e-mood - numero 5
By AA. VV.
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e-mood - numero 5 - AA. VV.
© goWare 2014
ISBN 978-88-6797-153-4
ISSN 2283-9739
Copertina: Lorenzo Puliti e Francesco Guerri
Sviluppo ePub: Elisa Baglioni
Redazione: Serena Di Battista e Mariarosa Brizzi
e-mood è un progetto condiviso da goWare, startup fiorentina specializzata in ebook e applicazioni per mobile, e l’agenzia letteraria Thèsis Contents
Fateci avere i vostri commenti ed eventualmente i vostri manoscritti a: info@goware-apps.it oppure a thesis@thesis.it
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Marta Casarini - Jonathan Franzen - Giacomo Fontani - Elisa Pozzana - Alex B. Di Giacomo - Lorenzo Coccoli - Alessia Coppola - Elisa Baglioni - Cataldo Cazzato & Salvatore Lecce - Gruppo Stimmung - Riot Van - Giorgio Pirazzini - Valentina Sonzogni - Stefano Caso - Davide Dal Sasso - Andrea Santacaterina - Leonardo Caffo - Bild Team - Donatella Valente - Franco D’Intino - Anna Piemonte - Manuela Raganati - Jacopo Caneva - Ilaria Mainardi
Il perché di una e
e di un -
Nel 2014 lo stato d’animo del libro sarà l’ebook, anche in Italia. Sempre più italiani hanno un dispositivo per leggere, sempre più editori pubblicano ebook, sempre più persone scoprono il piacere di leggere su uno schermo, sempre più lettori amano scaricare un libro subito dopo averlo scoperto.
Ecco perché mood
, il nostro ebook magazine, inaugura il 2014, il suo secondo anno di vita, accogliendo nella testata una e
seguita da un trattino. Questa e-
simboleggia quello che sta accadendo in tutti i paesi del mondo: i libri vanno in digitale, diventano e-libri.
Sarà meglio o sarà peggio?
Sarà.
Bruno
di Marta Casarini
Racconto
Tempo di lettura: 2 minuti
Marta Casarini
Marta Casarini (1984) vive con il fidanzato e tre gatti ai piedi dell’Appennino tosco-emiliano. Ha pubblicato i romanzi Nina Nihil giù per terra (Voras) e Anita friggeva d’amore (Fabbri). Autrice di testi teatrali e radiofonici, performer, cantante, attualmente sta scrivendo il suo terzo romanzo.
Bruno arrivò nel nostro giardino un giovedì.Mio padre aveva appena riverniciato il cancello: aveva scelto l’azzurro, nonostante glielo avessi sconsigliato. È un colore da carabiniere
avevo detto.Facevamo spesso questo gioco, nei giorni di pioggia o durante i viaggi in macchina attraverso la campagna; il gioco delle associazioni di idee.Io dico verde e tu?
Albero. Con albero tu cosa dici?
Terra. Con terra?
Fango. E con fango?
Impronta.
Con azzurro
io dicevo sempre carabiniere
, anche se non era valido. Perdevo ogni volta, eppure non riuscivo a cambiare associazione. Mio padre mi prendeva in giro, e la punizione per chi perdeva era una dose extra di solletico senza pietà, quello che lasciava con l’affanno e il rischio reale di soffocare dalle risa. Il giovedì in cui arrivò Bruno, l’azzurro era dappertutto e in testa mi girarono per l’intero pomeriggio immagini di distintivi e stendardi. L’asfalto del cortile era chiazzato di colore, e intorno al secchio della vernice, orlato di colature, giacevano stremati rulli e pennelli di tutte le dimensioni. Io stavo a gambe incrociate sul gradino davanti al portone di ingresso. Osservavo l’anguria della pancia di mio padre ondeggiare al ritmo del pennello, e la pianta del rosmarino ferma nell’aiuola. La settimana prima, mio padre aveva chiamato una ciurma di giardinieri a sfoltire la giungla cresciuta nel giardino. Io non ero in grado di prendermi cura delle piante: in brevissimo tempo, l’edera aveva preso possesso del terreno e le radici mi erano sfuggite di mano, facendo lo sgambetto alle rose che per schivarle si erano contorte in pose scomode. Facevano pena a guardarle, i gambi rachitici e le corolle dai colori abbaglianti, resistenti. Come un insulto diretto alla mia inettitudine. Una volta invece mi regalò un sacco di iuta con un enorme drago sputa fuoco dipinto su un lato. Il sacco aveva due buchi in cui infilare le braccia e uno più grande per la testa: quando indossavo quel sacco avevo un’armatura per difendermi da tutto. Dal raffreddore in autunno. Dalle ombre sotto il letto. Quel sacco sapeva di cantina e sottobosco, di pineta dopo una mareggiata. A distanza di vent’anni, in quel pomeriggio d’estate in cui tutto sarebbe cambiato, ancora sentivo nel fondo delle narici quell’odore umido d’immaginazione e coraggio.Con sacco?
