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Una raccolta di racconti dove il reale si mischia al sogno, l'irreale al metafisico, tutti tenuti insieme dal filo conduttore di un testimone che racconta la storia, a volte prendendone parte, a volte no. Una serie di quadri narrativi che possono essere osservati da qualsiasi angolazione, basta tuffarcisi dentro.
FINE
Benvenuto a me, cari amici e amiche, in questa vostra introduzione che avete scritto a mani congiunte come un soffio nel vento degli eventi. Il libro che avete creato e che mi appresto a leggere di gusto è inusuale, non per vanità né per scelta, solo per sua natura. Si potrebbe semplicemente affermare che è venuto fuori così e basta, archiviando qualsiasi ulteriore discussione con l’accettazione che tutto cura e si riassume in un’alzata di spalle o in un sospiro vissuto del tempo. Eppure, due parole in più, sono certo che vorrete sprecarle per spiegarmi meglio il vostro progetto e di cosa si tratta.
Doveva essere qualcosa di diverso dalla ricerca della diversità e l’ossessione per l’originalità, questo lo so, mi è arrivato alle orecchie. Come se vi foste sentiti stufi o stufe di essere in debito verso una società che non apprezza veramente la necessità di distinguervi a qualsiasi costo seguendo il vostro percorso personale, ma poi ipocritamente vi suggerisce di intraprenderlo. Allora, nel menefreghismo generale in cui tutto si è appiattito, avete pensato: va bene, questo vuole il resto del mondo, questo gli daremo.
Racconti classici
dunque, tale doveva essere il titolo originale dell’opera dove voi avevate deciso di non partecipare più in prima persona alle avventure che si sarebbero esaurite nell’inchiostro della penna dopo aver bussato alle porte della fantasia. Distaccarvi quindi, rendervi in qualche modo impersonali e lasciare fare tutto il resto alla storia e alla trama classica. Poi, però, cos’è successo? Come da Racconti classici
siete giunti e giunte invece a realizzare Metaporeidi
?
Il fatto di trovarvi a essere semplici testimoni vi ha cambiato profondamente. Non più degli scrittori o delle scrittrici che s’identificano nelle loro storie, o meglio le loro storie che sono gli specchi delle vostre idee, in certi casi una mera scusa per mascherare il pensiero personale, ma semplici resoconti di quello che accadeva agli altri.
E quindi avete scritto, un’avventura dopo l’altra, quasi nello stesso ordine in cui appaiono in questa raccolta. E giunti e giunte ormai in procinto della fine? Vi siete voltati e voltate indietro senza ricordarvi quasi nessun racconto se non come un miraggio, accorgendovi di aver oltrepassato il proposito iniziale. Avete annientato il me singolo scrittore diventando voi i e le testimoni dei vari quadri. Ecco dunque che è balenata nella vostra mente metaporeide
!
E allora non continuate più, tanto siete solo riusciti o riuscite a confondermi maggiormente le idee. Forse era meglio se questa introduzione la scrivevo io e voi la leggevate. Allora vi avrei semplicemente detto che, in questo libro, io sono il testimone inesistente, voi gli o le artefici. Non ho fatto altro che osservarvi. Per tutta la mia vita sino a questo punto, non ho fatto altro: ho sempre osservato e raccontato.
Cos’altro aggiungere? Che questo libro è autoprodotto e forse risente di forma, correzioni, refusi, concetti e non si adatta al mercato e bla, bla, bla? Tranquilli, tranquille: non c’è bisogno che me lo ripetiate. Già lo so come funziona e il vizio, una volta intrapreso, è duro a morire.
Vi ringrazio, dunque, per avermi fatto scrivere quello che non avete ancora letto. Questo libro l’ho solo preso in prestito che era incorniciato e se non era incorniciato, potete sempre appenderlo nella storia fra le storie. Su forza: smanio di ascoltare i vostri racconti! Andiamo a incominciare.
Vorrei rinascere
indietro nel tempo
per portare avanti
tutte le conoscenze
reminiscenze
dei mondi che saranno
ma finirei pezzo per pezzo
accusato
pazzo per pazzo
osteggiato
ostacolato, beffeggiato.
Così, partire è stata la fine
di ogni mio viaggio.
