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Herosian e il suo amico Dean sono due ragazzini ospiti di una Casa Famiglia, e il desiderio di evadere aumenta talmente tanto che, presto, i due fuggono. Gli amici non rimangono tuttavia uniti, poiché Herosian, dopo aver trovato e aperto un bellissimo scrigno, finisce in uno strano posto in cui incontra Geneviève, una coetanea geniale quanto scostante; lei viene da un Mondo che raggiungono gli Artisti, anima e corpo, subito dopo la morte. All’interno di questo Mondo, le Opere degli Artisti divengono portali, e ciò che rappresentano si tramuta in un vero e proprio mini-mondo. Herosian scopre quindi di essere all’interno del dipinto L’Europa dopo la pioggia e che Geneviève si trova lì per liberarne l’Autore, prigioniero all’interno della sua opera. Una misteriosa e oscura entità, l’Anima Morta, sta infatti incarcerando gli Artisti nelle loro stesse creazioni.
Così, Herosian, insieme a Geneviève, affronterà un viaggio colmo di insidie, transitando di Opera in Opera per liberare gli Artisti e al contempo cercare Dean e il Manoscritto degli Artisti, un libro dai grandi poteri che è stato trafugato.Herosian scoprirà dunque la vera essenza dell’Arte, vagando all’interno di melodie, libri e dipinti; incontrando grandi personaggi come Salvador Dalí, Leonardo Da Vinci, Van Gogh e moltissimi altri, convogliati in intrecci narrativi sorprendenti ed imprevedibili. Quale sarà il piano dell’Anima Morta? Come mai, Herosian, si è ritrovato al di là del suo mondo?Quali saranno le opere che esplorerà? Dove sarà il Manoscritto degli Artisti, e quale sarà il suo incredibile potere?Queste risposte e molte altre vi attendono all’interno di un romanzo sempre incalzante, ricco di azione e introspezione, che non abbandona mai il fascino della scoperta e la celebrazione dell’Arte.Alex Schillizzi e Francesco Agostini
Proprietà letteraria riservata
© 2016 by Alex Schillizzi and Francesco Agostini
© 2016 by Genesis Publishing, Rodi (GR)
ISBN Kindle: 978-88-99603-92-2
ISBN ePub: 978-88-99603-93-9
www.thegenesispublishing.com
In copertina
COVER DESIGN: © Genesis Publishing
FOTO LIBRO: © Saquizeta
FOTO RAGAZZI: © Oleg Iandubaev
ISBN: 978-88-99603-93-9
Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write (http://write.streetlib.com)
un prodotto di Simplicissimus Book Farm
TRAMA
1. Fuga da Tutto
2. Geneviève Hedoudè
3. Il Creatore
4. L’Accademia: Parte Prima
5. L’Accademia: Parte Seconda
6. Il Luogo Creato
7. Le Arpe
8. Luci e Ombre
9. Angeli e Serpenti
10. La Spada di Diamante
11. Ogni Potere
12. Ritorno all’Accademia
13. La Lettera
14. Una Nuova Occasione
15. La Notte Stellata
16. I Due Complementari
17. La Dama Nera
18. Le Cascate dell’Infinito
19. Infinite Sfumature di Nero
20. Enigmus
21. Il Monsignor Stavitskiy
22. La Forma dei Pensieri
23. La Bizzarra Dimora di Salvador Dalí
24. L’Artista da Cento Carati
25. Il Risveglio del Mostro
26. Il Male nel Cuore
27. Il Segreto di Karine
28. L’Ignoto: Parte Prima
29. L’Ignoto: Parte Seconda
30. L’Oblio
31. Bianco e Nero
32. L’Anima Morta
33. Il Quadro Completo
RINGRAZIAMENTI
Herosian e il suo amico Dean sono due ragazzini ospiti di una Casa Famiglia, e il desiderio di evadere aumenta talmente tanto che, presto, i due fuggono. Gli amici non rimangono tuttavia uniti, poiché Herosian, dopo aver trovato e aperto un bellissimo scrigno, finisce in uno strano posto in cui incontra Geneviève, una coetanea geniale quanto scostante; lei viene da un Mondo che raggiungono gli Artisti, anima e corpo, subito dopo la morte. All’interno di questo Mondo, le Opere degli Artisti divengono portali, e ciò che rappresentano si tramuta in un vero e proprio mini-mondo. Herosian scopre quindi di essere all’interno del dipinto L’Europa dopo la pioggia e che Geneviève si trova lì per liberarne l’Autore, prigioniero all’interno della sua opera. Una misteriosa e oscura entità, l’Anima Morta, sta infatti incarcerando gli Artisti nelle loro stesse creazioni.
Così, Herosian, insieme a Geneviève, affronterà un viaggio colmo di insidie, transitando di Opera in Opera per liberare gli Artisti e al contempo cercare Dean e il Manoscritto degli Artisti, un libro dai grandi poteri che è stato trafugato.
Herosian scoprirà dunque la vera essenza dell’Arte, vagando all’interno di melodie, libri e dipinti; incontrando grandi personaggi come Salvador Dalí, Leonardo Da Vinci, Van Gogh e moltissimi altri, convogliati in intrecci narrativi sorprendenti ed imprevedibili.
