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William Hart

L'ARTE DI VIVERE
La tecnica di meditazione Vipassana secondo S. N. Goenka

traduzione di MARIA ANGELA PALA e PIERLUIGI GONFALONIERI

Biblioteca Rizzoli Universale

INTRODUZIONE

Supponete di avere la possibilit di liberarvi da tutte le responsabilit sociali per dieci giorni e di poter vivere in un luogo tranquillo, appartato e protetto da ogni occasione di disturbo. In tale luogo si provveder alle vostre esigenze fisiche fondamentali di vitto e alloggio, mentre alcuni volontari baderanno a che, nei limiti del ragionevole, non vi manchi nulla. In cambio, ci si aspetter da voi solo che evitiate i contatti con gli altri e, a parte le attivit essenziali, trascorriate tutte le ore di veglia con gli occhi chiusi, mantenendo la mente focalizzata su un ben determinato oggetto di attenzione. Accettereste lofferta? Supponete di aver semplicemente sentito dire che una tale possibilit esiste e che persone come voi non solo hanno la volont ma anche il desiderio di trascorrere il proprio tempo libero in questo modo. Come definireste la loro attivit? Fissarsi lombelico, potreste dire; o anche contemplazione, fuga o ritiro spirituale; autointossicazione o autoricerca; introversione o introspezione. Sia in senso negativo che positivo, limpressione comune che si ha in merito alla meditazione che essa sia un ritiro dal mondo. Anche se, ovviamente, esistono tecniche che hanno tale funzione, la meditazione non necessariamente una fuga. Pu anche essere un mezzo per incontrare il mondo al fine di comprenderlo e di comprendere se stessi. Ogni essere umano condizionato a presumere che il mondo reale sia al di fuori, che per vivere si debba entrare in contatto con una realt esterna, cercando input, sia fisici che mentali, dal di fuori. La maggior parte di noi non ha mai considerato la possibilit di recidere i legami con lesterno per vedere ci che accade allinterno. Lidea di agire in tal modo ci sembrerebbe probabilmente come scegliere di trascorrere ore e ore a fissare le righe di uno schermo televisivo. Preferiremmo esplorare laltra faccia della luna o il fondo delloceano piuttosto che le profondit nascoste dentro di noi. In realt luniverso esiste per ognuno di noi solo quando lo sperimentiamo con il corpo e con la mente. Non mai altrove, ma sempre qui-e-ora. Esplorando il qui-e-ora di noi stessi possiamo esplorare il mondo. Senza indagare il nostro mondo interiore, non potremo mai conoscere la realt: conosceremo soltanto le nostre convinzioni o le nostre concezioni intellettuali su di essa. Osservandoci, invece, possiamo arrivare a conoscere la realt direttamente e imparare a gestirla in modo positivo e creativo. Un metodo per esplorare il mondo interiore la meditazione Vipassana. un modo pratico di esaminare la realt del proprio corpo e della propria mente, di portare alla luce e di risolvere qualsiasi problema vi sia nascosto, di sviluppare nuovi potenziali incanalandoli verso il bene proprio e degli altri. Nellantica lingua indiana pli Vipassana significa introspezione, osservazione e comprensione profonda della realt, cos come essa . lessenza dellinsegnamento del Buddha, lesperienza concreta delle verit da lui proclamate; egli stesso ha fatto quella esperienza attraverso la pratica della meditazione e quindi ha prima di tutto insegnato la meditazione. Le sue parole testimoniano la sua esperienza di meditazione, come pure le istruzioni particolareggiate su come procedere per fare diretta esperienza della verit. Tutto questo ampiamente accettato, ma rimane il problema di come comprendere e seguire le istruzioni date dal Buddha. Infatti, mentre le sue parole sono state tramandate dai testi riconosciuti come autentici, al di fuori di un contesto di pratica viva linterpretazione delle sue istruzioni su come meditare appare difficile. Ma se esiste una tecnica che si mantenuta per innumerevoli generazioni e produce risultati identici a quelli descritti dal Buddha, e se essa si conforma in modo preciso alle sue istruzioni e ne chiarisce dei punti che a lungo sono sembrati oscuri, allora sicuramente merita di essere indagata. E questa tecnica Vipassana: straordinaria per la sua semplicit, per lassenza di qualsiasi dogma e, soprattutto, per i risultati offerti. La meditazione Vipassana viene insegnata in corsi della durata di dieci giorni, aperti a chiunque sinceramente desideri imparare la tecnica e possieda le attitudini sia fisiche che mentali per farlo. Per tutti e dieci i giorni i partecipanti non escono mai dal luogo in cui si tiene il corso e non hanno alcun contatto con il mondo esterno. Si astengono dal leggere e dallo scrivere e sospendono ogni altra pratica, religiosa o no, attenendosi esattamente alle istruzioni ricevute. Per lintero periodo del corso seguono un codice morale di base che comprende lastensione da ogni attivit sessuale e da ogni sostanza intossicante. Per i primi nove giorni del corso osservano il silenzio fra loro, mentre sono liberi di discutere i problemi inerenti la meditazione con il maestro e i problemi materiali con la direzione. Durante i primi tre giorni e mezzo i partecipanti praticano un esercizio di concentrazione mentale preparatorio alla tecnica di Vipassana vera e propria, che viene fatta conoscere il quarto giorno. Gli altri elementi vengono introdotti giorno per giorno, in modo che alla fine del corso la tecnica stata presentata nel suo insieme secondo uno schema generale. Al decimo giorno il silenzio finisce e i meditatori fanno ritorno a un genere di vita pi aperto ai contatti con gli altri. Il corso si conclude nella mattinata dellundicesimo giorno.

Lesperienza di questi dieci giorni riserva probabilmente numerose sorprese ai meditatori. La prima che la meditazione un lavoro duro! Si sperimenta subito che essa non ha niente a che vedere con il luogo comune che la rappresenta come una sorta di inattivit o di rilassamento. infatti necessaria unapplicazione continua per guidare consciamente i processi mentali in un determinato modo. Si viene esortati a mettercela tutta, seppure senza tensione, ma finch non si impara come fare, lesercizio pu essere frustrante o persine estenuante. Unaltra sorpresa che, tanto per cominciare, le conoscenze profonde ottenute con lauto-osservazione non sono probabilmente tutte piacevoli e beatificanti. Di norma siamo molto selettivi nelle opinioni su noi stessi. Quando ci guardiamo allo specchio, badiamo di assumere la posa pi lusinghiera, lespressione pi gradevole. Allo stesso modo ognuno di noi ha unimmagine mentale di s che, mentre enfatizza le qualit migliori, minimizza i difetti e omette del tutto alcuni lati del nostro carattere. Vediamo limmagine che desideriamo vedere, non la realt. La meditazione Vipassana, per, una tecnica per osservare la realt da ogni angolazione. Invece che con unimmagine di s attentamente costruita, il meditatore si confronta con una verit completa, non censurata. E certi aspetti di essa saranno difficili da accettare. Talvolta,pu sembrare che, attraverso la meditazione, invece di trovare la pace intcriore non si trovi altro che turbamento. Tutto, nel corso, pu apparire insostenibile, inaccettabile: lorario pesante, la sistemazione, la disciplina, le istruzioni e i consigli del maestro, la tecnica stessa. Unaltra sorpresa, tuttavia, che le difficolt a un certo momento scompaiono. Gradualmente i meditatori imparano a fare sforzi senza sforzo, a mantenere unattenzione rilassata, un coinvolgimento distaccato. Invece di combatterla, vengono completamente assorbiti dalla pratica. A quel punto la scomodit della sistemazione non sembra pi importante, la disciplina diventa un utile supporto, le ore passano rapidamente, inosservate. La mente diviene calma come un lago di montagna allalba, che rispecchia perfettamente i dintorni e nello stesso tempo rivela le sue profondit a quelli che lo guardano pi da vicino. Quando si fa strada questa chiarezza, ogni momento pieno di conferme, di bellezza, di pace. Cos il meditatore scopre che la tecnica funziona realmente. Ogni passo pu sembrare a volte un salto enorme, ma ci si accorge che possibile compierlo. Alla fine dei dieci giorni si nota chiaramente quale lungo viaggio si compiuto dallinizio del corso. Il meditatore si sottoposto a un processo analogo a unoperazione chirurgica per incidere col bisturi una ferita purulenta. Mettere a nudo la lesione e premere per rimuovere il pus doloroso, ma senza di questo la ferita non pu guarire. Una volta che il pus stato rimosso, ci si liberati sia di esso che del dolore e ci si avvia verso la guarigione. Allo stesso modo, passando attraverso i dieci giorni di corso, il meditatore libera la mente da alcune delle sue tensioni e acquista una salute mentale migliore. Il metodo Vipassana ha lavorato in profondit, producendo cambiamenti interni che persistono dopo la fine del corso. Il meditatore verifica che tutta lenergia mentale acquisita durante il corso, tutto ci che ha imparato, pu essere applicato nella vita quotidiana a proprio vantaggio e per il bene degli altri. La vita diviene pi armoniosa, fruttuosa e felice. La tecnica Vipassana insegnata da S. N. Goenka quella che egli ha imparato dal suo maestro birmano, ora defunto, Sayagyi U Ba Khin, al quale era stata insegnata da Saya U Thet, un maestro di meditazione assai conosciuto in Birmania nella prima met del nostro secolo. A sua volta Saya U Thet era stato allievo di Ledi Sayadaw, un famoso monaco birmano vissuto tra la fine del 1800 e linizio del 1900. Risalendo pi indietro nel tempo, non si ricordano altri nomi di insegnanti di questa tecnica, ma coloro che la praticano ritengono che Ledi Sayadaw abbia appreso la meditazione Vipassana da maestri tradizionali, che lavevano mantenuta in vita per intere generazioni, fin dallantichit, allorquando linsegnamento del Buddha era stato per la prima volta introdotto in Birmania. Non c dubbio che la tecnica concordi con le istruzioni del Buddha sulla meditazione, con il significato pi semplice e pi letterale delle sue parole. E, cosa pi importante, produce dei buoni risultati, personali, tangibili e immediati. Questo libro non un manuale di fai-da-te per praticare la meditazione Vipassana, e chiunque lo usi in tal modo lo fa a proprio rischio e pericolo. La tecnica deve essere appresa esclusivamente attraverso un corso, dove c lambiente adatto ad aiutare il meditatore e una guida adeguatamente istruita. La meditazione una cosa seria, e specialmente la tecnica Vipassana, che affronta gli stati mentali profondi. Non ci si dovrebbe mai avvicinare ad essa con leggerezza o per caso. Il nostro proposito solo quello di offrire una visione generale del metodo Vipassana, nella speranza che questo aiuti ad ampliare la comprensione degli insegnamenti del Buddha e della tecnica di meditazione che ne costituisce lessenza.

CAPITOLO PRIMO LA RICERCA Ognuno di noi cerca la pace e l'armonia, perch ci che manca alla nostra vita. Tutti vogliamo essere felici; lo consideriamo un nostro diritto. La felicit la meta a cui tendiamo, anche se spesso difficile da ottenere. Tutti noi di quando in quando sperimentiamo l'insoddisfazione: turbamenti, irritazione, disarmonia, sofferenza. Anche se in questo momento siamo liberi da tali negativit, tutti possiamo ricordare un periodo in cui ci hanno tormentato e anche prevedere quando torneranno. In ogni caso, tutti noi dobbiamo affrontare la sofferenza della morte. La nostra insoddisfazione personale, inoltre, non resta limitata a noi stessi: al contrario, tendiamo a farne partecipi gli altri. L'atmosfera attorno a una persona infelice si carica di inquietudine, cosicch chiunque entri in contatto con lei finisce col sentirsi agitato e infelice. In tal modo le tensioni individuali, combinandosi fra loro, creano tensioni sociali. E questo il problema fondamentale della vita: la sua natura insoddisfacente. Avvengono cose che non vogliamo, e le cose che vogliamo non avvengono. E ignoriamo come e perch tale processo si realizzi, proprio come ignoriamo quale sia il nostro inizio e quale la nostra fine. Venticinque secoli fa, nell'India settentrionale, un uomo decise di indagare questo problema: il problema della sofferenza umana. Dopo anni di ricerca e di tentativi condotti con vari metodi, scopr una via per ottenere una comprensione profonda della realt della propria natura e sperimentare la vera libert dalla sofferenza. Avendo raggiunto la meta pi alta, ossia la liberazione dall'infelicit e dai conflitti, dedic quel che gli restava della vita ad aiutare gli altri a fare ci che lui stesso aveva fatto, mostrando loro la via per liberarsi. Questa persona Siddhattha Gotama, noto come il Buddha, l'Illuminato ha sempre dichiarato di non essere altro che un uomo. Come accade a tutti i grandi maestri, su di lui sono fiorite numerose leggende, ma'nonostante le storie meravigliose che si raccontano sulle sue passate esistenze e sui suoi poteri magici, tutti i racconti concordano sul fatto che non si mai dichiarato di origine divina o ispirato da un dio. Quali che fossero le sue particolari doti, erano doti eminentemente umane, che egli aveva portato alla perfezione. Di conseguenza, tutto ci che egli ha realizzato nelle possibilit di qualsiasi essere umano che agisca come lui. Il Buddha non ha insegnato n una religione n una filosofia n un sistema di credenze. Chiam il suo insegnamento Dhamma, ovvero legge, la legge della natura. Non aveva alcun interesse nei dogmi o nelle speculazioni oziose. Al contrario, offriva una soluzione pratica e universale per un problema universale. Ora come sempre diceva parlo della sofferenza e di come eliminarla. ' Rifiut persino di discutere su tutto ci che non avesse a che fare con l'eliminazione delle miserie umane. Tale insegnamento, insisteva, non era qualche cosa che aveva inventato o che gli era stato rivelato da una divinit. Era semplicemente la verit, la realt che attraverso i suoi sforzi era riuscito a scoprire, cos come tanti avevano fatto prima di lui e come tanti avrebbero fatto dopo di lui. Affermava di non avere il monopolio della verit e non rivendicava un'autorit particolare come maestro, n perch la gente aveva fede in lui n per la natura evidentemente logica di ci che insegnava. Al contrario, affermava che giusto dubitare e provare tutto ci che va oltre la propria esperienza: Non credete a tutto ci che vi si dice n a tutto ci che stato tramandato dalle generazioni passate, e neppure a ci che opinione corrente o che dicono i testi sacri. Non accettate qualcosa come vera semplicemente basandovi su una deduzione o su un'illazione, sull'apparenza esteriore o sulla parzialit di una certa prospettiva o in base alla sua plausibilit o perch il vostro maestro vi dice che cos. Ma quando voi, da soli, direttamente riconoscete: Questi principi non sono benefici, sono biasimevoli, condannati dai saggi, se adottati e messi in pratica producono danno e sofferenza , allora li dovete abbandonare. E quando da soli, direttamente, riconoscete: Questi principi sono benefici, non biasimevoli, lodati dai saggi, se adottati e messi in pratica conducono al benessere e alla felicit , allora li dovete accettare e mettere in pratica.2 L'autorit pi alta la propria esperienza della verit. Nulla deve essere accettato solo in base alla fede. Dobbiamo esaminare ogni cosa per vedere se logica, pratica, benefica. Neanche l'aver esaminato un insegnamento utilizzando la ragione sufficiente per accettarlo intellettualmente come vero. Se vogliamo trarre beneficio dalla verit, dobbiamo sperimentarla direttamente. Solo allora potremo sapere che realmente vera. Il Buddha, come lui stesso ha sempre sottolineato, insegnava solo ci che aveva sperimentato direttamente e incoraggiava gli altri a sviluppare da soli tale conoscenza e quindi divenire essi stessi l'autorit a cui riferirsi: Ognuno di voi sia un'isola per se stesso, sia un rifugio per se stesso; non c' altro rifugio. Sia la verit la vostra isola, sia la verit il vostro rifugio; non c' altro rifugio .3 L'unico vero rifugio nella vita, l'unico terreno solido su cui posare, la sola autorit che pu dare una guida e una protezione sicura la verit, il Dhamma, la legge della natura, sperimentata e verificata di persona. Quindi, nel suo insegnamento il Buddha ha sempre dato la pi grande importanza all'esperienza diretta della verit.

Spiegava nel modo pi chiaro possibile quello che aveva sperimentato, cos da fornire agli altri delle linee di condotta da elaborare per giungere alla personale realizzazione della verit. Egli ha detto: L'insegnamento che ho presentato non ha due versioni separate, una esteriore e una segreta. Nulla stato tenuto nascosto nel pugno chiuso del maestro.4 La sua non era una dottrina esoterica per pochi eletti: al contrario, egli desiderava far conoscere la legge della natura in modo chiaro ed esauriente, cosicch ne potesse beneficiare il maggior numero di persone possibile. Non era nemmeno interessato a fondare una setta o un culto incentrato sulla sua persona. La personalit di colui che insegna, egli affermava, di minor importanza rispetto all'insegnamento. Il suo proposito era di mostrare agli altri come liberarsi, non di farli diventare ciecamente devoti. A un seguace che gli dimostrava eccessiva venerazione, disse: Che cosa ottieni a vedere questo corpo, che soggetto al disfacimento? Chi vede Dharnma, vede me, chi vede me, vede Dhamma .5 La devozione nei confronti di un'altra persona, per quanto santa essa sia, non sufficiente a liberare qualcuno; non ci pu essere liberazione o salvezza senza l'esperienza diretta della realt. Pertanto la supremazia della verit e non di chi ne parla. Si deve rispettare chiunque insegni la verit, ma la via migliore per mostrare tale rispetto lavorare per realizzare la verit. Quando verso la fine della vita gli furono tributati onori eccessivi, il Buddha comment: Non cos che si onora un Illuminato, non cos che gli si mostra rispetto, non cos che deve essere stimato, o riverito, o venerato. Piuttosto sono il monaco e la monaca, il seguace e la seguace laici che procedono con costanza lungo il sentiero di Dhamma, dal primo passo fino alla meta ultima, chi pratica il Dhamma operando nel giusto modo, che onorano, stimano, rispettano, riveriscono e venerano al massimo grado l'Illuminato.6 Ci che il Buddha ha insegnato era una via che ogni essere umano pu seguire. Chiam questa via il Nobile Ottuplice Sentiero, ossia una pratica divisa in otto parti fra loro collegate. nobile nel senso che chi segue il sentiero destinato a diventare un uomo dal cuore nobile, una persona santa, liberata dalle sofferenze. un sentiero che porta a una comprensione profonda della natura, della realt, un sentiero di realizzazione della verit. Per risolvere i nostri problemi, dobbiamo vedere come realmente la nostra situazione. Dobbiamo imparare a riconoscere la realt apparente, superficiale e anche a penetrare al di l delle apparenze per percepire le verit pi sottili sino alla verit ultima, e quindi sperimentare la libert dalla sofferenza. Qualsiasi nome scegliamo di dare a questa verit di liberazione, sia esso nibbna, paradiso , o qualsiasi altro, non ha importanza. La cosa importante farne esperienza. Il solo modo per sperimentare direttamente la verit di guardare dentro noi stessi, di osservarci. Per tutta la vita siamo stati abituati a guardare fuori. Siamo sempre interessati a ci che accade fuori, a ci che fanno gli altri. Raramente, se non mai, abbiamo cercato di esaminare noi stessi, la nostra struttura mentale e fisica, le nostre azioni, la nostra realt. Perci siamo degli sconosciuti ai nostri stessi occhi. Non comprendiamo quanto sia dannosa questa ignoranza, quanto rimaniamo schiavi delle nostre forze interiori di cui non siamo consapevoli. Questa oscurit interiore deve essere scacciata dalla conoscenza della verit. Dobbiamo conseguire la comprensione profonda della nostra stessa natura per comprendere la natura dell'esistenza. Pertanto, il sentiero che il Buddha ha mostrato il sentiero dell'introspezione, dell'auto-osservazione. Egli ha detto: "Proprio all'interno di questo corpo, che contiene la mente con le sue percezioni, ho potuto conoscere l'universo, la sua origine, la sua cessazione.7 L'intero universo e le leggi della natura per mezzo delle quali esso opera devono essere sperimentati all'interno di noi stessi. Possono essere sperimentati solo all'interno di noi stessi. Il sentiero anche un sentiero di purificazione. Ricerchiamo la verit su noi stessi non per un'oziosa curiosit intellettuale quanto piuttosto con uno scopo ben preciso. Osservandoci, diventiamo consapevoli per la prima volta delle nostre reazioni condizionate, dei pregiudizi che oscurano la nostra visione mentale, che ci nascondono la realt e producono sofferenza. Identifichiamo le tensioni accumulate interiormente che ci turbano e ci rendono infelici e comprendiamo che possono essere rimosse. Impariamo gradualmente come permettere loro di dissolversi; e le nostre menti diventano pure, calme e felici. Il sentiero un processo che richiede un'applicazione continua. Possono sopraggiungere improvvise intuizioni, ma sono il risultato di uno sforzo continuo. necessario lavorare passo per passo; del resto, ad ogni passo i benefici sono immediati. Non seguiamo il sentiero nella speranza di accumulare benefici da godere solo nel futuro, o di ottenere, dopo la morte, un paradiso che ora possiamo solo immaginare. I benefici devono essere concreti, vividi, personali, sperimentati qui-e-ora. E, soprattutto, un insegnamento da praticare. Avere semplicemente fede nel Buddha o nel suo insegnamento non ci aiuter a liberarci dalla sofferenza; n lo far una comprensione meramente intellettuale del sentiero. Questo ha valore solo se ci ispira a mettere in pratica l'insegnamento. Solo la pratica concreta di ci che il Buddha ha insegnato dar risultati concreti e cambier in meglio la nostra vita. Il Buddha ha detto: Una persona pu recitare alla perfezione molti testi, ma se non li mette in pratica sventata come il bovaro che conta solo le mucche degli altri: non gode delle ricompense proprie della vita di un ricercatore di verit. Un'altra persona pu essere capace di recitare solo poche parole dei testi, ma se conduce una vita di Dhamma, procedendo passo dopo passo verso la meta finale, allora pu godere delle ricompense della vita di un ricercatore di verit.8 Il sentiero deve essere seguito, l'insegnamento deve essere messo in pratica, altrimenti l'esercizio privo di senso. Non necessario definirsi un buddista per praticare questo insegnamento. Le etichette sono irrilevanti. La sofferenza non fa distinzioni, ma comune a tutti: quindi il rimedio, per essere utile, deve essere ugualmente applicabile a tutti.

N la pratica riservata agli eremiti che si sono allontanati dalla vita ordinaria. Sebbene sia necessario dedicare un determinato periodo all'apprendimento, una volta che questo sia concluso, si deve applicare l'insegnamento alla vita quotidiana. Chi lascia la propria casa e le responsabilit del mondo per seguire il sentiero ha la possibilit di lavorare pi intensamente, di assimilare l'insegnamento pi profondamente e quindi di progredire pi rapidamente. D'altra parte, chi coinvolto nella vita mondana, impegnato a far fronte a molte e diverse responsabilit, pu dedicare solo un tempo limitato alla pratica. Ma Dhamma deve essere applicato sia da coloro che hanno lasciato le loro case, sia dai capifamiglia. Solo se viene applicato, Dhamma da dei risultati. Se questa veramente la via che conduce dalla sofferenza alla pace, allora, man mano che progrediamo nella pratica la nostra vita quotidiana deve diventare pi felice, pi armoniosa, apportatrice di pace interiore. Nello stesso tempo i nostri rapporti con gli altri devono diventare pi pacifici e armoniosi. Invece di aumentare le tensioni della societ, dobbiamo essere capaci di fornire un contributo positivo che accrescer la felicit e il benessere di tutti. Per seguire il sentiero dobbiamo vivere la vita di Dramma, della verit ,della purezza. Questo il modo giusto di seguire linsegnamento. Dramma, correttamente praticato , larte di vivere.

Domande e risposte
DOMANDA:

Voi fate riferimento al Buddha. Insegnate quindi il buddismo?

SATYA NARAYAN GOENKA: Non mi occupo di ismi .Insegno Dhamma, e cio quello che ha insegnato il Buddha. Egli non ha mai insegnato un ismo o una dottrina settaria. Ha insegnato qualcosa da cui chiunque, quale che sia la sua provenienza, pu trarre beneficio: un'arte di vivere. Rimanere nell'ignoranza dannoso per tutti: sviluppare la saggezza un bene per tutti. Cos, chiunque pu praticare questa tecnica e trame beneficio. Un cristiano diventer un buon cristiano, un ebreo diventer un buon ebreo, un musulmano un buon musulmano, un ind un buon ind, un buddista un buon buddista. Ognuno deve diventare un buon essere umano, altrimenti non potr mai essere un buon cristiano, un buon ebreo, un buon musulmano, un buon ind, un buon buddista. Come diventare buoni esseri umani: questa la cosa pi importante. Voi parlate del condizionamento. Questo tipo di esercizio non anch'esso una forma di condizionamento della mente, anche se positivo? Al contrario, un processo di decondizionamento. Invece di imporre qualcosa alla mente, automaticamente rimuove le qualit non benefiche, cosicch rimangono solo quelle positive e benefiche. Eliminando la negativit, esso scopre la positivit, che la natura fondamentale di una niente pura. Ma il fatto che per un determinato periodo di tempo si debba sedere in una certa posizione e dirigere l'attenzione in un certo modo, non una forma di condizionamento? Se fate questo come un gioco o come un rito meccanico, allora indubbiamente condizionate la mente. Ma sarebbe un uso sbagliato di Vipassana, mentre quando la tecnica viene praticata in modo corretto vi rende capaci di sperimentare direttamente la verit, da soli. E da questa esperienza si sviluppa naturalmente la comprensione, che distrugge tutti i condizionamenti precedenti. Non egoistico dimenticare il mondo e limitarsi a starsene seduti a meditare tutto il giorno? Lo sarebbe se fosse fine a se stesso, ma un mezzo per raggiungere un fine che non affatto egoistico: una mente sana. Quando il vostro corpo malato, andate in ospedale per recuperare la salute. Non rimanete l per tutta la vita, ma semplicemente per recuperare la salute, di cui poi farete uso nella vita ordinaria. Allo stesso modo, frequentate un corso di meditazione per ottenere la salute mentale che utilizzerete nella vita di tutti i giorni per il bene vostro e degli altri.

Rimanere felici e in pace anche quando ci si confronta con la sofferenza altrui non forse pura insensibilit? Essere sensibili alle sofferenze degli altri non significa che si debba diventare tristi. Al contrario, dovete rimanere calmi ed equilibrati cos da poter alleviare le sofferenze altrui. Se anche voi diventate tristi, accrescete l'infelicit attorno a voi; non aiutate gli altri e non aiutate voi stessi.

Perch necessario un corso di dieci giorni per apprendere questa tecnica? certo che se poteste fermarvi per un periodo pi lungo sarebbe ancor meglio! Ma dieci giorni sono il tempo minimo che consente di comprendere lo schema della tecnica. Perch dobbiamo rimanere per dieci giorni nel luogo in cui si tiene il corso? Perch siete qui per compiere un'operazione alla mente. Cos come le operazioni chirurgiche devono essere fatte in ospedale, in sale operatorie protette da fonti di infezioni, cos qui, dentro i confini del luogo dove si tiene il corso, l'operazione sulla vostra mente pu essere compiuta senza essere disturbati da influenze esterne. Quando il corso finisce, anche l'operazione finita e voi siete pronti a rientrare in contatto con il mondo. Questa tecnica guarisce malattie fisiche? S, come risultato secondario. Molti disturbi psicosomatici spariscono spontaneamente allorch le tensioni mentali si dissolvono. Se la mente turbata, le malattie sono portate a svilupparsi. Quando la mente diviene calma e pura, scompaiono automaticamente. Ma se vi prefiggete come scopo la cura di un malessere fisico invece della purificazione della niente, non raggiungerete n l'uno n l'altro risultato. Ho appurato che chi segue il corso con lo scopo di curare una malattia fisica fissa l'attenzione solo su questo per tutto il periodo del corso: "Oggi va meglio? No, non va meglio... Oggi sto migliorando? No, niente miglioramento". E tutti i dieci giorni se ne vanno in questo modo. Ma se l'intenzione semplicemente quella di purificare la mente, allora molti malanni scompariranno automaticamente, come risultato della meditazione. Qual secondo voi lo scopo della vita? Uscire dall'infelicit. Gli esseri umani hanno la meravigliosa capacit di scavare a fondo dentro di s, di osservare la realt e uscire dalla sofferenza. Non usare questa capacit significa sprecare la propria vita. Utilizzatela per vivere una vita sana e felice. Voi parlate di essere sopraffatti dalla negativit. Cosa pensate del caso contrario, cio di essere sopraffatti dalla positivit, per esempio dall'amore? Quella che voi definite positivit la natura reale della mente. Quando la mente libera dal condizionamento, sempre piena d'amore amore puro e ci si sente in pace e felici. Se si rimuove la negativit, allora rimane la positivit, rimane la purezza. Che tutto il mondo possa essere sommerso da questa positivit!

CAPITOLO SECONDO IL PUNTO DI PARTENZA La fonte della sofferenza dentro ciascuno di noi. Quando avremo imparato a conoscere profondamente la nostra propria realt, allora avremo trovato la soluzione al problema della sofferenza. Conosci te stesso: tutti i saggi lo hanno consigliato. Dobbiamo iniziare a conoscere la nostra propria natura, altrimenti non potremo mai risolvere i nostri problemi o i problemi del mondo. Ma in realt che cosa sappiamo di noi? Ognuno di noi convinto di essere importante, unico, ma la conoscenza che abbiamo di noi stessi solo superficiale. A livelli pi profondi, non ci conosciamo affatto. Il Buddha ha esaminato il fenomeno dell'essere umano indagando la sua propria natura. Lasciando da parte ogni pregiudizio, ha esplorato la realt interiore e compreso che ogni essere un insieme di cinque aggregati, quattro mentali e uno fisico. La materia Cominciamo con l'aspetto fisico. il pi ovvio, la nostra parte pi visibile, subito percepita dai sensi, ma quanto poco la conosciamo in realt! Possiamo controllare il corpo superficialmente: si muove e agisce secondo la volont cosciente. Ma a un altro livello, tutti gli organi interni funzionano fuori dal nostro controllo, senza che noi sappiamo come. A un livello pi sottile, non abbiamo la percezione delle incessanti reazioni biochimiche che avvengono dentro ogni cellula del corpo. Ma questa non ancora la realt ultima del fenomeno materia. In definitiva il corpo, che sembra solido, composto di particelle subatomiche e di spazi vuoti. Persino queste particelle subatomiche non hanno una solidit reale; il tempo di esistenza di una di esse molto meno di un trilionesimo di secondo. Le particelle nascono e svaniscono continuamente, passando dentro e fuori dallo stato di esistenza, come un flusso di vibrazioni. Questa la realt ultima del corpo, di tutta la materia, scoperta dal Buddha 2500 anni fa. Con le loro ricerche, gli scienziati moderni hanno riconosciuto e accettato questa realt ultima dell'universo materiale, senza tuttavia divenire delle persone liberate, illuminate. Con la loro curiosit essi hanno indagato la natura dell'universo utilizzando l'intelletto e affidandosi agli strumenti per verificare le loro teorie. Il Buddha, al contrario, era motivato non soltanto dalla curiosit quanto piuttosto dal desiderio di trovare una via d'uscita dalla sofferenza. Nella sua ricerca non us altri strumenti tranne la propria mente. La verit che scopr non fu il risultato di una razionalizzazione, bens della sua esperienza diretta. Ecco perch riusc a liberarsi. Scopr che l'intero universo materiale era composto da particelle, chiamate in pli kalpa, unit indivisibili. Nelle loro infinite varianti queste unit possiedono le qualit fondamentali della materia: massa, coesione, temperatura e movimento. Si combinano per formare strutture che sembrano avere una qualche permanenza, ma che di fatto sono tutte composte di minuscole kalpa, che sono in uno stato di continuo sorgere e sparire. Questa la realt ultima della materia: un costante flusso di onde o particelle. Questo il corpo che ciascuno di noi chiama me stesso . La mente Insieme con i processi fisici, c' il processo psichico, la mente. Sebbene non possa essere toccata o veduta, sembra ancor pi intimamente connessa a noi stessi che non i nostri corpi: possiamo immaginarci un'esistenza futura senza il corpo, ma non possiamo immaginare tale esistenza senza la mente. E di essa, tuttavia, conosciamo ben poco, e ben poco siamo in grado di controllarla. Quanto spesso essa rifiuta di fare ci che vogliamo, e fa ci che non vogliamo! Il nostro controllo sulla mente cosciente gi abbastanza debole, ma l'inconscio sembra addirittura fuori del nostro potere e della nostra comprensione, pieno di forze che forse non approveremmo o di cui non siamo consapevoli. Cos come esamin il corpo, il Buddha esamin anche la mente e scopr che, essenzialmente, nella sua totalit, essa consiste di quattro processi: coscienza (vinnna), percezione (sanno), sensazione (vedano) e reazione (san-khra). II primo processo, la coscienza, la parte recettiva della mente, l'atto di consapevolezza indifferenziata o cognizione. Registra semplicemente gli eventi fenomenici, la recezione di ogni input fisico e mentale. Annota i dati grezzi dell'esperienza senza assegnare etichette o dare giudizi di valore. II secondo processo mentale la percezione, l'atto di riconoscere. Questa parte della mente identifica qualsiasi cosa sia stata annotata dalla coscienza. Distingue, etichetta e divide in categorie i dati grezzi e li valuta, in modo positivo o negativo. La fase successiva della mente consiste nella sensazione. Di fatto, appena un input viene ricevuto, sorge la sensazione, il segnale che qualcosa avvenuto. Fino a quando l'input non stato valutato, la sensazione rimane neutrale. Ma una volta che si sia attribuito un valore, la sensazione diviene piacevole o spiacevole, a seconda della valutazione data. Se la sensazione piacevole, si avverte il desiderio di prolungare e intensificare l'esperienza. Se, al contrario, spiacevole, quello di mettervi fine, di scacciarla.

