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Narrativa - romanzo (340 pagine) - Sean Carter non aveva mai visto occhi di quel colore. Ma il particolare che più lo terrorizzava, era ciò che quella creatura teneva in mano: una sciabola grondante sangue.
Sean Carter, archeologo di fama mondiale, è nella penisola dello Yucatan nel bel mezzo di una spedizione alla ricerca di manufatti di epoca precoloniale. Durante gli scavi si imbatte in un tempio molto diverso dagli altri, custodito da una creatura spaventosa e feroce, dagli occhi del blu profondo dei ghiacciai, luminosi e privi di pupille. Carter non immagina di aver risvegliato forze malefiche che lo inseguiranno e lo spingeranno a intraprendere un viaggio che lo porterà in giro per il mondo sulle tracce di una leggenda sepolta dal tempo, e che nasconde in sé una terribile verità.
Elena Bocca, 26 anni, nasce a Biella il 25 agosto 1990. Ha scritto diversi racconti autopubblicati su forum online. Tra questi, Moonlight ha vinto il primo premio al concorso letterario Michele Lessona, dedicato alla divulgazione naturalistica, ed è stato pubblicato nell’antologia Raccontare la natura.
natura.
A te, che su di me hai sempre scommesso
Era una giornata di sole.
Stava tornando a casa.
Parcheggiò la macchina proprio davanti al cancello. Da lì, riusciva a vedere il bel giardino pulito, e il sentiero di pietra che lo tagliava proprio nel mezzo. Oltre, una villa bianca come il latte.
Scese dall’auto e corse verso casa con il sole contro il viso. Tutto pareva immerso nella luce.
Due piccole figure lo raggiunsero per prime.
S’inginocchiò per abbracciare i suoi bambini e loro gli saltarono addosso, travolgendolo con la forza dei loro piccoli corpicini, ridendo felici. Alzò lo sguardo e vide avvicinarsi una figura femminile immersa nella luce e vestita di bianco, con i lunghi capelli corvini che ondeggiavano al vento.
Era lei. La madre dei suoi figli. La donna per la quale avrebbe scalato montagne, affrontato oceani e solcato cieli. Si sarebbe gettato nelle fiamme dell’inferno per lei che, nella limpida luce di quel giorno, sembrava un angelo.
Corse verso di lei. Sfiorò la sua mano.
Poi un suono. Acuto, stridulo e fastidioso. Lei scomparve. I suoi figli, la casa. Tutto venne inghiottito dalla luce sulle note ripetitive di quel suono orrendo. La sveglia lo riportò alla realtà: Sean Carter si mise a sedere di scatto, soffocando un grido.
Le quattro del mattino, soltanto. Sean Carter si svegliava presto, sempre su una branda, sempre in una tenda da campeggio e mai a casa, mai con sua moglie accanto.
Si alzò e cercò i vestiti nella penombra: un paio di jeans e una T-shirt bianca, bucata. Con una caffettiera e un fornelletto da campo si fece quello che di rado somigliava a un buon caffè e mangiò un cornetto secco e stopposo, vecchio di due giorni. Lo finì in fretta e uscì dalla tenda con la tazza di caffè in mano.
Fuori, nel cielo limpido, le stelle brillavano ancora. Sulla linea dell’orizzonte s’intravedevano il rosa e l’azzurro che annunciavano il risveglio del sole. La sagoma di una foresta si stagliava nera contro il cielo.
Tutto era pace e silenzio. Nessun suono se non quello del vento gentile che accarezzava i capelli di Sean e il canto lontano degli uccelli della foresta.
Sean sorseggiava il caffè mentre il sole sorgeva sulla penisola dello Yucatan. In quella calma così familiare, si sentiva felice, lui, figlio di quei luoghi, del grande continente che chiamano America.
La prima alba della sua vita, l’aveva vista nelle campagne vicino New York, in un ospedale di cui non ricordava il nome.
I suoi erano viaggiatori, molto ricchi e affascinati dalla storia. Come spesso accade, trasmisero la loro passione al figlio: quando non era in viaggio con loro, Sean passava ore nella biblioteca del padre, chino su libri che narravano miti e leggende. Si immaginava in quei luoghi, a fianco di eroi e dinanzi a misteri, e il suo sogno, chiaro come il fuoco nella sua mente, era uno solo: fare l’archeologo.