Quale sarà il piano dell’Anima Morta? Come mai, Herosian, si è ritrovato al di là del suo mondo?
Quali saranno le opere che esplorerà? Dove sarà il Manoscritto degli Artisti, e quale sarà il suo incredibile potere?
Queste risposte e molte altre vi attendono all’interno di un romanzo sempre incalzante, ricco di azione e introspezione, che non abbandona mai il fascino della scoperta e la celebrazione dell’Arte.
A mia nonna Tita.
Mi hai mostrato cos’è l’affetto.
Mi hai mostrato cos’è l’altruismo.
Mi hai mostrato cos’è la fede.
Mi hai mostrato il bene nella sua forma più pura.
Ti porto sempre con me.
[Francesco]
Un pensiero speciale va ai miei nonni materni,
con i quali ho condiviso metà della mia esistenza.
Siete stati il mio esempio di vita,
un corso d'acqua fluito in una diga.
E ai miei nonni paterni,
senza i quali, il Mondo degli Artisti
sarebbe un quadro privato di ogni sua forma Estetica.
Vi restituisco ciò che ho più a cuore...
[Alex]
L’arte è come se fosse un secondo creatore della natura,
ha aggiunto come un altro mondo a quello esistente,
gli ha dato una perfezione che quello di per sé non possiede e,
unendosi alla natura, ogni giorno crea nuovi miracoli
[Baltasar Graciàn]
Fuga da Tutto
L’estate era agli sgoccioli ed Herosian non era affatto di buon umore.
Lanciò il suo sguardo attraverso la finestra a ghigliottina; il cielo plumbeo poteva significare non poco in quel momento.
Nonostante cercasse di reprimere quella profonda ribellione che lo dilaniava interiormente, questa riaffiorava con efferata gagliardia, come la tempesta fuori da quel finestrino. Era impossibile controllarsi.
Cercò con lo sguardo il suo cellulare ma non lo trovò. Non sarebbe comunque servito a molto, era scarico.
Sulla parete di fondo, si stagliava l’ombra inerte del suo migliore amico, Dean. Dormiva così profondamente da non rendersi conto del fragore della pioggia. Ogni goccia somigliava a una traslucida campana di vetro, sempre più pesante.
Herosian scrollò l’amico sul suo letto a baldacchino, cercando di richiamarlo con dei fievoli bisbigli. Eccetto il vento che fremeva ininterrottamente contro il vetro, null’altro doveva scuotersi in quella stanza.
L’amico si girò dall’altro lato ma Herosian lo scosse nuovamente, con insistenza.
«Cosa diamine vuoi?!» blaterò il ragazzo con gli occhi socchiusi e con l’aria di chi ne aveva già avuto abbastanza.
Dean stava per riaprire bocca ma Herosian gliela tappò subito con la mano.
«Vuoi che ci sentano a quest’ora del mattino?» Il sussurro di Herosian suonò come un’ammonizione. «Senti, ho un’idea, presto fuggiremo da questo posto.»
Non appena Dean ebbe udito quelle parole, capitombolò giù dal letto.
«Stai…?»
Immediatamente, a quel frastuono, seguirono dei passi frenetici fuori dalla stanza. Herosian provò a rimettersi a letto, ma…
«Cos’è stato?» Sulla soglia, incorniciata, c’era il volto bellicoso di una donna che non vorreste mai incontrare; gli unici rumori all’interno della stanza erano i fastidiosi tintinnii della pioggia contro la finestra e il balbettio nauseabondo di Dean, accasciato sul pavimento.
«Dean ha avuto un brutto incubo ed è… ehm… caduto.»
Ma la donna sapeva benissimo che stava mentendo.
Quel che si vociferava della Signora Hergatt era più che vero. Era una donna spietata, crudele e, per certi versi, molto indigesta.
Herosian deglutì fortemente.
La sua inerzia era dovuta al timore che lei incuteva con quei suoi occhi, ridotti a due terribili fessure che lasciavano trasparire odio e perfidia. Herosian non osò ricambiare il suo sguardo.
«Menti!» disse lei, arcigna, squadrandolo da cima a fondo. «Non vorrai trascorrere i prossimi tre mesi vestendo i panni della lavastoviglie, spero! Fossi in te sputerei la verità, ragazzino!» sbraitò acida.
Herosian rivolse a Dean uno sguardo esasperato; lui lo ignorò del tutto e si rivolse immediatamente alla donna.
«La verità è che… Signora Hergatt…» sottolineò «…ho fatto un brutto incubo.»
Herosian aveva sperato con tutto il cuore che non pronunciasse quelle parole, e invece…
Forse, qualsiasi altra cosa sarebbe bastata a convincerla ma Dean era sempre stato un tipo maldestro, insomma, quelle situazioni non facevano al caso suo.
In quella stessa settimana non aveva fatto altro che rifilare alla Hergatt parecchie menzogne, guadagnandosi con sua sorpresa il titolo di emerito idiota
. In breve, non era cosa da tutti inventarsi di aver ritardato a cena per essersi imbattuto in una fila di scoiattoli che stavano divorando le sue pasticche al limone liofilizzate, o di essere stato aggredito da due bambinoni con delle pantofole.
