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L’antico Hospitale di S.

Giovanni in Filo
Note storiche alla luce di vecchi e nuovi documenti
di Agide Vandini

Intorno all’antico Hospitale filese ho riportato le notizie storiche raccolte nel volume che pochi anni fa ho
dedicato alla storia del territorio1. Alcuni documenti ritrovati di recente nell’Archivio Parrocchiale di Filo2
permettono ora di chiarire qualche incertezza e di riempire qualche vuoto. E’ perciò il caso di riprendere il
tema, allo scopo di approfondirlo e di capire meglio perché tale Hospitale sorse nel territorio filese, quale
funzione ebbe ad avere nell’arco dei secoli, ed anche come e perché, ciò che rimaneva di questa struttura, finì
per essere definitivamente soppresso ed eliminato a fine Ottocento.

Particolare di Carta del ravennate di Vincenzo Coronelli (1650-1718) tratto da A.VANDINI, L’antico comune della Riviera di Filo,
Ferrara, SATE, 1981, p. 26. La carta, imprecisa nelle distanze e nella distribuzione dei luoghi fra la Bastia e Menate, indica
l’importante presenza, ancora nel secolo XVII, dell’«Ospitale di Filo» in posizione mediana fra Filo e Case Selvatiche.

Fu in posizione intermedia fra Filo e le Case Selvatiche, ad ovest dell’attuale «Via Dosso Bindella», in
località ancora oggi detta di San Giovanni, che sorse in età medievale l’importante luogo pio3. La struttura,
nell’elenco delle chiese ravennati dell’anno 1350, fu denominata Hospitale di S.Joannis Baptiste de Villa
Lombardia Riveriae Padi. Era con la denominazione di Villa Lombardia, infatti, che si indicava in epoca
medievale la località4, posizionata lungo una Riviera del Po di Primaro piuttosto popolata e fiorente e che, a
metà del Trecento, annoverava, da Ovest ad Est, fra San Biagio e la Menata di Longastrino, questi villaggi:
Sabbionara, Case Selvatiche, Villa Lombardia e Filvecchio, quest’ultimo poi chiamato, a partire da fine
Cinquecento, Molino di Filo5.

Dove e per quale funzione sorsero Hospitales e Xenodochia


Il lemma dell’italiano corrente «ospedale» deriva, come si sa, dal latino “hospitale”; “hospitalia” infatti
erano le stanze destinate agli ospiti. Fu nel periodo carolingio che la voce “hospitale” sostituì quella greca di
“xenodokéion” (xenodochium) per gli ospizi destinati ai pellegrini; soltanto molto più tardi il termine assunse
il significato di luogo di cura per gli ammalati e di ricovero per i poveri, sicché hospitale e xenodochio furono
per molto tempo intercambiabili.
1A.VANDINI, Filo la nostra terra, Faenza, Edit, 2004, pp. 218-223.
2Ricerche e trascrizioni di documenti effettuate in collaborazione con Beniamino Carlotti.
3L’ubicazione dell’Hospitale fu indicata anche da G.B. Aleotti che, intorno all’anno 1600, nell’ambito delle misurazioni della
profondità del Primaro, ne annotò una, per la sua nota «Difesa», «Dritto San Giovanni», ovvero in posizione intermedia fra «Ca'
Salvatiche» e la «Chiesa di Filo».
4Si vedano nel testo già citato le innumerevoli notizie intorno a Villa Lombardia (Ibidem, pp. 37ss, 215ss ed altre).
5Si rimanda ogni approfondimento su formazione e popolamento del territorio, al testo già citato (Ibidem, pp. 42 ss.).
Lo xenodochio nel Medioevo era quindi una struttura di appoggio per i viaggiatori, adibita ad ospizio
gratuito per pellegrini e forestieri, solitamente posta sul percorso di una via di pellegrinaggio, gestita di
norma da monaci che offrivano alloggio e cibo.
Dallo xenodochium-hospitale si differenziavano altre strutture quali il nosocomium (dal greco
“nosocomeion”), una tipologia di ospizio destinato esclusivamente ai malati, nonché i lazzaretti e lebbrosari,
luoghi, come si può intuire, destinati alla separazione e alla segregazione istituzionalizzata dei malati.