L’aveva realizzato, quel sogno, senza mai perdersi d’animo, neanche quando aveva lasciato il suo mondo, all’età di dieci anni, per trasferirsi a Roma, la città che i suoi amavano di più.
A Roma aveva studiato, si era sposato e aveva cominciato il suo lavoro.
Spinto dalla forza del suo sogno, Sean aveva portato alla luce reliquie e risolto misteri che gli avevano fatto guadagnare una fama mondiale. Diceva a se stesso che avrebbe continuato così per sempre, ma purtroppo, con il tempo, le cose erano cambiate.
Era stufo di quella vita. Sentiva la curiosità affievolirsi con gli anni, gli mancava la famiglia e, peggio, non badava più a cosa gli chiedevano di riportare alla luce, ma a quanto gli davano per farlo.
Guardando lo scavo che aveva di fronte, formato solo dalle rovine di qualche casa e di un antico tempio, Sean pensò all’ennesimo guadagno in una vita che stava diventando fin troppo noiosa.
Avevano scoperto il sito da poco. Dal folto della vegetazione erano emerse dapprima cumuli di pietre, e poi, ecco spuntare quella costruzione così diversa dalle altre. Sean se ne era accorto subito, ma non vi aveva dato troppo peso. Era lì con uno scopo preciso: recuperare reperti precoloniali per conto del museo di Città del Messico.
– Ehi Sean! – lo salutò una voce. – Dormito bene?
– Eh? – Immerso nei suoi pensieri, Sean non si era accorto della presenza del suo amico Jimmy, e alzò lo sguardo, confuso.
Jimmy sospirò. – In un altro mondo come sempre. – Si sedette a terra vicino a lui. – A volte mi stupisci, sai? A cosa pensavi?
Sean scosse la testa e sorrise. – A niente di importante.
Jimmy lo fissò con una smorfia sul viso. – Nostalgia di casa?
Sean fece spallucce.
Jimmy gli diede una pacca sulla spalla. – Non temere! Ce ne andremo da qui prima di quanto pensi.
Sean lo fissò e Jimmy prese a giocherellare con uno dei suoi riccioli, facendo un sorrisetto.
– Diciamo che abbiamo trovato una cosetta, nel tempio…
Sean s’illuminò. – Dei manufatti?
Jimmy rise. – Eh, ti piacerebbe! È un corridoio mezzo nascosto che sembra sbucare in un’altra stanza. Io sono ottimista – disse, facendo spallucce.
Sean sorrise. – Mah, per me è troppo vicino all’entrata…
– Credi? – Jimmy gli porse la mano. – Venti dollari che sono lì.
Sean annuì e la strinse. – Venti. Per me sono sotto la torre.
Jimmy si alzò. – Vedremo. Tra un’ora, davanti al tempio, ci troviamo con tutta la squadra ok?
Sean annuì di nuovo.
La rete del destino
Quando varcarono l’ingresso del tempio, il sole illuminava già il mondo con i suoi raggi, stendendo una coltre dorata sull’erba alta e sulla pietra.
In cima alla collina, il tempio svettava sulle altre rovine. La vegetazione in parte lo nascondeva, celando le sue bellezze e i suoi misteri. Una scalinata conduceva fino all’ingresso, e all’inizio e alla fine c’erano una coppia di colonne, che salivano a spirale verso l’alto. La splendida costruzione conduceva da millenni la sua battaglia contro la natura, ovunque assalita e deturpata dai rami e dalle liane di un mastodontico rampicante, che si avvinghiava alla pietra come un parassita, fino all’alta torre.
L’interno era un’unica stanza circolare con un’ampia vetrata distrutta e scolorita. Crescevano fiori selvatici al posto del vetro, a nascondere pagine di passato.
Tre ordini di colonne in basalto seguivano la pianta circolare dell’edificio. Al centro, una perla color dell’avorio, l’altare sembrava brillare di luce propria.
Jimmy fece loro strada con la torcia elettrica, prima nel tempio e poi nell’intricata rete dei suoi sotterranei.
In origine un muro di fattura diversa e più recente di qualche secolo bloccava l’accesso ai sotterranei. Sean si era chiesto più volte perché avessero chiuso l’entrata secoli dopo la costruzione. Probabilmente era stato un tentativo da parte di quel popolo di proteggere qualcosa nascosto all’interno.
Il muro però non era in pietra, ma in mattoni d’argilla, costruito in malo modo, come di fretta. Non avevano incontrato difficoltà nell’abbatterlo.