«La verità è che voi sarete severamente puniti, ragazzini!» Le sue grida echeggiarono nel corridoio, come un colpo durante il silenzio di una seduta spiritica.
La donna sbatté la porta senza pensarci due volte e i due si ritrovarono a fissarla allibiti.
«Be’… grazie comunque» esordì Herosian, senza badare al volto scombussolato dell’amico.
Dean gli rivolse uno sguardo di approvazione che non lasciava trapelare nulla di concreto.
L’amico si rimise a letto. Herosian non lo imitò affatto, anzi, spostò nuovamente il suo sguardo contro il finestrino rigato. Il cielo era tinto di un grigiore cupo ma la parte inferiore della finestra lasciava trasparire un paesaggio più nitido e quiescente.
Herosian soppesò l’idea di alzare il finestrino per assaporare l’odore salmastro di quell’atmosfera umida; fu assecondato dalla sua immagine riflessa sul vetro.
I suoi capelli color cenere rappresentavano il ramo di suo padre, lucenti e ribelli, i suoi occhi cerulei si sposavano alla perfezione con i contrasti netti del viso; il suo volto era simile a quello di sua madre, un lontano ricordo.
Si coricò.
Infilando la mano sotto il cuscino, sentì qualcosa di ruvido e freddo…
Era il suo cellulare.
Recuperò il telefono, spostando le sue dita sulla rubrica.
La tentazione lo pervase, avrebbe dovuto o no? Dopotutto, non era mica la fine del mondo, era sua sorella.
Ogni ghiotta occasione che si presentava per risentire di nuovo la sua voce si rivelava infruttuosa; troppo distanti erano i suoi cari, troppo distante era lui da loro.
Mollò la presa, lasciando cadere il telefono sul letto.
Non ci riusciva… doveva trovare una via d’uscita, doveva assolutamente rivederli; era passato molto tempo, troppo.
Da lunghi anni era chiuso dentro un nucleo angosciante, all’interno di una Casa Famiglia, lontano dai suoi genitori e da sua sorella. Zero notizie, pochissimi ricordi, quelli che bastavano a poterli ridisegnare nella mente ma senza poterli descrivere… Il nulla.
Solo un misero numero, quello di sua zia Hanne. Allison, la sorella, era molto legata alla zia Hanne, ecco perché esisteva ancora quella piccola probabilità di avere sue notizie.
Herosian non era mai stato aggiornato riguardo la sua situazione familiare, sino alla visita inaspettata della zia Hanne, che non gli aveva portato affatto notizie positive. Herosian era rimasto scosso.
Ecco perché fuggire, ecco perché dimenticare; voltare pagina non sarebbe bastato; riscrivere una nuova storia, forse.
Spostò il suo sguardo verso Dean, in dormiveglia. Herosian aveva un piano e non doveva fallire.
«Dean» chiamò, ma Dean non rispose. «Ehi, Dean…» tentò nuovamente, cercando di mantenere un tono sottile.
Per qualche ignota ragione, Dean si mosse, rivolgendo a Herosian il suo solito broncio.
«Che intenzioni hai?» chiese l’amico.
«Dobbiamo svignarcela» tagliò corto Herosian.
Dean lo guardò sbigottito.
«Non voglio marcire in questo posto» aggiunse, con un tono decisamente sommesso.
Dean gli rivolse un’espressione di rammarico.
A Herosian non importava la sua opinione; se avesse dovuto, avrebbe agito da solo.
Occhieggiò quello che sembrava un cielo segnato dalla tempesta, con delle chiazze azzurrognole sparse qua e là sulla distesa. Se quello fosse stato un dipinto, ne sarebbe rimasto affascinato finché la magia non fosse svanita.
***
Herosian non riuscì a prendere sonno e presto vide il cielo rischiararsi di luce dorata.
Dean era già sceso a fare colazione; sembrava tutto tranquillo ma niente sarebbe stato impossibile una volta giunti di sotto, in sala mensa.
Discese la scalinata che si dirigeva in fondo al corridoio e raggiunse la sala.
Il trambusto appariva come una folta nebbia nella quale era impossibile orientarsi. Finalmente, Dean lo chiamò a sé.
Si sedette al tavolo numero dodici, occupando il posto che gli era stato riservato.
«Allora?» chiese Herosian, di fronte all’amico.
«Allora che?» disse di rimando Dean, impegnato a stuzzicare il suo pudding mattutino.
Anche Herosian mordicchiò qualcosa, aspettandosi una risposta più eloquente.
«Ritengo che il tuo piano sia una pazzia!» esclamò alzando la voce.
Herosian gli mollò un calcio alla caviglia, sotto il tavolo; non potevano indurre sospetti, si erano già giocati il primo bonus.
«Senti…» sussurrò. «Voglio farla finita con questa sorta di…» Non riuscì a trovare le parole che meglio esprimessero ciò che provava. «Prigione, ne ho abbastanza.»
«Questo non è un carcere…» disse sulla difensiva l’amico. «È una casa di accoglienza per tipi come noi e… be’, sì, è quasi un carcere.» Alla fine dovette arrendersi.
Herosian inabissò lo sguardo sul fondo-bicchiere, come alla ricerca di una soluzione più plausibile.
Infine affondò la cannuccia nella bibita e ne assaporò le ultime gocce.
