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Terre lontane: missioni, spedizioni, studi e ricerche di Silvio Zavatti
Terre lontane: missioni, spedizioni, studi e ricerche di Silvio Zavatti
Terre lontane: missioni, spedizioni, studi e ricerche di Silvio Zavatti
Ebook482 pages6 hours

Terre lontane: missioni, spedizioni, studi e ricerche di Silvio Zavatti

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About this ebook

In questa stessa collana sono apparsi, sempre col titolo di Terre lontane, i Diari di viaggio inediti di Silvio Zavatti (1917-1985). In questo secondo volume sono raccolti, invece, testi che costituiscono le relazioni delle sei Missioni e Spedizioni (con relativi Studi e Ricerche) che le hanno precedute e seguite. Contenuti quindi che risultano essere una continuazione e un completamento per conoscere (in occasione del centenario della sua nascita) l’universo scientifico, la fisionomia umana e lo spazio geografico in cui si è mosso l’esploratore Zavatti: solitario protagonista (e testimone) della sua avventurosa esistenza e fondatore dell’unico Istituto Geografico Polare, con annesso Museo, esistente in Italia. I Diari sono, quindi, gli archetipi dai quali sono derivati questi resoconti che nella loro ampia scelta ci riportano indietro nel tempo, in una sorta di favola lontana, come le terre visitate, che si è cercato di ricostruire e ricreare facendola rivivere attraverso la scrittura in una circolarità interdisciplinare singolare nel suo genere.
LanguageItaliano
PublisherSette Città
Release dateJun 16, 2017
ISBN9788878536197
Terre lontane: missioni, spedizioni, studi e ricerche di Silvio Zavatti

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    Terre lontane - Luigi Martellini

    a cura di Luigi Martellini

    Terre lontane

    missioni, spedizioni, studi e ricerche di Silvio Zanatti

    Terre Lontane

    missioni, spedizioni, studi

    e ricerche di Silvio Zavatti

    A cura di Luigi Martellini

    Presentazione di Carlo Pongetti

    Proprietà letteraria riservata.

    La riproduzione in qualsiasi forma, memorizzazione o trascrizione con qualunque mezzo (elettronico, meccanico, in fotocopia, in disco o in altro modo, compresi cinema, radio, televisione, internet) sono vietate senza l’autorizzazione scritta dell’Editore.

    © 2017 Sette Città

    Via Mazzini, 87 • 01100 Viterbo

    Tel 0761 303020 • info@settecitta.eu

    isbn: 978-88-7853-619-7

    ebook realizzato da Fabiana Ceccariglia. Stage del Dipartimento di Scienze Umanistiche/Lettere (DISUCOM) dell'Università degli Studi della Tuscia presso le Edizioni Sette Città.

    ISBN: 978-88-7853-619-7

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    Dedica

    PRESENTAZIONE

    PREFAZIONE: L'ANELLO DI MÖBIUS

    Ragione di un contenuto e Nota ai testi

    PARTE PRIMA

    L'importanza delle esplorazioni polari

    L'Antartide

    Le questioni politiche

    Antartide terra nullis?

    Le regioni polari artiche I

    Le regioni polari artiche II

    PARTE SECONDA

    Antartide

    Artide canadese

    Scandinavia

    Groenlandia

    Artide canadese

    Artide canadese

    PARTE TERZA

    Gli icebergs

    Alcuni tabù

    Una madre e la sua bambina

    L'arte

    La danza col tamburo

    La lingua

    Il nome

    Giochi di cordicelle

    Un graffito rupestre

    La poesia

    Racconti

    La filosofia e il mondo spirituale

    PARTE QUARTA

    Silvio Zavatti

    Vincenzo Antonelli

    Luigi Martellini

    TESTIMONIANZE

    Silvio Zavatti, un grande figlio di Forlì

    Un'opera che lo riporta tra noi

    Un valore per la nostra città

    Scritture e letture per non dimenticare

    ALLEGATI FOTOGRAFICI

    Dedica

    Alla memoria di Silvio Zavatti, amico carissimo.

    PRESENTAZIONE

    Carlo Pongetti

    Molti possono essere i modi per celebrare il primo centenario della nascita di uno studioso: promuovere convegni, organizzare mostre, bandire premi e altri ancora. Tra i tanti, la riproposizione in una raccolta antologica degli scritti minori o di non facile reperimento consegue alti e particolari meriti: richiama le tematiche privilegiate, rende agevole la consultazione di articoli apparsi su testate meno diffuse ricomponendo in unità, quasi disiecta membra , scritti intervallati in un lungo arco di tempo, lumeggia, da diversi angoli di visuale, la più vasta e nota produzione dell’autore.

    Scelta valida di per sé, risulta particolarmente appropriata nel caso di Silvio Zavatti (Forlì, 10 novembre 1917 – Ancona, 13 maggio 1985) geografo, esploratore delle terre polari, antropologo e pioniere sul fronte dell’ecumene, ma anche docente, politico, giornalista e direttore di istituti culturali. A vent’anni dalla Sua scomparsa il Comune di Fermo volle dedicare a Zavatti un convegno; diverse sono state pure le mostre realizzate negli anni sulla base dei materiali etnografici e documentaristici raccolti dell’esploratore; molte le conferenze e gli articoli a Lui dedicati. Era dunque necessario che l’editoria tornasse ad attingere alla produzione scientifica e divulgativa che Egli ci ha consegnato.