La mente reagisce con sensazioni di piacere o di avversione.1 Per esempio, quando l'orecchio funziona normalmente e si ode un suono, la cognizione al lavoro. Quando il suono viene riconosciuto come parole, con connotazioni positive o negative, la percezione comincia a funzionare. Poi segue la sensazione. Se le parole sono di approvazione, nasce una sensazione piacevole. Se sono insulti, nasce una sensazione spiacevole. Tutto questo subito seguito da una reazione. Se la sensazione piacevole, si inizia a provarne piacere e si desidera una quantit maggiore di parole di approvazione. Se la sensazione spiacevole, si inizia a provarne dispiacere, e si vuole che le ingiurie finiscano. Lo stesso processo avviene ogni volta che gli altri sensi ricevono un input: coscienza, percezione, sensazione, reazione. Queste quattro funzioni mentali sono anche pi fluttuanti delle effimere particelle che compongono la realt materiale. Ogniqualvolta i sensi vengono in contatto con un oggetto, i quattro processi mentali sopravvengono con la rapidit del fulmine e si ripetono ad ogni contatto; del resto si verificano cos rapidamente che non si consapevoli di cosa stia avvenendo. solo quando una particolare reazione si ripete per un lungo periodo e ha preso una forma definita e intensa che se ne consapevoli a livello conscio. L'aspetto pi singolare di questa descrizione dell'essere umano non consiste in ci che include, ma in ci che omette. Occidentali od orientali, cristiani o ebrei, musulmani o ind, buddisti o atei o altro ancora, tutti noi abbiamo la certezza congenita che, da qualche parte dentro di noi, esiste un Io, un'identit permanente. Senza rifletterci, operiamo presupponendo che la persona che esistita dieci anni fa sia essenzialmente la stessa di oggi e la stessa che esister tra dieci anni: forse anche la stessa che esister in una vita futura dopo la morte. Quale che sia la filosofia, la teoria o il credo che noi consideriamo veri, di fatto ognuno vive con una convinzione ben radicata: Io ero, io sono, io sar . Il Buddha ha sfidato questa istintiva affermazione di identit. E nel farlo non ha esposto un'altra visione speculativa per combattere le teorie altrui, bens ha ribadito pi e pi volte che non stava proponendo un'opinione, ma semplicemente descrivendo la verit che aveva sperimentato e che ogni persona comune pu sperimentare. L'Illuminato ha messo da parte tutte le teorie diceva perch ha visto la realt della materia, della sensazione, della percezione, della reazione e della coscienza, il loro sorgere e svanire .2 Nonostante le apparenze, aveva scoperto che ogni essere umano in realt una serie di eventi separati ma collegati fra loro. Ogni evento il risultato del precedente e lo segue senza soluzione di continuit. La progressione ininterrotta di eventi intimamente connessi da l'apparenza della continuit, dell'identit, ma si tratta solo di una realt apparente e non della verit ultima. Possiamo dare un nome a un fiume, ma in realt un flusso d'acqua che non smette mai di scorrere. Possiamo pensare alla luce di una candela come a qualcosa di costante, ma, se la osserviamo da vicino, vediamo che in realt la fiamma nasce da uno stoppino che brucia per un istante ed subito rimpiazzata da una nuova fiamma, istante dopo istante. Parliamo della luce di una lampadina elettrica senza fermarci mai a pensare che in realt, come i1 fiume, essa un flusso costante: in questo caso un flusso di energia prodotta da oscillazioni ad altissima frequenza, che avvengono dentro il filamento. In ogni momento, qualcosa di nuovo nasce come prodotto del passato, per essere rimpiazzato da qualcos'altro nel momento seguente. La successione degli eventi cos rapida e continua che difficile da discernere. In un determinato punto del processo non possibile affermare che ci che sta avvenendo uguale a ci che avvenuto in precedenza, n si pu dire che non lo sia. Ci nondimeno, il processo avviene. Allo stesso modo, il Buddha comprese che una persona non un'entit finita e immutabile, ma un processo che fluisce momento per momento. Non c' un essere reale, ma soltanto un flusso che va, un processo continuo di divenire. Naturalmente nella nostra vita quotidiana dobbiamo trattare gli altri come persone provviste di una natura pi o meno definita, non mutevole; dobbiamo accettare le apparenze esterne, la realt apparente, altrimenti non riusciremo a funzionare. La realt esteriore una realt, ma solo quella superficiale. A livelli pi profondi, la realt che l'intero universo, animato e inanimato, in costante stato di divenire: di nascere e svanire. Ognuno di noi, di fatto, un flusso di particelle subatomiche in costante mutamento, e insieme ad esso mutano, ancor pi rapidamente dei processi fisici, i processi di coscienza, di percezione, di sensazione e di reazione. Questa la realt ultima del s con cui ognuno di noi deve fare i conti. questo il corso degli eventi in cui siamo implicati. Se saremo in grado di comprenderlo con esattezza, attraverso l'esperienza diretta, troveremo la strada che ci condurr fuori dalla sofferenza. Domande e risposte DOMANDA: Quando parlate di mente, non sono sicuro di cosa volete intendere. Mi impossibile localizzare la mente.
SATYA NARAYAN GOENKA: E ovunque, in ogni atomo. Ovunque sentite

qualcosa, l c' la mente. La mente sente.

Dicendo mente allora non volete indicare il cervello?

Oh no, no. Qui in Occidente si pensa che la mente sia solo nella testa. un concetto sbagliato. La mente in tutto il corpo? S, tutto il corpo contiene la mente, tutto il corpo! Lei parla dell'esperienza dell'Io solo in termini negativi. Non ha un lato positivo? Non c' un'esperienza dell'Io che riempie la per sona di gioia, di pace, di estasi? Con la meditazione si scopre che tali piaceri sensoriali vanno e vengono. Se questo Io realmente ne gioisse, se fossero miei piaceri, allora l'Io dovrebbe avere qualche potere su di essi. Ma essi nascono e svaniscono al di fuori del mio controllo. In questo caso, che cos' l'Io? Non sto parlando di piaceri sensoriali, ma di quelli a un livello molto profondo. A quel livello l'Io non ha alcuna importanza. Quando si raggiunge quel livello, l'ego si dissolve. C' solo gioia. La questione dellio allora non si pone neppure. D'accordo, invece di Io diciamo allora l'esperienza della persona. la sensazione stessa che sente; nessuno la sente. Le cose stanno solo avvenendo, ecco tutto. Ora, a voi sembra che ci debba essere un Io che sente, ma con la pratica finirete col raggiungere il livello in cui l'ego si dissolve. E a quel punto questa domanda non avr pi ragione di essere. 1o sono venuto qui perch sentivo che il mio Io aveva bisogno di venire qui. S. vero. Per gli scopi convenzionali, non possiamo sfuggire dall'Io o dal mio. Ma attaccarci ad essi, considerarli reali nel senso ultimo ci porter solo sofferenza. Mi domando se ci sono delle persone che provocano la nostra sofferenza. Nessuno vi causa sofferenza. La sofferenza nasce dentro di voi, allorch generate tensioni nella mente. Sapendo come evitarlo diventa facile rimanere in pace e felici in ogni situazione. E quando qualcuno ci fa del male? Non dovete permettere che qualcuno vi faccia del male. Ogni volta che qualcuno fa qualcosa di sbagliato, fa male agli altri e nello stesso tempo a se stesso. Se gli permettete di fare del male, lo incoraggiate a farlo. Dovete usare tutta la vostra forza per fermarlo, ma solo con benevolenza, con compassione e simpatia per quella persona. Se agite con odio o ira, allora aggravate la situazione. Ma voi non potete avere benevolenza per tale persona a meno che la vostra mente non sia calma e in pace. Una volta che avrete appreso con la pratica a sviluppare la pace dentro di voi, il problema potr essere risolto. A quale scopo cercare pace dentro di noi quando non c' pace nel mondo? 11 mondo sar in pace solo quando la gente sar in pace e felice. Il cambiamento deve partire a livello individuale. Se la foresta si inaridisse e voi voleste ridarle vita, dovreste innaffiare ogni albero. Se volete un mondo di pace, dovete imparare a essere in pace con voi stessi. Solo allora potrete portare la pace nel mondo. Posso capire come la meditazione sia in grado di aiutare persone infelici, disadattate, ma per chi si sente soddisfatto della sua vita, che gi felice? Chi soddisfatto dai piaceri superficiali della vita ignora i turbamenti profondi della mente. Si illude di essere una persona felice, ma i suoi piaceri non sono duraturi e le tensioni generate nell'inconscio si accresceranno, per apparire prima o poi al livello mentale conscio. Quando accade ci, questa cosiddetta persona felice diventa triste. E allora, perch non iniziare a lavorare qui-e-ora per allontanarsi da una simile situazione? Voi insegnate Mahyna o Hinayna?

Nessuno dei due. La parola yana di fatto significa veicolo che vi porter alla meta finale , ma oggi gli si da erroneamente una connotazione settaria. Il Buddha non ha mai insegnato qualcosa di settario. Ha insegnato il Dhamma, che universale. questa universalit che mi ha attratto verso l'insegnamento del Buddha, ed da esso che ho tratto giovamento. Quindi questo Dhamma universale che offro a tutti con tutto il mio amore e la mia compassione. Per me, il Dhamma non n Mahyna n Hinayna, n alcuna setta.

CAPITOLO TERZO LA CAUSA IMMEDIATA Il mondo reale non regge il paragone con quello delle fiabe, in cui ognuno vive felice per sempre. Non possiamo nasconderci la verit, e cio che la vita imperfetta, incompleta, insoddisfacente: la verit dell'esistenza della sofferenza. Assodata questa realt, ci che importante sapere se la sofferenza abbia una causa e, in caso affermativo, se sia possibile rimuovere tale causa in modo che anche la sofferenza possa essere rimossa. Se gli avvenimenti che provocano la nostra sofferenza sono semplicemente delle circostanze casuali su cui non abbiamo alcun controllo o influenza, allora siamo impotenti e possiamo lasciar perdere il tentativo di cercare una via d'uscita. Se invece le nostre sofferenze sono dettate da un essere onnipotente che agisce in modo arbitrario e imperscrutabile, allora dobbiamo scoprire come propiziarci tale essere in modo che sia benevolo. Il Buddha ha compreso che la nostra sofferenza non solo un prodotto del caso. Ci sono delle cause dietro ad essa, esattamente come ci sono cause per tutti i fenomeni: la legge di causa ed effetto kamma universale e fondamentale per l'esistenza; e non esistono cause al di l del nostro controllo. Kamma Alla parola kamma (o, nella pi conosciuta forma sanscrita, karm) viene generalmente attribuito il significato di fato. Purtroppo le connotazioni di questa parola sono proprio il contrario di ci che il Buddha intendeva con kamma. Il fato qualcosa che sta fuori del nostro controllo, il decreto della provvidenza, ci che stato pre-ordi-nato per ognuno di noi. Tuttavia, kamma letteralmente significa azione . Proprio le nostre azioni sono la causa di tutto ci che sperimentiamo: Tutti gli esseri compiono i loro atti, sono eredi dei loro atti, hanno origine dai loro atti, sono legati ai loro atti; i loro atti sono il loro rifugio. Cos come i loro atti sono vili o nobili, altrettanto lo saranno le loro esistenze. Tutto ci in cui ci imbattiamo nella nostra vita il risultato delle nostre azioni. Di conseguenza, tutti possiamo diventare padroni del nostro destino diventando padroni delle nostre azioni. Ognuno di noi responsabile delle azioni che danno origine alla propria sofferenza. Ognuno di noi ha i mezzi per porre fine alla sofferenza provocata dalle proprie azioni. Il Buddha ha detto: Ciascuno maestro di se stesso; Ciascuno costruisce il proprio futuro. Cos, ognuno di noi come un uomo che non ha mai imparato a guidare e siede con gli occhi bendati al volante di un'auto in corsa su una strada piena di traffico. Non possibile che egli raggiunga la destinazione senza incidenti. Anche se pu pensare di essere lui a guidare la macchina, in realt la macchina a guidare lui. Se vuole evitare un incidente e fare in modo di arrivare a destinazione, deve togliersi la benda dagli occhi, imparare a guidare il veicolo e condurlo fuori pericolo il pi rapidamente possibile. Analogamente, noi dobbiamo diventare consapevoli di ci che facciamo, e quindi imparare a compiere quelle determinate azioni in grado di condurci dove vogliamo realmente andare. Le tre categorie di azioni Ci sono tre categorie di azioni: fisica, verbale e mentale. Normalmente diamo maggiore importanza alle azioni fisiche, meno alle azioni verbali e meno ancora alle azioni mentali. Colpire una persona ci sembra un'azione pi grave che insultarla, ed entrambe appaiono pi pesanti di una malevolenza inespressa nei suoi confronti. Di fatto, sarebbe questo il giudizio conforme alle leggi emanate dagli uomini in ogni paese. Ma secondo Dhamma, la legge della natura, l'azione mentale la pi importante. Un'azione fisica o verbale assume un significato completamente diverso a seconda delle intenzioni con cui la si compie. Un chirurgo usa il bisturi per operare d'urgenza un uomo in pericolo di vita, ma l'intervento non ha successo e il paziente muore; un assassino usa il pugnale per colpire a morte la sua vittima: fisicamente le due azioni sono simili, con gli stessi effetti, ma mentalmente sono agli antipodi. Il chirurgo agisce per compassione, l'assassino per odio. I risultati ottenuti sono radicalmente diversi, perch diversa l'azione mentale. Allo stesso modo, nel caso della parola, la cosa pi importante l'intenzione. Un uomo discute con un collega e lo ingiuria, definendolo pazzo. Esprime ira. Lo stesso uomo vede suo figlio che gioca nel fango e teneramente lo chiama pazzo. Esprime amore. In entrambi i casi sono state pronunciate le stesse parole, ma per esprimere due opposti stati mentali. l'intenzione delle nostre parole che determina il risultato. Parole e azioni, e i loro effetti esterni, sono mere conseguenze dell'azione mentale. Essi si giudicano in relazione alla natura dell'intenzione che esprimono. L'azione mentale il vero kamma, la causa che dar i risultati nel futuro. Comprendendo questa verit il Buddha ha annunciato:

La mente precede tutti i fenomeni, la mente la cosa pi importante, ogni cosa fatta dalla mente.

Se con una mente impura parlate o agite, allora la sofferenza vi seguir, come la ruota di un carro segue l'animale da tiro. Se con una mente pura parlate e agite, allora la felicit vi seguir come un'ombra che non svanisce mai.

La causa della sofferenza


Ma quale azione mentale determina il nostro destino? Se la mente non consiste di nient'altro che di conoscenza, percezione, sensazione e reazione, quale di queste da origine alla sofferenza? Ognuna di esse coinvolta in qualche misura nel processo della sofferenza. Le prime tre, tuttavia, sono principalmente passive. La coscienza recepisce soltanto i primi dati dell'esperienza, la percezione li inserisce in una categoria, la sensazione segnala ci che accaduto nei passaggi precedenti. Il lavoro di queste tre azioni mentali quello di assimilare di mano in mano le informazioni subentranti. Ma quando la mente inizia a reagire, la passivit lascia il passo all'attrazione o alla repulsione, al piacere o al dispiacere. Questa reazione mette in moto una nuova catena di eventi, all'inizio della quale c' la reazione, sankhra. Ecco perch il Buddha ha detto: Qualsiasi sofferenza sorga ha una reazione quale causa. Se tutte le reazioni cessassero, allora non ci sarebbe pi sofferenza. Il vero kamma, la vera causa della sofferenza, la reazione della mente. Ogni fugace reazione di piacere o dispiacere pu non essere molto forte e pu non dare molti risultati, ma pu avere un effetto cumulativo. La reazione ripetuta momento per momento, intensificandosi a ogni ripetizione e sviluppandosi verso la bramosia o l'avversione: ci che nel suo primo sermone il Buddha ha definito tanh, letteralmente sete: cio l'abitudine mentale all'insaziabile bramosia di ci che non c', la quale implica una uguale e irrimediabile insoddisfazione per ci che c'. E man mano che bramosia e insoddisfazione aumentano di intensit, pi profonda sar la loro influenza sui nostri pensieri, sui nostri discorsi e sulle nostre azioni: e maggiore la sofferenza che provocheranno. Alcune reazioni, ha detto il Buddha, sono come linee tracciate su uno specchio d'acqua: appena disegnate, si cancellano. Altre sono come linee tracciate sulla sabbia: se sono state disegnate al mattino, spariranno durante la notte, eliminate dalla marea o dal vento. Altre sono come linee incise profondamente nella roccia con scalpello e martello. Anch'esse scompariranno a causa dell'erosione, ma ci vorr molto molto tempo. Ogni giorno, per tutta la vita, la nostra mente continua a generare reazioni: eppure se alla fine di ciascun giorno cerchiamo di ricordarle, non saremo in grado di richiamarne alla memoria che una o due, ossia quelle che quel giorno ci hanno maggiormente impressionato. Cos, se cerchiamo di ricordare tutte le reazioni che abbiamo avuto nel corso di un mese, saremo capaci di rammentarne solo una o due che in quel mese ci hanno impressionato pi profondamente. E allo scadere di un anno saremo capaci di ricordare solo una o due reazioni che in quell'anno hanno lasciato l'impressione pi profonda. Le reazioni profonde di questo tipo sono assai pericolose e conducono a un'immensa sofferenza. Il primo passo per emergere da tale sofferenza quello di accettarne la realt, non come un concetto filosofico o un articolo di fede, ma come un dato della nostra stessa esistenza. Se accetteremo questo e comprenderemo che cos' la sofferenza e perch soffriamo, cesseremo di essere guidati e saremo noi a cominciare a guidare. Imparando a comprendere la nostra natura, potremo incamminarci sul sentiero che conduce alla fine della sofferenza. Domande e risposte DOMANDA: La sofferenza non forse una parte naturale della vita? Perch dobbiamo cercare di sfuggirle?
SATYA NARAYAN GOENKA: Siamo ormai cos immischiati con la sofferenza che esserne esenti ci sembra innaturale. Ma quando sperimenterete la reale felicit della purezza mentale, allora vi renderete conto che questo uno stato naturale della mente.

L'esperienza della sofferenza pu nobilitare una persona e aiutarla a fortificare il carattere? S. Questa tecnica infatti utilizza deliberatamente la sofferenza come uno strumento per rendere nobile una persona. Ma ci accadr solo se questa persona imparer a osservare oggettivamente la sofferenza. Se rimane attaccata alla sua sofferenza, l'esperienza non la nobiliter ed essa rimarr sempre infelice. Controllare le proprie azioni non una sorta di repressione? No. Si impara solo a osservare oggettivamente ci che avviene. Se qualcuno adirato e cerca di nascondere la sua collera, di sopportarla, allora, s, c' repressione. Ma osservando la collera, scoprirete che automaticamente essa svanisce. Vi liberate dalla collera quando imparate a osservarla oggettivamente. Se continuiamo a osservare noi stessi, come possiamo vivere in modo naturale? Saremmo cos impegnati a guardarci che non potremmo agire liberamente o spontaneamente.

Non questo ci che le persone verificano dopo aver completato un corso di meditazione. Qui imparate un training mentale che vi metter in grado di osservarvi nella vita quotidiana ogni volta che ne avrete bisogno. Non che si debba continuare a esercitarsi a occhi chiusi tutto il giorno per tutta la vita, ma cos come la forza che si acquista attraverso l'esercizio fisico vi aiuta nella vita quotidiana, analogamente questo esercizio mentale vi fortificher. Quella che viene chiamata azione libera e spontanea in realt una reazione cieca, sempre pericolosa. Imparando ad osservarvi, scoprirete che possibile mantenere l'equilibrio della mente tutte le volte che vi trovate in una situazione difficile. questo equilibrio che vi mette in grado di scegliere liberamente come agire. Compirete allora un'azione reale, che sempre positiva e sempre di beneficio per voi e per gli altri. Esistono avvenimenti fortuiti, eventi accidentali senza una causa? Nulla avviene senza una causa. impossibile. Talvolta i nostri sensi limitati e il nostro intelletto non la possono discernere con chiarezza, ma questo non significa che non ci sia. Voi affermate che ogni cosa nella vita predeterminata? Certamente le nostre azioni passate daranno dei frutti, buoni o cattivi. Sono esse a determinare il tipo di vita che conduciamo, la situazione generale in cui ci troviamo. Ma ci non significa che qualsiasi cosa ci accada sia predestinata, stabilita dalle nostre azioni passate, e che non possa accadere nient'altro. Non cos. Le nostre azioni passate influenzano il corso della nostra vita dirigendola verso esperienze piacevoli o spiacevoli. Ma le azioni presenti sono ugualmente importanti. La natura ci ha dato la capacit di essere padroni delle nostre azioni presenti: con tale padronanza possiamo cambiare il nostro futuro. Ma certamente anche le azioni degli altri ci influenzano. Naturalmente. Siamo influenzati da chi ci circonda e dall'ambiente, cos come noi li influenziamo. Se ad esempio la maggioranza favorevole alla violenza, allora possono avvenire guerre e distruzioni, provocando immani sofferenze. Ma se la gente incomincia a purificare la mente, allora non pu esserci violenza. La radice del problema nella mente di ogni essere umano, e dato che la societ composta di individui, se ogni persona inizia a cambiare, cambier anche la societ e guerre e distruzioni diventeranno eventi rari. Come possiamo aiutarci l'un l'altro se ognuno di noi deve confrontarsi con i risultati delle proprie azioni? Le nostre azioni mentali influenzano gli altri. Se nella mente non generiamo altro che negativit, tale negativit ha un effetto pericoloso su quelli che entrano in contatto con noi. Se colmiamo la mente di positivit e benevolenza verso gli altri, questo avr un effetto giovevole su coloro che ci circondano. Non potete controllare le azioni, il kamma degli altri, ma potete diventare padroni di voi stessi per esercitare un influsso positivo su coloro che vi stanno intorno. Perch essere ricchi un buon karma? Se cosi, significa forse che la maggior parte di coloro che vivono in Occidente hanno un buon karma e la maggior parte di coloro che vivono nel Terzo mondo hanno un cattivo karma? La ricchezza da sola non un buon karma. Se diventate ricchi ma restate infelici, qual l'utilit della vostra ricchezza? Essere ricchi e anche felici, realmente felici: questo un buon karma. La cosa pi importante essere felici, ricchi o no. Non forse innaturale non reagire mai? ci che sembra a coloro che hanno esperienza solo degli errati schemi abituali di una mente impura. Ma naturale per una mente pura rimanere distaccata, piena d'amore, compassione, benevolenza, gioia ed equanimit. Dovete imparare a sperimentarlo. Come possiamo essere coinvolti nella vita senza reagire? Invece di reagire, imparate ad agire, ad agire con una mente equilibrata. Il meditatore di Vipassana non diventa inattivo come un vegetale. Impara ad agire positivamente. Quando sarete in grado di cambiare gli schemi abituali da reazione ad azione, allora avrete ottenuto qualcosa di grande valore. E Vipassana porta a questo cambiamento.

CAPITOLO QUARTO LA RADICE DEL PROBLEMA La verit della sofferenza deve essere esplorata fino alla radice, ha detto il Buddha.1 Nella notte in cui raggiunse l'illuminazione, sedette risoluto a non alzarsi finch non avesse compreso come nasce la sofferenza e come pu essere sradicata. Definizione della sofferenza II Buddha si rese conto chiaramente che la sofferenza esiste. un fatto incontrovertibile, per quanto spiacevole possa essere. La sofferenza inizia con l'inizio della vita. Non abbiamo alcun ricordo conscio dell'esistenza intrauterina, ma l'esperienza comune che veniamo alla luce piangendo. La nascita un grande trauma. Iniziata la vita, siamo tutti costretti ad affrontare la sofferenza delle malattie e della vecchiaia. Per quanto malati possiamo essere, per quanto vecchi e decrepiti, nessuno di noi vuole morire, perch la morte una grande infelicit. Ogni creatura vivente deve far fronte a tutte queste sofferenze. E mentre la nostra vita scorre, siamo costretti ad affrontare altre sofferenze, una variet di dolori sia fisici che mentali. Siamo immersi nell'infelicit e la felicit ci sfugge. Non riusciamo ad avere ci che vogliamo e, al contrario, otteniamo ci che non vogliamo. Sono tutti casi di sofferenza evidenti per chiunque si fermi a riflettere. Ma il futuro Buddha non era soddisfatto delle limitate spiegazioni dell'intelletto. Continu ad esplorare dentro di s per sperimentare la vera natura della sofferenza e scopr che l'attaccamento ai cinque aggregati costituisce la sofferenza.2 A livello pi profondo, la sofferenza l'attaccamento eccessivo che ognuno di noi ha sviluppato per il proprio corpo e per la propria mente, con le sue cognizioni, percezioni, sensazioni e reazioni. La gente si attacca con forza alla propria identit al proprio essere fisico e mentale quando in realt ci sono solo processi in evoluzione, Questo attaccamento a un'idea irreale di s, a qualcosa che di fatto in costante mutamento, sofferenza. Lattaccamento Ci sono diversi tipi di attaccamento. Per prima cosa c' l'attaccamento all'abitudine di cercare la gratificazione dei sensi. Un tossicomane si droga perch desidera sperimentare la sensazione piacevole che la droga gli procura, anche se sa che drogandosi aumenta la sua dipendenza. Analoga la nostra dipendenza da desideri sempre nuovi: non appena un desiderio soddisfatto, ne creiamo un altro. L'oggetto secondario; in realt noi facciamo in modo di prolungare all'infinito lo stato di desiderio, in quanto esso fa sorgere in noi una sensazione piacevole che vogliamo continuare a provare. Il desiderare diventa un'abitudine che non possiamo abbandonare, una dipendenza. E proprio come un drogato gradualmente sviluppa assuefazione nei confronti della sostanza che assume abitualmente e quindi ha bisogno di dosi sempre maggiori, cos pi cerchiamo di soddisfare i nostri desideri, pi essi diventano forti, si trasformano in bramosia. una via senza uscita, perch finch desidereremo ardentemente qualcosa, non potremo mai essere felici. Un altro grande attaccamento si ha verso l'Io, l'ego, l'immagine che abbiamo di noi stessi. Per ciascuno di noi, l'Io la persona pi importante del mondo. Ci comportiamo,come calamite che accentrano automaticamente sopra se stesse la limatura di ferro. Se riflettiamo un attimo, tutti noi istintivamente cerchiamo di sistemare il mondo a nostro piacimento, cercando di attrarre ci che piacevole e di respingere ci che spiacevole. Ma nessuno di noi solo al mondo; ciascun Io costretto a entrare in conflitto con un altro. Il modello che ognuno cerca di creare disturbato dai campi magnetici degli altri e noi stessi siamo soggetti a repulsioni e ad attrazioni. Il risultato non pu essere altro che infelicit e sofferenza. N limitiamo l'attaccamento all'Io, ma lo estendiamo al mio, a tutto ci che ci appartiene. Sviluppiamo un grande attaccamento a ci che possediamo, perch collegato a noi e sostiene l'immagine dell'Io. Questo attaccamento non causerebbe problemi se quello che chiamiamo mio fosse eterno e l'Io ne potesse godere eternamente. Ma, nella realt, prima o poi l'Io viene separato dal mio. Il tempo della separazione deve necessariamente venire, e in quel momento la sofferenza sar tanto pi intensa quanto pi grande l'attaccamento al mio . Ma l'attaccamento va anche oltre: si estende alle nostre opinioni e alle nostre convinzioni. Quale che sia il loro contenuto, siano esse giuste o sbagliate, se siamo attaccati ad esse certamente ci renderanno infelici. Siamo tutti convinti che le nostre opinioni e tradizioni siano le migliori e ogni volta che le sentiamo criticare ne restiamo colpiti. Se cerchiamo di spiegare le nostre opinioni e gli altri non le accettano, anche in questo caso ci turbiamo. Non siamo capaci di riconoscere che ognuno ha le proprie convinzioni. Invece di perdersi in futili discussioni sulla validit o meno delle varie opinioni, sarebbe pi proficuo lasciare da parte le nozioni preconcette e cercare di vedere la realt. Ma il nostro attaccamento alle opinioni ci impedisce di far questo e cos restiamo infelici. Infine, c' l'attaccamento alla religione e alle relative cerimonie. Tendiamo ad attribuire pi importanza alle manifestazioni esteriori della religione piuttosto che al loro significato intrinseco e pensiamo che chi non compie tali cerimonie non pu essere una persona veramente religiosa. Dimentichiamo che senza la sua essenza, l'aspetto formale della religione un guscio vuoto.

Recitare devotamente le preghiere o partecipare assiduamente alle funzioni non ha valore se la mente rimane colma di ira, risentimento e malevolenza. Per essere veramente religiosi dobbiamo sviluppare un'attitudine religiosa: purezza di cuore, amore e compassione per tutti. Tuttavia l'attaccamento alle forme esteriori della religione ci induce a dare maggiore importanza alla lettera piuttosto che allo spirito. Perdiamo l'essenza della religione e quindi rimaniamo infelici. Tutte le nostre sofferenze, di qualunque genere possano essere, sono collegate all'uno o all'altro di questi attaccamenti. Attaccamento e sofferenza vanno sempre di pari passo. I! Sorgere Condizionato: la catena di causa ed effetto da cui trae origine la sofferenza. Che cosa provoca l'attaccamento? Come sorge? Analizzando la sua propria natura, il futuro Buddha scopr che esso si sviluppa a causa di reazioni mentali momentanee di piacere e dispiacere. Le reazioni brevi e inconsce della mente si ripetono e si intensificano momento per momento, fino a trasformarsi in potenti attrazioni e repulsioni e in tutte le nostre forme di attaccamento. L'attaccamento non altro che la forma sviluppata di una reazione transitoria. questa la causa immediata della sofferenza. Che cosa provoca le reazioni di piacere e dispiacere? Andando ancora pi a fondo, il Buddha osserv che esse sono causate da una sensazione: proviamo una sensazione piacevole e iniziamo ad amarla; ne proviamo una spiacevole e iniziamo a rifiutarla, a respingerla. Ora, perch queste sensazioni? Che cosa le provoca? Analizzandosi ancor pi profondamente, egli vide che sorgono a causa di un contatto: contatto dell'occhio con una cosa visibile, contatto dell'orecchio con un suono, contatto del naso con un odore, contatto della lingua con un sapore, contatto del corpo con un oggetto tangibile, contatto della mente con un pensiero, un'emozione, un'idea, una fantasia o un ricordo. con i cinque sensi fisici e con la mente che noi sperimentiamo il mondo. Ogni volta che un oggetto o un fenomeno entra in contatto con una di queste sei basi dell'esperienza, si produce una sensazione, piacevole o spiacevole. E perch questo contatto il primo a prodursi? Il futuro Buddha vide che il contatto avviene proprio in quanto esistono le sei basi sensoriali, ovvero i cinque sensi fisici pi la mente. Il mondo pieno di innumerevoli fenomeni: visioni, suoni, odori, sapori, oggetti, pensieri ed emozioni. Per tutto il tempo in cui i nostri recettori sono in funzione, il contatto inevitabile. E perch esistono le sei basi sensoriali? Perch sono gli aspetti essenziali del fluire della mente e della materia. Perch allora questo flusso di mente e materia? Che cosa lo provoca? Il futuro Buddha comprese che il processo sorge a causa della coscienza, l'atto cognitivo che separa il mondo in conoscente e conosciuto, soggetto e oggetto, l'Io e gli altri . Da questa separazione deriva l'identit, la nascita . Ad ogni istante la coscienza sorge e assume una specifica forma mentale e fisica. Nell'istante successivo, di nuovo, la coscienza prende una forma leggermente diversa. La coscienza fluisce e muta attraverso tutta l'esistenza. Alla fine arriva la morte, ma la coscienza non si ferma: senza alcun intervallo, nell'istante successivo, assume una forma nuova. Da un'esistenza a un'altra, vita dopo vita, il fluire della coscienza continua. Qual dunque la causa di questo fluire della coscienza? Egli ne vide il sorgere da una reazione. La mente costantemente reattiva e ogni reazione da forza al fluire della coscienza, cos da perpetuarsi nell'istante successivo. Pi una reazione forte, pi grande l'impulso che suscita. La reazione leggera d un istante sostiene il fluire della coscienza solo per un istante. Ma se quella reazione momentanea di piacere o dispiacere si intensifica in bramosia o avversione, guadagna forza e sostiene il fluire della coscienza per molti istanti, per minuti, per ore. E se la reazione di bramosia o avversione si intensifica ancora, sostiene il flusso per giorni, mesi, anni. E se durante la sua vita una persona tende a ripetere e a intensificare certe reazioni, esse sviluppano una forza sufficiente a sostenere il fluire della coscienza non solo da un istante all'altro, da un giorno all'altro, da un anno all'altro, ma da una vita allaltra. E che cosa provoca queste reazioni? Osservando la realt a un livello pi profondo, egli comprese che le reazioni avvengono a causa dell'ignoranza. Siamo inconsapevoli del fatto che reagiamo, e altrettanto inconsapevoli della vera natura di ci a cui reagiamo. Siamo all'oscuro della natura impermanente e impersonale della nostra esistenza e ignoriamo che l'attaccamento a essa ci procura soltanto sofferenza. Non conoscendo la nostra vera natura, reagiamo alla cieca. Non sapendo neppure di aver reagito, persistiamo nelle nostre reazioni cieche e permettiamo loro di intensificarsi. Cos, a causa dell'ignoranza, diventiamo prigionieri dell'abitudine a reagire. Ecco come la ruota della sofferenza inizia a girare: Se sorge l'ignoranza, c' la reazione; se sorge la reazione, c' la coscienza; se sorge la coscienza, ci sono la mente e la materia; se sorgono la mente e la materia, ci sono i sei sensi; se sorgono i sei sensi, c' il contatto; se sorge il contatto, c' la sensazione; se sorge la sensazione, ci sono il desiderio e l'avversione; se sorgono il desiderio e l'avversione, c' l'attaccamento;

se sorge l'attaccamento, c' i! processo del divenire; se sorge il processo del divenire, c' la nascita; se c' la nascita, ci sono l'invecchiamento e la morte, insieme a dolore, lamenti, sofferenze fisiche e mentali, tribolazioni. In questo modo sorge l'intera massa della sofferenza.3 Da questa catena di causa ed effetto il sorgere condizionato siamo stati condotti nel nostro presente stato di esistenza, ad affrontare un futuro di sofferenza. Alla fine la verit gli fu chiara : la sofferenza inizia con l'ignoranza della realt della nostra vera natura, del fenomeno etichettato come Io. E la causa successiva di sofferenza il sankhra, l'abitudine mentale alla reazione. Accecati dall'ignoranza, generiamo reazioni di bramosia e di avversione che si sviluppano in attaccamento, il quale conduce a tutti i generi di infelicit. L'abitudine a reagire il kamma, il modellatore del nostro futuro. Dunque la reazione sorge solo a causa dell'ignoranza circa la nostra vera natura. Ignoranza, bramosia e avversione sono le tre radici da cui nascono tutte le sofferenze della nostra vita. La via duscita della sofferenza Avendo compreso cosa sia la sofferenza e quale ne sia l'origine, il futuro Buddha affront il problema successivo: come si pu far cessare la sofferenza? Ricordando la legge del kamma, la legge di causa ed effetto: Se questo esiste, quello avviene; quello sorge dal sorgere di questo. Se questo non esiste, quello non avviene; quello cessa dal cessare di questo.4 Nulla accade senza una causa. Se la causa viene sradicata, allora non ci saranno effetti. In tal modo, il processo del sorgere della sofferenza pu essere invertito: Se l'ignoranza sradicata e finisce del tutto, la reazione finisce; se la reazione finisce, la coscienza finisce; se la coscienza finisce, la mente e la materia finiscono; se la mente e la materia finiscono, i sei sensi finiscono; se i sei sensi finiscono, il contatto finisce; se il contatto finisce, la sensazione finisce; se la sensazione finisce, il desiderio e l'avversione finiscono; se il desiderio e l'avversione finiscono, l'attaccamento finisce; se l'attaccamento finisce, finisce il processo del divenire; se il processo del divenire finisce, la nascita finisce; se la nascita finisce, l'invecchiamento e la morte finiscono, insieme a dolore, lamenti, sofferenze mentali e fisiche e tribolazioni. Cos finisce l'intera massa della sofferenza.5 Se mettiamo fine all'ignoranza, allora non ci saranno reazioni cieche con il loro seguito di sofferenze di vario genere. E se non vi sar pi sofferenza, allora sperimenteremo la vera pace, la vera felicit. La ruota della sofferenza pu trasformarsi nella ruota della liberazione. Questo ci che Siddhattha Gotama ha fatto per conseguire l'illuminazione. Questo ci che ha insegnato a fare agli altri. Egli ha detto: Compiendo delle azioni negative vi contaminate. Non compiendo azioni negative vi purificate.6 Ognuno di noi responsabile delle reazioni che causano la nostra sofferenza. Accettando questa responsabilit, possiamo imparare ad eliminare la sofferenza. II flusso delle esistenze successive Con la Ruota del Sorgere Condizionato il Buddha ha spiegato il processo di rinascita o samsra. Nell'India dei suoi tempi questo concetto era comunemente accettato come un dato di fatto, mentre oggi, per molti, pu sembrare una dottrina estranea, forse insostenibile. Prima di accettarla o rifiutarla, dovremmo tuttavia comprendere di che cosa si tratta e di che cosa non si tratta. Samsra il ciclo delle esistenze ripetute, la successione delle vite passate e future. Le nostre azioni sono le forze che ci spingono di vita in vita. Ogni vita, di basso o alto grado, sar come sono state le nostre azioni, vili o nobili. Sotto questo aspetto il concetto non differisce in sostanza da quello di molte religioni che predicano un'esistenza futura in cui riceveremo

la ricompensa o il premio per le nostre azioni in questa vita. Il Buddha ha per compreso che anche nell'esistenza pi esaltante pu esservi sofferenza. Quindi non dobbiamo lottare per avere una rinascita fortunata, dal momento che nessuna rinascita completamente fortunata. Il nostro scopo, piuttosto, dovrebbe essere la liberazione da tutte le sofferenze. Quando ci liberiamo dal ciclo delle sofferenze, sperimentiamo una felicit pura pi grande di qualsiasi piacere del mondo. Il Buddha ha insegnato una via per sperimentare tale felicit proprio in questa vita. Samsra non l'idea popolare della trasmigrazione di un'anima o di un s che mantiene un'identit fissa attraverso ripetute reincarnazioni. Questo, ha detto il Buddtia, proprio ci che non accade, e ha ripetutamente affermato che non esiste un'identit immutabile che passa da una vita all'altra: Proprio come da una mucca proviene il latte, dal latte la cagliata, dalla cagliata il burro, dal burro fresco il burro chiarificato, dal burro chiarificato la scrematura grassa. Quando c' il latte, non si pensa che sia cagliata o burro fresco o burro chiarificato o scrematura. Analogamente, ogni volta va considerato reale solo lo stato di esistenza presente e non il passato n il futuro .7 Il Buddha non riteneva che un ego fisso si reincarnasse in esistenze successive e neppure che non ci fossero esistenze passate o future. Al contrario, egli ha compreso e insegnato che il processo del divenire continua da un'esistenza all'altra, per tutto il tempo in cui le nostre azioni gli danno impulso. Anche se non si crede che ci sia un'altra esistenza oltre la presente, la Ruota del Sorgere Condizionato ha ancora la sua importanza. Ogni momento in cui ignoriamo che le nostre reazioni sono cieche, creiamo della sofferenza che sperimentiamo qui-e-ora. Se eliminiamo l'ignoranza e smettiamo di reagire ciecamente, faremo esperienza della pace che ne deriva, qui-e-ora. Il paradiso e l'inferno esistono qui-e-ora, possono essere sperimentati in questa vita, in questo corpo. Il Buddha ha affermato: Anche se [qualcuno crede] che non ci sia un altro mondo, n una ricompensa futura per le buone azioni n una punizione per le cattive, gi in questa stessa vita pu vivere felicemente, mantenendosi libero dall'odio, dalla malevolenza e dallansia . Sia che crediamo o non crediamo in esistenze passate o future, dobbiamo tuttavia affrontare i problemi della vita presente, problemi causati proprio dalle nostre reazioni cieche. La cosa pi importante per noi di risolvere questi problemi ora, fare dei passi avanti per porre fine alla nostra sofferenza ponendo fine all'abitudine a reagire, e in tal modo sperimentare ora la felicit della liberazione. Domande e risposte
DOMANDA:

Ci possono essere bramosie e avversioni benefiche: per esempio combattere contro lingiustizia, bramare la libert, temere i malanni fisici?

bramosia non possono mai essere benefiche. Vi renderanno sempre tesi e infelici. Se agite avendo nella mente bramosia e avversione, sia pure spinti da uno scopo encomiabile, il mezzo usato per raggiungerlo non sano. Certo dovete agire per proteggervi dai pericoli. Potete farlo sopraffatti dalla paura, ma in questo modo sviluppate un complesso di paure che alla lunga saranno dannose. Oppure, avendo odio nella mente, potete avere successo combattendo contro l'ingiustizia, ma quell'odio diverr un complesso mentale dannoso. Dovete combattere contro l'ingiustizia, dovete proteggervi dai pericoli, ma potete farlo con una mente equilibrata, senza tensioni. E potete lavorare in modo equilibrato per raggiungere qualcosa di buono, per amore degli altri. Una mente equilibrata sempre utile e dar i risultati migliori. Cosa c' d sbagliato nel desiderare cose materiali per assicurarsi una vita pi confortevole? Se un'esigenza reale, non c' nulla di sbagliato purch lo facciate con il dovuto distacco. Per esempio, se avete sete e desiderate dell'acqua, non c' nulla di dannoso in questo. Avete bisogno di acqua e quindi fate in modo di ottenerla e placare la vostra sete. Ma se questo diventa un'ossessione, non potr aiutarvi: anzi, vi fa del male. Dovete lavorare per ottenere ci di cui avete necessit. Se non riuscite a ottenere qualcosa, ebbene dovete sorridere e tentare ancora, in un modo diverso. Se ci riuscite, rallegratevi di ci che avete ottenuto, ma senza attaccamento. Che cosa potete dire circa la pianificazione del futuro? Si potrebbe chiamare attaccamento? Ancora una volta, dipende da quanto siete attaccati ai vostri piani. Ognuno deve provvedere al suo futuro. Se i vostri progetti non hanno successo e iniziate a lamentarvi: questa la prova del fatto che contavate troppo su di essi. Ma se non avete successo e riuscite ugualmente a sorridere pensando: "Ho fatto del mio meglio. In che cosa ho fallito? Prover ancora!", allora state lavorando in modo distaccato e restate felici . Fermare la Ruota del Sorgere Condizionato sembra una specie di suicidio, di auto-annullamento. Perch dovremmo volerlo? Cercare l'annientamento della vita certamente dannoso, cos come attaccarsi alla vita. Ma, al contrario, si impara a permettere alla natura di fare il suo lavoro, senza desiderare ardentemente nulla, neanche la liberazione.

SATYA NARAYAN GOENKA: Avversione e

Ma avete detto che non appena la catena dei sankhra ha termine, allora anche la rinascita si ferma. S, ma questa una cosa ben lontana. Interessatevi ora della vita presente! Non preoccupatevi per il futuro. Rendete buono il presente, il futuro sar automaticamente buono. Certamente, allorch vengono eliminati tutti i sankhra che sono responsabili di una nuova nascita, il processo di vita e morte si ferma. Non forse questo un annullamento, un'estinzione? L'annullamento dell'illusione dell'Io, l'estinzione della sofferenza. Questo il significato della parola nibbna: l'estinzione del bruciare. Bruciamo costantemente nella bramosia, nell'avversione, nell'ignoranza. Quando il bruciare si ferma, l'infelicit si ferma, e ci che rimane solo positivo. Ma descriverlo in parole non possibile, perch qualcosa che va al di l del campo sensoriale. Dovete sperimentarlo in questa vita, solo cos saprete di che cosa si tratta. Allora la paura dell'annullamento scomparir. Cosa accade poi alla coscienza? Perch preoccuparsene? Non aiuta nessuno speculare su qualcosa che pu solo essere sperimentato, non descritto. Questo non fa che distrarre dallo scopo reale, che lavorare per arrivarci. Quando raggiungerete quel livello, ne gioirete e tutte le domande spariranno. Non avrete altre domande! Lavorate per raggiungere quello stadio. Come pu funzionare il mondo senza attaccamento? Se i genitori sono distaccati, allora non si prenderanno certamente cura dei figli. Come possibile amare ed essere coinvolti nella vita senza attaccamento? Distacco non significa indifferenza; corretto chiamarlo santa indifferenza. Come genitori, dovete assumere la responsabilit di prendervi cura dei vostri figli con tutto l'amore possibile, ma senza attaccamento. Dovete fare il vostro dovere per amore. Supponete di aver cura di un malato e che, nonostante le vostre attenzioni, questi non si ristabilisca. Non iniziate a lamentarvi, sarebbe inutile. Con mente equilibrata, cercate di trovare un altro modo di aiutarlo. Questa la santa indifferenza: n inazione n reazione, ma un'azione concreta e positiva con una mente equilibrata. Molto difficile. S, ma ci che bisogna imparare.

CAPITOLO QUINTO LA PRATICA DELLA CONDOTTA MORALE II nostro compito di eliminare la sofferenza sradicandone le cause: ignoranza, bramosia e avversione. Per conseguire questo scopo, il Buddha ha scoperto, seguito e insegnato una via pratica. Ha chiamato questa via il Nobile Ottuplice Sentiero. Una volta, alla richiesta di spiegare la via con parole semplici, il Buddha ha detto: Astenersi dalle azioni malvagie, compiere solo azioni buone, purificare la mente: questo l'insegnamento delle persone illuminate. E' un'esposizione molto chiara, che pu essere accettata da tutti. Tutti sono d'accordo sul fatto che si dovrebbero evitare azioni dannose e compiere solo quelle benefiche. Ma come definire ci che benefico e ci che dannoso, ci che buono e ci che nocivo? Quando cerchiamo di far ci ci basiamo sulle nostre opinioni, sulle convinzioni tradizionali, sulle nostre preferenze e i nostri pregiudizi e di conseguenza otteniamo definizioni parziali e settarie che sono accettabili per qualcuno ma inaccettabili per altri. In luogo di tali ristrette interpretazioni il Buddha ha offerto una definizione universale di buono e dannoso, di piet e colpa. Ogni azione che reca danno agli altri, che disturba la loro pace e armonia, un'azione colpevole, un'azione dannosa. Ogni azione che aiuta gli altri, che contribuisce alla loro pace e armonia, un'azione pia, un'azione valida. Inoltre, la mente viene veramente purificata non attraverso cerimonie religiose o esercizi intellettuali, ma sperimentando direttamente la propria realt e lavorando sistematicamente per rimuovere i condizionamenti che danno origine alla sofferenza. Il Nobile Ottuplice Sentiero pu essere diviso in tre livelli di educazione:, sla samdhi e pa. Sla la pratica morale, l'astensione da tutte le azioni dannose sia fisiche che verbali. Samdhi la pratica della concentrazione, che sviluppa l'abilit di controllare e dirigere coscientemente i propri processi mentali. Pa la saggezza, lo sviluppo di una osservazione e comprensione profonda, purificatrice, della propria natura. I! valore della pratica morale Chiunque desideri praticare Dhamma deve iniziare con la pratica di Sla. Questo il primo passo, senza il quale non si pu avanzare. Dobbiamo astenerci da tutte le azioni, parole e gesti che recano danno agli altri. una cosa facile da capire, in quanto la societ richiede un simile comportamento per evitare la propria disgregazione. Ma, in effetti, ci asteniamo da tali azioni non solo perch danneggiano gli altri, ma anche perch danneggiano noi stessi. impossibile commettere un'azione cattiva insultare, uccidere, rubare o violentare senza che ci generi grande agitazione mentale, bramosia, avversione. Queste manifestazioni momentanee di bramosia e avversione sono causa di infelicit ora, e pi ancora in futuro. Il Buddha ha detto: Bruciare ora, bruciare in futuro, chi fa del male soffre doppiamente. Essere felice ora, essere felice in futuro, la persona virtuosa gioisce doppiamente.

Non dobbiamo aspettare fin dopo la morte per sperimentare il paradiso e l'inferno; possiamo sperimentarli in questa vita, dentro di noi. Quando commettiamo un'azione negativa sperimentiamo il fuoco dell'inferno della bramosia e dell'avversione. Quando compiamo un'azione positiva sperimentiamo il paradiso della pace interiore. Quindi non solo per il bene degli altri che ci asteniamo da parole e gesti nocivi, ma a nostro stesso beneficio, per evitare di danneggiare noi stessi. C' anche un'altra ragione per intraprendere la pratica di Sla. E l'aspirazione a esaminarci, a vedere nel profondo della nostra realt. Fare questo richiede una mente molto calma e tranquilla. impossibile vedere nelle profondit di uno specchio d'acqua quando agitato. L'introspezione richiede una mente calma, libera da qualsiasi turbamento. Ogni volta che si commette un'azione negativa, la mente pervasa dall'agitazione. Quando ci si astiene da tutte le azioni negative, sia fisiche che verbali, solo allora la mente ha la possibilit di raggiungere uno stato di pace tale per cui pu avvenire l'introspezione. C' ancora un'altra ragione per cui Sla essenziale: chi pratica Dhamma sta lavorando verso lo scopo ultimo della liberazione da tutte le sofferenze. E mentre assorbito in questo compito non pu essere coinvolto in azioni che rinforzerebbero proprio le abitudini mentali che cerca di sradicare. Ogni azione che danneggia gli altri necessariamente causata e accompagnata da bramosia, avversione e ignoranza. Commettere tali azioni significa retrocedere di due passi per ogni passo che si fa in avanti sul sentiero, cio impedire ogni progresso verso la meta. La pratica di Sla, inoltre, non solo necessaria per il bene della societ nel suo complesso, ma per il bene di ogni suo membro; e non solo per il benessere materiale di una persona, ma anche per consentirle di progredire lungo il sentiero di Dhamma. Tre parti del Nobile Ottuplice Sentiero rientrano nell'ammaestramento di Sla: giusta parola, giusta azione, giusti mezzi di sussistenza. Giusta parola Bisogna parlare in modo puro e benefico. La purezza si raggiunge eliminando l'impurit, e quindi in primo luogo deve esserci chiaro che cosa significhi linguaggio impuro. In esso sono compresi atti quali: dire bugie, cio dire pi o meno la verit, riferire racconti che possono seminare zizzania tra amici, calunniare e diffamare, pronunciare parole dure che disturbano gli altri e che non hanno buoni effetti, darsi a pettegolezzi inutili e chiacchiere senza senso, che sono solo tempo perso sia per chi le fa che per chi le ascolta. Astenersi da questo linguaggio impuro porta automaticamente a un giusto parlare. Non si tratta per di un concetto esclusivamente negativo. Chi pratica la giusta parola, ha spiegato il Buddha: colui che dice la verit ed fermo nella sua sincerit, degno di fede, sicuro, leale con gli altri. Riconcilia i litiganti e incoraggia l'unit. Ama l'armonia, ricerca l'armonia, gioisce dell'armonia e crea armonia con le sue parole. Il suo dire garbato, piacevole per l'orecchio, gentile, scalda il cuore, cortese, gradevole a molti. Egli parla al momento opportuno, secondo i fatti, secondo ci che utile, secondo il Dhamma e il Codice di condotta. Le sue parole meritano di essere ricordate, sono tempestive, ben ragionate, ben scelte e costruttive. Giusta azione Anche l'azione deve essere pura. Come gi a proposito della parola, dobbiamo comprendere in che cosa consista l'azione impura, in modo da potercene astenere. Nel comportamento impuro sono compresi atti quali: uccidere una creatura vivente, rubare, condurre una vita sessuale

disdicevole, per esempio commettere adulterio o violenza carnale, o intossicarsi fino a non essere pi in s e non sapere quello che si dice o si fa. Evitare queste cinque azioni impure porta automaticamente a un giusto comportamento. Anche questo non un concetto esclusivamente negativo. Descrivendo chi pratica la corretta azione fisica, il Buddha ha detto: Lasciando da parte il bastone e la spada, egli attento a non recar danno a nessuno, pieno di gentilezza, alla ricerca del bene per tutte le creature viventi. Libero da ogni ambiguit, la sua stessa condotta quella di un essere puro . I precetti morali Per la gente comune, coinvolta nella vita sociale, la via per seguire la giusta parola e la giusta azione quella di osservare i Cinque Precetti, che sono: 1. astenersi dall'uccidere qualsiasi creatura vivente; 2. astenersi dal rubare; 3. astenersi da una condotta sessuale biasimevole; 4. astenersi dal dire il falso; 5. astenersi da sostanze intossicanti. Questi Cinque Precetti sono il minimo essenziale necessario per tenere una condotta moralmente accettabile e devono essere seguiti da chiunque desideri praticare il Dhamma. A volte, nel corso della vita, pu presentarsi la possibilit di accantonare temporaneamente forse per pochi giorni, forse solo per un giorno i problemi quotidiani per purificare la mente e lavorare per la liberazione. il tempo da dedicare a una seria pratica di Dhamma, e di conseguenza la propria condotta deve essere ancor pi attenta che nella vita ordinaria. importante inoltre evitare azioni che possano distrarre dall'opera di autopurificazione o interferire con essa. in questo periodo che si osservano gli otto precetti. Questi comprendono i cinque precetti di base, con una modifica: invece di astenersi solo da una condotta sessuale biasimevole, ci si astiene da ogni attivit sessuale. Inoltre ci si impegna a non mangiare fuori del tempo previsto (ovvero dopo mezzogiorno), ad astenersi da ogni piacere sensuale e ornamento fisico, nonch dall'uso di letti troppo confortevoli. La richiesta di astinenza sessuale e i precetti addizionali favoriscono la calma e l'attenzione necessarie per il lavoro interiore, e aiutano a liberare la mente da tutte le interferenze esterne. Gli Otto Precetti devono essere seguiti solo nel periodo dedicato alla pratica intensiva di Dhamma. Quando il periodo concluso, come guida per la condotta morale i laici possono fare di nuovo capo ai Cinque Precetti. Infine ci sono i Dieci Precetti per chi ha scelto di vivere senza casa, come gli eremiti e i monaci mendicanti. Questi Dieci Precetti sono comprensivi dei primi otto, con il settimo diviso in due parti pi un ulteriore precetto: astenersi dall'accettare denaro. Gli eremiti devono sostentarsi solamente con la carit ricevuta per essere liberi di dedicarsi completamente al lavoro di purificazione della mente a beneficio proprio e di tutti. I precetti, siano essi cinque, otto o dieci, non sono delle vuote formule dettate dalla tradizione: sono, letteralmente, passi per proseguire nel cammino , dei mezzi molto pratici per ottenere la certezza che le proprie parole e le proprie azioni non recano danno n agli altri n a se stessi. Giusti mezzi di sussistenza Ogni persona deve sostentarsi in modo appropriato. Ci sono due criteri per stabilire un giusto modo di guadagnarsi la vita. Innanzitutto, non dovrebbe essere necessario trasgredire i Cinque Precetti nel proprio lavoro, perch chi si comporta in questo modo, ovviamente, danneggia gli altri. Inoltre, non si dovrebbe far nulla che incoraggi gli altri a trasgredire i precetti, dal momento che anche questo causa danno. I nostri mezzi di sussistenza non dovrebbero comportare danni agli altri esseri, n direttamente n indirettamente.

Per cui ogni mezzo di sussistenza che richieda l'uccisione sia di esseri umani che di animali, chiaramente un mezzo di sussistenza non giusto. Ma anche se l'uccisione viene compiuta da altri e si ha a che fare semplicemente con le parti dell'animale macellato la pelle, la carne, le ossa e cos via anche questo non un giusto mezzo di sussistenza, perch si dipendenti dalle cattive azioni altrui. Vendere liquori o droghe pu essere molto remunerativo, ma anche se non li si consuma personalmente, l'atto di vendere incoraggia gli altri a fare uso di sostanze intossicanti e quindi a danneggiarsi. Gestire una casa da gioco consente forti guadagni, ma tutti quelli che la frequentano si procurano un danno. Vendere veleni o armamenti armi, munizioni, bombe, missili un buon affare, ma nuoce alla pace e all'armonia dei popoli. Nessuno di questi un mezzo di sussistenza corretto. Anche se un certo tipo di lavoro pu in effetti non recare danno ad alcuno, se per compiuto con l'intenzione di danneggiare gli altri non un giusto mezzo di sussistenza. Il medico che spera in un'epidemia o il commerciante che spera in una carestia non praticano un giusto modo di sussistenza. Ogni essere umano membro della societ. Rispondiamo ai nostri obblighi nei confronti della societ con il lavoro che facciamo, servendo il nostro prossimo in modi diversi. In cambio riceviamo dei mezzi di sussistenza. Anche un monaco, un eremita ha un preciso lavoro per mezzo del quale si guadagna le elemosine che riceve: il lavoro di purificare la sua mente per il bene e il beneficio di tutti. Se inizia a sfruttare gli altri, ingannando la gente con riti magici o con false affermazioni di grande crescita spirituale, allora egli non pratica un giusto modo di sussistenza. Qualsiasi remunerazione ci viene data in cambio del nostro lavoro, deve essere utilizzata per sostentarci e sostentare chi dipende da noi. Se c' un'eccedenza, almeno una parte dovrebbe essere restituita alla societ per venire utilizzata a favore di altri. Se c' l'intenzione di essere utili alla societ e agli altri, allora il nostro lavoro un giusto mezzo di sussistenza. La pratica di sla in un corso di meditazione Vipassasia La giusta parola, la giusta azione e i giusti mezzi di sussistenza dovrebbero essere messi in pratica perch hanno un senso sia per noi che per gli altri. Un corso di meditazione Vipassana offre la possibilit di applicare tutti questi aspetti di sla . E un periodo destinato alla pratica intensiva di Dhamma e quindi tutti i partecipanti si attengono agli Otto Precetti. Tuttavia, chi frequenta il corso per la prima volta e chi ha dei problemi di salute godono di un trattamento speciale, in quanto possono consumare un pasto leggero la sera. Per questa ragione tali persone seguono formalmente solo i Cinque Precetti, anche se sotto tutti gli altri aspetti osservano effettivamente gli Otto Precetti. Oltre ai precetti, tutti i partecipanti devono osservare il silenzio fino all'ultimo giorno del corso. Possono parlare con l'insegnante o con gli organizzatori, ma non con gli altri meditatori. In questo modo si limitano al minimo le distrazioni e le persone possono vivere e lavorare in spazi ristretti senza disturbarsi a vicenda. In questa atmosfera calma, tranquilla e pacifica, possibile dedicarsi al delicato compito dell'introspezione. In cambio della loro attivit di introspezione, i meditatori ricevono cibo e alloggio, il cui costo stato sostenuto da altri. In tal modo, durante il corso, essi vivono pi o meno come veri monaci, contando sulla carit di altri. Compiendo il proprio lavoro nel modo migliore, per il bene proprio e degli altri, i meditatori che partecipano a un corso di Vipassana praticano un modo corretto di sussistenza. La pratica di sla parte integrante del sentiero di Dhamma. Senza di essa non ci sarebbero progressi sul sentiero, perch la mente rimarrebbe troppo agitata per indagare la realt interiore. Ci sono quelli che insegnano che lo sviluppo spirituale possibile senza sla. Qualsiasi cosa dicano di fare, tali persone non seguono l'insegnamento del Buddha. Senza praticare sla possibile sperimentare vari stati di estasi, ma un errore considerare questi ultimi

come realizzazioni spirituali. Certamente senza sla non si pu mai liberare la mente dalla sofferenza e sperimentare la verit ultima. Domande e risposte
DOMANDA:

Compiere un'azione giusta una forma di attaccamento?

SATYA NARAYAN GOENKA: No, semplicemente fare del

proprio meglio, comprendendo che i risultati sono al di l del nostro controllo. Fate il vostro lavoro e lasciate i risultati alla natura, a Dhamma: Ci che deve accadere, accadr .

Allora dobbiamo essere disposti a commettere degli errori?

Se commettete un errore, accettatelo e cercate di non ripeterlo la prossima volta. Se vi capita di sbagliare ancora, sorridete di nuovo e cercate una via diversa. Se potete sorridere di fronte al fallimento, non c' attaccamento. Ma se il fallimento vi deprime e il successo vi esalta, c' senz'altro attaccamento.
Allora l'azione corretta solo lo sforzo d fare, non il risultato? Esatto. Il risultato sar automaticamente buono se la nostra azione buona. Dhamma se ne prender cura. Non abbiamo il potere di scegliere il risultato, ma possiamo scegliere la nostra azione. Fate solo il meglio che potete. E un'azione sbagliata fare del male a un altro accidentalmente? No. Ci deve essere l'intenzione di fare il male ad un essere particolare e si deve riuscire a provocare un danno; solo allora un'azione negativa completa. sla non dovrebbe essere portato all'estremo, il che non n pratico n benefico. D'altra parte, ugualmente pericoloso essere cos sventati nelle azioni da far male agli altri e poi scusarsi per il fatto che non se ne aveva l'intenzione. Dhamma ci insegna a essere consapevoli. Qual la differenza tra comportamento sessuale corretto e comportamento sbagliato? E una questione di volont? No. Il sesso ha un suo posto nella vita di un laico. Non deve essere forzatamente soppresso, perch l'astinenza forzata produce tensioni che a loro volta creano altri problemi, altre difficolt. Tuttavia, chi da libero sfogo alle urgenze sessuali e si permette di avere relazioni sessuali con chiunque, ogniqualvolta nasce una passione, non potr mai liberare la sua mente dalle passioni. Evitando questi due estremi ugualmente pericolosi, Dhamma offre una via di mezzo, una sana espressione della sessualit che permette lo sviluppo spirituale, e cio una relazione sessuale tra un uomo e una donna che si sono impegnati l'uno con l'altro. E se entrambi i partner sono meditatori di Vipassana, quando la passione sorge, entrambi la osservano. Questo non n repressione n licenza. Per mezzo dell'osservazione possibile liberarsi facilmente dalla passione. A volte una coppia avr ancora dei rapporti sessuali, ma gradualmente raggiunger lo stadio in cui il sesso non ha pi alcun significato. Questo lo stadio dell'astinenza reale, naturale, in cui la mente non neppure sfiorata dall'idea della passione. Questa astinenza da una gioia che va oltre ogni soddisfazione sessuale. Ci si sente sempre contenti, armoniosi. Si deve imparare a sperimentare questa autentica felicit.

In Occidente molti pensano che i rapporti sessuali tra due adulti consenzienti sono leciti. Questa opinione molto lontana da Dhamma. Chi ha rapporti sessuali con una persona, e poi con un'altra e poi con un'altra ancora, moltiplica la sua passione e la sua infelicit. Bisogna essere impegnati con una sola persona o scegliere il celibato. Cosa pensate dell'uso di droghe per sperimentare altri stati di coscienza e di realt diverse? Alcuni studenti mi hanno riferito che con l'uso di droghe psichedeliche sono passati attraverso esperienze simili a quelle che hanno incontrato con la meditazione. Sia che questo sia o non sia vero, avere un'esperienza indotta da una droga una forma di dipendenza da un agente esterno. Dhamma, invece, vi insegna a diventare padroni di voi stessi cos da poter sperimentare la realt a vostro piacimento, ogni volta che lo desiderate. Un'altra differenza molto importante che l'uso di droghe fa perdere a molti l'equilibrio mentale e li danneggia, mentre l'esperienza della verit fatta con la pratica di Dhamma rende i meditatori pi equilibrati, senza arrecare danno a se stessi o ad altri. // quinto precetto significa astenersi da sostanze intossicanti o astenersi dal diventare intossicato? Dopo tutto, bere con moderazione, senza ubriacarsi, non mi sembra particolarmente dannoso. Oppure affermate che bere anche un solo bicchiere di alcol significa contravvenire a sla? Bevendo anche solo una piccola quantit, alla lunga si sviluppa un desiderio per l'alcol. La gente non se ne accorge, ma fa il primo passo verso la dipendenza, che certamente dannosa per tutti. Ogni dipendenza inizia da un solo bicchiere. Perch fare il primo passo verso la sofferenza? Chi pratica seriamente la meditazione e un giorno beve un bicchiere di vino senza pensarci o per convenienza sociale, quel giorno scoprir che la sua meditazione debole. Dhamma non va d'accordo con l'uso di sostanze intossicanti. Chi desidera veramente svilupparsi in Dhamma, deve rimanere libero da tutte le sostanze intossicanti. Questa l'esperienza di migliaia di meditatori. I due precetti concernenti il comportamento sessuale scorretto e l'uso di sostanze intossicanti devono essere ben compresi dagli occidentali. La gente spesso dice: Se ti fa sentir bene, deve essere giusto . Perch non vede la realt. Quando fate un'azione con avversione, automaticamente diventate consapevoli del turbamento mentale che questa provoca. Quando per fate un'azione spinti dalla bramosia, essa sembra piacevole al livello superficiale della mente, ma c' agitazione a un livello pi profondo. Vi sembra di star bene solo per ignoranza. Quando comprendete che con tali azioni vi fate del male, naturalmente non le fate pi. Mangiare carne contravvenire a sla? No, a meno che chi compie quest'atto non abbia lui stesso ucciso l'animale. Se una persona trova della carne preparata per lei, e la gradisce come qualsiasi altro cibo, non c' trasgressione. Ma, certamente, mangiando carne, si incoraggia indirettamente qualcun altro a trasgredire il precetto uccidendo. Mangiare carne, poi, dannoso anche a un livello pi sottile. Ad ogni istante gli animali generano bramosia e avversione, sono incapaci di osservarsi e di purificarsi la mente. Ogni fibra del loro corpo permeata di bramosia e avversione. Questo il messaggio che le persone ricevono allorch non mangiano dei cibi vegetariani. Un meditatore cerca di sradicare bramosia e avversione, e quindi trover utile evitare tali cibi.

questo il motivo per cui durante un corso la dieta vegetariana? S, la cosa migliore per la meditazione Vipassana. Raccomandate una dieta vegetariana anche nella vita quotidiana? utile anche questo. Per un meditatore accettabile arricchirsi? Se praticate Dhamma, siete felici anche se non vi arricchite. Ma se vi arricchite e non praticate Dhamma restate infelici. Dhamma pi importante. Chi vive nel mondo,deve sostentarsi, deve guadagnarsi da vivere onestamente, con il duro lavoro, e non c' niente di sbagliato in questo: ma fatelo con Dhamma. Se capita che il proprio lavoro abbia un effetto negativo, se ci che si fa pu essere usato in modo negativo, questo un mezzo improprio di sussistenza? Dipende dalle intenzioni. Se a una persona interessa solo accumulare denaro, e quindi pensa: Non mi importa che gli altri siano danneggiati, finch faccio soldi, questo un modo sbagliato di guadagnarsi da vivere. Ma se ha l'intenzione di essere utile alla societ e, nonostante questo, qualcuno danneggiato, non pu essere biasimata per questo. La societ per cui lavoro produce uno strumento che fra le altre cose usato per ottenere dati sulle esplosioni atomiche. Mi hanno chiesto di occuparmi di questo prodotto e in qualche modo non mi sembra giusto. Se una certa cosa verr utilizzata solo per fare del male ad altri, certamente non dovete essere coinvolti. Ma se pu essere usata sia per scopi positivi che negativi, non siete responsabili dell'uso che altri possono farne. Fate il vostro lavoro con l'intenzione che gli altri lo utilizzino esclusivamente a fini leciti. Non c' nulla d sbagliato in questo. Che ne pensate del pacifismo? Se per pacifismo si intende l'inazione di fronte all'aggressione, certamente sbagliato. Dhamma insegna ad agire E cosa pensate dell'uso della resistenza passiva, insegnato dal Mahatma Gandhi e da Martin Luther King? Dipende dalla situazione. Se un aggressore non capisce altro linguaggio che quello della forza, si deve usare la forza fisica, mantenendo sempre l'equanimit. Altrimenti si deve usare la resistenza passiva: non per paura, ma come un atto di coraggio morale. Questa la via di Dhamma e questo ci che Gandhi aveva insegnato a fare alla gente. Fronteggiare a mani vuote un'aggressione armata richiede coraggio; per farlo si deve essere preparati a morire. La morte arriver certamente prima o poi. Si pu morire con paura o con coraggio. Gandhi era solito dire ai suoi seguaci che dovevano affrontare un'opposizione violenta: Che le ferite siano sul vostro petto e non sulle vostre spalle. Egli ha raggiunto il suo scopo, perch Dhamma era in lui.

Voi stesso avete detto che la gente pu avere meravigliose esperienze durante la meditazione pur senza osservare i precetti. Non le sembra dogmatico e categorico sottolineare cos fortemente la condotta morale? Ho visto, sulla base dell'esperienza di molti studenti, che chi non da importanza a sla non pu fare progressi sul sentiero. Queste persone possono frequentare i corsi per anni e avere meravigliose esperienze di meditazione, ma senza che nella loro vita ci siano cambiamenti. Restano agitati e infelici perch stanno solo giocando con Vipassana, cos come hanno giocato con altri metodi. Persone cos sono dei veri perdenti. Quelli che vogliono davvero servirsi di Dhamma per cambiare la propria vita in meglio, debbono praticare sla il pi attentamente possibile.

