Manuale del cornuto
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A questa ed altre domande l’autrice cerca di fornire delle risposte dapprima attraverso un breve excursus introduttivo di carattere storico antropologico che prova ad esaminare il fenomeno anche alla luce della diffusione delle nuove tecnologie comunicative informatiche, che ne hanno favorito la diffusione emancipandola da considerazioni di carattere sociale, etico, morale e religioso.
Nella più ampia parte successiva l’autrice entra poi nel vivo del tema, soffermandosi a valutare le questioni psicologiche e pratiche che più di frequente coinvolgono le coppie che si cimentano con questo genere di esperienza, fornendo utili consigli per superare difficoltà, timori, inevitabili remore potenziali pericoli che non di rado pongono a rischio la stessa tenuta della relazione affettiva dei soggetti coinvolti.
L’esame del tema oggetto della pubblicazione si spinge infine a valutare numerose diverse possibili modalità sperimentabili, soffermandosi sulle fantasie più diffuse e sulle pratiche più o meno frequenti e rilevanti.
Una lettura indispensabile per tutti gli uomini e le donne che intendano nei diversi ruoli cimentarsi in questo particolarissimo gioco di coppia, ma anche per coloro che desiderino anche solo comprendere meglio un fenomeno sociale in costante e rapida crescita.
In virtù dei richiami espliciti a pratiche erotiche dal contenuto estremo se ne sconsiglia la lettura a soggetti non interessati al tema o particolarmente sensibili, e la si vieta ai minori.
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Reviews for Manuale del cornuto
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- Rating: 4 out of 5 stars4/5carino, parla di temi generici ma in maniera professionale ... utile per coppie curiose
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Manuale del cornuto - Valeria Furelli
1
IL RICHIAMO ANCESTRALE
Vi sono affermazioni di comune buonsenso che non necessitano di particolari dimostrazioni.
Una di queste ci suggerisce che l’agire dell’essere umano costituisce il risultato della combinazione di due elementi fondamentali: uno animale, ancestrale, primigenio; e l’altro culturale in senso ampio, ovvero sociale, storico, religioso, economico, morale e quant’altro.
Nel regno animale qualunque creatura vivente di sesso maschile possiede l’istinto naturale di accoppiarsi con il maggior numero possibile di creature di sesso femminile allo scopo principale di trasmettere il proprio patrimonio genetico al maggior numero possibile di discendenti. Certo, esiste anche il fenomeno dell’attrazione verso individui dello stesso sesso: ma si tratta di un discorso differente, non particolarmente rilevante in questa sede ai nostri fini.
Anche le femmine, a quanto risulta dall’osservazione scientifica, a propria volta ricercano nello stato naturale originario il contatto riproduttivo con più individui; ciò parrebbe finalizzato ad un intuibile processo di selezione naturale volto a determinare quella diversificazione della prole che costituisce garanzia di positiva evoluzione della specie.
Si tratta di concetti scontati, in nessun modo contestabili.
Concetti che sembrano peraltro aver ricevuto conferme empiriche dai contatti con gruppi rimasti a lungo isolati in territori difficilmente accessibili, nei quali si è potuto verificare come la lontananza dai modelli socioculturali prevalenti abbia determinato un singolare assetto della comunità organizzata, nell’ambito della quale non di rado la cura genitoriale dei bambini viene affidata alla tribù nel suo complesso, le femmine si accoppiano indiscriminatamente ed abitualmente con maschi diversi del gruppo, e la paternità rimane di norma ignota.
Pare lecito ipotizzare che tale possa essere stato, per lunghissimo tempo, l’assetto sociale prevalente per gli esseri umani prima che elementi culturali intervenissero a modificare profondamente la struttura collettiva organizzata.
Ricondurre però idealmente un tale tipo di organizzazione ad un presunto ordine naturale primigenio sarebbe profondamente sbagliato, perché l’osservazione del regno animale ci racconta in realtà anche qualcosa di ben diverso. E’ infatti indubbio che tra gli animali il possesso esclusivo delle femmine del branco sia elemento desiderato e tenacemente perseguito dai maschi del gruppo, non di rado a mezzo di lotte cruente anche potenzialmente mortali.
