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P256: in fila con se stessi
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P256: in fila con se stessi

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About this ebook

Paolo Bianchi è un impiegato delle Poste che vive benissimo nella sua mediocrità finché una notte fa uno strano sogno.
Dalla mattina seguente inizia ad avvertire un lieve senso di fastidio verso ogni cosa e persona.
Si rende conto di essere sopraffatto dalla madre, una donna esageratamente grassa ed autoritaria, dal capoufficio, un uomo che usa il suo potere in modo spietato e dai suoi colleghi che non lo rispettano né tanto meno lo considerano.
Paolo inizia a riflettere su ogni aspetto che caratterizza la nostra società e si sente minacciato dalla stessa. Dopo essere stato comandato dal capoufficio di lavorare al banco dei pacchi, posto considerato punitivo, la condizione del protagonista si aggrava. Le riflessioni si trasformano in paranoia e dolore fisico (mal di denti e un fastidioso fischio all’orecchio) che portano Paolo sulla soglia della pazzia
LanguageItaliano
PublisherFreddy
Release dateMay 12, 2018
ISBN9788828320937
P256: in fila con se stessi

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    P256 - Consolato Mercuri

    follia.

    Capitolo 1

    Fanno 49 euro e 50 centesimi….Signora, la ricevuta! Di niente, buonasera anche a lei!

    Mi chiamo Paolo Bianchi, ho 43 anni, lavoro alle Poste e sono un mediocre.

    Già il nome dice tutto.

    Paolo significa piccolo, poco. Associato poi ad un cognome neutro, il risultato vien da se. Con tanti cognomi esistenti che ti vado a beccare? Bianchi. Mica Rossi! E’ sempre un cognome comune ma il rosso è un colore vivace, che indica passione, pericolo, vivacità. Il bianco quasi quasi non è nemmeno un colore. Se sfogli delle pagine e ne trovi una sulla quale non c’è scritto niente dici Hey, questa pagina è vuota!. Se invece c’è del rosso dici Qualcuno ha macchiato il foglio di rosso. Macchiato, lasciato un segno indelebile. C’è molta differenza tra le due cose. Non odio il mio nome né la mia condizione, adoro essere un mediocre ma do molta importanza al fatto che i miei genitori non mi hanno dato un nome con un significato più nobile. Credo che avrei potuto avere una personalità più forte. Dico questo così scarico la colpa su di loro confermando e giustificando ancor di più la mia condizione di mediocrità.

    I miei.

    Mio padre non l’ho mai conosciuto, è morto in un incidente di auto quando avevo tre anni. Mia madre, presa dalla disperazione, vendette casa e ne comprò una dalla parte opposta della città. Iniziò ad ingrassare in modo esponenziale fino ad arrivare ai 150 kg. Smise di viaggiare. L’unica strada che oggi percorre è quella per andare al supermercato, ai vari negozi della piazza, dal tabaccaio e dal giornalaio. Massima lontananza da casa: 400 metri. Non lavora perché recepisce una pensione di 1.200 euro.

    Anch’io lavoro vicino casa, uscito dalla porta attraverso le strisce pedonali e vado dritto per circa 200 metri, passando sopra un cavalcavia della stazione. Sono contento di aver trovato un posto di lavoro nei pressi della mia abitazione, non tanto perché la mattina non c’è bisogno che mi alzi presto ma perché mamma non vuole che mi allontani troppo da casa. Alla fine mi lascia andare solo dove va lei. Si, lo so che la mia città ha un centro storico meraviglioso e che ho 43 anni e che non dovrei darle retta ma è la mia mamma e non ho il coraggio di ribellarmi. Come ho già detto sono un mediocre, lo sono sempre stato.

    A scuola non andavo male ma neanche benissimo, ero normale. Gli insegnanti ai colloqui non dicevano la solita frase E’ intelligente ma non si applica. Suo figlio se la cava, ha tutte sufficienze ma non può pretendere altro. Mia madre non diceva niente e se andava bene a lei, andava bene anche a me.

    Non avevo molti amici, anzi a pensarci bene non ne avevo nessuno, solo semplici compagni di scuola. D’altro canto non avevo neanche nemici. I bulli della scuola non mi toccavano, non perché avevano paura, semplicemente mi ignoravano. Facevano così anche le ragazze.

    Passavo i miei pomeriggi a giocare in casa con dei pupazzetti, mia madre stava seduta sul divano a guardare la televisione. Portava sempre la vestaglia, dei bigodini in testa e aveva perennemente una sigaretta accesa.

    Capitolo 2

    Ore 19.00 di un venerdì qualunque. Sono uscito dal lavoro e mi incammino verso casa. Ho sempre con me una borsa in pelle, non ci tengo niente dentro, è completamente vuota ma lavoro alle Poste, faccio un lavoro importante, ambito, statale e soprattutto invidiato, quindi è giusto che mi dia delle arie. Lo fanno tutti. Giacca e cravatta, belle scarpe e borsa in pelle. Si fa colazione in bar lussuosi dove anche i camerieri vestono e lavorano come se facessero l’impiego più utile del mondo. Lo sguardo sempre in su. Si passeggia massimo in gruppi di quattro persone, andamento lento e ci si guarda intorno, le mani mai in tasca e si parla solo di pratiche e protocolli. Si osserva la gente comune e se si incontra una persona che fa un lavoro umile e meno rispettabile del nostro lo si deve fissare cosicché si renda conto che siamo più importanti di lui. Al bar si ordina caffè e cornetto. Il caffè però non deve essere mai comune ma elaborato. Nascono le richieste più strane.

