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Occupato
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Ebook484 pages6 hours

Occupato

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About this ebook

ALCUNE PERSONE VIVONO IN OCCUPAZIONE, 
ALCUNE PERSONE OCCUPANO LORO STESSI. 
NESSUNO è LIBERO. 

Entra in un mondo che è insieme finzione magica e scioccante realtà. Cammina fianco a fianco ai rifugiati, ai nativi, agli occupanti e ai migranti economici. E da' uno sguardo a come il mondo intorno a te ha subito trasformazioni da un passato felice a un futuro distopico.

Ispirato dalle occupazioni in Palestina, in Kurdistan e in Tibet, e dalle occupazioni delle corporazioni dell'ovest, 'Occupato' è uno sguardo ossessivo alla società che ci è un po' troppo familiare per quanto riguarda il benessere. 

Potente, oscuro, distopico e magico; Occupato è davvero un pezzo unico di letteratura narrativa...

LanguageItaliano
PublisherBadPress
Release dateDec 8, 2022
ISBN9781547579105
Occupato
Author

Joss Sheldon

Joss Sheldon is a scruffy nomad, unchained free-thinker, and post-modernist radical. Born in 1982, he was raised in one of the anonymous suburbs that wrap themselves around London's beating heart. Then he escaped!With a degree from the London School of Economics to his name, Sheldon had spells selling falafel at music festivals, being a ski-bum, and failing to turn the English Midlands into a haven of rugby league.Then, in 2013, he stumbled upon McLeod Ganj; an Indian village which is home to thousands of angry monkeys, hundreds of Tibetan refugees, and the Dalai Lama himself. It was there that Sheldon wrote his debut novel, 'Involution & Evolution'.Eleven years down the line, he's penned eight titles in total, including two works of non-fiction: "DEMOCRACY: A User's Guide", and his latest release, "FREEDOM: The Case For Open Borders".

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    Book preview

    Occupato - Joss Sheldon

    OCCUPATO

    Joss Sheldon

    Traduzione di Cinzia Rizzotto

    www.joss-sheldon.com

    Autore Joss Sheldon

    Traduzione di Concetta Fontanella

    Questo libro è venduto a condizione che non possa, a titolo di scambio o altro, essere riprodotto, memorizzato in un sistema di recupero o trasmesso, in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, senza l'autorizzazione dell'autore Joss Sheldon.

    Joss Sheldon rivendica il diritto morale di essere identificato come Autore del lavoro, in conformità con il 'Copyright Design and Patents Act 1988'.

    Copyright © 2019 Joss Sheldon

    Tutti i diritti riservati

    Distribuito da Babelcube, Inc.

    www.babelcube.com

    Babelcube Books e Babelcube sono marchi registrati Babelcube Inc.

    Copertina realizzata da Dejan Jefremoy & Marijana Ivanova Design.

    PER I PALESTINESI, CURDI E TIBETANI

    Ogni generazione ha combattuto le stesse battaglie come hanno dovuto combattere i loro antenati, di volta in volta, perché non c'è nessuna vittoria finale e nessuna sconfitta finale.

    Tony Benn

    CONTENUTI

    CONTENUTI

    SEZIONE UNO

    1. TAMSIN

    2.      ELLIE

    3.      ARUN

    4.      CHARLIE

    SEZIONE DUE

    5. TAMSIN

    6.      ELLIE

    7.      ARUN

    8.      CHARLIE

    SEZIONE TRE

    9.      TAMSIN

    10. ELLIE

    11. ARUN

    12. CHARLIE

    SEZIONE UNO

    INFANZIA

    1. TAMSIN

    Sai perché il nostro villaggio di chiama 'Doomba'? Papa Tamsin chiese alla sua figlia più grande. Era disteso su di un tappeto, circondato da un mucchio di cuscini, e da una serie di tazze vuote.

    No, papa, rispose Tamsin. Ho sempre pensato che fosse un nome stupido.

    Stupido!

    Sì, papa. É una parola stupida, 'Doomba'.

    Papa Tasmin sorrise.

    Inalò del fumo aromatizzato alla mela, accarezzò il suo mento e passò un rosario di perline tra le sue dita.

    Una candela traballò e una lanterna luccicò.

    Sai cosa sono i doombi? Chiese lui.

    No, papa.

    Ecco, questo è il motivo per cui pensi che Doomba sia un nome stupido!

    Vedi, i doombi sono animali. Somigliano un po' alle volpi, ma hanno delle striscie rosse lucenti e un pizzetto a punta grigio. Sono molto rari. Ma sono speciali, proteggono tutti quelli che sono abbastanza fortunati d vederli!

    Tamsin ridacchiò.

    Ne hai mai visto uno? Chiese lei.

    Oh sì, certo! Solo una volta, molti anni fa, quando avevo la tua stessa età.

