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Battito d’ali
Battito d’ali
Battito d’ali
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Battito d’ali

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About this ebook

Cassandra ha avuto per tanto tempo paura di sentire, di sbagliare, paura di fidarsi e di innamorarsi del ragazzo sbagliato. 
Per un periodo della sua vita ha vissuto in bianco e nero. Si è snaturata pur di compiacere chi diceva di amarla, pur di sentirsi protetta e accettata. Non sono mancate le delusioni, le frustrazioni, non è mancata la solitudine. 
Cassandra ha una sensibilità spiccatissima, che le consente di entrare in sintonia con coloro che ama. Un’empatia profonda, che le consente di condividere gioie e dolori. Più difficile è lasciare che gli altri entrino in lei, che scoprano le tante sfumature di un’anima fragile... Crescendo, trova nel tempo nel mondo dello yoga e dell’esoterismo un bozzolo sicuro in cui rifugiarsi, ma giunge anche per lei l’inevitabile momento di trasformarsi in una meravigliosa farfalla, capace di volare al ritmo del suo cuore. 
Un lungo racconto di formazione, scritto con il cuore e che al cuore punta dritto, senza filtri, senza timore.
LanguageItaliano
Release dateJul 6, 2017
ISBN9788856783810
Battito d’ali

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    Book preview

    Battito d’ali - Chiara Benini

    Albatros

    Nuove Voci

    Ebook

    © 2017 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l. | Roma

    www.gruppoalbatrosilfilo.it

    ISBN 978-88-567-8381-0

    I edizione elettronica giugno 2017

    È come se il ricordo del volo mi avesse sempre accompagnata.

    Come se avessi sempre saputo come si fa e cosa si prova.

    Ho strisciato tanto nella mia vita pur respingendo la terra e ho mangiato rifiutando il cibo.

    Sono stata un bruco anomalo che non ha accettato la sua condizione di bruco.

    Ho abitato in tanti bozzoli e tante volte ho pensato che quella fosse la fine.

    Ma come dice Lao Tzu: Ciò che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo chiama farfalla.

    La prima volta le mie ali non avevano colori.

    Da bruco la pioggia mi aveva fatto troppa paura: avrei dovuto imparare ad amarla per tingerle d’arcobaleno!

    Ero una farfalla in bianco e nero, ma potevo comunque volare e riempirmi d’infinito.

    Durante il mio primo volo ho imparato ad ascoltare il battito del mio cuore, memorizzandone la melodia e le parole.

    Erano le sue pulsazioni, il suo battito continuo e ritmato a muovere le mie ali.

    Anche se per poco, sono stata puro amore e creazione.

    All’apice della mia breve vita ho dato origine al mio bruco, al seme del mio opposto.

    L’ho deposto con amore nel suo guscio e la melodia del mio cuore è stata la sua ninna nanna: Ricorda: sarò con te quando avanzerai faticosamente per conquistare nuovi colori, sarai con me nelle mie prove di volo per colorare nuovi spazi di cielo, insieme supereremo i nostri limiti rompendo gusci e bozzoli e poi conquisteremo l’Oltre e l’Infinito!.

    Sono uscita dal guscio nuovamente bruco, ma questa volta ero un bruco diverso, un bruco esploratore.

    Mi sono permessa di osare, di sbagliare e d’imparare.

    Ho interrogato, governato e trasformato le mie paure con l’amore della conquista per un nuovo colore.

    Mettendomi alla prova ho scoperto risorse e talenti nascosti e al culmine di questa nuova esistenza, sazia di vita, mi sono trasformata nel mio opposto: la farfalla.

    Bruco e farfalla: due poli opposti che insieme, dentro di me, formano il tutto.

    È la nostalgia dell’infinito che mi ha permesso di continuare a pulsare da una metamorfosi all’altra.

    La nostalgia di quel battito, di quella melodia, della mia melodia e delle parole della mia canzone.

    La nostalgia della mia essenza, di ciò che sono nata per essere, mi ha spinto a ricercare la libertà interiore per volare ancora e sempre più ricca di colori.

    È come se la mia vita fosse la somma di tante vite diverse, una spirale continua, un viaggio dentro il viaggio alla scoperta di me stessa e della mia vera essenza.

    Ogni nascita mi ha reso sempre più originale, diventando, a poco a poco, ciò che sono nata per essere.

    Ho attraversato forme diverse e la domanda alla fine di ogni ciclo è sempre la stessa:

    In cosa sono disposta a trasformarmi per amore?.

    SFUMATURE DI GRIGIO

    Quella settimana erano successe cose strane.