Dopo un tempo che poteva essere un’ora come mezz’ora come cinque minuti, Jimmy si fermò e indicò uno stretto passaggio alla sua destra, mezzo nascosto dai detriti. – È quello – disse. – Me lo sento, c’è qualcosa lì!
– Tipico dei neolaureati. Si entusiasmano sempre – fece David, il caposquadra.
– Sono laureato da cinque anni.
– Appunto. Sei ancora carne da tirocinio – replicò l’altro. Lo conoscevano tutti lì al campo, non per la sua fama ma per la sua lingua. Tagliava come un rasoio. – Ammettiamo pure che ci sia qualcosa. Sarà ancora lì?
– Devi essere sempre così pessimista? – chiese Jimmy.
– No, ma tu che ne sai? – David fece spallucce. – Magari ci ha preceduto un tombarolo.
A quel punto Sean si girò. – Vuoi chiudere quella bocca?
– Sono realista – ribatté David, alzando le mani come per dirgli di calmarsi. – Quelli trovano passaggi dappertutto, e se non li trovano, li creano.
Dei dieci là sotto, solo loro tre s’infilarono nello stretto passaggio: una volta giunti a destinazione, avrebbero valutato l’ampiezza della cripta e deciso se era il caso che entrassero anche gli altri.
Il corridoio era stretto tanto che David, il più robusto del gruppo, doveva avanzare di fianco per non rimanere incastrato. Sean procedeva davanti a lui e Jimmy faceva strada con la torcia.
Nel momento in cui uscirono dal corridoio, Sean emise un sospiro di sollievo. – Allora Jimmy, cosa vedi?
Jimmy sorrise, porgendogli la torcia. – Mi devi venti dollari.
Sean prese la pila e la puntò nella cripta. Una piccola e spartana stanza quadrangolare, spoglia e piena di muffa. Vide un tavolino di legno marcio, sbilenco e con una gamba spezzata. Tutt’intorno, cocci di ceramiche in pezzi e suppellettili d’argento.
Riconobbe una caraffa, dei calici e un candelabro, a prima vista molto pesante. In fondo alla stanza c’era un forziere di legno, marcio come il tavolo. I cardini e i bordi in ferro erano ormai arrugginiti, come il lucchetto che lo chiudeva. Da una parte c’era un grosso sarcofago di pietra tetro e spoglio. Al centro, su un piccolo altarino poggiava una statuetta d’oro. Raffigurava una donna molto bella, giovane, dai lineamenti fini e lunghi capelli che in mille boccoli le ricadevano sulle spalle e le arrivavano fino alla vita. Indossava una lunga tunica, di cui teneva un lembo con una mano mentre l’altra era nascosta dietro la testa, come se se la stesse passando fra i capelli quando, secoli prima, scolpivano la sua figura. Sean si avvicinò per vederla meglio: indossava polsini e cavigliere d’oro; era ricca di particolari e sembrava un oggetto creato da una mano di grande talento. Fece per prenderla ma vide il forziere poco più in là: chissà cosa conteneva? Forse qualcosa di prezioso come la statua, o magari anche di più. Alzò un sopracciglio e la sua curiosità vinse: voleva aprire quel forziere e vedere cosa nascondeva. Lasciò perdere per un attimo la statua e si diresse verso quel grosso mobile. Lo esaminò e si accorse che era chiuso. Allora cominciò a guardarsi intorno, rovistando tra i cocci e la polvere in cerca della chiave.
David attirò la sua attenzione. – Ehi Sean, guarda qui. – Lui si voltò.
Il suo amico indicava il sarcofago. Era di pietra e pareva molto pesante. Era solo un contenitore dall’aspetto grottesco, che non si addiceva affatto a una guida spirituale, ma Sean ipotizzò comunque che dovesse contenere le spoglie di qualcuno di importante, forse uno dei sacerdoti. Chi altri poteva permettersi il lusso di essere sepolto in un tempio? Di sicuro non era la tomba di un re.
Jimmy fece una smorfia. – Povera anima… in che schifo di sarcofago l’hanno me… David, che fai?
Con le sue braccia possenti e l’aiuto di una leva, David aveva aperto il sarcofago e ci stava guardando dentro. – Incredibile… – sussurrò. – Jimmy, vieni a vedere.
Jimmy lo raggiunse. – Sean… dovresti dare un’occhiata qui.
