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Oltre i confini: Il tocco degli Spiriti Antichi
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Oltre i confini: Il tocco degli Spiriti Antichi

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About this ebook

“- Non sai chi sono? Allora non puoi liberarmi! - disse la bambina, pestando i piedi sul pavimento con rabbia. - Cerca di sbrigarti a capire come funzionano le cose, o diventerai come me! E non è divertente! - aggiunse ancora, prima di sparire dalla vista di Lucilla.”

Lucilla soffre di allucinazioni fin da quando era molto piccola.
Francesca è in grado di viaggiare tra due mondi: la realtà materiale e quella immateriale sono separate da un velo sottile, e lei è capace di squarciare questo velo.
Lucilla e Francesca dovranno vedersela con gli Spiriti Antichi, creature inumane, che vivono esclusivamente per soddisfare la propria perversa natura...

(disponibili su questo store tutti i volumi della trilogia)

LanguageItaliano
Release dateMar 12, 2013
ISBN9781301993437
Oltre i confini: Il tocco degli Spiriti Antichi
Author

Noemi Gastaldi

Noemi Gastaldi è nata e cresciuta in provincia di Torino, città in cui attualmente risiede. Ama scrivere fin da quando era piccola, ma la sua prima pubblicazione risale al 2009, quando collabora al romanzo erotico-sentimentale “22 fiori gialli”, attualmente edito da Eroscultura. Nel 2011, affascinata dal mondo sommerso dell’arte indipendente, riprende in mano una vecchia bozza ideata anni prima e mette le basi per la saga “Oltre i confini”. Il primo volume della stessa, “Il tocco degli Spiriti Antichi“, viene autopubblicato nel novembre 2012. Il secondo volume, "Il battito della Bestia", viene autopubblicato nel gennaio 2014. Il volume conclusivo "Il canto delle Forze Ancestrali" è disponibile dal 22/03/2015.

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    Book preview

    Oltre i confini - Noemi Gastaldi

    Prologo

    Il tocco degli Spiriti Antichi

    I

    II

    III

    IV

    V

    VI

    VII

    VIII

    IX

    X

    XI

    XII

    XIII

    XIV

    XV

    XVI

    XVII

    XVIII

    XIX

    XX

    Prologo

    Siamo davvero in grado di comprendere quel limite sottile che separa la percezione dal disturbo mentale?

    Lucilla aveva dodici anni ed era nata e cresciuta in un paesino dell’alta val Susa. Qualcuno sosteneva che lei potesse vedere gli spiriti. I fantasmi, gli abitanti di un’altra dimensione, i pensieri solidi di altre persone. Altri, più semplicemente, ritenevano che lei soffrisse di allucinazioni.

    A Lucilla non importava appurarlo: se prima di addormentarsi vedeva qualche piccolo folletto ballarle sulla testiera del letto, per lei era solamente il principio di un sogno. Che importanza aveva cercare di definire questo fenomeno in qualche modo? Lucilla s’addormentava e non ci pensava più.

    Da bambina era diverso. Quando Lucilla era più piccola capitava spesso che, prima ancora di addormentarsi, s’alzasse dal letto e raggiungesse correndo la camera dei genitori.

    Diceva di avere gli incubi.

    Fu sua sorella Irene a sbugiardarla.

    Irene e Lucilla trascorrevano gran parte del loro tempo alla piccola scuderia del paese, e avevano una vera e propria adorazione per il vecchio Phantom, cavallo da scuola di entrambe. Capitava spesso che le sorelline polemizzassero tra loro per decidere quale delle due avesse bisogno per prima di stivali o guantini nuovi, ma si trattava soltanto di piccoli battibecchi. Invece, quando un bel giorno l’insegnante di equitazione annunciò che il maneggio aveva fatto un nuovo acquisto, scoppiò il finimondo. Infatti, quel giorno, una delle due avrebbe dovuto abbandonare Phantom per montare il nuovo arrivato: una proposta inaccettabile per entrambe. Tra pianti e urlacci, volarono accuse di ogni genere, fin quando Irene riuscì a catturare l’attenzione di tutti i presenti:

    Non è vero che Lucilla ha gli incubi, ne sono sicura. Lei scappa dal letto prima ancora di addormentarsi, l’ho vista io! Parla da sola, poi scappa, fa tutto quel baccano per niente! gridò.

    Venne poi fuori che Lucilla non mentiva: effettivamente aveva gli incubi, però, le accadeva quand’era ancora sveglia.