    Bene ha fatto Luigi Martellini, amico e compagno di ricerche di Zavatti su tematiche di storia della cartografia, a progettare e curare il presente volume. Dopo aver atteso nel 2010 alla pubblicazione dei diari di viaggio inediti, Martellini con questa raccolta muove un altro significativo passo in avanti in quel che risulta essere un progetto strutturato e di largo respiro: rendere accessibile una messe di scritti che possono dirsi minori solo in quanto a estensione o per la mancata divulgazione, come nel caso degli inediti, ma che in realtà rappresentano la trama preparatoria su cui Zavatti ha ordito le monografie e i saggi ospitati nelle riviste specializzate.

    Quel che nei libri assume forma ampia e articolata è anticipato da note preparatorie, da contributi preliminari, da resoconti delle spedizioni scientifiche. E i testi che Martellini ha selezionato favoriscono una migliore conoscenza dell’esploratore tenace e dello studioso dalle grandi intuizioni, talora eclettico per necessità ma mai scalfito dall’approssimazione.

    D’altro canto le ricerche sulle terre circumpolari e sulle complesse questioni ambientali, politiche e antropiche che le investono, frequentate tutt’altro che in modo episodico attorno alla metà del Novecento, certamente risentivano della mancanza di una rete e di un circuito scientifico di riferimento. Zavatti è obbligato in prima persona a confrontarsi con le osservazioni sul magnetismo e con gli avanzamenti interpretativi della dinamica terrestre; considera gli sviluppi conseguiti dalla climatologia grazie alle informazioni sulla circolazione delle correnti d’aria polari; riflette sulla lezione di Wegener, ne vede le aperture e i limiti chiariti in seguito dalle formulazioni della tettonica globale.

    Le missioni esplorative da Lui organizzate e condotte, perfino in solitudine, costituiscono la linfa che alimenta gli avanzamenti conoscitivi, dai più semplici ma fondamentali aspetti descrittivi delle terre lontane alle più profonde implicazioni di natura geopolitica, economica, sociale. Non c’è un contributo in cui non vengano toccati tutti questi aspetti, a riprova di un approccio spiccatamente geografico, di una visione olistica, ancor più necessaria per comprendere le peculiarità del sistema antropofisico proprio delle terre polari.

    Dalle pagine qui raccolte e organizzate in quattro parti tematiche appare altresì chiaro il contributo offerto da Zavatti per superare la congiuntura dell’isolamento scientifico che condiziona i ricercatori dediti alla geografia polare. Una tensione intellettuale perseguita instancabilmente secondo un lucido progetto, orientato ad agire su più fronti: quelli della ricerca e della divulgazione, della creazione di strutture, di organi d’informazione scientifica e dell’organizzazione di eventi internazionali.

    Traluce pure la Sua forte personalità, sanguigna e romantica al tempo stesso. Accesa e venata di vis polemica è la Sua voce contro l’insensibilità e le ambiguità di persone e strutture che, a livello locale o nazionale, avrebbero potuto adoperarsi molto meglio per valorizzare un campo d’indagine emergente. Sgorga poi da molta parte della Sua esperienza di studio una chiara vena romantica, sia per la predisposizione a viaggiare verso l’ignoto che, seppur fa uso di nuovi e moderni mezzi, affronta e sopporta le avversità spronato dal perenne e appassionato interesse verso l’avanzare dell’ecumene, verso gli spazi sconfinati e remoti. E ancor più gravida di idealismo, contro ogni evidenza contingente, appare la sua valutazione dell’alterità, del lontano inteso non quale mera espressione topologica, bensì come distanza mentale e culturale, da superare con un autentico riconoscimento e un’umana adesione nei confronti delle altre culture. Col procedere nella lettura tra queste pagine ricche di osservazioni geografiche, di registrazioni etnografiche e letterarie, ben si coglie l’intima vicinanza e la ferma solidarietà che ebbe per il genere di vita delle popolazioni incontrate. Quasi con religioso rispetto si avvicina agli usi, ai costumi e alle tradizioni delle popolazioni periartiche che riconosce depositarie di un patrimonio immateriale da studiare e da preservare, sicché per Lui diviene un imperativo etico denunciare la destrutturazione culturale messa in atto da governi insensibili ed anzi propensi all’omologazione occidentale.

    Disporre oggi del presente florilegio favorisce la ricostruzione del lungo percorso di ricerca condotto da Silvio Zavatti tra mille difficoltà e bisogna essere grati a Luigi Martellini per la certosina selezione operata vagliando una ponderosa bibliografia, per larga parte disseminata in una vasta gamma di canali editoriali. Di converso occorre ricordare che Zavatti ha pubblicato molto con prestigiose case editrici nazionali, quali Feltrinelli, Sonzogno, Mursia, La Nuova Italia, La Scuola, Vallardi e altre. Due facce della stessa medaglia, rese meglio evidenti dalle riedizioni postume che hanno portato nel circuito nazionale opere all’inizio pubblicate da editori locali. Si trae conferma di una valida e fruttuosa attività di ricerca, in qualche occasione sottolineata da riconoscimenti e dal conferimento di premi, attività di ricerca per molti aspetti di persistente attualità, a dirci che oltre la miopia di un certo mondo accademico di ieri, una parte, forse piccola ma senza dubbio illuminata, della società civile seppe scorgere la levatura morale e intellettuale del viaggiatore e dello studioso.