CAPITOLO SESTO LA PRATICA DELLA CONCENTRAZIONE Con la pratica di sla tentiamo di controllare le nostre parole e le nostre azioni fisiche. Tuttavia, le cause della sofferenza si trovano nelle nostre azioni mentali. Misurare soltanto le nostre parole e azioni inutile se la mente continua a ribollire fra bramosie, avversioni e azioni mentali dannose. Sdoppiati in questo modo, non potremo mai essere felici. Prima o poi bramosia e avversione proromperanno e ci spingeranno a trasgredire sla, danneggiando noi stessi e gli altri. Il nostro intelletto ci avverte che sbagliato commettere azioni dannose: dopo tutto, per migliaia di anni le religioni hanno predicato limportanza della morale. Ma quando sopraggiunge una tentazione, essa sovrasta la mente e allora si trasgredisce sla. Un alcolizzato pu essere perfettamente conscio che non dovrebbe bere perch lalcol gli fa male, ma, quando il desiderio nasce, egli cerca lalcol e si intossica. Non pu fermarsi, perch non ha alcun controllo sulla sua mente. Ma quando si impara a non commettere unazione mentale dannosa, diviene facile trattenersi da parole e azioni dannose. Poich il problema ha origine nella mente, dobbiamo confrontarci con esso a livello mentale; e per farlo dobbiamo intraprendere la pratica di bhvan, che significa letteralmente sviluppo mentale e che, nel linguaggio comune, si designa con il termine meditazione. Sin dai tempi del Buddha, il significato della parola bhvan era diventato vago in quanto la pratica era caduta in disuso.In tempi recenti stata utilizzata in riferimento a qualsia-si tipo di esercizio mentale o di elevazione spirituale, persino ad attivit come leggere, parlare, ascoltare o riflettere su Dhamma. Il termine meditazione , come viene per lo pi tradotto il sostantivo pli bhvan, viene usato anche in riferimento a svariate attivit, dal rilassamento mentale ai sogni a occhi aperti e alle libere associazioni fino allautoipnosi. Tutto questo ben lontano da ci che il Buddha intendeva significare con bhvan. Con questo termine egli si riferiva a specifici esercizi mentali, a tecniche precise per concentrare e purificare la mente. Bhvan comprende due importanti parti o sezioni: la concentrazione (samdhi) e la saggezza (panna). La pratica della concentrazione anche definita sviluppo della tranquillit (samatha-bhvan) e quella della saggezza sviluppo della comprensione profonda (vipassan-bhvana). La pratica di bhvan inizia con la concentrazione, che la seconda suddivisione del Nobile Ottuplice Sentiero. lazione benefica di imparare a controllare i processi mentali, per padroneggiare la propria mente. Tre parti del sentiero si collocano sotto questo tipo di pratica: il giusto sforzo, la giusta consapevolezza e la giusta concentrazione. Il giusto sforzo E il primo passo della pratica di bhvan. La mente viene facilmente sopraffatta dallignoranza, facilmente influenzata dalla bramosia e dallavversione. Sta a noi rinforzarla, cos che diventi salda e stabile, uno strumento utile per esaminare la nostra natura ai livelli pi profondi, per scoprire e quindi rimuovere i nostri condizionamenti. Il medico che desidera diagnosticare la malattia di un suo paziente, prelever un campione di sangue e lo esaminer al microscopio: e per far questo innanzitutto dovr metterlo a fuoco e fissarlo in questa posizione. Solo allora sar possibile osservare il campione, scoprire la causa della malattia e determinare la cura appropriata per eliminarla. Allo stesso modo noi dobbiamo imparare a mettere a fuoco la mente, fissarla e mantenerla su un singolo oggetto di attenzione. In tal modo la trasformiamo in uno strumento atto ad esaminare la nostra realt pi sottile e profonda. Il Buddha ha indicato varie tecniche per concentrare la mente, adattandole alle caratteristiche di ciascuna persona che andava da lui per ricevere linsegnamento. La tecnica pi appropriata per esplorare la realt interiore, la tecnica che il Buddha stesso pratic, quella dellnpna-sati, la consapevolezza della respirazione . La respirazione un oggetto su cui concentrare lattenzione alla portata di tutti, perch tutti respiriamo dal momento in cui veniamo alla luce fino al momento in cui moriremo. un oggetto di meditazione universalmente accessibile e universalmente accettabile. Per iniziare la pratica di bhvan, i meditatori si siedono, assumono una posizione eretta e confortevole e chiudono gli occhi. Dovrebbero stare in una stanza tranquilla, senza possibilit di distrazioni. Volgendosi dal mondo esteriore a quello intcriore, essi constatano che lattivit pi preminente il loro respiro; per cui rivolgono lattenzione a questo oggetto: il respiro che entra ed esce dalle loro narici. Non si tratta di un esercizio di respirazione, ma di un esercizio di consapevolezza. Lo sforzo non quello di controllare il respiro, ma di prendere coscienza di come il respiro stesso si manifesta: se lungo o corto, pesante o leggero, forte o delicato.

Si fissa lattenzione sul respiro il pi a lungo possibile, senza alcuna distrazione che rompa la continuit della consapevolezza. Tutti i meditatori si accorgono subito di quanto sia difficile. Se ci sforziamo di concentrarci sulla respirazione, iniziamo a lamentare dei dolori alle gambe. Se cerchiamo di eliminare tutti i pensieri che ci distraggono, ecco che ci si presentano alla niente migliaia di cose: ricordi, progetti, speranze, timori. Una di queste ci cattura l'attenzione e dopo un po' ci rendiamo conto che abbiamo completamente dimenticato il respiro. Iniziamo di nuovo, con rinnovata determinazione, e di nuovo, poco dopo, ci rendiamo conto che la mente sgusciata via a nostra insaputa. Chi che controlla? Quando ci si dedica a questo esercizio, diviene subito chiaro che di fatto la mente al di fuori del nostro controllo. Come un bambino viziato che prende un giocattolo, si annoia e ne prende un altro, e poi un altro ancora, la mente corre da un pensiero, da un oggetto di attenzione a un altro, fuggendo dalla realt. Questa un'abitudine radicata della nostra mente, il modo in cui si sempre comportata durante la nostra vita. Ma una volta che iniziamo a indagare la nostra vera natura, questa distrazione deve cessare. Dobbiamo cambiare gli schemi mentali abituali e imparare a rimanere nella realt. Cominciamo facendo in modo di fissare l'attenzione sul respiro. Quando notiamo che essa sta divagando, con calma e pazienza riportiamola di nuovo indietro. Se non ci riusciamo, riproviamo una seconda volta e magari una terza. Sorridendo, senza tensione, senza scoraggiarci, continuiamo a ripetere l'esercizio. Dopo tutto, le abitudini di una vita non si cambiano in pochi minuti. Il compito richiede una pratica continua e ripetuta, molta calma e pazienza. Ecco come sviluppare la consapevolezza della realt. Questo il giusto modo di compiere degli sforzi. Il Buddha ha descritto quattro tipi di giusto sforzo: prevenire l'insorgere di stati d'animo malvagi e nocivi; abbandonarli qualora dovessero sorgere; generare stati d'animo benefici che ancora non ci sono; mantenerli senza interruzione, sviluppandoli fino al la piena maturit e perfezione. praticando la consapevolezza del respiro, si praticano contemporaneamente tutti e quattro i tipi di sforzo sopraelencati. Sedendoci tranquilli e fissando l'attenzione sul respiro senza che intervengano altri pensieri, inneschiamo e manteniamo un salutare stato di autoconsapevolezza. Ci sforziamo di non cadere in distrazioni o in assenze, di non perdere di vista la realt. Se sorge un pensiero, non lo seguiamo ma riportiamo di nuovo la nostra attenzione sul respiro. In tal modo, sviluppiamo la capacit della mente di rimanere concentrata su un determinato oggetto di attenzione e di resistere alle distrazioni: due qualit essenziali per la concentrazione.

La giusta consapevolezza Osservare la respirazione anche un mezzo per praticare la giusta consapevolezza. La nostra sofferenza discende dall'ignoranza. Reagiamo perch non conosciamo la nostra realt. La mente trascorre la maggior parte del tempo persa in fantasie e illusioni, rivivendo esperienze piacevoli o spiacevoli e anticipando il futuro con impazienza o con paura. Mentre siamo persi in tali bramosie o avversioni, non siamo consapevoli di ci che sta avvenendo in questo istante, di ci che stiamo facendo ora. E tuttavia, per ciascuno di noi, questo istante, qui-e-ora, proprio il pi importante. Non possiamo vivere nel passato, perch se ne andato. Non possiamo vivere nel futuro, perch sempre al di l della nostra portata. Possiamo vivere solo nel presente. Se siamo inconsapevoli delle nostre azioni presenti, siamo condannati a ripetere gli errori del passato e non potremo mai riuscire a realizzare i nostri sogni nel futuro. Ma se siamo in grado di sviluppare la capacit di essere consapevoli del momento presente, possiamo servirci del passato come di una guida per regolare le nostre azioni future, cos da poter conseguire il nostro scopo. Dhamma il sentiero del qui-e-ora. Pertanto dobbiamo sviluppare la nostra capacit di essere consapevoli del momento presente. Abbiamo bisogno di un metodo per concentrare l'attenzione sulla nostra realt del momento, e questo metodo la tecnica di npna-sati. La sua pratica sviluppa la consapevolezza di s qui-e-ora: in questo momento inspirando, in questo momento espirando. Praticando la consapevolezza del respiro, diventiamo consapevoli del momento presente. Un'altra ragione per sviluppare la consapevolezza del respiro il desiderio di sperimentare la realt ultima. Concentrarsi sul respiro pu aiutarci a esplorare qualsiasi cosa di noi che ci ancora sconosciuta, a portare alla coscienza tutto ci che inconscio.

Tale concentrazione agisce da ponte fra la parte conscia e quella inconscia della mente, perch il respiro funziona sia consciamente che inconsciamente. Possiamo decidere di respirare in un modo particolare, di controllare la respirazione. Possiamo persino smettere di respirare per un po'. E tuttavia, quando interrompiamo i tentativi di controllare la respirazione, essa continua senza alcuna sollecitazione. Per esempio, possiamo iniziare a respirare intenzionalmente, con una certa forza, per poter fissare pi facilmente la nostra attenzione. Appena la consapevolezza del respiro diventa chiara e stabile, permettiamo al respiro di procedere naturalmente, sia esso forte o leggero, profondo o superficiale, lungo o corto, veloce o lento. Non facciamo alcuno sforzo per regolarlo, lo sforzo solo quello di esserne consapevoli. Attraverso la consapevolezza della respirazione naturale, possiamo cominciare a osservare il funzionamento automatico del corpo, un'attivit che generalmente inconscia. Dall'osservazione della realt grossolana del respiro intenzionale, siamo passati ad osservare la realt pi sottile del respiro naturale. Abbiamo iniziato a muoverci oltre la realt superficiale verso la consapevolezza di una realt pi sottile. Un'altra ragione per sviluppare la consapevolezza del respiro consiste nel fatto che essa ci permette di liberarci dalla bramosia, dall'avversione e dall'ignoranza, divenendone in primo luogo consapevoli. un'operazione in cui il respiro ci pu aiutare, in quanto agisce come riflesso del proprio stato mentale. Quando la mente calma e in pace, il respiro regolare e non faticoso. Ma ogni volta che nella mente sorgono stati negativi, siano essi di ira, odio, paura o passione, allora il respiro diventa pi aspro, pesante e rapido, avvertendoci cos del nostro stato mentale e consentendoci di affrontarlo. C' per un'altra ragione per praticare la consapevolezza del respiro. Dal momento che il nostro scopo conseguire una mente libera da qualsiasi negativit, dobbiamo fare attenzione che ogni passo che compiamo verso tale scopo sia puro e benefico. Anche allo stadio iniziale del conseguimento di samdhi, dobbiamo usare un oggetto di attenzione benefico, come lo il respiro. Infatti non possiamo provare bramosia o avversione nei confronti del respiro, in quanto una realt totalmente scissa sia dall'illusione che dalla delusione. Costituisce quindi un oggetto d'attenzione appropriato. Nel momento in cui la mente pienamente concentrata sul respiro, libera dalla bramosia, libera dall'avversione, libera dall'ignoranza. Per quanto breve possa essere tale momento di purezza, tuttavia assai potente perch sfida tutti i nostri condizionamenti passati. Tutte le reazioni accumulate sono stimolate e iniziano a manifestarsi come difficolt di vario tipo, mentali o fisiche, che ostacolano i nostri sforzi tesi a sviluppare la consapevolezza. Possiamo sperimentare l'impazienza di progredire, che una forma di bramosia, cos come pu sorgere avversione, sotto forma di collera e depressione, perch i progressi ci sembrano lenti. Talvolta veniamo sopraffatti dalla sonnolenza e ci assopiamo non appena ci sediamo a meditare. Talvolta siamo in uno stato di agitazione tale che non riusciamo a star fermi o cerchiamo delle scuse per evitare di meditare. Talvolta, infine, lo scetticismo mina la volont di lavorare: dubbi ossessivi e irragionevoli sul nostro insegnante o sullinsegnamento stesso, oppure sulla nostra capacit di meditare. Quando sorgono queste difficolt, ci viene persine in mente di lasciar perdere completamente la pratica. E in queste circostanze che dobbiamo comprendere che questi ostacoli sono una reazione al nostro successo nella pratica della consapevolezza del respiro. Se perseveriamo, poco per volta essi spariranno e il lavoro diventer pi facile, in quanto anche in questo primo stadio della pratica alcuni strati di condizionamento vengono sradicati dalla superficie della mente. In tal modo, anche quando pratichiamo la consapevolezza del respiro, iniziarne a ripulire la mente e ad avanzare verso la liberazione.

La giusta concentrazione Fissare l'attenzione sul respiro sviluppa la consapevolezza del momento presente. E una giusta concentrazione consiste nel mantenere questa consapevolezza momento per momento, il pi a lungo possibile. Anche nelle azioni quotidiane della vita ordinaria richiesta la concentrazione, ma questa non necessariamente giusta concentrazione. Una persona pu concentrarsi per soddisfare un desiderio sensuale o per prevenire una paura. Un gatto aspetta con tutta l'attenzione concentrata sulla tana di un topo, pronto ad assalirlo non appena compare. Un borsaiolo si concentra sul portafoglio della sua vittima, aspettandoli momento di prenderlo. Di notte, dal suo lettino, un bimbo fissa impaurito l'angolo pi oscuro della stanza, immaginando dei mostri nascosti nellombra. In nessuno di questi casi c' la giusta concentrazione, la concentrazione, cio, che pu essere usata per la liberazione. Samdhi deve avere come suo centro un oggetto che libero da tutte le bramosie, da tutte le avversioni e da tutte le illusioni. Nel praticare la consapevolezza del respiro si scopre quanto sia difficile mantenere una consapevolezza ininterrotta. Nonostante la ferma determinazione di non distogliere l'attenzione dal respiro, in qualche modo essa scivola via inosservata. Scopriamo di essere come un ubriaco che, cercando di camminare lungo una linea retta, procede invece a zigzag.

Ed effettivamente siamo ubriachi, per la nostra ignoranza e le nostre illusioni, e cos continuiamo a vagare nel passato o nel futuro, nella bramosia o nell'avversione. Non possiamo rimanere sul giusto sentiero della consapevolezza prolungata. I meditatori dovrebbero essere sufficientemente saggi da non farsi deprimere o scoraggiare da queste difficolt, bens comprendere che ci vuole molto tempo per cambiare le abitudini mentali sedimentate nel corso di tanti anni e che ci pu essere fatto solo attraverso un lavoro costante, ininterrotto, paziente e perseverante. Il nostro compito consiste semplicemente nel riportare l'attenzione al respiro non appena notiamo che si smarrita. Se possiamo far questo, abbiamo compiuto un importante passo verso il cambiamento di tutte le abitudini vagabonde della nostra mente. E attraverso una pratica ripetuta diventa possibile riportare di nuovo l'attenzione sul respiro sempre pi rapidamente. Con gradualit, i periodi di negligenza si accorciano sempre pi, mentre aumentano quelli di samdhi, di consapevolezza prolungata. Quando la concentrazione si rafforza, cominciamo a sentirci rilassati, felici e pieni di energia. A poco a poco il respiro cambia, diviene pi lieve, regolare, leggero, superficiale. A volte pu sembrare che la respirazione sia del tutto cessata. Di fatto, appena la mente si tranquillizza, anche il corpo si calma e il metabolismo rallenta, per cui richiesto meno ossigeno. A questo livello, alcuni possono avere delle esperienze inusuali: vedere luci o avere visioni mentre siedono ad occhi chiusi, o udire suoni fuori dall'ordinario, per esempio. Tutte queste cosiddette esperienze extrasensoriali sono dei semplici segnali che indicano che la mente ha conseguito un pi alto livello di concentrazione. In se stessi, questi fenomeni non hanno importanza e non bisogna prestar loro attenzione. L'oggetto della consapevolezza rimane il respiro, tutto il resto distrazione. N ci si deve aspettare tali esperienze: in alcuni casi avvengono, in altri no. Tutte queste esperienze inusuali sono unicamente delle pietre miliari che segnalano un progresso sul sentiero. Talvolta queste pietre miliari possono essere fuori vista, o noi possiamo essere cos attenti al sentiero che tiriamo dritto senza notarle. Ma se prendiamo una di queste pietre miliari come meta finale e ci aggrappiamo ad essa, cessiamo di fare progressi. Dopotutto, sono innumerevoli le esperienze sensoriali inusuali che si possono avere. Coloro che praticano Dhamma non cercano tali esperienze, ma piuttosto la comprensione profonda della realt, cos da ottenere la liberazione dalla sofferenza. Pertanto continuiamo a prestare attenzione solo al respiro. Non appena la mente acquista maggiore concentrazione, il respiro diviene pi leggero e pi difficile da seguire, e quindi per rimanere consapevoli bisogna esercitare uno sforzo ancora pi grande. In tal modo continuiamo a levigare la mente, a rendere pi acuta la concentrazione, fino a farla diventare uno strumento con cui penetrare al di l della realt apparente, in grado di osservare la realt interiore pi sottile all'interno di noi stessi. Esistono molte altre tecniche per sviluppare la concentrazione: ripetere una parola o fissarsi su un'immagine visiva o anche compiere pi e pi volte una determinata azione fisica. Cos facendo ci si assorbe nell'oggetto di attenzione e si consegue uno stato beato di trance. Sebbene tale stato sia senza dubbio molto piacevole per tutta la sua durata, quando finisce ci si ritrova catapultati nella vita ordinaria con gli stessi problemi di prima. Queste tecniche operano sviluppando uno strato di pace e di gioia alla superficie della mente, ma in profondit il condizionamento rimane intatto. Gli oggetti che queste tecniche utilizzano per conseguire la concentrazione non hanno alcun nesso con la nostra realt momento per momento. La beatitudine che si ottiene sovrapposta, creata intenzionalmente piuttosto che sorta spontaneamente dalle profondit di una mente purificata. Il giusto samdhi non pu essere un'intossicazione spirituale. Deve essere libero da ogni artificio, da ogni illusione. Anche nell'insegnamento del Buddha sono vari gli stati di trance jhna che possono essere ottenuti. Al Buddha stesso furono insegnati otto stati di assorbimento mentale prima di divenire illuminato, ed egli continu a praticarli per tutta la vita. Tuttavia, gli stati di trance da soli non poterono liberarlo. Perci, quando insegnava gli stati di assorbimento, sottolineava che la loro funzione era unicamente quella di aiutare a sviluppare la comprensione profonda della realt, al pari delle pietre che servono per attraversare un fiume. I meditatori sviluppano la facolt della concentrazione non per sperimentare stati di beatitudine o di estasi, quanto piuttosto per forgiare la mente come uno strumento con cui esaminare la propria realt e rimuovere i condizionamenti che causano sofferenza. Questa la giusta concentrazione.

Domande e risposte
DOMANDA: Perch insegnate agli studenti a praticare npna-sati concentrandosi sulle

narici e non sull'addome?

SATYA NARAYAN GOENKA: Perch per noi npna-sat viene utilizzato come preparazione per la pratica di Vipassana, e in questo tipo di Vipassana necessaria una concentrazione particolarmente forte. Pi l'area di attenzione limitata, pi forte sar la concentrazione. Per sviluppare la concentrazione a un tale grado, l'addome troppo grande. L'area pi adatta quella delle narici. Ecco perch il Buddha ci ha consigliato di lavorare su quest'area.

Mentre si pratica la consapevolezza del respiro, permesso contare i respiri o dire dentro mentre si inspira e fuori mentre s espira? No, non ci deve essere una continua verbalizzazione. Se ogni volta aggiungete una parola alla consapevolezza della respirazione, gradualmente la parola diventer predominante e vi dimenticherete completamente del respiro. Direte dentro o fuori non facendo pi attenzione allatto dell'inspirare o dell'espirare. La parola diventer un mantra. Rimanete soltanto con il respiro, il semplice respiro, nient'altro che il respiro. Perch la pratica di samdhi non sufficiente per la liberazione? Perch la purezza mentale sviluppata con samdhi raggiunta principalmente per mezzo della soppressione, non dell'eliminazione del condizionamento. proprio come se qualcuno pulisse una cisterna di acqua fangosa aggiungendo una sostanza che faccia precipitare la soluzione, per esempio l'allume. L'allume fa s che le particelle di fango sospese nell'acqua precipitino sul fondo della cisterna, lasciando l'acqua cristallina. Allo stesso modo samdhi rende cristallini i livelli superiori della mente, ma nell'inconscio resta un deposito di impurit. Per raggiungere la liberazione, queste impurit latenti devono essere rimosse. E per rimuovere le impurit dalla profondit della mente si deve praticare Vipassana .Non dannoso dimenticare il passato e il futuro e prestare attenzione solo al momento presente? Dopotutto, non cos che vivono gli animali? Sicuramente chiunque dimentichi il passato condannato a ripeterlo. Questa tecnica non vi insegner a dimenticare interamente il passato o a non avere interesse per il futuro. Ma l'abitudine attuale della mente quella di immergersi costantemente nei ricordi passati e in desideri, progetti o timori per il futuro e di rimanere ignoranti del presente. Questa abitudine malsana ci rende la vita infelice. Con la meditazione si impara a mantenere uno stabile punto d'appoggio nella realt presente. Con questa solida base possibile trarre la necessaria guida dal passato e fare giuste previsioni per il futuro. Trovo che, quando medito e la mente vaga, pu sorgere una bramosia; poi penso che non devo sviluppare bramosia, e comincio ad agitarmi. Come devo comportarmi in questi casi? Per quale motivo essere agitati a causa della bramosia? Basta che accettiate il fatto: Oh, guarda, c' bramosia ; ecco tutto. E ne uscirete fuori. Quando scoprite che la mente ha vagato, basta accettare questo fatto, e automaticamente essa ritorner al respiro. Non dovete creare tensioni perch c' bramosia o perch la mente ha divagato; cos facendo si crea nuova avversione. Accettate la realt, sufficiente questo. Tutte le tecniche di meditazione buddiste erano gi praticate nello yoga. Che cosa c'era di veramente nuovo nella meditazione insegnata dal Buddha?

Quello che oggi viene definito yoga in realt uno sviluppo posteriore. Patanjai visse circa 500 anni dopo i tempi del Buddha e naturalmente il suo Yoga Stra mostra l'influenza dell'insegnamento del Buddha. Certo le pratiche yoga erano note in India anche prima del Buddha ed egli stesso, prima di conseguire l'illuminazione, le speriment. Tutte queste pratiche, tuttavia, erano limitate a sla e a samdhi, la concentrazione fino al livello dell'ottavo jhana, l'ottavo stadio di assorbimento, che si trova ancora nel campo dell'esperienza sensoriale. Il Buddha scopr il nono jhna, Vipassana, cio lo sviluppo della comprensione profonda della realt che porta il meditatore alla meta ultima al di l dell'esperienza sensoriale. Mi accorgo di essere molto propenso a sminuire gli altri. Qual il modo migliore per affrontare questo problema? La meditazione. Se l'ego forte, si cerca di sminuire gli altri, di abbassare la loro importanza e accrescere la propria. Ma la meditazione dissolve naturalmente l'ego. E quando esso si dissolve, non pi possibile fare qualcosa che offenda un altro. Lavorate e il problema si risoler automaticamente.

A volte mi sento in colpa per ci che ho fatto. Sentirvi in colpa non vi aiuter, vi causer solo danno. La colpa non ha posto nel sentiero di Dhamma. Se vi accorgete di aver agito in modo errato, accettate semplicemente il fatto senza cercare di giustificarlo o di nasconderlo. Potete anche andare da qualcuno che rispettate e dirgli: Ho fatto questo errore, ma in futuro star attento a non ripeterlo . E poi meditate, e scoprirete di poter superare tutte le difficolt. perch tendo a rinforzare questo ego? Perch continuo a voler essere Io? Questo ci che la mente stata condizionata a fare, a causa dell'ignoranza. Ma Vipassana pu liberarvi da questo dannoso condizionamento. Invece di pensare sempre a voi stessi, imparerete a pensare agli altri. Come succede questo? Il primo passo riconoscere quanto si sia egoisti ed egocentrici. A meno che non si comprenda questa verit, non si pu emergere dalla pazzia dell'amore di s. Man mano che proseguirete nella pratica, vi accorgerete che anche il vostro amore per gli altri nei fatti un amore egoistico. Capirete di amare qualcuno perch vi aspettate qualcosa da lui, vi aspettate che si comporti in un modo che vi piace: nel momento in cui questo qualcuno inizia a comportarsi in modo diverso, il vostro amore sparisce. Cos vi domanderete se amate questa persona o voi stessi. La risposta vi diventer chiara, ma non cercandola a livello intellettuale, bens con la pratica di Vipassana. E una volta che avrete fatto questa esperienza diretta, potrete iniziare a emergere dal vostro egoismo, imparando a sviluppare un amore reale per gli altri, un amore altruistico, a senso unico: dare senza aspettarsi niente in cambio. Io lavoro in una zona dove ci sono molti emarginati che chiedono l'elemosina. Anche in Occidente? Pensavo che i mendicanti esistessero solo nei paesi poveri! So che molti di questi emarginati hanno a che fare con la droga. Mi chiedo se dando loro dei soldi non li incoraggio a drogarsi.

Ecco perch dovete fare attenzione che ogni donazione elargita venga utilizzata correttamente. In caso contrario non aiuta nessuno. Invece di dare dei soldi a queste persone, renderete loro un vero servizio aiutandoli a uscire dalla tossicodipendenza. Qualsiasi cosa decidete di fare, dovete farla con saggezza. Quando voi dite Siate felici, l'altra faccia della medaglia per me Siate tristi ! Perch essere tristi? Uscite dalla tristezza! Giusto, ma pensavo che stessimo lavorando per raggiungere un equilibrio. l'equilibrio che rende felici. Senza equilibrio, c' la tristezza. Siate equilibrati, siate felici! E non: Siate equilibrati, non siate niente ? L'equilibrio rende felici, non annulla. Si diventa positivi quando la mente equilibrata.

CAPITOLO SETTIMO LA PRATICA DELLA SAGGEZZA

N sla n samdhi sono insegnamenti esclusivi del Buddha. Entrambi erano gi noti e praticati prima della sua illuminazione; infatti, mentre stava cercando la via per diventare illuminato, il futuro Buddha aveva appreso samdhi da due maestri con cui aveva studiato. Nel prescrivere le due pratiche il Buddha concordava con i maestri delle religioni convenzionali. Tutte le religioni infatti insistono sulla necessit di un comportamento morale e offrono anche la possibilit di ottenere degli stati di beatitudine sia per mezzo di preghiere, rituali, digiuni o altri esercizi di austerit, sia con varie forme di meditazione. Lo scopo di tali esercizi semplicemente quello di raggiungere uno stato di assorbimento mentale profondo. Si tratta dell' estasi sperimentata dai mistici delle varie religioni. Tale concentrazione, anche quando non sviluppata fino al livello di trance, molto utile. Acquieta la mente, distogliendo l'attenzione da situazioni in cui altrimenti si reagirebbe con bramosia e avversione. Contare lentamente fino a dieci per prevenire uno scoppio di ira una forma rudimentale di samdhi. Altre forme, persino pi ovvie, sono la ripetizione di una parola o di un mantra o la concentrazione su un oggetto. Tutte funzionano: quando l'attenzione rivolta verso un certo oggetto, sembra che la mente divenga calma, piena di pace. La calma acquisita in tal modo, tuttavia, non una vera liberazione. Anche se estremamente utile, la pratica della concentrazione opera solo a livello mentale conscio. Quasi venticinque secoli prima dell'invenzione della moderna psicologia, il Buddha scopr l'esistenza dell'inconscio, che chiam anusaya. Egli scopr inoltre che bramosia e avversione si possono controllare a livello conscio col distogliere l'attenzione, ma che, in realt, questo non le elimina: al contrario, le spinge in profondit, a livello inconscio, dove rimangono pericolose come sempre, anche se assopite. Pertanto, nella mente a livello superficiale pu esserci uno strato di pace e armonia, mentre in profondit c' un vulcano addormentato di negativit soppresse che prima o poi erutteranno con violenza. Il Buddha ha detto: Se le radici rimangono intatte e solide nel terreno, un albero abbattuto butter ancora fuori nuovi getti. Se l'abitudine latente alla bramosia e all'avversione [non viene estirpata alle radici, la sofferenza risorger da capo continuamente. Sino a quando il condizionamento rimane a livello inconscio, alla prima occasione esso dar vita a nuovi germogli, provocando sofferenza. Per questo, persino dopo aver raggiunto i pi alti stati conseguibili con la pratica della concentrazione, il Buddha non era convinto di aver raggiunto la liberazione. Stabil dunque di continuare la sua ricerca per trovare la via di uscita dalla sofferenza e il sentiero che conduce alla felicit. Vide che c'erano due possibilit di scelta. La prima era il sentiero dell'autoindulgenza, che dava via libera al soddisfacimento di tutti i desideri. questo il sentiero mondano, quello che segue la maggior parte della gente, consapevolmente o no. Ma egli vide con chiarezza che non poteva portare alla vera felicit. Non esiste nessuno nell'universo i cui desideri siano sempre soddisfatti, e nella cui vita ogni cosa desiderata si avveri senza che gli accada mai nulla di indesiderato. Chi segue questo sentiero, inevitabilmente soffre quando non riesce a soddisfare i propri desideri, cio soffre per il disappunto e l'insoddisfazione. Ma soffre ugualmente quando ottiene ci che desidera: soffre per la paura che l'oggetto desiderato svanisca, che il momento della gratificazione si dimostri transitorio: come di fatto . Nel cercare, nell'ottenere e nel perdere ci che desiderano, tali persone sono sempre agitate. Il futuro Buddha aveva sperimentato questo sentiero di persona prima di abbandonare il mondo per farsi eremita, e quindi sapeva che esso non porta alla pace. L'alternativa il sentiero dell'autocontrollo, dell'astenersi deliberatamente dal soddisfare i propri desideri. In India, 2500 anni fa, il sentiero dell'autocontrollo veniva portato all'eccesso, fino a evitare tutte le esperienze piacevoli e infliggersi quelle spiacevoli: si pensava in tal modo di guarire dall'abitudine alla bramosia e all'avversione e, di conseguenza, che la mente si sarebbe purificata. Del resto, queste pratiche rigide sono comuni alla vita religiosa di qualsiasi parte del mondo e il futuro Buddha le aveva sperimentate per anni dopo aver abbandonato la vita laica. Aveva provato diverse pratiche ascetiche fino a ridursi in uno stato di estrema magrezza, per poi scoprire che ancora non si era liberato. Punire il corpo non purifica la mente. L'autocontrollo non deve essere spinto a questi estremi: si pu praticarlo in una forma pi moderata astenendosi dal gratificare i desideri che implicano azioni dannose. Questo tipo di autolimitazione sembra assai preferibile all'autoindulgenza, perch, nel praticarlo, si evita almeno di compiere azioni immorali. Ma se l'autocontrollo viene raggiunto solo con l'autorepressione, le tensioni mentali aumenteranno fino a un livello pericoloso. Tutti i desideri soppressi si accumuleranno come acque in piena dietro la diga dell'autocontrollo. Un giorno la diga sar costretta a cedere e a dare via libera a una distruttiva inondazione. Fino a quando la nostra mente non si liberer dai condizionamenti, non potremo essere n al sicuro n in pace. Per quanto benefico,sla non pu essere mantenuto dalla pura e semplice forza di volont. Anche samdhi pu aiutare, ma si

tratta solo di una soluzione parziale che non opera ai livelli mentali profondi dove si trovano le radici del problema, le radici delle impurit. Per cui, fino a quando queste radici rimarranno sepolte nell'inconscio, non ci potr essere n una vera e duratura felicit, n la liberazione. Ma se possibile rimuovere dalla mente le radici del condizionamento, allora non ci sar pericolo di indulgere in azioni dannose, n necessit di autorepressione, perch l'impulso stesso di compiere un'azione negativa sar scomparso. Liberati dalla tensione sia della ricerca che del rifiuto, ciascuno potr vivere in pace. Per rimuovere le radici necessario un metodo col quale penetrare nelle profondit della mente e raggiungere le impurit proprio dove esse si annidano. questo il metodo scoperto dal Buddha: la pratica della saggezza, o panna, che lo ha guidato all'illuminazione, chiamata anche vipassan-bhvan, lo sviluppo della comprensione profonda della propria natura, per mezzo della quale si possono riconoscere ed eliminare le cause della sofferenza.Questo ci che il Buddha ha scoperto, ci che egli ha praticato per raggiungere la sua liberazione e che ha insegnato agli altri per tutta la vita, l'elemento peculiare del suo insegnamento al quale attribuiva la massima importanza. Egli ripeteva spesso che: Se sostenuta dalla moralit, la concentrazione molto fruttuosa, molto benefica. Se sostenuta dalla concentrazione, la saggezza molto fruttuosa, molto benefica. Se sostenuta dalla saggezza, la mente si libera da tutte le impurit. La moralit e la concentrazione sla e samdhi sono preziose di per s, ma il loro vero scopo di condurre alla saggezza. solo attraverso lo sviluppo di panna che troviamo il sentiero che sta a mezzo fra gli estremi dell'autoindulgenza e dell'autorepressione. Con la pratica della moralit, evitiamo di compiere le azioni che provocano le forme pi gravi di agitazione mentale. Concentrando la mente, poi, la calmiamo ulteriormente e nello stesso tempo la prepariamo a intraprendere il lavoro di autointrospezione. Ma solo sviluppando la saggezza saremo in grado di penetrare nella realt interiore e liberarci da ogni ignoranza e attaccamento. Due parti del Nobile Ottuplice Sentiero riguardano la pratica dell'educazione alla saggezza: il giusto pensiero e la giusta comprensione. Il giusto pensiero Prima di iniziare vipassan-bhvan non necessario sospendere tutti i pensieri durante la meditazione. I pensieri possono ancora persistere, ma per iniziare a lavorare sufficiente mantenere la consapevolezza momento per momento. I pensieri possono rimanere, ma la natura del loro corso cambia. Con la consapevolezza del respiro, bramosia e avversione si sono calmati. La mente divenuta tranquilla, almeno a livello conscio, e ha iniziato a pensare a Dhamma, alla via per uscire dalla sofferenza. Le difficolt che si sono presentate agli esordi della pratica della consapevolezza del respiro ora sono terminate, o almeno sono state in parte superate. Si pronti per il passo successivo: la giusta comprensione. La giusta comprensione questa la vera saggezza. Pensare alla verit non abbastanza. Dobbiamo noi stessi realizzare la verit, dobbiamo vedere le cose come sono realmente, non solo come appaiono. La verit apparente anch'essa una realt, ma quella che dobbiamo penetrare per sperimentare la nostra realt ultima e cos eliminare la sofferenza. Ci sono tre tipi di saggezza: la saggezza ricevuta (suta-my panna), la saggezza intellettuale (cint-my panna) e la saggezza basata sull'esperienza (bhvan-may panna). Letteralmente, la frase suta-my panna significa saggezza ascoltata: la saggezza imparata dagli altri, ad esempio leggendo libri o ascoltando discorsi o conferenze; la saggezza di un'altra persona che si decide di fare propria. L'accettazione pu essere causata dall'ignoranza. Per esempio, le persone cresciute in una comunit con una certa ideologia, una certa religione o altro, possono accettare senza discutere. Oppure l'accettazione pu essere causata dal desiderio. I capi della comunit possono dichiarare che accettare l'ideologia stabilita, il credo tradizionale, garantisce un futuro meraviglioso; pu anche darsi che affermino che tutti i fedeli, dopo la morte, andranno in paradiso. Naturalmente la beatitudine del paradiso attrae molto, e cos si accetta volentieri. Oppure l'accettazione pu provenire dalla paura. I capi intuiscono che la gente comincia ad avere dei dubbi e a fare domande sull'ideologia della comunit, cos ordinano di conformarsi al credo comune, minacciando punizioni terribili se non ci si adegua ad esso: forse affermano anche che tutti quelli che non credono dopo la morte andranno all'inferno. Naturalmente la gente non vuole andare all'inferno, cos soffoca i suoi dubbi e adotta il credo della comunit. Sia che venga accettata per cieca fede, per desiderio o per paura, la saggezza ricevuta non la propria saggezza, n qualcosa sperimentato di persona: una saggezza presa a prestito. Il secondo tipo di saggezza la comprensione intellettuale. Dopo aver letto o ascoltato un certo insegnamento, ci si riflette sopra e lo si esamina per stabilire se davvero razionale, benefico e pratico. E se soddisfa a livello intellettuale, lo si accetta come vero. Anche in questo caso si tratta di una conoscenza che non la propria, ma solo un ragionamento sulla saggezza che si ascoltata.