Dean scoppiò in una sonora risata.
«Non penserai mica…?» Ma dovette subito ricredersi.
«E se invece provassimo a fuggire a notte fonda?» propose Herosian, come se fosse l’ultima chance in assoluto.
«La signora Hergatt non sarà molto entusiasta ed è molto rischioso: vuol dire infrangere le regole! Ok, ne abbiamo fatte di grosse ma…» E indugiò per un solo attimo. «Be’, potremmo fare testa o croce» disse infine.
«Sbaglio o ci teneva tanto a tenermi occupato con la stoviglieria?» Herosian rivolse un sorriso quasi di scherno al suo amico, che profumava tanto di Missione Riuscita
. In mezzo al gran tumulto, Herosian rovesciò le bibite che erano sul tavolo.
Una volta che il trambusto cessò, la signora Hergatt non esitò un solo attimo; si avvicinò rapida insieme a una sua assistente, più tarchiata ed esile di lei.
«È accaduto davvero?» chiese la donna.
Sul suo volto si stampò una sorta di mezzaluna, che lasciava intravedere i denti ingialliti e deteriorati.
La sua assistente si limitò a un intenso sguardo del tipo stavolta sei più che morto, bamboccio.
Herosian non era preoccupato per la situazione: maggiore era la pena, più tempo avrebbe trascorso fuori dai loro sguardi.
Forse il suo piano stava funzionando.
«Sì» rispose.
Perché abbacchiarsi di fronte a certa gente?
«Entrambi sarete spediti di sotto e avrete molto da fare, quest’oggi.» Rivolse ai due un secondo, disgustoso sorriso.
Herosian sentì le viscere attorcigliarsi; quella parte non l’aveva prevista. Perché era stato coinvolto anche Dean? E chi avrebbe provveduto ai bagagli?
Anche l’amico era confuso.
«Scusi, signora Hergatt…» disse Herosian per difendere Dean. «Ma lui che cosa c’entra?»
«Il tonfo di stamane a cos’era dovuto?» chiese di rimando la Hergatt. Era come se ogni sua domanda fosse fatta per metterli con le spalle al muro, come un artiglio acuminato.
Con la massima cautela, senza farsi abbacinare da una donna simile, Herosian girò i tacchi e scese di sotto. Era chiaro: non aveva molte speranze. Dean lo seguì.
La cantina era piena di stoviglie. Se prima la fuga sarebbe stata ostica, adesso si sarebbe rivelata ancora più ardua.
Passarono un intero pomeriggio a occuparsi delle faccende domestiche, che domestiche non si rivelarono per niente. Come di consueto, Dean ruppe circa tre piatti, lasciò cadere un bicchiere e per poco non lanciò una forchettata sul volto di Herosian. Ci mancò poco che allagasse l’intero pianerottolo esterno e che spezzasse a metà il coltello personale della signora Hergatt.
Ci volle parecchio e duro lavoro per sistemare quell’abbaruffio di cianfrusaglie. Infine, ripulirono il pavimento per tre volte di fila; fu una vera rottura.
Ora che le possibilità di portare con loro i bauli erano state vanificate, avrebbero dovuto escogitare un piano di riserva.
«Allora, qual era l’alternativa?» chiese Dean sbuffando, appendendo il paletot squarciato sul soprabito.
«Non ho mai parlato di un piano di scorta. Il primo era troppo perfetto per essere mandato a monte!» si espresse Herosian.
«Cos’altro ti viene in mente?» insisté Dean.
«C’è un solo modo… ma è rischioso…» disse meditabondo. «Dovrai ingannare la signora Hergatt.»
Dean si accigliò.
«Io?» sbottò, come se il compito non fosse di suo gradimento.
Herosian annuì.
«Vuoi andartene o no da questo orribile posto?» Cercò di essere più convincente possibile.
«Certo» rispose l’amico, ammiccando energicamente.
«Bene, allora ti spiegherò quello che dovrai fare, ma non sarà facile.»
Dean drizzò le orecchie.
«Il nostro obiettivo è fuggire, non importa in che modo. Ora, ascoltami bene: mentre io rimarrò qui, tu…»
Herosian spiegò all’amico ciò di cui doveva occuparsi. Poi, Dean lasciò la stanza.
***
I pensieri turbinavano nella sua mente. Herosian sapeva che ormai, lasciato il passato alle spalle, nulla poteva più emergere da quella triste ombra. Niente di niente.
Ma la domanda era: perché, adesso, non si trovava altrove? Perché il fato era stato così ingiusto con lui?
In seguito alla separazione dai genitori, Herosian era stato abbandonato al suo destino come una sorta di Davide in mezzo ai leoni, privato di ogni tutela, di ogni apprensione. Tuttavia, queste esperienze non lo avevano soltanto aiutato a crescere, ma anche a vivere.
Lui non era come gli altri suoi coetanei, non che fosse un ragazzo con difetti particolari ma ciò che lo distingueva era il suo carattere poliedrico.
La madre abitava da qualche parte nel Québec, lontana da tutto ciò che la teneva legata al suo passato, in balìa della tristezza, confinata in un dimenticatoio, preda delle sue stesse paure. Troppo vulnerabile per uscire allo scoperto, troppo per rivedere i suoi figli.