    Seguirono una visita neurologica, un elettroencefalogramma, una risonanza magnetica. Ma non c’era niente. Nessuna causa fisiologica spiegava quel che regolarmente accadeva a Lucilla e lei, semplicemente, ci si abituò.

    Il tocco degli Spiriti Antichi

    I

    La segreteria della scuola media del paese era caratterizzata da un odore potente e fetido. Dal momento in cui ci aveva messo piede, Lucilla non aveva desiderato altro che di uscire da quel posto nauseabondo.

    La sua figura alta e slanciata, i suoi capelli scompigliati color biondo miele, e i suoi vestiti da dodicenne spiccavano nettamente in quell’ufficio grigiastro, popolato solamente da donne in tailleur dall’aria spenta.

    La ragazza si tirò fin sul naso la leggera sciarpa color porpora, prima di avvicinarsi a una donna di mezza età con gli aloni sotto le ascelle e porgerle un foglio: richiesta di esonero dal corso di nuoto.

    Perché non vuoi fare il corso? chiese la segretaria, ostentando un sorriso tirato e sforzandosi di alzarsi dalla sedia per avvicinarsi a Lucilla.

    Perché non prendi il foglio e basta? pensò questa, storcendo il naso in segno di disappunto. Ma era una ragazza educata, per quanto l’imminente arrivo dell’adolescenza mettesse a serio rischio questa sua qualità. Si limitò ad alzare le spalle e a consegnare il foglio nelle mani umidicce della donna.

    Uscì sbuffando e finalmente respirò aria pulita.

    Con l’aria accigliata si diresse alla scalinata che portava al piano inferiore, dove si trovava la sua classe. Si lanciò giù per le scale facendo lunghi passi e tenendo la testa ben stabile fra le nuvole. Solo per un pelo, riuscì ad arrestare la sua corsa prima di travolgere la bellissima ragazza che le stava incautamente venendo incontro.

    Era vestita di nero, aveva i capelli di un rosso così acceso da sembrare finto, e i suoi occhi erano truccati pesantemente.

    Lucilla ebbe subito l’impressione di averla già incontrata. Scusa, le disse titubante.

    Le aveva quasi sbattuto addosso, i loro corpi si erano sfiorati.

    Mentre Lucilla si era frenata così all'improvviso da rischiare di perdere l'equilibrio, l’altra era rimasta immobile, dritta come un fuso e senza fare una piega. Solo dopo le scuse di Lucilla, ruppe la staticità statuaria del suo viso sorridendo leggermente, pur senza dire una parola. Lasciò che quella ragazzina impacciata indugiasse con lo sguardo sulle sue labbra sottili, sul suo volto affilato elegantemente congiunto a un collo lungo e sensuale.

    Fu prima di tutto la fossetta tra le clavicole di quella ragazza dal corpo asciutto a smuovere qualcosa di strano in Lucilla che, senza rendersene conto, si ritrovò infine a puntarle gli occhi dritti in mezzo alla pronunciata scollatura. Senza tanti complimenti. Quando però si rese conto di cosa stava guardando e, ancor più, di come lo stava facendo, Lucilla deglutì imbarazzata. Si allontanò rapidamente e riprese la sua corsa giù per le scale, cercando di rimuovere la brutta figura che era certa di aver fatto.

    Se ne ritornò in classe, si sedette al suo posto e diede un’occhiata all’equazione scritta alla lavagna. Giusto un’occhiata.

    Poi si disse che quella ragazza era troppo grande per fare ancora la scuola media.

    Cercando di scacciare dalla sua mente la fugace emozione che non riusciva a spiegarsi, Lucilla disegnò una battaglia navale sul fondo del quaderno e iniziò a giocare con il suo vicino di banco.

    Lo colpì e lo affondò più volte, fino allo squillare della campanella.

    Quel suono liberatorio le diede finalmente la possibilità di chiedere a tutti se conoscessero la strana ragazza che ancora non voleva saperne di abbandonare i suoi pensieri, ma nessuno sembrava averla mai vista.

    Eppure, in un paesino tanto piccolo, tutti conoscono tutti, pensò.

    Lei era certa di averla già incontrata e, continuando a rimuginarci, si diresse a casa pensierosa.

    Non mi racconti cos’hai fatto a scuola? la ridestò la voce di sua madre non appena varcò la soglia. Nemmeno il tempo di poggiare lo zaino a terra.

    Sbuffò.

    La genitrice la prese male. Reagì accompagnando la processione verso la sala da pranzo con un rosario di lamentele.