    Com'era?

    "Era saggio come un sacerdote, astuto come un procione, e antico come il tempo stesso. Mi fissava, poi strizzò l'occhio, e scomparve in una nuvola di fumo.

    Non l'ho mai più visto da allora, ma spesso sento la sua presenza. Questo perchè penso che lui sia ancora vivo su per le colline. Potresti vederlo un giorno, potresti incontrarlo mentre giochi a nascondino."

    Probabilmente, papa. Mi piacerebbe vederne uno. Se un doombo si nasconde tra le colline, allora sicuramente lo troverò. Sono la migliore a nascondino.

    Papa Tamsin ridacchiava, tirò dal suo narghilè, e guardò sua figlia.

    Le sorrise. Le rughe sul suo viso si fecero più profonde, e la sua dentatura prominente colpiva le sue labbra coriacee.

    "Molti anni fa, la nostra comunità viveva in un villaggio a sud. La terra era fertile lì. Ci donava frutti succosi e verdura paffuta ogni anno.

    La nostra comunità, peró, era piccola come la fronte di un gatto, e una comunità più grande voleva la nostra terra. Ulularono come iene, ci caricarono con le lance e ci cacciarono tutti. Dovemmo fuggire per le colline e nasconderci nell'erba alta.

    Fu lì, dopo molte ore, che una ragazzina vide un doombo.

    Quella ragazzina aveva dei luminosi e luccicanti capelli neri, fianchi generosi e un nasino a patata. Somigliava proprio a te!

    Bene, lei guardò il doombo e il  doombo guardò lei.

    Il doombo strizzò l'occhio, e scappò via.

    Quella ragazzina peró riuscí a non perdere di vista il doombo. Rimase sveglia per una settimana intera, e seguì il doombo dovunque andasse. Salì per le colline, attraversò gole e scalò montagne. La nostra comunità la seguì, perchè sapevano che i doombi portavano fortuna.

    Quindi, dopo molti giorni, il doombo se ne andò in letargo in una bella vallata.

    Gli antenati erano esausti, così presero a dormire anche loro. Tutto quello che avevano erano alcuni vestiti, uva e pane. Ma erano felici, perchè erano sopravvissuti.

    Quella notte fecero sogni felici. Sognarono che la vallata che avevano scoperto sarebbe diventata un villaggio prospero, popolato dai loro discendenti.

    Dormirono per quaranta anni!

    Quando si svegliarono il loro pane e la loro uva erano ancora lì con loro. Ma il doomba era andato via, e un villaggio era sorto intorno a loro. Spazzarono via il sonno dai loro occhi e si innamorarono di quel posto, che si allungava dalle montagne dell'est al mare dell'ovest. Quel villaggio fu chiamato Doomba, in onore dell'animale che li aveva portati lì.

    Abbiamo vissuto nel giardino dell'Eden da allora!"

    Tamsin guardò il padre sbalordita.

    Adorava passare il tempo con lui nella tenda, annessa su un lato alla  casa di famiglia. E adorava, allo stesso modo, frequentare i suoi ospiti, rifornendo il narghilè di carbone, servendo birra fatta in casa e porgendo loro cuscini trapuntati.

    Quegli uomini venivano a far visita a Papa Tamsin tutti i giorni. Giocavano a carte fino a che le loro tasche erano vuote. Fumavano fino a che i loro occhi erano rossi. E discutevano fino a che le loro gole erano secche.

    A Tamsin piacevano quelle conversazioni. Non c'era la scuola nel suo villaggio, quindi le storie che ascoltava da loro erano l'unica forma di istruzione possibile. Erano lezioni in forma di racconto che erano impresse solo nella mente di quegli uomini.

    Ma le nostre terre non arrivano al mare, papa, lei lo sfidò.

    Questo è vero, disse Papa Tamsin sorridendo. Non più.

    Tamsin fissò suo padre, un uomo rinsecchito che profumava di tè e tabacco. Il suo corpo aveva la forma di una bottiglia di Coca Cola, e il suo viso era perfettamente senza età. Non era giovane e neanche anziano. Papa Tamsin poteva avere venti, cinquanta oppure ottant'anni. Tamsin non lo sapeva con esattezza.

    Cosa è accaduto? Chiese lei.

    "Ecco, in passato, non c'era polizia qui. Non c'erano prigioni, corti o giudici. Non c'era un governo. Non ne avevamo bisogno. Ci controllavamo da soli, senza interferenza esterna. Ci trovammo in difficoltá solo a un certo punto, quando scoppiarono i conflitti con i villaggi limitrofi.

    Ovvero, un giorno, molti anni fa, tre ladri del villaggio vicino entrarono in casa di un contadino. Il contadino colse i ladri con le mani nel sacco! Si nascose dietro uno di loro e gli tagliò la gola con una falce. Il sangue schizzò ovunque, e la sua laringe cadde fuori dal suo collo!

