quale fu inoltre incaricato della stesura delle sue lezioni di linguistica generale e romanza). Non certamente dobbligo condividere lopinione di Franco Lo Piparo (Lingua, intellettuali, egemonia in Gramsci, Laterza, Bari, 1979), secondo cui Gramsci nacque linguista e mor come tale, per quanto anche lultimo dei suoi Quaderni del carcere sia esclusivamente dedicato a questioni linguistiche. E nemmeno ci si deve necessariamente trovare daccordo con la sua idea, poi corretta da Boothman, che il concetto gramsciano di egemonia abbia una matrice essenzialmente linguistica. Ci che a Boothman riesce con particolare efficacia in questo libro, tuttavia, dimostrare che lo sviluppo del pensiero di Gramsci ha senzaltro subito forti influenze da parte di specifiche prospettive di natura linguistico-filologica. Inscrivere lapproccio linguistico di Gramsci entro lo scenario della linguistica europea a lui contemporaneo invece unoperazione assai pi complessa. Gramsci non ha conosciuto de Saussure ed tuttavia piuttosto improbabile che rigide dicotomie saussuriane come quelle, ad esempio, di sincronia \ diacronia, langue \ parole, linguistica esterna \ linguistica interna, potessero destare in lui particolare interesse, poich come conseguenza ultima avrebbero condotto a ricadute positivistiche e dunque ad atteggiamenti metodologici tipici del 19 secolo. Gramsci risente piuttosto dellinfluenza di Bartoli, il cauto innovatore della linguistica storico-comparativa; di Croce, attraverso il quale il soggetto creativo riacquista un ruolo nellambito del processo di evoluzione linguistica; e di Michel Bral, fondatore della semantica linguistica. La sua concezione della lingua come fenomeno profondamente radicato nella pratica sociale rende Gramsci paragonabile non solo ad Antoine Meillet, e ad altri rappresentanti della scuola sociologica francese, ma anche e soprattutto a Voloinov, allievo di Bachtin, che nel 1929 pubblic Marxismo e filosofia del linguaggio. Linterpretazione della lingua in senso sociale che caratterizza il pensiero di Gramsci viene spesso definita come in controtendenza rispetto alle correnti allora predominanti in Italia e in particolare in Germania. Se tale definizione corretta per quanto riguarda lItalia, seppure limitatamente a certi aspetti, non lo altrettanto nel caso della Germania, dove gi negli anni Venti era maturato un linguistic turn, una svolta linguistica, che con Hugo Schuchardt, Theodor Frings, lo stesso Walter v. Wartburg e lingiustamente bistrattato idealista Karl Vossler collocava la linguistica su solide basi socioculturali. Le effettive innovazioni introdotte da Gramsci sul piano