    PREFAZIONE: L'ANELLO DI MÖBIUS

    Luigi Martellini

    Ayornarman! [Non si può far nulla!]

    Detto eschimese

    Per questo volume vale la stessa mia introduzione (intitolata Al soffio gelido del vento) premessa all’edizione dei Diari [1] , sia nei suoi contenuti analitici e strutturali (apparati e note comprese), sia per il medesimo argomento che li accompagna e per la materia trattata. Soprattutto all’interno delle peculiarità che caratterizzano il Centro Interdisciplinare di Ricerca sul Viaggio (CIRIV) dell’Università della Tuscia che, formato da studiosi di diverse materie (letteratura, storia, filosofia, antropologia, geografia, arte e quant’altro), si occupa dell’odeporica in una prospettiva rigorosamente interdisciplinare e la collana Testi e studi ne è la diretta emanazione editoriale.

    E i Diari costituiscono un esempio estremamente interessante di Letteratura di viaggio. Si pensi soltanto al percorso: idea di un viaggio, diario-registrazione del viaggio, risultato-relazione sul viaggio effettuato, infine un lettore del diario-risultato-relazione del viaggio compiuto.

    Il semiologo Roland Barthes parlerebbe di due testi: il testo uno, quello reattivo, mosso dall’ idea di scrivere (con tutte le sue componenti mentali), e il testo due, quello attivo, mosso dal piacere di scrivere (con tutte le componenti dello stile che cominciando con la scrittura dà inizio al regno del significante). Tenendo conto che poi, alla fine, i due testi finiscono per fondersi insieme.

    Non posso, quindi, non fare riferimento a quella mia prima precedente pubblicazione e rimandare, di conseguenza, il lettore a quel testo come punto di riferimento per i materiali che seguono, perché questo nuovo volume rappresenta il completamento dell’altro essendone, per così dire, la continuazione. Dovrei ripetermi nelle argomentazioni. [2]

    Non mi sembra, del resto, di dover aggiungere altro, in quanto quello che scrissi, nell’occasione della pubblicazione dei Diari, lo reputo completo ed esaustivo e ancora valido per conoscere nei minimi particolari l’universo scientifico e la fisionomia umana di Silvio Zavatti. Aggiungerò, per queste ragioni, solo alcune considerazioni testuali sul rapporto significante-significato dei temi esposti, vale a dire di questo insieme strutturato con i frantumi di un discorso preesistente.

    Ogni libro e ogni pagina, infatti, sono a loro modo, qualunque sia il genere, la narrazione dello spazio più o meno infinito (senza limite) del linguaggio che si svolge e si compie sotto lo sguardo della lettura, ovvero sotto gli occhi di chi poi leggerà quel libro e quelle pagine.

    Ogni opera, perciò, o frammento di opera, deve essere considerata come testo, vale a dire come un groviglio di figure (segni) dove il tempo (l’altra categoria insieme allo spazio) che compone la vita dello scrittore (che scrive) e il tempo del lettore (che legge) si intrecciano e si annodano in quel luogo che è la pagina di un volume.

    Lo diceva anche il romanziere e critico francese Philippe Sollers negli anni Sessanta (e la retrodatazione a questo periodo non è casuale come vedremo) affermando che il problema essenziale non era "quello dello scrittore e dell’ opera, bensì quello della scrittura e della lettura e che, quindi, dobbiamo definire un nuovo spazio in cui questi due fenomeni [la scrittura e la lettura] potrebbero essere compresi come reciproci e simultanei."

    Uno spazio curvo, lo definiva Sollers, cioè un luogo di scambi e di reversibilità. Uno potrebbe chiedersi: che c’entra tutto ciò con Silvio Zavatti e col centenario dalla sua nascita che questo volume vuol ricordare? Eppure, constateremo, abbiamo a che fare proprio con i due, chiamiamoli fenomeni della scrittura e della lettura e, per dimostrarlo, ho tra le mani un libro celebrativo che rappresenta l’ opera dello scrittore Zavatti il cui spazio di scrittura sarà poi coperto dalla lettura del suo contenuto.

    La scrittura è perciò "legata ad uno spazio in cui il tempo avrebbe in qualche modo girato (lo spazio curvo di cui si parlava sopra) e in cui non sarebbe altro che questo movimento circolare e operativo". [3]

    Dal canto suo il critico letterario Gérard Genette, a proposito di questo movimento circolare e dello spazio curvo, scriveva: Il testo è quell’anello di Möbius in cui la faccia interna e la faccia esterna, faccia significante e faccia significata, faccia di scrittura e faccia di lettura girano invertendosi di continuo, in cui la scrittura non cessa di leggersi, in cui la lettura non cessa di scriversi e d’inscriversi. Anche il critico deve entrare nel gioco di questo strano circuito reversibile e diventare, così, come dice Proust e come ogni vero lettore, ‘il lettore di se stesso’. [4]

    Nel precedente volume (con lo stesso titolo di Terre lontane), di cui questo documenta la prosecuzione (sottolineata dai testi antologizzati), accennavo nel risvolto di copertina sia a Genette sia all’ anello di Möbius [5] a proposito della caratteristica di quei Diari di viaggio di Silvio Zavatti che, come si può leggere nella " Ragione di un contenuto e Nota ai Testi" che segue questa introduzione, definivo archetipi di tutti gli scritti che ne sarebbero derivati (dei quali in questo volume continuativo è raccolta una campionatura, cioè un linguaggio secondo) e già nascosti in nuce nel primo.