La stessa cosa non poteva dirsi per il padre, anch’esso rinchiuso, ma in un carcere. Si vociferava che si trovasse a Ottawa, vittima delle cure psichiatriche, degli psicofarmaci, dei troppi ricordi, amari come una ciliegia in una torta di frutta.
La sorella, Allison, a causa della chimica impossibile tra la zia e la cognata, era stata costretta a dover cambiare vita. Gli assistenti sociali li avevano sottratti, divisi… distrutti.
La sorella, ormai maggiorenne, era stata obbligata a vivere con la zia Hanne. Passare il Natale in compagnia di se stessi non era poi così consolante.
Per Herosian, abituarsi a quel posto era come ordinare a un atleta di non fermare la corsa finché le gambe non gli fossero esplose. La situazione era diventata insostenibile.
L’indole che pian piano andava manifestandosi dentro di sé era solo l’inizio. Herosian doveva accaparrarsi ciò che gli era sempre appartenuto. La fuga era vitale, inevitabile.
***
Dean risalì le scale per imboccare il corridoio a destra; era totalmente sgombro. Svoltò l’angolo e discese le scale che conducevano al parco dell’istituzione.
Gli altri ragazzi giocavano a pallone, mentre la Hergatt era occupata a consumare il suo porridge quotidiano. Dean le si avvicinò.
«Mi scusi…» disse lievemente Dean, stralunato come non mai.
«Mmm?» La sua bocca conteneva almeno due ciotole di quella roba.
«La devo informare di una questione molto importante» continuò Dean, con tutto il fiato che aveva in corpo.
La donna lo scrutò dalla testa ai piedi, come a chiedersi di cosa diavolo si trattasse.
«Ti afferto, qualunguefrazeushirà da guellaurida bocca…» blaterò, sputacchiando e riempiendo Dean del cibo che stava ancora masticando «… esiderò a oddemperare a ogni tua finimarighieshta!»
Dean si strofinò la faccia con la manica del golf.
«Ai gappito?» e imbrattò nuovamente Dean, sporcando il maglione di lana.
«S-sì» enunciò Dean, che non aveva la minima idea di come ripulirsi.
«Benissimo, adesso sputa il rospo!» sibilò la Hergatt, dopo aver finalmente deglutito.
«Mio padre deve venire a farmi visita questo pomeriggio» disse tutto d’un fiato Dean, cercando di apparire più serio possibile.
Il ragazzo notò che le labbra della Signora Hergatt s’inarcarono a tal punto da farla sembrare perfino più imbronciata del solito.
«Hai un certificato?»
Le orecchie di Dean si raddrizzarono e divennero di un blu violaceo molto intenso.
«C-certo che n-no, signora H-Hergatt» rispose balbettando, guardandosi intorno con circospezione.
«Puoi, allora, farmi parlare con tuo padre?»
Dean cercò in tutti i modi di nascondere il sorriso.
«Ehm… in realtà ho lasciato il cellulare nella mia stanza, corro a prenderlo…»
Lei lo guardò con sospetto.
«Fa’ presto o annullerò la visita. Non era prevista per oggi!»
Dean la ringraziò e risalì di sopra, raggiunse la camera e chiuse la porta alle sue spalle.
Recuperò un paio di spiccioli, compresi quelli di Herosian, altri oggetti personali, e si catapultò di sotto, dove il suo amico era alle prese con gli ultimi preparativi.
«Ho preso il possibile.» Dean tirò fuori dalla tasca un insieme di oggetti. C’erano il cellulare di Herosian, il caricatore e una bella quantità di monete.
«Bene…» disse lui. «Ma dobbiamo affrontare un altro problema.»
«Quale?»
«La vigilanza notturna. È impensabile aggirarla senza essere scoperti e se lo facessero, la Hergatt e gli altri non esiterebbero a mandarci via!»
«Mandarci via?»
«Loro vorranno trasferirci, Dean! Non solo la Hergatt… tutto il personale è estremista e perfido! Lo sai bene! A loro basta una scusa piccolissima per renderci la vita un inferno! Non un giorno di più, nessuno deciderà per noi! Non so te, ma marcire in posti simili è sempre stato uno dei miei incubi peggiori.»
«Allora… come facciamo?» chiese Dean con particolare interesse.
«Be’… hai mai scavalcato un cancello?»
***
Herosian era rimasto sveglio per gran parte della notte. Adesso, però, era il momento di agire.
Il suo amico stava ancora dormendo.
«Dean!» Come al solito, Herosian cercò di contenersi.
Il ragazzo spalancò gli occhi, svegliato come da una profonda ipnosi.
«Sei pronto?» chiese Herosian.
«Può darsi…»
Herosian infilò tutto nella tasca e aprì la finestrella; il vento quasi lo accarezzava.
Diede l’ennesima occhiata fuori dal buco e valutò la distanza dal parco di sotto; erano circa venticinque piedi; dopotutto, si trovavano al secondo piano.
Herosian varcò la finestra, facendo molta attenzione a dove poggiava i piedi. Trovò appiglio su una sporgenza che lo fiancheggiava e si arrampicò.
Dean fremeva: stavano correndo un grosso rischio.