    Quell'assassinio mise Doomba in gran pericolo. Gli abitanti del villaggio limitrofo pianificarono di uccidere un membro della nostra comunità per vendicare la loro perdita. Chiedevano una vita per una vita, per regolare il conto di sangue.

    I nostri anziani quindi organizzarono un incontro di riappacificazione. E dopo molti giorni spesi a fare odiose negoziazioni, furono d'accordo a pagare cento pezzi d'oro, e a dare quei soldi ai vicini.

    Questo è il motivo per cui la nostra terra non arriva più al mare."

    Papa Tamsin pensò di aver risposto alla domanda di sua figlia, ed era pronto per andarsene a letto. Ma Tasmin non era della stessa idea.

    Quella terra apparteneva di diritto alla nostra comunità, disse lei con sfida. Che diritto avevano gli anziani di venderla? .

    Tamsin fissò il padre con gli occhi desiderosi di sapere.

    La lanterna tremolò e lampeggiò.

    Papa Tamsin scompigliò i capelli della figlia.

    Sei davvero curiosa, vero? Disse.

    Tamsin non rispose.

    "Bene, prima di allora nessuno possedeva quella terra. Quella terra era di tutti. Ogni uomo era libero di coltivarvi quello che voleva, fino a che nessun'altro ci aveva ancora coltivato. Allora nessuno era ricco, e nessuno era povero. Dio provvedeva per tutti.

    La proprietà privata ci venne imposta dopo, solo quando ci colonizzarono. I coloni diedero parti di terra a ogni abitante. così che poterono iniziare a riscuotere le tasse su quella stessa terra.

    Stiamo ancora pagando tasse oggi, anche se i nostri soldi non sono mai stati investiti per essa. I coloni hanno sempre tenuto tutto per loro stessi. Ma questa è altra storia, di altri tempi."

    ***

    Quando Tamsin non ascoltava le storie del padre giocava.

    E quando non stava giocando, lavorava.

    Tutti lavoravano a Doomba, dal giorno della nascita a quello della morte.

    D'estate gli uomini tagliavano il grano, le donne lo stipavano in fasci, gli anziani li impacchettavano, e i bambini scartavano la paglia.

    Gli uomini raccoglievano le verdure, e le donne le asciugavano al sole.

    I bambini prendevano i frutti, e gli anziani li conservavano.

    In primavera, si piantava il raccolto.

    Gli uomini aravano la terra, le donne estirpavano le erbacce, e i bambini piantavano i semi.

    In inverno gli uomini si aiutavano l'un l'altro a costruire le proprie case, e gli anziani facevano cesti dal vimini.

    I bambini raccoglievano legna per il fuoco, mentre le donne cucinavano piatti tradizionali.

    Anche gli animali avevano il loro lavoro. I cavalli tiravano gli aratri, le galline deponevano le uova, e i cani proteggevano il villaggio dagli animali selvatici. Solo i gatti vivevano una vita fatta di soli svaghi.

    Tutti avevano qualcosa da fare, e nessuno era mai fermo. Il lavoro era duro, spesso gli adulti lavoravano dall'alba al tramonto, ma la gente era felice.

    Erano i capi di loro stessi, e nessuno gli diceva mai cosa dovevano fare. Producevano più o meno tutto quello che serviva.

    Il più del lavoro era fatto collettivamente, ma ognuno aveva le sue responsabilità. C'era l'Ostetrica che chiamava la sua casa 'Dipartimento della vita', dato il copioso numero di nascite che avevano luogo a Doomba ogni anno.

    C'era lo Sciamano che, aiutato dalle voci nella sua testa, miscelava stregoneria e magia per scacciare gli spiriti maligni.

    E c'era il Sacerdote Gobbo, che era membro della religione Santa, che evocava la benedizione di Dio in soccorso a tutti gli abitanti del villaggio.

    Il lavoro di Tamsin consisteva nell'alzarsi presto la mattina, quando c'erano ancora stelle in cielo, per allattare gli yak della sua famiglia.

    Quando aveva finito, dava una pacca sul sedere a ognuno di loro. Loro cosí scappavano correndo nel bosco, dove brulicavano in una festa di erbe e fiori selvatici.

    Gli yak erano animali ben disciplinati, tornavano a Doomba ogni giorno alle quattro in punto.

    Rimanevano lí, in una fila ordinata, e aspettavano di essere allattati di nuovo.

    Poi, ripercorrevano la strada per tornare in casa di Tamsin, dove vivevano, accanto alla sua famiglia.

    Tamsin non aveva mai avuto problemi con quelle bestie potenti. Gli aveva dato addirittura dei nomi.