Quando in cielo
vedrò metaporeide,
allora tutti i desideri
saranno evaporati.
Io m’innalzerò in volo
e camminerò sull’acqua
dei miei sogni.
Nell'attesa
leggerò di niente
e parlerò di tutto.
Abbraccerò queste parole
quando
tornando avanti nel tempo
saprò di essere arrivato indietro.
Ogni testimone è a un quadro, e lo racconta. In ogni quadro c’è un testimone, che guarda. Funziona così, in ogni dipinto del mondo da quando è nata la pittura. I testimoni che osservano il quadro dall’esterno provano emozioni e sentimenti. Cavalcano con la fantasia in mondi remoti e interiori. Forse poi ne parleranno, forse il racconto non uscirà dalle loro labbra, ma rimarrà un momento trascorso che si trasformerà in un ricordo sommerso.
Il testimone che vive dentro il dipinto, invece, si chiama metaporeide. Non è un nome proprio, ma la nomenclatura di una specie a sé. Qualcosa è stata anche scritta o chiacchierata su di noi. Io sono metaporeide e ti scruto mentre tu ammiri inconsapevole il quadro.
No, non cercarmi! Non è detto che mi riconosceresti. Mi senti, lo so. Odi non tanto le mie parole, perché alle tue orecchie è come se non avessero suono, ma percepisci la mia presenza.
Ora la tua curiosità, anziché diminuire, è aumentata. Forse sono uno dei personaggi dell’affresco. Ma quale dei tanti? Il protagonista, la comparsa? La donna sullo sfondo o il bambino in primo piano? E se il quadro non avesse personaggi? Sarei la pianta oppure l’intero giardino? Le nuvole o la firma dell’autore?
Sono metaporeide e basta. Senza articolo determinativo, senza genere. Metaporeide più metaporeide fanno metaporeidi al plurale. Se poi nella tua lingua si dica tante metaporeidi o tanti metaporeidi, il o la metaporeide, non saprei proprio cosa risponderti. So che non ho mai incontrato più metaporeidi nello stesso quadro. Forse ce ne sono.
Fra noi metaporeidi possiamo comunicare in molti modi, non solo quando due quadri si trovano vicini, ma anche a distanza, però non parliamo di queste cose. Definire non c’interessa più di tanto, almeno non quanto svolgere la nostra funzione di testimoni e su questo poi ci scambiano le impressioni.
No, ti ho già detto che non sono neanche quel sentiero su cui il tuo pensiero si è soffermato. Non distrarti e stammi a sentire. Come puoi udirmi senza conoscermi e senza che il tuo orecchio sia interessato al fenomeno? Non domandare la spiegazione logica di processi che faticherei a elucidarti perché non ti appartengono.
Io conosco la tua lingua e il modo per entrare in contatto con te, la procedura inversa non è necessaria. Altrimenti dovrei mostrarti le leggi dell’universo attraverso un linguaggio che non è né fede né fisica né filosofia. Come faresti a comprendermi?
Con il cuore, dici? Va bene, questa risposta te la concedo perché so che ti fa piacere confidare che possa essere la soluzione ideale a tutto. Tu devi avere l’animo un po’ poetico, lo sento, come me del resto. Per questo siamo in sintonia.
Noi metaporeidi non siamo uguali: c’è chi è un po’ più così, chi colà. Chi pende per di qua, chi di là… no, non cercare nelle mie descrizioni indizi per riconoscermi. Forse siamo solo degli elementi inconsci di disturbo: qualcosa che ti sembra perfettamente intonata nel dipinto, ma che in realtà ti suscita un senso di frastornamento o di dubbio.
Se anche fosse, non basta. Se vuoi sapere ancora, sappi che siamo dentro il quadro, ma non necessariamente siamo una parte del disegno. In che senso? Forse metaporeide è la cornice, forse il senso dell’insieme o l’ottica della prospettiva. Nessuno ci ha mai individuato precisamente, ma hanno scoperto che esistiamo.
No, non gli scienziati. Purtroppo loro non si sono ancora imbattuti in noi scientificamente parlando. Hanno più volte fatto la nostra esperienza come semplici testimoni esterni dei quadri, ma nel loro mestiere non hanno occhi con cui accettare oltre il dimostrabile e talvolta il dimostrabile è solo ciò che non è stato ancora scoperto.