La funzione dell’Hospitale di Filo


L’ospizio di S.Joannis in Filo fu senza alcun dubbio uno xenodochium-hospitale. La stessa dedicazione al
santo appare coerente con questa funzione6. Della precisa qualificazione si ha conferma, ormai in epoca
moderna, in due annotazioni di avvenuto decesso reperite nell’apposito registro parrocchiale a fine Seicento.
Nella prima di queste il defunto, già ricoverato all’ospizio, è un viaggiatore colpito da lebbra e da febbre
maligna (malaria si direbbe); nella seconda si tratta invece di un abitante della Parrocchia, anch’esso colpito
da febbri maligne. In entrambi i casi, il luogo pio viene indicato proprio come xenodochio:

Trascrizione: Anno Domini 1698 Die 8 Marciis. Joseph olim Francisci Bondoli, ex oppido vulgo nuncupatus Russi Romandiolae,
aetatis suae annorum circiter quadragintasex, ut ille mihi infrascripto Rectori vetulis, hac transiens Ferrariae versus, …. Militandi
in castro illius civitatis, in xenodochio huius Parochia, cui titulus Sancti Joannes Baptistae infirmatus est ex morbo Leprae nec febris
malignae, quae Reverendo Domino Antonio Cesari Cappellanus huius ecclesia die tertia supradicti vite sua pendis errata, nec
eundem sacri olei unctione die sexta eiusdem roboratus, in Comunione Sactae Romane Matris Ecclesiae vita in morte commutavis,
cuius corpus sepultus est in Coemeterio huius ecclesia. Etc.

Traduzione: Nell’anno del Signore 1698 il giorno 8 marzo. Giuseppe del fu Francesco Bondoli, della cittadella volgarmente
chiamata Russi della Romandiola, dell’età di quarantasei anni circa, [annoto io] sottoscritto Rettore anziano, [che] transitando verso
Ferrara, e militando nel centro di quella città, nell’ospizio di questa parrocchia, chiamato San Giovanni Battista, ammalato di lebbra e
febbre maligna, fu da Don Antonio Cesari, cappellano di questa chiesa, il giorno 3 del mese corrente, giudicato in fin di vita, data la
sacra unzione, e il giorno sei, in Comunione con la Santa Madre Chiesa, la vita sua si commutò in morte e il suo corpo fu sepolto nel
cimitero di questa chiesa.Ecc.

6Essa richiama infatti l’ospizio ricostruito in Terrasanta nel 1023 da alcuni mercanti di Amalfi e Salerno sul luogo del monastero di
San Giovanni Battista, alo scopo di servire i pellegrini cristiani che intendevano visitare i paesi e i luoghi dove Gesù era nato, vissuto,
morto, risorto e asceso al cielo. Quella struttura era gestita da monaci benedettini.
Trascrizione: Anno Domini 1700 Die 29 Aprilis. Dominicus olim Joannis De Fabris huius Parochia aetatis suae Annorum circiter
quinquaginta septe ultimo loco mora trahens in xenodochio Santi Joannis Baptistae advenis esse finivis, cuius corpus sepultus est in
Coemeterio huius Ecclesia. Ex hoc saeculo migravit ex infirmitate febris malignae mihi suo Rectori vitae coinfessus die vigesima
septima supradicti, Sanctissimo Sacramento pro viatico Rev. Georgius Zenus Capellanus die seguenti refectus, nec ab eodem ipso die
sacri olei Unctione roboratus ad Animae suae commendatione etc.

Traduzione. Nell’anno del Signore 1700, giorno 29 aprile. Domenico, figlio di Giovanni de Fabris di questa parrocchia dell’età di
cinquantasette anni circa, entrato come ultimo luogo secondo gli usi nell’ospizio di san Giovanni Battista, ivi finì la sua vita, il suo
corpo fu sepolto nel cimitero di questa chiesa. Da questa vita migrò dopo malattia per febbre maligna e confessò a me suo parroco il
giorno 27 di detto mese, lo stesso giorno gli fu concesso il Santissimo Sacramento tramite viatico da Rev. Giorgio Zeno cappellano e
il giorno seguente gli fu data l’estrema unzione per la redenzione della sua anima ecc.