Il terzo tipo di saggezza quella che nasce dalla propria esperienza, dalla realizzazione personale della verit. la saggezza che si vive, la saggezza reale che porter un cambiamento nella propria vita, mutando la natura stessa della mente. Nelle faccende del mondo, non sempre la saggezza basata sull'esperienza pu essere necessaria o utile. sufficiente accettare l'avvertimento degli altri sul fatto che il fuoco pericoloso, oppure convalidare i fatti con dei ragionamenti deduttivi. sconsiderato insistere a buttarsi tra le fiamme prima di accettare il fatto che il fuoco brucia. In Dhamma, per, la saggezza che deriva dall'esperienza essenziale, dal momento che solo essa rende capaci di liberarci dai condizionamenti. La saggezza che si acquisisce ascoltando gli altri e la saggezza acquisita con la ricerca intellettuale sono utili se ci ispirano e ci guidano verso il terzo tipo di panna, la saggezza basata sull'esperienza. Ma se ci accontentiamo di accettare la saggezza ricevuta senza discutere, questo diventa una forma di schiavit, una barriera che non ci permette di ottenere la comprensione a livello di esperienza. Per la stessa ragione, se ci accontentiamo solo di contemplare la verit, di studiarla e comprenderla intellettualmente, ma non facciamo alcuno sforzo per sperimentarla direttamente, allora tutta la nostra comprensione intellettuale, invece di un aiuto per la liberazione, diventa una schiavit. Ognuno di noi deve vivere la verit sperimentandola direttamente con la pratica di bhvan. Soltanto questa esperienza vissuta liberer la mente. Anche la realizzazione della verit di qualcun altro non potr liberarci; persino lilluminazione del Buddha pot liberare una sola persona, Siddhattha Gotama. Tutt'al pi la realizzazione di qualcuno pu agire come ispirazione per altri, offrendo loro delle tracce da seguire, ma in definitiva ognuno di noi deve lavorare per conto proprio. Come ha detto il Buddha: Ciascuno di voi deve lavorare e compiere il proprio sforzo. Coloro che hanno raggiunto la meta finale vi mostreranno solamente la via. La verit pu essere vissuta, e sperimentata direttamente, solo all'interno di se stessi. Tutto ci che esterno sempre lontano da noi. Solo interiormente possiamo avere un'esperienza viva, diretta e autentica della realt. Dei tre tipi di saggezza, i primi due non sono peculiari dell'insegnamento del Buddha, poich entrambi esistevano in India prima di lui e anche ai suoi tempi c'era chi affermava di insegnare gi qualsiasi cosa egli andava insegnando. Il contributo specifico del Buddha al mondo stata la via per realizzare personalmente la verit e sviluppare cos la saggezza basata sull'esperienza diretta, bhvana-may panna. Questo modo per conseguire la realizzazione diretta della verit la tecnica di vipassan-bhvan. Vipassan-bhvan Vipassana viene spesso descritta come un lampo di comprensione profonda, un'improvvisa intuizione della verit. La descrizione corretta, ma di fatto c' un metodo graduale che il meditatore pu usare per avanzare fino al punto in cui si diventa capaci di avere una simile intuizione. Questo metodo detto vipassan-bhvan, sviluppo della comprensione profonda, comunemente chiamato meditazione Vipassana. La parola passan significa vedere , quel tipo ordinario di visione che abbiamo quando apriamo gli occhi. Vipassan significa un tipo di visione speciale: l'osservazione della realt all'interno di se stessi. Questa si raggiunge prendendo come oggetto di attenzione le proprie sensazioni fisiche. La tecnica consiste nell'osservazione sistematica e imparziale delle sensazioni dentro di s, un'osservazione che svela la realt totale della mente e del corpo. Perch la sensazione? Innanzitutto perch con la sensazione che sperimentiamo direttamente la realt. Qualunque cosa deve entrare in contatto con i nostri cinque sensi fisici o con la mente, altrimenti per noi non esiste. Queste sono le vie d'accesso attraverso le quali sperimentiamo il mondo, le basi di tutte le nostre esperienze. E ogniqualvolta qualcosa viene in contatto con queste sei basi sensorie, si ha una sensazione. Il Buddha ha cos descritto questo processo: Se qualcuno prende due pezzetti di legno e li strofina l'uno contro l'altro, dalla frizione si forma del calore e si produce una scintilla. Allo stesso modo, quale risultato di un contatto che si sperimentato come piacevole, sorge una sensazione piacevole, quale risultato di un contatto che si sperimentato come spiacevole, sorge una sensazione spiacevole, quale risultato di un contatto che si sperimentato come neutro, sorge una sensazione neutra. Il contatto di un oggetto con la mente o con il corpo produce una scintilla di sensazione. Tale sensazione il legame attraverso cui sperimentiamo il mondo con tutti i suoi fenomeni, fisici e mentali. Per sviluppare la saggezza basata sull'esperienza dobbiamo diventare consapevoli di ci che realmente proviamo, cio dobbiamo sviluppare la consapevolezza delle sensazioni. Inoltre, le sensazioni fisiche sono strettamente connesse con la mente e, come il respiro, offrono un riflesso dello stato mentale presente. Quando degli oggetti mentali pensieri, idee, fantasie, emozioni, ricordi, speranze, timori vengono in contatto con la mente, sorgono le sensazioni. Ogni pensiero, ogni emozione, ogni azione mentale accompagnata da una sensazione corrispondente all'interno del corpo. Quindi, osservando le sensazioni fisiche, osserviamo anche la mente. La sensazione indispensabile per esplorare fino in fondo la verit. Ogni cosa in cui ci imbattiamo nel mondo provoca una sensazione all'interno del corpo. La sensazione un crocevia in cui mente e corpo si incontrano. Sebbene sia di

natura fisica, altres uno dei processi mentali. Sorge dentro il corpo ed sentita dalla mente. In un corpo morto o nella materia inanimata non ci pu essere sensazione perch non vi mente. Se siamo inconsapevoli di questa esperienza, la nostra indagine della realt resta incompleta e superficiale. Proprio come quando, liberando un giardino dalle erbacce, dobbiamo essere consapevoli delle radici nascoste e della loro funzione vitale, allo stesso modo dobbiamo essere consapevoli delle sensazioni la maggior parte delle quali generalmente ci rimangono nascoste se vogliamo comprendere la nostra natura e confrontarci con essa in modo appropriato. Le sensazioni si avvicendano senza sosta nel nostro corpo. Ogni contatto, mentale o fisico, produce una sensazione. Ogni reazione biochimica da origine a una sensazione. Nella vita ordinaria, la mente conscia manca della concentrazione necessaria per essere consapevole di tutte le sensazioni tranne le pi intense , ma una volta che abbiamo affilato la mente con la pratica di anpna-sati e sviluppato la facolt della consapevolezza, diveniamo capaci di sperimentare consciamente la realt di ogni sensazione che proviamo dentro di noi. Nella pratica della consapevolezza della respirazione, lo sforzo consiste nell'osservare il respiro naturale, senza controllarlo o regolarlo. Analogamente, nella pratica di vipassan-bhvan osserviamo semplicemente le sensazioni fisiche. Facciamo scorrere l'attenzione sistematicamente attraverso tutta la struttura fisica, dalla testa ai piedi e dai piedi alla testa, da un'estremit all'altra, ma cos facendo non andiamo alla ricerca di qualche tipo particolare di sensazione, n cerchiamo di evitare sensazioni di un certo tipo. Lo sforzo solo quello di osservare oggettivamente, di essere consapevoli di qualsiasi sensazione si manifesti nel corpo. Le sensazioni possono essere di qualsiasi tipo: calore, freddo, pesantezza., leggerezza, prurito, palpitazione, contrazione, espansione, pressione, dolore, ronzio, pulsazione, vibrazione, tremolio e altro ancora. Il meditatore non cerca qualcosa di straordinario, ma osserva le sensazioni fisiche ordinarie cos come si manifestano naturalmente. N deve fare sforzo alcuno per scoprire la causa di una sensazione: essa pu nascere dalle condizioni atmosferiche, o per la posizione in cui si seduti, o per gli effetti di una vecchia malattia o della debolezza del corpo, o anche per il cibo che si ingerito. La ragione non importante e non ci interessa. La cosa importante di essere consapevoli della sensazione che proviamo in quel determinato momento nella parte del corpo in cui l'attenzione concentrata. Quando ci dedichiamo a questa pratica per la prima volta, possiamo essere in grado di percepire le sensazioni in alcune parti del corpo e non in altre. Quando la facolt della consapevolezza non ancora pienamente sviluppata, sperimentiamo solo le sensazioni intense e non le pi fini, le pi sottili. Tuttavia, alternativamente, continuiamo a rivolgere l'attenzione a ogni parte del corpo, muovendo la nostra consapevolezza in ordine sistematico, senza permettere all'attenzione di essere attratta indebitamente da sensazioni pi forti. Essendo gi educati alla concentrazione, abbiamo sviluppato l'abilit di fissare l'attenzione su un oggetto scelto consciamente. Ora utilizziamo tale abilit per muovere la consapevolezza su ogni parte del corpo in ordine progressivo, senza tralasciare le parti in cui la sensazione poco chiara per passare a quelle dove pi forte, senza soffermarci su qualche sensazione particolare e neppure cercare di evitarne altre. In tal modo ci troveremo gradualmente nella situazione in cui potremo sperimentare le sensazioni in ogni parte del corpo. Quando si intraprende la pratica della consapevolezza della respirazione, il respiro sar spesso pesante e irregolare. Poi man mano si calma e diventa progressivamente pi leggero, fine e delicato. Allo stesso modo, all'inizio della pratica di vipassan-bhvan, spesso si sperimentano sensazioni forti, intense e spiacevoli che sembrano durare a lungo, cos come possono sorgere emozioni forti, pensieri a lungo dimenticati, ricordi che apportano disagi fisici e mentali, persino dolore. Gli ostacoli della bramosia e dellavversione, della pigrizia, dell'agitazione e del dubbio, che impediscono di progredire nella pratica della consapevolezza del respiro, possono ora ricomparire, e tanto forti da rendere completamente impossibile mantenere la consapevolezza delle sensazioni. Di fronte a una tale situazione, non si ha altra alternativa se non quella di ritornare alla pratica della consapevolezza del respiro per calmare e affinare ancora una volta la mente. Pazientemente, senza sentirci sconfitti, riprendiamo a operare per ristabilire la concentrazione, ben sapendo che tutte queste difficolt in realt sono il risultato del nostro successo iniziale. Alcuni condizionamenti sepolti in profondit sono stati stimolati e hanno cominciato ad apparire a livello conscio. Gradualmente, con uno sforzo prolungato, ma senza tensioni, la mente riacquista la tranquillit e la concentrazione. I pensieri forti e le emozioni scompaiono e si pu ritornare alla consapevolezza delle sensazioni. Con una pratica continua e ripetuta, le sensazioni intense tendono a dissolversi in sensazioni pi uniformi e sottili e alla fine in semplici vibrazioni, che sorgono e se ne vanno con grande rapidit. Ma ai fini della meditazione irrilevante che le sensazioni siano piacevoli o spiacevoli, intense o sottili, uniformi o variate. Il compito dei meditatori semplicemente quello di osservare con oggettivit. Sia che le sensazioni spiacevoli ci abbiano procurato disagio, sia che quelle piacevoli ci abbiano attratto, non dobbiamo fermare il nostro lavoro, n permettere ad esse di distrarci o di intrappolarci; il nostro compito consiste solo nell'osservare noi stessi con lo stesso distacco di uno scienziato alle prese con esperimenti di laboratorio. Impermanenza, inesistenza dell'Io, sofferenza

Perseverando nella meditazione, comprenderemo ben presto un fatto basilare: le nostre sensazioni mutano costantemente. Ad ogni istante, in ogni parte del corpo, sorge una sensazione e ogni sensazione indice di mutamento. Ad ogni istante avvengono dei cambiamenti in ogni parte del corpo, delle reazioni elettromagnetiche e biochimiche. Ad ogni istante, e pi rapidamente ancora, i processi mentali cambiano e si manifestano con mutamenti fisici. Questa la realt della mente e della materia: mutevole e impermanente: anicca. Ad ogni istante le particelle subatomiche di cui composto il corpo nascono e svaniscono. Ad ogni istante le funzioni mentali compaiono e scompaiono, una dopo l'altra. Ogni cosa interna, fisica e mentale, cos come il mondo esterno, cambia ad ogni istante. E se in precedenza potevamo aver riconosciuto, aver compreso intellettualmente che questo era vero, ora, con la pratica di vipassan-bhvan, sperimentiamo invece la realt dell'impermanenza dentro la struttura del nostro corpo. L'esperienza diretta della transitoriet delle sensazioni ci prova la nostra natura effimera. Ogni parte del corpo, ogni processo mentale in uno stato di fluire continuo. Non c' niente che permanga al di l del singolo istante, nessun nucleo a cui potersi aggrappare, nulla che si possa chiamare Io o mio . Questo Io solo una combinazione di processi in continuo mutamento. Cos il meditatore arriva a comprendere un'altra realt fondamentale: anatt, la non-esistenza di un Io reale, di un s o di un ego permanente. L'ego a cui si cos attaccati un'illusione creata dalla combinazione di processi fisici e mentali, processi in costante fluire. Avendo esplorato il corpo e la mente fino ai livelli pi profondi, si verifica che non c' un nucleo immutabile, un'essenza che sia indipendente dai processi, nulla che sia esente dalla legge dell'impermanenza. C' solo un fenomeno impersonale, che cambia al di fuori del nostro controllo. Allora un'altra realt diviene chiara. Qualsiasi sforzo di aggrapparsi a qualcosa, dicendo: questo l'Io, questo me, questo mio , ci costringe all'infelicit, perch prima o poi questo qualcosa a cui ci aggrappiamo se ne andr, e anche l'Io se ne andr. L'attaccamento a ci che impermanente, transitorio, illusorio e fuori dal nostro controllo sofferenza, dukkha. Comprendiamo tutto questo non perch qualcuno ci dice che cos, ma perch lo sperimentiamo osservando le sensazioni all'interno del nostro corpo. Equanimit Come si fa allora a non essere infelici? Come si fa a vivere senza sofferenza? Limitandosi ad osservare senza reagire: invece di cercare di far durare un'esperienza o di evitarne un'altra, di procurarsene una o di scacciarne un'altra ancora, non si fa altro che esaminare ogni fenomeno oggettivamente, con equanimit, con la mente equilibrata. Sembra abbastanza semplice, ma che fare quando ci sediamo con l'intenzione di meditare per un'ora e dopo dieci minuti ci fanno male le ginocchia? Cominciamo subito a odiare il dolore, a volere che se ne vada. Ma non se ne va; al contrario, pi lo odiamo, pi diventa forte. Il dolore fisico diviene un dolore mentale, che provoca grande sofferenza. Se possiamo apprendere per un momento solo a osservare il dolore fisico, se sia pure temporaneamente possiamo liberarci dall'illusione che il nostro dolore, che siamo noi a sentire dolore, se possiamo esaminare la sensazione oggettivamente come un medico esamina il dolore di qualcun altro, allora ci accorgiamo che il dolore stesso cambia. Non fisso, cambia ad ogni istante, se ne va, ricomincia, cambia di nuovo. Quando comprendiamo questo attraverso l'esperienza personale, scopriamo che il dolore non potr pi sopraffarci n controllarci a lungo. Forse se ne andr via rapidamente, forse no, ma non importa. Non soffriamo pi per il dolore perch possiamo osservarlo con distacco. La via che conduce alla liberazione Possiamo liberarci della sofferenza sviluppando consapevolezza ed equanimit. La sofferenza ha il suo principio nell'ignoranza della propria realt. Nel buio di questa ignoranza, la mente reagisce ad ogni sensazione con piacere o dispiacere, bramosia o avversione. Ogni reazione di tale tipo crea sofferenza ora e mette in moto una catena di eventi che in futuro non porteranno altro che sofferenza. Come si pu rompere questa catena di cause ed effetti? In qualche modo, a causa di azioni passate compiute nell'ignoranza, la vita cominciata, il flusso di mente e materia ha avuto inizio. Allora ci si dovrebbe suicidare? No, questo non risolverebbe il problema. Nel momento in cui ci si uccide, la mente colma di infelicit, colma di avversione. Qualsiasi cosa verr dopo, anch'essa sar colma di infelicit. Tale azione non pu condurre alla felicit. La vita ha avuto inizio e da essa non si pu scappare. Allora si dovrebbero distruggere le sei basi dell'esperienza sensoriale? Ci si potrebbe strappare gli occhi, mozzare la lingua, distruggere naso e orecchie. Ma come si potrebbe distruggere il corpo? Come si potrebbe distruggere la mente? Si tratterebbe di nuovo di suicidio, ossia di un atto inutile. Si dovrebbero distruggere gli oggetti propri di ognuna delle sei basi sensoriali, tutte le cose visibili, i suoni e cos via? Non possibile. L'universo gremito di innumerevoli oggetti; nessuno riuscirebbe a distruggerli tutti. Dato che le sei basi sensoriali esistono, impossibile prevenirne il contatto con i rispettivi oggetti. Appena avviene il contatto, si costretti a provare una sensazione. Ma questo il punto in cui la catena pu essere rotta. Il legame cruciale avviene nell'istante della sensazione. Ogni sensazione da origine a piacere o dispiacere. Queste reazioni momentanee, inconsce, di piacere e dispiacere sono immediatamente moltiplicate e intensificate in bramosia e avversione, in attaccamento, e producono infelicit sia ora che nel futuro. un'abitudine cieca che ripetiamo meccanicamente.

Con la pratica di vipassan-bhvan, per, sviluppiamo la consapevolezza di ogni sensazione. E sviluppiamo l'equanimit: non reagiamo. Esaminiamo la sensazione spassionatamente, senza che ci piaccia o ci dispiaccia, senza bramosia, avversione o attaccamento. Invece di dar origine a reazioni nuove, ogni sensazione da ora origine soltanto a saggezza, panna, alla comprensione profonda: Tutto ci impermanente, transitorio, destinato a cambiare, a sorgere per poi sparire. La catena stata rotta, la sofferenza stata fermata. Non c' alcuna nuova reazione di bramosia o avversione e quindi nessuna causa da cui la sofferenza possa scaturire. La causa della sofferenza il kamma, l'azione mentale, ovvero la reazione cieca di bramosia e avversione, il sankhra. Quando la mente consapevole della sensazione, ma mantiene l'equanimit, non c' una reazione di questo tipo, non ci sono cause che produrranno sofferenza: abbiamo smesso di creare sofferenza per noi stessi. Il Buddha ha detto: Tutti i sankhra sono impermanenti. Quando realizzerete ci con vera comprensione profonda, allora vi staccherete dalla sofferenza: questo il sentiero della purificazione. Qui la parola sankhra ha un significato molto ampio. Una reazione mentale cieca definita sankhra, ma il risultato di tale azione, il suo frutto, anch'esso noto come sankhra: da un certo seme, un certo frutto. Ogni cosa in cui ci imbattiamo nella vita in ultima analisi il risultato delle nostre azioni mentali. Quindi, nel senso pi ampio, sankhra non significa altro che il mondo condizionato, tutto ci che si formato e composto. Ne consegue che Tutte le cose esistenti sono impermanenti, siano esse mentali o fisiche: ogni cosa nell'universo. Quando si osserva questa verit con la saggezza basata sull'esperienza per mezzo della pratica di vipassan-bhvan, allora la sofferenza scompare, perch ci si allontana dalle cause della sofferenza, si abbandona cio l'abitudine alla bramosia e all'avversione. Questo il sentiero della liberazione. Tutto lo sforzo sta nell'apprendere come non reagire, come non produrre un nuovo sankhra. Sorge una sensazione e ha inizio il piacere o il dispiacere. Questo momento transitorio, se non ne siamo consapevoli, viene ripetuto e si intensifica in bramosia e avversione, diventando un'emozione forte che talora opprime la mente conscia. Veniamo imprigionati dall'emozione e tutti i nostri migliori propositi sono spazzati via. Il risultato che ci troviamo impegnati in azioni e discorsi malsani, nocivi a noi e agli altri. A causa di un momento di reazione cieca, ci procuriamo dolore e sofferenza, ora e in futuro. Ma se siamo consapevoli del punto in cui il processo di reazione inizia se siamo cio consapevoli della sensazione possiamo scegliere di non permettere alle reazioni di aver luogo o di intensificarsi. Osserviamo la sensazione senza reagire, senza provare n piacere n dispiacere per essa. Cos essa non ha alcuna possibilit di svilupparsi in bramosia o avversione, in un'emozione forte che possa sopraffarci: semplicemente sorge e svanisce. La mente rimane in equilibrio, in pace. Siamo felici ora e non possiamo aspettarci altro che felicit in futuro, poich non abbiamo reagito. Questa capacit di non reagire di grande valore. Se siamo consapevoli della sensazione all'interno del corpo e nello stesso tempo manteniamo l'equanimit, in quegli istanti la mente libera. Forse all'inizio questi istanti possono essere brevissimi, mentre per il resto del tempo, durante il periodo di meditazione, la mente resta sommersa dalle vecchie abitudini di reazione alle sensazioni, al vecchio circolo vizioso di bramosia, avversione e infelicit. Ma con una pratica ripetuta, quei brevi attimi diventeranno secondi, e poi minuti, finch cesser la vecchia abitudine alla reazione e la mente sar costantemente in pace. Ecco come la sofferenza pu essere fermata. Ecco come possiamo smettere di procurarci infelicit. Domande e risposte
DOMANDA:

Perch dobbiamo far scorrere la nostra attenzione lungo il corpo seguendo un ordine preciso

SATYA NARAYAN GOENKA: Perch state

lavorando per esplorare la completa realt della mente e della materia. Per far questo necessario sviluppare la capacit di percepire ci che accade in ogni parte del corpo: nessuna parte dovrebbe rimanere insensibile. Dovete anche sviluppare la capacit di osservare tutta la gamma delle sensazioni. Il Buddha ha descritto la pratica in questi termini: In ogni luogo dentro i confini del corpo si sperimentano sensazioni, dovunque ci sia vita nel corpo. Se permettete all'attenzione di muoversi a caso da una parte a un'altra, da una sensazione a un'altra, naturalmente sar sempre attratta dalle zone interessate da sensazioni pi forti. La vostra osservazione rimarr parziale, incompleta, superficiale. Quindi essenziale muovere sempre l'attenzione con ordine. Come possiamo capire che non stiamo creando delle sensazioni?

Potete fare una prova. Se dubitate che le sensazioni che state provando siano reali, potete darvi due o tre ordini, autosuggestioni. Se scoprite che le sensazioni cambiano a vostro comando, significa che non sono reali. In quel caso dovete gettare via tutta quanta l'esperienza e ricominciare osservando il respiro per un po'. Ma se scoprite di non poter controllare le sensazioni, ma che esse al contrario non cambiano a vostro piacimento, allora dovete scacciare i dubbi e accettare il fatto che l'esperienza reale.

Se queste sensazioni sono reali, perch non le proviamo nella vita ordinaria? Lo fate a livello inconscio. La mente conscia inconsapevole, ma in ogni momento la mente inconscia prova delle sensazioni nel corpo e reagisce ad esse. Questo processo avviene ventiquattro ore su ventiquattro. Con la pratica di Vipassana, tuttavia, si abbattono le barriere tra il conscio e l'inconscio. Diventate consapevoli di ogni cosa che accade all'interno della vostra struttura fisica e mentale, di ogni cosa che sperimentate. Permettere a noi stessi di provare deliberatamente dolore fisico pu sembrare masochismo. Lo sarebbe se vi si chiedesse di sperimentare solo dolore. Ma, al contrario, vi si chiede di osservare il dolore oggettivamente. Quando osservate senza reagire, automaticamente la mente inizia a penetrare al di l della realt apparente del dolore fino alla sua natura sottile, che consiste unicamente in vibrazioni che nascono e svaniscono ad ogni istante. E quando sperimentate tale sottile realt, il dolore non pu sopraffarvi. Siete voi i padroni di voi stessi, siete liberi dal dolore. Ma certamente il dolore pu essere un segnale che c' deficienza di sangue in qualche parte del corpo. saggio ignorare tale segnale? Ebbene, abbiamo scoperto che questo esercizio non causa danni. Se lo facesse, non lo raccomanderemmo. Migliaia di persone hanno praticato questa tecnica. Non conosco neppure un solo caso in cui qualcuno che si stava esercitando in modo corretto si sia fatto del male. L'esperienza comune che il corpo diventa docile e flessibile. Il dolore scompare quando imparate ad affrontarlo con mente equilibrata. Non possibile praticare Vipassan osservando una delle sei porte dei sensi, per esempio osservando il contatto degli occhi con la visione e delle orecchie con il suono? Certamente. Ma anche questa osservazione deve comportare la consapevolezza della sensazione. Ogni volta che avviene un contatto in una delle sei basi sensoriali occhi, orecchie, naso, lingua, corpo, mente si produce una sensazione. Rimanendone inconsapevoli, si perde di vista il punt in cui inizia la reazione. Nel caso della maggior parte dei sensi, il contatto pu essere solo intermittente. A volte le vostre orecchie possono udire un suono, a volte no. Ma ai livelli pi profondi c' ad ogni istante un contatto tra mente e materia che origina costantemente delle sensazioni. Per questa ragione, osservare le sensazioni la via pi accessibile e vivida per sperimentare il fatto dell'impermanenza. Prima di tentare di osservare le altre porte dei sensi, bisogna padroneggiare questa via. Se dobbiamo solo accettare e osservare le cose cos come vengono, in che modo pu esserci progresso? Il progresso si misura secondo lo sviluppo dell'equanimit. Non avete altra scelta se non l'equanimit, perch non potete cambiare le sensazioni, non potete creare le sensazioni. Qualsiasi cosa sorge, sorge. Pu essere gradevole o sgradevole, di questo o di quel tipo, ma se mantenete l'equanimit, state certamente avanzando sul sentiero, state perdendo le vecchie abitudini mentali alla reazione. Questo accade nella meditazione, ma come riferirlo alla vita? Quando nella vita quotidiana nasce un problema, bisogna fermarsi il tempo necessario per osservare le nostre sensazioni con mente equilibrata. Quando la mente calma ed equilibrata, qualsiasi decisione si prenda sar quella buona. Quando la mente turbata, la decisione sar una reazione. Bisogna imparare a trasformare il proprio comportamento in modo da passare da reazioni negative ad azioni positive. Quindi, se non si in collera o critici, ma si nota che qualcosa pu essere fatto in modo diverso, e migliore, allora si pu andare avanti e agire? S, bisogna agire. La vita fatta per l'azione, non bisogna diventare inattivi. Ma l'azione deve essere compiuta con una mente equilibrata. Oggi stavo impegnandomi per provare una sensazione in una parte del corpo che era intorpidita, e non appena la sensazione sorta la mente ha fatto un sobbalzo, mi sono sentito come se avessi segnato un punto per la mia squadra. E mi sono mentalmente udito urlare: "Bene!". Poi ho pensato: "No, non voglio reagire cos". Ma mi chiedo, una volta tornato nel mondo, come posso andare a una partita di baseball o di calcio e non reagire?

Anche in un incontro di calcio agirete, non reagirete, e scoprirete di divertirvi un mondo. Un piacere accompagnato dalla tensione della reazione non un vero piacere. Quando la reazione cessa la tensione scompare, e solo allora possibile cominciare a godere la vita. Allora posso saltare su e gi e gridare come voglio? S, con equanimit. Fatelo con equanimit. E che cosa faccio se la mia squadra perde? In quel caso dovrete sorridere e dire Siate felici! . Siate felici in ogni situazione! Mi sembra un punto fondamentale. S!