No, non è una critica. Ognuno è come è. Tu sei tu, io sono metaporeide. Che esisto, questo è certo. Lo è per me, dunque se anche tu non consideri la mia esistenza questo non basta a farmi scomparire dal cosmo. Forse non sono presente nell’universo della tua vita, ma continuo ad abitare nell’universo della vita.
Per quanto ti riguarda, non ti riconosco, ma sento di provare per te questa simpatia, come ti ho già detto. Forse mi sbaglio, ma tu sembri riflettere sui miei discorsi e ti figuri nella mente la possibilità che io esista veramente anche se nel pianeta della fantasia. Ecco perché dicevo che mi sembri di animo più poetico che scientifico: ti basta aver saputo di me e subito, anche se per pochi attimi, mi hai incluso nel tuo cosmo privato aprendomi le porte del tuo universo interiore.
Anche gli scienziati, quando non lavorano, sono come te. Tutti i tuoi simili, a riposo dai propri variegati doveri, possono entrare in contatto con metaporeidi e percepirne l'essenza.
Metaporeide non è una forma di pensiero, è testimone. Tu sei testimone dell’esistenza di metaporeidi quando osservi qualsiasi quadro, ma il più delle volte ci ignori. Forse perché vai di fretta, forse i problemi, forse altre cose che t’ingarbugliano la testa e di cui io non m’imbrigo.
Ora, il gioco di voler provare a tutti i costi a smascherarmi si è fatto più incalzante e ti interessi a me solo come risposta e non come testimone. Ecco una buona domanda da porre ai tuoi consimili filosofi: l’esistenza di metaporeidi è più la domanda o la risposta? Ma anziché presentare questo pensiero come domanda, si potrebbe dichiararlo come risposta e dire che metaporeide non è né l’uno né l’altra.
Il punto non è la scelta fra se metaporeide esiste oppure se metaporeide spiega l’esistere. Il punto è che metaporeide osserva l’essere e ti osserva. Metaporeide è testimone.
Tu cosa sei: più occhio o più vista? Più vedi o più essere visti? Metaporeide gioca, questo fa parte del nostro carattere. E metaporeide ride e scherza. No, non sono neanche il tuo sorriso, per quanto immagino possa essere un’esperienza grandiosa, ma non sono nemmeno quello.
Alcuni dicono che metaporeide è questo
, oppure non quello
, oppure non due
quando è uno o metaporeidi quando siamo tutto. Sono solo espressioni filosofiche o religiose che forse neanche ti appartengono, anche se potresti averne vagamente sentito parlare. Non cercarlo così lontano il senso di metaporeide e tranquillizzati perché metaporeide è solo presenza nel quadro e non è questo o quell’altro bagliore di religione.
Giriamo intorno, noi metaporeidi. No, non sono neanche quella trottola né quella ruota tratteggiata di schizzo, ormai dovresti averlo capito. Giriamo in tondo per muoverci, per spostarci. Tu cammini, noi giriamo. Una tela è immobile, sostieni, così come gli elementi al suo interno. Te l’ho detto, abito nel quadro, ma non necessariamente sono un elemento fisso. E poi anche tu ti riposi e ti fermi, non stai sempre in moto.
Quando allora rivedi un dipinto che possiedi e noti un particolare che prima non avevi visto o che lì ti sembrava non ci fosse? Vuoi sapere se sono io che ho cambiato posizione durante la notte? No, no, altrimenti mi avresti già individuato e avresti trovato la tua risposta e il gioco sarebbe finito.
In conclusione non c’è via d’uscita, dunque? Intanto, stabiliamo che questo incontro possiamo concluderlo qui. No, non sei tu che decidi quando metaporeide si mostra o ti parla, decido io, decidiamo noi. Cosa? Sì, prima ti ho detto che metaporeide esiste anche senza che tu ti accorga di noi e adesso tu vuoi sapere se un quadro può esistere senza metaporeidi. Questo non lo so, so che non ho mai visto né saputo di quadri senza metaporeidi.