Il perché dell’ubicazione della struttura nella Riperia Padi, va innanzi tutto ricercato nell’importanza
rivestita dal Po di Primaro in età medievale sia come via di comunicazione fra Ravenna e l’Alta Italia, sia
come luogo di produzione e smercio del sale, data la contiguità con le Valli di Comacchio e le loro acque
saline7.
Va da sé che le popolazioni emiliane, lombarde e piemontesi che verso l’Adriatico portavano merci,
principalmente lana ed armi, da qui si approvvigionassero di sale, materiale prezioso, «oro bianco»
indispensabile per l'alimentazione e per la conservazione dei cibi, di difficoltoso reperimento nelle regioni del
settentrione lontane dal mare.
Questo commercio si sviluppò prevalentemente lungo il Po ed il suo braccio più meridionale, considerato
che in pianura il trasporto si effettuava per via fluviale per limitare i costi e venivano utilizzate allo scopo
grandi chiatte in grado di trasportare notevoli tonnellate di sale per ogni carico.
La riviera del Po di Primaro costituiva una importante e vitale via di comunicazione, un tratto obbligato
anche per chi proveniva dalla navigazione interna e consentiva di raggiungere, oltretutto, importanti luoghi
religiosi come quelli ravennati. Ciò determinava certamente la presenza di «pellegrini e romei», come
testimonia la novella che qui ambientò il Sacchetti nel suo Centonovelle, una comica vicenda che egli
ambienta nell’Hostaria di case Selvatiche, all’epoca della Peste Nera di metà Trecento8.
Da quanto si è cercato di esporre, si comprende l’importanza dei traffici di persone e di merci che in età
medievale dovevano interessare il tratto fluviale, fino a spiegare convenientemente il posizionamento di un
Hospitale a metà strada fra Ravenna e Ferrara.
A queste considerazioni ne vanno poi aggiunte altre in ordine alla morfologia di un territorio paludoso,
soltanto in parte emerso fra il fiume e le valli, che offriva spazi isolati di terra da bonificare, luoghi ricchi
d’acqua e di cibo, idonei al raccoglimento ed alla preghiera, terre all’epoca pressoché integralmente di
proprietà della Chiesa ravennate, che qui insediò una importante ed accertata presenza di monache, ossia il
Convento dei Dossi9.

Come si reggevano e come funzionavano queste strutture10

7Circa l’importanza e l’estensione della fabbricazione di sale nella Riviera del Po si veda, nel testo già citato, il capitolo «Tracce di
antiche saline», Ibidem, pp.123-128.
8Ibidem, pp. 170 ss.
9Intorno al convento dei Dossi, si vedano disegni e notizie nel testo già citato (Ibidem, pp.244 ss.).
10Quanto riassunto in questo paragrafo proviene da M. L. BELLONI, Hospitales e xenodochi: mercanti e pellegrini dal Lario al
Ceresio, Sampietro Editore, Menaggio, 1997, pp.52,62.
Gli xenodochi in origine erano luoghi sottoposti a due forme di autorità: quella vescovile, corrispondente al
potere spirituale, e quella temporale, costituita da Ordini religiosi, da Consorzi ed Opere Pie. Il potere
temporale eleggeva un responsabile che prestava giuramento e rendeva conto dell’operato al vescovo.
Al rettore dello xenodochio, laico o monaco, competeva la responsabilità del buon funzionamento
dell’ospizio. Egli sovrintendeva ai beni mobili ed immobili, agli ammalati e ai pellegrini, così come alla
disciplina del complesso. Aveva l’autorità di scacciare ospiti indegni, di infliggere pene pecuniarie e di
arrestare eventuali colpevoli di furti o di atti di disonestà.
Il sostentamento materiale derivava soprattutto da lasciti testamentari, particolarmente di beni immobili,
appezzamenti di terreni od edifici.
Architettonicamente gli elementi specialistici dello xenodochio erano in genere: grandi cameroni e qualche
stanza singola, l’oratorio, il portico, le stalle per le cavalcature ed il pozzo, o comunque la possibilità di
attingere facilmente acqua potabile, indispensabile per l’igiene dei singoli e del complesso.
All’esterno, in posizione ben visibile, questi edifici recavano simboli della loro funzione ricettiva, in genere
“pezzi” legati al cibo, come pestelli in pietra per il sale, scodelle e ciotole in ceramica smaltata a colori,
oggetti che indicavano al viaggiatore la possibilità di sosta e di ristoro11. Era un simbolismo che ovviava
all’uso di scritte, del resto incomprensibili alla maggioranza analfabeta dei viandanti.
Nel basso medioevo i pellegrini erano di norma dotati di lettera di presentazione redatta da autorità
ecclesiastiche, esibita al Rettore dello xenodochio come credenziale. Dal dovere di protezione dell’ospitante
verso l’ospitato, derivavano implicitamente anche dei diritti. Il principale era quello che permetteva di
divenire possessore dei beni del viaggiatore se questi moriva durante il soggiorno nell’ospizio.
L’ospitalità per i forestieri era praticata anche presso i monasteri femminili.