Libertà
. Quando arrivò, Bruno non trovò giochi puzzolenti ma un ordine perfetto. Le erbe aromatiche erano state disseppellite dalla catasta di foglie morte, ed erano libere di profumare il vento. Non c’era un filo d’erba fuori posto in tutto il giardino. Come va?
chiesi a mio padre.Quasi finito
rispose lui, avvicinando il naso al cancello. C’erano chiazze di ruggine vicino alla maniglia, e grumi di vernice rappresa accanto al fermo. Eppure, era impeccabile. Dritto, nuovo, pulito. In divisa.Pronta?
mi disse lui. Non mi venne in mente nessuna associazione. Sarebbe partito da lì a poco. Più nessun passo la notte in corridoio. Le gite in macchina le avrei fatte senza controcanti. La mattina nessuno mi avrebbe più svegliato con suoni di stoviglie e respiri. Poi arrivò Bruno. Forse dalle colline dall’altra parte della strada. Si incastrò, giunto dal nulla, tra le sbarre del cancello. Si sporcò di vernice azzurra il pelo morbido e la punta della coda. Vuoi arrestarmi?
pensai.Oh, guarda un po’
disse mio padre ti sei perso, piccolino?
Bruno lo guardò di sbieco, cigolando un miagolio. Mi raggiunse al portone, strusciando il muso contro il mio polpaccio. Mio padre chiuse il cancello come accarezzasse una farfalla. Dalla strada davanti a casa non giungeva alcun rumore. Solo un debole ronzio, un sibilo di caffettiera accesa, qualcosa sul punto di sgorgare. Mio padre se ne andò un giovedì. Quella sera fummo ancora in due – sei zampe, in tutto – a salire le scale.
Nuovi media: parolai e vanagloriosi
Che cosa c’è di sbagliato
nel mondo moderno
di Jonathan Franzen
Articolo
Tempo di lettura: 35 minuti
Jonathan Franzen
Jonathan Franzen, classe 1959, è uno dei maggiori e più controversi scrittori e saggisti americani. Il magazine Time
gli ha dedicato una copertina con il titolo Great American Novelist
. Nato nei pressi di Chicago, si è laureato in Filologia germanica e ha vissuto a Berlino. Oggi vive e lavora a New York. Nel 2010 è stato insignito del premio National Book Critics Circle. Pubblica regolarmente racconti e saggi su The New Yorker
e su Harper’s
.
In Italia tutti i suoi lavori sono tradotti e pubblicati da Einaudi. Romanzi: Le correzioni (2002), La ventisettesima città (2002), Forte movimento (2004) e Libertà (2011), l’ultimo romanzo. Saggi: Come stare soli (2006), Più lontano ancora (2012). Ha pubblicato anche un libro di memorie Zona disagio (2006). La sua ultima fatica è The Kraus Project, uno saggio dedicato al polemista, aforista e scrittore austriaco.
Pubblichiamo la traduzione italiana a cura di Elisa Badocco dell’articolo di Jonathan Franzen pubblicato su "The Guardian il 12 settembre 2013. Lo scrittore americano confessa di provare di fronte ai nuovi media una contrarietà totale e di rabbrividire quando un romanziere come Salman Rushdie, che dovrebbe avere un po’ più di giudizio, soccombe a Twitter. La sua profezia sui nuovi media è veramente apocalittica: mentre noi ce ne stiamo lì a twittare, a mandarci messaggini e a fare acquisti online, il mondo sta scivolando verso la catastrofe. Scrive: «Viviamo un apocalittico momento storico, saturo di media, pazzo per le tecnologie». L’angoscia di Franzen per il nostro insaziabile tecnoconsumismo echeggia i saggi apocalittici dell’autore satirico Karl Kraus –
il Grande Odiatore", a cui lo scrittore di New York ha dedicato il suo ultimo saggio.