Poco dopo, Herosian raggiunse una seconda e ampia sporgenza di lato e si ritrovò a fissare un tubo di scarico nel cuore della facciata dell’edificio; pregò di non morire in quel dannato luogo e andò incontro al destino. Si aggrappò al tubo e scivolò giù, verso il terreno. Con sua meraviglia, si ritrovò presto con i piedi al suolo.
Sì, ce l’ho fatta!
pensò.
Ora però era il turno di Dean.
«Fa’ presto, Dean! Non avere paura, non è poi così difficile!» Herosian osservava attentamente ogni sua mossa.
Scorse un’espressione di sgomento sul volto di Dean, che si dipinse non appena varcò la fessura.
«Non avere paura, io ce l’ho fatta» bisbigliò.
Il ragazzo volse un’occhiata verso il basso, sembrava che fosse sospeso su una fune.
«Poggia un piede su quella sporgenza, su.»
Dean lo seguì alla lettera.
«Ok… adesso aiutati col tubo, devi lasciarti andare…»
Sembrò che Dean stesse per scoppiare a piangere ma afferrò il grosso tubo e scivolò dritto sullo spiazzale.
Fecero tutto il possibile per muoversi silenziosamente.
Un passo dopo l’altro, si avvicinarono al cancello della Comunità.
«Scavalchiamo!» disse Herosian.
I due si arrampicarono e, non senza qualche intoppo, lo varcarono del tutto.
Pochi secondi e le loro ombre scomparvero nella notte.
***
Si fermarono davanti a un locale.
L’insegna diceva: OAKVILLE CLUB HUTCHINSON.
Fu permesso loro di entrare.
Quando si guardarono intorno, non videro altro che gente.
«Sbandata! BOOOM… ahhhh…» diceva qualcuno.
Avevano percorso quasi due chilometri a piedi e non se n’erano neanche accorti. Adesso, si trovavano in periferia, in un locale per alcolisti, camionisti e tuttofare. L’uomo emise un rutto e cominciò a ripetere: «BOOM… L’osso del collo per poco non ce lo rimettevo!» emise una risata melanconica e batté il boccale ancora pieno di whisky sul tavolino.
Herosian anelava a qualcosa di rassicurante e invece si erano ritrovati in un posto che era l’esatto opposto.
«Adesso cosa facciamo?» chiese Dean, tremante come una foglia.
«Chiediamo se c’è qualcuno che possa accompagnarci a Sainte Catharines o nelle vicinanze.»
S’inoltrarono sempre più in fondo al bar. Notarono una fila di uomini seduti al bancone, che chiacchieravano; erano lubrici.
«Scusa, ma a chi dovremmo chiedere?» domandò Dean titubante.
«Ehm… a questo non avevo pensato» aggiunse Herosian con imbarazzo.
Si avvicinarono al bancone, tentando di origliare; speravano per il meglio.
«Non è il mio caso, sono un impiegato a tempo pieno e non posso permettermi distrazioni…» brontolava un uomo sulla quarantina, alto non più del metro e settanta, ventre gonfio, braccia possenti, viso squarciato dal torpore e segnato da una calvizie quasi totale.
L’uomo rivolse una languida occhiata ai due ragazzini, poi si voltò verso i suoi interlocutori, ignorandoli del tutto.
Herosian osservò l’orologio in cima alla parete di fronte al bancone. Segnava quasi le quattro del mattino.
Il bar era costellato di piccoli tavoli disposti in lungo e in largo, gremiti di loschi personaggi. Alcuni di loro incutevano una certa preoccupazione.
«Giungere allo Shannon
in così poco tempo non è cosa di tutti i giorni…» L’uomo al bancone fece rizzare le orecchie a Herosian.
«Ha detto per caso Shannon
?» chiese il ragazzo.
«Sì, perché? Cosa vuoi sapere?» rispose l’uomo.
Herosian deglutì ansiosamente.
«Io e il mio amico…» e fece cenno a Dean di avvicinarsi. «Dobbiamo assolutamente raggiungere il Québec e mi chiedevo se…»
«Potessi darvi un passaggio?» lo interruppe l’uomo.
Herosian annuì.
«Vedete, queste sono semplici evenienze» confermò l’uomo di fronte agli altri, additando i due ragazzini; Herosian si sentì i loro occhi addosso. «Ma sì, certo, vi offro un passaggio» e rivolse loro un sorriso.
Un tuffo al cuore pervase Herosian.
«Aspettate all’ingresso» aggiunse l’uomo. «Un attimo.»
Una volta fuori dal locale, Dean espresse le sue preoccupazioni.
«Ritieni sia saggio chiedere un passaggio a un perfetto sconosciuto? Se ci facesse del male? Potrebbe anche essere molto peggio della Hergatt!»
«Che scelta abbiamo, Dean? Vorresti davvero tornare lì?»
Lui non rispose.
I due attesero poco meno di tre minuti, poi videro la sagoma dell’uomo avvicinarsi a loro. Gli fece cenno di seguirlo.
L’autocarro aveva proporzioni gigantesche. Herosian e Dean entrarono all’interno del veicolo, come stipati in una grossa scatola di cioccolatini.