Come si presentava l’Hospitale di Filo


L’aspetto esteriore della struttura ci è offerto dall’arazzo veneziano (Archivio di Stato Venezia, dis.177) ove
tutta la Riperia Padifu ritratta a metà Quattrocento. Di questo disegno si riporta il particolare riguardante il
territorio filese:

A quanto si può desumere dal particolareggiato disegno, il complesso dell’Hospitale comprendente anche
la chiesetta dovrebbe corrispondere alle costruzioni raffigurate a sinistra dell’abitato e della chiesa
parrocchiale a nord del fiume.
Qualche dettaglio intorno al luogo religioso ed assistenziale si legge nei rapporti delle visite pastorali
effettuate dagli arcivescovi ravennati nel nostro territorio. In una di queste (15 maggio 1571) si indica la
necessità di alcuni interventi: «Che si faciano due vitriate alle fenestre del altare, un paro de lenzuoli p(er)
uso del hospitale, che si faci la spesa over(o) scabello del altare, che si metta dentro il vaso de l’acqua, che
11In epoca più tarda e in tempi più evoluti, alcuni xenodochi esposero una valva di conchiglia secondo l’iconografia pittorica dei
Santi pellegrini od elemosinieri.
si faci una tela da coprire l’ancona del altare, che si tengano dei letti di piuma ed i suoi fornimenti p(er)
aloggiar i poveri[...]»12.

In un’altra successiva occasione, durante la visita pastorale dell’Arcivescovo


Cristoforo Boncompagni alla chiesa di Filo del 15 ottobre 1613, risulta che
l’ospizio disponeva di una chiesetta unita alla parrocchia di Filo. L’oratorio viene
detto piccolo, posto a breve distanza dal Po. Sul suo altare si venerava l’immagine
di San Giovanni Battista, precursore del Signore. L’Ospizio, in quell’anno,
consisteva di un edificio con due sole stanze, in una delle quali si trovavano due
letti per gli eventuali pellegrini13.

Attività svolta e dipendenza gerarchica


Dell’importante attività di assistenza svolta dal luogo pio fino a tutta l’Età Moderna, si ha percezione dalle
note delle ricorrenti Sacre Visite. Quanto alla dipendenza gerarchica, ben poco funzionale doveva apparire ai
suoi gestori quella di dover render conto al Vicario arcivescovile di Argenta, una subordinazione di cui si ha
notizia nell’anno 1580, quando, nella sua visita, Boncompagni Arcivescovo della Città et Diocesi di Ravenna
annota: «Visitavit Hospitale S.Ioannis de villa Fili cuius cura habent homines dicta villa in duo massarijs
eligunt […] et habet in redditu circa libras 40 et habet dictus S.Johannis hospitandi peregrinos et reddunt
rationem quotamque Vicario Argenta[…]»14 (Ho visitato l’Hospitale di San Giovanni in Filo tenuta dalla
parrocchia, gli abitanti di quel paese eleggono due massari […] hanno un reddito di circa 40 lire ed è in grado
di ospitare, detto S.Giovanni, i pellegrini, e devono rendere conto al Vicario arcivescovile di Argenta).
Che questa dipendenza causasse inconvenienti, lo si apprende da quanto scriveva diversi anni dopo il
massaro dell’Hospitale di Filo all’arcivescovo di Ravenna Guinigi (1674-1691):

