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Il Sapore del Male
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Il Sapore del Male

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È una vita serena quella che Manuel, 25 anni, conduce  nella cittadina di M. Di indole pacata, la sua passione per la cucina l’ha portato a essere capocuoco presso il ristorante “La Pineta”, uno dei più apprezzati della città. Il resto del suo tempo lo dedica al suo amore, la splendida e intraprendente Cristina, ai suoi adorati genitori, cui deve tutto ciò che è, e al suo amico di sempre, Flavio, bislacco compagno di mille avventure. Quello che ignora è che nel piccolo paese di San Loreto, a 50 km da M., un orribile segreto è appena risorto dal passato e ne minerà le basi dalle fondamenta, fino a sgretolarla del tutto. Ormai, dopo una lunga attesa, è stato svelato e ora esige altre vittime, Manuel compreso. Suo malgrado dovrà affrontare la verità. La posta in gioco è la sua stessa vita.
LanguageItaliano
PublisherLuca Perugia
Release dateNov 15, 2017
ISBN9788827517871
Il Sapore del Male

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    Il Sapore del Male - Luca Perugia

    Note

    Prologo

    La abbracciò da dietro, com’era solito fare quando lei meno se l’aspettava. Lui era fatto così, aveva un’innata attitudine a sorprendere, sempre. Lo faceva in modo naturale, istintivo, come se fosse la cosa più normale del mondo. Invece lei puntualmente si stupiva, e si meravigliava di come non riuscisse mai a prevedere le sue mosse. Per fortuna, perché lei si era innamorata proprio di questo. Certo, anche di questo. L’amore non è fatto di sorprese, o almeno non solo. Si era innamorata di Franco un po’ alla volta, una sorpresa dopo l’altra, dei suoi modi delicati, dei suoi grandi occhi marroni dallo sguardo sornione, da orsacchiotto diceva lei, del suo amore per la vita e del suo entusiasmo e ottimismo. Poi l’aveva conquistata in cucina. L’aveva letteralmente presa per la gola, sin dai tempi dell’alberghiero, quando la usava come cavia per assaggiare le ricette di sua invenzione, e lei si lasciava usare, eccome se si lasciava usare. A lei piaceva mangiare e le ricette di Franco erano semplicemente irresistibili. Le sorprese però, quelle erano il suo marchio di fabbrica. Una sera di quattro anni prima era tornato a casa con due grembiuli da cucina nuovi di zecca, con su la stampa di un casale sovrastato dalla scritta a mezza luna «La Locanda delle Rose». Era bastato quello per capire, per farle toccare il cielo con un dito. Finalmente la banca si era decisa a concedere il prestito che avrebbe permesso di rilevare il locale e realizzare il loro sogno: aprire un ristorante in proprio. Non avrebbero dovuto più lavorare dieci ore al giorno per cucinare menù decisi da altri e per far arricchire altri ancora. Quella era stata la sorpresa più grande. I primi tempi erano stati molto duri. Avrebbero dovuto aspettarselo d’altronde. Le spese iniziali, il locale mezzo vuoto, i fornitori, la contabilità. Avevano dovuto imparare molto in poco tempo, ma alla fine l’abilità e l’inventiva di Franco, e la sua gentilezza in sala nel trattare i clienti, anzi, coccolarli, avevano conseguito l’effetto desiderato e ora, dopo quattro anni dall’inaugurazione, il locale viaggiava a pieno ritmo. Lei vedeva ripagate tutte le loro fatiche ed era felice, e la stessa felicità la leggeva negli occhi di Franco. Per questo, nonostante l’ora tarda, nonostante gli ultimi clienti si fossero trattenuti più a lungo del solito, lei si sentiva sì sfinita, ma allo stesso tempo appagata. Il bacio che arrivò sul collo a seguire l’abbraccio e che, almeno questo, aveva previsto, contribuì ad aumentare il senso di benessere. Poi ne seguì un altro, e un altro ancora. Lei smise di pulire i fornelli, che ormai erano tornati brillanti, e si voltò. Lo guardò negli occhi. Conosceva quello sguardo appassionato e voglioso. L’avrebbe riconosciuto in mezzo a mille, ma lei era veramente troppo stanca. Non le sembra un po’ tardi per importunare la cameriera?, disse. Non è mai troppo tardi per assaggiare la specialità della casa, rispose Franco passando dal collo alle spalle scoperte. Mmm… lo sai che viene prima il dovere e poi il piacere, lo ammonì Marta. Hai finito di sistemare la sala?, gli chiese. Non è mai stata così pulita. A tempo di record. Non vedevo l’ora di importunare la cameriera, fu la risposta impaziente di Franco. Era vero, la giornata era stata molto pesante, ma loro si erano meritati quel momento d’intimità e piacere. Oh, al diavolo la stanchezza!, pensò Marta. Per questa volta, e in via del tutto eccezionale, la cameriera non sporgerà denuncia, disse poi ammiccando, mentre le sue mani stavano già slacciando il grembiule del marito, e i pantaloni avrebbero seguito lo stesso destino subito dopo.