    Lucilla, comunque, perseverò nel suo non aver niente da raccontare.

    Raggiunta la tavolata, l’ondata di malumore travolse per qualche minuto anche il resto della famiglia.

    Emanuele, padre premuroso.

    Irene, figlia più piccola.

    Clelia, madre, portatrice di sospiri affranti e cibo di gastronomia.

    Lucilla, troppo concentrata sulla sua ragazza misteriosa per godersi degnamente la porzione di pollo arrosto.

    Fortunatamente per lei, sua sorella quel giorno chiacchierò persino più del solito, così da darle la possibilità di consumare il proprio pasto senza che nessuno notasse che lei, al contrario, era particolarmente taciturna.

    Oggi ho visto una ragazza che forse conosco... disse poi, piano, dopo essersi saziata. Più un modo per raccogliere i propri pensieri che un aggiornamento in favore della famiglia.

    Chi? Chi era? proruppe Clelia con entusiasmo. E a quel punto non si poteva deluderla.

    Non mi ricordo. Non riesco a ricordare dove l’ho già vista, ma so di averla già vista. Sembra un po’ più grande di me, ha i capelli rossi e lunghissimi. È molto magra, ha il volto scavato. È bella, ma è strana... Non so spiegarti meglio di così. Ti dice niente?

    No. Hai chiesto a Silvia se la conosce? Silvia conosce tutti! asserì Clelia, soddisfatta della conversazione pacifica e serena che stava avendo con quella figlia un po' sfuggente.

    Ho chiesto quasi a tutti... Nessuno la conosce.

    Possibile?

    Lucilla si fece nuovamente silenziosa. Era possibile, ma poco probabile.

    Dopo averci rimuginato ancora un po', si alzò da tavola e annunciò che aveva un mucchio di compiti da fare. Corse in camera sua e tirò fuori i pastelli e gli acquerelli: voleva ritrarre subito il volto di quella ragazza, perché finalmente i ricordi iniziavano a riaffiorare, e lei non voleva lasciarsene sfuggire nemmeno uno.

    ***

    Lucilla abbozzò due piccole macchie scure al centro del foglio da disegno.

    Ricordava di aver conosciuto la ragazza misteriosa quand'era ancora molto piccola, ed era lì che voleva condurre i propri pensieri.

    All'epoca, i suoi capelli erano ancora così chiari e sottili da assumere una colorazione platinata sotto i raggi del sole, ed erano sempre raccolti in due codini alti sopra la testa; i suoi occhi scurissimi risaltavano, proprio come due macchie d’inchiostro, in mezzo al candore del suo viso ancora leggermente paffuto. Poteva avere quattro o cinque anni. E ritrarre se stessa come una bambina, proprio ora che iniziava a intravedere l’età adulta, la fece sorridere di tenerezza nella solitudine della sua stanza.

    Pensò quindi a come aggiungere alla sua opera l’oggetto della propria, neonata, ossessione.

    Ricordò, con un certo sforzo, che quella ragazza le aveva detto di chiamarsi Fantasy e che era già grandicella quando... Possibile? Forse su questo Lucilla si sbagliava: la sua tenera età doveva aver alterato la percezione di quella dell'altra.

    Scuotendo la testa, tornò con la mente a quel giorno di alcuni anni prima.

    Rivide sé stessa vagare per le campagne, reduce da un brutto litigio con la madre. Le capitava spesso: Se non smetti di gridare scappo di casa! minacciava. E correva via. Poi tornava, a volte in pochi minuti, più di rado si trattava di qualche ora, cosa che le procurava nuove tirate d’orecchie.

    Si scoprì a sorridere ancora una volta.

    Selezionò una varietà di pastelli verdi e marroni, decisa a non interrompere più il flusso dei propri pensieri scandito dalla rappresentazione degli stessi, e ricordando che durante quella fuga era finita in un posto che odorava di terra e di erba, dove l’atmosfera era insolitamente densa, fitta di voci e di rumori impercettibili.

    Quel giorno aveva visto le colline per la prima volta: erano di un bellissimo verde smeraldo e sembrava che il mare le avesse accarezzate a lungo, fino a lasciarci impresse le sue onde.

    Aveva trovato un gatto nero e l’aveva seguito, godendosi in pieno quella camminata tra i prati incolti.