    Ma era dicembre, il mese più magico dell’anno.

    Specchiandomi alla finestra stavo coreografando un riscaldamento per le mie bimbe di danza, d’un tratto mi ricordai di un sogno fatto tanti anni prima, quando ancora non abitavo lì: stesso posto, stessa canzone: Magnifico.

    "Guardami in faccia i miei occhi parlano... per ogni mia parte che ti vuole c’è un’altra che retrocede... ognuno con i suoi pensieri e i suoi segreti... dai proviamo e vediamo che succede... contraddizioni e vizi a ognuno il suo... non esiste prospettiva senza due punti di vista...".

    Queste parole continuarono a risuonarmi in testa per giorni.

    «Sabato vieni con me e Penelope al Festival dell’Oriente?» mi chiese Margherita.

    Avevo gli alluci gonfi con le unghie blu, colpa di un paio di scarpe troppo belle, troppo alte e troppo scomode!

    Aspettai un po’ prima di rispondere, avremmo camminato tanto, ma a parte quello ero libera, il corso a cui mi ero iscritta era stato rimandato, così accettai.

    «Penelope deve lavorare al bar, ma viene Michele, un mio amico, è da agosto che gli parlo di te» mi disse Margherita. «...Ah, siamo in ritardo, ci troviamo tra un’ora al parcheggio dell’autostrada e poi andiamo con la mia macchina nuova».

    In ritardo? Strano! pensai.

    Avrei preferito stare tra donne, dovevo aggiornare Margherita su Tancredi.

    Mi vestii svogliatamente, avevo scelto il grigio come colore predominante, fuori c’era la nebbia, ma non faceva freddo. La felpa era strappata sulla scollatura e faceva intravedere la maglia rosso corallo che portavo sotto, su una delle maniche c’erano dei fiori colorati.

    Colorai di rosso anche le labbra, misi un tocco di mascara e mi guardai allo specchio.

    «Con questi capelli incontrerai quello giusto di sicuro!» mi aveva detto la parrucchiera del paese il giorno prima.

    Questa volta la frangia era perfetta e anche l’effetto finto spettinato non era male: ero pronta!

    Arrivata al parcheggio abbracciai Margherita.

    «Ciao sono Michele».

    «Cassandra» risposi in fretta senza prestargli molta attenzione.

    Non avevo voglia di conoscere un altro ragazzo, mi bastava aver conosciuto Tancredi.

    Accadde a ferragosto, dopo un acquazzone.

    Ero nella casa di montagna di Celeste.

    C’era un giardino pieno di rose e alberi da frutto.

    Non conoscevo la maggior parte degli invitati, ma Tancredi mi colpì fin da subito.

    Sembrava un ragazzo d’altri tempi nei modi di fare e di parlare.

    Fisico statuario, occhi chiari e luminosi, sorriso incantevole: sembrava un principe.

    Fu un colpo di fulmine per entrambi.

    Ma non mi chiese il numero ed io lo diedi al fratello.

    Ci rincontrammo per caso una sera in città.

    «Temevo di non rivederti più e che ti piacesse mio fratello Edoardo, capita spesso sai?».

    Parlammo un sacco, rimase affascinato dal mio mondo: fatto di danza, yoga ed esoterismo.

    Il giorno dopo mi raggiunse al lago e qualche notte più tardi facemmo l’alba messaggiandoci.

    Rimasi sorpresa da come ci collegammo a distanza quella volta, pur conoscendoci così poco.

    Ho imparato a sentirlo fin da subito e lui hai imparato, non so come, a farmi cambiare vibrazione. 

    Mi ricordo che stavamo facendo il gioco del: Se fossi....

    Entrambi ci sentivamo un violino, lo stesso quadro: la Notte stellata di Van Gogh e poi sul film io dissi: «Colazione da Tiffany, il finale. Le parole di Paul potrebbero essere per me!».

    "Vuoi sapere qual è la verità sul tuo conto? Sei una fifona, non hai un briciolo di coraggio, neanche quello semplice e istintivo di riconoscere che a questo mondo ci si innamora, che si deve appartenere a qualcuno, perché questa è la sola maniera per essere felici.

    Tu ti consideri uno spirito libero, un essere selvaggio e temi che qualcuno voglia chiuderti in una gabbia. E sai che ti dico? Che la gabbia te la sei già costruita con le tue mani ed è una gabbia dalla quale non uscirai in qualunque parte del mondo tu cerchi di fuggire, perché non importa dove tu corra, finirai sempre per imbatterti in te stessa".