    Dieci minuti più tardi, stanchi ma paghi più che mai, si ritrovarono mezzi nudi e avvinghiati, sdraiati sull’isola di marmo bianco che costituiva il tavolo da lavoro della cucina, a ridere come due adolescenti alla loro prima esperienza. L’occhio di Marta cadde sull’orologio a parete sopra la porta. Le tre meno un quarto. Santo cielo, è tardissimo amore!, esclamò d’improvviso. Franco malvolentieri si destò dal torpore che l’aveva rapito e guardò a sua volta l’orologio. Ok, ok andiamo, si torna a casa, disse, e a fatica si alzò in piedi. Si scambiarono un nuovo bacio e si rivestirono in fretta. Come tutte le sere staccarono il contatore generale della corrente, uscirono dal locale e Franco abbassò la serranda e la assicurò con la serratura blindata. Poi, nuovamente in piedi, mise un braccio intorno alle spalle della moglie con fare protettivo. Una signorina così carina non dovrebbe andare in giro a quest’ora di notte, le disse, mentre si apprestavano ad attraversare la strada. Ma io infatti non sono…. L'auto giunse improvvisa da dietro la curva e li falciò entrambi. Marta non finì mai la frase, ma anche se l’avesse fatto, non ci sarebbero state orecchie ad ascoltarla.