Se moriamo quando il dipinto viene irrimediabilmente distrutto? È una domanda intelligente, ma non siamo necessariamente un elemento tangibile, te l’ho già detto, e poi ne sai ancora poco di vita e di morte per poterne discutere adeguatamente. No, non ti offendere, non volevo dimostrarmi arrogante. Se preferisci spiegarmi senza ombra di dubbio cosa siano gli estremi opposti dell’esistenza, ti ascolto volentieri, ma per ora direi di accontentarci che tu vivi e anch’io sono.
Sin ora ti ho poi ribadito più volte che mi sembra di conoscerti, ma non di riconoscerti del tutto, ti ricordavo un po’… differente. Forse quando entrambi riusciremo a riconoscerci completamente sapremo risponderci e intenderci, se ancora c’interesserà, sul valore di questi dubbi. Per ora, ti basti sapere che non ti ho detto ancora tutto, non ti ho detto praticamente niente. Se vuoi qualcos’altro su cui riflettere per ingannare l’attesa sino a quando non avremo modo di salutarci senza incomprensioni, allora sappi che un quadro non è solo un dipinto appeso a un muro.
Così, questa è stata la mia prima e unica esperienza con metaporeidi. Mi accadde un giorno in casa, di fronte a un dipinto. Io la spettatrice del quadro non solo pittorico, ma della figurazione dell’universo.
La partenza, dunque, è stata sempre l’arrivo di ogni mio viaggio. Quando in cielo vedrò metaporeide, allora tutti i desideri saranno evaporati. Io m’innalzerò in volo e camminerò sull’acqua dei sogni partoriti dal grembo di madre natura. Intanto, continuo a scrutare, in cerca del testimone.
Ombre. Non siamo neanche ombre in questo piangerci addosso e cercare commiserazione nello sguardo di un nostro simile. Parole di conforto che ci tirino su il morale per un istante, ridestando la nostra memoria di appartenenza al genere umano. Questo vorremmo, perché non siamo più neanche in grado di leggere o capire uno sguardo. Fa molta poesia e poetico
dirlo, dire cose che non si comprendono bene ma che sembrano nascondere chissà quali visioni profonde dell’animo, sofferente quest’ultimo perché non sa più capire il simile attraverso l’organo visivo. Dunque neanche ombre, ma personaggi sulla strada, questo siamo, in una domenica d’autunno a spasso per la città.
Ci sono Francesca e Francesco che si tengono per mano. Due ragazzi, appena cresciuti, si vede lontano un miglio che sono agli inizi della loro relazione amorosa, quando tutto è emozione vulcanica e passione. Ancora non si è affacciato su di loro il velo della monotonia e della quotidianità che offuscherà la luce del sole oltre la finestra della casa famiglia. Il legame si spezzerà, le mani molleranno la stretta, se s’includerà questo tendaggio sul vetro dei sentimenti nel proprio arredamento domestico interiore.
Io, invece, sono solo un osservatore senza nome. Pensate a me come a uno dei tanti invisibili, se volete visualizzarmi. Senza tetto, senza casa, senza affetti, senza averi, senza senso. Solo con i miei pensieri. Non invidio il tipo fermo al semaforo nel suo macchinone nero fiammante. Fiamme nere, fiamme dell’inferno forse, dove la corruzione ti trascina seducentemente senza che tu te ne accorga.
Ne so qualcosa io, anche se ormai sono rimasto senza passato, anche se non ho più memorie personali per avvalorare le mie tesi, ma lo immagino. Immagino che per pensare in questa maniera forbita, vagamente filosofica, colta in qualche modo, forse prima ero una specie di letterato, uno scribacchino, un professore, uno studioso, chissà. Davvero non ricordo altro che mille giornate come questa e notti avvolte dall’oblio.
Prima del mio incidente, non so chi ero. So che avevo anch’io un amore: è scritto fra i miei tatuaggi scoloriti dalla pelle raggrinzita. Vedo un cuore, intravedo la lettera a
di un nome, ma altro non si distingue. Forse non so nemmeno più leggere. Forse qualcosa nel cervello che si è incrinato da quando, da quando… Dio com’è difficile sforzarsi di ricordare! Per questo preferisco tornare alle mie osservazioni.
