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APPUNTI DI
ECONOMI A POLI TI CA




Appunti delle lezioni di
Fondamenti di Economia politica
di Emiliano Brancaccio




Facolt di Scienze economiche e aziendali
Universit del Sannio

















TERZA VERSIONE

febbraio 2012
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ATTENZI ONE: Questi appunti rappresentano sbobinamenti e
stralci dalle lezioni di Fondamenti di Economia politica del prof.
Emiliano Brancaccio, coadiuvato dal dott. Domenico Suppa.

Gli appunti potrebbero contenere alcuni errori e imprecisioni. Gli
appunti integrano ma non sostituiscono i testi di riferimento.



- I cap. 1 e 2 degli appunti rappresentano una introduzione
generale.
- I l cap. 3 dedicato alla microeconomia.
- I l cap. 4 va affiancato al testo di Blanchard





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I NDI CE



I ntroduzione

1. CENNI DI STORI A DELLECONOMIA POLI TI CA

1.1 Un approccio critico alla economia politica
1.2 Gli economisti classici
1.3 Karl Marx
1.4 Lapproccio neoclassico-marginalista
1.5 La Grande Crisi e Keynes
1.6 La Sintesi neoclassica e il nuovo mainstream
1.7 Per una critica della teoria economica mainstream

2. ELEMENTI DI TEORI A CLASSI CA E MARXI ANA

2.1 Un esempio del liberismo dei classici: il problema dei vantaggi
comparati di Ricardo
2.2 La condizione di riproducibilit del sistema economico nei classici e
in Marx

3. MI CROECONOMI A E
MACROECONOMI A NEOCLASSI CA

3.1 La teoria neoclassica della scelta razionale individuale: il caso del
consumatore
3.2 Il vincolo di bilancio del consumatore
3.3 Utilit, ordinamento delle preferenze e curve di indifferenza
3.4 La scelta del consumatore
3.5 La curva di domanda individuale
3.6 Il surplus del consumatore
3.7 La variazione della domanda individuale rispetto al reddito
3.8 Dalla curva di domanda individuale alla curva di domanda di mercato
3.9 La teoria neoclassica dell'impresa
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3.10 La massimizzazione del profitto dell'impresa
3.11 L'impresa in concorrenza perfetta
3.12 Rappresentazione grafica dell'equilibrio ottimale dell'impresa
3.13 Domanda, offerta ed equilibrio del mercato di concorrenza perfetta
3.14 L'elasticit della domanda rispetto al prezzo
3.15 Monopolio e oligopolio
3.16 Dalla microeconomia alla macroeconomia neoclassica


4. DI SPENSE I NTEGRATI VE DEL
MANUALE DI BLANCHARD

4.1 Una specificazione del modello di determinazione della produzione
4.2 Il paradosso del risparmio
4.3 Spesa pubblica, tassazione e teorema di Haavelmo
4.4 Il finanziamento del disavanzo pubblico e il Trattato di Maastricht
4.5 La politica monetaria e il Trattato di Maastricht
4.6 Politica monetaria e speculazione
4.7 Politica monetaria, libera circolazione dei capitali e controlli





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I

CENNI DI STORI A
DELLECONOMI A POLI TI CA


1.1 Un approccio critico alla economia politica

E vero che la diffusione dei contratti precari ha contribuito a ridurre la
disoccupazione? Per quale motivo negli ultimi trentanni abbiamo assistito a una
caduta della quota di reddito nazionale spettante ai lavoratori salariati? Quali sono
gli effetti della immigrazione sui salari dei lavoratori nativi? Quali sono le
possibilit per un figlio di operai di veder migliorare le proprie condizioni di
lavoro e di vita rispetto a quelle dei genitori? Perch alcuni paesi hanno visto
crescere la loro ricchezza pi rapidamente di altri? Quali sono le cause della crisi
economica mondiale esplosa nel 2008? Leconomia politica prova a rispondere a
queste e a molte altre domande. Si tratta di questioni scottanti, che riguardano il
vissuto quotidiano di tutti noi, e dalle quali in larga misura scaturiscono le
condizioni del nostro benessere.

A questo tipo di domande si risponde di solito con dei luoghi comuni. Per
esempio, un convincimento diffuso che gli Stati Uniti rappresentino il paese del
sogno americano, dove anche la persona pi umile, se sufficientemente abile e
volenterosa, pu raggiungere le pi alte vette della scala sociale. Questo ad
esempio il messaggio del celebre film La ricerca della felicit, con Will Smith e
di Gabriele Muccino.


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Ma le cose stanno davvero cos come ci dice quel film e come di solito tendiamo a
credere? A quanto pare no. Il grafico posto qui di seguito mostra i tassi di
immobilit sociale calcolati dallOCSE per alcuni paesi. La misura rappresenta
in un certo senso un indice della probabilit che pu avere un individuo di situarsi
in una posizione sociale analoga a quella della famiglia di origine. Essa cio
misura il peso della classe sociale di provenienza sui destini di ciascun individuo.
Pi alto lindice, pi probabile che un figlio, al di l dei meriti individuali, si
ritrovi in una posizione sociale simile a quella dei genitori.





Ebbene, contrariamente al messaggio del film di Muccino e ai luoghi comuni sul
sogno americano, si pu notare che gli Stati Uniti si caratterizzano per un
elevato tasso di immobilit sociale. Peggio degli USA fanno soltanto il Regno
Unito e, purtroppo, lItalia.

Attraverso luso dei dati e la loro corretta interpretazione, leconomia politica pu
dunque contribuire a sfatare dei miti, e pu aiutarci a comprendere meglio le
caratteristiche della realt sociale che ci circonda.

Limportanza delleconomia politica per tutti gli aspetti della vita sociale del
resto testimoniata dallinfluenza che le variabili economiche possono avere sui pi
svariati comportamenti umani. Basti pensare alle correlazioni esistenti tra
disoccupazione e suicidio, tra povert e criminalit, tra partecipazione delle donne
al lavoro e divorzi, tra disuguaglianza sociale e rigidit delle norme morali, e cos
via.

La rilevanza della economia politica dunque evidente. Ma quale potrebbe essere
una definizione rigorosa di questa disciplina? In termini del tutto preliminari,
possiamo affermare che leconomia politica indaga sui modi in cui una societ si
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organizza per affrontare le seguenti quattro questioni fondamentali: come
produrre, cosa produrre, quanto produrre e come distribuire ci che si prodotto.

Naturalmente tale definizione molto generica, e in questi termini risulta
compatibile con qualsiasi indagine economica. Tuttavia nel corso di queste lezioni
avremo modo di approfondire il suo significato e scopriremo che ogni scuola di
pensiero economico tende a interpretarla in modo particolare. A questo proposito
importante comprendere che esistono diversi modi di concepire leconomia. E
quindi esistono anche diversi tipi di manuali attraverso i quali leconomia viene
insegnata.

I manuali oggigiorno pi diffusi sono quelli realizzati da alcuni noti economisti
americani. Basti citare, per esempio, i testi di Paul Samuelson, Gregory Mankiw,
Olivier Blanchard, Joseph Stiglitz, tra gli altri. Si tratta di libri indubbiamente
molto apprezzati, sia per la ricchezza di contenuti che per la immediatezza del
linguaggio. Tuttavia questi testi presentano un limite: troppo spesso essi danno
agli studenti la sensazione che esista una sola rappresentazione possibile della
realt economica, vale a dire una sola teoria, un solo modello universalmente
accettato dalla comunit degli studiosi.

Ma lidea che per ogni fenomeno della realt esista un solo modello interpretativo
contraddetta dal fatto che, in tutti i campi di ricerca, ingenti risorse umane e
materiali vengono dedicate alla continua verifica dei diversi modelli esistenti, al
fine di valutare quale di essi sia maggiormente in grado di interpretare i fatti
concreti. Questo vero in fisica, in chimica, in biologia, ma lo ancora di pi
nellambito delleconomia politica, dove i contrasti tra i ricercatori sulla teoria da
preferire sono particolarmente accentuati. Lo studente deve pertanto comprendere
che il pi delle volte leconomia si presenta come un luogo concettuale di contesa
tra interpretazioni alternative della realt che ci circonda.

In questo senso, come vedremo, per tutto il corso della trattazione verranno messi
a confronto due indirizzi alternativi di ricerca. Da un lato analizzeremo le versioni
passate e presenti del cosiddetto mainstream, cio dellapproccio attualmente
dominante detto neoclassico-marginalista. Dallaltro lato studieremo il cosiddetto
approccio critico, che prende spunto dalle opere di Karl Marx, John Maynard
Keynes, Piero Sraffa ed altri per criticare limpianto concettuale dellapproccio
neoclassico dominante e per indicare una diversa interpretazione dei fatti
economici e sociali.

Del resto, che leconomia politica abbia sempre rappresentato una sorta di campo
di battaglia tra visioni contrapposte dimostrato dalla sua evoluzione storica. Nei
brevissimi cenni che seguono proveremo a dare unidea di alcune tra le pi celebri
dispute tra economisti.
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1.2 Gli economisti classici

In genere si ritiene che la nascita di una vera e propria scienza economica sia
avvenuta tra il 1760 e il 1830, ossia a cavallo di quella prima Rivoluzione
industriale che in Inghilterra e in altri paesi cre le basi per la piena affermazione
del modo di produzione capitalistico (cio di un sistema nel quale la classe dei
capitalisti detiene il controllo dei mezzi di produzione, mentre la classe dei
lavoratori si presenta sul mercato offrendo ai capitalisti la propria forza lavoro in
cambio di un salario). Durante la prima Rivoluzione industriale si assiste a un
grande processo di innovazione tecnologica, di allargamento dei mercati, di
concentrazione dei capitali, di trasformazione di larghe masse di lavoratori in
operai salariati e di aumento generalizzato della scala della produzione e della
circolazione delle merci. Tali trasformazioni economiche sono accompagnate
anche da importanti cambiamenti negli assetti sociali e politici. In questa fase si
registra infatti il relativo declino politico della classe aristocratica dei proprietari
terrieri e prende avvio lascesa sociale e politica di una nuova classe di soggetti,
quella dei capitalisti proprietari delle moderne imprese agricole e industriali. Il
successo dei capitalisti porta a una nuova concezione dello Stato: non pi
espressione degli interessi del sovrano e dellaristocrazia fondiaria, lautorit
statale viene chiamata a favorire lo sviluppo del capitale. Nuovo scopo del potere
politico dunque di salvaguardare gli interessi della nuova classe capitalista
emergente, in contrapposizione alle istanze provenienti dalla classe dei proprietari
terrieri.

E esattamente in questi scenari che avviene la pubblicazione delle fondamentali
opere di due studiosi considerati i padri fondatori della scienza economica
moderna: lo scozzese Adam Smith, autore della Ricchezza delle nazioni del 1776;
e linglese David Ricardo, autore dei Principi di economia politica e della
tassazione del 1817. Smith e Ricardo sono considerati i massimi esponenti della
cosiddetta economia classica. Gli economisti classici risultano in larga parte
sostenitori del cosiddetto liberismo, o laissez-faire. A grandi linee il liberismo
quella dottrina politica che si situa alla base dellidea che per favorire lo sviluppo
economico e la crescita del benessere di tutti si debbano liberare le forze del
mercato dai lacci dellautorit statale, cio si debba lasciar fare ai capitalisti
privati. Sia pure seguendo ragionamenti molto articolati e con diversi accenti e
sfumature, Smith e Ricardo in definitiva sostengono le tesi liberiste. Essi infatti
ritengono che ci si dovrebbe affidare prevalentemente alle forze spontanee del
mercato e della concorrenza tra le imprese private, senza inutili vincoli o
intromissioni da parte dello Stato. A questo proposito, Smith elabora il cosiddetto
teorema della mano invisibile. Secondo questo teorema gli individui agiscono
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nel libero mercato guidati dal loro egoismo personale, ma proprio seguendo i loro
interessi particolari essi inconsapevolmente contribuiscono allo sviluppo
economico complessivo, e quindi finiscono per servire linteresse di tutti. Scrive
Smith che ciascuno condotto da una mano invisibile a promuovere un fine che
non era parte delle proprie intenzioni. Le forze del mercato rappresentano cio
una mano invisibile che guida i singoli individui egoisti a compiere il bene
comune dello sviluppo economico. In questo senso egli aggiunge che non dalla
benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio che ci dobbiamo aspettare la
cena, ma dal fatto che essi perseguono il proprio interesse. Il motivo per cui
secondo Smith il teorema funziona che i capitalisti proprietari delle imprese,
in concorrenza tra loro, cercheranno di prevalere gli uni sugli altri producendo
esattamente le merci che i consumatori desiderano. Inoltre, i capitalisti
cercheranno di adottare i metodi produttivi pi efficienti al fine di ridurre al
minimo i costi, ed essere quindi pi competitivi rispetto ai diretti concorrenti. La
riduzione dei costi far s che le merci siano vendute ai prezzi pi bassi possibili,
il che garantir sviluppo e benessere diffuso. A grandi linee, sono questi i motivi
per cui secondo Smith bene lasciare che le forze del mercato e della concorrenza
siano tendenzialmente lasciate libere di operare.

Una sorta di teorema della mano invisibile verr in seguito applicato da David
Ricardo anche al caso dei rapporti internazionali. Per Ricardo occorre infatti
salvaguardare le libert di mercato non soltanto quando si considerino i singoli
capitalisti in concorrenza tra loro, ma anche quando si tratti di nazioni che
competono negli scambi commerciali. Ricardo quindi era non soltanto un liberista
ma anche un liberoscambista. Egli cio non era semplicemente un fautore del
liberismo economico tra le imprese e tra i singoli individui, ma sosteneva anche il
libero scambio tra paesi. Egli elabor in questo senso il famoso teorema dei
vantaggi comparati. Questo teorema ci dice che il libero scambio di merci tra
paesi sempre vantaggioso per tutti. In questottica, anche se un paese fosse pi
efficiente di un altro nella produzione di tutte le merci, al primo converr
comunque concentrarsi nella produzione delle merci in cui sia relativamente pi
efficiente, mentre potr lasciare la produzione delle altre merci al secondo paese.
In questo senso Ricardo sostenne che lInghilterra avrebbe dovuto specializzarsi
nella produzione e nella esportazione di manufatti industriali, mentre avrebbe
dovuto importare grano dagli altri paesi. Il consiglio che Ricardo dava
allInghilterra era quindi di abbandonare il protezionismo commerciale, cio di
rinunciare ai dazi con i quali il paese cercava di proteggere lagricoltura nazionale
dalla importazione di grano proveniente dallestero. I dazi erano sostenuti dai
proprietari fondiari inglesi, che guadagnavano dalla produzione di grano sui loro
terreni. Ma per Ricardo la classe dei proprietari terrieri rappresentava un ostacolo
allo sviluppo economico. Il paese doveva quindi abbandonare le protezioni,
specializzarsi nella manifattura e aprirsi agli scambi internazionali.

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Gli economisti classici offrivano quindi una interpretazione sostanzialmente
positiva del capitalismo e delle leggi della concorrenza che lo governavano. Essi
talvolta definivano naturale lequilibrio concorrenziale determinato dalle forze
del mercato. In tal modo sembravano voler dare lidea che il capitalismo si
sviluppasse secondo leggi naturali, ossia in un certo senso armoniche ed eterne.
I classici tuttavia non nascondevano gli elementi di conflitto insiti nella societ
capitalista. Non a caso Smith e Ricardo ritenevano che la societ fosse divisa in
classi: i proprietari terrieri, i capitalisti e i lavoratori. In varie circostanze essi
riconobbero che le classi sociali hanno interessi irriducibilmente contrapposti tra
loro. Ricardo, in particolare, costru una teoria secondo cui il profitto spettante ai
capitalisti va concepito come un residuo, come un surplus che si ottiene una
volta che da una data produzione totale siano state sottratte le merci spettanti ai
proprietari terrieri a titolo di rendite e le merci spettanti ai lavoratori sottoforma di
salari. Ma allora, se il profitto un residuo, ci significa che esso sar tanto pi
grande quanto minori siano le rendite e i salari, il che mette chiaramente in luce i
motivi di contrasto tra le classi sociali nella ripartizione della produzione.



1.3 Karl Marx

Proprio sulla concezione del profitto come residuo, e pi in generale sugli
elementi di conflitto sociale riconosciuti dagli economisti classici, far leva Karl
Marx per criticare la loro concezione positiva del capitalismo. Con la
pubblicazione del Capitale nel 1867 Marx si propone il compito di elaborare una
compiuta critica delleconomia politica dei classici. In questo senso egli sferra un
attacco poderoso al teorema della mano invisibile. Egli infatti descrive un sistema
tuttaltro che armonico ed eterno. Per Marx il capitalismo in realt afflitto da
perenne instabilit e da crisi ricorrenti. La teoria delle crisi di Marx molto
complessa e tuttora oggetto di varie interpretazioni. Qui possiamo affermare che
nella visione di Marx si intersecano due spiegazioni della crisi: da un lato la
tendenza alla caduta del saggio di profitto, dallaltro la contraddizione tra sviluppo
delle forze produttive e consumi ristretti delle masse lavoratrici.

Sulla tesi della caduta del saggio di profitto, in questa sede possiamo limitarci ad
affermare che per Marx sussisterebbero forze che tendono nel tempo a ridurre il
saggio di profitto medio del sistema economico. Marx sostiene infatti che i
capitalisti estraggono il profitto dal lavoro vivo degli operai. Al tempo stesso egli
nota che le continue innovazioni tecniche spingono i capitalisti ad accrescere
limpiego di mezzi di produzione rispetto ai lavoratori direttamente impiegati nel
processo produttivo. Ma se il rapporto tra lavoratori e mezzi di produzione si
riduce, a suo avviso si ridurr anche il profitto. Una progressiva caduta del
profitto determina tuttavia una crisi generale del modo di produzione capitalistico.
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Per Marx, infatti, il profitto rappresenta non solo la remunerazione del capitalista
ma anche il motore dellaccumulazione. Una sua precipitazione verso lo zero
render a un certo punto impossibile la riproduzione del sistema capitalistico e
aprir quindi la via ad unepoca di rivoluzione sociale.

Tra le cause che secondo Marx determinano crisi ripetute vi per anche il fatto
che la spietata concorrenza tra le imprese conduce a una continua serie di
rivoluzioni tecniche e organizzative che aumentano al massimo la produttivit di
ogni singolo lavoratore e al tempo stesso riducono il suo salario. Ci tuttavia
implica un divario crescente tra la capacit produttiva dei lavoratori e la capacit
di spesa degli stessi lavoratori. Sotto date condizioni questo divario pu
determinare un problema di sbocchi per le merci prodotte. La conseguenza che il
processo di accumulazione dei capitali si blocca e le imprese sono indotte a
licenziare i lavoratori. Ma ci allarga ulteriormente il divario tra capacit
produttiva e capacit di spesa, per cui il sistema rischia di avvitarsi su s stesso
fino al tracollo. Al riguardo Marx scrive: La causa ultima di tutte le crisi
rimane sempre la povert ed il consumo ristretto delle masse, di fronte alla
tendenza della produzione capitalistica a sviluppare le forze produttive
(Capitale, vol. III).

Marx contesta dunque lidea classica di un capitalismo naturale e quindi
eterno, sostenendo invece la tesi della sua instabilit e della sua storicit. Per
Marx, lelemento di maggior contraddizione del capitalismo che la feroce
competizione tra capitali da un lato sviluppa nuove tecniche e nuove forze
produttive, ma dallaltro scatena le crisi e quindi genera tensioni nei rapporti di
produzione tra le classi sociali. In particolare, la classe lavoratrice si ritrova ad
essere lartefice in ultima istanza dello sviluppo delle forze produttive, poich
quello sviluppo avviene soprattutto in base allo sfruttamento imposto dal comando
del capitale sul lavoro. Al tempo stesso, la classe lavoratrice risulta anche la prima
vittima della disoccupazione e degli immiserimenti causati dalle ricorrenti crisi
del capitalismo. Le contraddizioni del capitalismo ricadono dunque
principalmente sui lavoratori salariati, artefici e vittime del sistema.

In questottica Marx giudicava il capitalismo un sistema potente ma caotico,
anarchico, destinato prima o poi ad entrare in una crisi irreversibile e ad esser
quindi sostituito da un diverso sistema di organizzazione dei rapporti economici e
sociali. Lanalisi marxiana potrebbe in questo senso essere considerata una
indagine sulle condizioni di riproducibilit del modo di produzione capitalistico.

Quando si dice che in Marx fondamentale il concetto di storicit, si intende
appunto che egli sottolinea il fatto che i sistemi economici non sono affatto eterni
ma risultano storicamente determinati, nel senso che cambiano nel tempo. Ad
esempio, noto che la Rivoluzione francese ha effettivamente sancito il passaggio
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dallAntico regime feudale (basato sul potere dei proprietari terrieri) al regime di
produzione capitalista (in cui il potere nelle mani dei proprietari delle imprese).
Allo stesso modo, possibile che il capitalismo a un certo punto imploda nelle sue
contraddizioni e ceda il passo a una nuova e diversa modalit di organizzazione
dei rapporti sociali.

Marx si attendeva in tal senso una svolta rivoluzionaria guidata dalla classe
lavoratrice, a seguito della quale potesse sorgere un sistema di tipo socialista: vale
a dire un sistema non pi basato sulla propriet privata dei mezzi di produzione e
sul lavoratore salariato posto sotto il comando del capitalista, ma fondato invece
sulla propriet collettiva dei mezzi di produzione e sulla pianificazione sociale del
lavoro. In una prima fase il sistema socialista si sarebbe per forza di cose basato
sul controllo statale sui mezzi di produzione, sulla divisione del lavoro e sulle
retribuzioni. Ma pi in prospettiva, a seguito dello sviluppo delle forze produttive
e della ricchezza sociale, Marx preconizzava un futuro comunista, nel quale il
potere coercitivo dello Stato, la divisione del lavoro e lo stesso concetto di
salario sarebbero diventati superflui. Nella Critica al programma di Gotha del
1875, egli defin il comunismo in questi termini: In una fase pi avanzata della
societ comunista, dopo la scomparsa della subordinazione asservitrice degli
individui alla divisione del lavoro, e quindi anche del contrasto tra lavoro
intellettuale e fisico [] dopo che con lo sviluppo completo degli individui sono
aumentate anche le loro forze produttive e tutte le sorgenti delle ricchezze
collettive scorrono in abbondanza; soltanto allora la societ pu scrivere sulle sue
bandiere: da ciascuno secondo le sue capacit a ciascuno secondo i suoi bisogni!.

Naturalmente Marx non fu il primo comunista della Storia. Molti prima di lui
avevano sostenuto lideale superiorit di un sistema fondato sulla cooperazione
sociale anzich sulla competizione individuale, e sulla propriet collettiva anzich
privata dei mezzi di produzione. E in passato non erano nemmeno mancate
esperienze di comunismo concreto, come ad esempio quello delle comunit
cristiane primitive. Marx tuttavia differiva dai suoi predecessori per un motivo:
egli faceva poggiare la sua prospettiva comunista non su basi etico-morali, ma su
una rigorosa analisi scientifica delle contraddizioni del capitalismo e della sua
fragilit intrinseca, una analisi per molti versi ancora attuale. Ed proprio in
questa analisi scientifica del capitalismo che risiedeva la vera forza di Marx, una
forza che prescinde dal carattere talvolta utopico delle sue premonizioni sul
comunismo.

Verso la fine dellOttocento le tesi marxiane divennero il punto di riferimento del
movimento operaio, cio delle organizzazioni sindacali e politiche dei lavoratori
che in quel periodo andavano sviluppandosi e consolidandosi in molti paesi. In un
certo senso, lanalisi di Marx aveva successo poich comunicava ai lavoratori che
con le loro lotte di emancipazione essi stavano contribuendo a smuovere la Storia,
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accelerando la crisi del capitalismo e creando le condizioni per una nuova e
superiore organizzazione della societ. Chiaramente, per molti altri queste tesi
risultavano invece scomode, pericolose. Infatti, rimarcando linstabilit e la
storicit del modo di produzione capitalistico, lanalisi di Marx rappresentava una
oggettiva minaccia per i proprietari del capitale, principali detentori del potere
economico e politico.