    La sua preferita si chiamava 'Stripy', per via delle due striscie che aveva intorno al pancino. Gli altri si chiamavano 'Tilly', 'Misty' e 'Tigre'.

    Tamsin svolgeva un'altra mansione.

    Raccoglieva l'acqua alla sorgente di Doomba molte volte al giorno. La stipava in tinelli di terracotta, che trasportava sulla propria  testa.

    Tutti sapevano che la sorgente di Doomba era magica, che la sua acqua poteva curare mal di testa, mal di schiena e mal di denti.

    Alcuni avrebbero detto che curava ogni sorta di malattia. Papa Tamsin diceva di avere una storia tutta sua a proposito.

    Quando la nostra comunità arrivò per prima a Doomba, non c'era una sola sorgente da queste parti, disse lui a Tamsin una notte. "I nostri padri fondatori dovevano camminare molti chilometri per raggiungere l'acqua.

    A quell'epoca, due giovani uomini erano in competizione per sposare una bella dama. Uno di loro tirò una freccia al suo rivale!

    Ma non lo beccò. Colpí, invece, il  sacco di acqua in pelle che il suo rivale stava trasportando. Il sacco si ruppe.

    L'acqua schizzò fuori, e si riversò sulla parete rocciosa.

    Quell'acqua continuó il suo corso e non si arrestò mai! Formò, cosí, la sorgente alla quale attingiamo oggi.

    In seguito a quel triste avvenimento i matrimoni d'amore furono bannati a Doomba. Oggi, i matrimoni devono essere combinati."

    Papa Tamsin sembrava avere storie per ogni affare di Doomba. Per gli alberi di pesco, che fiorivano di un delicatissimo rosa, e per l'aria che aveva l'odore di un dolce té. Per le margherite selvatiche, che germogliavano negli uliveti, e per i panorami che sembravano dipinti.

    I suoi antenati avevano vissuto per così tanto tempo a Doomba, che la sua comunità diventò parte del paesaggio, e gli abitanti conoscevano ogni angolo di quella terra.

    Tamsin amava quella terra. Adorava l'ombra che si creava dagli alberi di melograno del villaggio, i cui rami si estendevano come fossero ombrelli.

    Adorava i tramonti primaverili, pieni di nuvole che si tingevano di malva sulla base, e coloravano gli orizzonti di zenzero. Adorava i fiori lilla, che tappezzavano i frutteti di Doomba, le api in giro in cerca di polline, e le farfalle bianche che le brulicavano sul capo.

    Ma piú di tutto, Tamsin amava giocare.

    Indossava i vestiti della mamma, che erano decisamente troppo grandi per lei. Li indossava al contrario, e faceva la piega al cappello nel modo sbagliato.  Inventava storie che metteva in scena per i suoi fratelli piú piccoli, utilizzando delle bambole fatte di ramoscelli. Le dava i nomi dei suoi amici.  Poi rincorreva i suoi fratelli con della linfa orticante che estraeva da cactus selvatici.

    I bambini non erano gli unici a giocare nel villaggio di Doomba. Ogni settimana gli adulti avevano un pomeriggio libero, che usavano per divertirsi. Le ragazze sfidavano i ragazzi in delle coreografiche sessioni di tiro alla fune. Poi gli adulti giocavano alla lotta. Tamsin faceva sempre il tifo per la mamma, Mamma Tamsin, che era una delle migliori lottatrici del villaggio.

    Era una donna molto forte, aveva spalle larghe e occhi cobalto. I suoi movimenti erano ampi e bilanciati, come il movimento delle gazelle allo stato brado. E la sua pelle era rattrappita come fosse una cartina geografica.

    Anche gli altri abitanti del villaggio facevano il tifo. E avevano ottime ragioni. Prima che la lotta iniziasse, tutti mettevano noci, albicocche e mele in una grande ciotola di legno. Se le donne vincevano, potevano spartirsi il premio. Ma se avessero vinto gli uomini, avrebbero preso loro il bottino.

    Tamsin aveva molti modi per giocare, ma il suo gioco preferito rimaneva nascondino. Le permetteva di scoprire ogni angolo del villaggio. Si nascondeva nei campi, nei frutteti e nelle cave di Doomba. Si arrampicava sugli alberi, strisciava tra le piante, e si accovacciava tra le rocce. Rimaneva ferma e in silenzio per minuti interi, mentre i suoi amici si sacrificavano per trovarla.  Lei riusciva ad anticipare tutte le loro mosse, e sgattaiolava via quando erano lì per prenderla.

    Papa! Papa! Urlava lei di ritorno a casa. Ho vinto di nuovo Nessuno mi prende! Verresti anche tu a giocare con noi la prossima volta? Se c'è qualcuno che può trovarmi, quello sei tu. Ti voglio bene Papa. Sei il migliore!