«Piacque al fu Ill.mo e R.mo Monsignor Marcellini di felice memoria, suffraganeo dell’E(minentissi)mo e


R(everendissi)mo Cardinale Altieri già Arcivescovo di Ravenna, in occasione di visita, decretare, che da
massari pro tempore dell’Ospitale di Filo Diocesi di Ravenna, non si spendessero denari a beneficio de
gl’infermi [...] senza il placet [...] di monsignor Vicario Arc(ivescovi)le residente in Argenta, al che
riuscendo di grave incomodo a detto Ospitale, a causa della distanza del luoco, per il che molte e molte volte
detti infermi, e in specie li passaggeri che ponno esser aiutati con quelle carità che sono necessarie.
Pertanto Arcangelo Bondioli al presente massaro di detto venerabile luoco supplica la bontà di V.S.
Ill(ustrissi)ma e R(everendissi)ma ordinare che in avvenire non sia d’uopo portarsi in Argenta per aver il
consenso di detto Monsignor Vicario per l’effetto suddetto, ma che liberamente da detti massari pro tempore
possino con saputa del R(everen)do Rettore di Filo somministrarsi le carità necessarie a detti infermi
passeggeri»15.

La gestione amministrativa
Nell’inventario dello «Stato delle Anime della Parrocchia di Filo» dell’anno 1750 il rettore di S. Agata
annotò: «L’Ospitale di S.Giovanni Battista di Filo esige d’annua entrata scudi ventitre, 36 e quattro (Scudi
23.36:4)». Nel successivo elenco dei parrocchiani, raggruppati per ogni casa di abitazione indicata col nome
del proprietario, vi si scorrono i nominativi censiti presso l’Hospitale e la tipologia di presenze fa pensare ad
un luogo di accoglimento di pellegrini e bisognosi. Su questo aspetto e sulle condizioni dell’intero complesso
è interessante riportare alcuni brani del rapporto di visita arcivescovile nello stesso anno 1750:

«Semplice visita alla Chiesa di S.Giovanni Battista ed Ospedale annesso. [...]Altare: trovato decentemente
custodito. Vasellame sacro e suppellettili : lodati. Oneri : consistono in quattro messe, che celebra il Parroco
di Filo alle ricorrenze annuali di S.Antonio Abate, il giorno della Natività di San Giovanni Battista, nella
festività di S.Lucia, nella festività di S.Giovanni Evangelista. Ospedale: due lettini sono distesi per i
pellegrini ed i davvero poverissimi, seppure in strettezze, preziosissimo.Conti dell’amministrazione:
Verificati, e controllati insieme ai conti amministrativi degli altri Pii Istituti della Chiesa di Filo» .

Quanto ai beni patrimoniali di cui disponeva l’hospitale, si hanno notizie fin dal Quattrocento. In un estimo
(adequatio) del clero del marchesato ferrarese risalente all’anno 1410, e contenente una serie di beni
ecclesiastici di varia allocazione geografica, si trova elencato: «Hospitale S.Johannis de Fillo s. 0, d.0, q.
12Archivio Arcivescovile Ravenna, Sacra Visita, Prot. I, 1571, c.27 verso.
13M.MAZZOTTI, Itinerari della sacra visita, «L’argine», 24 settembre 1955.
14Archivio Arcivescovile Ravenna, Sacra Visita, Tomo II, anno 1579-1580, p.88 verso.
15Archivio Arcivescovile Ravenna, Diversorum, Prot. 8 c. 530.
½ (0)». L’ospedale, come altri del resto, aveva un «incontroverso carattere di personalità giuridica
ecclesiastica ed era perciò soggetto al regime contributivo proprio dei luoghi religiosi»16. Dalla stessa fonte
apprendiamo specifiche notizie intorno ad alcuni antichi lasciti:

«San Giovanni di Filo, ricorre nella adequatio del 1410 con la quota di mezzo quarto di denaro,
corrispondente ad un reddito di appena soldi 10. Era attivo ancora nel 1469, quando l'ospedale fu nominato
erede universale da Lena, moglie di Peregrino, con testamento del 24 luglio, notaio Aventi Bongiacomo,
rogato nello stesso ospedale ».