1.4 Lapproccio neoclassico-marginalista

Per scongiurare le tesi di Marx occorreva dunque sfidarlo sul terreno dellanalisi
scientifica delleconomia. Occorreva cio proporre una chiave di lettura della
realt che fosse alternativa a quella marxiana. Ma per far questo non si poteva
tornare al pensiero dei classici. Infatti, bench Smith e Ricardo esprimessero nella
sostanza un giudizio positivo sul modo capitalistico di produzione, le loro teorie
mettevano apertamente in evidenza gli elementi di conflitto insiti nei rapporti tra
le classi sociali, e quindi somigliavano troppo allanalisi di Marx per potersi dire
del tutto estranee e alternative ad essa.

Si pose dunque il problema di elaborare una nuova teoria, che non si concentrasse
sul carattere conflittuale e instabile del modo di produzione capitalistico ma che al
contrario fornisse una convincente rappresentazione armonica del sistema
economico. Cos, a partire dal 1870, nasce e trova largo seguito una nuova
concezione teorica, detta neoclassica o marginalista. Jevons, Menger e Walras
furono tra i fondatori di questo approccio, seguiti poi da Marshall, Pigou,
Wicksell, Pareto, Robbins e molti altri.

La nuova impostazione viene definita neo-classica, ma in effetti essa porta con
s ben poco della precedente economia classica e marxiana. Marx e i classici
indagavano sui meccanismi di funzionamento del capitalismo, sulle cause della
sua capacit di sviluppo ma anche sulla sua tendenza alla crisi, sulle
contraddizioni che lo caratterizzano e sui conflitti tra le classi sociali che quelle
contraddizioni scatenano. Marx, in particolare, sottolineava la storicit del
capitalismo e puntava a una indagine scientifica sulle condizioni di riproduzione o
di crisi del modo di produzione capitalistico. Ed ancora, sia i classici che Marx
facevano partire le loro analisi direttamente dallo studio delle classi sociali.

Completamente diverso invece loggetto di indagine degli economisti
neoclassici-marginalisti. I teorici neoclassici rifiutano una analisi della societ
basata sulla divisione tra le classi. Ad essa contrappongono il cosiddetto
individualismo metodologico. Questo metodo si basa sulla idea che qualsiasi
aggregato sociale, inclusa la classe, in realt costituito da singoli individui.
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Stando quindi allapproccio neoclassico, lanalisi scientifica della societ deve
sempre partire dallanalisi del comportamento del singolo.

Inoltre, i neoclassici rifiutano lidea di doversi occupare di uno specifico modo di
produzione, e in particolare del capitalismo. Essi si propongono di elaborare una
teoria molto pi astratta e generale, che valga per ogni sistema di organizzazione
dei rapporti sociali e per ogni periodo storico, e che valga anche per ogni
individuo (indipendentemente dalla ricchezza che possiede o dalla funzione
economica che svolge). In questo senso i neoclassici ritengono che il problema
economico fondamentale di ogni individuo e di ogni societ sia quello di
impiegare al meglio i mezzi scarsi di cui dispone al fine di accrescere pi che pu
il proprio benessere. Questo problema secondo i neoclassici cos importante che
definisce in quanto tale loggetto stesso della scienza economica.

Infatti, nel Saggio sulla natura e sul significato della scienza economica del 1932,
lo studioso neoclassico Lionel Robbins defin leconomia come quella scienza
che studia il comportamento umano come una relazione fra scopi classificabili in
ordine dimportanza e mezzi scarsi applicabili ad usi alternativi. Pochi anni dopo
un altro economista neoclassico forn una descrizione ancor pi sintetica della
disciplina: nel suo celebre Fondamenti di analisi economica del 1947, Paul
Samuelson defin il nucleo di ogni problema economico come una funzione
matematica da massimizzare sotto vincoli, dove i vincoli rappresentano le risorse
scarse disponibili e la funzione da massimizzare in genere rappresenta il benessere
individuale. Come vedremo, secondo i neoclassici tale benessere pu esser
misurato attraverso lutilit, un concetto che essi adoperano molto spesso nelle
loro analisi.

Per comprendere meglio il significato di queste definizioni, consideriamo il
seguente esempio. Per i neoclassici una tipica risorsa scarsa il tempo, ossia le
ore del giorno. Supponiamo allora che un individuo debba decidere come
impiegare le sue ore. Tra i possibili usi alternativi egli potr scegliere di lavorare e
ottenere cos un reddito che gli dar modo di consumare merci, oppure potr
scegliere di riposare e dedicarsi al tempo libero. Ora, sia il riposo che il consumo
di merci accrescono lutilit dellindividuo, cio aumentano il suo benessere.
Come si fa a decidere quante ore dedicare al riposo e quante ore dedicare al lavoro
necessario per ottenere un reddito e consumare? Quale sar cio la quantit
ottimale di ore da dedicare al lavoro, e quale la quantit ottimale di ore da
dedicare al riposo, al fine di massimizzare lutilit dellindividuo? La risposta dei
neoclassici verte sul cosiddetto calcolo marginale, cio su un calcolo effettuato
su incrementi piccoli, appunto marginali, delle variabili considerate.

Questo calcolo si basa sul principio che al crescere del consumo di un qualsiasi
bene, lutilit dellindividuo tende ad aumentare ma con incrementi sempre pi
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piccoli. Il motivo che mentre le dosi iniziali del bene sono particolarmente
gradite allindividuo, le dosi successive lo condurranno verso la saziet e quindi
risulteranno meno utili. Tale principio detto legge della utilit marginale
decrescente, ed alla base di molte analisi neoclassiche.

Dunque, nel caso dellindividuo considerato, si tratter di distribuire le ore del
giorno tra lavoro (e conseguente consumo di merci) e tempo libero. La scelta
avverr sapendo che allinizio il consumo di merci assolutamente necessario, e
quindi conferisce una utilit molto alta; ma al crescere delle ore di lavoro e del
consumo, e al conseguente ridursi delle ore di tempo libero, lindividuo tender ad
essere sempre pi sazio di merci ma anche sempre pi stanco, per cui lutilit
marginale del consumo tender a ridursi rispetto allutilit marginale del tempo
libero. Pertanto, se vuole massimizzare la sua utilit, lindividuo dovr seguire
questa regola: aumentare il tempo di lavoro fino a quando lutilit marginale del
consumo maggiore della utilit marginale del tempo libero, cio fino a quando
laumento di utilit derivante dal consumo di merci reso possibile dal reddito
ottenuto tramite un incremento marginale di tempo di lavoro sia maggiore o al
limite uguale alla perdita di utilit causata dalla rinuncia al tempo libero che
consegue a quello stesso incremento marginale di tempo di lavoro. Nel momento
in cui la utilit marginale del consumo eguaglia lutilit marginale del tempo
libero, lindividuo star lavorando proprio il numero ottimale di ore. Infatti, se
lindividuo aumentasse ulteriormente il tempo di lavoro, la perdita di utilit
dovuta alla rinuncia al riposo eccederebbe laumento di utilit derivante dal
consumo di merci, e quindi egli incorrerebbe in una riduzione netta del suo
benessere. Questo tipo di calcolo, effettuato per lappunto su variazioni
marginali ossia molto piccole - delle grandezze considerate, alla base della
teoria neoclassica, che proprio per questo motivo viene anche detta teoria
marginalista.

E bene precisare che questo tipo di calcolo pu indifferentemente applicarsi non
solo ai lavoratori ma anche ai capitalisti, o a qualsiasi altro soggetto. Ad esempio,
il possessore di ingenti ricchezze deve decidere se consumare subito tali ricchezze
oppure prestarle ad altri, guadagnando cos un tasso dinteresse e potendo quindi
consumare maggiori quantit di ricchezza in futuro. Anche in tal caso, dicono i
neoclassici, si applica il calcolo marginale: il soggetto distribuir infatti le sue
ricchezze tra consumo immediato e consumo futuro in base al confronto tra le
utilit marginali della prima e della seconda opzione.

Dunque, per i neoclassici, lanalisi basata sulla esistenza delle classi sociali
inutile e per certi versi fuorviante, visto che il comportamento di ogni individuo,
indipendentemente dalla classe di appartenenza, pu essere esaminato come un
problema di massimizzazione della utilit sotto il vincolo delle risorse scarse di
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cui egli dispone, e pi specificamente come un problema risolvibile con il calcolo
marginale.

Inoltre, gli economisti neoclassici ritengono che il principio di massimizzazione
della utilit sotto il vincolo delle risorse scarse possa essere applicato a qualsiasi
epoca storica e a qualsiasi societ, semplice o complessa che sia. Loggetto di
indagine potr essere una economia elementare, magari basata su un unico
individuo, come ad esempio quella del naufrago Robinson Crusoe raccontata nel
famoso romanzo di Defoe. Oppure potr trattarsi di una economia capitalistica
altamente sviluppata, costituita da tanti operatori e da una complessa rete di
scambi. In ogni caso entrambe le economie affronteranno problemi analoghi,
basati sul principio di massimo vincolato e risolvibili tramite il calcolo marginale.
Discutere quindi di uno specifico modo di produzione storicamente determinato,
come facevano i classici e soprattutto Marx, da ritenersi errato.

Ma al di l del nuovo metodo di analisi adottato, quali furono le conclusioni
politiche alle quali i neoclassici giunsero attraverso di esso? Indubbiamente, nella
maggioranza dei casi, la nuova teoria perveniva a risultati pi rassicuranti per i
proprietari del capitale rispetto a quelli esposti dai classici e da Marx. Dallanalisi
neoclassica pu infatti scaturire lidea che in condizioni di perfetta concorrenza
una economia capitalistica di mercato sia in grado di garantire il pieno utilizzo
delle risorse scarse disponibili ed anche una remunerazione delle risorse conforme
al contributo di queste alla produzione. In particolare, riguardo alle fondamentali
questioni della disoccupazione e dei salari, i neoclassici applicavano ancora una
volta il calcolo marginalista. In primo luogo, essi ritenevano che per ogni data
quantit di mezzi di produzione disponibili, i lavoratori via via assunti dalle
imprese avrebbero fatto registrare una produttivit sempre minore: la legge
della produttivit marginale decrescente di un fattore produttivo, quando gli altri
fattori siano considerati fissi. In base a questa legge, i neoclassici sostenevano che
le imprese avrebbero assunto nuovi lavoratori solo se la loro produttivit
marginale fosse stata maggiore o al limite uguale al costo marginale
dellassunzione, che corrisponde al salario reale (ossia al salario espresso in
termini di potere dacquisto effettivo). Pertanto, se i lavoratori avessero accettato
un salario conforme alla loro produttivit, sarebbero stati certamente assunti dalle
imprese. Vista quindi in questottica, la disoccupazione pu dipendere solo dalla
libera scelta del lavoratore, che magari si dichiara indisponibile ad accettare un
salario equivalente alla sua produttivit; oppure la disoccupazione pu dipendere
dallazione dei sindacati dei lavoratori, che impediscono di ridurre i salari al
livello della produttivit marginale, e quindi rendono impossibile lassunzione di
ulteriori lavoratori da parte delle imprese. Se dunque si eliminano le distorsioni
causate dai sindacati e si lascia fare alle forze del mercato, si giunger alla piena
occupazione dei lavoratori disposti ad accettare un salario equivalente alla loro
produttivit. In definitiva, il libero gioco delle forze del mercato conduce a un
17

equilibrio complessivo efficiente e in un certo senso giusto: un equilibrio che
alcuni teorici neoclassici definiscono naturale.

La teoria neoclassica permetteva in tal modo di elaborare una sorta di nuovo
teorema della mano invisibile. Da essa si pu infatti derivare lidea che
leconomia capitalistica non sia n instabile n conflittuale. In assenza di
distorsioni causate dalla politica o dallazione sindacale, le forze spontanee del
mercato condurranno il sistema economico verso un equilibrio naturale, in cui
tutti coloro i quali siano disposti a lavorare al salario vigente troveranno
certamente unoccupazione.

La nuova teoria pertanto riafferma i principi cardine del liberismo in termini pi
netti rispetto a quanto sostenuto dai classici. Essa infatti si fonda su una
concezione non pi conflittuale ma armonica dei rapporti sociali. Ricordiamo che
anche Ricardo era liberista. Egli tuttavia interpretava la realt in base allidea che
per ogni data produzione il profitto fosse calcolato come un residuo al netto dei
salari. Stando a questa chiave di lettura il salario e il profitto sono legati tra loro
da un rapporto antagonistico, poich se uno aumenta laltro diminuisce. Pertanto,
nella vecchia ottica classica, tra percettori di profitto e percettori di salari vi
sempre un irriducibile conflitto nella ripartizione della produzione. Invece,
nellambito della visione neoclassica si stabilisce che il lavoro e tutti gli altri
fattori produttivi sono remunerati in base alle rispettive produttivit marginali,
cio al contributo dato da ciascuno di essi alla crescita della produzione. Il
conflitto svanisce, soppiantato da una interpretazione armonica ed efficientista
della distribuzione del prodotto tra lavoratori e capitalisti.





1.5 La Grande Crisi e Keynes

Tra il 1870 e il 1914 la teoria neoclassica si impose come il nuovo mainstream, la
nuova visione dominante della scienza economica. Lapproccio neoclassico si
diffuse nei circoli accademici e della finanza, e le analisi di politica economica
che scaturivano da esso trovarono ampio spazio presso la grande stampa. Il
successo della teoria era in buona misura dovuto alla capacit di presentare il
problema economico in termini asettici, come un generico problema di uso
efficiente di risorse scarse. Questa prerogativa dellapproccio neoclassico
permetteva a molti studiosi di avvicinarsi alleconomia come se si trattasse di una
scienza neutra, priva di implicazioni politiche. Inoltre, le versioni pi in voga
della teoria neoclassica sembravano in grado di descrivere leconomia
capitalistica di mercato come un sistema armonico, efficiente e stabile, il che le
18

rendeva estremamente utili nella battaglia ideologica contro il movimento operaio
e contro i sostenitori del socialismo.

Gli eventi successivi al 1914, tuttavia, misero fortemente in questione lidea
neoclassica di un sistema capitalistico efficiente ed armonico. Allo scoppio della
Prima guerra mondiale, molti sostennero che il conflitto bellico tra nazioni non
fosse altro che una versione estrema del conflitto tra capitali. Si diceva in questo
senso che il capitalismo tende al cosiddetto imperialismo. Secondo questa
interpretazione, il modo di produzione capitalistico tende a scatenare una tale
competizione sociale da condurre poi inesorabilmente alla guerra militare.

Inoltre, nel 1917 si verifica un evento che sembra per certi versi dare ragione ad
alcune premonizioni di Marx: in una Russia devastata dalla guerra e dalla miseria
si verifica infatti una nuova Rivoluzione. Il partito che la guida si dichiara
espressamente marxista, e punter a riorganizzare i rapporti economici su basi
socialiste.

Ed ancora, la visione armonica del capitalismo suggerita dallapproccio
neoclassico subisce un altro duro colpo a seguito della Grande Crisi. Nel 1929,
dopo una lunga fase di euforia nei mercati azionari, il crollo della borsa di Wall
Street diede avvio a una gravissima crisi economica, che in pochi anni cre 12
milioni di disoccupati negli Stati Uniti, 6 milioni in Germania, 3 milioni in Gran
Bretagna e molti altri nel resto del mondo. Inoltre, secondo alcuni osservatori, fu
proprio la Grande Crisi a creare le condizioni sociali e politiche per lavvento del
nazismo e per la Seconda guerra mondiale.

In un simile scenario di sconvolgimenti sociali e politici si fa strada il
convincimento che la teoria neoclassica non sia in grado di dare unadeguata
rappresentazione del funzionamento reale del capitalismo. Del resto, le chiavi di
lettura della crisi suggerite dagli economisti neoclassici apparivano sempre pi
lontane dalla realt. Ad esempio, nella Teoria della disoccupazione del 1933,
leconomista neoclassico Arthur C. Pigou sostenne che la crisi era dovuta al fatto
che i sindacati si opponevano al calo delle retribuzioni. In questo modo, secondo
Pigou, i sindacati impedivano il riequilibrio tra salari e produttivit marginale del
lavoro che sarebbe stato necessario per indurre le imprese ad assumere i lavoratori
disoccupati. Questa tesi tuttavia risultava smentita dal fatto che in realt i salari
erano fortemente diminuiti a seguito della crisi, e che ci nonostante non si era
registrato alcun miglioramento sul versante delloccupazione.

I tempi erano dunque maturi per una nuova rivoluzione delle idee in campo
economico. Tra i portatori della medesima vi fu leconomista inglese John
Maynard Keynes, autore della Teoria generale delloccupazione, dellinteresse e
della moneta del 1936. Nella sua critica ai neoclassici Keynes sceglie una
19

posizione intermedia, nel senso che accetta una parte della loro teoria ma rifiuta
unaltra parte. In particolare, Keynes condivide la tesi neoclassica secondo la
quale in equilibrio il salario reale coincide con la produttivit marginale del
lavoro. Egli accetta pure la tesi secondo cui, dati gli altri fattori di produzione, la
produttivit marginale del lavoro decresce al crescere del numero dei lavoratori
occupati. Tuttavia, Keynes aggiunge pure che i neoclassici trascurano un punto
fondamentale, e cio che il numero degli occupati dipende dalla domanda effettiva
di merci. Le imprese cio assumeranno solo i lavoratori necessari a produrre la
quantit di merci effettivamente domandata dal mercato, cio la quantit che
possa essere effettivamente venduta. Questo il principio della domanda
effettiva, ed alla base della teoria di Keynes. Se dunque la domanda effettiva di
merci bassa, le imprese assumeranno pochi lavoratori e vi sar quindi una
elevata disoccupazione.

La domanda effettiva a sua volta dipende dalle aspettative sul futuro. Se tra gli
operatori economici si diffonde una ondata di pessimismo, gli acquisti di beni di
investimento (macchinari, impianti, attrezzature, ecc.) verranno ridotti, il che
provocher una serie di licenziamenti, quindi un calo dei consumi dei lavoratori,
quindi ulteriori licenziamenti, e cos via in una spirale negativa che pu condurre
a una crisi generale. Nella teoria keynesiana questo meccanismo cumulativo va
sotto il nome di moltiplicatore.

Keynes riteneva che i neoclassici trascurassero tutti questi problemi, e per questo
non fossero in grado di fornire una adeguata rappresentazione del sistema
economico.

Dal principio della domanda effettiva e dalla teoria del moltiplicatore Keynes
faceva anche scaturire una critica al liberismo prevalente tra i neoclassici. Egli
infatti riteneva che le forze del mercato, lasciate a s stesse, non sarebbero mai
state capaci di generare una domanda effettiva tale da eliminare la
disoccupazione. In questo senso Keynes critic lidea di Pigou, secondo il quale la
grande crisi dipendeva dal fatto che i sindacati dei lavoratori si opponevano alla
riduzione dei salari e quindi impedivano il libero funzionamento del mercato. Al
contrario,

Keynes sosteneva che la riduzione dei salari non avrebbe risolto la crisi. Anzi,
avrebbe potuto aggravarla. La riduzione dei salari avrebbe infatti dato avvio a un
lungo periodo di calo dei prezzi delle merci, che avrebbe indotto molti operatori a
rinviare gli acquisti in attesa di ulteriori cadute dei prezzi. Il che avrebbe solo
accentuato la crisi. Pertanto, non si poteva imputare la depressione economica ai
sindacati.

20

Per Keynes il vero problema che il capitalismo risulta afflitto da una domanda
effettiva molto instabile, condizionata dai cambiamenti nelle aspettative sul
futuro, e in genere mai sufficiente per garantire la piena occupazione dei
lavoratori. Keynes proponeva dunque labbandono del laissez-faire. A suo avviso
soltanto un massiccio intervento statale nelleconomia avrebbe potuto garantire
livelli alti e stabili della domanda effettiva, tali da scongiurare le crisi ricorrenti
del capitalismo e in grado di condurre sempre alla piena occupazione del lavoro.
In questo senso Keynes parlava di socializzazione di una certa ampiezza
dellinvestimento, ossia di un ampio intervento dello Stato per il finanziamento
degli investimenti in opere pubbliche, servizi sociali, beni di interesse collettivo.




1.6 La Sintesi neoclassica e il nuovo mainstream

Dalla Seconda guerra mondiale il liberismo usc perdente. Dopo la guerra era
infatti diffusa un po ovunque lopinione che le forze spontanee del capitalismo,
lasciate a s stesse, fossero causa di instabilit, crisi e conflitti. Questa idea era
ovviamente supportata dallesperienza recente. Essa inoltre veniva sostenuta dai
sindacati dei lavoratori, che in molti paesi uscirono dalla guerra legittimati e
rafforzati, anche per le battaglie antifasciste che avevano condotto. Infine, non si
poteva trascurare il fatto che tra i vincitori della guerra vi fosse anche lUnione
Sovietica, lo stato socialista nato dalla rivoluzione russa del 1917. Questa
presenza costituiva una sfida ulteriore per i fautori del capitalismo.

Al termine della guerra le tesi di Keynes trovarono dunque un ambiente propizio
per svilupparsi, sia in ambito accademico che politico. Le politiche economiche
del dopoguerra furono in varie circostanze ispirate dalla critica della ideologia
liberista degli anni precedenti. In particolare, era diffuso il convincimento che
lintervento statale nelleconomia fosse in una certa misura necessario per
rimediare alla instabilit e alla debolezza della domanda tipiche del capitalismo.

In questa fase venne a costituirsi una nuova scuola, detta sintesi neoclassica. Tra
i suoi esponenti spiccavano i nomi di John Hicks, Franco Modigliani e Don
Patinkin. Questi economisti proposero una sintesi, per lappunto, tra le idee di
Keynes e la teoria neoclassica.

Dopo vari passaggi teorici, da questa sintesi emerse negli anni Cinquanta un
nuovo modello, portatore della seguente soluzione di compromesso: 1) il principio
keynesiano della domanda effettiva e il moltiplicatore determinano i livelli della
produzione e della occupazione nel breve periodo; 2) lequilibrio naturale del
mercato del lavoro e la funzione di produzione determinano i livelli della
21

occupazione e della produzione nel lungo periodo. Lidea di fondo che le
oscillazioni della domanda possono in effetti provocare cambiamenti continui
nella produzione e nella occupazione ma ci pu avvenire solo nel breve periodo.
Nel lungo periodo le forze del mercato dovrebbero comunque condurre
leconomia al suo equilibrio naturale di piena occupazione. Gli interventi di
politica economica dello Stato possono per essere daiuto per accelerare la
convergenza del sistema economico verso il suo equilibrio naturale.

La cosiddetta Sintesi neoclassica era dunque compiuta. Il problema keynesiano
della domanda effettiva non veniva negato, come facevano i vecchi neoclassici,
ma veniva ridotto a una questione di breve periodo. Il primato neoclassico
dellequilibrio naturale di piena occupazione veniva comunque ristabilito nel
lungo periodo. La politica economica non era indispensabile, ma poteva aiutare a
raggiungere pi rapidamente lequilibrio naturale.

Il manuale di Macroeconomia di Olivier Blanchard rappresenta la versione
didattica pi recente e avanzata della cosiddetta Sintesi neoclassica. La novit
essenziale apportata da Blanchard che a differenza dei vecchi neoclassici lui non
si riferisce pi alla concorrenza perfetta. Per Blanchard gli agenti economici non
sono piccoli e senza potere. Egli infatti ammette che le imprese possano avere un
potere di monopolio, e che i lavoratori si riuniscano in sindacati. Queste
innovazioni rendono senza dubbio la sua analisi pi adatta alla realt dei nostri
giorni. Nella sostanza per i risultati delle sue analisi sono quelle tipiche della
Sintesi. Il rischio di una carenza di domanda effettiva pu sussistere ma solo nel
breve periodo. Nel lungo periodo leconomia dovrebbe tornare spontaneamente
allequilibrio naturale di piena occupazione. La politica economica non
indispensabile ma pu forse aiutare a raggiungere pi velocemente
quellequilibrio.

La Sintesi neoclassica, nella versione di Blanchard, rappresenta oggi il nuovo
mainstream, la nuova teoria economica dominante.

Tuttavia, come vedremo, c chi ritiene che essa sia viziata da una serie di
contraddizioni logiche e che abbia travisato e ridimensionato il pensiero originario
di Keynes.