    1

    Cielo, ma il locale è già pieno?, chiese Manuel con finta sorpresa. Oh sì, e se può farti piacere saperlo, c’è anche già una dozzina di persone che è in fila fuori dal locale in attesa di un tavolo libero, rispose il cameriere entrando in cucina per consegnare la decima commessa della serata. Sono solo le otto, si prevede una lunga serata, pensò Manuel. Ormai cominciava a farci l'abitudine. Da quando era diventato il capocuoco della Pineta, il ristorante aveva attirato nuovi clienti e stava ritornando poco alla volta agli splendori di un tempo. Non era tutto merito suo, questo lo sapeva. La svolta c'era stata quando il figlio del proprietario era finalmente riuscito a prendere in mano le redini del locale, convincendo l'anziano padre a farsi da parte. Con nuovo spirito imprenditoriale aveva rimodernato l’ambiente, cambiato i menu e parte del personale. Tra le altre cose aveva promosso lui capocuoco e aveva assunto Cristina come caposala. Un po' anche merito suo però lo era. Nei suoi piatti c'era tutta la passione che aveva per la cucina. Fin da piccolino passava pomeriggi interi a osservare la nonna ai fornelli e, giunta l'età adatta, ad aiutarla a preparare le pietanze per la cena. Era da sempre affascinato da come, da singoli ingredienti dai sapori distinti, si potessero creare infinite combinazioni e altrettanto infinite sfumature, proprio come un musicista crea un'opera combinando le singole note. Ecco, lui si sentiva un musicista dei fornelli. Gli piaceva sperimentare, esplorare nuovi confini del sapore, rivisitando ricette classiche o creandone di totalmente nuove. Del resto la passione per la cucina era un tratto genetico della sua famiglia. Anche i suoi zii erano stati ristoratori e comunque tutti, nella sua famiglia paterna, erano delle buone forchette. Lo sfrigolio del soffritto lo distolse dai suoi pensieri. Doveva aggiungere il pomodoro prima che si bruciasse tutto. Ai ritmi cui arrivavano le commesse, soprattutto il sabato sera, non poteva permettersi il lusso di sbagliare e dover ricominciare. Era attentissimo in questo, e la stessa attenzione l'aveva imposta ai suoi due aiutanti. Con gesti sicuri e sapienti versò il pomodoro a dadini nella padella del soffritto, che di colpo si animò quasi a dare il benvenuto al nuovo ingrediente. Un altro cameriere entrò in cucina e Manuel, sbirciando attraverso la porta a molla, scorse per un attimo Cristina, che come suo solito stava intrattenendo dei clienti e, a giudicare dai visi allegri e soddisfatti di questi, con il consueto ottimo risultato. Empatia. Questo era il talento di Cristina, il suo dono. Riusciva a stabilire una relazione di empatia con chiunque, e in breve tempo per giunta. Il suo sorriso naturale era splendido, e la luce che emanavano i suoi occhi verdi era disarmante, quella luce che ritrovi negli occhi delle persone positive ed entusiaste, e il suo entusiasmo era contagioso. Queste doti le facilitavano enormemente il compito. Oggettivamente era una ragazza splendida, e aveva scelto lui. Sì, era stata lei a scegliere lui. Ai tempi dell'istituto alberghiero mezza scuola era innamorata di Cristina, e anche lui certo ne subiva il fascino, ma non aveva voglia di essere l'ennesimo gallo nel pollaio. Forse era stato proprio il fatto che lui, a differenza degli altri, non si relazionava con lei con secondi fini ad attirare le attenzioni di Cristina, o chissà quale altra alchimia era scattata nella sua testa. Fatto sta che dopo il diploma avevano continuato a sentirsi e a vedersi di tanto in tanto, fino a che, un paio di anni prima, lei l'aveva baciato in modo del tutto inaspettato. Del resto lui era molto differente dalla spigliata e dinamica Cristina. Lui aveva un carattere più riflessivo, pacato. Aveva metodo. Cercava un metodo da seguire per ogni cosa. Anche per questo gli piacevano le ricette di cucina. Gli piaceva seguirle passo passo, ma anche scriverne di nuove, nuovi metodi da seguire. In generale gli piaceva avere la situazione sotto controllo, anche se era ben consapevole che non avrebbe mai potuto tenere sotto controllo ogni aspetto della sua vita. Si compensavano e i loro caratteri erano complementari. Forse era quella l'alchimia. Da quel primo bacio erano passati due anni, nei quali entrambi avevano cullato e ricoperto di attenzioni la loro relazione, proprio come si fa con un bimbo appena nato. Ogni giorno che passava, la loro relazione acquistava più valore per entrambi. Avevano imparato a guardare insieme al loro futuro, a condividere i loro sogni, facendo diventare il sogno di ciascuno anche il sogno dell'altro. Un matrimonio e una famiglia, questo era il sogno di Cristina, e un ristorante tutto loro, questo era il sogno di Manuel. Tuttavia secondo Manuel a venticinque anni era ancora presto per pensare a un matrimonio, mentre per aprire un ristorante ci voleva parecchio denaro, che loro ancora non avevano. Del resto i sogni sono tali proprio perché non è possibile realizzarli nell'immediato. Nell'immediato era giunto il momento di unire i funghi champignon al soffritto di verdure, mentre la lista delle commesse continuava ad aumentare.