    Abbiamo così a che fare con un testo originario (il diario, anzi i diari: uno per ogni viaggio) da cui sono nati altri testi, i resoconti e le relazioni scientifiche delle varie esplorazioni, e dai quali sono stati costruiti, ancora, gli studi e le ricerche sui diversi aspetti dei popoli polari. E tutti questi fatti di scrittura manifestano scelte e intenzioni e, come tali, sono mezzi di connotazione.

    Zavatti scriveva di sé. Autore che come tale diventava non solo il lettore di se stesso che si riscriveva, rileggendosi, negli altri testi che erano le emanazioni dei primi, nello strano circuito (si diceva, o gioco) di una scrittura che si legge e di una lettura che continua a riscriversi invertendosi.

    Ed oggi, noi, facciamo la stessa cosa: leggiamo lui che ha scritto di sé (cioè di quello che ha fatto e prodotto), ed altri ancora leggeranno in un circuito, appunto, continuo e in tal modo non solo si conserva la memoria, ma la si ripropone all’infinito.

    Lo spazio della scrittura-lettura è, però, caratterizzato dal tempo. Ecco, allora, che dovendo allestire un libro per ricordare un anniversario che ci riportasse alle origini di una storia (personale e pubblica insieme) bisognava tener conto dello spazio e del tempo in cui Zavatti ha operato: spazio e tempo che non esistono più ( perduti, avrebbe detto Proust) ma proustianamente ritrovati.

    In quanto ri-costruire il tutto, significava ri-portare tutto indietro, per ri-creare le condizioni di allora e ri-vivere così la sua scrittura. È stato come fermare il tempo, anche perché il contesto culturale, sociale, storico, scientifico in cui si è formato, ha lavorato e agito Silvio Zavatti non è più lo stesso e sicuramente le cose che scrisse sono completamente cambiate, se non scomparse.

    Questo libro, allora, ha lo scopo di riportarci indietro negli anni (da cui la retrodatazione di cui parlavo): quando maturava in Zavatti la passione per le regioni polari, per gli studi di quelle Terre lontane, per i viaggi da progettare e da fare, per le ricerche da realizzare, per i contributi da fornire alla conoscenza, agli usi e costumi dei popoli… e via dicendo, in una circolarità di interessi che si intrecciano, appunto, nella loro interdisciplinarietà: l’ergologia con l’etnografia, la cartografia con l’ habitat, l’antropologia con la geografia, l’arte con la religione, la poesia con la filosofia, il gioco con la geologia e sempre, con al centro, la lotta titanica dell’uomo con l’ostilità dell’ambiente, con la Natura, contro la quale, dice il detto posto in epigrafe, non c’è nulla da fare.

    Il protagonista di questa avventurosa storia dell’esistenza è un personaggio di nome io (" je", come direbbero i francesi), intorno al quale tutto ruota ed è solo lui ad accompagnarci in questo percorso che continuamente si ripropone pur rinnovandosi, diventando così da io-protagonista e io-testimone.

    È stata la sua favola lontana, come lo stesso Zavatti la chiamava in un pressoché sconosciuto articolo d’epoca (apparso in una altrettanto sconosciuta testata) che ho scelto a mo’ di presentazione, per dare la sensazione che fosse lui stesso (che non c’è più) a leggere la sua stessa scrittura (…l’anello che torna), per ri-presentarla oggi ai lettori.

    Per non dire della simbologia della favola lontana che contiene non solo la fantasticheria di un’impossibile irrealtà diventata reale, ma anch’essa proiettata indietro nel tempo e nello spazio, lontana come le sue terre, senza più la possibilità di ripetersi ancora.

    Il libro, quindi, è stato costruito sul rapporto strutturale scrittura-lettura ed ha lo scopo sia di ricordare l’esistenza di un Istituto Geografico Polare e dei suoi fini istituzionali (ovvero le esplorazioni, gli studi, le ricerche) sia l’ altra esistenza che ne è derivata di un Museo Polare (un altro viaggio nello spazio e nel tempo col suo sistema di oggetti), del suo ruolo-valore di documentazione e sia di ciò che è nascosto (ancora una volta) dietro tutto questo, con la conseguente proiezione che potrà esserci (e dovrà esserci) negli anni a venire. Quasi fossero, queste che sono state raccolte in volume, le prove che Zavatti doveva dare si sé.

    A chi? A quelli che dovevano aiutarlo e non l’hanno fatto, a coloro che potevano finanziare le sue ricerche e non hanno provveduto, alle promesse che gli venivano rinnovate e poi mai mantenute, ai colleghi studiosi ufficiali che lo snobbavano, a chi lo riteneva fuori dai giri che contavano, dal mondo accademico e scientifico di cui non faceva parte, a chi neanche leggeva i progetti delle sue spedizioni né si rendevano conto a cosa servissero, al suo essere autonomo in una società di integrati.