Sean abbandonò la sua ricerca, si avvicinò al sarcofago e comprese il motivo di tanto stupore: la salma che vi giaceva era senza vestiti: indossava solo un misero straccio avvolto attorno alla vita, i sandali ai piedi e una gran quantità di gioielli. Un sacerdote sepolto senza vestiti, in una cripta spoglia e in un sarcofago disadorno. La cosa non gli piacque. Non gli piacque affatto. Tra le dita, la salma stringeva una chiave. Sean la sfilò con delicatezza e tornò al forziere. Jimmy e David si guardarono.
– Un sacerdote era una persona importante, come è possibile che l’abbiano seppellito senza abiti? – chiese Jimmy.
– Forse li hanno presi i ladri – rispose Sean mentre tentava di scassinare la serratura del forziere. – Però è strano: un ladro non avrebbe mai rubato gli abiti a un sacerdote. Era gente troppo superstiziosa – infilò la chiave nel lucchetto e provò a girarla. – E poi, secondo te, se ci fosse un ladro qui, pensi che ruberebbe i vestiti di un morto lasciando tutti i gioielli e una statuetta d’oro così prezio… porca di quella… Ah, merda! – La chiave si era bloccata e, nel tentativo di forzarla, Sean l’aveva spaccata in due. Scosse la testa e gettò via la metà rimastagli in mano, senza riuscire a togliersi dalla testa quel sacerdote. – Questa storia non mi piace – concluse.
– Neanche a me – rispose David. – Prendiamo la statuetta e andiamo via.
Jimmy annuì, prese la statuetta e la mise nel suo zaino. Fu in quel momento che sentirono dei passi risuonare nel cunicolo. David si rivolse a Sean. – Non avevi detto agli altri di aspettare?
– Infatti. – Sean si voltò verso il corridoio. – Ehi! Restate lì, stiamo uscendo.
Il rumore cessò un attimo come se chi stava percorrendo il corridoio stesse indugiando, poi riprese, si fece più forte e dopo pochi minuti una figura nera comparve dinanzi a loro.
Nel momento in cui i suoi occhi, abituati al buio, incontrarono la luce abbagliante della torcia di Jimmy, la figura si fermò di colpo, soffocando un gemito e coprendosi il viso. Jimmy spense la torcia, soffocando un grido mentre la cosa si rifugiava di nuovo nell’oscurità, e per nulla al mondo avrebbe osato riaccenderla. Sean invece, aveva visto troppo poco: quell’attimo, troppo lungo per Jimmy e David, era stato troppo breve per Sean Carter, che non ebbe il tempo di capire chi o cosa fosse quell’essere e che intenzioni avesse.
Aveva solo intravisto una figura nera, agile e snella, simile a un essere umano. Portava vestiti stracciati, e il pensiero di Sean tornò per un attimo alla salma nel sarcofago. Ma tutti quei dettagli avevano poca importanza. Sean Carter non aveva mai visto occhi di quel genere: del blu profondo dei ghiacciai, luminosi e privi di pupille. Eppure il particolare che più lo sconcertava, anzi terrorizzava, era ciò che quella creatura teneva in mano: nell’istante in cui vi posò gli occhi, i suoi pensieri raggiunsero gli altri sette compagni, che lo aspettavano all’altra estremità del corridoio, e capì che non avrebbero più rivisto la luce. Lo capì nell’istante in cui vide, nella mano di quell’essere, una sciabola seghettata lorda di sangue.
Il fascio di luce che gli feriva gli occhi scomparve e l’ombra inghiottì quelle tre figure indistinte. S’inginocchiò e chiuse gli occhi per riabituarli all’oscurità. Ascoltò il suono delle gocce d’acqua che cadevano dal soffitto e la polvere che scivolava lungo le pareti ormai logorate dal tempo.
Sentiva il loro respiro e, più d’ogni cosa, sentiva la loro paura, il loro terrore fluttuare nell’aria e sfiorargli le narici come un inebriante profumo.
Poteva fare un balzo e avventarsi su di loro come una furia, agitando la sciabola, oppure avvicinarsi con tutta calma e tagliar loro la gola. In ogni caso non si sarebbero mossi di un centimetro. Erano indifesi, in balia della sua furia.
Era una sensazione dolce.
Aprì gli occhi: aveva riacquistato la vista.
Non prenderete ciò che è mio, pensò, e si diresse silenzioso verso le tre figure, con la sciabola grondante sangue.
Nel buio della cripta, Sean rifletteva.