    Un caffè corto in vetro, Un caffè tiepido in tazza calda, Un caffè né troppo caldo né troppo freddo macchiato con latte caldo. Si paga un giorno per uno ma alla cassa si deve discutere amichevolmente con i propri colleghi su chi vuol pagare a tutti i costi, Faccio io!, No, faccio io, Per carità! Oggi voglio pagare io!. La pecunia non và tenuta nel portafoglio, ci sono clip porta soldi in argento o in oro bianco.

    Mai sfogliare il giornale, noi ce lo compriamo la mattina all’edicola. Sono assolutamente banditi i free press. L’unica volta che ci è consentito toccare il giornale è quando vogliamo darci un’aria acculturata. Si apre ad una pagina determinata e, rivolgendosi ad un proprio collega, si dice a voce alta Hai letto questo articolo?. Il collega, dopo aver dato uno sguardo veloce alla pagina, torna al suo caffè dando una risposta positiva e una propria opinione sull’argomento.

    Uscendo dal bar, chi fuma, si accende una sigaretta. E’ consigliabile usare un bocchino corto.

    Io non fumo, mamma non vuole.

    Meglio, non sentirei in pieno il gusto dei piatti che lei mi cucina. Oggi che è venerdì mi ha preparato del pesce.

    Mamma è molto religiosa e segue tutte le regole della Chiesa. La sera dice il rosario ed io devo recitarlo con lei. Non importa l’ora o se sto guardando la televisione. Apre la porta della mia camera e dice Vieni in salotto, sto per andare a letto e voglio recitare il rosario. Non bussa mai. Entra quando e quanto vuole. In fondo la casa è sua.

    Finito il rosario mi da un bacio sulla fronte e va a letto. Io torno nella mia camera e riaccendo la televisione, a volume basso però, per non disturbare mamma che dorme e per sentire se mi chiama quando ha bisogno di qualcosa.

    Affretto un po’ il passo, se arrivo che la cena è gia pronta rischio una romanzina e quando lavo i piatti devo rimanere in silenzio.

    Capitolo 3

    Sabato.

    Il sabato mi devo svegliare presto per accompagnare mamma nelle sue attività giornaliere.

    Per prima cosa mi alzo e mi vesto subito con dei vestiti che uso per i lavori in casa. Esco ancora insonnolito, attraverso la strada, compro il giornale e torno indietro.

    Rientrato in casa, preparo la macchinetta del caffè, i biscotti con il burro e marmellata e vado a svegliare mamma. Divido sempre il giornale lasciando a lei la scelta se leggere per prima la parte regionale o nazionale.

    Dopo colazione c’è la toilette, ci cambiamo e usciamo.

    Prima tappa, spesa al mercatino. Mamma gira tra le bancarelle di frutta e verdura, poi tra quelle di utensili per la casa e infine tra quelle di vestiario. Io mi limito a seguirla in silenzio e a reggere le buste. Fatta la spesa al mercato torniamo a casa. Entro solo io, sistemo velocemente gli acquisti ed esco.

    Seconda tappa, spesa al supermercato. Si rifà la strada di prima, solo che si prosegue dritto. Passiamo sempre in un sottopassaggio pieno di murales. Li ho sempre trovati odiosi, ci sono scritte incomprensibili, disegni orrendi e senza senso. Non l’ho mai considerata una forma di arte o comunque non ho mai avuto il coraggio di farlo.

    Una volta al supermercato la storia è sempre quella. Mamma avanti ed io dietro che la seguo con il carrello, facendo un continuo zig zag tra gli altri clienti.

    Finita la spesa torniamo di nuovo a casa. Questa volta entra pure mia madre, non per darmi una mano a svuotare le buste ma per andare in bagno.

    Terza tappa, il parrucchiere. Mamma ci và tutti i sabati, si fa lo shampoo e si cotona i capelli. Anch’io me li faccio spuntare sempre un po’, anche se sono un po’ stempiato. Con il lavoro che faccio devo sempre essere in ordine e presentabile. Dal parrucchiere mi annoio molto. Devo sempre aspettare tanto, i discorsi che fanno le donne non li capisco e con il barbiere che mi serve non ci parlo perché abbiamo interessi totalmente diversi.

    Usciti dal parrucchiere riaccompagno mamma a casa e poi esco da solo. Vado in un altro supermercato a comprare due casse di acqua che porto a casa con il carrellino. Posata l’acqua vado dal tabaccaio a comprare le sigarette per mamma e mi faccio una passeggiata fino alla piazza.

    Adoro il mio sabato mattina. Percorrere di continuo quelle strade e non spingermi mai oltre mi da un senso di sicurezza. La routine del mio muovermi mi fa sentire vivo, parte attiva della società. Sono anni che vivo in un quadrato ben delimitato, il mio quartiere. Conosco a memoria ogni marciapiede, ogni insegna dei negozi, ogni semaforo. Si parla tanto del mondo come pianeta ma il mio mondo si riduce al mio quartiere. Quando sento pronunciare mondo immagino una scena. Vedo la Terra, poi l’immagine si stringe e vedo l’Europa, poi si stringe ancora e vedo l’Italia, poi la mia regione, poi la mia città e infine nell’ultimo zoom vedo il mio quartiere, la terra che riconosco mia, con confini ben definiti, il pianeta dove vivo. Tutto il resto non mi appartiene ed io non mi sento di appartenere a lui. Non chiamatemi cittadino del mondo se per mondo non intendete il mio quartiere.

    Capitolo 4

    Domenica.

    La domenica accompagno mia madre a messa. E’ giusto andare a messa. Nostro Signore ci ha donato la vita e ci chiede indietro solo un’ora a settimana da dedicare a lui. Per il rapporto dare avere mi sembra una buona offerta.

    A messa si incontra sempre bella gente, ben vestita e

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