    Nonostante tutto, qualcosa è stato fatto e grazie a lui l’Italia ha camminato un poco sulla via delle regioni polari, e della loro conoscenza.

    La celebrazione del centenario della nascita di Silvio Zavatti ci richiama, allora, anche ad un dovere: dobbiamo, cioè, dargli atto, nel ricordarlo, che la sua è stata un’inenarrabile storia di solitudine segnata da una sorta di destino, come quello rievocato da quel vecchio detto eschimese nel quale si riconosce, tra rassegnazione e tragedia, anche un suo significato simbolico: che non c’è nulla da fare per superare e vincere forze superiori o più grandi di noi, di fronte alle quali bisogna solo rinunciare o attendere. Gli è mancato il tempo di scegliere.

    Scrive Zavatti nell’ incipit iniziando a raccontare il suo archivio: "[…] è bene dire subito che ero completamente solo e che sognare tante cose era un po’ una pazzia. Tutto è stato fatto, però, ed è indubbiamente un orgoglio per chi seppe combattere da solo in mezzo ad una società sempre più ipocrita […]".

    " Sono ancora solo", ripete ancora Zavatti nell’ explicit, chiudendo il racconto del suo archivio. Ed anche quei due avverbi: completamente e ancora (alcune delle tante spie linguistiche di cui i suoi testi sono disseminati), ci riportano indietro nel tempo: solo come allora, solo come quando aveva iniziato, solo come quando partiva, solo nelle sue esplorazioni, solo anche se circondato di affetti famigliari, solo contro tutti e tutto, solo componente dell’Istituto Geografico Polare, solo coi suoi oggetti del Museo, i materiali, i suoi bagagli, le sue casse…

    La storia di tutto questo, la sua storia, continua.


    [1] Cfr. L. Martellini (a cura di), Terre lontane. I Diari inediti di Silvio Zavatti, presentazione di Francesco Surdich, volume n. 3 della collana del CIRIV, Sette Città, Viterbo 2010.

    [2] Rimando anche al contenuto del mio scritto, qui inserito nella Parte quarta, riguardante il sistema di oggetti del Museo Polare.

    [3] Cfr., Ph. Sollers, Le roman et l’expériences des limites, conferenza Tel Quel dell’8 Dicembre 1965, in Logiques, Editions du Seuil, Paris 1968, pp. 237-38.

    [4] Cfr., G. Genette, Figure II, Einaudi, Torino 1972, pp. 17-18.

    [5] August Ferdinand Möbius (1790-1868) era un matematico e astronomo tedesco, studioso di geometria, topologia e teoria dei numeri. Il nastro di Möbius o anello di Möbius è una superficie ad una sola faccia, che si ottiene unendo le due estremità di un rettangolo dopo aver ruotato di mezzo giro una di esse. Da qui l’inversione delle facce.

    Ragione di un contenuto e Nota ai testi

    Luigi Martellini

    I testi di seguito raccolti, e strutturati in quattro parti, costituiscono innanzi tutto le premesse conoscitive che hanno mosso e motivato gli interessi scientifici di Silvio Zavatti (ovvero lo studio e la passione per la conoscenza, e l’importanza, delle regioni artiche e antartiche), spingendolo quindi a fondare a Forlì, in forma privata, nel lontano 1944, addirittura un Istituto Geografico Polare (unico in Italia). In secondo luogo gli stessi testi forniscono, nei resoconti scientifici dei suoi sei viaggi effettuati nelle terre polari, la documentazione degli studi e delle ricerche che ne sono poi seguiti.

    La dinamica giornaliera dei fatti, cioè la loro – chiamiamola – testimonianza diretta, è contenuta quindi nel precedente volume (con lo stesso titolo di Terre lontane) che contiene i relativi sei Diari dei viaggi, dove vengono invece descritti e registrati, con estrema precisione e nei minimi particolari, tutti gli accadimenti, gli incontri, gli scopi, i movimenti, le frequentazioni, i dialoghi, i progetti…, insomma le cose fatte in quel decennio 1959-1969 in cui Silvio Zavatti si è spostato, come ha potuto, attraverso le sue terre lontane.

    Sono quelli dei Diari, quindi, i testi (fino al 2010 non noti) da ritenersi come archetipi e dai quali sono poi derivati articoli, relazioni, rapporti, e via dicendo, che sono invece diventati noti prima dell’ archetipo stesso, come questo libro, naturale prosecuzione di quei Diari, vuole documentare. Vale a dire che al ritorno l’esploratore preparava questi testi per le riviste con le quali sistematicamente collaborava, rendendo quindi pubblici (da scritture private), attraverso la divulgazione, i risultati informativi dell’attività di ricerca e di studio del suo Istituto Geografico Polare (di cui poi era l’unico componente).

    Oltre che su Il Polo (la rivista ufficiale dell’Istituto), gli scritti apparivano puntualmente su L’Universo (soprattutto), sulla Rivista Marittima, sulla Nuova Antologia, sulla Lega Navale, sulla Rivista Aeronautica, sulla rivista delle Missioni OMI, su Sapere, sulla Rivista di Etnografia, sull’Archivio per l’Antropologia e l’Etnologia… e su infinite altre importanti (ma anche minori) testate secondo l’elenco già fornito, nella sezione Riferimenti bibliografici dei Diari, dove è possibile facilmente ricostruire la genesi dei testi qui presentati e alla quale, per ovvi motivi di completezza, rimando.