    «Capito, quindi anche tu sei uno spirito libero?» mi chiese Tancredi.

    «Un maestro di vela una volta mi disse che gli evocavo un cavallo selvaggio, perché è molto difficile starmi dietro...» risposi.

    «Da quel poco che ti conosco lo penso anch’io, ma sarebbe bello provare a galoppare al tuo fianco!».

    Mi piacque moltissimo quella frase, ma poco dopo il gioco fu interrotto.

    «Perché ti sei arrabbiato?» gli chiesi, «...e non dire che non è così perché ti sento!».

    «La mia ex moglie mi ha rimproverato più di una volta di soffocarla e tu sei uno spirito libero... ma cosa senti esattamente?».

    «Rabbia, frustrazione, impotenza, ora faccio anche fatica a respirare».

    «Aspetta... va un po’ meglio?».

    «Sì, ma come hai fatto?».

    «Ho lavorato sul mio respiro e ho rallentato i battiti del mio cuore».

    «Grazie, nessuno aveva mai fatto questo per me. Purtroppo sono una strega, adesso lo sai e sento più di quello che dovrei sentire!».

    «Secondo me sei tutto fuorché una strega. E poi è colpa mia se ti sei sentita male, ora vorrei scusarmi, ma siamo troppo lontani...».

    «Troppo lontani per cosa?».

    «Per un abbraccio...».

    «Ti sento, ricordi?».

    Fu un abbraccio molto dolce e caldo, indimenticabile.

    Mi invitò ad uscire la domenica successiva, ma rifiutai, la sera dovevo ricevere una targa in onore di mio padre: era morto pochi mesi prima e non ero dell’umore adatto.

    Lui fu molto carino, insistette dicendo che avrebbe trovato il modo di prendersi cura di me.

    Ma io non ero pronta, non volevo farmi vedere vulnerabile da lui.

    Il nostro primo appuntamento fu rimandato al giorno dopo.

    Erano i primi di settembre e faceva freddino.

    Indossavo la mia tutina preferita: quella nera a maniche lunghe con i pantaloncini corti e le chitarre elettriche colorate stampate sopra.

    Golfino di lana, stivaletti da motociclista, un velo di trucco e capelli sciolti.

    Ebbe un modo molto particolare di corteggiarmi.

    «Ti voglio raccontare tutte le cose che ho fatto di cui non vado fiero» mi disse.

    «Sai, per alcuni tratti mi ricordi il mio primo ragazzo, siete dello stesso segno, anche lui geloso e fumantino... non è stata una bella storia... e poi sei molto esigente con te stesso!».

    «Perché non voglio più sbagliare... ma tu non ti arrabbi mai?».

    «Raramente e se succede cerco di capirne il motivo. Sai, le persone sono come postini e, con quello che fanno o dicono, ci danno dei messaggi. Ora, se un postino ti consegna una multa mica te la prendi con lui!».

    «Sei molto saggia... pensaci bene se vuoi continuare a conoscere uno come me perché io me la prendo eccome con i postini!».

    Eravamo seduti in un locale in riva all’Adige e c’era un ragazzo ubriaco che muovendosi nervosamente attirava la mia attenzione.

    «Cassandra, tutto bene? Hai perso il sorriso e tu sorridi sempre...».

    «C’è qualcosa in quel ragazzo che mi spaventa».

    «Andiamo a fare due passi, vuoi?».

    Camminammo a lungo, mi ricordo di aver attraversato diversi ponti.

    Verona di notte è ancora più romantica.

    Tancredi mi raccontò di provenire da una famiglia nobile, di aver ricevuto un’educazione molto severa e di essere il più giovane di tre fratelli.

    «Edoardo, che hai conosciuto da Celeste, è il più grande e poi c’è Ludovica: abbiamo otto anni di differenza».

    «E tu hai un anno in meno di mio fratello Andrea, me l’ha detto Celeste».

    «Cassandra lo so che non è educato chiedere l’età ad una donna, ma...».

    «Ho l’età di Ludovica».

    «Ti pensavo mia coetanea, mi è venuto il dubbio quando dicendoti la differenza d’età tra me e mia sorella hai sorriso, incredibile!».

    «Lo so, non dimostro la mia età».

    «Io sono separato e questa esperienza mi ha fatto crescere in fretta, quindi siamo pari!».