Oskar Kokoschka, Ritratto di Karl Kraus, Olio su tela, 65 x 100 cm, Museum Moderner Kunst, Vienna.
Karl Kraus è stato un autore satirico austriaco, una figura centrale della Vienna di fine secolo e della particolare ricchezza intellettuale che vi si respirava in quel periodo. Dal 1899 fino alla sua morte, avvenuta nel 1936, egli redasse e pubblicò l’autorevole rivista Die Fackel
(la torcia
); dal 1911 in poi fu anche l’autore unico della rivista.
Anche se molto probabilmente Kraus avrebbe odiato i diari messi in rete, Die Fackel
aveva molte delle caratteristiche di un blog e chiunque rivestisse una qualche importanza nel mondo germanofono di allora – da Freud a Kafka a Walter Benjamin – si sentiva in obbligo di leggere e di farsi un’opinione sui suoi scritti. Kraus era noto in particolare per i suoi aforismi, come ad esempio: «La psicanalisi è quella malattia della mente che ritiene di esserne invece la cura» e, nel pieno della sua notorietà, riusciva ad attirare migliaia di persone ad assistere alle sue letture in pubblico.
Il problema con Kraus è che è molto difficile da seguire a una prima lettura, volutamente difficile. Kraus era la maledizione della stampa usa-e-getta
e, per i suoi fedelissimi, il suo stile denso e intricato costituiva un’utile barriera all’accesso, in grado di tenere lontani i non iniziati. Kraus stesso, prima di attaccare il commediografo Hermann Bahr, commentò: «Se capisce una sola frase di questo saggio, ritiro tutto».
Se leggerete le frasi di Kraus più di una volta, troverete che hanno molto da dire anche adesso, a noi che viviamo in questo apocalittico momento storico, saturo di media, pazzo per le tecnologie.
Ecco, per esempio, il primo paragrafo del suo saggio: Heine e le conseguenze:
Due sono le varietà della volgarità intellettuale: la mancanza di difesa dal contenuto e la mancanza di difesa dalla forma. La prima vive solo il lato materiale dell’arte ed è di origine germanica. L’altra vive in modo artistico anche l’aspetto più materiale delle cose ed è di origine romanza. [Romanza qui significa di lingua romanza
cioè francese o italiana]. Per la prima l’arte è uno strumento, per la seconda la vita è un ornamento. In quale inferno preferirebbe bruciare l’artista? Certamente preferirebbe vivere tra i germanici. Perché questi, sebbene abbiano ormai legato l’arte al letto di Procuste dei loro commerci, hanno anche reso la vita più sobria e questa sì che è una benedizione: la fantasia fiorisce e chiunque può esporre la propria luce contro un telaio di finestra vuoto. Ma risparmatemi i nastri e i fronzoli! Risparmiatemi il buon gusto che lassù e laggiù delizia l’occhio ma irrita l’immaginazione! Risparmiatemi questa melodia della vita che disturba la mia musica interiore, la quale si esprime solo nel ruggito di una giornata di lavoro tedesca. Risparmiatemi questo universale, superiore livello di raffinatezza che ci fa capire che il giornalaio di Parigi ha più fascino dell’editore prussiano.
Prima nota a piè di pagina: l’idea di Kraus della melodia della vita
in Francia e in Italia è ancora valida. La sua contestazione – che camminare per una strada di Parigi o di Roma sia già di per sé un’esperienza estetica – è confermata dalla continua popolarità di Francia e Italia come destinazioni per le vacanze e dal tono alla invidiami
dei francofili e italofili americani quando raccontano che andranno in vacanza in quei paesi. Se raccontate che state per fare un viaggio in Germania, dovrete probabilmente spiegare per quale particolare motivo pensate di andarci, altrimenti gli interlocutori potrebbero chiedersi come mai non andate in un qualche altro posto dove la vita sia bella.
Anche adesso la Germania insiste sul contenuto piuttosto che sulla forma. Se il concetto di coolness fosse già esistito ai tempi di Kraus, egli avrebbe potuto dire che la Germania non è cool. Ciò ci porta a una versione più contemporanea della dicotomia di Kraus: il Mac contro il PC. Forse che la quintessenza dei prodotti Apple non è di renderci cool solo per il fatto di possederli?