Doveva farsi venire in mente qualcosa, subito. Non sapeva quando quell’essere avrebbe attaccato ma lo avrebbe fatto, prima o poi, e non avrebbe aspettato che lui finisse di escocitare un piano per fuggire.
– Che cosa facciamo?
Sean riconobbe Jimmy: gli tremava la voce e respirava con affanno.
Stava per rispondergli ma la voce gli morì in gola.
Gli occhi della creatura, che tanto lo avevano colpito, erano riapparsi, splendidi e terribili al tempo stesso, luccicavano nel buio come quelli di un fantasma.
– Mio Dio, ma che roba è? – sussurrò la voce di David.
– Sono i suoi occhi – rispose Sean. – Non ho mai visto niente del genere.
– Si avvicinano…
Alzarono lo sguardo e videro gli occhi luminosi come fari sempre più vicini. Grazie alla fievole luce che emanavano, Sean riuscì a scorgere parte del volto del loro nemico, un bel viso dai lineamenti fini, forse quello di un giovane.
Anche se loro distinguevano solo i suoi occhi, la Creatura poteva vederli con chiarezza e avanzava lenta, come se stesse assaporando quei momenti, come se il loro terrore gli procurasse un perverso piacere.
Sean sentì il gelo di quegli occhi addosso e capì che l’essere stava guardando lui.
C’era un modo per fuggire. Non era sicuro che funzionasse ma non aveva alternative.
– Viene verso di noi – sussurrò Jimmy. Sean lo sentì indietreggiare.
– Calmi, ho un piano – rispose Sean, attirando la loro attenzione. – Jimmy, ascolta: al mio segnale, accendi la torcia e puntala dritta su quel paio d’occhi, poi dovremo correre fuori di qui.
Sean poteva sentire il respiro calmo e regolare dell’essere. Poteva sentire il suo fetore e l’odore ferroso del sangue fresco.
Sorrise, passandosi la lingua sulle labbra.
– Adesso! – gridò, con tutto il fiato che aveva in corpo. Fissò quegli occhi gelidi, profondi, e gli parve di scorgervi smarrimento e stupore.
Presa alla sprovvista da quel grido così forte e improvviso, la Creatura arretrò di qualche passo e Jimmy ne approfittò per accendere la torcia e puntargliela in faccia.
La Creatura gridò di rabbia e si coprì gli occhi con la mano.
– Correte!
Uscire non fu facile: la cripta era piccola e buia, e la Creatura infuriata roteava la sciabola menando colpi alla cieca. Sean avvertì lo spostamento d’aria causato da un fendente che gli aveva sfiorato la testa. Ogni volta che la lama colpiva il muro, una nuvola di scintille schizzava nell’aria, regalando qualche secondo di luce, e anche qualche secondo di vita in più.
Nella confusione, Sean non riusciva a trovare l’uscita e tastava frenetico il muro, mentre Jimmy e David tentavano di nascondersi nell’oscurità, terrorizzati dalla furia della Creatura.
Jimmy trovò riparo dietro il sarcofago, lontano dai colpi di quell’essere. Per un attimo non vi furono altro che silenzio e oscurità. Jimmy sospirò, sperando che quella cosa fosse andata via.
Una mano lo sfiorò e si posò sulla sua spalla.
– Sean? – chiese voltandosi.
Desiderò di non averlo mai fatto. Al posto del suo amico, trovò quello sguardo spaventoso a pochi centimetri dal suo viso. La Creatura sorrise e gli affondò le unghie nella spalla.
Jimmy non seppe mai dove trovò il fiato per gridare, eppure lo fece, con tutta la sua forza.
David si lanciò in suo soccorso. – Lascialo stare! – gridò e colpì la Creatura con un pugno in piena faccia, sbilanciandosi e rovinandole addosso con tutto il peso.
Sorpreso, l’essere tentò di attutire la caduta rotolando ma la differenza di costituzione fra lui e David era notevole e, nell’urto, la sciabola gli sfuggì di mano. Tentò di liberarsi del suo avversario ma David ebbe la meglio su di lui e riuscì ad afferrargli il collo. Strinse più che poteva nella speranza di riuscire a bloccargli il respiro ma la Creatura sorrideva fissandolo quasi con sfida.
Prima che David potesse accorgersene, la Creatura lo colpì allo stomaco con una violenta ginocchiata e fu libero: lui poté solo lasciarlo andare, indietreggiando piegato in due per il dolore. L’essere si rialzò subito e lo colpì con un calcio in faccia.