Da un’antica Mappa arcivescovile delle proprietà alla destra del Primaro, risulta in epoca più tarda,
nell’anno 1703, che l’«Ospitale di S.Giovanni» possedeva anche una striscia di terreno che dalle rive del Po
conduceva fino alle adiacenti valli ravegnane all’altezza dell’odierno Cimitero. Tale striscia di terreno, dalla
forma di un largo sentiero, in tutto poco più di 21 tornature, pare indicare un antico diritto di sfruttamento
delle risorse vallive da parte dell’Hospitale.
La pianta della Possessione Cobianchi (anno 1819), che qui si riporta, indica poi, ai suoi confini, sotto le
ragioni dell’«Ospitale di S.Gio(vanni) Bat(tis)ta di Filo» una larga porzione di terreno «pascolivo e vallivo» a
sud ed a ovest della casa dei Dossi fino all’attuale «via Tamerischi». Si tratta verosimilmentedel corpo di
terreno «seminativo, pascolivo e vallivo situato nella Parrocchia di Filo» che l’Ospedale di San Giovanni in
Filo, ormai in via di liquidazione, cedette all’asta al Conte Francesco Massari il 20 novembre 1870.

Pianta della Possessione Cobianchi 1819 – particolare.


(Archivio di Stato di Ferrara, documento rintracciato dal sig. Bruno Folletti. Posizione archivistica non annotata )

La fine dell’Hospitale
Il ridimensionamento della struttura ebbe inizio con le leggi napoleoniche e con le depredazioni del
patrimonio ecclesiastico che ne derivarono a fine Settecento. Il racconto del lungo declino che portò alla
chiusura dell’attività, alla riduzione a semplice oratorio, ed infine alla vendita a privati della costruzione
rimasta, è tutto nel documento datato 1860, reperito di recente fra le carte dell’Archivio parrocchiale di Filo.
Esso può testimoniare di quanto sia stata dolorosa, all’indomani dell’Unità d’Italia, la rinuncia da parte del
rettore di S.Agata in Filo, a questa attività assistenziale svolta per secoli.

16A. FRANCESCHINI, Il sapore del sale: ricerche sulla assistenza ospedaliera nel secolo XV in una città di punta. Ferrara, Ferrara,
Deput. Prov. Ferrar. St.Patria, 1981, s.IV, Vol. I.
Ecco la completa trascrizione del documento:

Legazione di Ferrara. Comune e Parrocchia di Filo. Questo giorno 4 febbraio 1860.


Eravi una volta nel Comune e Parrocchia di Filo un Ospedale chiamato di San Giovanni e l’annessa sua
amministrazione arricchita di alcune possessioni e censi. All’epoca di Napoleone I° questi beni furono indemaniati, e
non rimase che la chiesa di san Giovanni colla casa appresso ed un appezzamento di terra incolta e pochi censi, da
cui si ricavava un’annua rendita di una trentina di scudi depurati: somma riconosciuta allora necessaria al
mantenimento della chiesa, casa, altare e legato di S.Giovanni. Da quell’epoca in poi ha conservato il detto Ospedale
il nome di Oratorio di San Giovanni e anche abusivamente Pubblica Beneficienza. I Parroci però pro tempore non
hanno mancato di tenere una piccola amministrazione a parte e di distribuire ed erogare ai poveri ed infermi della
parrocchia ciò che rimanevano dopo avere occorso alle spese della chiesa, casa, altare e legato di San Giovanni.
Ora una Commissione Municipale presieduta dal Sig. Vandini di Argenta si è fatta a chiedere, in nome del Governo
presente, l’Amministrazione di questo luogo pio; e con minacce replicate di arresto e di pene me l’ha carpita
dall’Archivio Parrocchiale, a viva forza a cui non ho potuto positivamente oppormi, come chè abbia replicatamente
protestato contro l’ingiusta spoliazione dei diritti della Chiesa e dei Vescovi. Egli è solo al ratto e alla violenza, che io
cedo l’Amministrazione di San Giovanni, e faccio formale protesta alla presenza di Dio contro questo atto ingiusto e
violento; ed inoltre appello al buon senso pubblico non essere il presente luogo pio nella categoria dei beni di
Pubblica Beneficienza ricercati, come rilevasi dall’esposta narrativa. Intendo però e voglio, che dalla nominata
Commissione mi sia fatto un regolare Inventario delle carte toltemi in doppio originale, e che la presente protesta sia
inserita nell’atto pubblico,che sono per eseguire, firmato da ambo le parti. In fede. 4 Febbraio 1860. Don Giacinto
Tazzari, Parroco di Filo ed Amministratore di San Giovanni.