    L’aria era tiepida, il gatto camminava pigramente e Lucilla lo seguiva respirando forte. All’improvviso, lui aveva accelerato e si era infilato in una strana costruzione di pietra all’apparenza abbandonata. La bimba si era fermata di scatto: non aveva mai visto nulla del genere. I muri della casupola erano interamente costituiti da blocchi di pietra, del tutto dissimili dalle pareti intonacate che era abituata a vedere; la facciata era lunga ma bassa, come se tutta l’abitazione fosse costituita da un solo piano molto ampio; le uniche vie di comunicazione con l’esterno consistevano in due finestrelle dal vetro annerito e una piccola porticina di legno, poste in modo ravvicinato sul lato sinistro dell’abitazione. Lucilla aveva fatto qualche passo indietro e, con meraviglia, si era accorta di un’altra anomalia: il tetto era coperto da un manto d’erba, tra la quale spuntavano alti steli verdi sormontati da piccoli fiorellini viola.

    Aveva poi percorso tutta la facciata, sempre più incuriosita: su entrambi i lati, la casa era cinta da un muretto di pietra, che sembrava proseguire fino a una scura macchia boscosa. Dopo averlo costeggiato per un centinaio di metri, la piccola si era resa conto che c’era troppo da camminare per i suoi gusti, così, aveva rinunciato all’idea di aggirarlo ed era tornata davanti alla porticina, chiedendosi se fosse il caso di seguire l’esempio del gatto e farsi strada direttamente dall’ingresso socchiuso.

    Si era fermata ad ascoltare i rumori circostanti e niente le aveva fatto pensare che la casa fosse abitata. Mentre Lucilla prendeva coraggio, Fantasy era uscita dalla porticina con il suo gatto nero in braccio.

    Lucilla era rimasta a guardarla con gli occhi sgranati.

    I suoi capelli erano di un rosso acceso molto particolare, così come le sue sottili sopracciglia, e la sua pelle era bianca come la porcellana. Anche lei, proprio come Lucilla, spezzava il candore del suo incarnato con due grandi occhi scuri. Il suo corpo sottile era coperto da un fine abito bianco, il cui semplicissimo corpetto senza spalline sembrava esserle stato dipinto addosso fino all’altezza dei fianchi, dove si allargava in un’ampia gonna che terminava in maniera irregolare sulle sue finissime caviglie. Quel vestito non sembrava un normale prodotto di sartoria: osservandolo da vicino si poteva intuire che era interamente composto da minuscole piume bianche. Nel complesso, Fantasy era eterea, inconsistente; ma quel che Lucilla trovava più strano era la sua luce: sembrava che dalla sua pelle provenisse un bagliore sufficientemente forte da illuminare lo stanzino alle sue spalle.

    Eppure era reale: stava proprio davanti a lei e profumava di fiori.

    Sei la figlia di Clelia? aveva chiesto Fantasy, dopo aver osservato a lungo Lucilla.

    La bambina aveva subito notato uno strano accento nella voce di quella ragazza; tutto era sempre più strano.

    Conosci la mia mamma? aveva domandato incredula.

    Fantasy non aveva risposto ed era rientrata in casa senza richiudersi la porta alle spalle. Camminava leggera, veloce e sicura. I suoi capelli rossi ondeggiavano anche al chiuso, la sua carnagione chiara si vedeva anche al buio. Lucilla l’aveva seguita, curiosa, senza riuscire ad attribuire forma e dimensioni a quella stanza scura.

    Come mai conosci la mia mamma? Posso giocare col gatto? Come si chiama?

    Le sue domande non ricevevano risposta. Fantasy la ignorava, come se non fosse neanche stata lì.

    Insieme avevano attraversato lo stanzino ed erano scese in una cantina ugualmente buia che odorava di muffa, dove Fantasy aveva dato da mangiare e da bere al gatto. Lucilla non aveva smesso di parlare nemmeno per un momento: parlava di lei e della madre, di come litigavano sempre, insisteva che sarebbe scappata di casa sul serio, prima o poi.

    Non hai paura del buio? aveva poi chiesto Fantasy, all’improvviso.

    No.

    Di cosa hai paura?

    Degli insetti, quelli che volano... E dell’acqua.

    Non va bene...

    No?

    Fantasy aveva poi ripreso a camminare decisa e Lucilla aveva continuato a seguirla, mantenendo però un religioso silenzio dopo quella breve conversazione inattesa. Erano risalite al piano terra, ritrovandosi finalmente in una stanza dove il sole riusciva a bagnare le pareti. Lucilla aveva alzato lo sguardo e aveva visto che la luce proveniva da un buco rotondo al centro del tetto, sostenuto da assi di legno disposte a raggiera e terminanti sulle pareti della stanza, anch’essa tondeggiante.