    E facendosi serio continuò: «La separazione, dopo appena un anno di matrimonio, è stata il mio più grande fallimento. Ero innamorato, credevo e credo nel matrimonio e nella famiglia. Eravamo giovani, avrei voluto un bimbo, un cane e un tavolo da dodici per poter invitare a casa amici e parenti. Lei era una ragazza molto nervosa, io davo la colpa alla sua famiglia, ero convinto che una volta a casa nostra sarebbe cambiata, invece le cose andarono sempre peggio.

    Una sera mi disse di non amarmi più, io lottai per riprovarci e riprovarci ancora, ma alla fine mi arresi. Da allora soffro d’insonnia. Ho fatto un errore di valutazione che non riesco a perdonarmi».

    «La parola fallimento non mi piace, non ha una bella vibrazione, diciamo che sei inciampato sulla strada della vita. Hai fatto un bel ruzzolone e di sicuro ti sei spaventato.

    Per un attimo è come se ti fossi trovato a testa in giù e avessi perso tutti i riferimenti abituali. Ti sei ritrovato a mettere in discussione la mappa della vita, la visione del mondo che ti eri creato. Amare non è mai un errore, e per assurdo i ruzzoloni ti insegnano questo. Pensaci, quando sei a testa in giù, il cuore sta sopra alla testa e per chi è molto razionale, o tende a rifugiarsi nel controllo, lasciare che ciò accada è molto difficile.

    Se ti guardi con gli occhi del cuore capisci che durante questo ruzzolone ti sei perso, ma hai anche avuto un’occasione per ritrovarti, per capire cosa vuoi davvero adesso».

    «Mi piacerebbe guardarmi attraverso i tuoi occhi».

    Ci guardammo in silenzio per un po’, i suoi occhi brillavano.

    «Grazie per aver condiviso questi ricordi così dolorosi con me» gli dissi avvolgendolo in un abbraccio.

    «Grazie a te per avermi dato la forza per farlo» disse stringendomi a sé.

    Poco dopo iniziai a tremare.

    «Senti freddo?».

    «No, sento delle emozioni molto vecchie e fredde dentro di te».

    Ci staccammo.

    «Sei così forte e sensibile allo stesso tempo!» disse un po’ sconsolato.

    «È da poco che mi sto permettendo di nuovo di sentire e non so bene come gestire la cosa».

    «Cerca di non avere paura, non voglio farti del male».

    Ci abbracciammo di nuovo e appena ripresi a tremare, dal fondo in cui sentivo quel gelo iniziai a risalire finché non trovai uno spazio in cui potevo stare.

    Forse avevo imparato come fare! Tancredi abbracciandomi iniziò a dondolare, come quando si rassicurano i neonati. Fu bellissimo, mi sentii protetta e al sicuro, come non succedeva da tempo.

    «Che bello, non tremi più!» mi disse.

    «Questo dondolio...».

    «Lo uso con Beatrice, la mia nipotina di pochi mesi. Ci sono giorni in cui Ludovica me la dà in braccio e dal nulla inizia a urlare, forse sente quello che senti tu.

    Scusa ma come ti sei fatta questo livido?».

    Il suo sguardo era caduto sulla mia coscia.

    «Tancredi, non ti sfugge niente!».

    «Hai ragione, scusami sono stato un po’ indiscreto...».

    «Sto provando un passo a due, una contaminazione di yoga e danza classica e c’è un passaggio molto bello, ma un po’ complicato.

    Diciamo che per ricordarmelo meglio me lo sono tatuato sulla coscia!».

    Scoppiammo a ridere contemporaneamente.

    «Non farti troppo male però, promesso?».

    «Ci posso provare, ma non ti assicuro niente!».

    «Sei un maschiaccio, da piccola dovevi essere una peste!».

    «Guarda, questo polso è fuori uso da un po’, ma nessuno dei due osteopati da cui sono andata è riuscito a sistemarmelo».

    «Se vuoi ci provo io, ti farò un po’ male, ma da quello che ho capito il dolore lo sopporti bene».

    Mi prese la mano tra le sue, guardò il polso prima con tenerezza e poi lo studiò attentamente. Poi con un colpo secco e deciso mi tirò per le dita verso il basso.

    «Ora dovrebbe essere a posto».

    Due secondi dopo ero in equilibrio sulle mani con le ginocchia sui gomiti, nella posizione del corvo.

    «Vacci piano, lascia il tempo al polso di stabilizzarsi!».

    «Volevo vedere se era a posto veramente!».

    «Dai vieni qua...» mi disse.

    «Sei un fisioterapista o cosa?».

    «Diciamo che ho avuto un brutto infortunio alla colonna vertebrale e i fisioterapisti che mi hanno avuto in cura per mesi mi hanno insegnato un sacco di cose sul mio corpo.