    Sia nei resoconti e relazioni, sia negli studi e ricerche, ora per questa occasione raccolti (in una significativa selezione documentaria che può dare l’idea del tutto), appaiono stralci di passaggi, più o meno lunghi, già presenti nei Diari (che assurgono ad una sorta di filologico testimone) e rappresentati da qualche periodo o frase che potrebbero apparire come delle ripetizioni, in realtà i due testi-versioni sono l’uno il completamento dell’altro, ovvero nel Diari troviamo una versione meno completa degli articoli in questione e negli articoli proposti leggiamo contenuti che non appaiono nei Diari. Le due versioni dei fatti non solo si completano a vicenda, ma una stesura supporta l’altra, integrandola, e viceversa, sia da un punto di vista della documentazione sia di riscontro degli avvenimenti, senza contraddizioni, che è poi quello che più conta ai fini di una verifica.

    In fondo gli studi e le ricerche concorrono meglio a definire lo scopo delle missioni e delle relazioni, in quanto il viaggio diventa ricerca, documentazione, riscontro, finalità di quella idea sopra accennata, verifica sul campo di una conoscenza tutta da scoprire e capire. Del resto Silvio Zavatti aveva necessità di divulgare il più possibile e nelle sedi più disparate (scientifiche e non) la sua attività privata di geografo e di esploratore e con essa i risultati delle sue missioni.

    Ho aggiunto una quarta parte che si giustifica, oltre a quanto detto nell’ incipit di questa Ragione, col fatto che il sogno di Silvio Zavatti, fin dalla creazione dell’Istituto Geografico Polare, era quello che proprio quei risultati dei suoi viaggi e della sua attività, fossero riconosciuti dalla comunità scientifica che nel mondo operava nell’ambito degli studi delle Regioni polari. L’organizzazione a Civitanova Marche del Primo Congresso Internazionale Polare svoltosi in Italia (raccontato in un articolo da Vincenzo Antonelli) fu, in un certo senso, il riconoscimento ed il coronamento non solo del suo operare, ma anche dello spazio geografico dentro il quale era riuscito a stabilire, nonostante tutto, quei contatti che gli avevano poi permesso tutto questo.

    Ma il sogno di Silvio Zavatti era anche quello che un giorno quel tutto fosse visibile e che la scrittura (il leggibile) si trasformasse in oggetti, di modo che la parola assumesse le forme di quegli oggetti, per essere poi ammirati da tutti: cosa possibile con l’allestimento, appunto, di un Museo Polare, naturale conseguenza delle varie esplorazioni e missioni (che erano poi il fine organizzativo ed il risultato scientifico, attraverso studi e ricerche, del suo Istituto per la conoscenza delle Regioni polari).

    A tale scopo, accanto alla ricostruzione storica dell’archivio dell’Istituto che, in realtà, nasconde, dietro un interminabile elenco di nomi la storia dei suoi sogni (infranti) e delle sue speranze (perdute), si è pensato anche di riprodurre anastaticamente la prima Guida del Museo (quando era ubicato a Civitanova Marche) perché, mi sia consentito ricordarlo, lo sistemammo insieme nel poco spazio ricavato da alcuni ripostigli: le tre stanzette messe a disposizione all’interno della Biblioteca Comunale, ospitata all’ultimo piano del Palazzo Sforza-Cesarini e inaugurata col Museo e con Silvio Zavatti come direttore, nel maggio 1969). Guida scritta, quasi reperto della memoria, circa mezzo secolo fa (1970), ma che dava già, fin da allora, l’idea della consistenza e del patrimonio di quel sistema di oggetti (nonché librario e cartografico) poi potenziato nel tempo fino all’attuale consistenza, una volta trasferito a Fermo.

    Negli Allegati fotografici vengono ospitate, in una serie di immagini, non presenti nel precedente volume dei Diari, che ampliano (per quanto è stato possibile) iconograficamente il panorama della scrittura e quindi supporto al riscontro visivo degli avvenimenti narrati.

    Le note che corredavano gli scritti di Zavatti sono state conservate, mentre quelle da me inserite come integrazione aggiuntiva e come legame tra i testi sono registrate tra parentesi quadre. Sono stati adottati gli stessi criteri di scrittura seguiti per i Diari sia per la trascrizione dei nomi sia per l’uso di accenti, corsivi, virgolettature…e quant’altro, rispettando le giustificazioni e i chiarimenti (leggibili nella Nota al testo del precedente volume a cui rinvio) dati dallo stesso Zavatti, di cui è stato mantenuto anche lo stile che risente in certe parti dell’espressione di un’epoca.