«Non mi è mai capitato di vedere due ragazzini da queste parti e di dare loro un passaggio, e stiate certi che non mi ricapiterà.» L’uomo rivolse loro un gran sorriso. «Perdonatemi, il mio nome è Arven… Arven Doutsby, ma potete chiamarmi Arv.»
I due non spiccicarono parola.
«A proposito, perché lo Shannon
? E poi, perché partire a quest’ora della notte?»
Herosian decise di rispondere.
«Mia madre abita lì e non sapevamo come raggiungerla.»
Arven inarcò le sopracciglia.
«Qualcosa non quadra… E tu?» si rivolse a Dean con evidente perplessità.
«Lui è mio amico, ho deciso di accompagnarlo» disse Dean.
L’uomo superò una fila di cartelli e imboccò l’autostrada.
«Quindi non avete una famiglia da queste parti… dico bene?» enunciò loquacemente.
«No» rispose secco Herosian.
«Io non ho mai conosciuto i miei genitori, sono stato allevato da ben tre famiglie diverse. Ho frequentato anche una Comunità per ragazzi con situazioni simili… ho trascorso un’infanzia difficile… sì…» Lo sguardo vacuo e sognante rafforzò quella che poteva essere una riflessione profonda.
Herosian guardò Dean esterrefatto.
«A essere sincero…» Herosian ruppe l’imbarazzante mormorio dell’auto. «Noi appartenevamo a una di queste Comunità.»
L’uomo alla guida quasi mollò la presa dal volante.
Tuttavia, Herosian raccontò ad Arven della loro fuga.
«Potevate dirmelo subito, non avrei mai ripercorso tutta quella strada per consegnarvi agli agenti di Polizia» disse. «Troppo rischioso anche per me.»
«Consegnarci alla Polizia? Andiamo… ci avrebbero riportati lì!»
«Ma siete così giovani! Io…»
Herosian udì una vibrazione in fondo al cruscotto. Era il cellulare di Arven.
«Puoi prendermelo se non ti dispiace?» chiese a Dean.
Dean glielo rese.
«Pronto? Gerard sei tu?... Dimmi pure… No? Per quale motivo?... D’accordo… non posso fare un’eccezione?... Come vuoi tu, farò il mio dovere.»
Arven riattaccò.
«C’è stato un cambio di programma. Dovrò recarmi a Stoney Creek per fare delle maxi consegne e non potrò proseguire oltre.»
Herosian si accasciò sul sedile, distrutto.
«Bene, non resta che accontentarci.» Rivolse all’uomo un sorriso forzato.
«Ma niente scherzi.»
«Ho cambiato idea, te l’ho detto.»
Herosian non dormì più di qualche ora, quella notte. Presto vide albeggiare sullo sfondo dei pini selvatici del luogo. Scostò lievemente il corpo gracile dell’amico, che si svegliò di soprassalto, come da un brutto incubo.
«Mi dispiace…» disse l’uomo, accostando il veicolo all’interno di un autoparcheggio. «Ma non posso proprio superare il limite che mi è stato imposto. Promettetemi almeno che starete attenti.»
«Si tranquillizzi; non siamo poi così lontani da casa» rispose Herosian, fingendosi calmo.
Il ragazzo strinse la mano dell’uomo e lo ringraziò. Dean fece lo stesso; la poderosa stretta di Arven lo svegliò finalmente del tutto.
Si ritrovarono a percorrere un sentiero formato dall’intrecciarsi di selve e conifere, attraverso i quali filtrava la nitida luce dell’alba.
Herosian percepì la brezza leggera del vento che lo accarezzava, attenuando la sua stanchezza.
Dinanzi ai loro occhi si stagliavano alberi incommensurabilmente alti, come non ne avevano mai visti. Dean camminava a stento; Herosian lo incitava a non mollare.
Le sue lagne si mescolavano al candido fruscio delle foglie sugli alberi, assieme al mormorio della natura selvatica.
Raggiunsero una roccia più in profondità, vicino la quale gorgogliava un piccolo ruscello. I ragazzini si diedero alla pazza gioia.
Poco dopo si accasciarono. Herosian si specchiò sulla distesa d’acqua che rifletteva la sua immagine: notò gli occhi gonfi e il volto rattrappito per le poche ore di sonno che si era concesso.
All’improvviso, qualcosa attirò la sua attenzione. Dal terreno impastato emergeva un manico azzurrognolo.
Si catapultò sullo strano oggetto senza rifletterci un secondo di più, chiamando Dean a sé.
«Potrebbe trattarsi di qualsiasi cosa» commentò Herosian.
«Herosian…» lo avvertì Dean.
Herosian gli rivolse un’occhiata di apprensione.
«Guarda» indicò.
Herosian spostò lo sguardo dall’amico a un cartello inchiodato sul tronco di un salice, a pochi metri da loro.
Lesse: «Il Luogo Nascosto
».
«Il Luogo Nascosto
?» ripeté incredulo Dean. «Che posto è mai questo?»
«Non lo so» disse Herosian, per nulla preoccupato. «Ma avrà le sue buone ragioni per chiamarsi in quel modo.»
Lanciò nuovamente lo sguardo sul manico e fece cenno a Dean di aiutarlo. I due lo afferrarono e tirarono verso di loro, come per un carro di traino.