CAPITOLO OTTAVO CONSAPEVOLEZZA ED EQUANIMIT Consapevolezza ed equanimit: in questo consiste la meditazione Vipassana. Se praticate assieme, esse conducono alla liberazione dalla sofferenza. Se una o l'altra debole o insufficiente, non possibile avanzare lungo il sentiero che porta alla meta. Sono entrambe essenziali, come un uccello che ha bisogno di due ali per volare o un carro di due ruote per muoversi. E devono essere ugualmente forti. Se un'ala debole e l'altra potente, l'uccello non pu volare correttamente. Se una ruota piccola e l'altra grande, il carro continuer a muoversi in tondo. Per avanzare lungo il sentiero, il meditatore deve sviluppare sia la consapevolezza che l'equanimit. Dobbiamo diventare consapevoli della totalit della mente e della materia nella loro natura pi sottile. A questo scopo non basta essere consapevoli solo degli aspetti superficiali del corpo e della mente, quali i movimenti fisici o i pensieri. Dobbiamo sviluppare la consapevolezza delle sensazioni in tutto il corpo e conservare l'equanimit nei loro riguardi. Se siamo consapevoli ma manchiamo di equanimit, tanto pi allora diventiamo coscienti e sensibili alle sensazioni interiori, quanto pi aumenteranno le probabilit di reagire, e perci di accrescere la sofferenza. D'altra parte, se abbiamo raggiunto l'equanimit ma ignoriamo tutto delle sensazioni interiori, allora questa equanimit solo superficiale e mantiene a livello inconscio le reazioni che si avvicendano costantemente nelle profondit della mente senza che noi ce ne accorgiamo. Dobbiamo quindi cercare di sviluppare sia la consapevolezza che l'equanimit ai livelli pi profondi. Dobbiamo fare in modo di essere consapevoli di ci che accade dentro di noi e, nello stesso tempo, di non reagire, sapendo che cambier. Questa la vera saggezza: la comprensione della propria natura, una comprensione conseguita con l'esperienza diretta della verit all'interno di se stessi. Questo ci che il Buddha chiamava yath-bhta-ina-dassana, la saggezza che nasce dall'osservazione della realt cos com'. Con questa saggezza si pu uscire dalla sofferenza. Ogni sensazione che si presenta dar origine solo alla comprensione dell'impermanenza. Cessano tutte le reazioni, tutti i sankhra della bramosia e dell'avversione. Imparando ad osservare la realt oggettivamente, si smette di creare sofferenza per se stessi. II deposito delle reazioni passate Rimanere consapevoli ed equilibrati la via per fermare il prodursi di nuove reazioni, di nuove fonti di infelicit. Ma c' un'altra dimensione della nostra sofferenza con cui dobbiamo confrontarci. Smettendo di reagire da questo momento in poi, possiamo impedire ulteriori cause di infelicit, ma in ciascuno di noi esiste un accumulo di condizionamenti, ovvero la somma totale delle nostre reazioni passate. Anche se non aggiungiamo nulla di nuovo a questo deposito, i vecchi sankhra accumulati ci provocheranno ulteriore sofferenza. La parola sankhra pu essere tradotta formazione , intendendo con questo sia l'atto del formare sia ci che formato. Ogni reazione l'ultimo passo, il risultato di una sequenza di processi mentali, ma pu anche essere il primo passo, la causa di una nuova sequenza mentale. Ogni sankhra condizionato dai processi che conducono ad esso, e contemporaneamente condiziona anche i processi successivi. Il condizionamento opera influenzando la seconda funzione mentale, la percezione (trattata nel Capitolo Secondo). La coscienza fondamentalmente indifferenziata, non discriminante: ha il solo scopo di registrare i contatti che avvengono nella mente o nel corpo. La percezione, invece, discriminante: attinge dal deposito delle esperienze passate per valutare e catalogare ogni nuovo fenomeno. Le reazioni passate sono dei punti di riferimento con cui cercare di spiegare una nuova esperienza; la giudichiamo e la classifichiamo secondo i nostri passati sankhra. In tal modo le vecchie reazioni di bramosia e avversione influenzano la nostra percezione del presente. Invece di vedere la realt, vediamo come attraverso delle lenti affumicate. La nostra percezione del mondo esterno e di quello interno distorta e oscurata dai nostri passati condizionamenti, dalle nostre preferenze e dai nostri pregiudizi. In conseguenza della percezione distorta, una sensazione essenzialmente neutra diventa immediatamente piacevole o spiacevole. A questa sensazione reagiamo ulteriormente, creando un nuovo condizionamento che distorce ancora di pi la nostra percezione. In tal modo ogni reazione diventa la causa di reazioni future, tutte condizionate dal passato e condizionanti a loro volta il futuro. La doppia funzione dei sankhra illustrata nella Catena del Sorgere Condizionato. Il secondo anello della catena il sankhra, ossia la pre-condizione immediata del sorgere della coscienza, il primo dei quattro processi mentali. Tuttavia, sankhra anche l'ultimo della serie dei processi, dopo la coscienza, la percezione e la sensazione. Riappare sotto questa forma, pi avanti nella catena e dopo la sensazione, come reazione di bramosia e avversione. Bramosia e avversione si sviluppano in attaccamento, il quale diventa sorgente di una nuova fase di attivit fisica e mentale. Cos il processo si alimenta da solo. Ogni sankhra mette in moto una catena di eventi che creano un nuovo sankhra, il quale a sua volta mette in moto una nuova catena di eventi che si ripetono all'infinito, in un circolo vizioso. Ogni volta che reagiamo,

rafforziamo la nostra attitudine mentale alla reazione. Ogni volta che sviluppiamo bramosia o avversione, rafforziamo la tendenza della mente a continuare a generarli. E quando questo schema mentale si ben radicato, ne siamo catturati. Per esempio, un uomo impedisce a qualcuno di ottenere un oggetto desiderato. La persona frustrata crede che quell'uomo sia molto cattivo e lo detesta. Questa opinione profondamente impressa nella mente inconscia della persona frustrata non si basa su considerazioni circa il carattere dell'uomo, ma unicamente sul fatto che egli ha frustrato il desiderio della seconda persona. Ogni successivo contatto con quell'uomo porter impresso questo marchio e far nascere sensazioni spiacevoli, le quali produrranno a loro volta nuova avversione, rafforzando ulteriormente l'immagine. Anche se i due si incontrano dopo un intervallo di vent'anni, la persona che stata frustrata tanto tempo prima pensa immediatamente che quell'uomo sia molto cattivo e di nuovo prova antipatia. In vent'anni, il carattere del primo uomo pu essere totalmente cambiato, ma il secondo lo giudica secondo i criteri della passata esperienza. La reazione non avviene nei confronti dell'uomo, ma dell'opinione su di lui basata su una reazione cieca originaria, e quindi prevenuta. In un altro caso, un uomo aiuta qualcuno a ottenere un oggetto desiderato. La persona che stata aiutata crede che quell'uomo sia molto buono e lo stima. L'opinione basata solo sul fatto che l'uomo ha aiutato una seconda persona a soddisfare il suo desiderio, non su una attenta considerazione del suo carattere. L'opinione positiva registrata nella mente inconscia e connota il successivo contatto con quell'uomo, facendo sorgere sensazioni piacevoli che danno come risultato un legame pi forte, il quale a sua volta rafforza ulteriormente l'opinione. Per quanti anni possano trascorrere tra un incontro e l'altro, lo stesso modello si ripete ad ogni nuovo contatto. Sia la persona frustrata che la persona gratificata non reagiscono all'uomo in se stesso, ma esclusivamente alla loro opinione su di lui, basata sulla cieca reazione originaria. In questo modo un sankhra pu dare origine a una nuova reazione, sia nell'immediato che nel lontano futuro. E ogni reazione successiva diventa causa di ulteriori reazioni, destinate a non portare ad altro che a un'infelicit sempre maggiore. E questo il processo di ripetizione delle reazioni, della sofferenza. Pensiamo di trovarci di fronte alla realt esterna mentre in realt stiamo reagendo alle nostre sensazioni, le quali sono condizionate dalle nostre percezioni, le quali a loro volta sono condizionate dalle nostre reazioni. Anche se a partire da un dato momento smettiamo di generare nuovi sankhra, dobbiamo ancora fare i conti con quelli accumulati nel passato. Permane quindi in noi una tendenza a reagire che pu riaffermarsi in qualsiasi circostanza, rendendoci infelici. E finch persiste questo vecchio condizionamento, ncn siamo completamente liberi dalla sofferenza. Come possiamo sradicare le vecchie reazioni? Per trovare una risposta a questa domanda necessario comprendere pi profondamente come procede la meditazione Vipassana. Sradicare i vecchi condizionamenti Nel praticare Vipassana, il nostro compito semplicemente quello di osservare le sensazioni del corpo. La causa di ogni particolare sensazione non ci interessa; sufficiente comprendere che ogni sensazione indica un cambiamento interno, che pu essere di origine fisica o mentale, giacch mente e corpo funzionano in modo interdipendente e spesso non si possono differenziare: ci che accade a un livello si riflette nell'altro. A livello fisico, come stato trattato nel Capitolo secondo, il corpo composto di particelle subatomiche kalpa che in ogni momento nascono e spariscono con grande rapidit, manifestando in un'infinita variet di combinazioni le qualit basilari della materia massa, coesione, temperatura e movimento e producendo dentro di noi l'intera gamma delle sensazioni. Sono quattro le possibili cause del sorgere di kalpa. La prima il cibo che mangiamo; la seconda l'ambiente in cui viviamo. Ma tutto ci che accade nella mente ha un effetto sul corpo e pu essere responsabile del sorgere di kalpa. E quindi le altre due cause possono essere o le reazioni mentali in corso oppure le reazioni accumulate nel passato che stanno influenzando lo stato mentale presente. Per funzionare, il corpo richiede cibo. Tuttavia, anche se non viene alimentato, il corpo non crolla subito. Pu continuare a sostenersi per settimane, consumando le energie conservate nei suoi tessuti. Quando tutte le energie immagazzinate sono consumate, il corpo crolla e muore: il flusso fisico perviene alla fine. Analogamente la mente deve restare attiva per mantenere il fluire della coscienza. Questa attivit mentale il sankhra. Secondo la Catena del Sorgere Condizionato, la coscienza ha origine dalle reazioni . Ogni reazione mentale responsabile dell'impeto dato al fluire della coscienza. E mentre il corpo richiede cibo solo ad intervalli, la mente richiede sempre nuove stimolazioni. Senza di queste, il fluire della coscienza non pu continuare neanche per un istante. Per esempio, se a un dato momento generiamo avversione nella mente, nel momento successivo la coscienza che sorge il prodotto di questa avversione e cos via, momento per momento. Noi continuiamo a ripetere la reazione di avversione momento dopo momento, e a dare nuova energia alla mente. Con la pratica di Vipassana, per, il meditatore impara a non reagire. A un dato momento non crea pi sankhra, non da nuovi stimoli alla mente. Che accade allora al flusso psichico? Non si ferma subito: al contrario, l'una o l'altra delle reazioni accumulate nel passato affioreranno alla mente per mantenere il flusso. Nascer una risposta condizionata dal passato e su questa base la coscienza continua per un altro momento. Il condizionamento apparir a livello fisico causando il nascere di un particolare tipo di kalpa, che poi si sperimenta come una sensazione nel corpo. Pu forse sorgere un passato sankhra di avversione, manifestandosi in qualit di particelle che si sperimentano come spiacevoli sensazioni brucianti all'interno

del corpo. Se a quelle sensazioni si reagisce con fastidio, si crea nuova avversione: si inizia a dare nuova energia al fluire della coscienza e non si permette pi ad un altro sankhra proveniente dal deposito delle reazioni passate di emergere a livello conscio. Tuttavia, se capita una sensazione spiacevole e non si reagisce, allora non si creano nuovi sankhra. I sankhra scaturiti dal vecchio deposito se ne vanno. Nell'istante successivo un altro sankhra del passato sorge come una sensazione. Di nuovo, se non si reagisce, se ne va. In tal modo, mantenendo l'equanimit, permettiamo alle reazioni accumulate nel passato di affiorare alla mente, una dopo l'altra, manifestandosi come sensazioni. Gradualmente, conservando consapevolezza ed equanimit nei riguardi delle sensazioni, sradichiamo i condizionamenti passati. Finch permangono i condizionamenti di avversione, la tendenza inconscia della mente sar di reagire con avversione allorch si imbatte in qualche esperienza spiacevole. Finch permangono i condizionamenti di bramosia, la mente tender a reagire con bramosia ad ogni situazione piacevole. Vipassana opera erodendo queste risposte condizionate. Mentre procediamo nella pratica, continuiamo a imbatterci in sensazioni piacevoli e spiacevoli, e osservando ciascuna di esse con equanimit, indeboliamo gradualmente, fino a distruggerle, le tendenze alla bramosia e all'avversione. Quando le risposte condizionate di un certo tipo sono sradicate, si liberi da quel tipo di sofferenza. E quando tutte le risposte condizionate sono state sradicate, una dopo l'altra, la mente completamente libera. Colui che ha compreso a fondo questo processo ha detto: In verit impermanenti sono le cose condizionate, avendo esse la natura del nascere e del passare. Se nascono e vengono estinte, il loro sradicamento porta la vera felicit. Ogni sankhra nasce e scompare, per sorgere ancora nell'istante successivo in una ripetizione infinita. Se sviluppiamo la saggezza e cominciamo ad osservare oggettivamente, la ripetizione si ferma per dare il via allo sradicamento. Strato dopo strato, i vecchi sankhra sorgono e vengono sradicati, a patto che non reagiamo. Per quanti sankhra abbiamo sradicato, godremo di altrettanta felicit, la felicit della libert dalla sofferenza. Se tutti i sankhra passati sono sradicati, godiamo la felicit illimitata della piena liberazione. La meditazione Vipassana quindi un tipo di digiuno mentale che ha lo scopo di eliminare i condizionamenti passati. In ogni momento, per tutta la durata della nostra vita, abbiamo generato delle reazioni: ora, conservandoci consapevoli ed equilibrati, abbiamo alcuni momenti in cui non reagiamo e quindi non generiamo nuovi sankhra. Quei pochi momenti, per quanto brevi possano essere, sono molto potenti: mettono in moto il processo inverso, il processo di purificazione. Per far scattare questo processo, non dobbiamo letteralmente fare nulla, dobbiamo cio semplicemente astenerci da ogni nuova reazione. Qualunque sia la causa delle sensazioni che proviamo, vanno osservate con equanimit. L'atto di generare consapevolezza ed equanimit eliminer automaticamente le vecchie reazioni, proprio come l'atto di accendere una lampada disperde l'oscurit di una stanza. Il Buddha ha narrato un giorno la storia di un uomo che aveva fatto molti doni caritatevoli, concludendola con queste parole: Anche se costui ha compiuto gli atti pi caritatevoli, sarebbe stato ancor pi fruttuoso per lui rifugiarsi col cuore disponibile nell'Illuminato, in Dhamma e in tutte le persone sante. E dopo aver fatto questo, sarebbe stato ancor pi fruttuoso per lui impegnarsi col cuore disponibile nei cinque precetti. E dopo di ci, sarebbe stato ancor pi fruttuoso per lui coltivare la benevolenza verso tutti giusto per il tempo necessario a mungere una mucca. E una volta fatto tutto questo, sarebbe stato ancor pi fruttuoso per lui sviluppare la consapevolezza dell'impermanenza giusto per il tempo necessario a schioccare le dita. A volte il meditatore pu essere consapevole della realt delle sensazioni nel corpo solo per un attimo e non reagisce perch ne comprende la natura transitoria. Ma anche questo breve momento avr un effetto potente. Con una pratica paziente, ripetuta, continua, quei pochi momenti di equanimit aumenteranno e i momenti reattivi diminuiranno. Gradualmente l'abitudine mentale alla reazione si interromper e i vecchi condizionamenti saranno sradicati, finch verr il tempo in cui la mente sar liberata da tutte le reazioni, passate e presenti, liberata da tutte le sofferenze. Domande e risposte Questo pomeriggio ho cercato una nuova posizione in cui mi fosse facile sedere a lungo senza muovermi, mantenendo la schiena eretta, ma non ho potuto provare molte sensazioni. Mi chiedo se le sensazioni verranno o se devo ritornare alla vecchia posizione.
DOMANDA:

di creare sensazioni scegliendo una posizione scomoda. Se fosse quello il modo giusto di praticare, vi chiederemmo di sedere su un letto di chiodi! Tali estremi non aiutano. Scegliete una posizione confortevole in cui il corpo sia eretto e lasciate che le sensazioni vengano naturalmente. Non cercate di crearle per forza, consentite loro solo di apparire. Verranno, perch esistono: e se anche vi aspettate una sensazione gi provata in precedenza, ci pu sempre essere qualcos'altro. Ho provato sensazioni pi sottili delle precedenti. Nella mia prima posizione era arduo rimanere seduto per pi di un breve periodo senza muovermi. Allora bene che abbiate trovato una posizione pi confortevole. Ora lasciate che la sensazione sia naturale. Forse alcune sensazioni forti sono scomparse, ed il momento per voi di affrontare quelle pi sottili, ma la mente non ancora tanto acuta per sentirle. Per renderla pi acuta, lavorate sulla consapevolezza della respirazione per un po'. Questo migliorer la concentrazione e vi sar pi facile sentire le sensazioni sottili. Pensavo che fosse meglio provare delle sensazioni forti, perch questo significava che un vecchio sankhra era riemerso. Non necessariamente. Certe impurit appaiono come sensazioni molto sottili. Perch desiderare ardentemente sensazioni forti? Qualsiasi cosa appaia, forte o sottile, il nostro compito di osservarla. Dobbiamo cercare di identificare quale sensazione associata con una data reazione? Sarebbe una perdita inutile di energia. Sarebbe come se qualcuno, lavando un vestito sporco, si fermasse su ogni macchia per controllare ci che l'ha provocata. Questo non lo aiuterebbe nel suo lavoro, che solo quello di pulire il vestito: e per farlo, quel che importa avere un pezzo di sapone da bucato e usarlo nel modo giusto. Se il vestito viene lavato correttamente, tutto lo sporco scompare. Allo stesso modo, chi ha ricevuto il sapone di Vipassana deve usarlo per rimuovere tutte le impurit della mente. Chi ricerca la causa di alcune particolari sensazioni, sta facendo un gioco intellettuale e si dimentica di anicca e di anatt. Questa intellettualizzazione non pu aiutare nessuno a uscire dalla sofferenza. Sono confuso su chi sta osservando e chi o cosa viene osservato. Nessuna risposta intellettuale pu essere soddisfacente. Ciascuno deve indagare per proprio conto. "Che cos' questo Io che sta facendo tutto questo? Chi questo Io?" Bisogna continuare a esplorare, ad analizzare, a vedere se viene fuori un qualche Io; se cos, osservatelo. Se non viene fuori niente, allora bisogna accettare: "Questo Io un'illusione". Alcuni tipi di condizionamenti mentali non sono forse positivi? Perch cercare di sradicarli? I condizionamenti positivi ci motivano a lavorare per la liberazione dalla sofferenza. Ma quando questo scopo ottenuto, tutti i condizionamenti, positivi e negativi, devono essere abbandonati. come usare una zattera per attraversare un fiume. Una volta che il fiume sia stato attraversato, non si continua il viaggio portandosi la zattera in testa. Una volta che servita allo scopo essa diventa inutile e deve essere abbandonata. Allo stesso modo, chi completamente liberato non ha bisogno di condizionamenti. Una persona liberata non a causa di condizionamenti positivi, ma a causa della purezza della mente. Perch sperimentiamo sensazioni spiacevoli quando iniziamo a praticare Vipassana e perch le sensazioni piacevoli arrivano successivamente? Vipassana opera sradicando dapprima le impurit pi grossolane. Quando puliamo un pavimento, dapprima raduniamo i rifiuti pi grossi; quindi, ad ogni passata, raccogliamo la polvere sempre pi fine. Cos nella pratica di Vipassana: dapprima vengono sradicate le impurit mentali pi grossolane, mentre le pi sottili rimangono, apparendo come sensazioni piacevoli. Ma pericoloso sviluppare desiderio per queste sensazioni piacevoli. Quindi dovete stare attenti a non scambiare una piacevole esperienza sensibile per la meta finale. Per sradicare tutte le reazioni condizionate bisogna continuare ad osservare ogni sensazione oggettivamente. Avete affermato che ciascuno di noi ha i suoi panni sporchi, e anche il sapone per lavarli. Oggi mi sento come se fossi rimasto pressoch senza sapone! Questa mattina la mia pratica stata molto intensa, ma nel pomeriggio ho cominciato a sentirmi davvero disperato e arrabbiato, e a chiedermi quale fosse l'utilit di tutto. stato come se, quando ero nel pieno della meditazione, sorgesse a contrastare questa forza un nemico interno l'ego forse a mettermi fuori combattimento.

SATYA NARAYAN GOENKA: Non cercate

Sentivo inoltre di non avere la forza per combatterlo. C' un modo per mettersi da parte cos da non dover combattere tanto duramente, qualche modo intelligente per farlo? Mantenere l'equanimit, ecco la via pi intelligente! Quello che avete sperimentato assai naturale. Quando vi sembrava che la meditazione andasse per il meglio, la mente era equilibrata e penetrava in profondit nell'inconscio. Come risultato di tale operazione in profondit, una reazione del passato stata smossa ed emersa alla superficie della mente, cos nella seduta successiva avete dovuto affrontare una burrasca di negativit. In tale situazione l'equanimit essenziale, perch in caso contrario la negativit avrebbe il sopravvento e non potreste lavorare. Se l'equanimit appare debole, bisogna applicare la consapevolezza del respiro. Quando viene una grossa burrasca, bisogna gettare l'ancora e aspettare che passi. In questi casi, il respiro che funge da ancora. Utilizzatelo, e la burrasca passer. bene che questa negativit sia emersa, dandovi la possibilit di liberarvene. S saprete conservare l'equanimit, scomparir facilmente. Anche se non provo dolore, posso ugualmente avvantaggiarmi da questi esercizi? Se siete consapevoli ed equilibrati allora dolore o non dolore state certamente facendo dei progressi. Non necessario sentire dolore per fare progressi sul sentiero. Se non c' dolore, bisogna accettare il fatto che non c' dolore. Bisogna solo osservare ci che c . Ieri ho avuto un'esperienza in cui tutto il mio corpo si sentiva come dissolto, come se fosse ovunque solo una massa di vibrazioni. S? Quando questo accadeva mi sono ricordato che da bambino avevo avuto un'esperienza simile. Per tutti questi anni ho cercato una via per provare ancora un'esperienza simile. Ed eccola di nuovo. S? Naturalmente volevo che l'esperienza continuasse, la volevo prolungare. Ma essa cambiata e se n' andata. E allora ho cercato di farla tornare ancora, ma senza risultato. Anzi, da questa mattina ho avuto solo esperienze grossolane. S? E poi ho compreso quanto mi rendevo infelice a cercare di ottenere quell'esperienza. S? E poi ho compreso che in realt non siamo qui per fare delle esperienze particolari. Giusto? Giusto. Che in realt siamo qui per imparare ad osservare ogni esperienza senza reagire. Giusto? Giusto. Per cui, ci di cui tratta realmente questa meditazione lo sviluppo dell'equanimit. Giusto? Giusto! Mi sembra che ci voglia un'eternit per eliminare uno alla volta tutti i passati sankhra. Sarebbe cos se ad ogni singolo momento di equanimit corrispondesse un singolo sankhra del passato in meno. Ma nei fatti la consapevolezza delle sensazioni vi porta al livello pi profondo della mente e vi permette di tagliare le radici dei condizionamenti passati. In questo modo, in un tempo relativamente breve potete eliminare interi complessi di sankhra, a patto che la vostra consapevolezza e la vostra equanimit siano forti. E allora quanto tempo occorre per questo processo di purifcazionel

Ci dipende da quanto grande il vostro deposito di sankhra che dovete eliminare, e quanto forte la vostra meditazione. Non potete calcolare il vostro deposito passato, ma potete essere certi che pi meditate seriamente, pi velocemente vi avvicinate alla liberazione. Continuate a lavorare risolutamente verso quella meta. Verr il tempo, pi presto di quanto pensiate, in cui la raggiungerete.

CAPITOLO NONO LA META Qualsiasi cosa abbia la natura del nascere, ha anche la natura del finire. L'esperienza di questa realt l'essenza dell'insegnamento del Buddha. Mente e corpo sono soltanto un insieme di processi che nascono e scompaiono costantemente. La nostra sofferenza sorge quando sviluppiamo attaccamento per i processi, per ci che in realt effimero e non ha sostanza. Se siamo in grado di comprendere direttamente la natura impermanente di questi processi, il nostro attaccamento ad essi svanir. Questo il compito che si assumono i meditatori: capire la propria natura transitoria osservando le sensazioni interne in continuo mutamento. Quando si presenta una sensazione, non reagiscono, ma le permettono di nascere e sparire. Cos facendo consentono ai vecchi condizionamenti mentali di emergere in superficie e sparire. Quando condizionamento e attaccamento cessano, cessa la sofferenza e si sperimenta la liberazione. E un compito lungo, che richiede un'applicazione costante. I benefici compaiono ad ogni passo lungo la via, ma ottenerli richiede uno sforzo ripetuto. Solo esercitandosi con pazienza, perseveranza e continuit il meditatore pu avanzare verso la meta. Il raggiungimento della verit ultima Ci sono tre livelli di progresso sul sentiero. Il primo consiste solo nell'imparare la tecnica, come funziona e perch. Il secondo consiste nel metterla in pratica. Il terzo la penetrazione, cio l'uso della tecnica per penetrare in profondit nella propria realt e perci progredire verso la meta finale. Il Buddha non negava l'esistenza di un mondo apparente di strutture e forme, colori, sapori, odori, dolori e piaceri, pensieri ed emozioni, di esseri se stessi e gli altri. Si limitava ad affermare che questa non la realt ultima. Con la visione ordinaria percepiamo solo i modelli su larga scala in cui i fenomeni pi sottili si organizzano. Vedendo solo i modelli e non i componenti sottostanti, siamo innanzitutto consapevoli delle loro differenze, e quindi facciamo distinzioni, assegniamo etichette, ci formiamo preferenze e pregiudizi, cominciamo a provare piacere e dispiacere: tutto il processo che poi si sviluppa in bramosia e avversione. Per abbandonare l'abitudine alla bramosia e all'avversione, necessario non solo avere una visione completa, ma vedere le cose in profondit, percepire i fenomeni sottostanti che compongono la realt apparente. Questo precisamente ci che la pratica della meditazione Vipassana ci permette di fare. Ogni autoesame inizia naturalmente con l'aspetto pi ovvio di ciascuno di noi: le diverse parti del corpo, le varie membra e i vari organi. Un'ispezione pi ravvicinata rivela che alcune parti del corpo sono solide, altre liquide, altre in movimento, altre ancora ferme. Forse percepiamo la temperatura corporea distinta dalla temperatura dellatmosfera circostante. Tutte queste osservazioni possono aiutarci a sviluppare una maggiore autoconsapevolezza, ma sono ancora dei risultati di un esame della realt apparente in un composto di strutture e forme. Quindi persistono le distinzioni, le preferenze e i pregiudizi, le bramosie e le avversioni. La meditazione ci conduce oltre, attraverso l'esercizio della consapevolezza delle sensazioni interiori, che rivelano senz'altro una realt pi sottile della quale in precedenza eravamo ignoranti. Dapprima siamo consapevoli dei diversi tipi di sensazione nelle diverse parti del corpo, sensazioni che sembrano sorgere, permanere per qualche tempo e finalmente sparire. Sebbene siamo ormai avanzati oltre il livello superficiale, stiamo ancora osservando gli schemi integrati della realt apparente. Per questa ragione non siamo ancora liberi dalla discriminazione, dalla bramosia e dall'avversione. Se continuiamo a praticare con diligenza, prima o poi arriveremo al livello in cui la natura delle sensazioni cambia. Ora siamo consapevoli dell'uniformit delle sensazioni sottili attraverso tutto il corpo: sorgono e spariscono con grande rapidit. Siamo penetrati al di l degli schemi integrati sino a percepire i fenomeni sottostanti di cui sono composti, le particelle subatomiche di cui tutta la materia costituita. Sperimentiamo direttamente la natura effimera di queste particelle, che nascono e scompaiono continuamente. Ora, di tutto ci che osserviamo interiormente, sia esso sangue od ossa, solido o liquido o gassoso, bello o brutto, percepiamo solo una massa di vibrazioni indistinte. Alla fine il processo che ci porta a fare distinzioni e ad assegnare etichette cessa. Abbiamo esperienza di ci che c' all'interno della struttura dei nostri corpi, la verit ultima della materia: un flusso costante, che nasce e scompare. Analogamente, la realt apparente dei processi mentali pu essere penetrata sino ai livelli pi sottili. Per esempio, capita un momento di piacere o di dispiacere, basato su un condizionamento passato. Il momento seguente la mente ripete la reazione di piacere o dispiacere e la rinforza attimo per attimo fino a svilupparla in bramosia o avversione. Di solito siamo consapevoli solo delle reazioni intensificate. Con questa percezione superficiale, cominciamo a identificare e discriminare tra piacevole e spiacevole, buono e cattivo, voluto e non voluto. Ma un'emozione intensificata si comporta esattamente come una realt materiale apparente: quando iniziamo a esaminarla osservando le sensazioni interiori, essa si dissolve. Cos come la materia non altro se non sottili ondicine di particelle subatomiche, cos una forte emozione solo la forma consolidata di piaceri e dispiaceri momentanei, di momentanee reazioni alle sensazioni. Una volta che una forte emozione si sia dissolta in forme pi sottili, non ha pi il potere di sopraffarci. Dall'osservazione delle diverse sensazioni consolidate nelle diverse parti del corpo avanziamo verso la consapevolezza delle sensazioni pi sottili di natura uniforme, che nascono e svaniscono costantemente in tutta la struttura fisica. A causa della grande rapidit con cui le sensazioni compaiono e scompaiono, possono essere sperimentate come un flusso di vibrazioni, una corrente che si muove attraverso il corpo. Ovunque fissiamo l'attenzione all'interno della struttura fisica, non siamo consapevoli di null'altro se non del nascere e dello svanire. Ogni volta che nella niente sorge un pensiero siamo consapevoli delle sensazioni fisiche che lo accompagnano, le quali sorgono e svaniscono. L'apparente solidit del corpo e

della mente si dissolve, e noi sperimentiamo la realt ultima della materia, della mente e delle formazioni mentali: null'altro se non vibrazioni, oscillazioni, che sorgono e svaniscono con grande rapidit. Colui che ha sperimentato questa verit disse: Tutto il mondo in fiamme, tutto il mondo va in fumo. Tutto il mondo sta bruciando, tutto il mondo in vibrazione. Per raggiungere questo livello di dissoluzione (bhanga), il meditatore non deve far altro che sviluppare la consapevolezza e l'equanimit. Cos come uno scienziato pu osservare i pi minuti fenomeni aumentando l'ingrandimento del microscopio, sviluppando la consapevolezza e l'equanimit si aumenta l'abilit di osservare le realt interiori pi sottili. Questa esperienza, quando avviene, certamente molto piacevole. Tutti i mali e i dolori sono dissolti, tutte le aree prive di sensazioni sono scomparse. Ci si sente in pace, felici, colmi di beatitudine. Il Buddha la descrive cos: Ogni volta che si sperimenta il sorgere e lo svanire dei processi fisici e mentali, si sperimenta beatitudine e gioia. Si ottiene l'immortalit, come l'ha realizzata il saggio. La beatitudine sorger sicuramente allorch si avanza sul sentiero, quando l'apparente solidit della mente e del corpo si dissolta. Compiaciuti da questa gradevole situazione, potremmo pensare che sia la meta finale. Ma solo una stazione di transito. Da questo punto in poi avanziamo ulteriormente per sperimentare la verit ultima al di l della mente e della materia, per raggiungere la completa libert dalla sofferenza. Il significato di queste parole del Buddha ci diventa molto chiaro attraverso la pratica meditativa. Penetrando dalla realt apparente a quella sottile, iniziamo a godere del flusso delle vibrazioni attraverso il corpo. Poi improvvisamente il flusso se ne va. Di nuovo facciamo esperienza di sensazioni intense e spiacevoli in alcune parti, mentre altre parti rimangono insensibili. Di nuovo possiamo anche sperimentare un'intensa emozione nella mente. Se cominciamo a provare avversione per questa nuova situazione e a desiderare che il flusso ritorni, non abbiamo compreso correttamente la meditazione Vipassana, anzi l'abbiamo scambiata per un gioco il cui scopo di ottenere esperienze piacevoli ed evitare o eliminare quelle spiacevoli. Ed lo stesso gioco che abbiamo fatto per tutta la vita: il circolo senza fine dello spingere e del tirare, dell'attrazione e della repulsione, che conduce solo all'infelicit. Non appena la saggezza aumenta, scopriamo tuttavia che l'avvicendarsi di sensazioni forti, anche dopo l'esperienza di dissoluzione, non indica una regressione quanto piuttosto un progresso. Chi pratica Vipassana non lo fa con lo scopo di sperimentare un particolare tipo di sensazione, ma per liberare la mente da tutti i condizionamenti. Se reagiamo alle sensazioni, accresciamo la sofferenza. Se rimaniamo equilibrati, ci sbarazziamo di qualche condizionamento e la sensazione diviene un mezzo per liberarci dalla sofferenza. Osservando le sensazioni spiacevoli senza reagire, sradichiamo l'avversione. Osservando le sensazioni piacevoli senza reagire, sradichiamo la bramosia. Osservando le sensazioni neutre senza reagire, sradichiamo l'ignoranza. Perci nessuna sensazione, nessuna esperienza intrinsecamente buona o cattiva. buona se chi la prova mantiene l'equilibrio; cattiva se fa perdere l'equanimit. Con questa conoscenza, possiamo utilizzare ogni sensazione come uno strumento per sradicare i condizionamenti. Questo lo stadio del sankhra-upekkh, dell'equanimit verso tutti i condizionamenti, che conduce passo dopo passo alla verit ultima della liberazione, il nibbna. L'esperienza della liberazione La liberazione possibile. Si pu raggiungere la libert da tutti i condizionamenti, da tutte le sofferenze. Il Buddha ha spiegato: C' una sfera di esperienza, che sta al di l dell'intero campo della materia, dell'intero campo della mente, che non n questo n un altro mondo, n entrambi, n la luna, n il sole. ci che io non chiamo n sorgere, n svanire, n durare, n morire o rinascere. Non ha sostegno, non ha sviluppo, non ha fondamento. questa la fine della sofferenza. Ha detto anche: C' un non nato, un non divenuto, un non creato, un non condizionato. Se non ci fosse un non nato, un non divenuto, un non creato, un non condizionato, come si potrebbe conoscere un modo per liberarsi dal nato, dal divenuto, dal creato, dal condizionato? Ma dal momento che c' un non nato, un non divenuto, un non creato, un non condizionato, allora conosciamo una via per liberarci dal nato, dal divenuto, dal creato, dal condizionato. Il nibbna non solo la condizione alla quale si perviene dopo la morte; qualcosa da sperimentare dentro di s qui e ora. descritto in termini negativi non perch sia un'esperienza negativa, ma perch non abbiamo nessun altro modo per

descriverlo. Ogni linguaggio ha parole concernenti l'intera gamma dei fenomeni fisici e mentali, ma non ci son parole o concetti per descrivere qualcosa che al di l della mente e della materia, che sfida tutte le categorie, tutte le distinzioni. Possiamo descriverlo solo dicendo ci che non . Di fatto, non ha senso cercare di descrivere il nibbna. Qualsiasi descrizione potr solo confondere. Pi che discuterlo o studiarlo, ci che importa sperimentarlo. La nobile verit della cessazione della sofferenza deve essere realizzata da se stessi , ha affermato il Buddha. Quando qualcuno sperimenta il nibbna, solo allora esso diviene reale per lui, e tutte le argomentazioni su di esso diventano irrilevanti. Per sperimentare la verit ultima della liberazione necessario in primo luogo penetrare oltre la realt apparente e sperimentare la dissoluzione del corpo e della mente. Pi si penetra oltre la realt apparente, pi si abbandona la bramosia, l'avversione e l'attaccamento, pi ci si avvicina alla verit ultima. Un passo dopo l'altro, a un certo punto si raggiunger naturalmente un livello in cui il passo seguente costituito dall'esperienza del nibbna. Non esiste una particolare ragione per desiderarlo ardentemente n per dubitare che arriver. Deve arrivare per tutti quelli che praticano correttamente Dhamma. Quando, nessuno pu dirlo. Dipende in parte dall'accumulo di condizionamenti che ognuno ha, in parte dagli sforzi messi in atto per sradicarli. Tutto ci che si pu fare, tutto ci che bisogna fare per raggiungere lo scopo, di continuare ad osservare ogni sensazione senza reagire. Non possiamo decidere quando sperimenteremo la verit ultima del nibbdna, ma possiamo verificare se stiamo progredendo verso di essa controllando lo stato attuale della nostra mente. Conservando l'equanimit in tutte le situazioni che si presentano fuori e dentro di noi, in quel preciso momento raggiungiamo la liberazione. Chi ha conseguito la meta ultima ha affermato: Estinzione della bramosia, estinzione dell'avversione, estinzione dell'ignoranza: questo chiamato nibbdna. Nella misura in cui l mente sar libera da queste negativit, si sperimenter la liberazione. gni momento in cui pratichiamo correttamente Vipassana possiamo sperimentare questa liberazione. Dopo tutto, per definizione, Dharnma deve dare dei risultati qui ed ora, non solo nel futuro. Dobbiamo sperimentare i suoi benefici ad ogni passo compiuto sulla via, ed ogni passo deve condurci direttamente verso la meta. La mente che in un dato momento libera dai condizionamenti, una mente in pace. Ciascuno di questi momenti ci porta pi vicino alla liberazione totale. Non possiamo sforzarci di sviluppare il nibbdna, dal momento che il nibbdna non si sviluppa, semplicemente . Possiamo per sforzarci si sviluppare la qualit che ci conduce al nibbdna, la qualit dell'equanimit. Ogni momento in cui osserviamo la realt senza reagire, penetriamo nella verit ultima. La pi alta espressione della mente l'equanimit basata sulla piena consapevolezza della realt. La vera felicit Una volta al Buddha venne chiesto di spiegare cosa fosse la vera felicit. Egli elenc varie azioni benefiche che producono felicit, degli autentici stati di felicit. Esse rientrano tutte in due categorie: azioni che contribuiscono al benessere degli altri adempiendo a tutte le responsabilit nei confronti della famiglia e della societ, e azioni che purificano la mente. Il proprio bene non separabile dal bene degli altri. Alla fine disse: Di fronte agli alti e bassi della vita la mente rimane sempre equilibrata, non si lamenta, non genera impurit, si sente sempre sicura; questa la felicit pi grande. Qualsiasi cosa nasca, sia all'interno del proprio microcosmo mentale o fisico, che nel mondo esterno, pu essere fronteggiata: non con la tensione, n con la soppressione della bramosia o dell'avversione, bens con una calma totale, col sorriso che proviene dalle profondit della mente. In ogni situazione, piacevole o spiacevole, voluta o non voluta, non si prova ansia, ci si sente totalmente sicuri, di quella sicurezza che proviene dalla comprensione dell'impermanenza. Questa la felicit pi grande. Sapere che siete padroni di voi stessi, che nulla vi pu sopraffare, che potete accettare con un sorriso qualsiasi cosa la vita vi offra: questo il perfetto equilibrio mentale, la vera liberazione. Questo ci che si pu ottenere qui ed ora praticando la meditazione Vipassana. Questa vera equanimit non puramente negativa, e nemmeno fredda indifferenza. Non la cieca acquiescenza o l'apatia di chi cerca di sfuggire ai problemi della vita, di chi cerca di nascondere la testa nella sabbia. Piuttosto, il vero equilibrio mentale basato sulla piena consapevolezza dei problemi, la consapevolezza di tutti i livelli della realt. L'assenza di bramosia e avversione non implica un'attitudine di arida indifferenza, in cui si gode della propria liberazione ma non ci si da pensiero della sofferenza degli altri. Al contrario, la vera equanimit chiamata propriamente santa indifferenza. una qualit dinamica, un'espressione di purezza mentale. Libera dall'abitudine alla reazione cieca, per la prima volta la mente pu intraprendere un'azione positiva, e in quanto tale creativa, produttiva e benefica per se stessi e per tutti gli altri. Insieme con l'equanimit sorgeranno le altre doti di una mente pura: benevolenza, amore che cerca il bene degli altri senza aspettarsi nulla in cambio, compassione per gli altri, per le loro debolezze e le loro sofferenze, gioia e simpatia per i loro successi e la loro fortuna. Queste quattro qualit sono l'inevitabile conseguenza della pratica di Vipassana. Se prima si cercava sempre di conservare tutto il buono per s e di scaricare sugli altri le esperienze negative, ora si comprende che la propria felicit non pu essere conseguita a spese degli altri, e che dare felicit agii altri porta felicit a

se stessi. Quindi si cerca di spartire con gli altri tutto ci che di buono si possiede. Usciti dalla sofferenza e sperimentata la pace della liberazione, si comprende che questo il bene pi grande. Di conseguenza si desidera che anche gli altri possano sperimentare questo bene e cercare la via per uscire dalla sofferenza. Questa la conclusione logica della meditazione Vipassana: mett-bhvan, lo sviluppo della benevolenza verso gli altri. Se in precedenza si approvavano a parole tali sentimenti mentre in profondit i processi di bramosia e avversione continuavano, ora, in qualche misura, il processo reattivo si fermato, la vecchia abitudine all'egoismo scomparsa e la benevolenza fluisce con naturalezza dalle profondit della mente. Con l'immensa forza della mente pura, la benevolenza pu contribuire moltissimo a creare un'atmosfera pacifica e armoniosa a beneficio di tutti. Ci sono persone che pensano che essere sempre equanimi significa non godere pi la vita nelle sue infinite variet, come se un pittore che ha a disposizione una tavolozza piena di colori decidesse di usare solo il grigio, o chi, avendo a disposizione un pianoforte, decidesse di suonare sempre e solo un'unica nota. un concetto sbagliato dell'equanimit. Il problema vero che il piano scordato e noi non sappiamo come suonarlo. Pestare semplicemente sui tasti in nome dell'auto-espressione creer soltanto dissonanze. Ma se impariamo ad accordare lo strumento e a suonarlo correttamente, allora potremo fare della musica usando tutta la tastiera dalla nota pi bassa alla pi alta: e ciascuna di esse creer soltanto armonia e bellezza. Il Buddha disse che purificando la mente e conseguendo la saggezza fino alla sua massima perfezione , si prova gioia, beatitudine, tranquillit, consapevolezza, piena comprensione, vera felicit . Con una mente equilibrata si pu godere meglio la vita. Se si in possesso di una consapevolezza acuta e totale del momento presente, quando capita una situazione piacevole, la si pu assaporare completamente. Ma quando l'esperienza finisce, non ne siamo angustiati. Continuiamo a sorridere, comprendendo che era destinata a cambiare. Allo stesso modo, in presenza di una situazione spiacevole, non ci turbiamo, ma al contrario la comprendiamo e in questo modo possiamo persino trovare il mezzo di cambiarla. Se ci non in nostro potere, restiamo comunque in pace, ben sapendo che ogni esperienza impermanente, destinata a passare. In tal modo, mantenendo la mente libera dalle tensioni, la nostra vita pu essere pi piacevole e produttiva. Si racconta che in Birmania c'era gente che criticava gli studenti di Sayagyi U Ba Khin, perch non tenevano quel contegno serio che proprio di chi pratica la meditazione Vipassana. Questi critici ammettevano che durante il corso gli studenti si impegnavano seriamente, come veniva loro chiesto, ma in seguito apparivano sempre felici e sorridenti. Quando le critiche giunsero all'orecchio di Webu Sayadaw, uno dei monaci pi rispettati del paese, egli replic: Sorridono perch possono sorridere . Il loro non era un sorriso dovuto ad attaccamento o ignoranza, ma al Dhamma. Chi ha ripulito la mente non va in giro col viso arcigno. Quando la sofferenza rimossa, il sorriso affiora spontaneo. Quando si apprende la via della liberazione, ci si sente naturalmente felici. Questo sorriso che viene dal cuore, che solo espressione di pace, equanimit e benevolenza, un sorriso che resta luminoso in ogni situazione, la vera felicit. Questo il fine di Dhamma. Domande e risposte
DOMANDA:

Mi chiedo se possiamo trattare i pensieri ossessivi allo stesso modo in cui trattiamo il dolore fisico.