1.7 Per una critica della teoria economica mainstream

Nello stesso periodo in cui andava sviluppandosi il nuovo mainstream della
Sintesi neoclassica, sorgevano parallelamente dei nuovi filoni di critica della
teoria economica dominante.
22


Lespressione teoria critica riecheggia la critica delleconomia politica di
marxiana memoria. Diversi odierni esponenti degli approcci di teoria critica si
propongono infatti di recuperare e di aggiornare lopera di Marx. Alcuni di essi
puntano inoltre a recuperare i concetti fondamentali della teoria di Keynes,
liberandola dai suoi residui neoclassici. Lo scopo della moderna critica della
teoria economica quello di attingere dai contributi di Marx, di Keynes e di altri
pensatori eterodossi per costruire una visione teorica antagonista a quella
neoclassica. Il proposito dei critici, dunque, non quello della sintesi, ma
quello della alternativa.

Nel corso del Novecento la critica della teoria dominante ha tratto nuova linfa dal
contributo delleconomista italiano Piero Sraffa. Nel suo celebre Produzione di
merci a mezzo di merci del 1960, Sraffa sferr un nuovo attacco alla teoria
neoclassica, ancor pi radicale di quello di Keynes. Sraffa considera infatti la
teoria neoclassica incoerente sul piano logico. La critica sraffiana complessa, e
non pu esser trattata in un corso base di economia. Tuttavia a grandi linee si pu
affermare che essa rientra in una serie di critiche che sono state da pi parti rivolte
al concetto neoclassico di capitale. Proviamo a fornire qualche spunto derivante
da tali critiche. Il capitale costituito dai mezzi di produzione disponibili in una
data epoca. Se si vuole calcolare il capitale nel suo complesso allora occorre
prendere in considerazione laggregato dei mezzi di produzione. Questi mezzi
per sono eterogenei tra loro e quindi per aggregarli necessario moltiplicare la
quantit di ogni mezzo di produzione per il rispettivo prezzo, e poi sommare tutti i
valori tra loro. In tal modo si ottiene una misura del capitale in valore. Questa
dotazione del capitale pu quindi essere impiegata nella teoria neoclassica per
determinare salari e interessi. Ad esempio, dato il capitale, possibile ottenere la
domanda di lavoro, che pu essere quindi intersecata con lofferta di lavoro per
ottenere il salario reale. Inoltre, noto il capitale, possibile ricavare
linvestimento, che assieme al risparmio contribuisce a determinare il tasso
dinteresse, e cos via. La teoria microeconomica e macroeconomica neoclassica,
come vedremo, procede nella sostanza in base a questa sequenza. Il problema
che questa sequenza viziata sul piano logico. In essa, infatti, il salario, il tasso
dinteresse, ecc. sono determinati una volta che sia dato il capitale. Ma noi
abbiamo detto che per conoscere il capitale occorre conoscere i prezzi dei singoli
mezzi di produzione che lo compongono. Ma per conoscere i prezzi bisognerebbe
che i salari e i tassi dinteresse fossero gi noti. E chiaro allora che la teoria
neoclassica presenta un vizio di circolarit.

Le critiche di Sraffa e di altri alla concezione del capitale investono tutte le
versioni della teoria neoclassica, inclusa quella della Sintesi. Tali critiche sono
state quindi adoperate per contestare anche il nuovo mainstream.

23

Ma le obiezioni alla Sintesi neoclassica non finiscono qui. Tra i suoi critici vi
furono pure alcuni allievi e amici di Keynes, tra cui Richard Kahn, Joan Robinson
ed altri. Questi giudicarono la Sintesi come una sorta di tradimento delle idee
originarie del maestro, e quindi la rifiutarono. Essi proposero una diversa
interpretazione di Keynes, che manteneva il principio della domanda effettiva e il
moltiplicatore, ma che rifiutava il concetto di equilibrio naturale e ogni altro
collegamento con la teoria neoclassica

Da queste e da altre critiche, alla Sintesi e pi in generale a tutte le moderne
versioni della teoria neoclassica, si sta cercando di edificare una teoria economica
alternativa. La grave crisi iniziata nel 2008 ha dato nuovi impulsi in questa
direzione, segnalando la necessit di elaborare una interpretazione del capitalismo
che tenga conto della sua instabilit e delle sue contraddizioni, e che riprenda
quindi i fondamentali insegnamenti di Marx e di Keynes.



24


I I

ELEMENTI DI TEORI A
CLASSI CA E MARXI ANA



2.1 Un esempio del liberismo dei classici: il teorema dei vantaggi comparati
di Ricardo

Supponiamo che il costo di produzione di ogni merce corrisponda alle ore di
lavoro necessarie a produrre una unit di quella merce.




L'Inghilterra gode di un vantaggio assoluto nella produzione di entrambe le merci
e di un vantaggio comparato nella produzione di tessuto.

Stando ai soli vantaggi assoluti sembrerebbe che l'Inghilterra non abbia interesse
ad aprirsi agli scambi internazionali.

Ricardo invece dimostra che sotto date condizioni all'Inghilterra conviene
specializzarsi nella produzione di tessuto e importare grano dalla Spagna.

Suppa base della tabella, definiamo le ragioni di scambio tra le merci all'interno di
ciascun paese nel caso in cui viga autarchia (cio chiusura agli scambi
internazionali).

grano tessuto
Spagna 3 12
Inghilterra 2 4
ore di lavoro
necessarie a
produrre 1 unit di
merce nei due
paesi
25


In Spagna 1T =4G
in Inghilterra 1T =2G

Ricardo afferma che condizione sufficiente affinch lo scambio convenga a
entrambi i paesi che la ragione di scambio internazionale (cio quella che si
impone al momento della apertura dei due paesi agli scambi) sia compresa tra le
due ragioni di scambio in autarchia.

Dimostriamo:

Supponiamo che la ragione di scambio internazionale sia:

1T =3G

In tal caso, per ogni esportazione di 1T da parte dell'Inghilterra a fronte di una
esportazione di 3G da parte della Spagna avremo:


La tabella indica il costo delle merci in base alle tecniche prevalenti all'interno di
ogni nazione.

Si vede che se i due paesi si specializzano e si aprono agli scambi, otterranno
entrambi un guadagno in termini di lavoro risparmiato.

Ricardo inoltre dimostra che il guadagno derivante dall'apertura internazionale
tanto minore quanto pi la ragione di scambio internazionale si avvicina a quella
di autarchia.

Esercizio: se la ragione di scambio che si impone a livello internazionale uguale
a quella dell'Inghilterra in autarchia (cio 1T =2G) allora tutto il vantaggio
dell'apertura agli scambi andr ala Spagna l'Inghilterra non avr nulla da
guadagnarci. Dimostriamo

Grano Tessuto
Spagna
Inghilterra
ESPORTA 3G
corrispondete a 9
ore di lavoro
IMPORTA 1T
corrispondente a
12 ore di lavoro
12-9 =3ore di
lavoro
guadagnate
IMPORTA 3G
corrispondente a
6 ore di lavoro
ESPORTA 1T
corrispondente a
4 ore di lavoro
6-4 =2ore di
lavoro
guadagnate
26

Se la ragione di scambio internazionale 1T = 2G (uguale a quella
dell'Inghilterra in autarchia) allora ...


In tal caso guadagna solo la Spagna, l'Inghilterra non ottiene alcun beneficio
dall'apertura.

L'esercizio chiarisce pure perch la condizione sufficiente per lo scambio che la
ragione internazionale sia compresa tra quelle interne. Il motivo semplice: se
non lo fosse uno dei due paesi non avrebbe alcun interesse ad aprirsi allo scambio
internazionale.

Ricardo dunque dimostra la sua tesi liberista e liberoscambista: in generale ai
paesi conviene aprirsi agli scambi internazionali e specializzarsi nella produzione
in cui godono di un vantaggio comparato.

Resta tuttavia aperto un problema:

Il teorema dei vantaggi comparati dimostra che l'apertura internazionale conviene
poich implica un guadagno in termini di lavoro risparmiato.

Ora, in generale questo risparmio di lavoro un indice di maggiore efficienza,
senza dubbio.

Tuttavia, quanto realmente importante il risparmio di lavoro quando c'
disoccupazione?

Quando un paese afflitto dalla crisi e dalla disoccupazione il problema
principale diventa impiegare e non certo risparmiare lavoro.

chiaro allora che il teorema dei vantaggi comparati ha senso solo se si assume
che non vi siano problemi di disoccupazione.

Grano Tessuto
Spagna
Inghilterra
ESPORTA
2G
corrispondet
e a 6 ore di
lavoro
IMPORTA
1T
corrisponden
te a 12 ore di
lavoro
12-6 =6ore
di lavoro
guadagnate
IMPORTA
2G
corrisponden
te a 4 ore di
lavoro
ESPORTA
1T
corrisponden
te a 4 ore di
lavoro
4-4 =0ore di
lavoro
guadagnate
27

Se questi problemi vi sono allora non detto che la soluzione del liberoscambio e
dell'apertura internazionale sia quella preferibile.



2.2 La condizione di riproducibilit del sistema economico nei classici e in
Marx

Sappiamo che i classici e soprattutto Marx si sono interrogati sulle condizioni di
riproducibilit (detta anche vitalit) del sistema economico, cio sulle
condizioni della sua esistenza.

Attraverso una serie di esempi vediamo in che modo essi esaminavano questo
problema.

Consideriamo per semplicit una economia che produce come output grano (G) e
ferro (F) utilizzando come input il grano e il ferro medesimi.

bene precisare che tra gli input di grano e di ferro necessari alla produzione
rientrano anche le quantit necessarie al sostentamento dei lavoratori impegnati
nel processo produttivo. Ci significa, per esempio, che l'input di grano
comprende sia il grano impiegato nella semina dei terreni sia il grano consumato
dai lavoratori impiegati.

Riguardo al ferro, possiamo suggerire che si tratti del ferro contenuto negli
attrezzi necessari alla produzione (vanghe, picconi, trattori, ecc.)

Consideriamo una economia in cui le tecniche di produzione stabiliscono la
seguente relazione tra input e output:


280 G 12 F 400 G
120 G 8 F 20 F

Date le tecniche disponibili, il settore del grano in grado di produrre un output di
400 unit di grano impiegando come input 280 unit di grano e 12 unit di ferro.
Il settore del ferro produce un output di 20 unit di ferro usando come input 120
unit di grano e 8 unit di ferro.

facile verificare che questa una economia di pura sussistenza. Infatti se
sommiamo le colonne otteniamo il totale del grano usato come input
(280+120=400) e il totale del ferro usato come input (12+8=20) all'interno dei
entrambi i settori. Si vede chiaramente che gli output di grano (400) e ferro (20)
28

riescono appena a coprire gli input necessari a ripetere la produzione di periodo
in periodo.

Dunque l'economia di sussistenza appena in grado di riprodursi. Essa cio non
in grado di generare un surplus (cio una eccedenza, un residuo) al di l
dello stretto necessario per la riproduzione.

Domanda: pu mai esistere una economia di mera sussistenza in un regime
capitalistico? Ovviamente no. Una economia capitalistica pu riprodursi solo se
oltre alla stretta sussistenza genera un surplus, un eccedenza, un residuo che serva
a remunerare il profitto dei capitalisti. Se l'economia non in grado di generare un
surplus che remuneri il profitto, il meccanismo capitalistico si inceppa.

Come si pu generare un surplus? In vari modi: apportando innovazioni tecniche
che aumentano l'output a parit di input; oppure aumentando lo sforzo produttivo
dei lavoratori, il che pure aumenta l'output a parit di input; oppure ancora
riducendo l'input attraverso una riduzione dei salari, ecc.

Per esempio:

280 G 12 F 500 G
120 G 8 F 30 F
____ ____
400 G 20 F

(L'aumento dell'output a parit di input pu esser dovuto a innovazioni
tecnologiche o all'aumento degli sforzi produttivi richiesti ai lavoratori)

Si vede chiaramente che questa una economia che genera un surplus. Infatti
l'input totale di grano 400 ma l'output ora 500; l'input totale di ferro 20 ma
l'output ora 30.

Il surplus di 100 G e 10 F consentir di remunerare i profitti dei capitalisti, i quali
potranno poi decidere di consumare questa eccedenza oppure reinvestirla per
aumentare la scala di produzione.

Esercizio: partendo dalla economia di sussistenza mostra in che modo si pu
generare un surplus intervenendo sugli input anzich sugli output (ad esempio
tramite una riduzione della parte di input che va ai lavoratori sotto forma di
salari).

29

Questi esempi chiariscono pure gli elementi di conflitto sociale insiti nella
concezione del profitto come surplus (o residuo) tipica degli economisti classici e
di Marx.

Gli esempi infatti evidenziano che il surplus pu essere generato a scapito dei
lavoratori, o a seguito di una intensificazione dei loro sforzi oppure a seguito di
una riduzione degli input slariali.

Al tempo stesso, il surplus indispensabile alla sopravvivenza di una economia
capitalistica, che in grado di riprodursi solo se viene soddisfatto il movente del
profitto dei capitalisti.

Proviamo a riformulare tutto in termini di coefficienti di produzione.

Dividiamo gli input e gli output per i rispettivi output. Otteniamo:


500
280
G
500
12
F
500
500
G

30
120
G
30
8
F
30
30
F

da cui:

0,56 G 0,024 F 1G

4 G 0,26 F 1F

I coefficienti ci dicono che per ottenere 1 unit di grano occorrono 0,56 unit di
grano e 0,024 unit di ferro, e per ottenere 1 unit di ferro occorrono 4 unit di
grano e 0,26 unit di ferro.

Generalizziamo:

Definiamo a
ij
il coefficiente di produzione che ci dice quante unit di i
servono per produrre una unit di j





30

per esempio:

500
280
=0,56 =a
GG
che ci dice quante unit di grano (G) occorrono per
produrre 1 unit di grano (G)


500
12
=0,024 =a
FG
che ci dice quante unit di ferro (F) occorrono per
produrre 1 unit di grano (G)


a questo punto, utilizzando i coefficienti di produzione, possiamo dare una
rappresentazione generale della condizione di riproducibilit (o vitalit) del
sistema economico.

Una economia rispetta la condizione di riproducibilit (o vitalit) se in grado
almeno di riprodurre se stessa, cio se gli output sono almeno in grado di coprire
gli input.

Possiamo dunque affermare che una economia riproducibile se esistono dei
livelli di output di grano (Y
G
) e di ferro (Y
F
) tali che:

1)
Y
G
> Y
G
a
GG
+Y
F
a
GF
2)
Y
F
> Y
G
a
FG
+Y
F
a
FF

La prima condizione ci dice che la quantit di grano output Y
G
deve essere
maggiore o al limite uguale alla quantit di grano necessaria a produrre 1 unit di
grano (a
GG
) moltiplicata per l'output totale di grano Y
G
, pi la quantit di grano
necessaria a produrre 1 unit di ferro (a
GF
) moltiplicata per l'output totale di ferro
(Y
F
). Discorso analogo vale per la seconda condizione. In sostanza, entrambe le
condizioni ci dicono che loutput di ogni merce deve essere maggiore o al limite
uguale alla somma degli input della stessa merce usati nei due settori.


Effettuiamo alcuni semplici passaggi:

1) Y
G
(1-a
GG
) > Y
F
a
GF
2) Y
F
(1-a
FF
) > Y
G
a
FG

da cui:

31

1)
F
G
Y
Y
>
GG
GF
a
a
1


2)
FG
FF
a
a 1
>
F
G
Y
Y


quindi occorre che:

FG
FF
a
a 1
>
GG
GF
a
a
1


ossia:

(1-a
GG
)(1-a
FF
) > a
GF
a
FG


Questa la condizione di riproducibilit ( o di vitalit) del sistema.

Se la condizione rispettata col segno di uguaglianza (=) allora siamo di fronte a
una economia di mera sussistenza.

Se la condizione rispettata col segno maggiore (>) allora siamo di fronte a una
economia che genera surplus (e che dunque, potendo remunerare un profitto, pu
essere una economia capitalistica).

Esercizio: calcola i coefficienti di produzione della economia di sussistenza
esaminata in precedenza e verifica che essi rispettano la condizione di
riproducibilit con vincolo di stretta uguaglianza.

Esercizio: descrivi una economia che non nemmeno di sussistenza e che quindi
non in grado di riprodursi.


Dunque la condizione di riproducibilit del sistema evidenza gli elementi di
antagonismo tra le classi sociali. Basti pensare che un modo per rispettarla (cio
per garantire l'esistenza di un surplus che remuneri il profitto) di ridurre i
coefficienti di produzione, per esempio intensificando gli sforzi dei lavoratori
oppure riducendo i salari. (ricorda che la riduzione dei coefficienti indica che il
rapporto tra input e output si riduce; l'intensificazione degli sforzi aumenta
l'output a parit di input, la riduzione dei salari riduce l'input a parit di output).


32


I I I

MI CROECONOMI A E
MACROECONOMI A NEOCLASSI CA



3.1 La teoria neoclassica della scelta razionale individuale: il caso del
consumatore

Abbiamo detto che per i neoclassici ogni problema economico riconducibile a
un problema di massimizzazione della utilit sotto il vincolo delle risorse scarse
disponibili. Nel caso del consumatore, si tratter di scegliere la combinazione di
beni di consumo che massimizzano l'utilit, sotto il vincolo del reddito
disponibile. Consideriamo un problema molto semplificato: esistono solo due beni
di consumo, il bene 1 e il bene 2, che il consumatore pu acquistare e consumare
nelle quantit x
1
e x
2
. Il consumatore, inoltre, dispone di un reddito pari a m. I
prezzi di mercato dei due beni sono p
1
e p
2
.



3.2 Il vincolo di bilancio del consumatore

Il vincolo di bilancio del consumatore sar dunque dato da:
p
1
x
1
+ p
2
x
2
m
Se per semplicit assumiamo che il consumatore spende tutto m per l'acquisto di
x
1
e x
2
, allora il vincolo di bilancio diventa:

p
1
x
1
+ p
2
x
2
= m

la spesa per x
1
e x
2
deve eguagliare il reddito e non pu oltrepassarlo. L'equazione
del vincolo di bilancio pu essere rappresentata graficamente su un diagramma
cartesiano. Sugli assi indichiamo il consumo di x
1
e x
2
. Ogni punto indica una
particolare combinazione di consumo (x
1
, x
2
).

33




























Esprimiamo il vincolo di bilancio esplicitando la sua equazione rispetto a x
2
:

p
2
x
2
= m p
1
x
1

1
2
1
2
2
x
p
p
p
m
= x

questa equazione rappresentata dalla retta del vincolo di bilancio del
consumatore. Per tracciare la retta sul grafico poniamo prima x
1
= 0 cos da
trovare l'intercetta sull'asse delle ordinate; poi poniamo x
2
= 0 per trovare
l'intercetta sull'asse delle ascisse.

x
1
x
2
A(x
1
A
, x
2
A
)
x
2
A
x
1
A
34

x
1
= 0
2
2
p
m
= x intercetta del vincolo di bilancio sull'asse delle ordinate
x
2
= 0
1
2
1
2
0 x
p
p
p
m
=

2
1
2
1
p
m
= x
p
p


p
1
x
1
=m


1
1
p
m
= x intercetta del vincolo di bilancio sull'asse delle ascisse




























x
1
x
2
equazione della retta
coefficiente angolare
2
1
p
p

1
p
m
2
p
m
1
2
1
2
2
x
p
p
p
m
= x
35

Ovviamente la retta di bilancio rappresenta un vincolo. Tutte le combinazioni di
consumo al di sotto di essa sono alla portata del consumatore e quindi
ammissibili. Le combinazioni di consumo sulla retta sono le massime possibili,
dato il reddito di cui dispone il consumatore e i prezzi dei beni. Le combinazioni
di consumo situate al di sopra della retta non sono alla portata del consumatore:





























Come varia la retta di bilancio?

1) un aumento del reddito da ma m' > m: comporta una traslazione verso
l'alto e verso l'esterno della retta di bilancio;

2) una riduzione del prezzo da p
1
a p
1
' > p
1
: comporta una rotazione della
retta di bilancio verso sinistra (l'intercetta verticale resta ferma perch non
variato il prezzo p
2
mentre l'intercetta orizzontale diminuisce), cio un
aumento della sua pendenza.
x
1
x
2
C D
D combinazione di consumo non ammissibile
A, B, C combinazioni di consumo ammissibili
A
B
m/p
1
m/p
2
36












































x
1
x
2
effetto di una riduzione del prezzo da p
1
a p
1
' < p
1
m
p
1
'
m
p
1
2
1
p
' p

2
1
p
p

m
p
2
x
1
x
2
effetto di un aumento del reddito da ma m' > m
2
p
m'
1
p
m'
1
p
m
2
p
m
37

3.3 Utilit, ordinamento delle preferenze e curve di indifferenza

Esaminando il vicolo di bilancio abbiamo verificato quali combinazioni di
consumo sono alla portata del consumatore e quali non lo sono. Ora per si tratta
di capire quali sono le combinazioni di consumo che il nostro individuo
preferisce, cio le combinazioni che gli consentono di massimizzare l'utilit.
L'utilit intesa come l'attitudine di un certo bene (ad esempio l'acqua) a
soddisfare un determinato bisogno del consumatore (ad esempio la sete: il bisogno
di bere). Generalmente, l'utilit totale che l'individuo ricava dal consumo di una
certa quantit di bene una funzione crescente di tale quantit: via via che il
consumatore assume dosi successive del bene (ad esempio bicchieri di acqua
aggiuntivi) il suo grado di soddisfazione (l'utilit) aumenta. Ma, gli incrementi di
utilit, corrispondenti ad unit successive del bene consumato, sono sempre pi
piccoli (ogni bicchiere d'acqua aggiuntivo sempre meno utile) perch il
corrispondente bisogno tende a ridursi (la sete si placa). Questo assunto viene
detto principio dell'utilit marginale decrescente. Potrebbe anche verificarsi che,
se si soddisfatto completamente il bisogno, il consumo di ulteriori unit di bene
facciano ridurre l'utilit totale, poich ognuna di queste unit aggiuntive presenta
una crescente disutilit marginale che fa ridurre l'utilit totale (continuare a bere
ulteriori bicchieri di acqua, dopo aver soddisfatto la sete, pu provocare un malore
crescente). Possiamo riportare la quantit del bene consumato x sulle ascisse di un
grafico cartesiano, ponendo sulle ordinate la corrispondente utilit totale U
T
.





















x
U
T
1 2 3
15
25
30
0
U
T
5
10
15
x
U
T
38

possibile rappresentare su un diagramma cartesiano anche le variazioni
dell'utilit totale conseguenti all'incremento di ogni piccola quantit di consumo
del bene considerato. Otteniamo cos una rappresentazione della funzione
dell'utilit marginale
x
U
T






















La funzione dell'utilit totale concava perch, come si detto (e mostrato nei
grafici), l'utilit marginale decrescente.


Consideriamo per semplicit una economia nella quale esistono solo 2 beni,
indichiamo con x
1
e x
2
le rispettive quantit. Come si visto, esaminando il
vincolo di bilancio del consumatore, ogni combinazione di consumo (ogni paniere
di consumo) potr essere rappresentato da un punto del piano cartesiano (positivo)
con coordinate (x
1
, x
2
). Per descrivere il comportamento del consumatore
necessario ordinare i panieri di consumo in base alle sue preferenze.







x 1 2 3
15
0
5
10
utilit marginale
39

Prendiamo ad esempio la combinazione di consumo A e poniamola a confronto
con le combinazioni B, C, D, e E. Dividiamo lo spazio in quattro quadranti.


























Di sicuro:
A preferito a D e a tutte le altre combinazioni di consumo che appartengono al
III quadrante: al paniere di consumo A associato in indice di utilit maggiore
rispetto a tutte le combinazioni di consumo che appartengono al III quadrante.
B preferito ad A e tutte le combinazioni del I quadrante sono preferite ad A: al
punto A associato un indice di utilit inferiore rispetto all'utilit associata a tutti i
panieri che appartengono al quadrante I.
Esisteranno poi delle combinazioni di consumo situate nel II e nel IV quadrante
che il consumatore reputa indifferenti rispetto ad A (due di queste potrebbero
essere E e C e presentano lo stesso valore dell'indice di utilit di A). Unendo tutti i
punti che rappresentano le combinazioni di consumo considerate indifferenti dal
consumatore rispetto al paniere A otterremo una curva di indifferenza.
Una curva di indifferenza l'insieme di tutte le combinazioni di beni che danno al
consumatore la stessa utilit totale e che dunque egli reputa indifferenti tra loro.
Ovviamente panieri di consumo come B e D sii trovano su curve di indifferenza
x
2
A
x
1
B
C
E
D
II
I
VI
III
Curva di indifferenza
40

diverse, visto che ad essi sono associati livelli di utilit diversi rispetto al paniere
A. In generale, pi le curve di indifferenza sono distanti dall'origine degli assi
cartesiani, maggiore l'utilit ad essa associata. Inoltre, esse presentano una
pendenza negativa (sono decrescenti) in quanto se il consumatore vuole
conservare lo stesso livello di utilit (e restare sulla stessa curva di indifferenza),
dovr compensare ogni riduzione del consumo di uno dei due beni con un
incremento dell'altro.



