Nel buio e nella confusione, Sean era infine riuscito a trovare l’imbocco del corridoio, quando Jimmy si catapultò da lui – Sean! David, contro quel mostro! – farfugliò. – Dobbiamo aiutarlo!
Sean annuì senza neanche pensarci e cercò nel buio qualcosa da usare come arma. La sua mano toccò il freddo e liscio argento del candelabro.
– DAVID! – gridò Jimmy.
La Creatura aveva raccolto la spada e senza alcuno scrupolo aveva colpito David al braccio destro e, mentre l’uomo indietreggiava urlando, era scattato in avanti e l’aveva trafitto con la sciabola.
Jimmy urlò. La Creatura lo inviduò e si avventò su di lui come un puma. Sean prese il candelabro e, gridando, lo scagliò nel buio.
Per quello che fu un caso fortunato, la solida base del candelabro colpì in piena fronte la Creatura. Sean avvertì un rumore sordo seguito da un gemito, vide gli occhi color del ghiaccio sparire di colpo e infine sentì un tonfo.
La cripta ripiombò nel silenzio. La Creatura giaceva immobile sul pavimento di pietra, anche se loro non la potevano vedere.
Jimmy andò in cerca di David.
Sean andò in cerca di Jimmy. Seguì il suo respiro e gli mise la mano tremante sulla spalla.
Jimmy urlò e scattò in piedi. – Vattene! Vattene via!
– Jimmy sono io!
– Vattene bestia! – urlò dando uno spintone a Sean che finì addosso al corpo inerte di David. Sentì il terreno ricoperto da qualcosa di vischioso e rabbrividì.
Jimmy scappò via, scivolando sul sangue dell’uomo e scomparve nel buio.
Sean sgranò gli occhi. – Jimmy, no! Dobbiamo tornare indietro!
– La pagherai! – ringhiò Jimmy, con il viso rigato di lacrime, sferrando un pugno alla parete del corridoio. – La pagherai cara! – Scivolò in ginocchio, continuando a singhiozzare.
Sean sedeva con la schiena contro il muro, in silenzio, la testa fra le mani.
Non sapevano con certezza dove si trovavano: lasciata la cripta, l’animo del povero Jimmy, già provato dal duro scontro e dalla morte di David, non aveva retto all’immagine cruenta in cui si erano imbattuti alla fine del cunicolo. Preso dal terrore, Jimmy era scappato via, obbedendo all’ordine della mente confusa che gli urlava di allontanarsi dal pericolo, non importava in quale direzione.
Scosso quanto lui, Sean lo aveva seguito, deciso a non abbandonarlo. Era più grande di Jimmy, anche se di poco, e aveva finito prima gli studi. Molto prima. Il ragazzo prodigio della scuola e dell’università non è un ruolo per deboli di cuore. Nei panni dei geni incompresi e schivi, si imparano molte cose e, soprattutto, si impara ad apprezzare il valore di un’amicizia sincera. Quindi non gli era neppure passato per la mente di abbandonare il suo amico d’infanzia e lo aveva seguito per i corridoi scuri del tempio, finché non si era fermato.
Ora lo osservava disperarsi, senza trovare il modo di consolarlo.
– Ti rendi conto di quello che ha fatto? – sussurrò Jimmy, la fronte contro il muro, le lacrime che gli scorrevano lungo le guance.
– Ha ucciso David – continuò Jimmy. – Ha ucciso i nostri compagni e ora ucciderà anche noi. Dobbiamo andare via di qui.
– Come? – chiese Sean. – Ci siamo persi.
– Torniamo indietro.
– Non possiamo tornare indietro.
– Allora andiamo avanti.
– Ci perderemo ancora di più.
– Oh! – Jimmy rise sarcastico. – Allora, secondo te, dovremmo restare qui e farci ammazzare!
– No! – urlò Sean e Jimmy si zittì all’istante. – No… non lo so. Non ho idea di come fare a uscire da qui. Se solo avessimo una mappa, un punto di riferimento…
– L’abbiamo la mappa – lo interruppe Jimmy, togliendosi lo zaino dalle spalle. – Dove cavolo l’ho messa?!
Sean si avvicinò mentre Jimmy rovistava.
– Eccola! – Jimmy estrasse un foglio piegato. – Ecco qui – disse mentre lo apriva. – La mappa dettagliata dei sotterranei. L’ho stampata proprio oggi, grazie a Dio. E pensare che non avevo voglia di farlo.