    Ora vieni qui, la interruppe Mamma Tamsin. Tuo padre è indaffarato. Non ha tempo per giochi da bambini.

    Chiaramente Tasmin non smise di giocare con i suoi amici. Né smise di passare del tempo conaltri adulti nei momenti di svago. Passava il tempo conle persone del luogo, ma incontrava anche forestieri come il Beduino; un uomo che aveva una fluente barba bianca, e un'altrettanto fluente veste bianca.

    Il Beduino conduceva una vita semplice. Meditava nella sua caverna, preparava il tè in una pentola annerita, e suonava il suo oud mentre le sue capre vagavano per i fatti loro. Ogni tanto faceva visita a Doomba, scambiava la lana e la carne con il grano. Ma passava il più del tempo nelle colline, dove viveva con la sua tribù, in una tenda fatta di pelo di yak.

    Tamsin non riusciva a capire come il Beduino potesse essere felice senza una casa stabile. Non che la sua casa fosse un palazzo. Non lo era. Consisteva in una ampia stanza, con zona annessa per gli animali. Delle travi di legno sostenevano il tetto di paglia. Le mura erano fatte di pietre, fango e foglie. Ma la casa di Tamsin offriva alla sua famiglia un senso di sicurezza che il Beduino, ragionava lei, doveva per forza desiderare.

    Non vuoi vivere in una vera casa? Gli chiese.

    No, rispose lui.

    Perchè no?

    Perché mi piace muovermi in giro. Mi fa sentire libero. Io vivo dove voglio. L'intero pianeta è la mia casa! Nessun governo può darmi delle regole! Nessun confine mi può rinchiudere!

    Oh, disse lei.

    Accarezzava l'erba con aria assorta, guardò in su un'aquila volare, e cambiò discorso.

    Il mio Papa non gioca mai a nascondino con me,  si  lamentò.

    Il Beduino guardò Tamsin e sorrise.

    Non te ne preoccupare, replicò lui. Sii felice!

    Senza pensieri, essere felice?

    Senza pensieri, sii felice!.

    Il Beduino sorseggiò del té, scosse il capo, e chiuse gli occhi.

    ***

    Tamsin ricaricò il narghilé con del tabacco al sapore di mela, e aggiunse alcuni carboni ardenti dal fuoco. Passò la pipa allo Sciamano, che la portò alle sue labbra. Quelle labbra erano tese. Tutte le espressioni dello Sciamano erano tese. La sua pelle era così aderente alle sue ossa, che gli faceva una perenne espressione perplessa.

    A Tamsin, comunque, pareva che avesse veramente un atteggiamento scorbutico.

    Lo Sciamano aveva passato l'intera giornata a succhiare linfa da una salma.

    Quella salma si era svegliata nel cuore della notte. Si era seduta davanti al fuoco, e si era messa a fumare una pipa. La vedova, quindi, aveva chiamato lo Sciamano terrorizzata e chiedendo aiuto.

    Lo Sciamano aveva colpito il busto del cadavere con una tibia di yak, poi si era attaccato alle labbra del cadavere, e aveva cominciato a succhiare.

    Dopo molte ore, tutto il sangue era fluito fuori dal cadavere. Sembrava una fontana demoniaca.

    Lo Sciamano, poi, aveva disegnato alcuni motivi spirituali su un pezzo di pergamena, aveva diluito il sangue nell'aceto, e lo aveva dato a bere alla vedova.

    Ed era andato via solo quando la vedova si fu calmata.

    Per questo, nella tenda di Papa Tamsin, lo Sciamano era tutt'altro che calmo.

    Il Sacerdote Gobbo era lì come al solito, brontolando e cercando rogne, protestò. "Diceva che la salma doveva essere fatta a pezzi e data in pasto alle aquile.

    Ma che ne sa? Pensa di potersi connettere con il mondo degli spiriti, solo perchè porta con sé un libro Santo. Non sa nemmeno leggere!

    Se ne avesse avuto modo, avrebbe creato un demone per perseguitare il nostro villaggio per sempre. Ascoltatemi, non c'è posto per uomini così qui a Doomba, con i loro libri santi, i loro templi e i loro profeti. Pfft! Dove arriveremo?"

    Papa Tamsin provó a confortare lo Sciamano. Condivise com lui la sua birra fatta in casa. E allo stesso modo accoglieva ogni altro nuovo ospite.

    Un Fragile Anziano disse, Auguro a questa tenda, solo segni di buon auspicio.

    Un Magro Paesano disse, Accolgo il Dio che abita in voi.

    Un Robusto Paesano disse, La pace sia con voi.

    Indossavano tutti pantaloni larghi e scarpette strette di tela.

    Erano tutti distesi accanto al fuoco. E fumavano tutti dallo stesso narghilé.

    Il Cantastorie cominciò a intonare una serie di odi. Dolci note riempirono l'aria, si udirono melodie danzanti da parete a parete.