Le ultime tracce
L’inventario dei beni della chiesa di Don Cellini, parroco di Filo, datato 20 aprile 1890, riporta fra gli altri:

«...Il secondo soppresso è l’Oratorio di S.Giovanni Battista posto vicino all’argine sinistro del Primaro
abbandonato e che guarda colla faccia la strada comunale di Filo dalla parte di settentrione. Di questo
Oratorio essendosi impossessato la Congregazione di Carità di Argenta, mentre era un luogo pio, fin
dall’anno 1860, fu dalla medesima Congregazione venduto nell’anno 1871 ad un certo Squarzoni Stefano di
Filo, il quale lo ha reso in uno stato di abitazione…»

Nella mappa catastale di quel periodo, nelle adiacenze di Cà Fabbri, è infatti annotato a matita il nome di
Squarzoni Stefano17. L’attività del vecchio ospizio, sotto il nome di «Istituto San Giovanni di Filo», divenne
parte delle Opere Pie amministrate dalla Congregazione di Carità di Argenta che ne amministrava i beni18.
L’ultima testimonianza dell’Hospitale ci è fornita, sul finire dell’Ottocento, dal settimanale illustrato
dell'Arma, Il Carabiniere, che, nel n. 4 del 26 gennaio 1884, nell’articolo dal titolo «Le stazioni dei
carabinieri reali illustrate», descrive così la stazione di Filo: «[…] Piccolo borgo tra le Valli di Comacchio
ed il Po di Primaro, in sito fertile di cereali, ma non troppo salubre per la quantità di acque stagnanti che lo
circondano. Possiede un ospedale di antica fondazione, al quale è unita una Congregazione di carità, posto
a circa due chilometri dalla chiesa parrocchiale19».

17Riporta in proposito il Magrini: «Vendita all’asta dei Beni de’ Pii Istituti d’Argenta. Questa congregazione di carità nell’estate
1870 ha venduto al pubblico incanto tutti i beni appartenenti ai pii istituti e col ricavato ha acquisito tante cartelle del consolidato
italiano. Nella prima asta ha venduto: […] 7° Casa ed oratorio detto di S.Giovanni appartenente all’Ospitale S.Giovanni in Filo –
deliberato a Balla Domenico, poscia ceduto a Squarzoni Stefano di Filo per la somma di It. £. 1453.29. 8° Terreno coltivo detto di
S.Giovanni appartenente all’Ospitale S.Giovanni in Filo – venduto al signor conte Massari […] ». (L.MAGRINI, Memorie storico-
cronologiche, Casalecchio di R., Grafis, 1988, p.121)
18Nella pubblicazione del com.di Argenta «Ordinamenti e risultati della Beneficenza Comunale nel ventennio 1878-1897, del 1898»,
ritroviamo l'istituto San Giovanni di Filo nella parte relativa alle Opere Pie amministrate dalla Congregazione di Carità. Scopo
dell'istituzione era quello di fornire «carne e pane ai poveri infermi» di Filo. Il suo reddito nel 1898 ammontava a 157,77 lire, di cui
79,43 destinate alle spese di amministrazione, a legati di messe e tasse: meno della metà dell'intero reddito, 78,34 lire, rimaneva
perciò a disposizione per gli scopi di beneficenza (E.CHECCOLI, Filo della memoria, Prato, Editrice Consumatori, 2002, p. 49).
19Ibidem, pp. 49-50.

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