    Questo dovrebbe essere l’ingresso, l’altro era troppo buio. sentenziò convinta la bambina, accorgendosi che, nel frattempo, Fantasy aveva aperto una porta di legno con volta ogivale che dava sull’esterno.

    Senza aspettarsi che la ragazza commentasse la sua acuta osservazione, Lucilla era uscita su quello che doveva essere il cortile interno: uno splendido giardino che sembrava un bosco fiorito. A ridosso del muretto di pietra già visto dall’esterno, si alternavano aiuole di gigli bianchi e arancioni, iris e narcisi. L’erba smeraldina era costellata di margheritine prataiole, qua e là erano piantati cespugli di magnolia stellata, felci e frangipani. Più avanti, grosse conifere segnavano l’ingresso nel bosco vero e proprio. All’ombra di un alto cedro e di alcuni abeti c’erano due altalene.

    Fantasy e Lucilla avevano ondeggiato nell’aria per tutto il pomeriggio, e per molti dei pomeriggi successivi.

    Nel giardino non c’erano insetti, né acqua.

    ***

    L’aria delle prime notti d’autunno era fresca e pulita. Era come se all’improvviso si potesse respirare meglio.

    Emanuele spense la luce per poter aprire la finestra. Clelia si sedette sul letto riempiendo la stanza di mugugni. Era sempre così, da quando le fobie di Lucilla erano peggiorate: quella ragazzina non avrebbe potuto dormire, se avesse visto le finestre aperte e la luce accesa in una qualsiasi stanza della casa; non riusciva a stare calma, se c’era anche solo la minima possibilità che le falene potessero entrare in casa. Emanuele assecondava le paure di sua figlia fino all’esasperazione, ma Clelia non poteva soffrire questo suo atteggiamento accondiscendente:

    E fosse che le lasciamo passare qualche notte in bianco finché non si stufa di questa sua fissazione? Sono solo turbe adolescenziali, accendi ‘sta luce! propose poco pacatamente.

    Emanuele accese la luce. Poi, però, chiuse la finestra.

    Clelia sbuffò ancora un paio di volte e, finalmente, si mise a letto, seguita a ruota dal marito.

    Al fianco della camera matrimoniale c’era la stanza che Irene e Lucilla avevano condiviso fino all’anno precedente; infatti, dopo aver terminato le scuole elementari, la sorella più grande aveva letteralmente occupato quella che una volta era la stanza per gli ospiti, sostenendo di aver bisogno di più spazio. Non aveva cambiato quasi nulla dell’arredamento spartano già presente: un letto a due piazze, una cassettiera di legno con un grosso specchio, un armadio a quattro ante. Il suo tocco personale stava nell’aver tappezzato le pareti con fotografie e gigantografie di cavalli maestosi e nell’aver aggiunto una scrivania sotto la finestra. Aveva inoltre sistemato mensole di legno in ogni spazio libero. Tutto era funzionale allo studio ma, soprattutto, era funzionale alla sua passione per il disegno. Le mensole a fianco della scrivania erano infatti occupate principalmente da boccette d’inchiostro di china e da pastiglie di acquerelli; sul piano della scrivania, erano sempre sparsi fogli di cotone, pastelli acquerellabili, pennelli e pennini.

    Quella sera, mentre la sua sorellina dormiva da un pezzo e anche i suoi genitori stavano per assopirsi, Lucilla era ancora seduta alla scrivania a osservare i suoi disegni. Nel corso della giornata ne aveva iniziati molti e conclusi alcuni, il soggetto era sempre Fantasy o, per meglio dire, il ricordo che lei aveva di Fantasy, di come l’aveva conosciuta anni prima. Possibile che la ragazza che aveva visto a scuola fosse proprio lei? Si sentiva confusa, ma non riusciva a smettere di pensarci.

    Impilò i suoi disegni lasciando in cima l’ultimo, ancora leggermente bagnato. Prese un nuovo cartoncino bianco e lo appiccicò alla scrivania con il nastro adesivo di carta, così da evitare che s’imbarcasse, mentre con una grossa pennellessa stendeva un fondo color giallo ocra. Il foglio aveva un’alta percentuale di cotone e si sarebbe asciugato presto, mentre lei selezionava due o tre pastelli dai toni caldi per iniziare ad abbozzare la figura che aveva chiara in testa: un primo piano di Fantasy che le sorrideva, al termine di un pomeriggio passato assieme sulle belle altalene del giardino fiorito.