    In questo contesto va giustificato anche il maiuscolo di Bianco (bianco) nell’uso sostantivato dell’aggettivo (e quindi al plurare Bianchi). Zavatti scrive spesso il maiuscolo, ma in qualche articolo anche il minuscolo (forse adeguandosi alle sedi editoriali che hanno ospitato i vari testi), usando il termine nel senso di razza bianca, uomo bianco o al plurale i Bianchi, distinti dalle razze di diverso colore. Bianchi scritto in maiuscolo si contrappone, quindi, a Eschimesi o Eschimese (scritti ugualmente in maiuscolo da Zavatti) per indicare sia i contrasti, sia la distinzione, la loro identità, sia la profonda diversità anche delle due culture che Zavatti ben separa e indica quella dei Bianchi (che contamina quella Eschimese) come da sempre sia stata considerata superiore a quella inferiore degli Eschimesi ritenuti, al contrario, primitivi, selvaggi, animali. Sono state, infine, omologate alle norme tipografiche della collana del CIRIV altre grafie, rese in modo diverso a causa delle varie regole redazionali proprie delle riviste (o edizioni) in cui gli articoli sono apparsi, correggendo anche i molti refusi che contenevano.

    Ringraziamenti

    Mi sembra doveroso ringraziare Renato Zavatti, figlio dell’esploratore, che ha voluto, dopo la pubblicazione dei Diari, rivolgersi ancora a me per ricordare, stavolta, il centenario della nascita del padre con questa iniziativa editoriale: segno di stima e di fiducia nei miei confronti e memore, ancora, dell’amicizia che mi legava a Silvio Zavatti, come collaboratore negli stessi anni di questi viaggi (e oltre).

    La mia affettuosa riconoscenza va inoltre all’amico e collega professor Gaetano Platania, storico all’Università della Tuscia che, nella veste di Presidente del CIRIV (di cui anch’io faccio parte) e direttore della collana Testi e studi (e dell’altra Viaggi e Storia), ha accolto con entusiasmo questo secondo contributo dedicato a Silvio Zavatti.

    Ringrazio Emanuele Paris, della Casa Editrice Sette Città di Viterbo, per la disponibilità verso le mie proposte, sempre pronto ad accoglierle nelle sue collane universitarie.

    Un grazie anche a Carlo Pongetti, professore di Geografia all’Università di Macerata, per aver accettato con la sua Presentazione di fornire una testimonianza sulla figura e l’opera di Silvio Zavatti.

    Infine, ma non per ultima, ringrazio mia figlia Barbara per l’aiuto che mi ha dato nella sistemazione dei materiali qui raccolti, procedimento non facile per la loro riproduzione dalle varie riviste e giornali e la loro strutturazione in libro (allegati fotografici compresi): senza la sua collaborazione questo volume non sarebbe stato possibile.

    PARTE PRIMA

    Studi

    L'importanza delle esplorazioni polari

    Sono molti coloro che affermano che le spedizioni polari sono inutili, ma non sanno poi dirne le ragioni e si arenano alle prime argomentazioni contrarie; altri ostentano il loro disinteresse dicendo che i viaggi polari richiedono molte vittime umane, quasi dimenticando l’ininterrotto contributo di sangue richiesto dalle spedizioni africane, asiatiche ed americane (la morte nel deserto ardente o per mano dei selvaggi è forse più piacevole di quella che avviene per il freddo, nella solitudine sconfinata delle regioni polari?) ed altri ancora, unilateralmente, dicono che le spedizioni polari costano troppo.

    Per far tacere quest’ultima accusa è sufficiente confrontare le spese sostenute da spedizioni polari con quelle dirette in altre parti della Terra. Ed altri ancora dicono che le spedizioni polari non sono che un esibizionismo individuale, o un collaudo di materiali bellici, o un’impresa sportiva la cui posta non vale i rischi o le spese, e altre fantasie del genere.

    Da noi, invece, dove si nota un assai tiepido interesse per le spedizioni polari, si usa un’altra forma per dichiararne l’inutilità. Riporto quanto recentemente è stato scritto in proposito da fonte qualificata: D’altra parte, non credo, che sia opportuno, in considerazione del primato detenuto, sino a poco tempo fa, dall’Italia, organizzare una spedizione scientifica che non possa almeno uguagliare se non superare i recenti, grandiosi e perfetti esperimenti delle altre Nazioni.

    Chi pensò tale prosa dimenticò di dire quale primato l’Italia deteneva nelle spedizioni polari, sino a poco tempo fa, e, soprattutto, omise l’incontestabile fatto che per uguagliare se non superare le spedizioni estere (ed egli voleva alludere a quelle di Byrd!) non sarebbe bastato l’intero bilancio dello Stato italiano. Ecco perché dicevo che era un metodo nuovo per non dare alcun peso alle spedizioni polari.

    Da siffatte dichiarazioni ufficiali il lettore potrebbe essere portato a credere alla reale inutilità dei viaggi polari, ma fortunatamente c’è il meraviglioso carosello delle spedizioni polari che continuamente si stanno effettuando, a smentire tale concetto [1] . Un po’ di ordine in tanti punti di vista discordanti non potrà che riuscire di estrema utilità [2] .

    L’evoluzione spirituale e materiale degli uomini è intimamente connessa alla perfetta conoscenza del pianeta che li ospita perché non si può essere re di un regno sconosciuto. La nostra civiltà, giunta così in alto, è stata possibile soltanto per le continue scoperte che l’uomo ha fatto e per l’applicazione delle leggi naturali che giornalmente vengono indagate e piegate ai bisogni umani. Moltissimi fra i misteri dell’atmosfera, della biosfera, della litosfera sono stati vinti, ma ancora innumerevoli ne esistono che spingono l’uomo ad una diuturna lotta la cui posta è il progresso o la decadenza. Noi diciamo di essere i signori del mondo, ma bisognerebbe aggiungere di un mondo ancora in buona parte sconosciuto, almeno nei suoi particolari e negli effetti che ne derivano.