SATYA NARAYAN GOENKA: Basta accettare

il fatto che nella mente c' un pensiero ossessivo o un'emozione, qualcosa che era stato profondamente soppresso e ora affiorato a livello conscio. Non scendete in dettagli, ma limitatevi ad accettare l'emozione come emozione. E assieme ad essa, che tipo di sensazione provate? Non ci pu essere un'emozione senza una sensazione a livello fisico. Incominciate a osservare quella sensazione. Quindi dobbiamo osservare la sensazione collegata con quella particolare emozione?

Osservate qualsiasi sensazione sorga. Non potete scoprire quale sensazione sia collegata con quell'emozione, per cui non cercate di farlo; significherebbe indulgere in uno sforzo inutile. Nel momento in cui nella mente c' un'emozione, qualsiasi sensazione si provi a livello fisico in rapporto con quell'emozione. Limitatevi a osservare la sensazione e a capire: Queste sensazioni sono ancca. Anche questa emozione anicca. Vediamo un po' quanto dura: Scoprirete che l'emozione scompare perch ne avete estirpato le radici. Volete dire che l'emozione e la sensazione sono le stesse. Sono le due facce della stessa moneta. L'emozione mentale e la sensazione fisica, ma sono in relazione. Di fatto ogni emozione, qualsiasi cosa sorga nella mente, deve nascere insieme ad una sensazione nel corpo. una legge di natura. Ma l'emozione in se stessa un contenuto mentale? Un contenuto mentale, certamente. Ma la mente anche tutto il corpo?

E strettamente collegata a tutto il corpo. La coscienza in tutti gli atomi del corpo? S. Ecco perch una sensazione collegata con una particolare emozione pu nascere ovunque dentro il corpo. Se os servate la sensazione attraverso il corpo, state anche osservando la sensazione collegata con quell'emozione. E cos uscite fuori dall'emozione. Se ce ne stiamo seduti, ma non siamo in grado di provare una sensazione, l'esercizio ugualmente utile? Se sedete e osservate la respirazione, essa calmer la mente e la porter alla concentrazione; ma il processo di pulizia non pu operare ai livelli pi profondi se non provate delle sensazioni. Nelle profondit della mente, le reazioni iniziano con le sensazioni, che costantemente si succedono l'una all'altra. Durante la vita quotidiana, se abbiamo alcuni momenti liberi, utile fermarsi e osservare le sensazioni? S. Anche ad occhi aperti, quando non avete altro da fare, dovete essere consapevoli delle sensazioni all'interno di voi stessi. Un maestro come riconosce che un allievo ha sperimentato il nibbna? Ci sono vari modi per verificare quando qualcuno sta effettivamente sperimentando il nibbna. Per questo un maestro deve ricevere un'educazione appropriata. Come possono i meditatori riconoscerlo da soli? Dai cambiamenti che intervengono nella loro vita. Chi ha realmente sperimentato il nibbna diventa una persona nobile, santa, con una mente pura. Non trasgredisce in alcun modo i cinque precetti di base, non nasconde gli errori ma li ammette apertamente e cerca in tutti i modi di non ripeterli. L'attaccamento a riti e cerimonie scompare, perch essi li riconoscono come forme esteriori, vuote, senza un'esperienza reale. Hanno una fiducia inamovibile nel sentiero che li conduce alla liberazione, non continuano a cercare altre strade. E, infine, in essi l'illusione dell'ego sar frantumata. Se .qualcuno afferma di avere sperimentato il nibbna, ma la sua niente rimane impura come prima, al pari delle sue azioni che restano nocive, allora c' qualcosa di sbagliato. Il suo stile di vita deve mostrare se lo ha realmente sperimentato. Non consono a un maestro rilasciare certificati agli studenti per annunciare che hanno conseguito il nibbna. Tutto si trasformerebbe in una gara di accrescimento del l'ego sia per l'insegnante che per gli studenti. Gli studenti cercherebbero solo di ottenere un certificato, e pi certificati un maestro rilascia, pi alta la sua reputazione. L'sperienza del nibbna diventa secondaria, il certificata acquista un'importanza primaria e tutto diventa un folle gioco. Il puro Dhamma esiste solo per aiutare la gente, la soddisfazione pi grande quella di constatare che uno studente ha veramente sperimentato il nibbna e si liberato. Lo scopo del maestro e dell'insegnamento di aiutare sul serio la gente, e non quello di pubblicizzare l'ego Non un gioco. Come paragonereste la psicoanalisi a Vipassana? Con la psicoanalisi si cerca di richiamare alla coscienza gli avvenimenti passati che hanno esercitato una forte influenza nel condizionare la mente. Vipassana, d'altra parte, conduce il meditatore ai livelli pi profondi della mente dove, di fatto, inizia il condizionamento. Ogni episodio che la psicoanalisi cerca di far affiorare ha registrato anche una sensazione a livello fisico. Osservando le sensazioni fisiche attraverso il corpo con equanimit, il meditatore permette ad innumerevoli strati di condizionamento d emergere e scomparire. Egli si confronta con le radici del condizionamento e pu liberarsene rapidamente e facilmente. Cos' la vera compassione? il desiderio di servire la gente, di aiutarla a uscire dalla sofferenza. Ma una cosa che deve essere fatta senza attaccamento. Chi piange sulla sofferenza degli altri, si rende solo infelice. Non questo il sentiero di Dhamma. Chi prova vera compassione, cercher di aiutare gli altri con amore, con tutte le sue capacit. Se fallisce, sorride e cerca un altro modo per aiutare; lavora senza preoccupa dei risultati del suo servizio. Questa la vera compassione, che nasce da una mente equilibrata. Volete dire che Vipassana il solo modo per raggiungere lilluminazione? L'illuminazione si raggiunge esaminando se stessi ed eliminando i condizionamenti. E fare questo Vipassai qualsiasi nome gli possiate dare. Alcune persone non hanno mai sentito parlare di Vipassana, e tuttavia in esse il processo ha

iniziato ad operare spontaneamente. Giudicando dalle loro parole, sembra che questo sia stato il caso di diversi santi in India. Ma poich essi non avevano appreso il procedimento con gradualit, non sono stati capaci di spiegarlo agli altri con chiarezza. Qui esiste la possibilit di apprendere passo per passo il metodo che porta: all'illuminazione. Voi definite Vipassana un'arte di vivere universale, ma questo non confonde le persone di altre religioni che praticano? Vipassana non si fa passare per una religione in comptezione con altre religioni. Ai meditatori non viene chiesto di sottoscrivere ciecamente una dottrina filosofica, ma viene loro chiesto di accettare soltanto ci che essi sperimentano come vero. La cosa pi importante non la teoria, ma la pratica, e ci significa condotta morale, concentrazione e comprensione profonda della realt che purifica la mente. Quale religione pu fare obiezioni a ci? come potrebbe confondere qualcuno? Date importanza alla pratica e verificherete che tali dubbi si risolveranno automaticamente.

CAPITOLO DECIMO

L'ARTE DI VIVERE
Fra tutti i pregiudizi che abbiamo su noi stessi, il pi radicato quello secondo cui esiste un s. Sulla base di questa presunzione ognuno di noi da la pi grande importanza al s, considerandolo il centro del proprio universo, e questo anche se possiamo facilmente constatare che fra tutti gli innumerevoli mondi esistenti, il nostro solo uno, e che fra tutti gli innumerevoli esseri del nostro mondo, ancora una volta questo s solo uno. Per quanto possiamo dilatarlo, il s rimane trascurabile se paragonato all'immensit del tempo e dello spazio. La nostra idea del s ovviamente un errore. Nonostante ci, dedichiamo la vita a cercare di autorealizzarci, ritenendo che sia questa la via per la felicit. Il pensiero di vivere in un modo diverso ci sembra innaturale, se non addirittura spaventoso. Chiunque pu sperimentare quanto si soffra a rimanere sempre chiusi in se stessi. Finch saremo sempre preoccupati dei nostri desideri e timori, delle nostre identit, saremo confinati dentro la stretta prigione del s, tagliati fuori dal mondo, dalla vita. Uscire da questa ossessione del s davvero una liberazione, che ci rende capaci di entrare nel mondo, di essere aperti alla vita e agli altri, di cercare una vera realizzazione. Non necessario negare il s, o reprimerlo, ma liberarsi dalla errata idea del s. E per raggiungere questa liberazione dobbiamo comprendere che ci che noi chiamiamo s in realt una cosa effimera, un fenomeno in costante mutamento. La meditazione Vipassana una via per raggiungere questa comprensione profonda. Finch non si consegue un'esperienza personale della natura transitoria del corpo e della mente, si costretti a rimanere intrappolati nell'egoismo, e quindi a soffrire. Ma una volta che l'illusione della permanenza viene frantumata, l'illusione dell'Io scompare automaticamente e la sofferenza svanisce. Per il meditatore Vipassana, anicca, la realizzazione della natura effimera del s e del mondo, la chiave che apre la porta della liberazione. L'importanza di comprendere l'impermanenza un tema che attraversa tutto l'insegnamento del Buddha come un filo conduttore. Egli ha detto: Meglio un sol giorno di vita vedendo la realt del nascere e dello svanire che cent'anni di esistenza rimanendo ciechi di fronte a questo. Il Buddha ha paragonato la consapevolezza dell'impermanenza a un vomere che estirpa tutte le radici; al culmine di un tetto, pi alto di tutte le travi che lo sorreggono; a un potente governatore che esercita il potere sui suoi vassalli; alla luna, il cui splendore oscura le stelle; al sorgere del sole, che disperde tutta l'oscurit del ciclo. Le sue ultime parole prima di morire sono state: Tutti i sankhra tutte le cose create sono soggetti al decadimento. Esercitatevi con diligenza per comprendere questa verit. La verit di anicca non deve essere solo accettata intellettualmente, n per emozione o devozione. Ognuno di noi deve sperimentare la realt di anicca dentro di s. La comprensione diretta dellimpermanenza e, con essa, della natura illusoria dell'ego e della sofferenza, costituisce la vera visione che conduce alla liberazione. questa la giusta comprensione. Il meditatore sperimenta questa saggezza liberatoria al culmine della pratica di sla, samdhi e panna. Senza impegnarsi in queste tre pratiche, senza procedere un passo dopo l'altro lungo il sentiero, non si pu arrivare alla vera comprensione profonda della realt e alla liberazione dalla sofferenza. Ma persino prima di iniziare la pratica occorre possedere una qualche saggezza, forse solo una sorta di riconoscimento intellettuale della verit della sofferenza. Senza tale comprensione, anche se superficiale, il pensiero di lavorare per liberarsi dalla sofferenza non si affaccerebbe mai alla niente. La giusta comprensione viene per prima , ha detto il Buddha. I primi passi sul Nobile Ottuplice Sentiero sono infatti la giusta comprensione e il giusto pensiero. Dobbiamo vedere il problema e decidere di affrontarlo. Solo allora possibile impegnarsi nella pratica effettiva di Dhamma. Iniziamo a intraprendere il sentiero praticando la moralit, seguendo i precetti per regolare le nostre azioni. Con la pratica della concentrazione, iniziamo a occuparci della mente, sviluppando samdhi con la consapevolezza del respiro; e osservando le sensazioni in tutto il corpo, sviluppiamo la saggezza basata sull'esperienza che libera la mente dal condizionamento. E quando la vera comprensione nasce dalla propria esperienza, di nuovo la giusta comprensione diviene il primo passo lungo il sentiero. Avendo compreso, attraverso la pratica di Vipassana, che la propria natura in continuo mutamento, il meditatore libera la mente dalla bramosia, dall'avversione e dall'ignoranza. Con una mente cos pura impossibile persine pensare di far del male agli altri. Al contrario, i pensieri sono colmi unicamente di benevolenza e compassione per tutti. Nel parlare, nell'agire, nel procurarsi i mezzi di sussistenza, si vive una vita degna, serena e pacifica. E con la tranquillit che deriva dalla pratica della moralit, diviene pi facile sviluppare la concentrazione. E pi forte la concentrazione, pi penetrante sar la propria saggezza. Il cammino dunque una spirale ascendente verso la liberazione. Ognuna di queste tre pratiche sostiene l'altra, come le tre gambe di un tripode. Devono esserci tutte le gambe, ed essere tutte di eguale lunghezza, perch il tripode stia in piedi. Similmente, per sviluppare equamente tutte le sfaccettature del sentiero, il meditatore deve praticare insieme sila, samdhi e panna. Il Buddha ha detto:

Dalla giusta comprensione proviene il giusto pensiero; dal giusto pensiero proviene il giusto parlare; dal giusto parlare proviene la giusta azione; dalla giusta azione provengono i giusti mezzi di sussistenza; dai giusti mezzi di sussistenza proviene il giusto sforzo; dal giusto sforzo proviene la giusta consapevolezza; dalla giusta consapevolezza proviene la giusta concentrazione; dalla giusta concentrazione proviene la giusta saggezza; dalla giusta saggezza proviene la giusta liberazione. La meditazione Vipassana ha anche un profondo valore pratico, qui e ora. Nella vita quotidiana si presentano innumerevoli situazioni che minacciano l'equanimit della mente. Sorgono difficolt inaspettate, e inaspettatamente altri ci contrastano. Dopo tutto limitarsi ad apprendere la tecnica Vipassana non ci garantisce che non avremo altri problemi, come imparare a governare una barca non significa che si faranno solo viaggi tranquilli. Le burrasche sono destinate a venire, i problemi sono destinati a nascere. Cercare di sfuggire ad essi futile e autodistruttivo. Al contrario, la linea giusta di utilizzare tutto ci che si appreso allo scopo di uscire illesi dalla burrasca. Per giungere a questo, per prima cosa dobbiamo comprendere la vera natura del problema. L'ignoranza ci porta ad incolpare gli eventi esterni o le persone, a considerarli fonte delle difficolt e quindi a impiegare tutte le nostre energie per modificare la situazione esterna. Ma con la pratica di Vipassana ci accorgeremo che nessun altro oltre a noi stessi responsabile della nostra felicit o infelicit. Il problema sta nell'abitudine a reagire ciecamente. Quindi dobbiamo fare attenzione alla burrasca interna delle reazioni condizionate della mente. Non basta decidere di non reagire. Finch i condizionamenti rimangono nell'inconscio, prima o poi sono destinati a emergere e a dominare la mente, nonostante tutte le decisioni contrarie. La sola, vera soluzione quella di imparare a osservare e a cambiare noi stessi. Se questo abbastanza facile da comprendere, renderlo effettivo pi difficile. Innanzitutto, come fare ad osservarsi? Nella mente iniziata una reazione negativa: ira, paura, odio. Prima che ci si possa ricordare di osservarla, gi ne siamo sopraffatti e ci esprimiamo o agiamo a nostra volta negativamente. In seguito, dopo che il danno stato fatto, riconosciamo l'errore e ci pentiamo, ma la volta successiva ripetiamo lo stesso comportamento. Oppure, supponiamo che accorgendoci di avere innescato una reazione di ira si cerchi realmente di osservarla. Non appena ci si prova, ci si rammenta della persona o della situazione che ci ha fatto adirare. Insistere su questo intensifica l'ira. Come si vede, osservare l'emozione dissociata dalla causa o dalle circostanze va ben oltre le capacit della maggior parte di noi. Ma indagando la realt ultima della mente e della materia, il Buddha ha scoperto che ogni volta che nella mente sorge una reazione, a livello fisico avvengono due tipi di cambiamenti. Uno di essi facilmente riconoscibile il respiro diventa leggermente irregolare l'altro di natura pi sottile: nel corpo ha luogo una reazione biochimica, una sensazione. Attraverso un apposito allenamento, una persona di media intelligenza pu facilmente sviluppare la capacit di osservare sia la respirazione che le sensazioni. Questo ci permette di utilizzare i cambiamenti intervenuti nella respirazione e le sensazioni come segnali che ci avvertono di una reazione negativa molto prima che essa possa gradatamente acquistare una forza pericolosa. E se poi continueremo ad osservare la respirazione e la sensazione, ci sar facile uscire dalla negativit. L'abitudine alla reazione comunque profondamente radicata e non pu essere rimossa subito del tutto. Nella vita quotidiana per, non appena avremo perfezionato la nostra pratica della meditazione Vipassana, noteremo almeno alcune occasioni in cui, invece di reagire involontariamente, ci limitiamo ad osservarci. Con gradualit i momenti di osservazione aumentano, mentre i momenti di reazione diventano meno frequenti. Anche se reagiamo negativamente, il periodo e l'intensit della reazione diminuiscono. Alla fine, anche nelle situazioni pi provocatorie saremo in grado di osservare la respirazione e la sensazione e di rimanere calmi ed equilibrati. Con questo equilibrio, questa equanimit ai livelli mentali pi profondi, si diviene capaci per la prima volta di un'azione reale: e l'azione reale sempre positiva e creativa. Per esempio, invece di rispondere automaticamente nello stesso modo alla negativit degli altri, possiamo scegliere una risposta che sia la pi benefica possibile. Quando viene affrontata da qualcuno in preda all'ira, una persona ignorante si adira anch'essa, e il risultato una lite che causa infelicit a entrambi. Ma restando calmi ed equilibrati si possono aiutare gli altri a superare l'ira e ad affrontare costruttivamente i problemi. Osservare le nostre sensazioni ci insegna che ogniqualvolta veniamo sopraffatti dalla negativit, soffriamo. Quindi, ogniqualvolta vediamo gli altri reagire negativamente, comprendiamo che stanno soffrendo, e questa comprensione ci porta a provare compassione per loro e a fare in modo di aiutarli a liberarsi dall'infelicit, non certo a renderli pi infelici. Rimanendo in pace e sereni, aiutiamo gli altri a essere in pace e sereni. Sviluppare consapevolezza ed equanimit non ci rende passivi e inerti come dei vegetali, permettendo al mondo di fare di noi quel che gli aggrada. N, assorti nel conseguimento della pace interiore, diveniamo indifferenti alle sofferenze degli altri. Il Dhamma ci insegna a prenderci la responsabilit non solo del nostro benessere, ma altres di quello degli altri. Facciamo tutto ci che necessario per aiutare gli altri, conservando per sempre la mente equilibrata. Vedendo un bambino affondare nelle sabbie mobili, una persona stolta perde la testa e segue il bambino, facendo anch'essa una brutta fine. Una persona saggia, che non perde la calma e l'equilibrio, cerca un ramo con cui pu raggiungere il

bambino e trarlo in salvo. Seguire gli altri nelle sabbie mobili della bramosia e dell'avversione non aiuter nessuno. Dobbiamo portare gli altri sul terreno solido dell'equilibrio mentale. Spesso nella vita necessaria un'azione di forza. Per esempio, capitato a tutti di cercare di spiegare a qualcuno, con un linguaggio educato e gentile, che sta facendo un errore, ma l'interessato ignora l'avvertimento, essendo in grado di capire soltanto parole e azioni dure. A questo punto, per farsi intendere, bisogna necessariamente passare ad azioni pi energiche. Tuttavia, prima di agire, dobbiamo esaminarci per stabilire se la mente equilibrata e se nutriamo solo amore e compassione per la persona che si sta comportando male. Se cos, lazione sar utile, altrimenti non aiuteremo realmente nessuno. Se il nostro intervento dettato dall'amore e dalla compassione, non possiamo sbagliare. Quando vediamo una persona forte attaccarne una pi debole, abbiamo la responsabilit di cercare di fermare quest'azione dannosa: del resto, ci che farebbe qualsiasi individuo ragionevole, anche se probabilmente mosso da piet per la vittima e da collera per l'aggressore. I meditatori di Vipassana, da parte loro, proveranno compassione per entrambi in uguale misura, ben sapendo che la vittima deve essere protetta dal danno e l'aggressore dal danneggiarsi con il suo comportamento nocivo. Esaminare la propria mente prima di passare alle maniere forti estremamente importante; non basta limitarsi a giustificare in retrospettiva l'azione. Se non sperimentiamo di persona la pace e l'armonia interiori, non possiamo promuovere la pace e l'armonia in nessun altro. Come meditatori di Vipassana impariamo a praticare un distacco impegnato, ad essere sia compassionevoli che spassionati. Lavorando per sviluppare consapevolezza ed equanimit, lavoriamo per il bene di tutti. Se il nostro contributo non fosse che quello di evitare di accrescere le tensioni esistenti nel mondo, avremmo comunque compiuto un'azione benefica. In verit l'azione equanime ha risonanza perch silenziosa, ricca di ripercussioni a largo raggio e destinata a incidere positivamente su molti. Dopotutto, la negativit mentale nostra o altrui la causa principale delle sofferenze del mondo. Quando la mente ha raggiunto la purezza, l'infinita variet della vita si spalanca ai nostri occhi e ci concede di godere e dividere con gli altri la vera felicit. Domande e risposte
DOMANDA: Possiamo parlare ad altri della meditazione?

Non ci sono segreti in Dhamma. Potete parlare a chiunque di ci che avete fatto qui. Ma guidare la gente nella pratica una cosa totalmente diversa, che non dovrebbe essere fatta a questo livello. Aspettate finch vi sarete saldamente impadroniti della pratica ed educati a guidare gli altri. Se qualcuno a cui parlate di Vipassana interessato a praticarla, consigliategli di seguire un corso. Almeno la prima esperienza di Vipassana deve essere fatta durante un vero e proprio corso di dieci giorni, sotto la guida di un maestro qualificato. Dopo questa esperienza di pu andare avanti da soli. Io pratico lo yoga. Come posso integrarlo con Vipassana? Qui, durante il corso, lo yoga non permesso perch disturberebbe gli altri, attirandone l'attenzione. Ma quando sarete di nuovo a casa, potrete praticare sia Vipassana che yoga cio gli esercizi fisici delle posizioni yoga e il controllo del respiro. Lo yoga molto benefico per la salute fisica, e pu essere senz'altro combinato con Vipassana. Per esempio, assumere una posizione e poi osservare le sensazioni fisiche sar senz'altro pi benefico che la sola pratica dello yoga. Ma le tecniche di meditazione yoga che utilizzano i mantra e le visualizzazioni sono completa mente l'opposto di Vipassana. Non mescolatele con questa tecnica. E circa i diversi esercizi respiratori dello yoga? Sono utili come esercizi fisici, ma non mescolate queste tecniche con lnpna. Nellnpna dovete osservare il respiro naturale cos com', senza controllarlo. Praticate il controllo del respiro come esercizio fisico e npna per la meditazione. E se mi stessi attaccando troppo all illuminazione? Se cos, state dirigendovi di gran carriera proprio nella direzione opposta. Non potrete mai sperimentare l'illuminazione finch avrete degli attaccamenti. Dovete solo comprendere che cos' l'illuminazione. Poi continuate a osservare la realt del momento, e lasciate che l'illuminazione venga. Se non viene, non ve ne preoccupate. Continuate a esercitarvi e lasciate fare a Dhamma. In questo modo non c' attaccamento, e l'illuminazione verr certamente.

SATYA NARAYAN GOENKA: Certamente.

Dunque io medito solo per praticare? S. Avete il dovere di purificare la vostra mente. Consideratela una responsabilit, ma senza attaccamento.

Non per ottenere qualcosa? No. Qualsiasi cosa venga, verr da sola. Lasciate che accada naturalmente. Qual la vostra opinione circa l'insegnamento di Dhamma ai bambini? Il momento migliore per farlo prima della nascita. Durante la gravidanza la madre dovrebbe praticare Vipassana, cos che anche il bambino lo riceva e nasca un bambino di Dhamma. Ma se avete gi dei figli, siete ancora in tempo a condividere con loro Dhamma. Per esempio, a conclusione del corso, avete appreso la tecnica di mett-bhvna, che consiste nel condividere la propria pace ed armonia con gli altri. Se i bambini sono ancora piccoli, indirizzate loro mtta quando vanno a dormire e dopo ogni meditazione, cos che anch'essi si avvantaggino della pratica di Dhamma; quando saranno pi grandi, sar bene spiegar loro qualcosa su Dhamma, perch lo comprendano e lo accettino. Se sono gi in grado di capire qualcosa di pi, insegnate ai bambini a praticare anpna per pochi minuti. Non fate nessun tipo di pressione su di loro, limitatevi a farli sedere con voi perch osservino il proprio respiro per pochi minuti, poi lasciateli andare a giocare. La meditazione sar come un gioco per loro, saranno contenti di farla. Ma la cosa pi importante vivere una vita sana in Dhamma, essere un buon esempio per i bambini. In casa l'atmosfera deve essere tranquilla e armoniosa; questo che li aiuter a crescere in modo sano e felice. E la cosa migliore che potete fare per i vostri figli. Grazie per questo meraviglioso Dhamma! Ringraziate Dhamma, piuttosto. Dhamma grande. Io sono solo un veicolo. E ringraziate voi stessi, per aver saputo lavorare duramente per imparare la tecnica. Un maestro continua a parlare, parlare, ma se voi non lavorate, non potete ottenere niente. Siate felici, e continuate a lavorare sodo.

APPENDICE A

LIMPORTANZA DI VEDAN NELLINSEGNAMENTO DEL BUDDHA


L'insegnamento del Buddha un sistema per sviluppare la conoscenza di s come un mezzo per l'autotrasformazione. Se comprendiamo la realt della nostra natura basandoci sull'esperienza, possiamo eliminare gli equivoci che ci inducono ad agire in modo sbagliato e ci rendono infelici. Impariamo ad agire conformemente alla realt e quindi a vivere in modo produttivo, utile e felice. Nel Satipatthna Sutta, il Discorso sui fondamenti della consapevolezza , il Buddha ha descritto un metodo pratico per sviluppare la conoscenza di s attraverso l'auto-osservazione. Questa tecnica la meditazione Vipassana. Ogni tentativo di osservare la verit su noi stessi rivela immediatamente che quel che chiamiamo s ha due aspetti: fisico e psichico, corpo e mente. Dobbiamo imparare ad osservarli entrambi. Ma come possiamo realmente sperimentare la realt del corpo e della mente? Accettare le spiegazioni degli altri non sufficiente, n dipende da una mera comprensione intellettuale. Entrambe possono guidarci nel lavoro di autoesplorazione, ma ognuno di noi deve esplorare e sperimentare la realt direttamente dentro di s. Sperimentiamo la realt del corpo sentendolo per mezzo delle sensazioni fisiche che nascono all'interno di esso. Anche ad occhi chiusi sappiamo di avere le mani e tutte le altre parti del corpo, perch le possiamo sentire. Come un libro ha una forma esterna e un contenuto interno, la struttura fisica ha una realt oggettiva esterna, il corpo (kya), e una realt interna, soggettiva, di sensazioni (vedan). Assimiliamo un libro leggendo tutte le parole che contiene, sperimentiamo il corpo provando le sensazioni. Senza la consapevolezza delle sensazioni non ci pu essere una diretta conoscenza della struttura fisica. Le due cose sono inseparabili. Similmente, la struttura psichica pu essere analizzata in forma e contenuto: la mente (citta) e qualsiasi cosa sorga nella mente (dhamma) ogni pensiero, emozione, ricordo, speranza, paura, ogni avvenimento mentale. Cos come corpo e sensazione non possono essere sperimentati separatamente, non si pu osservare la mente prescindendo dai contenuti mentali. Ma anche mente e materia sono strettamente collegate fra loro. Qualsiasi cosa accada in una, riflessa nell'altra. questa la scoperta chiave del Buddha, il significato cruciale del suo insegnamento. Egli ha detto: Qualsiasi cosa nasca nella mente accompagnata dalla sensazione. L'osservazione delle sensazioni offre il mezzo di esaminare la totalit del proprio essere fisico e mentale. Queste quattro dimensioni della realt sono comuni ad ogni essere umano: gli aspetti fisici del corpo e della sensazione, gli aspetti psichici della mente e dei suoi contenuti. Essi costituiscono le quattro divisioni del Satipatthna Sutta, le quattro strade per la fondazione della consapevolezza, i quattro avamposti per osservare il fenomeno umano. Se l'indagine completa, ogni sfaccettatura deve essere sperimentata. E tutte e quattro possono essere sperimentate osservando vedan. Per questa ragione il Buddha ha sottolineato in particolar modo l'importanza della consapevolezza di vedan. Nel Brahmajala Sutta, uno dei suoi discorsi pi importanti, ha detto: L'illuminato si affrancato e liberato da tutti gli attaccamenti perch ha veduto come sono realmente il nascere e lo svanire delle sensazioni, il godere di esse, il pericolo di esse, la liberazione da esse . La consapevolezza di vedan, egli ha affermato, un prerequisito per la comprensione delle Quattro Nobili Verit: Alla persona che prova la sensazione, io mostro la via per comprendere cosa sia la sofferenza, la sua origine, la sua cessazione e il sentiero che conduce alla cessazione. Cos' esattamente vedan? II Buddha lo ha descritto in vari modi, comprendendolo fra i quattro processi che compongono la mente (v. Capitolo secondo). Tuttavia, definendolo pi precisamente, diceva che vedan ha due aspetti, uno fisico e uno mentale. Da sola, la materia non pu sentire nulla se la mente non presente; in un corpo morto, per esempio, non ci sono sensazioni. la mente che sente, ma ci che sente inscindibile dall'elemento fisico. Questo elemento fisico di importanza centrale nella pratica dell'insegnamento del Buddha, che ha lo scopo di sviluppare in noi la capacit di affrontare tutte le vicissitudini della vita in modo equilibrato. ci che si apprende durante la meditazione, osservando con equanimit tutto quanto avviene in noi stessi. Con questa equanimit possiamo liberarci dall'abitudine alla reazione cieca e scegliere di agire nel modo pi benefico in ogni situazione. Tutto ci che sperimentiamo nella vita passa attraverso i sei cancelli della percezione, i cinque sensi fisici e la mente: secondo la Catena del Sorgere Condizionato, non appena ad una di queste sei porte avviene il contatto, non appena incontriamo un fenomeno, fisico o mentale, si produce una sensazione (v. p. 67). Se non osserviamo attentamente ci che accade nel corpo, a livello conscio restiamo inconsapevoli della sensazione. Inizia allora, nel buio dell'ignoranza, una reazione inconscia nei confronti della sensazione, un piacere o un'antipatia momentanea che si sviluppa in bramosia o avversione. Questa situazione si ripete e si intensifica innumerevoli volte prima di ripercuotersi sulla mente conscia. Se i meditatori danno importanza solo a ci che accade nella mente conscia, divengono consapevoli del processo dopo che la reazione avvenuta ed ha acquistato una forza pericolosa, sufficiente a sopraffarli. Permettono alla scintilla della sensazione di accendere un grande fuoco prima di cercare di estinguerlo, creandosi inutili difficolt. Ma se imparano ad osservare le sensazioni dentro il corpo, oggettivamente, permettono ad ogni scintilla di esaurirsi da sola senza innescare un incendio. Dando importanza alla manifestazione fisica, diventano consapevoli di vedan non appena nasce e possono prevenire qualsiasi reazione.