Si viene cos a costruire una mappa di curve di indifferenza che esprime l'utilit
dell'individuo al variare del paniere di consumo.
Le curve di indifferenza non possono intersecarsi (in certo senso si pu dire che
sono tra loro parallele) perch altrimenti esse non esprimerebbero un ordinamento
coerente (razionale) dei panieri di consumo. La razionalit del consumatore,
infatti, implica che le preferenze devono essere transitive: se il paniere A
preferito al paniere B e il paniere B preferito al paniere C, allora il paniere A
deve essere preferito al paniere C. In altre parole, se le curve di indifferenza si
intersecano, allora le preferenze del consumatore non sono transitive e quindi
x
1
x
2
U
T
3
U
T
2
U
T
1
U
T
3
> U
T
2
> U
T
1
41

viene meno la sua razionalit nella scelta dei panieri di consumo. Verifichiamo
questa importante condizione con un esempio.


























Consideriamo due panieri di consumo A e B tra loro indifferenti (che si trovano
sulla stessa curva di indifferenza) e consideriamo una combinazione di consumo
C alla quale il consumatore preferisce il paniere B (tra B e C il consumatore
preferisce, sceglie, B che comporta un maggior consumo di entrambi i beni). Ci
significa che l'utilit che il consumatore associa al paniere B (e al paniere A che
indifferente a B) maggiore dell'utilit associata al paniere C (nel grafico
dovrebbe aversi U
T
1
>U
T
0
). Per, se le due curve di indifferenza si intersecano in
corrispondenza del paniere A, allora i panieri A e C dovrebbero essere tra loro
indifferenti e, quindi, per la propriet transitiva, l'utilit della combinazione di
consumo B dovrebbe essere la stessa di quella associata al paniere di consumo C
(poich si assunto che A B sono tra loro indifferenti). Questo risultato
contraddittorio rispetto all'ipotesi che B sia preferito a C. Quindi, se le preferenze
del consumatore sono transitive (cio sono coerenti), allora le curve di
indifferenza non si intersecano.

x
2
A
x
1
B
C
U
T
0
U
T
1
42

Le curve di indifferenza per beni tra loro in certa misura sostituti (le mele e le
pere) sono convesse: dato un certo livello di utilit, muovendosi lungo la
corrispondente curva di indifferenza, all'aumentare del consumo di un bene, il
consumatore sempre meno disposto a rinunciare all'altro bene. La convessit
della curva di indifferenza una diretta conseguenza dell'assunto dell'utilit
marginale decrescente. Via via che riduce di quote costanti il consumo di uno dei
due beni (che diventa sempre pi scarso e prezioso in termini di utilit marginale),
il consumatore, per non far ridurre il suo livello di utilit, richieder compensare
queste riduzioni mediante il consumo di quote crescenti dell'altro bene (sempre
pi abbondante e meno prezioso in termini di utilit marginale).


























Il grafico mostra che una riduzione del consumo del bene 2 da 20 a 15 unit
richiede, per lasciare invariata l'utilit totale a U
T
0
, un aumento del consumo del
bene 1 di una sola unit. Ma, se il consumo del bene 2 si riduce di ulteriori 5
unit, allora necessario un aumento del consumo del bene 1 di bene 3 unit. Ci
dovuto all'utilit marginale decrescente. La perdita di utilit che il consumatore
subisce passando a A a B relativamente bassa e pu essere compensata con una
x
2
A
x
1
E
C
U
T
0
20
15
10
B
D
2 3 6
5
5
1 3
43

sola unit del bene 1 (dotata di un'alta utilit marginale) che consente di
raggiungere il punto C. Invece, lo spostamento da C a D implica una perdita di
utilit maggiore (essendo il bene 2 ora pi scarso per il consumatore) che, per
essere compensata, richiede una incremento di 3 unit di consumo del bene 1
(infatti queste 3 unit sono dotate di una utilit marginale pi bassa perch il bene
1 ora relativamente pi abbondante) in modo da raggiungere il punto E.
La convessit delle curve di indifferenza pu anche essere spiegata da una
preferenza del consumatore per la variet nella composizione del proprio paniere
di consumo. Considerati due panieri A e B che risiedono sulla medesima curva di
indifferenza, il consumatore preferir ad ognuno di essi un qualunque paniere C
ottenuto come combinazione lineare intermedia dei rispettivi contenuti di A e B.
Infatti, se le curve di indifferenza sono convesse, una siffatta combinazione
lineare risieder su di una curva di indifferenza pi alta (corrispondente ad un
livello di utilit maggiore).


























x
2
A
x
1
C
U
T
0
x
2
A
B
x
2
C
x
2
B
x
1
A
x
1
C
x
1
B
U
T
1
44

Quando i due beni le cui quantit sono riportate sugli assi cartesiani sono tra loro
perfetti sostituti le curve di indifferenza assumono una forma lineare (sono delle
linee rette). questo il caso della benzina offerta sul mercato da due differenti
compagnie di distribuzione (Total e Agip ad esempio), evidentemente la maggior
parte dei consumatori trovano indifferente rifornirsi dall'uno o dall'altro
distributore perch non sussistono differenze apprezzabili tra i due carburanti. Il
consumatore potrebbe consumare anche uno solo dei due beni senza incorrere in
una riduzione dell'utilit totale.
































x
2
A
x
1
C
U
T
0
B
x
2
C
x
1
C
45

Il caso opposto a quello dei perfetti sostituiti riguardi i beni che sono tra loro
perfettamente complementari (detti anche beni perfetti complementi; ad
esempio i due ingredienti necessari a preparare una particolare bevanda, si pensi
allo zucchero e al caff). In questo caso le preferenze del consumatore assumono
una forma ad angolo: aumentando il consumo di uno solo dei due beni
(spostandosi dal punto A al punto C) il consumatore non ottiene incrementi di
utilit. Per accrescere l'utilit totale necessario accrescere in misura
proporzionale il consumo di entrambi i beni (spostandosi nel punto B).



































x
2
x
1
B
U
T
0
x
2
B
x
1
B
A C
U
T
1
x
1
A
x
2
A
46

Il consumatore potrebbe anche essere indifferente al fatto che il proprio paniere di
consumo contenga o meno un determinato bene (detto bene indifferente, volendo
dire con espressione imprecisa che il consumatore indifferente rispetto ad esso).
Si pensi alla disponibilit di sigarette per un individuo goloso ma non fumatore: il
consumo di una maggiore quantit di dolci farebbe aumentare l'utilit di tale
consumatore ma egli resterebbe indifferente rispetto all'aumentare del numero di
sigarette di cui pu disporre. In questo caso le curve di indifferenza sarebbero
parallele all'asse sul quale viene misurato il bene indifferente. Il consumatore non
otterrebbe nessun vantaggio spostandosi dal punto A al punto C se il bene 1 un
bene indifferente, solo incrementando il consumo del bene 2 potrebbe ottenere un
aumento della propria utilit totale (ad esempio spostandosi nel punto B).
































x
2
x
1
B
U
T
0
x
2
B
x
1
B
A C
U
T
1
x
1
A
x
2
A
47

In altri importanti casi le curve di indifferenza possono essere crescenti piuttosto
che decrescenti. Ci avviene quando su uno degli assi cartesiani misurata la
quantit di un male e non di un bene. Un male corrisponde ad un'attivit o ad
consumo penoso che comporta, quindi, disutilit. Un esempio classico fornito
dalla scelta tra il reddito di cui pu disporre un consumatore-lavoratore e il lavoro
(il sacrificio) che costretto a cedere per conseguire tale reddito.



































Reddito
Ore di lavoro
U
T
0
U
T
1
U
T
2
U
T
2
> U
T
1
> U
T
0
48

L'inclinazione della curva di indifferenza detta saggio marginale di
sostituzione (SMS o MRS). Esso indica la quantit incrementale del bene 2
(indicata con x
2
) che il consumatore deve ricevere per essere compensato della
perdita di una certa quantit del bene 1 (indicata con x
1
) affinch la sua utilit
resti invariata.

1
2
x
x
= SMS =
|
|
|
|
|
|
1
2
x
x




























Essendo x
1
per definizione negativo e x
2
in generale positivo (almeno per beni
sostituti), anteponendo al rapporto
1
2
x
x
il segno negativo, oppure prendendolo in
valore assoluto, si ottiene un SMS positivo e decrescete (all'aumentare di x
1
) lungo
tutta la curva di indifferenza. Questa caratteristica del SMS dovuta alla
convessit della curva di indifferenza (per cui al crescere di x
1
aumenta il
x
2
A
x
1
U
T
0
x
2
A
B
x
2
B
x
1
A
x
1
B
x
1
x
2
49

numeratore del SMS si riduce) e, quindi, al principio dell'utilit marginale
decrescente.




























Infine si dimostra che, fissato un certo livello di utilit (e quindi individuata la
corrispondente curva di indifferenza), il SMS pari al rapporto tra le utilit
marginali dei due beni considerati. Infatti, se variano x
1
e x
2
possiamo calcolare la
variazione U dell'utilit totale dell'individuo come somma delle variazioni dei
consumi moltiplicate per le rispettive utilit marginali (UM):

U = UM
1
x
1
+ UM
2
x
2


ovviamente, restando sulla stessa curva di indifferenza, l'utilit non varia e
pertanto U = 0 e quindi:

0 = UM
1
x
1
+ UM
2
x
2


x
2
A
x
1
U
T
0
B
x
1
x
2
C
D
E
50


UM
2
x
2
= UM
1
x
1


2
1
1
2
UM
UM
=
x
x


SMS =
2
1
UM
UM
=
U
x
1
U
x
2



questa uguaglianza esprime il SMS come rapporto delle derivate parziali della
funzioni di utilit (le utilit marginali).

Ad esempio, se la funzione di utilit definita da:

U(x
1
, x
2
) = x
1
x
2

allora, fissato il valore dell'utilit a U
0
, le curve di indifferenza saranno delle
iperboli equilatere di equazione:

x
2
=
U
0
x
1



al variare del livello di utilit fissato si potr costruire tutta la mappa delle curve
di indifferenza.












51

3.4 La scelta del consumatore

Dato il vincolo di bilancio, data la mappa delle curve di indifferenza, il
consumatore in grado di scegliere il paniere di consumo ottimo perseguendo il
seguente obiettivo: scegliere la combinazione di consumo che massimizza l'utilit
sotto il vincolo delle risorse disponibili.

Per il consumatore la migliore combinazione di consumo, quella che massimizza
l'utilit sotto il vincolo di bilancio, rappresentata dal punto E di tangenza tra il
vincolo di bilancio e la curva di indifferenza.


























Infatti il punto D sarebbe preferito a E ma non raggiungibile perch non un
paniere di consumo ammissibile (si trova al di sopra del vincolo di bilancio). I
punti A e C si trovano sul vincolo di bilancio (sono panieri di consumo
ammissibili) ma (come il punto B) appartengono ad una curva di indifferenza pi
bassa (che corrisponde ad un livello di utilit inferiore) rispetto alla curva di
indifferenza che passa per il punto E.
x
2
E
x
1
U
T
0
x
2
*
C
x
1
*
D
B
U
T
1
U
T
2
A
52

Si noti che in corrispondenza del punto E abbiamo che l'inclinazione del vincolo
di bilancio (-p
1
/p
2
) uguale alla pendenza della curva di indifferenza passante per
A (SMS = - x
2
/ x
1
). Cosa che invece non vera per un punto come C oppure A.
Nel punto B, inoltre, a differenza del punto E, non soddisfatto il vincolo di
bilancio (p
1
x
1
+ p
2
x
2
= m).

Dunque la combinazione ottima del consumo al punto nel quale:

SMS =
|
|
|
|
|
|
1
2
x
x
=
2
1
p
p


oppure

U
x
1
U
x
2
=
2
1
p
p



Finora abbiamo individuato la soluzione del problema d'ottimo del consumatore in
termini grafici, determiniamola ora in termini algebrici.

Il consumatore deve risolvere il seguente problema di massimo vincolato:


max U(x
1
,x
2
)

sub p
1
x
1
+ p
2
x
2
= m


Un noto metodo di soluzione quello dei moltiplicatori di Lagrange. Questo
metodo consiste nel risolvere il problema d'ottimo (senza vincoli) per una
funzione che comprende sia la funzione obiettivo originaria (la funzione di
utilit), sia il vincolo:

L(x
1
, x
2
, ) = U(x
1
, x
2
) (p
1
x
1
+ p
2
x
2
m) [lagrangiano]

dove il termine detto moltiplicatore di Lagrange e il suo ruolo di garantire
che il vincolo di bilancio sia soddisfatto.

53

Le condizioni necessarie per individuare la soluzione di questo problema di
ottimo si ottengono ponendo uguali a zero le derivate della funzione L (il
lagrangiano) rispetto ai suoi argomenti: x
1
, x
2
, .


0
1
1 1
= p
x
U
=
x
L

c
c
c
c
(1)
0
2
2 2
= p
x
U
=
x
L

c
c
c
c
(2)
0
2 2 1 1
= x p x p m =

L

c
c
(3)


risolvendo questo sistema di equazioni otterremo la combinazione ottima di x
1
* e
x
2
* che rende massima l'utilit del consumatore dato il reddito mdi cui dispone e i
prezzi di mercato p
1
e p
2
(che sono dati).

Si noti che se dividiamo l'equazione (1) per la (2) otteniamo:

U
x
1
U
x
2
=
2
1
p
p


che la condizione di ottimo gi ottenuta mediante l'analisi grafica.



Un esempio:

U(x
1
, x
2
) = x
1
x
2
M = 40
p
1
= 4
p
2
= 2

max U(x
1
, x
2
) = x
1
x
2
sub 4x
1
+ 2x
2
= 40

applichiamo il metodo di Lagrange:

L(x
1
, x
2
, ) = x
1
x
2
(4x
1
+ 2x
2
40) [lagrangiano]
54




L
x
1
=x
2
4 = 0

L
x
2
=x
1
2 = 0

L
c
c
=40 4 x
1
- 2x
2
= 0

Dividiamo la (1) per la (2):

x
2
/ x
1
-2 = 0
x
2
/ x
1
= 2
x
2
= 2 x
1

Sostituiamo nella (3):

40 4 x
1
- 2(2x
1
) = 0
40 4 x
1
- 4x
1
= 0
40 = 8 x
1
x
1
=40 / 8 =5
x
2
=10

La combinazione di consumo che dunque massimizza l'utilit e al tempo stesso
rispetta il vincolo data da x
1
=5 e x
2
=10

Un metodo alternativo a quello di Lagrange
Riconsideriamo il problema di massimo vincolato

max U(x
1
, x
2
) = x
1
x
2
sub 4x
1
+ 2x
2
= 40

in primo luogo esprimiamo il vincolo in termini di x
2


2x
2
= 40 4 x
1

x
2
= 20 2 x
1


andiamo quindi a sostituire questa equazione nella funzione di utilit:

U(x
1
, x
2
) = x
1
(20 2 x
1
) = 20 x
1
2 x
1
2


a questo punto deriviamo rispetto a x
1
e poniamo pari a zero la derivata:

55

1
x
U
=20 4 x
1
= 0

x
1
=20/4 = 5

che sostituito nella equazione x
2
= 20 2 x
1
da:

x
2
= 20 2 (5) =20 -10 = 10

Abbiamo cos ottenuto lo stesso risultato con un metodo alternativo. La scelta tra i
vari metodi dipende dalle circostanze. Va preferito quello che semplifica di pi i
calcoli.




56

3.5 La curva di domanda individuale

Supponiamo che il prezzo di una merce si modifichi e vediamo come cambia la
scelta ottima del consumatore. Ricordiamo che la variazione del prezzo implica
una rotazione del vicolo di bilancio.

Ipotizziamo una serie di riduzioni di p
1
: p
1
, p
1
'

< p
1
, p
1
'

' < p
1
'



individueremo cos una serie di punti di ottimo e l'insieme di tutti questi punti di
ottimo definito curva di prezzo-consumo. Si noti che al diminuire di p
1
la
quantit x
1
domandata dal consumatore aumenta.

































x
2
E'
x
1
m/p
1
'
E''
E
m/p
1
'' m/p
1
x
1
'' x
1
x
1
'
m/p
2
curva di prezzo-consumo
57

Adesso prendiamo i valori di p
1
e i corrispondenti valori ottimi di x
1
e
collochiamoli su di un nuovo grafico, ponendo x
1
in ascissa e p
1
in ordinata.




























La curva di domanda decrescente: essa esprime una relazione inversa tra p
1
e x
1
:
al diminuire del prezzo la domanda aumenta
all'aumentare del prezzo la domanda diminuisce

La forma decrescente della curva di domanda vale per tutti i beni cosiddetti
normali, e si ritiene che tale relazione sia solitamente valida.






p
1
x
1
x
1
'' x
1
x
1
'
p
1
'
curva di domanda
individuale
x
1
= x
1
(p
1
)
p
1
p
1
''
58

3.6 Il surplus del consumatore

Data la curva di domanda individuale, possibile misurare il benessere che
l'individuo trae dall'acquisto di un certo quantitativo di merce, ossia il surplus del
consumatore.
Consideriamo la domanda annua di Tizio di biglietti per concerti:

x
T
= 15 -
1
2
p

ovvero

p = 0 x
T
= 15
x
T
= 0 p = 30

supponiamo che il
prezzo di mercato
di ogni biglietto
sia p =10.

La domanda sar:

x
T
= 15 -
1
2
10
x
T
= 10



Il surplus del consumatore dato dalla somma delle differenze tra quanto sarebbe
stato disposto a pagare per ottenere ogni unit aggiuntiva del bene acquistato e
quanto ha dovuto effettivamente pagare (il prezzo di mercato). Nell'esempio il
surplus del consumatore pari a 90:


calcolando l'area del triangolo ABC si ottiene un valore maggiore di 90 perch,
trattandosi di un bene non divisibile, tale area costituisce solo un'approssimazione
per eccesso del surplus del consumatore.
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15
p 28 26 24 22 20 18 16 14 12 10 8 6 4 2 0
Disponibilit a spendere 28 54 78 100 120 138 154 168 180 190 198 204 208 210 210
Spesa effettiva 28 52 72 88 100 108 112 112 108 100 88 72 52 28 0
Surplus del consumatore 0 2 6 12 20 30 42 56 72 90 110 132 156 182 210
x
T
p
1
x
1 15
10
facile mostrare che il surplus
del consumatore rappresentato
dall'area ABC.
30
10
A
B
C
59

3.7 la variazione della domanda individuale rispetto al reddito

La curva di domanda individuale reagisce anche alle variazioni del reddito del
consumatore (ad esempio mvaria da ma m' > m).




































in tal caso, a parit di p
1
(che non cambiato), assistiamo ad un aumento della
quantit domandata di x
1
. La curva di domanda, quindi, trasla verso destra al
crescere del reddito.
x
2
x
1
m'/p
1
x
1
m'/p
2
E'
E
m/p
2
x
1
'
m/p
1
p
1
x
1
x
1
p
1
x
1
'
60

3.8 Dalla curva di domanda individuale alla curva di domanda di mercato

Per ottenere la curva di domanda di mercato necessario sommare le quantit
domandate dai singoli consumatori per ogni livello del prezzo.

















curva di domanda di Tizio p = 30 2 x
T
x
T
= 15 - 1/2 p
curva di domanda di Caio p = 30 3 x
C
x
C
= 10 - 1/3 p

curava di domanda x = x
T
+ x
C
= 25 5/6 p p = 30 6/5 x
di mercato

per ottenere la curva di domanda di mercato quindi necessario esplicitare tutte le
domande individuali in termini di x e poi sommarle.













x
p
x
T
30
15
p
x
C
30
10
p
30
25
61

3.9 La teoria neoclassica dell'impresa

Dopo quanto detto sula scelta ottima dell'individuo (e in particolare del
consumatore) passiamo ora ad esaminare il lato delle decisioni dell'impresa
inerenti la produzione e i costi.

Cos come dalla scelta dell'individuo abbiamo ottenuto la domanda delle merci,
dalla teoria dell'impresa otterremo l'offerta.

LA PRODUZIONE

Nell'analisi neoclassica di solito si ritiene che la produzione di una certa quantit
Q di merce viene effettuata utilizzando i fattori della produzione

L lavoro
Q
K capitale (di solito inteso come valore dei mezzi di produzione)


(L'analisi neoclassica del capitale presenta diversi problemi: es. se K misurato
come valore di tutti i mezzi di produzione, allora bisognerebbe conoscere i prezzi
di tali mezzi di produzione. Ma la determinazione dei prezzi dovrebbe essere un
risultato dell'analisi non una premessa).


Ad ogni modo noi qui non ci occuperemo di questo problema. Anzi, per
semplicit riterremo che l'analisi sia di breve periodo per cui K pu essere
considerato un dato esogeno, fisso.

Ci significa che la funzione di produzione:

Q =Q(K, L)

pu essere riscritta cos:

Q =Q(L) con K fisso

Questa funzione di produzione dunque sottoposta alla legge della produttivit
marginale decrescente di un fattore produttivo, dati gli altri.

Dato il capitale disponibile (Macchine, impianti, etc.), i lavoratori impiegati da
un'impresa avranno via via una produttivit marginale sempre pi piccola.

62



















La produttivit marginale del lavoro (PMG
L
) corrisponde alla variazione della
produzione totale derivante da una piccola variazione del lavoro impiegato.

In termini algebrici:

PMG
L
=
L
Q


in modo pi preciso usando le derivate:

PMG
L
=
L
Q


Esempio: se la funzione di produzione data da Q =L
1/2
, allora la produttivit
marginale del lavoro sar:

PMG
L
=
L
Q
=
2
1
2
1

L =
2
1
2
1
L
=
L 2
1


(nota che al crescere di L la PMG
L
si riduce)
Ovviamente si pu anche ragionare all'inverso, calcolando la quantit di L
necessaria a produrre una certa produzione Q:
Q
L
10
18
24
28
31
32
1 2 3 4 5 6
Q = Q(L)
L
1
4
3
8
6
10
1 2 3 4 5 6
PMG
L
PMG
L
63


L =L(Q) ad es. per Q =L
1/2
Q
2
=(L
1/2
)
2
L = Q
2

Passiamo ora ai costi di produzione.

I costi totali di produzione sono costituiti dai costi fissi e dai costi variabili:

I costi fissi non variano al variare della produzione (almeno nel breve periodo).
Essi possono essere identificati con il costo del capitale:

(1 +r) r K
0

I costi variabili variano con la produzione e possono essere identificati con il
costo del lavoro:

w L(Q)

Dunque i costi totali sono:

CT = r K
0
+w L(Q)

Nel nostro esempio con Q(L) =L
1/2
otteniamo L(Q) =Q
2
e quindi

CT = r K
0
+w Q
2



















CT
Q
rK
0
CT
64


Possiamo dunque calcolare il costo marginale CMG che corrisponde alla
variazione del costo totale conseguente a una variazione marginale (piccola) della
quantit prodotta:

CMG =
Q
CT


Nel nostro esempio:

CMG =
Q
CT
=w2Q


















interessante notare che esiste una relazione tra CMG e PMG
L
. Infatti
(ricordando che K costante):

CMG =
Q
CT
=w
Q
L


ma sappiamo che PMG
L
=
L
Q
e quindi possiamo scrivere:

CMG
Q
2w
65

CMG =
L
Q
w
=
L
PMG
w


Quindi quanto pi bassa la PMG
L
tanto pi alto il CMG.
Infatti nel nostro esempio:

CMG =w2Q

ma Q =L
1/2
e quindi:

CMG =w2L
1/2

che pu essere riscritto cos:

CMG =
2
1
2
1
L
w
il denominatore di questa frazione proprio la PMG
L

infine calcoliamo il costo medio di produzione (CM). Il costo medio
semplicemente il costo totale diviso per le quantit prodotte e ci dice quanto costa
in media ogni unit di merce prodotta:

CM =
CT
Q
=
( )
Q
Q wL + rK
0


notare per inciso che quindi CT =CMQ

Il costo medio ha un andamento particolare. Esso prima decrescente e poi
crescente.