    Gli occhi di Lucilla sorridevano nel perfetto silenzio di quella casa isolata, dove tutti dormivano; la ragazza osservava distrattamente i pastelli che aveva in mano, in preda a un entusiasmo che la faceva sentire un po’ sciocca ma che, al contempo, la rendeva felice.

    All’improvviso, sentì qualcosa smuovere l’aria alle sue spalle.

    Smise immediatamente di sorridere, il suo stomaco si strinse come in una morsa.

    Non voleva voltarsi per guardare: il pensiero che un estraneo si fosse in qualche modo intrufolato nella sua stanza senza fare il minimo rumore le si era rapidamente insinuato in testa, ma era decisa a mantenere la calma: era molto più probabile che fossero le sue solite allucinazioni, non valeva la pena di prestare attenzione a tali scherzi della mente. Cercò nuovamente di concentrarsi sul bel volto di Fantasy, quando qualcosa di freddo e ispido le sfiorò il collo:

    Mamma? chiese Lucilla con voce tremante. Poi si girò e lanciò un debole grido: una gigantesca falena marrone la stava osservando. Le sue ali erano spiegate come per spiccare il volo, e quattro delle sue zampette poggiavano sul pavimento, mentre le due superiori erano protese verso di lei. Lucilla spostò lentamente lo sguardo dal corpo peloso di quell’insetto di dimensioni colossali per soffermarsi sulle sue particolari antenne a frange. Gli enormi occhi dell’animale la scrutavano, le sue ali squamose le bloccavano l’unica via di fuga. Lucilla si sentì morire, accorgendosi che aveva iniziato a sudare e tremare contemporaneamente.

    Rimase completamente immobile per qualche secondo, poi il suo sguardo venne catturato da un grosso cerchio scuro disegnato sull’ala della falena: ebbe l’impressione che l’insetto avesse un altro paio d’occhi ancora più grandi, cosa che non fece altro che spaventarla ulteriormente. Poi fu un attimo: Lucilla si mise a correre verso la porta, spostando con una spallata la grossa ala che le stava davanti. Non riuscì a far altro che correre dai suoi genitori, per implorarli di controllare che non ci fossero insetti giganti nella sua stanza.

    Ovviamente, il responso fu negativo.

    Lucilla se ne tornò in camera stravolta, si mise subito a letto. Il cuore le rimbombava nel petto e la fastidiosa pulsazione le raggiungeva i timpani. Si rigirò più volte sotto le coperte, chiedendosi come quella notte sarebbe riuscita a prendere sonno. Non tanto per lo spavento preso: non era questo a preoccuparla. Piuttosto, le era spiaciuto di aver dato ancora una volta l’idea della pazza con le allucinazioni. Erano anni che non le succedeva, ormai era convinta di saper distinguere quello che era reale da quello che invece non lo era. Ma quella falena era riuscita ad ingannarla.

    ***

    Il pomeriggio successivo, come era ormai consuetudine, Clelia radunò le sue figlie in giardino per una lezione di Yoga: era la sua passione. Insieme, avevano sempre fatto molti esercizi di respirazione ed eseguito molte asana e, negli ultimi giorni, Clelia aveva iniziato a introdurre anche la pratica della meditazione.

    Armate di materassini e comodamente abbigliate in tuta da ginnastica, le due ragazzine si sdraiarono l’una al fianco dell’altra, nella piccola veranda che confinava direttamente con il prato verde, lasciando libera la vista sugli alberi da frutto che circondavano il giardino. Clelia s’inginocchiò davanti a loro e fece rintoccare le sue campane tibetane, al suono delle quali le due sorelle iniziarono a svuotare la mente e rilassare il corpo come avevano appreso.

    Completata la preparazione, Clelia iniziò a dir loro cosa visualizzare.

    Dopo aver sceso vari scalini e aperto varie porte, Lucilla si trovò su una spiaggia stranamente silenziosa. Aveva davanti a sé una distesa di sassolini bianchi e arrotondati, così fini e levigati da non dare alcun fastidio ai suoi piedi scalzi. Davanti a lei, a picco sull’acqua cristallina, c’era una scogliera dalle forme irregolari color ardesia, nella quale brulicavano una gran quantità di granchietti e paguri. Gli scogli continuavano tra le acque, ritagliandosi grosse pozze dove l’acqua era calma e crescevano prepotenti le alghe verdi. Il

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