L'aspetto fisico di vedan particolarmente importante perch offre un'esperienza vivida e tangibile della realt dell'impermanenza dentro ciascuno di noi. Ad ogni momento dentro di noi avvengono dei cambiamenti che si manifestano nel gioco delle sensazioni. a questo livello che l'impermanenza deve essere sperimentata. L'osservazione del mutamento costante delle sensazioni ci permette di comprendere la nostra natura effimera e, di conseguenza, la futilit dell'attaccamento a qualcosa che cos transitorio. Per cui l'esperienza diretta di anicca da automaticamente origine al distacco, per mezzo del quale non solo si possono avvertire le nuove reazioni di bramosia e avversione, ma anche eliminare l'abitudine stessa a reagire. In questo modo si libera gradualmente la mente dalla sofferenza. Se separata dal suo aspetto fisico, la consapevolezza di vedan resta parziale e incompleta. Per questo il Buddha ha ripetutamente sottolineato l'importanza dell'esperienza dell'impermanenza attraverso le sensazioni fisiche: Quelli che continuamente fanno sforzi per dirigere la loro consapevolezza verso il corpo, che si astengono dal compiere azioni nocive e cercano di fare ci che deve essere fatto, tali persone, consapevoli, piene di comprensione, sono liberate da tutte le loro negativit. La causa della sofferenza tanh, bramosia e avversione. Di solito ci sembra di generare reazioni di bramosia e avversione nei confronti dei vari oggetti in cui ci imbattiamo attraverso i sensi fisici e la mente. Il Buddha, per, ha scoperto che tra oggetto e reazione c' un anello mancante: vedan. Reagiamo non alla realt esteriore, ma alla sensazione interna. Quando impariamo a osservare la sensazione senza reagire con bramosia o avversione, la causa della sofferenza non nasce e la sofferenza cessa. Quindi l'osservazione di vedan essenziale per mettere in pratica l'insegnamento del Buddha. E l'osservazione deve essere a livello della sensazione fisica perch la consapevolezza di vedan sia completa. Con la consapevolezza della sensazione fisica possiamo penetrare alla radice del problema e risolverlo. Possiamo osservare la nostra natura in profondit e liberarci dalla sofferenza. Attraverso la comprensione dell'importanza centrale che l'insegnamento del Buddha assegna all'osservazione della sensazione, possibile pervenire a una comprensione nuova del Satipatthna Sutta. Il discorso inizia con lo stabilire gli scopi del satipatthna, il metodo della fondazione della consapevolezza: Purificazione degli esseri, trascendenza del dolore e dei dispiaceri, estinzione della sofferenza fisica e mentale, pratica di una via di verit, esperienza diretta della realt ultima, nibbna. Passa poi a spiegare brevemente come conseguire questi scopi: Qui il meditatore si sofferma, ardente, colmo di comprensione e di consapevolezza, osservando il corpo nel corpo, osservando la sensazione nella sensazione, osservando la mente nella mente, osservando i contenuti mentali nei contenuti mentali, avendo abbandonato bramosia e avversione nei confronti del mondo . Che cosa significano le parole osservando il corpo nel corpo, le sensazioni nelle sensazioni e cos via? Per un meditatore di Vipassana, l'espressione chiarissima. Corpo, sensazioni, mente e contenuti mentali sono le quattro dimensioni dell'essere umano. Per comprendere correttamente questo fenomeno umano, ognuno di noi deve sperimeritare la propria realt in modo diretto. Per conseguire questa esperienza diretta, il meditatore deve sviluppare due qualit: consapevolezza (sati) e piena comprensione (sampajannd). Il discorso si intitola I fondamenti della consapevolezza , ma la consapevolezza incompleta senza comprensione, senza una visione penetrante delle profondit della propria natura, della impermanenza di questo fenomeno che si chiama Io. La pratica del satipatthna fa s che i meditatori comprendano la propria natura essenzialmente effimera. Quando hanno conseguito questa comprensione personale acquistano una consapevolezza stabile e ferma: la giusta consapevolezza che conduce alla liberazione. Quindi, automaticamente bramosia e avversione scompaiono, non solo nei confronti del mondo esteriore, ma anche del mondo intcriore, in cui bramosia e avversione sono maggiormente radicate, anche se molto spesso non ce ne accorgiamo, per l'attaccamento irriflessivo e viscerale al corpo e alla mente. Finch questo attaccamento profondo permane, non possibile liberarsi dalla sofferenza. Il discorso su I fondamenti della consapevolezza tratta all'inizio dell'osservazione del corpo. Trattandosi dell'aspetto pi appariscente della struttura fisico-mentale, il punto adatto da cui iniziare il lavoro di auto-osservazione, ed da qui che si sviluppa l'osservazione delle sensazioni, della mente e dei contenuti mentali. Il discorso illustra diversi modi per iniziare ad osservare il corpo. Il primo, e il pi comune, la consapevolezza del respiro. Un altro modo per cominciare quello di prestare attenzione ai movimenti del corpo. Ma comunque si inizi il viaggio, per arrivare alla meta finale obbligatorio passare per determinati stadi, che sono descritti in un paragrafo di importanza cruciale: In questo modo [il meditatore] si sofferma ad osservare il corpo nel corpo, internamente o esternamente oppure sia internamente che esternamente. Si sofferma ad osservare il fenomeno del nascere nel corpo. Si sofferma ad osservare il fenomeno dello svanire nel corpo. Si sofferma ad osservare il fenomeno del nascere e dello svanire nel corpo. Ora la consapevolezza gli si presenta, Questo il corpo. Questa consapevolezza si sviluppa a un tal grado che rimangono solo comprensione e osservazione ed egli rimane distaccato, senza aggrapparsi a nulla nel mondo. La grande importanza di questo passo dimostrata dal fatto che ripetuto non solo alla fine di ogni sezione del discorso sull'osservazione del corpo, ma anche nelle successive suddivisioni del discorso, che trattano dell'osservazione delle sensazioni, della mente e dei contenuti mentali. (In queste tre successive suddivisioni, la parola corpo sostituita rispettivamente da sensazioni , mente e contenuti mentali.) Il brano descrive cos il terreno comune della

pratica del satipatthna. Per le difficolt che presenta, stato oggetto di varie interpretazioni; tuttavia le difficolt scompaiono quando si comprende che il passo si riferisce alla consapevolezza delle sensazioni. Con la pratica di satipatthna i meditatori devono raggiungere una visione completa della loro natura. Il mezzo per conseguire questa visione penetrante consiste nell'osservazione delle sensazioni, che include anche l'osservazione delle altre tre dimensioni del fenomeno umano. Quindi, sebbene i primi passi possano differire, da un certo punto in poi la pratica deve comportare la consapevolezza della sensazione. Quindi, prosegue il brano, i meditatori iniziano a osservare le sensazioni che nascono all'interno del corpo, o esternamente, sulla superficie di esso, o entrambe insieme: dalla consapevolezza delle sensazioni in alcune parti e non in altre, essi sviluppano gradualmente la capacit di sentire le sensazioni in tutto il corpo. Quando iniziano la pratica, possono dapprima sperimentare le sensazioni di natura intensa che nascono e sembrano persistere per qualche tempo. I meditatori sono consapevoli del loro sorgere e, dopo un certo tempo, del loro svanire. A questo livello essi stanno ancora sperimentando la realt apparente del corpo e della mente, la loro natura integrata; apparentemente solida e duratura. Ma proseguendo nella pratica, si raggiunge uno stadio in cui la solidit si dissolve spontaneamente e la mente e il corpo vengono sperimentati nella loro vera natura, come una massa di vibrazioni che sorgono e svaniscono ad ogni istante. Sulla base di questa esperienza si comprende infine che cosa sono il corpo, le sensazioni, la mente e i contenuti mentali: un flusso di fenomeni impersonali, in costante cambiamento. Questa comprensione diretta della realt ultima della mente e della materia frantuma progressivamente le proprie illusioni, i propri fraintendimenti e pregiudizi. Anche le idee giuste, che erano state accettate solo per fede o per deduzione intellettuale, ora, venendo sperimentate, acquistano un nuovo significato. Gradualmente, con l'osservazione della realt interiore, tutti i condizionamenti che distorcono la percezione vengono eliminati. Rimangono solo la pura consapevolezza e la saggezza, Appena l'ignoranza scompare, le tendenze sotterranee di bramosia e avversione vengono sradicate e i meditatori si liberano da ogni attaccamento, compreso l'attaccamento pi profondo di tutti: quello al mondo interiore del proprio corpo e della propria mente. Quando questo attaccamento viene eliminato, la sofferenza scompare e si perviene alla liberazione. Il Buddha ha spesso ripetuto: Tutto ci che viene percepito come sensazione in relazione con la sofferenza. Quindi vedan un mezzo ideale per esplorare la verit della sofferenza. Le sensazioni spiacevoli sono ovviamente sofferenza, ma anche la sensazione pi piacevole una forma di agitazione molto sottile. Ogni sensazione impermanente. Perci, se si attaccati alle sensazioni piacevoli, quando esse svaniscono, rimane la sofferenza. Di fatto, ogni sensazione contiene un seme di infelicit. Per questa ragione, parlando del sentiero che conduce alla cessazione della sofferenza, il Buddha ha parlato di sentiero che conduce al sorgere di vedan e alla sua estinzione. Finch si rimane dentro il campo condizionato della mente e della materia, sensazioni e sofferenza persistono. Cessano solo quando si trascende quel campo per sperimentare la realt ultima del nibbna. Il Buddha ha detto: Un uomo non applica realmente Dhamma nella vita solo perch ne parla molto. Ma chi ne avesse sentito parlare anche solo un poco, sperimenta la Legge di Natura per mezzo del proprio corpo, allora vivr conformemente ad essa e avr sempre presente Dhamma. I nostri corpi testimoniano la verit. Quando i meditatori scoprono la verit dentro se stessi, per loro essa diviene reale e vivono conformemente ad essa. Ognuno di noi pu comprendere quella stessa verit imparando a osservare le sensazioni che sorgono in noi stessi, e cos facendo possiamo conseguire la liberazione dalla sofferenza.

APPENDICE B

PASSI SU VEDAN TRATTI DA VARI SUTTA

Nei suoi discorsi, il Buddha si spesso riferito all'importanza della consapevolezza della sensazione. Eccone alcuni esempi.
Nel cielo soffiano diversi venti, da est e da ovest, da nord e da sud, carichi di polvere o privi di polvere, freddi o caldi, tempeste selvagge o brezze delicate: molti sono i venti che soffiano. Allo stesso modo, nel corpo nascono delle sensazioni: piacevoli, spiacevoli o neutre. Quando un meditatore, esercitandosi con entusiasmo, non trascura la facolt della piena comprensione [sampajanna], allora quest'uomo saggio comprende appieno le sensazioni. Avendole comprese totalmente, diventa libero da tutte le impurit gi in questa vita. Alla fine della vita, tale persona, essendo ben salda in Dhamma e comprendendo perfettamente le sensazioni, consegue lo stadio indescrivibile al di l del mondo condizionato. S. XXXVI (II). li. 12 (2), Pathama ksa Sutta E come si sofferma il meditatore ad osservare il corpo nel corpo? Per far questo, il meditatore va nella foresta, ai piedi di un albero, in un luogo solitario. L si siede a gambe incrociate, con il busto eretto e fissa la sua attenzione sull'area intorno alla sua bocca. Con consapevolezza inspira ed espira. Inspirando un respiro lungo, egli riconosce giustamente: Sto inspirando un respiro lungo. Espirando un respiro lungo, egli riconosce giustamente: Sto espirando un respiro lungo . Inspirando un respiro corto, egli riconosce giustamente: Sto inspirando un respiro corto. Espirando un respiro corto, riconosce giustamente: Sto espirando un respiro corto . Sentendo l'intero corpo inspirer , cos egli si educa. Sentendo l'intero corpo, espirer , cos egli si educa. Con le attivit corporee calmate, io inspirer, cos egli si educa. Con le attivit corporee calmate, io espirer, cos egli si educa. D. 22/M. 10, Satipatthna Sutta, npna-pabbam.

Quando una sensazione piacevole, spiacevole o neutra, sorge nel meditatore, egli comprende: Una sensazione piacevole, spiacevole o neutra sorta in me. basata su qualcosa, non senza una base. Su cosa basata? Proprio su questo corpo. Cos egli dimora, osservando la natura impermanente della sensazione dentro il corpo. S. XXXVI (II), i.7, Pathama Gelatina Sutta. Il meditatore comprende: L sorta in me questa esperienza piacevole, spiacevole o neutra. composita, di natura grossolana, dipendente da condizioni. Ma ci che esiste realmente, ci che di gran lunga migliore, l'equanimit . Anche se in lui sorta un'esperienza piacevole, o spiacevole, o neutra, essa finisce, ma l'equanimit rimane. M. 152, Indriya Bhvan Sutta. Ci sono tre tipi di sensazione: piacevole, spiacevole e neutra. Tutte e tre sono impermanenti, composite, dipendenti da condizioni, soggette al decadimento, allo svanire, al cessare. Vedendo questa realt, il seguace bene istruito del Nobile Sentiero diventa equanime verso le sensazioni piacevoli, spiacevoli e neutre. Sviluppando l'equanimit, diviene distaccato, sviluppando il distacco, diviene libero. M. 74, Bfghanaka Sutta. Se un meditatore dimora osservando l'impermanenza della sensazione piacevole dentro il corpo, i! suo declino, il suo svanire e cessare e altres osserva il suo abbandono dell'attaccamento a tale sensazione, allora i condizionamenti nascosti di bramosia per una sensazione piacevole all'interno del corpo sono eliminati. Se dimora osservando l'impermanenza della sensazione spiacevole dentro il corpo, allora i condizionamenti nascosti di avversione verso una sensazione spiacevole all'interno del corpo sono eliminati. Se dimora osservando l'impermanenza della sensazione neutra all'interno del corpo, allora i condizionamenti nascosti di ignoranza nei confronti della sensazione neutra all'interno del corpo sono eliminati. S. XXXVI (II), i. 7, Pathama Gelatna Sutta. Quando i condizionamenti nascosti di bramosia per una sensazione piacevole, di avversione per una sensazione spiacevole e di ignoranza per una sensazione neutra sono sradicati, si dice che il meditatore totalmente libero dai condizionamenti sotterranei, colui che ha visto la verit, ha eliminato tutte le bramosie e le avversioni, ha spezzato tutte le catene, ha pienamente compreso la natura illusoria dell'ego, ha messo fine alla sofferenza. S. XXXVI (II). i. 3, Pahna Sutta. La visione della realt cos com' diventa la sua giusta visione. Il pensiero della realt cos com', diventa il suo giusto pensiero. Lo sforzo per la realt cos com', diventa il suo giusto sforzo. La consapevolezza della realt cos com', diventa la sua giusta consapevolezza. La concentrazione sulla realt cos com', diventa la sua giusta concentrazione. Le sue azioni del corpo e della parola, i suoi mezzi di sussistenza si purificano veramente. Cos il Nobile Ottuplice Sentiero avanza in lui verso lo sviluppo e il compimento. M. 149, Mah-Salyatanika Sutta. Il fedele seguace del Nobile Sentiero compie degli sforzi, e persistendo nei suoi sforzi diventa consapevole, e rimanendo consapevole diventa concentrato, e mantenendo la concentrazione sviluppa la giusta comprensione, e comprendendo correttamente sviluppa una fede vera, fiducioso del fatto che Quelle verit di cui prima ho solo udito parlare, ora le ho sperimentate direttamente all'interno del corpo e le osservo con penetrante comprensione . S. XLVIII (IV). v. 10, Apana Sutta (detto da Sriputta, il principale discepolo del Buddha).

GLOSSARIO DEI TERMINI PLI


Qui di seguito sono riportati tutti i termini pli citati nel testo, nonch altre parole di rilievo nell'insegnamento del Buddha.
ANPNA

Respirazione. npna-sat. Consapevolezza della respirazione.

ANATT Non s, privo di ego, senza essenza, senza sostanza. Una delle tre caratteristiche fondamentali dei fenomeni, con anicca e dukkha. ANICCA Impermanente, effimero, in continuo cambiamento. Una delle tre caratteristiche fondamentali dei fenomeni, con anatt e dukkha. ANUSYA

La mente inconscia; i condizionamenti nascosti, sotterranei; le impurit mentali latenti (anche anusaya-kilesa). Essere liberato. Colui che ha eliminato tutte le impurit della mente.

ARAHANT/ARAHAT ARIYA

Nobile; persona santa. Colui che ha purificato la mente al punto da aver sperimentato la realt ultima (nibbna).

ARIYA ATTHANGIKA MAGGA II Nobile Ottuplice Sentiero che conduce alla liberazione dalla sofferenza. diviso in tre parti:
SILA

Moralit, purezza delle azioni vocali e fisiche: SAMM-VC SAMM-KAMMANTA SAMM-JlVA Concentrazione, controllo della propria mente: SAMM-VYMA SAMM-SATI SAMM-SAHIMD

Giusta parola; Giusta azione; Giusti mezzi di sussistenza. Giusto sforzo; Giusta consapevolezza; Giusta concentrazione.

SAMADHI

PANNA

Saggezza, comprensione profonda che purifica totalmente la mente:


SAMM-SANKAPPA SAMM-DITTHI

Giusto pensiero; Giusta comprensione.

ARIYA SACCA

1. 2. 3. 4.

Nobile verit. Le Quattro Nobili Verit sono: La verit della sofferenza; 2. La verit dell'origine della sofferenza; La verit della cessazione della sofferenza; La verit del cammino che conduce alla cessazione della sofferenza.

BHANGA

Dissoluzione. Uno stadio importante nella pratica di Vipassana. L'esperienza della dissoluzione dell'apparente solidit del corpo in sottili vibrazioni che compaiono e scompaiono continuamente.

BHVAN

Sviluppo, evoluzione mentale. Meditazione. Le due divisioni di bhvan sono lo sviluppo della tranquillit (samatha-bhvan), corrispondente alla concentrazione mentale (samadhi) e lo sviluppo della comprensione profonda (vipassan-bhvana), corrispondente alla saggezza (panna). Lo sviluppo di samatha porta a stadi avanzati di concentrazione mentale; lo sviluppo di vipassan porta alla liberazione. Saggezza a livello di esperienza. Vedi PANNA.

BHVAN-MAY PANNA

BHIKKHU Monaco (buddista); meditatore. Al femminile bhikkhuni, monaca. BUDDHA

Persona illuminata. Colui che ha scoperto la via verso la liberazione, l'ha percorsa e ha raggiunto la meta finale con i suoi propri sforzi.

CINT-MAY PANNA Saggezza intellettuale. Vedi PANNA. CITTA Mente. Cittnupassan: osservazione della mente. Vedi SATIPATTHNA.

DHAMMA Fenomeno; oggetto della mente; natura; legge naturale; legge di liberazione, cio insegnamento di una persona illuminata. Dhammnupassan: osservazione dei contenuti mentali. Vedi SATIPATTHNA. (In sanscrito dharma). DUKKHA GOTAMA

Sofferenza, insoddisfazione. Una delle tre caratteristiche di base dei fenomeni, con anatt e anicca. Nome di famiglia del Buddha storico (In sanscrito Gautama).

HINAYNA Letteralmente, veicolo minore. Termine usato per indicare il Buddismo Theravda da parte di coloro che appartengono ad altre scuole. Connotazione peggiorativa. JHNA Stato di assorbimento mentale o trance. Ci sono otto stadi di tal genere che possono essere ottenuti con la pratica di samadhi, o samatha-bhvan. Dedicarsi a questa pratica porta tranquillit ed estasi, ma non elimina le negativit mentali radicate nel profondo. KALPA KAMMA

La pi piccola, indivisibile, unit della materia. Azione, e specificatamente un'azione che si compie e che avr effetto sul proprio futuro. (In sanscrito karma).

KYA Corpo. Kynupassan: osservazione del corpo. Vedi SATIPATTHNA. MAHYNA

Letteralmente, veicolo pi grande . Il tipo di buddismo che si sviluppato in ndia pochi secoli dopo il Buddha e che si diffuso a Nord in Tibet, Mongolia, Cina, Vietnam, Corea e Giappone.

METTA Amore incondizionato e buona volont. una delle qualit di una mente pura. Mett-bhvan: la pratica sistematica di metta per mezzo di una tecnica di meditazione. NIBBNA

Estinzione; libert dalla sofferenza; la realt ultima; stato incondizionato. (In sanscrito nirvana).

PLI Linea, testo. I testi in cui registrato l'insegnamento del Buddha; quindi il linguaggio di questi testi. Prove linguistiche, storiche, archeologiche indicano che il pli era una lingua effettivamente parlata nell'India settentrionale pi o meno ai tempi del Buddha. Pi tardi i testi furono tradotti in sanscrito, che era una lingua esclusivamente letteraria. PANNA Saggezza. La terza delle tre parti attraverso le quali viene praticato il ATTHANGIKA MAGGA). Ci sono tre tipi di saggezza:

Nobile Ottuplice Sentiero (vedi ARIYA

suta-may panna, che letteralmente significa saggezza che si ottiene ascoltando gli altri , cio saggezza ricevuta; cint-may panna, ovvero saggezza che si ottiene con l'analisi intellettuale; e bhavan-may panna, ovvero saggezza che si sviluppa dall'esperienza diretta e personale. Di queste, soltanto l'ultima, che viene coltivata con la pratica di vipassan-bhvan, pu purificare del tutto la mente. La Catena del Sorgere Condizionato; l'origine causale. Il processo, che inizia con l'ignoranza e attraverso il quale una persona, vita dopo vita, continua a produrre sofferenza per se stessa.
SAMDHI Concentrazione, controllo della propria mente. la seconda delle tre parti con cui viene praticato il Nobile Ottuplice Sentiero (vedi ARIYA ATTHANGIKA MAGGA). Se la si coltiva come fine a se stessa, porta al conseguimento dell'assorbimento mentale (Jhna), ma non alla totale liberazione della mente. SAMM-SATI SAMPAJANNA PATICCA-SAMUPPDA

La giusta consapevolezza. Vedi SATI.

Comprensione della totalit del fenomeno umano ovvero comprensione profonda della sua natura impermanente a livello di sensazioni. Ciclo della rinascita; mondo condizionato; mondo di sofferenza.

SAMSRA SANGHA

Congregazione; comunit di ariya, cio coloro che hanno sperimentato il nbbna; comunit di monaci e monache buddisti; membro di ariya-sangha, bhikkhu-sangha, o bhikkhum-sangha.

SANKHRA Formazione (mentale); attivit della volizione; reazione mentale; condizionamento mentale. Uno dei quattro aggregati o processi mentali, con vinnna, sauna, e vedana. (In sanscrito samskra). SANKHRA-UPEKKH/SANKHRUPEKKH Letteralmente, equanimit verso i sankhra. Uno stadio nella pratica di Vipassana, che viene dopo l'esperienza di bhanga, nel quale vecchie impurit che giacciono addormentate nell'inconscio

emergono alla superficie della mente, manifestandosi come sensazioni fisiche. Conservando l'equanimit (upekkha) verso queste sensazioni, il meditatore non crea pi nuovi sankhra e consente che quelli vecchi siano eliminati. Perci il processo conduce gradualmente all'eliminazione di tutti i sankhra.
SANNA Percezione, riconoscimento, individuazione. Uno dei quattro aggregati o processi mentali, con vedana, vinnna e sankhra. Di solito condizionata dai vecchi sankhra che ciascuno porta in s, e perci una immagine distorta della realt. Nella pratica Vipassana, sanna si trasforma in pann, la comprensione della realt cos com'. Diviene quindi ancca-sann, dukkha-sann, anatt-sann ed asubha-sann, cio la percezione dell'impermanenza, della sofferenza, dell'inesistenza di un io e della natura illusoria della bellezza. SATI

Consapevolezza. npna-sati: consapevolezza della respirazione. Samm sali: giusta consapevolezza, una delle componenti del Nobile Ottuplice Sentiero (vedi ARIYA ATTHANGIKA MAGGA).

L'instaurarsi della consapevolezza. Gli aspetti del satipatthna, che si intrecciano fra loro, sono quattro: 1. osservazione del corpo (kynupassana); 2. osservazione delle sensazioni che sorgono all'interno del corpo (vedannupassan); 3. osservazione della mente (cittnupassan} 4. osservazione dei contenuti della mente (dhammnupassan). Dal momento che le sensazioni sono direttamente collegate sia al corpo che alla mente, tutti e quattro gli aspetti sono compresi nell'osservazione delle sensazioni.
SATIPATTHNA SIDDHATTHA

Letteralmente colui che ha realizzato il suo compito . Il nome del Buddha storico. (In sanscrito

Siddhrtha).
SILA

Moralit, astensione dalle azioni fisiche e vocali che danneggiano gli altri e se stessi. La prima delle tre parti attraverso le quali viene praticato il Nobile Ottuplice Sentiero (vedi ARIYA ATTHANGIKA MAGGA). Saggezza ricevuta. Vedi-PANN.

SUTA-MAY PANNA SUTTA TANH

Discorso del Buddha o di uno dei suoi discepoli pi autorevoli (in sanscrito sutra).

Letteralmente sete . Comprende sia la bramosia che il suo contrario, l'avversione. Il Buddha identific in tanh la causa della sofferenza nel suo primo sermone, il Discorso sul mettere in movimento la ruota del Dhamma (Dhamma-cakkappavattana Sutta). Nella Catena del Sorgere Condizionato, spieg che tanh si originava come reazione alla sensazione (v. p. 67). Letteralmente, cos andato o cos compiuto. Colui che camminando lungo il sentiero della realt ha raggiunto la realt ultima, una persona illuminata. il termine con il quale il Buddha era solito riferirsi a se stesso.

TATHGATA

Letteralmente, insegnamento degli anziani. Gli insegnamenti del Buddha, nella forma in cui sono stati preservati nelle nazioni del sudest asiatico (Birmania, Sri Lanka, Tailandia, Laos, Cambogia). Sono generalmente riconosciuti come la forma pi antica degli insegnamenti.
THERAVDA TIPITAKA

1. 2. 3. (In

Letteralmente, i tre cesti Le tre raccolte degli insegnamenti del Buddha: Vinaya-pitaka: la raccolta della disciplina monastica; Sutta-pitaka: la raccolta dei discorsi; Abhidhamma-pitaka: la raccolta dell'insegnamento pi alto, ossia l'esegesi filosofica sistematica di Dhamma. sanscrito Tripitaka).

Sensazione. Uno dei quattro aggregati mentali o processi, con vinnana, sanna, e sankhra. Il Buddha lo descrive come avente sia aspetti fisici che mentali; perci vedan offre un mezzo per esaminare la totalit del corpo e della mente. Nella Catena del Sorgere Condizionato, il Buddha spieg che tanh, la causa della sofferenza, ha origine da una reazione a vedan (v. p. 67). Imparando ad osservare oggettivamente vedan, si pu evitare qualsiasi nuova reazione di bramosia e avversione, e sperimentare direttamente all'interno di se stessi la realt dell'impermanenza (ancca). Questa esperienza essenziale per lo sviluppo della condizione di distacco, che conduce alla liberazione della mente. Vedannupassan'. osservazione delle sensazioni all'interno del corpo. Vedi SATIPATTHNA,
VEDAN VINNNA VIPASSAN

Coscienza, cognizione. Uno dei quattro aggregati o processi mentali, con sann, vedan, e sankhra.

Introspezione, osservazione e comprensione profonda della realt che purifica totalmente la mente. Specificatamente, la comprensione profonda della natura impermanente della mente e del corpo.

Vipassan-bhvan: lo sviluppo sistematico della comprensione profonda attraverso la tecnica di meditazione dell'osservazione della propria realt per mezzo dell'osservazione delle sensazioni all'interno del corpo.
YATH-BHTA

Letteralmente, cos com' . Realt. Saggezza che sorge dal vedere la verita cos com.

YATH-BHTA - NA -DASSANA

Da quando, nel 1969, S.N. Goenka ha lasciato la Birmania (oggi Myanmar) per iniziare ad insegnare la meditazione Vipassana in India e, qualche anno dopo, anche nei paesi occidentali, la meditazione Vipassana si diffusa rapidamente in tutto il mondo. Ora in molti paesi esistono strutture e centri permanenti dove si tengono periodicamente corsi di meditazione . Il primo corso di dieci giorni organizzato in Italia secondo questa tradizione si svolto nel novembre 1986. Da allora ne vengono organizzati ogni anno. Nel 1991 alcuni meditatori hanno fondato un'associazione senza fini di lucro, l'Associazione Vipassana Italia, che si occupa dell'organizzazione dei corsi e di garantire l'assoluta correttezza nel seguire i principi che regolano l'insegnamento di Vipassana. Questo insegnamento, che non ha alcuna connotazione religiosa, aperto a tutti, senza distinzione di religione, professione o credo filosofico, in quanto, poich la sofferenza e le sue cause sono universali, la via per uscirne deve ugualmente essere accessibile a tutti. Visto che l'associazione non legata ad alcuna struttura organizzata, la realizzazione dei corsi resa possibile da chi, avendo partecipato ad almeno un corso ed avendone tratto giovamento, sente il desiderio di far conoscere ad altri questa tecnica, offrendo una libera donazione per permettere l'organizzazione di altri corsi. L'Associazione Vipassana Italia ha l'obiettivo di far conoscere una tecnica di meditazione universale, accessibile ed accettabile da tutti, indipendentemente da razza, religione o opinione politica. Attraverso lo studio e la pratica della meditazione Vipassana, come insegnata da S.N. Goenka, si propone di favorire l'acquisizione della conoscenza di se stessi, sviluppando un alto standard di moralit, la concentrazione mentale, l'osservazione e la comprensione profonda della propria realt mentale e fisica. L'Associazione di interesse generale poich offre a tutti la possibilit di imparare questa tecnica di meditazione, fornendo cos uno strumento pratico che permette di conoscersi e di lavorare su se stessi per condurre una vita pi serena e socialmente responsabile. Tutti i corsi, in tutto il mondo e in Italia, sono liberi da costi di partecipazione per evitare che gli aspetti commerciali interferiscano con la tecnica, e inoltre per dare a tutti, indipendentemente dalla situazione economica, la possibilit di beneficiare di questa arte di auto-conoscenza. I corsi hanno un programma molto intenso e si svolgono, per i primi nove giorni, in completo silenzio. Prima del corso tutti i partecipanti ricevono informazioni sulle regole, la disciplina e l'orario giornaliero, che stato strutturato per creare le condizioni migliori per l'apprendimento della tecnica. I corsi di dieci giorni sono la base necessaria per essere in grado di praticare la meditazione quotidianamente e di integrarla nella propria vita. La tecnica facile da comprendere e non implica alcun rituale; pu essere praticata da persone di ogni et e non richiede conoscenze preliminari. Ma, come ben specificato negli opuscoli che gli interessati ricevono quando chiedono informazioni sui corsi, Vipassana una tecnica molto seria, che implica impegno e duro lavoro e non ha nulla a che fare con esperienze o viaggi strani, con particolari stati di piacere o d'estasi, con stati mentali alterati. Vipassana offre la possibilit di conoscere i condizionamenti e le negativit della propria mente, permettendo, con il tempo, di eliminare le tensioni accumulate, di modificare i comportamenti e gli schemi di vita che procurano sofferenza. Per questo necessario che i partecipanti godano di salute mentale e fisica stabile e abbiano la ferma volont di osservare le regole e la disciplina per intraprendere seriamente l'esperienza. Nonostante l'impegno rigoroso richiesto dal programma del corso e dall'assidua osservazione del proprio corpo e della propria mente, la maggior parte dei partecipanti scopre che questi ritiri permettono di recuperare nuova energia per affrontare la vita quotidiana. Recentemente questa tecnica stata introdotta con successo in settori sociali ed educativi, come, ad esempio, scuole, carceri, centri di riabilitazione per alcolisti o tossicodipendenti. Si possono richiedere informazioni a: http://www.atala.dhamma.org/pub/index.htm

SOMMARIO

INTRODUZIONE

CAPITOLO PRIMO

La ricerca Domande
e risposte

CAPITOLO SECONDO

II punto di partenza
La materia La mente Domande e risposte

CAPITOLO TERZO

La causa immediata
Kamma Le tre categorie di azioni La causa della sofferenza Domande e risposte

CAPITOLO QUARTO La

radice del problema


Definizione della sofferenza Lattaccamento Il sorgere condizionato;la catena di causa ed effetto da cui trae origine la sofferenza La via duscita dalla sofferenza Il flusso delle esistenze successive Domande e risposte

CAPITOLO QUINTO

La pratica della condotta morale


Il valore della pratica morale Giusta parola Giusta azione Precetti morali Giusti mezzi di sussistenza La pratica di sla in un corso di meditazione vipassana Domande e risposte

CAPITOLO SESTO

La pratica della concentrazione


Il giusto sforzo La giusta consapevolezza La giusta concentrazione Domande e risposte

CAPITOLO SETTIMO

La pratica della saggezza


Il giusto pensiero La giusta comprensione Vipassan-bhvan Impermanenza, inesistenza dellio, sofferenza Equanimit La via che conduce alla liberazione Domande e risposte

CAPITOLO OTTAVO

Consapevolezza ed equanimit
Il deposito delle azioni passate Sradicare i vecchi condizionamenti Domande e risposte

CAPITOLO NONO

La meta
Il raggiungimento della verit ultima Lesperienza della liberazione La vera felicit Domande e risposte

CAPITOLO DECIMO

Larte di vivere
Domande e risposte

APPENDICE A

Limportanza di vedan nellinsegnamento del Buddha


APPENDICE B

Passi su vedan tratti da vari sutta


GLOSSARIO DEI TERMINI PLI

NOTE

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