Infatti all'inizio la crescita di Q consente di ammortizzare i costi fissi, cio
consente di ripartire il costo del capitale su pi unit prodotte e vendute. Ci fa
ridurre CM.

Al tempo stesso l'aumento di Q fa aumentare i costi variabili necessari alla
produzione. Ci fa aumentare i CM.

66

Finch la riduzione dei costi fissi prevale sull'aumento dei costi variabili, il costo
medio si riduce. Quando l'aumento dei costi variabili inizia a prevalere, il costo
medio aumenta.

Nel nostro esempio, avendo L =Q
2
:

CM =
CT
Q
=
Q
wQ + rK
2
0
= wQ +
Q
rK
0


supponiamo che w =2 e r K
0
=20, abbiamo:

CM = Q +
Q
2
20







Pi precisamente il minimo corrisponde a Q = ,2 3 10 ~ e possiamo verificarlo
calcolando il minimo della funzione del costo medio.
Condizione necessaria per l'individuazione di un punto di un punto di minimo di
una funzione che la sua derivata sia pari a zero (cio che la funzione sia piatta
in quel punto):

0 2
20
2
= +
Q
=
Q
CT
Q
2
=10 Q = ,2 3 10 ~ costo medio minimo
Infine, interessante notare che il costo medio e il costo marginale si intersecano
esattamente nel punto di minimo del costo medio. Per verificarlo nell'esempio
(con rK
0
=20, w=2 e L=Q
2
) poniamo CM=CMG :

Q +
Q
2
20
=22Q Q = ,2 3 10 ~

l'intersezione tra CM e CMG corrisponde esattamente al CM minimo.
Q CM
1 22
2 14
3 12,67
4 13
5 14
6 15,33
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9
0
5
10
15
20
25
Q
C
M
67


Ma perch CMG e CM si incrociano proprio in corrispondenza del CM minimo?
La ragione questa, il CMG costituisce un costo aggiuntivo rispetto alla media
dei costi. Finch il costo aggiuntivo minore della media, la media si riduce (Q
A
).
Quando il costo aggiuntivo diventa maggiore della media, la media inizia a
crescere (Q
B
).




















3.10 La massimizzazione del profitto dell'impresa

Secondo i neoclassici lo scopo generale dell'impresa massimizzare il profitto
(), inteso come differenza tra ricavi totali (RT =pQ) e costi totali (CT).

= RT - CT Funzione del profitto

L'impresa deve dunque scegliere la quantit Q che massimizza . Ossia, occorre
derivare rispetto a Q e porre uguale a zero tale derivata:

0 =
Q
CT
Q
RT
=
Q



sapendo che CMG =
Q
CT


CM,
CMG
Q
CMG
CM
Q
A
Q
B
68

e definendo RMG =
Q
RT


possiamo allora dire che il profitto massimizzato in corrispondenza di quella
quantit Q* tale che:

RMG CMG =0

RMG =CMG

questa la condizione del primo ordine per il massimo profitto.

Questa condizione piuttosto semplice da comprendere. CMG il costo
aggiuntivo che l'impresa deve sostenere se decide di produrre una unit in pi di
merce. RMG il ricavo aggiuntivo che deriva dalla produzione e dalla vendita di
una unit in pi di merce.

Ora, chiaro che finch RMG >CMG all'impresa conviene aumentare la quantit
prodotta Q perch le unit aggiuntive rendono pi di quanto costano e quindi
consentono di aumentare il profitto . Quando per RMG=CMG conviene
fermarsi e non andare oltre poich ogni unit prodotta ulteriore costerebbe pi di
quanto rende e farebbero ridurre il profitto totale.

Questa regola di massimizzazione del profitto vale in generale. Tuttavia, come
vedremo, essa viene declinata in modi diversi a seconda del tipo di impresa di
fronte alla quale ci troviamo. Abbiamo infatti tipi diversi di imprese che
differiscono in base al tipo di mercato in cui operano e al grado di competizione
che fronteggiano. Qui considereremo tre forme di mercato: la concorrenza
perfetta, il monopolio e l'oligopolio.



3.11 L'impresa in concorrenza perfetta

Il mercato di concorrenza perfetta quello in cui operano moltissime piccole
imprese che producono un bene omogeneo.

Queste imprese si presentano sul mercato senza disporre di alcun potere sui prezzi
di vendita.

il caso dei piccoli produttori di mele che si presentano sul mercato ortofrutticolo
al mattino. Un banditore conta le mele offerte dai produttori e le mele domandate
dai fruttivendoli, e fissa il prezzo di equilibrio di mercato che uguaglia domande e
69

offerte. Una volta fissato il prezzo di equilibrio ogni produttore dovr attenersi ad
esso. Se, infatti, prova a vendere a prezzi maggiori nessuno andr a comprare da
lui. E non ha interesse a vendere a prezzi minori visto che al prezzo di equilibrio
lui sa gi che vender tutta la merce (praticare un prezzo pi basso comporterebbe
solo una riduzione dei ricavi e degli eventuali profitti).
L'impresa in concorrenza perfetta dunque non ha alcun potere sul prezzo di
mercato. Si dice che essa price-taker, cio prende, subisce il prezzo fissato
dal mercato.
In concorrenza perfetta possiamo dunque affermare che il prezzo di mercato un
dato esogeno:

p =p
0

Vediamo allora quali sono le implicazioni di un p esogeno sull'obiettivo di
massimizzazione del profitto dell'impresa in concorrenza perfetta.

Abbiamo detto che:

= RT CT

Ovviamente il ricavo totale non altro che RT =pQ, cio il prezzo per la
quantit prodotta e venduta. Dunque:

= pQ CT

Imponiamo quindi la condizione di massimo profitto derivando rispetto a Q e
ponendo uguale a zero tale derivata. Otteniamo:

RMG =CMG

p
Q
CT
=0

p =
Q
CT


p =CMG

Questa la condizione di massimo profitto in concorrenza perfetta.

Si noti che in concorrenza perfetta il RMG derivante da una unit in pi di merce
prodotta e venduta corrisponde esattamente al suo prezzo.
70

Ecco perch la condizione generale di massimo profitto RMG =CMG diventa p =
CMG.

Dunque, scopo dell'impresa di fissare un livello di produzione Q tale che il suo
CMG arrivi ad uguagliare il prezzo p (esogeno) di mercato.

Se p >CMG conviene aumentare la quantit prodotta e venduta visto che le
quantit aggiuntive si venderanno ad un prezzo maggiore del loro costo
marginale.

Se p <CMG occorre tornare indietro, produrre di meno, perch si sta producendo
troppo nel senso che le quantit in eccesso costano pi di quanto renderanno
all'atto della vendita.

Esempio algebrico: CT =r K +w Q
2

poniamo: p =16 w =2 r K =20

Il profitto dato da:
= RT CT =pQ CT

la condizione di massimo profitto per l'impresa in concorrenza perfetta :


0 =
Q
CT
Q
RT
=
Q



p
Q
CT
=0

p =
Q
CT


ossia sostituendo i valori:

16 =4 Q Q =4

Questa la quantit che massimizza il profitto dell'impresa.




71


3.12 Rappresentazione grafica dell'equilibrio ottimale dell'impresa in
concorrenza perfetta

Il prezzo di mercato esogeno, ossia indipendente dalla quantit che la singola
impresa ha deciso di produrre ed offrire sul mercato (pertanto, sul grafico il
prezzo rappresentato da un retta orizzontale, parallela all'asse delle ascisse).

Basterebbe che l'impresa aumentasse anche di pochissimo il prezzo p al quale
vende il proprio prodotto e si ritroverebbe con una domanda pari a zero (punto A).

Al prezzo di mercato l'impresa pu vendere tutte la merce che riesce a produrre
(naturalmente, considerati i costi di produzione, ad un certo punto dovrebbe
fermarsi per non andare in perdita).





























p
Q
A
Q
0
Q
2
p
0
Q
1
72

Disegniamo le curve di costo e la retta orizzontale del prezzo:




















La quantit Q che massimizza il profitto:

non Q
A
(P >CMG) segmento AB

non Q
B
(P <CMG) segmento CD

Q* (P =CMG) punto E















p,
CM,
CMG
Q
CMG
CM
Q
A
Q
B
p
0
Q*
C
D
E
B
A
73

Rappresentiamo graficamente il profitto dell'impresa:


















Il ricavo totale RT =p
0
Q corrisponde al rettangolo OQ*Ep
0


Sapendo che CM =CT/Q allora CT =CMQ e quindi possiamo dire che il costo
totale corrisponde al rettangolo OQ*FA.

chiaro che il profitto = RT CT corrisponde alla differenza tra i due
rettangoli, cio all'area AFEp
0
(area tratteggiata).

Ovviamente, poich questa impresa rispetta la condizione p=CMG, il profitto
tracciato nel grafico sar il massimo possibile.

Esercizio: in base ai dati dell'esercizio precedente, calcoliamo il profitto massimo:

CT =r K
0
+w Q
2
p
0
=16 w =2 r K =20

Abbiamo gi detto che Q* =4

Quindi RT =p
0
Q =16 * 4 =64

CT =20 +2 (4)
2
=52

= 64 52 =12

Si verifichi che se cambia la Q non si riesce pi ad ottenere un cos alto.
p,
CM,
CMG
Q
CMG
CM
p
0
Q*
E
A
F
O
74

Ovviamente pu anche accadere che il prezzo di mercato si riduca e che l'impresa
si ritrovi addirittura a produrre in perdita (se il prezzo scende al di sotto del costo
medio).

















Quando p
0
si situa al di sotto del CM l'impresa incorre in una perdita (cio in un
profitto negativo) data da:

= RT CT =OQ*Ep
0
OQ*FA =AFEp
0
(che negativo, ossia perdita)


Chiaramente l'impresa no pu resistere a lungo in una tale situazione. Se p non
cresce o se un miglioramento tecnico non le consente di abbassare i costi,
l'impresa sar costretta a ritirarsi dal mercato (con probabile bancarotta visto che
non in grado di ripagare r K
0
).

Ma oltre all'uscita dal mercato delle imprese inefficienti, pu anche accadere che
si verifichi l'ingresso nel mercato di nuove imprese. Ci accade soprattutto quando
le imprese gi presenti sul mercato realizzano profitti positivi.

Il fatto che le imprese operanti sul mercato stiano realizzando profitti positivi,
stimola l'ingresso di nuovi concorrenti.

Ma cosa accade quando entrano nuovi concorrenti? Semplice: la competizione si
intensifica e quindi il prezzo di mercato diminuisce.

p,
CM,
CMG
Q
CMG
CM
p
0
Q*
E
A
F
O
75

Questa tendenza prosegue fino a quando non si raggiunge l'equilibrio di lungo
periodo per il quale p
0
=CMG =CM
MINIMO
dove i profitti sono nulli e quindi
nono c' pi incentivo ad entrare nel mercato:


















RT =CT =OQEP
0
e quindi =0

A questo punto possiamo definire la curva di offerta dell'impresa. La curva di
offerta ci dice come varia la quantit prodotta dall'impresa al variare del prezzo di
mercato.

















p,
CM,
CMG
Q
CMG
CM
p
0
Q*
E
O
p'
p''
p,
CM,
CMG
Q
CMG
CM
p
2
Q
2
O
p
0
p
1
Q
1
Q
0
76

Ipotizziamo che il prezzo diminuisca e determiniamo i corrispondenti livelli ottimi
Q di produzione.

Si vede che se il prezzo diminuisce (p
2
<p
1
<p
0
), la quantit prodotta ed offerta si
riduce (Q
2
>Q
1
>Q
0
). Viceversa quando il prezzo aumenta, la quantit prodotta
ed offerta aumenta.



















Sussiste, quindi, una relazione diretta tra p e Q e tale relazione corrisponde
esattamente alla curva CMG al di sopra del CM (al di sotto del CM l'impresa a
lungo andare non pu reggere).

Dunque, possiamo affermare che la curva di offerta dell'impresa corrisponde alla
curva del CMG dalla intersezione con il CM in su (in realt sarebbe dal CMV in
su).

Come si vede l'offerta crescente, il che indica che all'aumentare di p cresce Q e
al diminuire di p diminuisce Q.








p
Q
offerta
dell'impresa
CM
77

Cos, come avveniva per la domanda, possibile sommare orizzontalmente le
curve di offerta delle singole imprese per ottenere la curva di offerta del mercato:





















3.13 Domanda, offerta ed equilibrio del mercato di concorrenza perfetta

Dalla teoria della scelta del consumatore sappiamo che la domanda di questo
tipo:

Q
d
=a - b p

ossia
se il prezzo aumenta, la quantit domandata diminuisce,
se il prezzo diminuisce, la quantit domandata aumenta.

Dalla teoria dell'impresa sappiamo che l'offerta di questo
tipo:

Q
s
=c +d p

ossia
se il prezzo aumenta, la quantit offerta aumenta,
se il prezzo diminuisce, la quantit offerta diminuisce.

p
Q
CMG
1
p
Q
CMG
2
p
Q
offerta di
mercato
Impresa 1 Impresa 2 ecc.
p
Q
D
p
Q
S
78

L'equilibrio di mercato :




















I neoclassici sostengono che le forze del mercato, lasciate a s stesse, conducano
automaticamente all'equilibrio tra domanda e offerta. Ad esempio se p' >p*,
allora S' >D', vi un eccesso di merce offerta sul mercato e il prezzo si riduce
fino al livello p* per il quale S=D.

Algebricamente:

Q
d
= a b p

Q
d
= c + d p

Imponiamo la condizione di equilibrio Q
d
=Q
s
:

a b p = c + d p

a c = b p + d p

(b + d) p = a c

p =
d + b
c a


p
Q
S
D
E
Q*
p*
P'
D' S'
79

Andiamo a sostituire p in una qualsiasi delle equazioni originarie

Q = c + d p = c + d (
d + b
c a
)

Q
d
= Q
s
= c + d p = c + d (
d + b
c a
)




3.14 L'elasticit della domanda rispetto al prezzo


Quando si vuole conoscere la sensibilit della domanda alle variazioni del prezzo
si adopera il concetto di elasticit.
L'elasticit della domanda rispetto al prezzo indica la variazione percentuale della
quantit domandata conseguente ad una variazione dell'1% del prezzo.

Definendo con Q/Q la variazione percentuale della domanda e con p/p la
variazione percentuale del prezzo, si ha che l'elasticit
D
data da:

D
=
p
p
Q
Q
=
p
p
Q
Q
=
Q
p
p
Q


ricordando che ovviamente
p
Q
<0 in quanto la domanda normalmente una
funzione decrescente del prezzo. Quindi:

D
=
Q
p
p
Q
che in termini di derivate diventa
D
=
Q
p
p
Q


Quindi si possono avere due casi estremi:
- una domanda perfettamente elastica,
D
=- , dove una piccola variazione di p
provoca una enorme variazione di Q
d
;
- una domanda perfettamente rigida,
D
=0, per le quali anche se p varia molto, la
domanda Q
d
non cambia.
Ma, pi in generale, ci troveremo di fronte ad una di domanda con elasticit
intermedia, 0 <
D
<- .
80
















Esercizio:

sapendo che Q
d
=90 2 p e che Q
s
=(3/2) p +20

1) determinare il valore di equilibrio di p e Q,
2) disegnare le curve sul grafico,
3) disegnare il surplus del consumatore.

Q
d
=Q
s


90 2 p = (3/2) p +20

90 20 = (3/2) p +2p

(7/2) p =70

p =(2/7) 70 =20

Q =90 2 p =90 2 (20) =50

Disegniamo:

Q
d
=90 2 p

per p=0 Q
d
=90

per Q
d
=0 p = 45

D
= -
p
Q
p
Q

D
= 0
p
Q
0 <
D
< -
81

Q
s
=(3/2) p +20

per p =0 Q
s
=20
per Q
s
=0 p = - 40/3




























Calcoliamo anche l'elasticit della domanda (nel punto B di equilibrio tra
domanda e offerta):

D
=
Q
p
p
Q
=-2
Q
p
=- 2
50
20
=
5
4







p
Q
90
50
surplus del consumatore
45
20
A
B
C
S
D
-40/3
20
82


3.15 Monopolio e oligopolio

MONOPOLIO (una sola impresa formula l'offerta sul mercato)

La differenza fondamentale tra concorrenza perfetta e monopoli risiede nella
domanda e nel prezzo.

Per l'impresa in concorrenza perfetta il prezzo un dato esogeno e la domanda
perfettamente elastica. L'impresa infatti molto piccola: essa sa che se si adegua
al prezzo di mercato potr vendere tutta la merce che desidera (se non si
adeguasse al prezzo di mercato, o non venderebbe nulla praticando un prezzo
superiore a quello di mercato - oppure non massimizzerebbe il profitto profitto
praticando un prezzo inferiore a quello di mercato).

Per l'impresa in monopolio le cose sono diverse. L'impresa monopolista controlla
l'intero mercato, il che significa che essa si trova di fronte alla domanda
complessiva del mercato che pu rivolgersi solo a lei.

Il problema del monopolista quindi quello di posizionarsi sulla curva di
domanda del mercato in modo da scegliere la combinazione (p, Q) che
massimizza il suo profitto.

Ovviamente il monopolista dovr tenere conto del fatto che se decide di
aumentare il prezzo, i consumatori diminuiranno la quantit domandata. Egli deve
quindi fare la sua scelta tenendo conto della reazione dei consumatori (e in
particolare della
D
).

Ad ogni modo, chiaro che il monopolista prende decisioni sia su Q che su p e
quindi non pi un price-taker ma un price-maker.

Esaminiamo ora in dettaglio il comportamento del monopolista.

Ovviamente, anche per il monopolista l'obiettivo di massimizzare il profitto
seguendo la regola generale:

RMG =CMG ovvero
Q
RT
=
Q
CT


Nel calcolo dell'impresa in concorrenza perfetta il ricavo marginale coincideva
con il prezzo, per cui si poteva scrivere p =CMG. Infatti, il ricavo derivante da
ogni unit in pi prodotta e venduta coincide in concorrenza perfetta proprio con
il prezzo di ogni unit di merce.
83


Ma in monopolio le cose cambiano. Il monopolista infatti fronteggia una domanda
di mercato decrescente, per cui egli sa che se vuole produrre e vendere una unit
in pi di merce dovr accettare un riduzione del prezzo su tutte le unit vendute
per convincere i consumatori a comprare la merce aggiuntiva.

Esempio: se il monopolista vuole vendere 5 unit di merce pu fissare p =12 ma
se vuole venderne 6 dovr farlo fissando il prezzo a p =11. Passando da A a B,
quindi, il monopolista guadagna altri 11 ma perde 1 sulle 5 unit che prima
vendeva a 12 ognuna.





















Ci significa che il ricavo marginale derivante dalla produzione e vendita di una
merce in pi corrisponde in monopolio a:

RMG =p +
Q
p
Q (con
Q
p
<0)






p
A
Q
D
12
B
11
5 6
p il prezzo della unit
di merce in pi
prodotta e venduta
riduzione necessaria a convincere i consumatori a
comprare una unit in pi, moltiplicata per la quantit
che il monopolista gi poteva produrre e vendere.
84

Questo stesso risultato pu anche essere espresso in modo pi preciso tramite le
derivate.
A questo riguardo noi sappiamo che:

RT =pQ

dove per in monopolio p non pi esogeno ma si trova in relazione con q sulla
base della funzione di domanda decrescente (cio p =p(Q)). Quindi possiamo
scrivere:

RT =p(Q)Q

se, dunque, vogliamo calcolare

RMG =
Q
RT
dove RT =p(Q)Q

ci tocca utilizzare la regola di derivazione de prodotto di funzioni: la derivata del
primo termine moltiplicata per il secondo termine pi il primo termine
moltiplicato per la derivata del secondo termine:

RMG =
Q
RT
=
Q
p
Q +p con (
Q
RT
<0)

che esattamente lo stesso risultato ottenuto precedentemente mediante le
variazioni finite e che adesso riferito a variazioni infinitesime.

Quindi, possiamo dire che la quantit ottima che il monopolista deve produrre ed
offrire sul mercato deve soddisfare la seguente equazione:

RMG =CMG
Q
p
Q +p =
Q
CT


Vediamo un esempio.

Domanda di mercato: Q =100 12p
Costi totali del monopolista CT =10 +2Q
2

Determiniamo la combinazione (p, Q) che massimizza i profitti del monopolista.
Riscriviamo la domanda esplicitandola rispetto al prezzo:

p =50 ()Q
85

Il ricavo totale sar:

RT =pQ =[50 (1/2)Q]Q =50Q - () Q
2

RMG =50 Q

CMG =4Q

la condizione di ottimo :

RMG =CMG

50 Q =4Q Q = 50/5 =10

10 la quantit che il monopolista deve vendere per massimizzare i profitti.


Inoltre notiamo una cosa:

Noi ipotizziamo che esiste una relazione tra CMG e PMG
L
, nel senso che:

CMG =
L
PMG
w


la condizione di massimo profitto del monopolista pu quindi essere scritta anche
cos:

RMG =CMG


Q
p
Q +p =
w
PMG
L



|
|
.
|

\
|
p
Q
Q
p
+ p 1 =
w
PMG
L


Ma sappiamo pure che:

D
=
Q
p
p
Q


e quindi possiamo scrivere:
86



|
|
.
|

\
|
D

+ p
1
1 =
L
PMG
w


da cui si ricava:

L
D
PMG
w

+
= p
|
|
|
|
.
|

\
|
1
1
1


il termine
|
|
|
|
.
|

\
|
D

+
1
1
1
rappresenta il mark-up sul costo unitario di produzione e il

temine
L
PMG
w
il costo unitario di produzione (in realt, come si detto prima,
sarebbe uguale al costo marginale ma con rendimenti costanti di scala le due
configurazioni di costo tendono a coincidere, ci ammissibile in considerazione
del fatto che le imprese monopoliste sono generalmente imprese di grosse
dimensioni che sfruttano largamente le economie di scala).

Quest'ultima equazione ci fa capire in che modo si determina il prezzo per
un'impresa dotata di potere di monopolio: il prezzo corrisponde al costo unitario
di ogni merce moltiplicato per un mark-up (ricarico, o margine di profitto) che
sar tanto maggiore quanto meno elastica la domanda dei consumatori.

Notiamo inoltre che in monopolio p > CMG cio maggiore del prezzo
concorrenza.

Rappresentiamo graficamente l'equilibrio del monopolista:

Come abbiamo detto il monopolista ha di fronte l'intera domanda di mercato.

Inoltre, possiamo tracciare la curva del RMG sotto la curva di domanda.

Perch il RMG si traccia al disotto della curva di domanda?

87

In concorrenza perfetta l'impresa poteva aumentare la Q di una unit e come RMG
otteneva il prezzo pieno della unit in pi venduta. Quindi in concorrenza
perfetta D RMG. Invece in monopolio l'impresa ottiene RMG < p, poich per
vendere deve ridurre il prezzo sulle altre unit. Per cui, visto che la domanda
esprime il prezzo, RMG si situa sotto di essa. Il che risulta chiaramente anche
dall'esempio di prima:

p =50 (1/2)Q domanda

RMG =50 Q Ricavo marginale

































p
Q
D
50
50 100
RMG
88





Per determinare l'equilibrio del monopolista, aggiungiamo ora, alle curve di
domanda e del RMG, le curve di costo che non cambiano rispetto alla concorrenza
perfetta.






















Il punto di ottimo E determinato dall'intersezione del CMG e del RMG. Esso
individua la quantit prodotta ed offerta che consente di massimizzare il profitto,
dato il prezzo che la domanda di mercato disposta a pagare per questa quantit e
i costi di produzione. Il massimo profitto coincide con l'area rettangolare p*BFA
che la differenza tra i ricavi totali p*BQ*O e i costi totali AFQ*O.

da notare che il surplus del consumatore HBp* ed pi piccolo di quello che
si avrebbe in concorrenza perfetta (dove i consumatori pagherebbero un prezzo p
c

pari al CMG di produzione in cambio di una quantit maggiore di Q* e
corrispondente all'ascissa del punto C). Confrontiamo dunque il punto E e il punto
C.

p,
CM,
CMG
Q
CMG
CM
p*
Q*
B
A
E
O
F
D
RMG
H
C
p
c
89

Rispetto all'impresa in concorrenza il monopolista dunque: 1) produce meno; 2)
vende ad un prezzo pi alto; 3) gode i un profitto superiore; 4) riduce il surplus
del consumatore.