Sean guardò il foglio, un rettangolo nero dove linee verdi correvano parallele in varie direzioni formando l’intricata rete di corridoi sotto al tempio.
– È incompleta.
– Purtroppo sì. La mappa indica solo i cunicoli che abbiamo esplorato e, ovviamente, la strada per la seconda uscita.
– Quella di martedì scorso…
– Esatto.
– Sei grande. – Sean guardò nello zaino: avevano una borraccia piena d’acqua, alcuni snack, vari attrezzi da lavoro, un rampino e la statuetta d’oro, l’oggetto per il quale erano morti otto dei suoi compagni.
Vederla gli diede la nausea.
– Vediamo… – disse Jimmy. – Qui è da dove siamo entrati noi.
– E questo dev’essere il cunicolo della cripta. Va a finire nella zona nera.
Jimmy annuì e le mani cominciarono a tremargli. – Siamo arrivati dal cunicolo di destra.
– Quando siamo usciti, tu sei andato dritto.
Jimmy si asciugò gli occhi e tirò su col naso. – Sì. Ne… ne sei sicuro?
Sean annuì. Non aggiunse altro.
– Allora – continuò Jimmy. – Possiamo aver preso solo questa strada. Questa che va verso l’alto, e che porta dritta alla seconda uscita. Se continuiamo a camminare, ce la troveremo davanti.
– Allora muoviamoci – disse. – Non voglio incontrare di nuovo quella cosa.
Jimmy rabbrividì. – Credi che ci stia cercando?
– Non lo so. Il candelabro lo avrà stordito, ma prima o poi si risveglierà.
– Magari l’hai ucciso e ci stiamo preoccupando per niente – disse Jimmy.
– Non credo. Hai visto cosa ha fatto? Ci vorrà ben altro che una botta in testa.
– Sì, hai ragione – rispose Jimmy, abbassando lo sguardo. – Andiamo.
Camminarono per un bel pezzo seguendo le indicazioni della mappa. Sean si guardava intorno seguendo il fascio di luce della torcia, aguzzando la vista per sbirciare nei corridoi inesplorati che si aprivano lungo il cammino. Sentiva qualcosa nell’aria. Una sorta di pesantissimo silenzio, rotto solo dalle gocce di umidità e dallo strisciare sulla pietra.
Qualcosa schioccò e Sean si voltò indietro. Puntò la torcia e vide solo buio e detriti, immersi di nuovo in quel pesante silenzio. Si rimise a camminare, ma a un certo punto si fermò di colpo e Jimmy gli andò a sbattere addosso.
– Cosa c’è?
– Niente – rispose. – Devo averlo immaginato.
Ripresero a muoversi ma Sean non era tranquillo. Troppo rumore e troppo silenzio si alternavano ogni volta che si voltava.
– L’uscita!
Si vedeva una piccola luce in fondo al cunicolo.
– Siamo salvi! Andiamo!
Di nuovo il rumore. Sean si voltò di scatto questa volta, in tempo per scorgere quel rivoltante luccichio blu. Si guardò intorno, facendo finta di non aver visto niente.
– Non muoverti di un solo centimetro – sussurrò a Jimmy.
Lui si insospettì. – Cosa? Perché?
– Perché è dietro di noi. Ci segue e si nasconde nei cunicoli laterali.
Jimmy sgranò gli occhi. – Oh… cazzo! – avanzò, con passo felpato. – Sbrighiamoci.
Sean lo afferrò per la maglietta. – No, aspetta…
– Ma sei pazzo?!
– Parla piano – sussurrò Sean. – Ascolta.
Condusse Jimmy verso l’uscita molto lentamente. Udì il rumore, poi si fermò, e udì il silenzio.
– L’hai sentito?
Jimmy annuì.
– Adesso è fermo – continuò Sean, e poi riprese lentamente a camminare.
– Perché fa così? – sussurrò Jimmy scuotendo la testa e continuando a seguirlo. – Perché ci segue e non ci attacca?
– Sappiamo che lui c’è, e che ci sta cercando. Sa che siamo pronti a reagire. Vuole coglierci di sorpresa. – Sean osservò il buio dietro di sé. – È furbo. Incredibilmente furbo.
– Allora corriamo: l’uscita è dritto davanti a noi.
– No.
– Perché no? Siamo vicini ormai, ce la possiamo fare!
– È ciò che si aspetta. Lui vuole che corriamo, che crediamo di essere salvi. Che abbassiamo la guardia.