    Questa é la culla della civiltà, cantava l'uomo, che aveva una testa molto piccola.  Siamo stati qui tanto tempo quanto il sole, e piú delle altre stelle. La nostra comunità é antica come il tempo stesso!

    La serata continuava come di consueto, quando entrò il Marito dell'Ostetrica. Le sue mani nervose tremavano, mentre si grattava la pelle piena di chiazze. I suoi piccoli occhi spuntavano sotto la sua fronte sudata. E anche le sue labbra tremavano mentre apriva bocca per parlare:

    I coloni hanno perso la loro guerra, disse in un silenzio di sussurri.

    I colonizzatori stanno suddividendo il loro impero. Stanno per dare la nostra terra ai Sacri!

    Il Magro Paesano fece cadere il narghilé.

    Il Fragile Anziano spillò la sua birra.

    Il Cantastorie guardò Papa Tamsin.

    Hanno voluto per anni la nostra terra, lui continuó.  Vogliono il nostro petrolio, i nostri minerali e il nostro oro.

    Vogliono il nostro magnesio, aggiunse lo Sciamano. Non dimenticare il magnesio. Il nostro magnesio ha poteri magici!

    Non me la bevo, Papa Tamsin protestò. I Sacri del mare sono stati nostri alleati per otto generazioni. Hanno mangiato il nostro cibo, indossato le nostre vesti, e imparato la nostra lingua. Comprano la nostra frutta e ci forniscono il fertilizzante. Il loro fertilizzante é il migliore! No, loro non ci farebbero del male.

    I commenti di Papa Tamsin si guadagnarono un brusio di approvazione.

    Il Magro Pesano riprese il narghilé e lo passò avanti.

    Il Marito dell'Ostetrica alimentò il fuoco.

    Mentre Tamsin sorrideva.

    Anche il Cantastorie annuì di approvazione.

    Ricordo quando uno dei sacerdoti arrivò qui giú per indagare sulla nostra valle, contribuì il Fragile Anziano. Disse che avrebbe detto alla sua gente: 'La sposa é bella, ma é già maritata a un altro uomo'. Aveva capito che questa terra apparteneva a noi.

    Sí, questo é vero, il Marito dell'Ostetrica spiegò. Ma i coloni hanno promesso la nostra terra ai Sacri. La loro diplomazia ha steso una dichiarazione. Creeranno una nuova nazione chiamata 'Protokia'.

    Protokia? Il Magro Abitante del villaggio lo derise. "Pfft! Non fare lo stupido. Che razza di nome é questo? Che diritto ha un diplomatico straniero di dar via la nostra terra? I Sacri rappresentano solo il cinque percento della popolazione.

    Non sarebbero mai in grado di governarci. Non hanno nessun diritto sulla nostra terra. Sono qui solo da poche centinaia di anni."

    Stanno affermando che i loro discendenti hanno vissuto qui per migliaia di anni, Spiegò il Marito dell'Ostetrica.

    Ho sentito dire che condividiamo gli stessi antenati, aggiunse il Cantastorie. Siamo tutti fratelli, ritagliati dalla stessa veste. Siamo lontani cugini!.

    Fuffole! ribatté il Fragile Anziano. Molti di loro si sono convertiti. Mio nonno ricordava il giorno in cui sono arrivati. Disse che erano un bel gruppo eterogeneo. Una vera banda di stranieri provenienti da milioni di diverse nazioni. Si fermarono qui solo perché noi li aiutammo.

    Il Fragile Anziano scosse il capo.

    Il Marito dell'Ostetrica mostrò un'espressione di disapprovazione.

    Il Cantastorie alzò gli occhi al cielo.

    Il narghilé si spense, il fuoco sibilò e i gatti randagi miagolarono.

    La tenda fu invasa da un misterioso silenzio. Solo lo Sciamano ebbe la forza di parlare.

    Vogliono il nostro magnesio, ripeté. Il nostro magnesio possiede poteri magici!.

    Tamsin non disse una singola parola quella sera. Se ne andò a letto in un silenzioso stato di paura e confusione. Aveva paura che la sua comunità dovesse dirigersi fuori Doomba, e si sentiva confusa perché tutti i Sacri che lei conosceva erano carini con lei. Vedeva i Sacri tutte le volte che andava a pescare, conosceva il Sacro Panciuto che vendeva il fertilizzante al padre.

    Era un uomo accogliente, che somigliava un po' a Papa Natale.

    Era un orfano, le aveva detto Papa Tamsin. "Lo trovammo a vagare per le colline in cerca di chissá cosa, quando aveva appena quattro anni.

    Io allora avevo cinque anni, quindi per me era un fratello piú piccolo. Lo trattavamo proprio come un fratello. Tutto quello che facevamo, lo faceva con noi. Raccoglieva i pomodori, proprio come fai tu, e giocava anche a nascondino.