Per tutti questi motivi alcuni neoclassici ritengono che il monopolio danneggi
l'economia e che vada quindi contrastato con opportune leggi anti-trast.
Ma esistono casi nei quali il monopolista pu essere soggetto a fenomeni di
concorrenza da parte di altre imprese? Si. Si parla in tal caso di concorrenza
monopolistica.

In queste circostanze il monopolio e solo temporaneo. Il monopolista infatti non
protetto da barriere all'entrata e quindi pu accadere che dei concorrenti entrino
nel mercato. La conseguenza che la domanda (la curva D) si abbassa fino a
quando il profitto diventa pari a zero: = 0.

Equilibrio di lungo periodo della concorrenza monopolistica:



























p,
CM,
CMG
Q
CMG
CM
p
E
Q
E
E
O
D
90

OLIGOPOLIO

L'impresa in concorrenza perfetta e l'impresa monopolistica presentano una
caratteristica comune: non si pongono problemi di strategia, cio problemi nei
quali le azioni di ognuno dipendono anche da ci che si prevede che facciano gli
altri.

Il problema della strategia e del complesso rapporto tra azioni e reazioni diventa
invece fondamentale nel caso in cui il mercato sia caratterizzato da una situazione
di oligopolio, cio di poche grandi imprese.

Per analizzare il comportamento della impresa oligopolista si adopera una tecnica
particolare, detta teoria dei giochi.

Si tratta di una teoria che si propone di analizzare le strategie delle imprese
oligopoliste nei rapporti di concorrenza ma anche i giochi (come gli scacchi)
oppure le strategie militari o diplomatiche, etc. (chi ricorda il film che parla della
vita di John Nash: a beautifull mind con l'attore Russell Crowe).

Applichiamo la teoria dei giochi al caso di due imprese: la RAI e MEDIASET, la
cui attivit consiste nel vendere spazi pubblicitari nei propri palinsesti.

Il problema per RAI e MEDIASET di scegliere se adottare una strategia
conflittuale o cooperativa.

La strategia conflittuale consiste in:

1) ingenti spese per mettere in palinsesto film e spettacoli che attirino il
pubblico
2) prezzi di vendita degli spazi bassi pubblicitari bassi per attirare le imprese
3) fare lobbying per ottenere legislazioni favorevoli a s e dannose per gli
l'avversario.

La strategia conflittuale molto costosa, ma se coglie impreparato l'avversario
pu dare notevoli vantaggi.

La strategia cooperativa consiste:

1) nell'accordarsi son il nemico (che diventa partner) per spartirsi il
mercato senza conflitti (la strategia cooperativa costa poco ma espone al
rischio di un attacco da parte del partner).

91

RAI e MEDIASET si trovano ad esempio in questa situazione: i valori indicano i
profitti attesi da RAI e MEDIASET a seconda delle situazioni:




La matrice dei pay-offs indica i profitti attesi dalle due aziende a seconda delle
strategie adottate. Ad esempio: se RAI coopera e MEDIASET confligge, RAI
ottiene profitti pari a zero e MEDIASET 10 miliardi. E cos via.

Si dimostra che il conflitto, sotto date condizioni, la strategia dominante, cio
quella che sar preferita da ciascuno indipendentemente dalle scelte dell'altro.

Infatti dal punto di vista della RAI:

se MEDIASET confligge alla RAI conviene confliggere
se MEDIASET coopera aa RAI conviene congliggere

lo stesso discorso vale per MEDIASET.

Risultato: entrambe le imprese sceglieranno il conflitto:






questo detto equilibrio non cooperativo di Nash.

interessante notare che si perviene a questo equilibrio nonostante che esso
generi per entrambe le imprese un risultato peggiore rispetto al caso della
cooperazione.

In certi casi tuttavia il risultato non-cooperativo inevitabile, poich la tentazione
di defezione da un accordo o anche solo la paura della defezione dell'altro
giocatore spinge entrambi al conflitto.

Se tuttavia il gioco ripetuto le cose possono cambiare ...

MEDIASET
conflitto cooperazione
RAI
conflitto 2, 2 10, 0
cooperazione 0, 10 6, 6
MEDIASET
conflitto cooperazione
RAI
conflitto 2, 2 10, 0
cooperazione 0, 10 6, 6
92

3.16 Dalla microeconomia alla macroeconomia neoclassica

Abbiamo detto che mentre i classici e Marx facevano partire le loro analisi
direttamente dallo studio del comportamento delle classi sociali, al contrario i
neoclassici fondavano le loro teorie sull'individualismo metodologico. Essi quindi
partivano sempre dallo studio del comportamento del singolo individuo: il singolo
consumatore, il singolo lavoratore, la singola impresa, ecc.

Finora abbiamo fatto esattamente questo: abbiamo infatti visto in che modo il
singolo consumatore punta a massimizzare l'utilit, in che modo la singola
impresa punta a massimizzare il profitto, ecc.

Il fatto per che i neoclassici si concentrino sul comportamento dei singoli non
impedisce di gettare uno sguardo sul funzionamento complessivo dell'intero
sistema economico.

Infatti, vero che i neoclassici partono sempre dalla microeconomia, cio dallo
studio del comportamento dei singoli individui e dalle singole imprese. Ma
anche vero che essi ritengono possibile passare dalla microeconomia alla
macroeconomia, cio allo studio dei grandi aggregati sociali e dell'economia nel
suo complesso.

Il passaggio dal micro al macro per i neoclassici consiste nella sommatoria dei
comportamenti individuali.

(Qualcosa del genere l'abbiamo gi intravista esaminando il passaggio dalla
domanda individuale alla domanda di mercato, ecc.)

Si vengono cos a creare agenti rappresentativi espressione delle sommatorie.

Seguendo questo intento diventa possibile costruire un modello neoclassico di tipo
macroeconomico, che ci consente di studiare l'economia nel suo complesso, e che
quindi ci permette di esaminare l'andamento di variabili importantissime come la
disoccupazione, l'inflazione, i salari, i tassi d'interesse, ecc.







93

Il modello macroeconomico che studieremo ispirato alla teoria della
disoccupazione di Pigou del 1933. Come vedremo, questo modello perviene a
risultati tipicamente liberisti, che saranno poi criticati da Keynes.

L'analisi viene qui effettuata sulla base di quattro ipotesi semplificatrici:

1) concorrenza perfetta: i singoli agenti (le imprese, lavoratori, etc. ...) sono
troppo piccoli e troppo numerosi per avere un potere di mercato.
2) Consideriamo l'economia di una nazione autarchica, cio chiusa agli
scambi con l'estero.
3) Si produce un solo bene (es. grano).
4) Breve periodo (il capitale fisso).

Ovviamente tali ipotesi semplificatrici possono essere rimosse (e le
rimuoveremo), ma per ora le manterremo per non complicare l'analisi.

Il modello macroeconomico neoclassico esamina il sistema economico di una
nazione, preso nel suo complesso, suddividendolo in quattro grandi mercati:

mercato del lavoro
mercato dei beni
mercato dei titoli (cio dei prestiti)
mercato monetario.

Iniziamo l'analisi del mercato del lavoro.

La domanda di lavoro delle imprese (attenzione: in economia le imprese
domandano lavoro e i lavoratori offrono lavoro.

Definiamo:

Y produzione nazionale
P prezzo della merce prodotta
w salario monetario dei lavoratori
N numero dei lavoratori occupati

Da notare che w/p indica il salario reale dei lavoratori, cio il potere d'acquisto del
salario. Es. se il salario mensile w =1000 e se il prezzo di un kg di grano
P=10 allora i lavoratori ogni mese possono comprare w/P =1000/10 =100 kg di
grano.



94

Tracciamo ora la funzione di produzione di una ipotetica impresa
rappresentativa data dalla sommatoria di tutte le imprese della nazione:

















La funzione di produzione ha la solita forma dettata dalla legge della produttivit
marginale del lavoro decrescente, dato il capitale K.

Dalla funzione di produzione si pu ricavare appunto la curva della PMG
L

decrescente.

Ora, facile dimostrare chela curva della PMG
L
decrescente corrisponde
esattamente alla domanda di lavoro delle imprese.

Noi sappiamo che in concorrenza perfetta le imprese massimizzano il profitto solo
se:

P =CMG

Ma sappiamo pure che il CMG =w/PMG
L
per cui possiamo scrivere:

P =
L
PMG
w
PPMG
L
=w

da cui:

PMG
L
=
P
w

Y
N
10
18
24
28
31
32
1 2 3 4 5 6
Y = Y(N)
N
1
4
3
8
6
10
1 2 3 4 5 6
PMG
L
PMG
L
95


L'impresa assume finch i lavoratori aggiuntivi rendono pi di quanto costano.
Ora, sappiamo che in concorrenza perfetta le imprese sono piccole e numerose e
quindi non hanno potere di mercato. Esse sono price-takers.

Il mercato dunque determiner i prezzi P e i salari w di equilibrio e le imprese si
adegueranno ad essi. (w, P) (Imprese)

Dunque, nel grafico che esprime la PMG
L
possiamo fissare un ipotetico w/P dato
esogenamente dal mercato:


















Quale sar il numero di lavoratori che l'impresa domander? chiaro che sar N
1
.

Per N
0
PMG
L
>w/P conviene aumentare N (c' ancora margine)

Per N
2
PMG
L
<w/P conviene diminuire N (si produce in perdita)

Per N
1
PMG
L
=w/P soddisfatta la condizione di massimo profitto

Dunque la PMG
L
corrisponde esattamente alla domanda di lavoro (N
D
=PMG
L
)
delle imprese. Quindi la domanda di lavoro N
D
decrescente: se w/P aumenta
allora N
D
si riduce, se w/P diminuisce allora la N
D
aumenta.

N
D
=PMG
L


N
PMG
L
2
PMG
L
0
PMG
L
1
= w/P
N
0
N
1
N
2
PMG
L
w/P, PMG
L
96


L'offerta di lavoro degli individui

Consideriamo un individuo rappresentativo, sommatoria di tutti i lavoratori
della nazione.
Sul grafico N, Y tracciamo le curve di indifferenza del lavoratore.





















L'ipotesi che abbiamo a che fare con un bene (la produzione Y) e con un male
(la fatica derivante dal lavoro N). Dunque lo scopo dei lavoratori di
massimizzare l'utilit situandosi pu in alto a sinistra. Sullo stesso grafico
tracciamo pure la retta del vincolo di bilancio dei lavoratori. chiaro che questi
potranno acquistare un ammontare di beni Y che dipende dalla quantit di lavoro
N erogato e dal salario w/P secondo l'equazione:

Y =(w/P)N Vincolo di bilancio dei lavoratori

Ovviamente, il vincolo di bilancio ci dice che, a parit di w/P, se N aumenta ci
implica un incremento del reddito Y consumabile dai lavoratori (la retta di
bilancio in questo caso resta ferma). Inoltre se, a parit di N, aumenta w/P, allora i
lavoratori potranno acquistare pi merce (la retta di bilancio, in questo caso, ruota
verso sinistra e verso l'alto, in senso antiorario con centro nell'origine degli assi).
N
Y
w/P
Y =(w/P)N
N*
97

Per ogni vincolo di bilancio (per ogni w/P), i lavoratori possono determinare la
quantit di lavoro (N*) che massimizza la loro utilit, cio si collocano sulla curva
di indifferenza pi alta possibile (quella tangente al vincolo di bilancio).
Vediamo ora cosa accade se si verifica un aumento del salario reale w/P (che
sempre determinato in modo esogeno dal mercato: i lavoratori non hanno potere
di mercato, anche loro sono price-taker).





































N
Y
(w/P)
0
Y = (w/P)
1
N
N
w/P
Y = (w/P)
0
N
(w/P)
1
N
0
N
1
N
0
N
1
N
s
(w/P)
1
(w/P)
0
98




L'aumento del salario reale da (w/P)
0
a (w/P)
1
fa ruotare il vincolo di bilancio in
alto e modifica quindi il punto di ottimo. La conseguenza che i lavoratori si
rendono disponibili a offrire pi lavoro (da N
0
a N
1
). Possiamo quindi riportare i
livelli del salario reale e i corrispondenti livelli di lavoro offerto dagli individui su
di un grafico sottostante. Otteniamo cos la curva di offerta di lavoro (N
s
) da parte
di lavoratori. La curva di offerta crescente:

se w/P aumenta, allora N
s
cresce,
se w/P diminuisce, allora N
s
si riduce.

L'equilibrio del mercato del lavoro:























I neoclassici sostengono che le forze del libero mercato, lasciate a s stesse,
porteranno automaticamente a quel salario reale (w/P)* che garantisce l'equilibrio
tra domanda (N
D
) e offerta (N
S
) di lavoro.

Supponiamo infatti che il salario reale di mercato sia (w/P)
0
. In corrispondenza di
questo salario si ha un eccesso di offerta di lavoro rispetto alla domanda di lavoro:
N
w/P
E
N*
N
S
(w/P)*
N
D
99


(w/P)
0
N
S
>N
D

Questa una situazione di disoccupazione. I lavoratori che si offrono sono N
S
0
ma
le imprese assumono solo N
D
0
. C' quindi un numero di disoccupati involontari
pari al segmento N
S
0
-N
D
0
.






















Questi disoccupati si dicono involontari perch al salario di mercato vigente
(w/P)
0
essi vorrebbero lavorare ma un lavoro non lo trovano.

Per i neoclassici tuttavia questa situazione solo temporanea. Il meccanismo di
mercato condurr spontaneamente il sistema all'equilibrio in E. I disoccupati
infatti (essendo tra loro in concorrenza) eserciteranno una pressione verso il basso
sui salari, che far aumentare la domanda di lavoro N
D
e diminuire l'offerta N
S

fino all'equilibrio.

La riduzione di w/P provoca:

un aumento della domanda di lavoro N
D
: riducendosi il costo del lavoro le
imprese possono assumere lavoratori aggiuntivi, che hanno una marginale
inferiore.
N
w/P
E
N*
N
S
(w/P)*
N
D
N
D
0
N
S
0
(w/P)
0
A B
100

Una riduzione dell'offerta di lavoro N
S
: alcuni lavoratori, vedendo che il
salario si riduce, ritengono che il gioco non valga la candela e scelgono di
ritirarsi dal mercato.

In corrispondenza dell'equilibrio (E) la domanda di lavoro N
D
uguale all'offerta
N
S
(cio E N
D
=N
S
). Tutti i lavoratori disposti a lavorare (ad offrire lavoro) al
salario reale vigente (w/P)* troveranno una corrispondente domanda di lavoro e
quindi la caduta del salario si arresta.

Si noti che in corrispondenza di E non ci sono pi disoccupati involontari.

Restano per dei disoccupati volontari, che al salario vigente non sono disposti a
lavorare ma che si renderebbero disponibili ad un salario maggiore (si tratta del
segmento N
S
0
-N*).

I neoclassici tuttavia sostengono che i disoccupati volontari hanno liberamente
scelto di non lavorare. E quindi essi non costituiscono un problema politico

L'importante per i neoclassici che il mercato sia in grado di assorbire
spontaneamente la disoccupazione involontaria, cio sia in grado di garantire un
posto a tutti i lavoratori disposti a lavorare al salario di mercato di equilibrio.

Visto che in equilibrio il sistema riesce ad eliminare la disoccupazione
involontaria, allora si pu parlare di equilibrio di piena occupazione.

Come rispondeva questo modello alla grande crisi ????

Ma allora, come si spiega la presenza di tanti disoccupati nel 1933? ovviamente
non li si poteva considerare tutti disoccupati volontari .

La risposta di Pigou e degli altri neoclassici dell'epoca che i sindacati
impediscono che il salario si riduca fino al livello di equilibrio.

I sindacati cio inchiodano il sistema economico nel punto A del grafico
precedente bloccando il libero operare delle forze del mercato e generando
disoccupazione involontaria pari ad AB.







101


Dal mercato del lavoro al mercato dei beni









































N
w/P
E
N*
N
S
(w/P)*
N
D
N
Y
N*
Y = Y(N)
Y*
102

Una volta determinato l'equilibrio sul mercato del lavoro, noto il numero dei
lavoratori occupati N*. Noto il numero degli occupati, in base alla funzione di
produzione Y=Y(N) si pu determinare il livello di produzione Y* di equilibrio.

Una volta determinato il livello di produzione, si pone il problema fondamentale:
cosa garantisce che l'intera produzione Y* venga assorbita dalla domanda? Chi ci
assicura cio che le imprese riescano a vendere tutta la merce prodotta.

La questione fondamentale: chiaro infatti che l'equilibrio di pena occupazione
pu reggere solo se Y* viene venduto interamente.

I neoclassici rispondono a questo interrogativo attraverso due proposizioni:

1) per ogni data produzione Y realizzata le imprese distribuiscono alle famiglie
dei lavoratori e capitalisti un reddito Y di importo equivalente. (Attenzione: ci
significa che Y rappresenta sia la produzione nazionale sia il reddito nazionale).

2) Le famiglie di lavoratori e capitalisti, una volta ricevuto il reddito Y, lo
spendono interamente per l'acquisto della produzione (di quanto stato prodotto).

















Ora, se le famiglie dei lavoratori e dei capitalisti spendessero tutto il loro reddito
per l'acquisto di beni di consumo, non vi sarebbe alcun problema.

Ma nella realt le famiglie spendono per consumi (C) solo una parte del reddito,
mentre un'altra parte la risparmiano (S)!!!


IMPRESE FAMIGLIE
Y
reddito Y
produzione
spesa di tutto il reddito
103

Dunque poich una parte del reddito nazionale viene risparmiata, a quanto pare
una parte della produzione rester invenduta. Infatti, visto che produzione e
reddito sono equivalenti la produzione sar interamente acquistata se tutto il
reddito viene speso!

I neoclassici reagiscono a questo problema sostenendo che la parte di reddito che
le famiglie risparmiano verr interamente prestata alle imprese che useranno
questo reddito per fare investimenti (I). Cio per acquistare mezzi di produzione
(macchine, impianti, ecc.).

Dunque, ricapitolando: dall'equilibrio del mercato del lavoro emerge un livello di
produzione Y corrispondente alla piena occupazione.

Tale produzione sar interamente venduta solo se viene rispettata questa
condizione:

produzione =domanda

Y =C +I
C +S =C +I
S =I

Ma chi ci garantisce che S e I saranno uguali? Dopotutto si tratta di decisioni
prese da soggetti diversi.

La risposta dei neoclassici che il tasso di interesse i garantir il perfetto
equilibrio tra S e I. Infatti:

- Le famiglie decidono tra C e S in base a i. Se i aumenta le famiglie riducono i
consumi e S aumenta.
- Le imprese decidono I in base al costo dei prestiti i. Se i aumenta, allora I si
riduce.

Quindi possiamo tracciare due funzioni, S e I.

Le forze spontanee del mercato, lasciate a s stesse, garantiranno un tasso di
interesse di mercato i tale che S=I.






104





















Dunque cos come il salario reale w/P garantisce l'equilibrio tra domanda e offerta
di lavoro, cos il tasso di interesse i garantisce l'equilibrio tra risparmi S e
investimenti I (ossia, C+S =C+I e Y =C+I).

Con ci i neoclassici dimostrano che l'equilibrio di piena occupazione stabile,
visto che la produzione di piena occupazione sar interamente assorbita dalla
domanda, o come domanda di C o come domanda di I.

Se si lascia fare al mercato, non sussiste alcun rischio di merci invendute!!!



LA TEORIA QUANTITATIVA DELLA MONETA

Le conclusioni del modello macroeconomico neoclassico sono palesemente
liberiste. Le forze del mercato, lasciate a s stesse, garantiscono il pieno impiego
dei lavoratori e l'acquisto dell'intera produzione realizzata.

L'intervento statale inutile se c' disoccupazione, colpa dei sindacati.

Non solo! I neoclassici puntano a dimostrare che l'intervento statale pu anche
essere dannoso.

S, I
i
E
I*=S*
S
i*
I
I
0
S
0
i
0
A
B
105

Un esempio in questo senso dato dalla teoria neoclassica della moneta, detta
Teoria Quantitativa (Irving Fisher, 1911).

Per esaminare questa teoria definiamo:

M quantit di moneta (banconote) creata dalla Banca Centrale.

V velocit di circolazione della moneta (numero di volte che ogni banconota
passa di mano in un anno

P livello dei prezzi

Y produzione.

Definiamo quindi:

con MV la quantit di moneta complessivamente offerta in un anno. Infatti, se
moltiplichiamo il numero di banconote per il numero delle volte che ogni
banconota passa di mano, chiaro che calcoliamo il totale della moneta offerta e
scambiata in un anno.

Con PY definiamo il valore della produzione offerta e scambiata, cui corrisponde
ovviamente una quantit equivalente di moneta domandata in cambio.

Possiamo dunque stabilire che:

MV =PY

il che al momento una mera tautologia, cio una ovviet. chiaro infatti che a
fronte del totale della moneta MV scambiata corrisponder il valore della
produzione PY scambiata (che coincide con il totale della moneta domandata).

I neoclassici tuttavia trasformano la tautologia in una equazione imponendo delle
ipotesi:

M data dalle autonome decisioni della Banca Centrale

V data dalle abitudini di pagamento della produzione

Y data dall'equilibrio di piena occupazione sul mercato del lavoro.

L'unica incognita dunque P:

106


PY =MV

M
Y
V
= P


questa equazione ci dice che, dati V e Y, se la Banca Centrale decide di aumentare
M, l'unico effetto di questa decisione sar un aumento del livello dei prezzi P.

Il risultato dipende strettamente dall'ipotesi di piena occupazione.

Infatti, se la Banca Centrale aumenta M in circolazione, gli individui disporranno
di pi moneta. Essi quindi useranno la moneta per comprare merci. Ma essendo la
produzione gi al livello di piena occupazione allora non potr aumentare. Di
conseguenza, di fronte all'incremento di domanda di merci le imprese finiranno
per aumentare P.

L'intervento politico della Banca Centrale, magari finalizzato a stimolare la
domanda, ad aumentare Y e l'occupazione N, in realt inutile (Y gi al pieno
impiego) ed pure dannoso (poich genera inflazione).

Le conclusioni del modello sono ancora una volta liberiste:

- neutralit della moneta
- orientamento restrittivo della politica monetaria (riduzione di P senza costi su Y)

Il sistema di equazioni del modello macroeconomico neoclassico:

N
S
=N
S
(w/P)
N
D
=N
D
(w/P)
N
S
=N
D

Y =Y(N
S
)

S =S(i)
I =I(i)
S =I

MV =PY
w =(w/P)P


107

Esempio:

N
S
=60 +(w/P)
N
D
=120 2 (w/P)
N
S
=N
D

Y =(N
S
)
1/2

S =2 +i
I =11 2 i
S =I

45 2 =PY
w =(w/P)P


60 +(w/P) =120 2 (w/P)

3 (w/P) =120 60

w/P =60/3 =20

N
S
=60 +20 =80

Y =(80)
1/2
= 9 80 ~


S =I 2 +i =11 2 i 3 i =9 i =9/3 =3

S =I =2 +3 =5

PY =452 =90 P9 =90 P =90 / 9 =10

w =(w/P)P =20 * 10 =200









108

LA CRISI PER I NEOCLASSICI

Notiamo un'ultima cosa.

Supponiamo che si verifichi una crisi di fiducia delle aspettative di profitto.

Conseguenza: gli imprenditori riducono gli investimenti I.





















Per i neoclassici non c' problema. Il movimento del tasso di interesse metter in
equilibrio il sistema. Infatti il tasso di interesse si ridurr portando in equilibrio il
risparmi e investimenti. Alla riduzione dei risparmi corrisponder subito un
aumento dei consumi che compenser la riduzione degli investimenti.










S, I
i
S
I
I'
109

Ma se volessimo tornare ai livelli di investimento precedenti? Semplice, basta che
l'orientamento al risparmio delle famiglie aumenti:

con l'aumento dei risparmi delle famiglie (la curva dei risparmi S ora si sposta
verso destra) si ridurrebbe il tasso di interesse e quindi aumenterebbero gli
investimenti.

La virt della parsimonia quale fattore chiave dell'accumulazione e dello sviluppo
economico


































S, I
i
S
I
I'
S'
110


I V

DI SPENSE I NTEGRATI VE
DEL MANUALE DI BLANCHARD



4.1 Una specificazione del modello di determinazione della produzione di
equilibrio

Nei primi tre capitoli del libro di Blanchard avete studiato il modello di
determinazione della produzione di equilibrio, in funzione del livello della
domanda di merci. Blanchard ritiene che questo modello valga solo nel breve
periodo, e sotto condizioni piuttosto restrittive. Noi pensiamo invece che tale
modello abbia una valenza esplicativa pi vasta, e quindi riteniamo opportuno
approfondirne qui le caratteristiche.