Addirittura, quello che si fa su un Mac Air non ha nessuna importanza. Già usare Mac Air, percepire l’elegante design del suo hardware e del suo software è di per sé un piacere, proprio come passeggiare per una strada di Parigi. Al contrario, quando lavoriamo su un PC qualunque, goffo e utilitaristico, l’unico godimento che abbiamo sta nel lavoro che stiamo facendo. Proprio come dice Kraus quando parla della vita in Germania, il PC comune abbassa
quello che stiamo facendo; mostra se stesso senza fronzoli. Ciò era particolarmente vero nei primi anni d’introduzione dei sistemi operativi DOS e all’inizio dell’era Windows.
Uno degli sviluppi che Kraus criticava in quel saggio, la caratteristica tutta viennese di adornare la lingua e la cultura tedesche con elementi decorativi importati dalla cultura e dalle lingue romanze, presenta un correlativo nelle versioni più recenti di Windows, che riprendono alcune caratteristiche di Apple senza riuscire a nascondere la loro windowesità
di fondo, il loro essere uncool. Peggio ancora: nell’inseguire l’eleganza di Apple, finiscono per tradire anche la bellezza primitiva e austera della funzionalità del PC. Non funzionano bene come il Mac e in più sono brutti, per gli standard di tendenza così come per quelli utilitaristici.
Eppure, per citare Kraus, preferirei ancora vivere tra i PC. Ogni possibilità di passare ad Apple mi è stata negata dalla famosa e prolungata serie di messaggi pubblicitari di Apple volti a persuadere gente come me a passare al Mac [Si riferisce alla campagna pubblicitaria "Get a Mac" lanciata tra il 2006 e il 2009 negli USA, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Regno Unito e Giappone]. L’argomentazione era assolutamente ragionevole, ma era espressa da un Mac personificato (impersonato dall’attore Justin Long), di una spocchiosità talmente insopportabile da rendere, al confronto, le tristezze di Windows assolutamente attraenti.
Non vorreste mai leggere un romanzo che parli del Mac: che cos’altro ci sarebbe da dire se non che tutto è così trendy? I personaggi dei romanzi devono esibire dei desideri concreti. Ma, nella pubblicità della Apple, il personaggio che manifestava dei desideri era il PC, impersonato da John Hodgman. I suoi tentativi di difendersi e di apparire figo erano divertenti e lui soffriva, proprio come un essere umano. In giro per il mondo c’erano diverse versioni locali di questa pubblicità, in Inghilterra erano i comici David Mitchell e Robert Webb a interpretare il PC e il Mac.
Non sarei corretto se non aggiungessi che il concetto di cool è stato cooptato a tal punto dalle industrie tecnologiche che è diventato necessario spendere delle parole in più, come per esempio hip (di moda), per descrivere i commenti online che hanno finito per detestare Long e per considerare Hodgman quello figo
. L’irrequietezza con cui si spiega chi e che cosa è considerato hip al giorno d’oggi potrebbe essere un’eredità di ciò che Marx identificava come l’irrequieta
natura del capitalismo. Uno degli aspetti peggiori di Internet è che invoglia chiunque a essere sofisticato, a prendere posizione su quello che è hip e a prendere in considerazione, pena l’essere considerato fuori moda
, la posizione presa da chiunque altro. Forse Kraus non si è mai preoccupato di essere di moda
ma certamente godeva nel prendere posizione ed era fortemente in armonia con le posizioni di alcuni altri critici. Kraus era sofisticato, per questo e soltanto per questo
Die Fackel
ha un aspetto da blog. Kraus passava molto tempo a leggere il materiale che odiava, in modo da poterlo odiare con autorità.
Credetemi, voi tutti che amate riempirvi gli occhi di colore, nelle culture in cui ogni zuccone ha una propria individualità, l’individualità diventa una cosa per zucconi.
Seconda nota a piè di pagina: al giorno d’oggi non ci si può permettere di dire queste cose in America e non importa fino a che punto te lo chieda il miliardo (o forse ormai sono due miliardi?) di pagine Facebook personalizzate
. Ai suoi tempi Kraus era noto ai suoi nemici come il Grande Odiatore
. Tuttavia, secondo molte testimonianze, in privato era tenero e generoso e aveva molti amici fedeli. Ma non appena si metteva a inanellare frasi di retorica polemica, sapeva toccare registri davvero aspri.