Nel regno animale però la competizione pare limitata alla valorizzazione degli elementi più immediatamente riconducibili alla virilità in senso stretto: la forza, la giovane età, la prestanza fisica; le quali peraltro necessitano di continue verifiche e dimostrazioni, fornite in massima parte mediante un conflitto di natura fisica tra maschi, estremamente oneroso in termini di risorse del gruppo complessivamente considerato. In quei gruppi, il fine principalmente perseguito, quello della trasmissione del patrimonio genetico migliore alla discendenza, paga dunque un prezzo molto alto all’ordine collettivo ed all’organizzazione del lavoro.
Gli esseri umani sono invece animali sociali per eccellenza; e proprio tale caratteristica peraltro, con il tempo, li ha posti nella condizione di primeggiare su tutte le altre creature.
Gli uomini hanno (inconsciamente) compreso di non potersi permettere lo spreco di risorse ed energie che deriva dalla competizione per l’attività riproduttiva: e con il passare del tempo hanno creato delle sovrastrutture con le quali hanno tra le altre cose eliminato o grandemente attenuato la necessità di lotta perenne con gli altri maschi della propria specie per accedere alla possibilità della riproduzione.
E’ da tale necessità che probabilmente trae origine la famiglia: struttura nella quale, almeno nel mondo occidentale, vige un principio di sostanziale monogamia, di tendenziale stabilità del legame tra un soggetto di genere maschile ed uno di genere femminile.
Certo: anche nel regno animale non sono certo rari i casi di specie che creano legami analogamente caratterizzati da tendenziale stabilità, unione affettiva e cura congiunta del comune interesse.
Ma qui si sta svolgendo un discorso di carattere generale, che vale principalmente ad individuare l’esistenza di pulsioni ancestrali originarie, che il dato culturale connesso alla successiva evoluzione sociale non può mai definitivamente rimuovere.
Ciò che si vuole far comprendere è il valore del dato istintivo.
La naturale tendenza del maschio a lottare con altri individui per il possesso della femmina; la sua necessità di conquistarla, di perderla e tornare a ri-prenderla; il desiderio di questa di sentirsi desiderata, contesa, conquistata, sottratta e recuperata, nonché il bisogno di concedersi ad individui diversi di sesso maschile dai caratteri virili più marcati.
L’organizzazione sociale evoluta non può permettersi un tale perenne dispiego di energie. Richiede certezze, disciplina, ordine. Richiede che le risorse del gruppo si concentrino sul lavoro, piuttosto che sulla competizione sessuale; ed anche che i rapporti tra le classi sociali di appartenenza siano in qualche modo garantiti e preservati. Ed è ovvio e scontato che la sicura attribuzione della paternità assuma in tale contesto un ruolo centrale (si pensi solo alla necessità della trasmissione dei patrimoni accumulati).
Gli ordinamenti giuridici che si susseguono nel corso dei secoli si incaricano di disciplinare pertanto minutamente ogni singolo aspetto delle relazioni di coppia, regolamentando diritti e doveri, assetti patrimoniali e trasmissione di status: la competizione tra gli uomini vede la valorizzazione di qualità diverse. L’uomo non vale solo se possiede i connotati tipici virili della forza e della prestanza fisica ma assumono valore la posizione sociale, il censo, il potere che ciascun individuo esercita nell’ambito della compagine sociale.
La comparsa delle grandi religioni monoteiste attribuisce forse non per mero caso carattere sacro al nucleo familiare; perfino laddove preveda la poligamia, sancendo inderogabili obblighi di esclusività, e marchiando con la sanzione della immoralità ogni eventuale comportamento dissonante.
Le pulsioni sessuali ataviche, con tutta la loro possente carica istintuale, necessitano di essere ricondotte in ambiti ordinati comuni, socialmente e moralmente leciti.
Ma quelle pulsioni di cui si è detto continuano sotterraneamente ad agire nel profondo: esse non costituiscono pertanto l’espressione di una patologia, ma sono viceversa la manifestazione più genuina di un’essenza originaria che richiede di prender vita, di divenire in qualche