Come sapete, la struttura di partenza del modello questa. La domanda
complessiva di merci data dalla spesa per beni di consumo, dalla spesa per beni
dinvestimento e dalla spesa pubblica:

G I C Z + + =

Dove la spesa per consumi data da:

) (
1 0
T Y c c C + =

mentre investimenti, spesa pubblica e tasse possono essere considerati esogeni,
cio dati dalle decisioni autonome delle imprese e del governo. La condizione di
equilibrio tra produzione e domanda dunque:

Z Y =

Ricordiamo che il termine Y sta ad indicare sia il livello della produzione di merci
realizzata, sia il reddito distribuito. Produzione e reddito infatti sono sempre
equivalenti, dal momento che il valore della produzione venduta finisce
interamente, sotto forma di reddito, nelle mani dei capitalisti e dei lavoratori che
111

hanno concorso a realizzarla. Dunque un aumento della produzione realizzata e
venduta deve sempre corrispondere ad un aumento equivalente del reddito
distribuito ai capitalisti e ai lavoratori che hanno concorso alla sua realizzazione.
Ecco perch, nel definire Y, noi useremo indifferentemente sia il termine
produzione che il termine reddito.

Detto ci, torniamo alla condizione di equilibrio tra produzione domanda Y =Z.
Effettuando le sostituzioni e dopo qualche passaggio matematico:

T c G I c Y c
T c G I c Y c Y
G I T Y c c Y
G I C Y
1 0 1
1 0 1
1 0
) 1 (
) (
+ + =
+ + =
+ + + =
+ + =






alla fine si ottiene:


) (
1
1
) 1 (
1 0
1
T c G I c
c
Y + +

=


che appunto lequazione di equilibrio sul mercato dei beni, vale a dire
dellequilibrio tra produzione e domanda. Il termine tra parentesi detto spesa
autonoma (poich include le componenti della spesa dette autonome, nel senso
che non dipendono dal reddito), mentre il termine 1/1-c
1
detto moltiplicatore
della spesa autonoma. Conoscendo i livelli delle variabili esogene che concorrono
a determinare la domanda di merci (cio I, G, T, c
0
e c
1
), questa equazione
consente di determinare il livello di equilibrio della produzione Y.

Ovviamente lequazione pu essere modificata per calcolare non i livelli ma
direttamente le variazioni. Si pu cio ipotizzare che le componenti della
domanda si modifichino, e si pu desiderare di calcolare la variazione della
produzione che ne consegue. In tal caso lequazione diventa:

) (
1
1
) 2 (
1 0
1
T c G I c
c
Y A A + A + A

= A

112

Chiaramente pu ben darsi che tra le variabili che compongono la domanda solo
una si modifichi mentre le altre rimangono costanti. Supponiamo ad esempio che
si verifichi una crisi di fiducia da parte delle imprese sulle loro aspettative di
profitto. Gli imprenditori risultano cio sfiduciati sullandamento futuro
delleconomia, temono che venderanno poco e quindi ritengono che riusciranno a
conseguire ben pochi profitti. In tal caso essi non avranno alcuna intenzione di
espandere la loro attivit, e quindi decideranno di ridurre gli investimenti (cio
decideranno di ridurre la domanda di nuovi macchinari e impianti).
1
Ci significa
che gli investimenti si riducono (quindi AI<0), mentre c
0
, G e T per ipotesi restano
costanti (e quindi Ac
0
=AG =AT =0). Lequazione (2) allora diventa:

I
c
Y A

= A
1
1
1


Ovviamente, poich abbiamo assunto che la variazione degli investimenti sia
negativa, anche la variazione della produzione lo sar: AY<0. Il termine AY indica
dunque la riduzione della produzione causata da una riduzione della domanda di
beni dinvestimento.

Date queste equazioni, possiamo adesso effettuare alcuni esempi numerici.



ESEMPIO N.1: determinazione della produzione di equilibrio, date le
componenti della domanda. Ipotizziamo, a scopo puramente esemplificativo, che
le componenti autonome della domanda di merci e la propensione al consumo
allinterno del paese esaminato assumano i seguenti valori:
2



1
E sempre importante distinguere tra investimenti produttivi e investimenti finanziari. Nel
linguaggio corrente quando si parla genericamente di investimenti di solito ci si riferisce agli
investimenti finanziari, cio allacquisto di titoli da parte dei risparmiatori. Invece, salvo
specificazioni, quando parlano di investimenti gli economisti si riferiscono agli investimenti
produttivi, cio agli acquisti di nuovi macchinari, impianti e attrezzature da parte delle imprese. In
questo caso stiamo dunque parlando di investimenti produttivi delle imprese.
2
Le componenti autonome della domanda c
0
, I, G, T sono espresse in miliardi di euro. La
propensione al consumo c
1
indica invece la quota del reddito Y che viene consumata, e quindi pu
essere espressa come una frazione (ad esempio c
1
=0,5=1/2 significa che i cittadini del paese
esaminato tendono a consumare il 50% del loro reddito e a risparmiare il restante 50%).
113

2 / 1 5 , 0
100
100
200
50
1
0
= =
=
=
=
=
c
T
G
I
c


Sostituendo questi valori nella equazione (1), otteniamo il livello di equilibrio
della produzione:

600
) 300 ( 2
) 100 ) 2 / 1 ( 100 200 50 (
2 / 1 1
1
=
=
+ +

=
Y
Y
Y



ESEMPIO N.2: la crisi di fiducia. Supponiamo ora che si verifichi una crisi di
fiducia sulle prospettive di profitto, e quindi che gli investimenti delle imprese si
riducano. Ipotizziamo ad esempio che adesso I =150. Ci significa che, rispetto al
valore precedente, gli investimenti si sono ridotti di 50 miliardi. Possiamo dunque
usare lequazione (1) per calcolare il nuovo livello della produzione, tenendo
conto del nuovo livello di I. Avremo:

500
) 250 ( 2
) 100 ) 2 / 1 ( 100 150 50 (
2 / 1 1
1
=
=
+ +

=
Y
Y
Y



La produzione adesso pari a 500 miliardi, rispetto ai 600 realizzati prima della
crisi. Alternativamente possiamo anche calcolare direttamente la variazione AY,
senza bisogno di calcolare i livelli. Sapendo che gli investimenti si sono ridotti di
AI = 50, mentre per ipotesi Ac
0
=AG =AT =0, sostituendo questi valori nella
equazione (2) otteniamo:

100
) 50 ( 2
) 50 (
2 / 1 1
1
= A
= A

= A
Y
Y
Y


114

La produzione dunque si ridotta di 100 miliardi (che corrispondono appunto alla
differenza tra il valore iniziale di 600 e quello successivo alla crisi di 500).
Insomma, la crisi innesca una caduta della domanda di merci, la quale costringe le
imprese a ridurre la produzione. Ed chiaro che questo dovrebbe implicare anche
una serie di licenziamenti e quindi una riduzione del numero degli occupati. Il
calo della domanda comporta dunque un calo della produzione e un aumento della
disoccupazione.

Si noti che, a fronte di una riduzione iniziale della domanda di merci (e in
particolare di beni dinvestimento) pari a 50, alla fine si assiste ad una riduzione
della produzione di 100. La produzione cio varia pi di quanto sia variata
inizialmente la domanda. Si ricordi che questo fenomeno dovuto al
moltiplicatore della spesa autonoma. Il moltiplicatore tende ad accentuare la
variazione iniziale della spesa autonoma. Il meccanismo tramite il quale esso
agisce il seguente: nel momento in cui la domanda di macchinari si riduce, le
imprese che producono i macchinari non riescono a venderli e quindi sono
costrette a licenziare; i lavoratori divenuti disoccupati non disporranno pi di un
reddito, e quindi ridurranno a loro volta i consumi; ci provocher una serie di
licenziamenti anche presso le imprese che producono beni di consumo; ci saranno
pertanto altri lavoratori disoccupati costretti a ridurre le loro spese, il che
provocher ulteriori cali di produzione e licenziamenti, e cos via. Alla fine di
questo processo cumulativo il calo della domanda e della produzione risulter per
lappunto moltiplicato rispetto al calo iniziale degli investimenti.





4.2 Il paradosso del risparmio

Abbiamo appena esaminato una caduta degli investimenti e quindi della
produzione e delloccupazione. Alcuni economisti di stampo liberista talvolta
hanno affermato che per rimediare a un calo degli investimenti occorre aumentare
i risparmi. Lidea che le famiglie consumano troppo e quindi forniscono poco
risparmio alle imprese per il finanziamento degli investimenti. Secondo questa
visione, solo se la popolazione riduce il consumo e decide di rendere disponibili
maggiori risparmi per le imprese, queste ultime potranno usarli per aumentare gli
investimenti in nuovi macchinari e attrezzature e rendere cos pi efficiente e
produttiva leconomia. Stando a questa concezione che era molto in voga tra gli
economisti liberisti dellInghilterra vittoriana di fine 800 e che oggi pare
tornata di moda - solo attraverso le virt della parsimonia e dellastinenza dai
consumi, che si pu uscire da una crisi e sviluppare leconomia.

115

Questa visione stata fortemente criticata da John Maynard Keynes, autore della
Teoria generale del 1936. Keynes, che scriveva in unepoca di grave crisi
economica mondiale, sostenne che il tentativo di risollevare leconomia riducendo
i consumi per aumentare i risparmi avrebbe soltanto peggiorato la situazione
economica. In particolare, Keynes mise in luce lesistenza di un paradosso del
risparmio, che andava contro i luoghi comuni dei teorici dellastinenza: il
paradosso infatti evidenzia che se si riducono i consumi la produzione non
aumenta ma si riduce, ed inoltre i risparmi non aumentano ma restano invariati.

Per comprendere il senso della critica di Keynes, applichiamo la ricetta dei
liberisti e vediamo cosa accade. Supponiamo che per uscire dalla crisi si decida di
ridurre il consumo autonomo c
0
. Si spera che in tal modo i consumi si riducano, i
risparmi aumentino e quindi vi siano pi risorse finanziarie per riattivare gli
investimenti delle imprese e per rilanciare la produzione. Ma al di l degli auspici,
quali saranno gli effetti reali di questa riduzione del consumo autonomo? Come
vedremo, gli effetti sono due: la domanda, la produzione e il reddito si riducono,
mentre il risparmio resta invariato.

Dimostriamo questi risultati riprendendo lequazione (1) della produzione di
equilibrio:

) (
1
1
) 1 (
1 0
1
T c G I c
c
Y + +

=


Da questa equazione rileviamo facilmente che la riduzione di c
0
implica una
riduzione della domanda di merci e quindi anche della produzione,
delloccupazione e del reddito. Si viene pertanto a determinare un effetto
esattamente opposto a quello auspicato, e questo per una ragione molto semplice:
gli economisti che intendono applicare le ricette dellepoca vittoriana, e che
propongono quindi la riduzione dei consumi e laumento dei risparmi per
risollevare leconomia, non tengono conto del fatto che se si riducono i consumi si
determina un calo ulteriore di domanda, di produzione, di occupazione e di
reddito, e quindi un aggravamento della crisi.

Ma c di pi. E possibile infatti dimostrare che, contrariamente alle attese, la
riduzione del consumo autonomo non riesce nemmeno a provocare un aumento
dei risparmi. Il che in effetti sembra strano, nel senso che di fronte a un calo dei
consumi pare naturale attendersi un aumento corrispondente dei risparmi. Per
spiegare questo apparente paradosso prendiamo lequazione del risparmio S.
Questo dato dal reddito al netto delle tasse, meno i consumi:

C T Y S =
116


da cui, sostituendovi lequazione del consumo, otteniamo:

) )( 1 (
) (
1 0
1 0
T Y c c S
T Y c c T Y S
+ =
=


Da questultima equazione possiamo trarre le seguenti considerazioni. Vediamo
subito che la riduzione del consumo autonomo d luogo a due effetti contrastanti:
da un lato essa provoca effettivamente un aumento diretto del risparmio S;
dallaltro lato, per, come abbiamo visto prima, al diminuire di c
0
si verifica pure
una riduzione della domanda, quindi una riduzione della produzione e del reddito
Y e dunque anche un calo del risparmio S. Il che dopotutto ovvio: la caduta dei
consumi provoca cali di produzione e di occupazione, ed chiaro che se
aumentano i disoccupati questi si ritroveranno senza reddito e quindi anche senza
possibilit di risparmiare.

La riduzione del consumo autonomo produce dunque due effetti contrastanti sul
risparmio: uno diretto che positivo, e laltro mediato dalla domanda e dal reddito
che invece negativo. Ma quale dei due effetti tende a prevalere? Alla fine si
dimostra che i due effetti si elidono a vicenda, e quindi il risparmio non subisce
alcun mutamento in seguito alla riduzione del consumo autonomo. Infatti,
partendo dalla equazione dellequilibrio tra produzione e spesa:

G I C Y + + =

Sottraendo a destra e a sinistra T e C, otteniamo:

T G I C T Y + =

Ma il termine a sinistra corrisponde proprio al risparmio S, e quindi possiamo
scrivere:

T G I S + =

Ora, si vede chiaramente che in equilibrio il risparmio dipende esclusivamente
dagli investimenti delle imprese e dalla spesa pubblica al netto delle tasse. Ma
questi come noto sono tutti dati esogeni. Per cui, se questi dati non si
modificano, nemmeno il risparmio pu modificarsi, nonostante che il consumo
autonomo si sia ridotto. Ecco dunque dimostrato il paradosso del risparmio.


117

ESEMPIO N.3: il paradosso del risparmio. Il fatto che la riduzione del consumo
autonomo non riesca a risollevare leconomia, ma provochi al contrario un calo di
produzione e lasci pure del tutto invariato il risparmio, pu essere verificato
tramite un esempio numerico. Supponiamo che, dopo la crisi di fiducia e la caduta
degli investimenti, si cerchi di risollevare leconomia tramite una riduzione di c
0

da 50 a 40 miliardi. I dati dunque sono:

2 / 1 5 , 0
100
100
150
40
1
0
= =
=
=
=
=
c
T
G
I
c


Calcoliamo la produzione di equilibrio:

480
) 240 ( 2
) 100 ) 2 / 1 ( 100 150 40 (
2 / 1 1
1
=
=
+ +

=
Y
Y
Y


Rileviamo subito che la riduzione del consumo autonomo, anzich migliorare la
situazione, ha provocato un ulteriore calo della produzione. Vediamo infine cosa
accaduto al risparmio. Data lequazione del risparmio riportata in precedenza:

) )( 1 (
1 0
T Y c c S + =

calcoliamo innanzitutto il livello del risparmio prima della riduzione del consumo
autonomo, cio con c
0
=50 e Y =500:

150 ) 100 500 )( 2 / 1 1 ( 50 = + = S

Ricalcoliamo quindi il risparmio dopo la riduzione del consumo autonomo, cio
con c
0
=40 e Y =480:

150 ) 100 480 )( 2 / 1 1 ( 40 = + = S

Come si vede, la riduzione del consumo autonomo non ha provocato alcun effetto
sul risparmio, visto che il calo di c
0
perfettamente compensato dal calo di
domanda e quindi di Y. Il paradosso dunque confermato. Per uscire dalla crisi
occorre cercare altre strade. Ad esempio, come vedremo, la politica espansiva.
118







4.3 Spesa pubblica, tassazione e teorema di Haavelmo sul bilancio in pareggio


ESEMPIO N.4: una politica di espansione della spesa pubblica. E chiaro che la
crisi di fiducia, e la conseguente riduzione della domanda e della produzione,
avranno scatenato unondata di licenziamenti, e avranno quindi accresciuto la
disoccupazione. In tal caso le autorit politiche potrebbero cercare di effettuare
politiche espansive, al fine di aumentare la domanda di merci ed uscire cos dalla
crisi. Supponiamo ad esempio che le autorit di governo decidano di aumentare la
spesa pubblica. Ad esempio, possiamo assumere che la spesa pubblica diventi G =
150, ossia aumenti di AG =50 rispetto al suo valore iniziale di 100. Dunque ora
abbiamo:

2 / 1 5 , 0
100
150
150
50
1
0
= =
=
=
=
=
c
T
G
I
c



Utilizzando sempre lequazione (1), possiamo calcolare il nuovo livello di
equilibrio della produzione:

600
) 300 ( 2
) 100 ) 2 / 1 ( 150 150 50 (
2 / 1 1
1
=
=
+ +

=
Y
Y
Y



Si noti che, grazie allaumento della spesa pubblica, il governo riuscito a
riportare leconomia al livello di produzione antecedente alla crisi. Ovviamente lo
stesso calcolo poteva essere direttamente effettuato sulle variazioni, senza passare
per il calcolo dei livelli. Sapendo che AG =50, e assumendo sempre per ipotesi
che Ac
0
=AI =AT =0, usando la (2) otteniamo:

119

100
) 50 ( 2
) 50 (
2 / 1 1
1
= A
= A

= A
Y
Y
Y



che corrisponde esattamente allaumento della produzione dal livello di 500
causato dalla crisi al nuovo livello di 600 generato dallespansione della spesa
pubblica. Si noti che il moltiplicatore della spesa autonoma funziona non solo in
negativo, come nel caso precedente, ma anche in positivo come in questo caso.
Infatti, al governo bastato un aumento di spesa pubblica di 50 per ottenere un
aumento finale della produzione di 100. Posto ad esempio che il governo abbia
speso 50 miliardi per la costruzione di nuovi edifici scolastici, evidentemente avr
impiegato nei cantieri dei lavoratori che precedentemente erano disoccupati e
quindi nullatenenti. Questi lavoratori, essendo occupati, adesso dispongono di un
reddito e quindi potranno aumentare a loro volta i consumi, il che far aumentare
lattivit delle imprese produttrici di beni di consumo, e dunque anche
loccupazione di ulteriori lavoratori presso di esse, e cos via. Alla fine laumento
della spesa complessiva, e conseguentemente anche della produzione e degli
occupati necessari a realizzarla, maggiore della spesa pubblica iniziale.

Si noti che il moltiplicatore, rappresentato dal termine 1/1-c
1
, genera effetti tanto
pi intensi quanto maggiore la propensione al consumo. Ad esempio, se c
1

aumenta da 1/2 a 2/3 il motiplicatore 1/1-c
1
aumenta da 2 a 3 e quindi tende ad
accentuare la variazione iniziale della spesa autonoma. La spiegazione semplice:
se i lavoratori hanno una forte propensione a consumare, allora nel momento in
cui vengono assunti e retribuiti tratterranno poco reddito per fini di risparmio e
tenderanno a spenderne molto per consumi. Ci significa che solo una piccola
parte del reddito rester giacente nei portafogli, mentre la maggior parte verr
rimessa nel circuito economico, il che dar luogo ad un elevato effetto
moltiplicativo sulla domanda e sulla produzione.


ESEMPIO N.5: una politica di riduzione della tassazione. In effetti, per stimolare
la domanda di merci e uscire cos dalla crisi, il governo potrebbe anche ridurre le
tasse anzich aumentare la spesa pubblica. Le tasse sono fondamentali per
finanziare lamministrazione dello Stato e i servizi essenziali come lordine
pubblico, la sanit, listruzione, ecc. Al tempo stesso per esse sottraggono
reddito ai singoli cittadini, e quindi tendono a deprimere le loro spese per consumi
privati. Abbattendo la tassazione, il governo pu quindi lasciare ai privati una
maggiore disponibilit di reddito, e permette ad essi di accrescere la domanda di
merci. In sostituzione di AG =50, il governo pu dunque decidere di ridurre le
120

tasse di AT = 50. Senza bisogno di calcolare il livello, soffermiamoci
direttamente sulla variazione della produzione che consegue alla riduzione delle
tasse. Sapendo che AT = 50, e che per ipotesi Ac
0
=AI =AG =0, sostituendo
questi valori nella equazione (2):

) (
1
1
1 0
1
T c G I c
c
Y A A + A + A

= A

otteniamo che:

50
) 25 ( 2
)) 50 )( 2 / 1 ( 0 0 0 (
2 / 1 1
1
= A
= A
+ +

= A
Y
Y
Y


A questo punto fondamentale notare una differenza tra la politica precedente, di
espansione della spesa pubblica, e la politica appena esaminata, basata sulla
riduzione delle tasse. Laumento di spesa pubblica pari a 50 aveva infatti
provocato un aumento complessivo della produzione pari a 100. In questo caso,
invece, una riduzione delle tasse di 50 (ovvero una riduzione di pari entit rispetto
allaumento della spesa pubblica) provoca un aumento della produzione di soli 50
miliardi, ossia molto minore. Dunque la politica basata sulla espansione della
spesa pubblica G risulta pi efficace della politica fondata sulla riduzione delle
tasse T. Quali sono le cause di questa diversa efficacia? La risposta pu essere
individuata osservando nuovamente lequazione (2):

) (
1
1
1 0
1
T c G I c
c
Y A A + A + A

= A

Da questa equazione si rileva chiaramente che mentre le variazioni di G si
scaricano interamente sulla produzione Y, invece solo la percentuale c
1
delle
variazioni di T si ripercuote su Y. La ragione che se il governo aumenta ad
esempio G di 50 miliardi, questi si trasformeranno interamente in maggiore spesa
(es. per la costruzione di edifici scolastici, di strade, ecc.) e quindi anche in
maggiore produzione e in maggiore reddito per i lavoratori che partecipano alla
produzione. Al contrario, se il governo riduce T di 50 miliardi, i cittadini
effettivamente si ritroveranno con un reddito disponibile maggiore, ma di questo
maggiore reddito essi ne spenderanno soltanto una parte. Ad esempio, se la
propensione al consumo c
1
=1/2, questo significa che i cittadini spendono solo il
50% dei loro redditi a fini di consumo, mentre accantonano laltro 50% sotto
forma di risparmio. Dunque, se a seguito di una riduzione delle tasse i cittadini si
121

trovano con 50 miliardi in pi di reddito disponibile, essi ne spenderanno solo 25
e quindi alla fine questa politica dar luogo ad un aumento di domanda e di
produzione inferiore rispetto a quella basata sulla spesa diretta del governo.

La maggiore efficacia di G rispetto a T pu essere formalizzata attraverso il
cosiddetto teorema di Haavelmo sul bilancio in pareggio. Per descrivere il
teorema, partiamo dalla seguente ipotesi: per evitare di aggravare il disavanzo
pubblico il governo intende finanziare tutti gli aumenti di spesa pubblica con
uguali incrementi della tassazione. Il disavanzo (detto anche deficit) di bilancio
pubblico dato infatti dalleventuale eccesso di spese dello Stato G rispetto alle
entrate fiscali T.

(3) Deficit pubblico =G - T

Se si vuole evitare questo disavanzo, se cio si vuole mantenere il bilancio
pubblico in pareggio, occorre che G e T siano uguali e si muovano assieme. Ossia,
partendo da una ipotetica situazione di pareggio, per mantenerla occorre che: AG
=AT.

A prima vista si potrebbe pensare che questo tipo di politica non provochi alcun
effetto sul livello di equilibrio della produzione Y. Si pu infatti presumere che
lespansione della domanda di merci causata dallaumento di G venga
perfettamente neutralizzata dalla riduzione della domanda causata dal pari
aumento di T. In realt, contrariamente alle apparenze, il teorema di Haavelmo
dimostra che la politica basata sul bilancio in pareggio (cio su AG =AT) d
luogo a un incremento di Y.