C’è, al di là della strada, un’altra coppia più arzilla della prima. Lei spavalda, lui più vanitoso ancora, quasi due oche mi verrebbe da dire, ma le parole s’intrecciano e forse è lui che è più spavaldo e lei più vanitosa. Insomma, entrambi molto appariscenti. Anche lui ostenta dei tatuaggi in bella mostra sulla spalla che fuoriesce dalla maglietta attillata a maniche corte, nonostante il clima per me già molto fresco.
Ecco, se nel mio passato fossi stato come una di queste due coppie che camminano sui due lati opposti della via, sceglierei la prima. Si vede come Francesco sussurri parole dolci nelle orecchie di Francesca e come lei stia al gioco arrossendo. Mentre quell’altro, Steven si chiama, scialacqua l’ugola che pare al mercato e tutti qui lo sentono starnazzare alla sua bella:
«Amò, daglie che attraversamo!»
Uomini che pur non facendoci caso sono abituati a impartire ordini in ogni loro frase, a comandare, a volere che tutto vada secondo le loro ragioni e non accettano discussioni. O meglio: le discussioni gli piacciono – meglio ancora se litigi che semplici discussioni – proprio perché alla fine possono affermare il proprio ruolo dominante e il potere di essere nel giusto. E si trovano donne bisbetiche, non sempre sottomesse, ma che rispondono per le rime e per i versi e sono vipere con la lingua al veleno.
Così, Trilly Campanellino, io la chiamo Trilly nella mia fantasia, ma nella realtà si chiama Trisha, replica al suo adone:
«A coso, ‘spetta, no? Non vedi che il semaforo è arancione per i pedoni?»
«Ma che arancione e arancione! L’arancione è per le femmine e poi dura un’eternità. Solo tu nun ce lo sai».
«Amò, non m’innervosire, ché già oggi non ne stiamo a combinà una giusta».
Eppure, Steven tutti i torti non li ha. Qui l’arancione dura qualche minuto intero. Conosco bene questo incrocio perché ci passo giornate intere e sempre uguali a osservare la gente che l’attraversa, non avendo altro di meglio da fare, nessun posto dove tornare. Con il tempo che fa, poi, meglio starsene rintanati e non sprecare energie. Certo, se fosse estate o pieno inverno sosterrei la stessa cosa, perché il succo non è il clima, ma lo starsene rintanati a leccarsi le ferite e a commiserarsi. Forse solo questo m’interessa.
Non ho altri stimoli e mi sembra di osservare il tempo scorrere come a rallentatore proiettando sempre l’ennesima pellicola, la stessa giornata che m’invecchia ogni giorno di più. Forse il tempo non scorre: è fermo e sono io che scorro, che passo, che scappo via. Come se qui non succedesse nulla di nuovo, nulla di diverso, nulla che già non si sappia come andrà a finire.
Ecco: adesso Francesca si è stranamente indispettita quasi le avessero punto una natica con uno spillo, perché voleva attraversare anche lei, ma Francesco ha ritenuto più prudente che scattasse il rosso e attendere che poi si facesse nuovamente verde per i pedoni.
Intanto, transita sul marciapiede quella madre con la carrozzina, chissà come si chiamerà il pupo?
«Gina, non piangere» – dice la donna.
Gina. È una lei! E la madre le fa tanti versi e blatera lallazioni miste a boccacce tanto che agli occhi della piccola dovrà sembrare una mezza scema. Ma chi è che dopo essersi lamentato della regressione cui gli adulti sono soggetti quando devono entrare in comunicazione con un neonato, poi non abbia fatto altrettanto al suo turno?
Forse anch’io, prima del mio incidente, mi lagnavo degli altri, ma poi mi comportavo alla stessa maniera quando mi si presentava l’identica situazione.
O forse io ero un medico, come il signore che attraversa l’incrocio quando la spia del semaforo è ancora arancione. Parla a vivavoce nell’auricolare del suo cellulare che sembra un matto che dialoga con presenze invisibili di questo o di quell’altro paziente, di quell’operazione, della bella infermiera, ma la primaria è ancora più appetibile e via dicendo. Chissà con chi parla, non certo con la moglie, però. Ma l’uomo è
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