    2

    Lo odiava. Quel maledetto suono della sveglia lo odiava. Ma non poteva farne a meno, perché fosse stato per lui avrebbe passato tutto il giorno a poltrire nel letto, tanto gli piaceva dormire. Allungò pigramente il braccio per porre fine a quel suono infernale. Pace finalmente. Manuel però sapeva che ora veniva la parte difficile. Sapeva che se non si fosse alzato nel giro di due minuti si sarebbe sicuramente addormentato di nuovo. Sono le nove Manuel, andiamo, ti devi svegliare, pensò per incoraggiarsi. Mentre stancamente si alzava dal letto e si trascinava lungo il corridoio fino in bagno, il profumo di caffè che proveniva dal piano di sotto lo riportò nel mondo dei vivi e gli diede un buon motivo per accelerare le attività. Si fece una doccia, tornò in camera e si vestì. Jeans corti, scarpe da ginnastica e una camicia a quadri a manica corta. Era una gran bella giornata di tarda primavera e sicuramente avrebbe fatto caldo nella città di M. Lui aveva sempre vissuto lì, a M., anche se la sua famiglia era originaria di San Loreto, un piccolo paese a circa cinquanta chilometri da lì. A lui piaceva M. Non era un paese ma nemmeno una metropoli. Era ancora un posto a misura d'uomo, dove i suoi trenta mila abitanti potevano godere di tutti i servizi di una città moderna senza esser costretti a passare metà della loro vita in mezzo al traffico o in fila alla posta. Era una città laboriosa, ordinata. E a lui l'ordine piaceva. Chissà, forse lui era come era proprio perché nato e cresciuto a M., o forse a lui piaceva M. perché era la città a essere simile a lui. Con questo dubbio in testa che non durò più di tre scalini scese al piano terra della villetta, e seguendo come un segugio l'aroma di caffè, entrò in cucina. Eccolo lì l'oggetto del suo desiderio. Una tazzina di caffè bollente che aspettava solo lui. Già zuccherato, con mezzo cucchiaino di zucchero, e due fette biscottate imburrate e spalmate con marmellata di albicocca, la sua preferita. Era un rito che si ripeteva ogni mattina da circa dieci anni, ed era opera di sua madre Anna. Del resto lui era figlio unico, il che voleva dire avere il privilegio di una mamma tutta per sé da cui farsi coccolare, a maggior ragione del fatto che sua madre era casalinga. Anche se con lei non era stato sempre tutto rose e fiori. Dei suoi due genitori, il ruolo di quella che spesso aveva dovuto dire no era toccato proprio alla mamma Anna. Suo padre Dario invece era sempre stato più accondiscendente, sia con lui che con la stessa Anna. Aveva un carattere più docile, pacato, e a volte, anzi spesso, sembrava subire l'influenza di Anna. Erano tuttavia considerazioni che ormai appartenevano al passato. A venticinque anni, ed economicamente indipendente, non aveva certo più bisogno di avere il consenso dei genitori per fare le sue scelte. Alla fine, anche se con modi e ruoli diversi, come era giusto che fosse del resto, erano stati due genitori fantastici, e lui li adorava entrambi. 'Ngiorno mamma, disse appena prima di addentare una fetta biscottata. Buongiorno amore, dormito bene?. Come un ghiro. Lo sai che il problema non è dormire, ma svegliarsi. Lo so, lo so, sono tua madre no? Finisci la tua colazione e vedrai che il mondo tornerà a sorriderti. Com’è andata la serata al ristorante?. Il pieno. Stavolta abbiamo fatto veramente il pieno. Considera che la cucina è dovuta rimanere aperta mezz'ora in più. Ah però! esclamò sorpresa Anna. Eh già, quando ho lasciato il locale il principale contava i soldi dell'incasso felice come un bambino alle giostre. Se continua così dovrò chiedere un altro aiutante, oltre a un aumento ovviamente. Papà è uscito?. Sì, l'ho mandato a fare un po' di spesa. Lo sai che tuo padre è mattiniero e non è capace di stare senza far niente. Era vero, suo padre doveva avere sempre un'attività che lo tenesse impegnato. Il suo lavoro da consulente informatico lo impegnava molto durante la settimana. Spesso tornava tardi la sera a casa. La consulenza non conosce orari, era solito dire. Il sabato e la domenica però, quando non si portava il lavoro a casa, doveva sempre trovare qualcosa da fare, e spesso purtroppo in questa sua frenesia veniva coinvolto anche lui. Curare il giardino, riordinare il garage erano solo alcune delle attività cui Manuel certo non poteva sottrarsi, anche se gli sarebbe molto piaciuto. Meno male che lui il sabato e la domenica lavorava al ristorante, e quindi poteva mettere a disposizione del padre tuttofare solo qualche ora la mattina. Già, perché alle dodici doveva essere al ristorante, come anche quella domenica del resto. Programmi per la mattinata? chiese Anna. Dato che papà non c'è, scappo prima che rientri, disse con una punta di sarcasmo. Ne approfitto per passare al centro commerciale, visto che le cose vanno bene vorrei regalarmi un nuovo telefono cellulare. Ovviamente sapeva già marca e modello. In proposito aveva fatto un accurato studio su Internet. Con metodo, ovviamente. E al centro commerciale stavano facendo un’offerta proprio sul modello prescelto. Ok, ma vedi di non spenderci troppo, rispose Anna. Tranquilla mamma, vado al centro commerciale proprio perché è in offerta. Poi passerò a prendere Cristina e andremo al ristorante. Manuel e Cristina non abitavano distanti e dunque, per risparmiare i soldi del carburante, si recavano alla Pineta insieme. Il più delle volte era Manuel ad andare a prendere Cristina, da buon cavaliere,

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