strettamente linguistico sono da riconoscersi nellimpiego del concetto di egemonia come chiave esplicativa del mutamento e del prestito linguistico, nellinterpretazione dialettica dei processi di metaforizzazione e nella declinazione socioculturale dei processi traduttivi. Di ben pi ampia portata rispetto alla sfera meramente linguistica, dato il loro valore in termini di teoria e pratica politica, sono tuttavia le osservazioni che Gramsci offre sul significato della lingua come strumento per conseguire e mantenere legemonia. A partire dal secondo capitolo Boothman affronta le numerose note di Gramsci dedicate alla questione della traduzione. Ci che a livello puramente tecnico viene considerato come un trasferimento testuale da una lingua ad unaltra acquisisce, con Gramsci, una nuova profondit interculturale, poich come egli stesso afferma in una lettera alla moglie Julia la traduzione da concepirsi come una trasmissione di termini propri di una specifica cultura nazionale a termini propri di unaltra cultura nazionale. Un discorso tradotto che si traspone in un diverso contesto sociale non pi assimilabile al discorso dorigine. Il significato di traduzione com possibile dedurre anche dalla cronologia dei Quaderni del carcere e dal passaggio dai testi A ai testi C nelledizione rivista scivola cos, progressivamente, sul piano della ricezione nellambito del contesto storico-sociale di arrivo, in virt di un processo dialettico che implica un rovesciamento delle determinazioni nei loro opposti e si risolve in una sintesi conciliante (Aufhebung) [1]. Per Gramsci una traduzione adeguata dunque possibile solo nel caso in cui la cultura di partenza e quella di arrivo siano inserite in strutture socioeconomiche (Basis, secondo i termini di Marx) di livello paragonabile. La piena traducibilit invece una condizione che si verifica soltanto in alcuni casi, nello specifico quelli in cui la traduzione ha origine da un sistema culturale meno evoluto e si rivolge ad un sistema culturale pi evoluto. In base a questo principio solo la filosofia della praxis, secondo Gramsci, in grado di permettere una traduzione compiuta dei filosofemi finora discussi, facendoli propri e definendone dialetticamente i contorni e i contenuti. Da queste considerazioni prendono avvio le indagini che Boothman presenta nel terzo capitolo, dove si esaminano i possibili contesti da cui Gramsci stesso ha ricavato una traduzione dei concetti centrali alla propria riflessione. possibile constatare come la nozione di egemonia, ad esempio, pur dimostrando influenze sostanziali dovute alla vicinanza concettuale con linguisti quali Ascoli, Saussure, Meillet e certamente gi con Cattaneo abbia trovato pieno sviluppo in Gramsci soltanto a seguito della sua partecipazione ai congressi del Komintern e della sua lettura del concetto di egemonia formulato da Lenin. La novit importante introdotta da Gramsci lavere riconcepito lidea di egemonia come direzione intellettuale e morale che si contrappone al principio di direzione/dominio politico, contrapposizione che in Lenin invece contenuta a livello solamente implicito. Se al concetto di materialismo storico si sostituito quello di filosofia della praxis, definizione che non rimanda n a materialismi volgari, n al dogmatismo della Teoria del materialismo storico[i] di Bucharin, inoltre, occorre riconoscere il merito al contributo di pragmatisti italiani tra cui, in particolare, Vailati, che osserva come determinate forme lessicali possano favorire o anche ostacolare i processi di comprensione. Per contro, [i]blocco storico, termine inizialmente adottato da Georges Sorel e riferito ad altri contesti, sarebbe da concepirsi come mediatore pi stretto delle interrelazioni tra la struttura e le superstrutture, termini che Gramsci sostituisce a Basis e berbau, legati, nella tradizione marxista-leninista, da una relazione considerata principalmente di tipo univoco. Assumendo ad esempio Etica e politica di Croce, che Gramsci inscrive nella storia dei rapporti di egemonia, Boothman dimostra come la definizione dialettica (Aufhebung) di certi concetti possa condurre alla riorganizzazione del loro ordine gerarchico. La visione di Croce, secondo cui la storia da definirsi esclusivamente in termini etici e politici, per Gramsci una visione parziale, poich accanto a questi termini che pure rappresentano una dimensione importante e, partendo dallapproccio alletica di Croce, centrale per spiegare le dinamiche di consenso e coercizione occorre considerare come elemento cruciale anche le relazioni di tipo socioeconomico. Con riferimento a La struttura delle rivoluzioni scientifiche di Thomas Kuhn, Boothman individua un paradigma di Gramsci e ne identifica la rete di concetti analitici, al cui vertice stanno egemonia e

blocco storico, seguite, a loro volta, da dicotomie concettuali subordinate come struttura / superstrutture, societ civile / societ politica, dominio / direzione, intellettuali organici / intellettuali tradizionali e come anche singoli concetti quali riforma intellettuale e morale, oppure filosofia della praxis. Si tratta quindi di un sistema aperto, poich se vero che i concetti gramsciani, come emerge dallelaborazione dei Quaderni del carcere, vengono applicati, modificati e articolati secondo circostanze diverse, occorre considerarli aperti e modulabili anche in virt di possibili sviluppi futuri. Questo libro, in conclusione, il frutto del lavoro di un filologo che ha studiato lopera di un altro filologo. Tuttavia loriginalit e il significato di tale lavoro non si esaurisce affatto nella materia filologica. Attraverso lanalisi dei principi che Gramsci riferisce alla sfera linguistica, e in particolare a quella della traduzione, Boothman ha aperto un accesso al paradigma sia teoretico, sia di ricerca pratica, che incoraggia i lettori ad una pi chiara comprensione della genesi e della funzione del pensiero gramsciano. [Traduzione dal tedesco di Simona Sangiorgi] [1]Il termine tedesco Aufhebungviene qui utilizzato in riferimento al processo dialettico di determinazione della realt teorizzato dal filosofo Georg W. F. Hegel. Si tratta di una concezione complessa e non univoca della dialettica che si prestata a molteplici interpretazioni e che viene generalmente descritta come processo costituito da tre momenti principali: la definizione di ogni aspetto della realt come caratterizzato da un movimento interno ad ogni sua determinazione dato da un principio di negazione; il rovesciamento di tale determinazione nella determinazione opposta e, infine, il momento della sintesi in cui si coglie lunit delle determinazioni che si contraddicono e si giunge ad una soluzione positiva del processo dialettico attraverso il superamento delle opposizioni e la conservazione, nello stesso tempo, della verit di entrambe e della loro precedente opposizione (cfr. Valerio Verra, Introduzione a Hegel, Bari, Laterza, 1988).

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