    La nostra famiglia lo allevò per tre anni in tutto. Poi, quando ebbe sette anni, fu adottato dai Sacri e andò a vivere vicino al mare.

    Tuo nonno pensò che sarebbe stato meglio per lui, vivere conla sua gente. Ma siamo rimasti sempre amici da allora. É un brav'uomo."

    Tamsin chiamava il Sacro Panciuto 'Zio'. Per lei era suo zio. Le portava dei dolci per il compleanno, le scompigliava i capelli, e la meravigliava con i suoi trucchi di magia. Non importava se lui fosse un Sacro e lei una Santa, per quanto ne sapeva lei, era sempre della famiglia.

    Per questo lei non riusciva a capire perché la sua comunità avrebbe voluto prendere la sua terra. Era talmente confusa, che cominciò a sentire la nausea.

    Riuscì a dormire a malapena quella notte. E quando il sonno sopraggiunse, con lui arrivarono gli incubi.

    Vide un esercito di soldati di Dio marciare verso di lei, battendosi il petto con dei libri Sacri, e tirando proiettili infuocati dai loro occhi.

    Vide una nuvola di pipistrelli scendere giú dal cielo, gocciolava del sangue dai loro denti, e spruzzavano acido dalle loro ali coperte di spine.

    Vide squadroni di orsi che avevano degli artigli che sembravano pugnali, battaglioni di streghe con unghie lunghe e attorcigliate, e legioni di tigri impazzite con le teste che giravano su loro stesse.

    Si svegliò in una pozza di sudore freddo; scossa, cominciò a tremare.

    Rimase sotto shock mentre allattava gli yak il mattino dopo. E continuò a tremare mentre lavorava nei campi.

    Rimase in silenzio, fino a che non incrociò Papa Tamsin da solo. Si sedettero all'ombra di una quercia e mangiarono del cibo fatto in casa, mentre gli altri del villaggio raccoglievano delle carote.

    É vero che i Sacri ci manderanno via da Doomba? chiese finalmente lei. Era la prima cosa che diceva in tutto il giorno.

    Cosa? Ahahahaha!!! Rise Papa Tamsin. I Sacri ci prendono Doomba? Hahahahah!!! Questa é bella. I Sacri ci prendono Doomba? Dove finiremo, mi fai ridere!

    Spinse Tamsin per il petto.

    Ma i tuoi amici ne parlavano ieri sera, papa, protestò seria Tamsin. Ho sentito tutto quello che dicevano.

    Oh Tamsin, non fare la stupidina! Pensavi davvero che fossero seri?

    Tamsin si fermò. Non voleva sembrare ingenua.

    No, papa, rispose. Non sono stupida. Ma non riesco proprio a capire perché dicevano quelle cose. Era tutto terribilmente strano.

    Stavano parlando del gioco del serpente, spiegò Papa Tamsin. É un gioco che facciamo ogni volta che il festival dei serpenti arriva da queste parti.

    Oh, rispose Tamsin. Il suò sguardo si fece imbarazzato.

    Papa Tamsin ridacchiava, scompigliò i capelli della figlia, e distribuì delle noci sulla sua melassa di uva. Guardò lungo il campo, giú per la valle, e fino al mare. Riuscì a vedere il villaggio dei Sacri in lontananza. Poteva vedere i loro templi, le loro tende e i loro abiti.

    Conosci la storia del festival dei serpenti? Le chiese.

    Tamsin fece no con il capo.

    "Ecco, é successo molto tempo fa, quando Doomba era ancora una vallata vuota. Allora, un osceno re governava questa terra. Il re era a malapena umano. Aveva artigli al posto delle dita, squame al posto della pelle e serpenti al posto delle braccia!

    Il cuoco del re era costretto a cacciare per lui due bambini al giorno, tritargli le teste, e poi darle in pasto a quei serpenti. Gliele serviva in una zuppa fatta con il sangue, che era rosso come il succo di melograno!

    Il cuoco un giorno si scoraggiò. Si sentiva in colpa ogni volta.

    A quel punto un angelo si materializzò nei suoi sogni. Le sue ali erano fatte di zucchero filato, e la sua aureola era fatta di favi di cera d'api! Consiglió al cuoco di scambiare i bambini con dei cervelli di capra. E gli assicuró la sua protezione.

    Il cuoco continuò a prendere due bambini al giorno, per salvare le apparenze, ma li rilasciava sempre.

    'Corri su per le colline!' Gli diceva, 'Lì sarai salvo!'

    Quindi due bambini al giorno fuggivano.  Con il tempo formarono una comunità nelle colline. Si nascondevano durante il giorno, e andavano a caccia di cibo durante la notte. La loro comunità crebbe. E piú cresceva piú diventava forte. I bambini facevano lotta e box e si armarono di spade.