– Allora cosa proponi?
– Dobbiamo ingannarlo. Dobbiamo fargli credere che la sua strategia funziona.
Jimmy alzò un sopracciglio. – Ecco perché camminiamo – sussurrò, e guardò la mappa. – C’è un’altra via per arrivare all’uscita. È un giro complicato ma la svolta è a pochi passi da noi. Ti ricordi quel cunicolo laterale?
Sean annuì. – Ora ci serve un diversivo. Dobbiamo fargli credere che corriamo verso l’uscita.
– Mi è venuta un’idea. – Jimmy indicò la mappa. – È un po’ rischioso, ma potrebbe funzionare.
– Che hai in mente?
– Abbiamo una corda di riserva per il rampino giusto?
Sean alzò un sopracciglio e fissò l’amico per un breve momento, poi entrambi sorrisero.
Sean legò un’estremità della corda a una sporgenza di roccia bella grossa, poi raggiunse Jimmy nel cunicolo dal lato opposto.
– Speriamo ci caschi – disse Jimmy, e poi cominciò a gridare: – Ehi! Ecco l’uscita! Evviva!
Sean si aggiunse: – Evviva! Evviva!
La Creatura balzò fuori ruggendo e Jimmy tirò la corda del rampino posizionata a pochi centimetri da terra. L’essere inciampò e cadde.
Jimmy lasciò immediatamente la corda e si girò verso Sean. – Fai strada!
Fuggirono mentre la Creatura si rialzava.
Ritrovò presto i loro passi e si lanciò all’inseguimento, più feroce di prima. Ora a aveva un buon motivo per inseguirli, un buon motivo per ucciderli: erano vicini alla Grande Stanza.
Quando Sean e Jimmy avevano lasciato la cripta di corsa, la Creatura era rimasta a terra priva di sensi. Si era risvegliata poco dopo, con un tremendo mal di testa.
Si era tastata la fronte con la mano: era bagnata. Si era portata le dita alle labbra e aveva sentito il sapore del sangue, il suo sangue.
L’aveva ferita uno dei due giovani. Uno l’aveva ucciso, l’altro l’aveva quasi preso. Doveva per forza essere stato il terzo.
L’Uomo dagli Occhi Blu. Lo aveva colto di sorpresa.
Gli avrebbe reso il favore.
Individuò la sua sciabola vicino al sarcofago, la raccolse e diede un’occhiata alla salma. Non ricordava chi fosse quell’uomo. Per la verità non ricordava molte cose.
Il proprio nome, le proprie origini, il proprio passato, tutto si perdeva in un pozzo nero come quei cunicoli. Anche la sua stessa immagine era qualcosa di indefinito e sfuggente, due mani color dell’ombra che nell’ombra stessa sfumavano.
Erano mani di uomo. Erano calde, poteva sentirlo. Non erano ombre come tutto il resto. Lui era vivo, aveva un corpo, ma la sua vita si riassumeva in un’insieme di stimoli e sensazioni, le percezioni e il respiro di una Creatura che sa di esistere solo perché sente il battito del suo cuore.
Poi un vago ricordo era riaffiorato dal nero pozzo della sua mente, il ricordo di un oggetto molto antico e potente, andato in frantumi molto tempo prima. Due di questi frammenti si trovavano all’interno del tempio mentre gli altri erano nascosti da qualche parte, nel mondo esterno.
Forse quella reliquia avrebbe potuto sbloccare la sua memoria, fargli riscoprire se stesso e il suo passato. Cercarla però significava varcare i confini del tempio, andare fuori.
Aveva scarsi ricordi del mondo esterno e gli pareva un luogo lontano e misterioso, come tutto ciò che non si conosce. Il tempio era il suo mondo, un mondo fatto di oscurità, di silenzio, un mondo che sapeva di morte. Eppure lui era vivo.
Odiava quel posto, più il tempo passava più se ne sentiva oppresso e in quei momenti il suo pensiero andava al mondo esterno. Fuori era bello, fuori regnavano la luce e la vita. Quel mondo era a un passo da lui, appena oltre la soglia del tempio, doveva solo varcarla.
Perché allora non lo aveva ancora fatto?
Doveva restare, doveva proteggere il tempio, ma da chi? Da cosa? L’aveva ormai dimenticato, come tutto il resto. Doveva restare e rinunciare alla libertà che tanto desiderava, senza sapere il perché, per un ordine impartito
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