    Da lì ho fatto un corso di massaggi dove ho imparato a trattare le streghette come te! Ecco appunto, cosa stai facendo?».

    «Hai il chakra di base bucato, sai?».

    «È grave?».

    «No, ma disperdi energia. Se vuoi te lo aggiusto... veramente ci sarebbero altre cosette da sistemare...».

    «Cercavo di spiegartelo che sono una frana. Ti sarò molto grato per i tuoi servigi».

    «Allora domani ti tratto a distanza... non guardarmi così, si può fare, il pensiero è azione! Ma toglimi una curiosità: che sport fai? I tuoi muscoli mi parlano di una disciplina poco comune».

    «Tiro di scherma a livello agonistico da quando ero bambino e per un periodo, dopo l’infortunio, ho praticato il tai chi».

    «Ecco perché non hai troppa paura del mio mondo, ci sei un po’ entrato attraverso il tai chi!».

    «Se lo dici tu...».

    Tancredi mi riaccompagnò alla macchina e prima di salutarmi mi disse:

    «Ora hai un quadro più completo di me e sei più consapevole di cosa potrebbe aspettarti».

    «Rischio!» risposi sorridendo e Tancredi mi baciò.

    «Andiamo?» chiese Michele.

    «Sì, non vedo l’ora di vedere questo Festival, da quando ho conosciuto meglio Cassandra mi si è aperto un mondo!» disse Margherita.

    Io stavo ancora pensando a Tancredi.

    Dai primi di ottobre non ci frequentavamo più.

    «Cassandra, ci sei?» mi chiese Margherita.

    «Ho rivisto Tancredi sabato scorso...».

    «E...».

    «Siamo andati a mangiare in un ristorante brasiliano. Lui con il fratello e altri amici e io con delle mie amiche».

    «E...».

    «Era stanco e sciupato, un vero vampiro energetico» le dissi e tornai col pensiero a quella sera al ristorante.

    Mi dispiaceva tanto averlo visto così.

    «Perché ti chiudi mentre parliamo? Non te l’ho mai visto fare... senti qualcosa, streghetta?».

    Dalla sera del nostro primo bacio Tancredi mi aveva soprannominata così.

    «Sento che mi stai togliendo energia, così mi proteggo. Non stai passando un bel periodo, vero?».

    Non rispose e ci sedemmo nel lato più protetto della tavolata.

    «Sai che me lo tatuerò il numero 12?».

    La volta che mi raggiunse al lago mi raccontò che si voleva tatuare una runa dell’alfabeto celtico. Ricordandomi di questo, il giorno successivo gli scrissi un messaggio usando le rune al posto delle lettere e lui mi disse: «Ma è lunghissimo, no non puoi farmi questo, adesso lo traduco, ma me la pagherai!».

    «Tu sei nato il 12, ne conosci il significato esoterico? È molto bello...».

    «Streghetta non cambiare discorso!».

    «È un numero sacro, è associato alle prove fisiche e mistiche che deve compiere un iniziato per arrivare alla trasformazione, perché possa passare da un piano ordinario ad uno superiore».

    «Capito, in effetti è una bella sfida e un bel numero!».

    «Dai Cassandra racconta, non farti pregare!» mi disse Margherita.

    «Ok, ok hai ragione! Gli altri si sono lamentati perché mi ha monopolizzato, eravamo in otto, ma è come se avessimo cenato solo io e lui».

    «Che bello!» mi disse Margherita con gli occhi a cuore.

    «Marghe però guarda avanti, sei finita nella corsia di sorpasso!» disse Michele.

    È vero c’era anche lui, per un attimo l’avevo rimosso.

    «Tancredi mi ricorda un principe» disse Margherita come se niente fosse.

    «Quella sera mi ha fatto sentire una principessa, sai? Quando ha saputo che non potevo mangiare le verdure del buffet, perché potevano essere contaminate, è andato in cucina a parlare con il cuoco e ha fatto portare un piatto di ortaggi cucinati appositamente per me».

    «Con la tua celiachia non si scherza, ha fatto bene!».

    «E poi mi ha fatto avere degli spiedini di frutta buonissimi...».

    Io e Margherita sospirammo insieme.

    «Ciao, sto andando a Vicenza con Margherita e una sua amica, sono stato combattuto fino all’ultimo se andare a Milano al contest con Geremia o fare un salto a casa a Genova...».

    Michele era al telefono e un attimo dopo anche Margherita parlava in viva voce con la madre. Io non riuscivo a non pensare a Tancredi.

    Finita

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