    Se osserviamo una carta idrografica del bacino polare o delle acque che circondano le terre artiche e antartiche, noteremo subito lo scarsissimo numero di scandagli effettuativi. Eppure le spedizioni idrografiche (o che avevano tali ricerche nei loro programmi) si sono susseguite, negli ultimi 60 anni, a ritmo sempre crescente. Però le difficoltà ambientali hanno permesso un lavoro molto ridotto e perciò oggi i mari polari e l’estensione delle loro parti più profonde sono poco conosciuti, costituendo così una grave lacuna per la talassografia che non può, di conseguenza, pronunciarsi ancora in modo definitivo sulla distribuzione delle correnti oceaniche in tutto il mondo.

    Riflettendo sul fatto che il regime delle correnti determina in misura più o meno sensibile l’afflusso della fauna ittica verso le zone di pesca (ad esempio col costituire estesi banchi di pascolo, come avviene nei pressi di Terranova), si comprende facilmente l’importanza economica di tali ricerche. Inoltre le correnti fredde che provengono dalle zone polari portano gli icebergs verso le nostre latitudini, con grave pericolo per la navigazione (però la Coast Guard e l’Ice Patrol fanno buona guardia e il disastro del Titanic non si ripeterà più) e con l’effetto ben più importante di alterare le condizioni climatiche di estesissime zone. Tali alterazioni determinano i mutamenti del tempo e perciò lo studio del regime delle correnti è basilare nella previsione del tempo a lunga scadenza [3] .

    Riuscendo, poi, a far deviare una corrente fredda, si può ottenere il popolamento e la messa in valore agricola di vastissime aree, come sembra che siano riusciti a fare i sovietici per la Siberia. Tale opera, però, se realmente è stata eseguita, è uno spaventoso delitto perché la corrente calda che investirebbe le coste siberiane sarebbe stata deviata dalle isole giapponesi che, a loro volta, verrebbero ad avere un clima siberiano e non adatto, quindi, all’agricoltura, che è una delle basi dell’economia giapponese. Comunque sia, è vero che il porto di Vladivostok non è più chiuso dai ghiacci e rappresenta, dunque, una formidabile base strategica [4] .

    Uno dei misteri naturali che ancora resistono agli studi dell’uomo è quello della previsione del tempo a lunga scadenza. Ma è noto che i fenomeni meteorologici che più da vicino interessano la vita economica, politica, militare, commerciale delle nazioni europee e, in parte, americane e asiatiche, hanno la loro origine nelle regioni artiche, come quelli riguardanti le terre dell’emisfero australe l’hanno nell’Antartide. Non è questa un’affermazione campata in aria, ma consacrata dalle ricerche più che cinquantennali delle più importanti scuole geofisiche europee.

    Non va dimenticato, poi, a maggior conferma di quanto sopra, che i tedeschi compirono molti sforzi, nel corso dell’ultima guerra mondiale, per riuscire ad impiantare stazioni meteorologiche lungo la costa orientale della Groenlandia, dalle quali guidare il volo dei bombardieri sulle città inglesi. A questi sforzi bisogna aggiungere quelli non meno accaniti compiuti dalle forze aereo-navali americane per distruggere tali stazioni.

    Tutto ciò sta a dimostrare l’importanza delle ricerche meteorologiche nell’Artide, che è detta il cantiere del tempo d’Europa [5] , così come le osservazioni meteorologiche che si compiono nell’Antartide, le cui condizioni climatiche sono ancora poco conosciute, sono la riprova che è vivissimo l’interesse per la meteorologia anche per questa zona. Va aggiunto che lo studio accurato dei dati meteorologici raccolti nell’Artide ha permesso il regolare funzionamento della via marittima del Nord e, recentemente, l’inaugurazione di una linea aerea transpolare per passeggeri. A parte l’importanza strategica che tali voli assumono, il valore commerciale è immenso perché le distanze vengono abbreviate di centinaia o di migliaia di chilometri [6] .

    Un lato negativo fra i più importanti nella previsione del tempo è rappresentato dalla imperfetta conoscenza delle nubi e sarà perciò indispensabile dedicarvi studi particolari e giungere alla pubblicazione di un Atlante delle nubi polari, la cui mancanza è ora seriamente sentita. È noto, poi, a tutti gli studiosi che la teoria riguardante il magnetismo terrestre è ancora incompleta, sia per le difficoltà che si incontrano nello studio dei fenomeni magnetici nelle regioni polari, sia per il numero ancora insufficiente di stazioni magnetiche esistenti sulla Terra.

    Se alle difficoltà di carattere tecnico-finanziario si aggiungono quelle rappresentate dalla continua instabilità dei poli magnetici (instabilità le cui cause non sono perfettamente note) si può comprendere l’importanza di osservazioni magnetiche fatte nelle regioni polari e, specialmente, in Groenlandia. La necessità di procedere a sistematiche osservazioni magnetiche in tale regione fu riconosciuta fin dal 1924 dall’Assemblea dell’Unione Geodetica e Geofisica Internazionale riunita a Madrid, nella quale la

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