    Quindi, quando ci furono migliaia di bambini tra quelle colline, corserò tutti insieme giú per la città, brandendo le loro spade in aria. Invasero il palazzo e uccisero il re osceno. Tagliarono i serpenti dalle sue spalle, e li gettarono in un enorme falò!

    Nessun bambino é stato mai piú ucciso dalla morte di quel despota!"

    Alcuni vermi vennero fuori dalla terra melmosa.

    Alcuni abitanti del villaggio sradicavano delle carote.

    Alcuni uccellini cinguettavano.

    "Bene, per commerorare il giorno della vittoria, durante il festival riproduciamo la storia dei nostri antenati. I Sacri fanno la parte del re osceno, e noi recitiamo la parte dei bambini. I Sacri ci conducono sulle colline, e noi ci nascondiamo nelle cave. É un po' come una versione adulta del nascondino.

    Ognuno porta un melograno succoso. Se si viene beccati, bisogna schiacciarlo a tutta forza, ricoprirsi il cervello con la sua polpa, e cadere in terra sul melograno spappolato. É molto importante rimanere distesi lì finchè si può, tenendo il respiro, e facendo finta di essere morti.

    Poi, quando migliaia dei membri della comunità si ritrovano su per le colline l'uno con l'altro, si corre insieme giù per le colline.

    Gridiamo, ci sgoliamo, e portiamo i Sacri fuori dal nostro villaggio. Poi si festeggia!

    Mettiamo i serpenti sul fuoco, e cantiamo, e facciamo una festa enorme. É un gran divertimento!".

    Tamsin sorrise. Tutto ora tornava nella sua testa. Le conversazioni del giorno prima erano solo un pezzo di teatro elaborato, si preparava la scena per il gioco che stava per cominciare.

    E che gioco!

    Tamsin non vedeva l'ora cominciasse.

    Impazziva all'idea di giocare finalmente a nascondino con il padre. Ma aveva ancora un'altra domanda.

    Davvero un corpo ha ripreso vita ieri sera? Chiese lei. O anche quello era parte del gioco del serpente?

    No, quello non era parte del gioco, Papa Tamsin le rispose. Ma non penso sia successo comunque. Sembrava un po' inverosimile!

    Tamsin provava un travolgente senso di eccitazione durante la preparazione del gioco del serpente.

    Si sentiva in soggezione nei confronti degli adulti di Doomba, che riuscivano a dare un senso di palpabile realismo ai preparativi.

    Doveva ricordare a sé stessa che stavano solo recitando.

    Alcuni del villaggio avevano occhiaie grigie. Altri avevano uno sguardo di vuota disperazione. Una Giovane Madre si strappava ciuffi di capelli dalla testa.

    Il Sacerdote Gobbo spese tutte le sue preghiere. Girava le pagine della sua Santa bibbia, e faceva finta di leggere.

    Lo Sciamano andava di casa in casa. Cospargeva ogni muro con una mistura di sangue d'ariete e aceto.

    L'Ostetrica invece si sveglió urlando durante la notte.

    Sta succedendo! Sta succedendo! urlava lei. Posso sentire il ronzio delle loro macchine. Hanno cavalli, trombe ed armi! Stanno arrivando! Stanno arrivando! Stanno arrivando!

    Il ronzio che aveva sentito lei, peró, non veniva dai cavalli, dalle trombe o dalle armi. Non veniva proprio dai Sacri. Erano le zanzare che erano in circolazione quella notte, che succhiavano sangue dalle vene delle persone.

    Tamsin si grattava i morsi che ricoprivano le sue braccia. Avevano creato aloni che erano così rosa che la faceva somigliare a un fenicottero.

    Smettila, ordinò Papa Tamsin. O ti gratterai via tutta la pelle!

    Fece un tiro forte dal suo narghilé, soffiò fumo che sapeva di mela verso il tetto, e guardò il Marito dell'Ostetrica.

    Penso che dovremmo organizzare dei turni di guardia, disse lui.

    Dovremmo difendere il nostro villaggio. Concordò il Magro Paesano. Ma non dovremmo essere i primi a fare fuoco. Non siamo noi che vogliamo la guerra.

    Annuirono tutti, uno ad uno.

    Tutti questi discorsi di battaglie sono un po' melodrammatici, Il Fragile Anziano ribatté. La nostra priorità dovrebbe essere assicurarci di avere abbastanza cibo e provviste. Potremmo essere sotto attacco per settimane. E noi non vogliamo morire di fame.

    Annuirono tutti di nuovo.

    Abbiamo raccolto le carote oggi. Rispose lo Sciamano. Raccoglieremo domani i cavoli. E la nostra dispensa é già piena di grano.

    "Potremmo usare quei sacchi

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