Gli zucconi
individualizzati a cui pensava Kraus non erano l’uomo comune, il popolino. Sebbene potesse sembrare elitario, Kraus non si occupava di denigrare le masse o la cultura senza grandi pretese; la calcolata difficoltà dei suoi scritti non era una barricata contro i barbari. Al contrario, era rivolta alle autorità della cultura, illuminate e istruite, che adottavano un tipo di individualità ipocrita, gente che, secondo Kraus, avrebbe dovuto avere un po’ più di giudizio. Che il grido di Kraus, le denunce ex cathedra, fossero la maniera più efficace per cambiare il cuore e la mente delle persone non risulta poi così chiaro.
Ma confesso di provare un certo disappunto quando un romanziere che, secondo me dovrebbe essere più giudizioso, Salman Rushdie, soccombe a Twitter. Oppure, quando una rivista cartacea impegnata politicamente e che io rispetto, N+1
, denigra le riviste cartacee definendole maschili
mentre celebra Internet in quanto femminile
, e in qualche modo trascura di considerare la rapidissima pauperizzazione degli scrittori freelance che scrivono su Internet. Oppure quando dei bravi professori di sinistra, che un tempo riuscivano a resistere all’alienazione – che criticavano il capitalismo per il suo assalto incessante alle tradizioni e a ogni comunità che volesse continuare a seguire la propria strada – cominciano a definire Internet rivoluzionario
in quanto privatizzato.
Risparmiatemi la pittoresca fatica di scavare nella scorza del gorgonzola invece di affidarmi alla bianca monotonia di una crema di formaggio! La vita è dura da digerire sia qui sia lì, ma la dieta romanza abbellisce lo spreco: inghiotti l’esca e finisci a pancia all’aria. Il regime tedesco, invece, guasta la bellezza e ci mette alla prova: come possiamo ricrearla? La cultura romanza, al contrario, fa di ciascuno di noi un poeta. L’arte, in quei luoghi, è una fetta di torta. E il Paradiso un Inferno.
Nascosta in questo paragrafo possiamo veder baluginare l’implicazione che la Vienna di Kraus stesse esattamente nel mezzo, esattamente come Windows Vista. La lingua e l’orientamento erano tedeschi, ma Vienna era anche la co-capitale di un impero cattolico romano che si estendeva verso il sud dell’Europa ed era innamorata dell’idea stessa dell’affascinante spirito e stile di vita viennesi («le strade di Vienna sono pavimentate di cultura – dice un altro degli aforismi di Kraus – quelle delle altre città sono asfaltate»).
Per Kraus, il supposto fascino culturale di Vienna era un velo di ipocrisie steso al di sopra di contraddizioni che presto si sarebbero rivelate catastrofiche, contraddizioni che egli tendeva a smascherare con la sua satira. Questo paragrafo può suonare più pesante per la cultura latina che per quella germanica, ma in realtà Kraus amava andare in vacanza in Italia, dove ebbe alcune delle sue esperienze più romantiche. Per lui il luogo con la cesura più pericolosa tra forma e contenuto era proprio l’Austria che, mentre si stava modernizzando, manteneva comunque dei modelli politici e sociali tipici dei primi anni del XIX secolo. Kraus era ossessionato dal ruolo svolto dai giornali moderni nell’occultare le contraddizioni. Come le riviste di Hearst in America, la stampa borghese di Vienna aveva un’influenza politica e finanziaria immensa, ed è stato dimostrato che era anche corrotta. Trasse grandi vantaggi dalla Prima guerra mondiale e fu molto utile nel sostenere i miti viennesi più affascinanti, come la morte dell’eroe
, durante quel lungo periodo di massacro meccanizzato. La Grande guerra costituiva, per l’Austria, proprio quell’apocalisse che Kraus andava profetizzando e lui continuava a ironizzare sulla complicità della stampa in tutto questo.
Quindi, nel 1910, Vienna era un caso speciale. Eppure, si potrebbe sostenere che anche l’America del 2013 è così: un altro impero indebolito che si racconta delle storie sulla sua eccezionalità mentre scivola via, alla deriva, verso un’apocalisse di qualche tipo, fiscale o epidemiologica, climatico-ambientale o nucleare. La nostra estrema sinistra può anche odiare la religione e pensare che viziamo Israele, la nostra estrema destra può anche odiare gli immigrati illegali e pensare che noi coccoliamo un po’ troppo la gente e