Il cumulo umido di terra iniziò a disgregarsi sul fondo, sollevandosi verso l’alto. L’oggetto iniziava a delinearsi. Tirarono ancora più forte verso di loro, fino al punto che Herosian dovette resistere al dolore incallito sotto i palmi.
Finalmente lo estrassero.
Avevano appena tirato fuori una piccola cassa rivestita di una miscela di colori, semplicemente meravigliosa.
«Herosian, cosa pensi che sia?» domandò Dean accompagnando la sua felicità con un evidente sorriso.
«Sembra più uno scrigno che una cassaforte» disse Herosian.
«Non importa…» ammise Dean. «Non ci resta che aprirlo.»
Ma Herosian notò qualcosa che pochi secondi prima non aveva notato: un’incisione letteraria.
«L’Arte rende immortali
» pronunciò.
«Le cose iniziano a farsi interessanti» disse Dean.
Herosian tentò di aprirlo con la forza, ma c’era una toppa che lo bloccava.
«Non scopriremo mai cosa c’è al suo interno» affermò Dean desolato.
Herosian si guardò intorno.
«La roccia!» esclamò poi.
Quando si diresse verso di essa, notò che aveva una forma abbastanza irregolare. Sembrava che rappresentasse un pugno.
«E se questa contenesse la chiave?» domandò a se stesso, mentre Dean si dimenava dalle risate.
Immediatamente si accorse di un particolare a dir poco incredibile. Apparve in rilievo una scritta che diceva chiaramente: Questa è la chiave
.
Herosian non riuscì a capacitarsi dell’accaduto; stava forse sognando? Ma non ebbe tempo di realizzare quello che era appena successo, che si verificò un altro clamoroso evento.
Dean stava scomparendo, anzi, stava per essere risucchiato da uno… scrigno…
«Herosian! Nooo!» Le sue urla sovrastarono i rumoreggianti mormorii della natura circostante.
Pochi istanti dopo, però, Herosian comprese che quello che stava per essere risucchiato non era Dean, ma lui stesso. Dean era semplicemente svenuto.
Lottò contro quella strana attrazione gravitazionale, cercando di non farsi inghiottire, ma si accorse ben presto che tutto attorno a lui stava magicamente prendendo vita: le foglie divennero piccole lame che sfioravano il suo corpo gracile, il terreno sputò le sue radici che lo immobilizzarono all’istante, l’aria inveiva contro di lui e sembrava che persino gli alberi e il resto della boscaglia si stessero avvicinando.
Non appena si accorse che Dean era solo a due metri di distanza da lui, provò ad allungare la mano per trascinarlo con sé, ma non ci riuscì. La tensione era alle stelle.
Si ritrovò immerso in un tunnel in cui regnava maestosa l’oscurità, avvolto nelle profondità di un mondo senza nome, di un luogo senza identità.
Alzò gli occhi. Non riusciva a scorgere nulla. Era sospeso nel vuoto. D’impulso provò a gridare con quanto fiato – quel poco che gli era rimasto – aveva nei polmoni.
Sospirò profondamente quando si accorse che dalla sua bocca non usciva alcun suono. Il suo fiato si smorzò.
Poi, all’improvviso, in quel nulla apparve uno spiraglio, un barlume di speranza.
A denti stretti, si avviò barcollante in direzione di quel puntino etereo e luminoso, per scoprire se quel posto fosse un sogno o l’aldilà.
Evidentemente, quello era solo l’inizio.
Geneviève Hedoudè
Ciò che vide dopo lo sbalordì a tal punto che la sua mente non riuscì a interpretare ciò che aveva di fronte. Si trovava in uno spazio aperto, ma ciò lo dedusse solo perché scorgeva un cielo nitido e azzurro, velato da nuvole sporadiche. Non vedeva che tracce d’erba, a eccezione di un enorme insieme di anomale cianfrusaglie. Tutto intorno a lui, c’erano resti di abitazioni distrutte.
Di fronte a lui si stagliava una stranissima scultura: un pilastro nero. Lungo di esso, distingueva tratti mostruosi di creature che non identificava. In fondo, scorgeva i resti di un castello di pietra. Risaltava quanto il pilastro, perché era di un giallo sgargiante. Alla destra del pilastro c’era un tempio distrutto. Alla sua base, poi, le cianfrusaglie si addensavano maggiormente. Erano frammenti di pietre, vetro e, forse, rami bianchi. Sconcertato e sconvolto, Herosian si avvicinò al tempio. Non ci mise molto a concepire la macabra verità: quelli che aveva scambiato per rami bianchi, erano ossa. Era circondato dalla morte, dalla devastazione.
Il ragazzo ebbe paura. Si sentì perduto. Non sapeva cosa fosse successo, né dove si trovasse. Non sapeva cosa ne fosse stato del suo amico…
«Dean!» urlò. «Sei qui?! Rispondimi! Dean!»
Ma il suo amico non era lì con lui. Era forse rimasto ai piedi dello scrigno?
Herosian cercò di riflettere. Gli parve di capire che quello scrigno, in realtà, fosse una specie di portale che l’aveva condotto da qualche parte… In quel posto.
E soprattutto, non stava sognando, né avrebbe potuto essere l’aldilà quello che gli
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