Per dimostrare questo teorema partiamo dalla equazione (2), che ci dice di quanto
varia Y al variare delle componenti autonome della domanda, cio nel nostro caso
al variare di G e di T:

) (
1
1
1 0
1
T c G I c
c
Y A A + A + A

= A

Se assumiamo che gli investimenti e i consumi autonomi non mutino, allora si ha
che Ac
0
=AI =0 e quindi possiamo riscrivere lequazione nel seguente modo:

) (
1
1
1
1
T c G
c
Y A A

= A

122

Ma noi sappiamo pure che, per ipotesi, il governo sta effettuando una politica di
bilancio in pareggio, per cui AG =AT. Possiamo quindi sostituire il termine AT
con AG e ottenere:

G
c
c
Y
G c
c
Y
G c G
c
Y
A

= A
A

= A
A A

= A
1
1
1
1
1
1
1
) 1 (
) 1 (
1
1
) (
1
1


da cui, semplificando numeratore e denominatore della frazione, si ottiene:

G Y A = A

Abbiamo dunque dimostrato che, con AG = AT, le due politiche non si
neutralizzano a vicenda ma hanno invece un effetto positivo sulla produzione. Pi
precisamente, laumento di Y sar esattamente pari allaumento iniziale di
spesa pubblica. Ma perch laumento delle tasse, pur essendo identico
allaumento della spesa pubblica, non riesce a neutralizzare questultima? La
ragione sempre la stessa. Laumento di spesa pubblica AG si traduce
interamente in spesa e quindi in un aumento della produzione. Invece luguale
aumento delle tasse AT, pur rappresentando una sottrazione di reddito ai privati,
se fosse rimasto nelle tasche di questi sarebbe stato speso non interamente ma solo
in parte, ossia nella percentuale data dalla propensione al consumo c
1
. Alla fine
dunque leffetto espansivo della spesa prevale sulleffetto restrittivo delle
tasse, e quindi domanda e produzione aumentano.




4.4 Il finanziamento del disavanzo pubblico e il Trattato di Maastricht

Abbiamo appena esaminato una politica basata sullobiettivo di mantenere il
pareggio di bilancio pubblico, finanziando gli incrementi di spesa pubblica G con
uguali incrementi delle entrate fiscali T.

E possibile tuttavia che un governo possa essere spinto ad effettuare delle spese
in disavanzo (detto anche deficit). Dallequazione (3) noi sappiamo che il deficit
pubblico si viene a creare quando la spesa pubblica eccede le entrate fiscali. Ci
sono varie ragioni per cui questo eccesso di spesa pu venirsi a creare. In primo
123

luogo, possibile che le autorit politiche siano indotte ad effettuare maggiori
spese per tentare di stimolare lattivit produttiva e quindi loccupazione. Inoltre,
pi in generale, i governi possono essere sottoposti a vari tipi di pressioni
politiche. Alcuni gruppi sociali chiederanno infatti di accrescere la spesa pubblica
(magari per migliorare i servizi sanitari, scolastici, i trasporti pubblici, ecc.), altri
reclameranno una riduzione della tassazione. Di conseguenza possibile che di
fronte a simili spinte contrastanti le autorit politiche finiscano per generare
deficit pubblici, ossia eccessi sistematici delle spese sulle entrate.

Quando uno Stato si trova in una situazione di deficit, pu finanziare le spese
eccedenti in due modi. Il primo modo consiste nel farsi prestare denaro dai
privati, ossia nellindebitarsi con i privati vendendo loro titoli del debito pubblico
(esempio tipico sono i BOT); in tal caso si avr una emissione di nuovi titoli, e
quindi un aumento del debito pubblico, che qui definiremo con il termine AB. Il
secondo modo di finanziamento verte sulla creazione di nuova moneta, ossia sulla
stampa di banconote da parte della banca centrale; in tal caso si avr un aumento
dellofferta di moneta, che qui definiremo con AM. Dunque, in linea di principio,
dato un certo livello del deficit pubblico G - T, si potr finanziarlo con una pari
variazione del debito pubblico, o della quantit di moneta, oppure di una
combinazione dei due:

M B T G A + A =

Fino alla seconda met degli anni 70, era prassi abbastanza consolidata favorire
lespansione della spesa pubblica al di l delle entrate fiscali attraverso laumento
del debito e la creazione di moneta. Questo orientamento ha indubbiamente dato
luogo a unespansione dellapparato burocratico dello Stato. Daltro canto esso ha
pure consentito ai governi di finanziare politiche di espansione della spesa
pubblica per accrescere la domanda e quindi la produzione e loccupazione.
Inoltre, la medesima impostazione ha favorito lo sviluppo del cosiddetto stato
sociale, vale a dire dellistruzione e della sanit pubblica garantita a tutti i
cittadini, e dei sistemi di previdenza e di assistenza sociale per i meno abbienti.
Tuttavia a partire dagli anni 80 si imposto un diverso orientamento, talvolta
definito liberista, teso ad impedire le politiche espansive e a contrastare la
crescita del bilancio statale attraverso lintroduzione di rigidi vincoli allaumento
del debito pubblico e della massa monetaria.

Il Trattato di Maastricht del 1991, che ha dato avvio al progetto della moneta
unica europea, stato fortemente ispirato da questa impostazione liberista. Infatti,
tra le altre cose, ai paesi membri dellUnione monetaria europea il Trattato
impone i seguenti divieti: 1) il divieto per la Banca centrale europea di finanziare
i deficit pubblici tramite creazione di moneta, un divieto che pu essere
facilmente espresso in termini algebrici nel seguente modo:
124


0 = AM

e 2) il divieto per gli stati membri dellUnione monetaria di finanziare i deficit
pubblici tramite emissione di titoli oltre il vincolo del 3% del Pil (che corrisponde
al livello di produzione Y). Questo secondo divieto pu essere espresso
algebricamente nel modo che segue. Partiamo dalla definizione del deficit
pubblico. In tal caso esso coincide con la sola emissione di nuovi titoli del debito
pubblico, visto che il Trattato esclude il finanziamento tramite creazione di
moneta:

B T G A =

dividiamo tutto per il Pil, ossia per il livello di produzione Y:

Y
B
Y
T G A
=



Infine, introduciamo il vincolo del 3% imposto dal Trattato di Maastricht:

%) 3 ( 03 , 0 s s
A
=

ossia
Y
B
Y
T G


ESEMPIO N.6: verifica del rispetto o meno del vincolo del 3% del Trattato di
Maastricht. Se prendiamo i dati del terzo esempio precedente - nel quale si
cercava di rimediare a una crisi di fiducia tramite la spesa pubblica si pu
verificare se quella situazione rispetti o meno il vincolo del Trattato. Sapendo che
G =150, che T =100 e che il livello di equilibrio della produzione Y =600,
otteniamo:

% 3 , 8 083 , 0
600
100 150
= =

Y
T G


Dunque ci troviamo di fronte a un livello del deficit pubblico che in base al
Trattato dovremmo considerare eccessivo, poich esso andrebbe ben al di l del
limite del 3% previsto dagli accordi europei. Anzich accrescere la spesa pubblica
il paese dovr dunque ridurla per rientrare nei limiti del Trattato, nonostante la gi
bassa domanda causata dalla crisi. Lesempio chiarisce che il vincolo del Trattato
pu mettere in seria difficolt un paese attraversato da una crisi, poich impedisce
di rimediare ad essa tramite lespansione della spesa pubblica.

125

Gli economisti di orientamento liberista tendono a difendere i divieti al
finanziamento dei deficit pubblici imposti dal Trattato di Maastricht. Molti di essi
infatti auspicano che i divieti del Trattato comprimano il bilancio pubblico e
quindi riducano la presenza dello Stato nelleconomia. Altri economisti, talvolta
ispirati dalle opere eterodosse di Marx e di Keynes, hanno invece criticato i divieti
imposti dal Trattato di Maastricht. Essi ritengono che tali vincoli impediscano di
effettuare politiche espansive e quindi costringano i paesi membri dellUnione
monetaria europea in una situazione di bassa domanda e quindi di bassa
produzione e occupazione. Gli stessi economisti ritengono inoltre che tali divieti,
restringendo il bilancio statale, provocheranno una drammatica riduzione della
produzione di beni e servizi pubblici destinati ai cittadini europei, e soprattutto ai
lavoratori e alle fasce sociali pi deboli. Viene dunque sollecitata una riforma del
Trattato di Maastricht, che elimini o almeno attenui i vincoli vigenti. La grave
crisi economica in corso potrebbe in effetti dare man forte alle loro tesi,
costringendo le istituzioni europee a rivedere almeno le clausole pi controverse
del Trattato.





4.5 La politica monetaria e il Trattato di Maastricht

Fino a questo momento abbiamo assunto che, a seguito di una crisi di fiducia e di
una conseguente caduta degli investimenti delle imprese, il governo intervenga
attraverso una politica di espansione della spesa pubblica e/o di riduzione delle
tasse. Tuttavia anche possibile che in una situazione del genere intervenga la
banca centrale al posto del governo (o al limite in concerto con esso). Ad
esempio, in Europa la Banca centrale europea (BCE) potrebbe esser chiamata a un
intervento per contrastare la crisi, negli Stati Uniti questo compito spetta alla
Federal Reserve (FED), ecc.

Quando c una crisi la banca centrale interviene con una politica monetaria
espansiva, cio con un aumento della quantit di moneta M in circolazione. La
banca centrale pu decidere di aumentare M al fine di ridurre il tasso dinteresse.
La riduzione dei tassi dinteresse rappresenta infatti una riduzione del costo dei
prestiti e pu quindi stimolare le imprese a chiedere finanziamenti alle banche per
riattivare gli investimenti, e con essi la domanda di merci e quindi la produzione e
loccupazione.

Ma qual la relazione che lega un aumento della quantit di moneta in
circolazione a una riduzione del tasso dinteresse? La spiegazione grafica - basata
sulla intersezione tra la curva di domanda di moneta e lofferta di moneta -
126

molto semplice, e pu essere facilmente rintracciata nel capitolo 4 del manuale di
Blanchard. Qui per ci soffermiamo sulla spiegazione economica, cio concreta,
del fenomeno.

La procedura solitamente adottata dalla banca centrale per modificare la quantit
di moneta circolante la cosiddetta operazione di mercato aperto, che non
altro che una operazione di compravendita di titoli e di moneta sul mercato
finanziario. La banca centrale entra cio in relazione con gli operatori privati che
agiscono su quel mercato. Ad esempio, se lobiettivo di ridurre il tasso
dinteresse e stimolare cos leconomia, allora la banca centrale dovr da un lato
offrire moneta e dallaltro domandare titoli. In questo modo infatti la banca
centrale crea un eccesso di domanda di titoli sul mercato che far aumentare il
prezzo dei titoli stessi (come accade per i prezzi di tutte le merci, anche i prezzi
dei titoli aumentano se c un eccesso di domanda, mentre diminuiscono se c un
eccesso di offerta).

Assumiamo ora che i titoli sul mercato siano a reddito fisso. Un caso tipico di
titoli a reddito fisso sono i titoli di Stato, emessi dai governi per farsi prestare
denaro dai privati (per esempio in Italia abbiamo i BOT). Un titolo a reddito fisso
definito cos poich alla scadenza di fine anno chi lo ha emesso tenuto a
pagare sempre la stessa somma al proprietario del titolo, ad esempio 100 euro.
Dunque il tasso dinteresse su questo titolo sar dato dalla differenza tra
rendimento e costo del titolo, cio sar dato dalla cedola di 100 euro che il
proprietario ottiene alla scadenza di fine anno, meno il prezzo al quale il
proprietario ha acquistato il titolo, il tutto diviso per il medesimo prezzo:

T
T
P
P
i

=
100


Questa formula ovviamente pu essere riscritta cos:

1
100
=
T
P
i

Per esempio, se un operatore privato compra al prezzo di 95 euro un titolo che a
fine anno dar una cedola fissa di 100 euro, chiaro che il tasso di interesse del
titolo sar pari a i =100/95 1 =0,052 =5,2%.

La formula chiarisce la relazione inversa tra prezzo del titolo e tasso dinteresse:
una operazione di mercato aperto basata su una maggiore offerta di moneta e su
una maggiore domanda di titoli da parte della banca centrale, far aumentare il
prezzo di mercato P
T
del titolo

e quindi (visto che il denominatore della frazione
127

aumenta) far diminuire il tasso dinteresse i. Il che del resto ovvio: loperazione
espansiva della banca centrale fa aumentare il prezzo di mercato del titolo, ma al
tempo stesso il rendimento assoluto che il titolo garantisce rimasto fisso a 100
euro. Pertanto, dopo loperazione della banca centrale accade che chi compra il
titolo sul mercato lo paga di pi, ma alla fine ottiene sempre la stessa somma di
cento euro. Pertanto chiaro che il tasso dinteresse cio il rendimento
percentuale del titolo rispetto al prezzo - si riduce.

In generale possiamo quindi scrivere che le operazioni di mercato aperto della
banca centrale possono essere:


Operazioni
espansive
La banca centrale offre
moneta e domanda titoli
Conseguenza: eccesso di
domanda di titoli
P
T
| i +
Operazioni
restrittive
La banca centrale
domanda moneta e offre
titoli
Conseguenza: eccesso di
offerta di titoli
P
T
+ i |


Abbiamo dunque chiarito il rapporto intercorrente tra quantit di moneta,
prezzo dei titoli e tasso dinteresse. Pi in particolare, abbiamo mostrato in che
modo la banca centrale pu aumentare la moneta in circolazione, aumentare il
prezzo dei titoli, ridurre il tasso dinteresse e cercare cos di stimolare gli
investimenti per far uscire leconomia da una situazione di crisi.

Tuttavia, cos come accadeva per le manovre sulla spesa pubblica e sulla
tassazione, anche la politica monetaria risulta oggigiorno fortemente vincolata. Il
Trattato di Maastricht, infatti, non solo vieta alla Banca centrale europea di
finanziare i deficit pubblici con moneta, ma pi in generale le impone di
perseguire politiche fortemente restrittive, al fine di contenere il pi possibile
linflazione. Il risultato che la Bce difficilmente potr decidere di espandere la
moneta in circolazione al fine di ridurre i tassi dinteresse per dare sostegno alla
domanda e alla produzione. Anche per questo motivo il Trattato di Maastricht
oggetto di numerose critiche.




4.6 Politica monetaria e speculazione

Ma se anche i vincoli del Trattato venissero eliminati o attenuati, la politica
monetaria espansiva potrebbe incontrare altri tipi di ostacoli in grado di renderla
comunque inefficace.
128


Un primo ostacolo risiede nel comportamento degli speculatori, vale a dire di
quegli operatori privati che effettuano compravendite sul mercato finanziario al
fine di lucrare guadagni dalle variazioni dei prezzi dei titoli. Gli speculatori
cercano infatti di comprare quando ritengono che i prezzi dei titoli siano bassi e
siano quindi destinati ad aumentare, e cercano invece di vendere quando ritengono
che i prezzi siano alti e siano pertanto destinati a cadere.

Gli speculatori cercano dunque di prevedere landamento futuro dei prezzi dei
titoli, in modo da poter lucrare su di essi. A seconda che prevedano rialzi o cadute
dei prezzi, essi si dividono in rialzisti (detti anche tori) e ribassisti (detti orsi).
Qui di seguito sono riportati due esempi di strategie speculative, rispettivamente
dei rialzisti e dei ribassisti:


Caso A: I rialzisti scommettono
su un aumento futuro di P
T

Caso B: I ribassisti scommettono
su una riduzione futura di P
T


1) Mi faccio prestare 100e al tasso del 10%
(quindi dovr restituire 110e)
2) Compro 50 titoli al prezzo corrente P
T
=2e
3) Attendo che il prezzo dei titoli aumenti
4) Rivendo i 50 titoli al nuovo prezzo P
T
=3e
5) Dalla vendita ricavo 150e
6) Restituisco i 110e dovuti al prestatore
7) Ed ottengo dunque 150 110 =40e
di guadagno speculativo netto.


1) Mi faccio prestare 50 titoli al tasso del 10%
(quindi dovr restituire i titoli pi il 10% del
loro
valore corrente)
2) Vendo i 50 titoli al prezzo corrente P
T
=3e
ed ottengo quindi 150e
3) Attendo che il prezzo dei titoli diminuisca
4) Ricompro i 50 titoli al nuovo prezzo P
T
=2e
spendendo quindi 100e per lacquisto
5) Restituisco i titoli al proprietario e pago
anche un
interesse di 15 (cio il 10% dei 150e che
valevano allinizio)
6) Alla fine mi restano 150 100 - 15 =35e
di guadagno speculativo netto


Chiaramente questi esempi si riferiscono a situazioni in cui gli speculatori vedono
confermate le loro attese. Ben diversa sarebbe la situazione se landamento dei
prezzi non confermasse le previsioni di tali operatori.

ESEMPIO N.7: speculazioni errate. Si calcoli il risultato netto del rialzista nel
caso in cui il nuovo prezzo di mercato del titolo sia P
T
=1e anzich P
T
=3e. Si
calcoli poi il risultato netto del ribassista nel caso in cui il prezzo di mercato del
titolo rimanga al livello iniziale P
T
= 3e anzich diminuire a P
T
= 2e. Si
129

verificher che in queste diverse circostanze gli speculatori conseguono delle
perdite in conto capitale.

Descritto a grandi linee il comportamento degli speculatori, si tratta ora di capire
in quale circostanza questi possono rendere inefficace una politica monetaria
espansiva. La circostanza in questione quella in cui sul mercato prevalgono
nettamente i ribassisti. Questi soggetti sono convinti che i titoli siano destinati a
deprezzarsi, e quindi non vedono lora di liberarsi degli stessi non appena
troveranno un acquirente. Pertanto, nel momento in cui la banca centrale
interviene sul mercato offrendo moneta e domandando titoli, essa si ritrover con
una gran massa di operatori pronti a venderle tutti i titoli di cui dispongono.
Questo significa che lofferta di titoli da parte dei ribassisti sar tale che non si
verr a creare nessun eccesso di domanda. La conseguenza che il prezzo dei
titoli non aumenta e il tasso dinteresse non diminuisce. La politica della banca
centrale risulta quindi inefficace a causa dellinterferenza degli speculatori.

In letteratura questo caso va sotto il nome di trappola della liquidit. Il nome
indica quelle situazioni in cui molti operatori finanziari vanno a caccia di moneta
liquida e cercano invece di liberarsi delle scorte di titoli, poich ritengono che
questi siano destinati a perdere valore. Essendo convinti di un prossimo ribasso
dei prezzi dei titoli, gli operatori cercano di venderli e di ottenere in cambio
moneta, detta anche liquidit.





4.7 Politica monetaria, libera circolazione dei capitali e controlli

Esiste infine un ulteriore ostacolo alla politica monetaria espansiva, che si
presenta nel caso in cui vi sia libera circolazione dei capitali da un paese
allaltro. Gli speculatori e gli altri operatori sui mercati finanziari, infatti, oltre a
fare scommesse sui prezzi futuri sono anche alla continua ricerca sul mercato
mondiale di titoli che assicurino il tasso dinteresse pi elevato.

Nel dopoguerra la ricerca da parte degli operatori privati di titoli ad elevato
rendimento era comunque limitata a causa dellesistenza di norme che ponevano
rigidi vincoli e controlli alla circolazione dei capitali da un paese allaltro.
Tuttavia, con il passare degli anni questi vincoli sono stati via via rimossi. La
conseguenza che oggi sussiste quasi in tutto il mondo una situazione di libera
circolazione dei capitali. E chiaro allora che in condizioni di piena libert di
movimento, i capitalisti finanziari cercano di spostare le loro ricchezze in quei
paesi che garantiscono pi vantaggi, e in particolare che assicurano tassi
130

dinteresse pi elevati rispetto agli altri. Tali movimenti di capitale da un paese
allaltro si arrestano solo nel momento in cui i titoli dei vari paesi offrono il
medesimo rendimento, al netto delle variazioni attese del tasso di cambio. La
condizione che ferma gli spostamenti, e che mette dunque in equilibrio i mercati,
detta condizione di arbitraggio, oppure condizione di parit scoperta dei tassi
dinteresse. Dal testo di Blanchard noi sappiamo che tale condizione data da:

e
t
t
t t
E
E
i i
1
*
) 1 ( 1
+
+ = +


dove la parte sinistra indica il rendimento i che si ottiene acquistando titoli
nazionali, mentre la parte destra indica il rendimento i* derivante dallacquisto di
titoli esteri. Questo secondo rendimento, si badi, calcolato includendo le
eventuali variazioni del tasso di cambio nominale E.
3


Ora, chiaro che finch la parte sinistra risulta inferiore alla parte destra
dellequazione, allora conviene spostare i capitali allestero per acquistare titoli
stranieri, che rendono di pi. Viceversa, nel caso in cui la parte sinistra sia
maggiore, conviene tenere i capitali in patria. Si comprende pertanto che se la
banca centrale vuole evitare fughe di capitali allestero, dovr sempre fissare
un tasso dinteresse interno in grado di rispettare la condizione di parit
scoperta, dati ovviamente il tasso prevalente allestero e il tasso di cambio atteso.

ESEMPIO N.8: il tasso minimo per evitare fughe di capitale. Assumendo che il
tasso di cambio corrente sia dato da E
t
= 1,08$/1e, che il tasso di cambio atteso
sia E
t+1
= 1$/1e, e che il tasso dinteresse sui titoli USA sia i* =0,1 (ossia il
10%), calcoliamo il tasso dinteresse i che la Banca centrale europea dovr fissare
per evitare fughe di capitale allestero:


3
Attenzione: qui si fa lipotesi che il tasso di cambio nominale E sia definito in termini del prezzo
della moneta nazionale in termini di moneta estera, dove per nazionale intendiamo lItalia e pi
in generale lEuropa, mentre per estero intendiamo prevalentemente gli Stati Uniti. Cio, dal
punto di vista di noi italiani (ed europei), definiamo il cambio come prezzo di un euro in termini di
dollari. Ad esempio, potremmo avere che E = 1,20$/1. Le versioni pi recenti del manuale di
Blanchard usano esattamente questa convenzione. Se invece si usa la definizione alternativa del
cambio, come prezzo della moneta estera in termini di moneta nazionale, oppure se per
nazionale si intendono gli USA (come accadeva nelle prime versioni del manuale di Blanchard
tradotte in italiano), allora la formula della condizione di parit va invertita.
131

188 , 1 1
1
08 , 1
) 1 , 0 1 ( 1
= +
+ = +
t
t
i
i


da cui si ricava che il tasso dinteresse europeo necessario ad evitare fughe di
capitale negli Stati Uniti dovr essere almeno pari a i
t
=0,188, cio al 18,8%. Si
noti che si tratta di un interesse pi elevato di quello americano, che pari al 10%.
La ragione per cui in questo esempio la Banca centrale europea, se vuole evitare
le fughe, deve fissare un tasso superiore a quello USA, dovuta al fatto che ci si
attende un deprezzamento delleuro, ossia una sua perdita di valore rispetto al
dollaro. Questa previsione incentiva gli operatori finanziari a spostare ricchezze
negli Stati Uniti. Per indurli a non spostare le ricchezze occorre quindi che il tasso
dinteresse europeo sia pi alto di quello americano cos da compensare la perdita
che ci si attende dal deprezzamento del cambio. Chiaramente lopposto
avverrebbe se ci si attendesse un apprezzamento delleuro: in tal caso la BCE
potrebbe rispettare la condizione di parit anche con un tasso dinteresse inferiore
a quello USA.

Naturalmente, al di l dellesempio specifico, chiaro che lesigenza di rispettare
la condizione di parit scoperta costituisce un grave ostacolo per la politica
monetaria delle banche centrali. Queste infatti non potranno ridurre i tassi
dinteresse a piacimento, visto che c sempre il rischio di provocare fughe di
capitale. Una conseguenza che in molte circostanze le banche centrali di paesi
afflitti da crisi economiche interne non solo non hanno potuto ridurre i tassi
dinteresse per tentare di stimolare leconomia, ma hanno addirittura dovuto
aumentarli per evitare fughe di capitale (col rischio di aggravare ulteriormente la
caduta della domanda interna e quindi la crisi).

I vincoli alla politica monetaria espansiva causati dal pericolo di fughe di capitale
hanno assunto negli anni 90 un rilievo drammatico, a seguito del ripetersi di crisi
valutarie ed economiche in Europa, in Asia e in America Latina. Sono state
pertanto avanzate delle proposte per tentare di dare maggiore libert di manovra
alla politica monetaria dei singoli paesi. In particolare, stata suggerita la
reintroduzione di limiti, pi o meno stringenti, alla circolazione dei capitali nel
mondo. Una ben nota proposta in tal senso la cosiddetta Tobin tax (dal nome
del suo ideatore, il premio Nobel per leconomia James Tobin), unimposta su
tutti gli scambi tra valute finalizzata a rendere costosi, e quindi a disincentivare,
gli spostamenti di capitale da un paese allaltro.

ESEMPIO N.9: la Tobin tax agevola la riduzione del tasso dinteresse interno.
Supponiamo che lEuropa stia attraversando una fase di crisi e quindi di
132

disoccupazione. La Banca centrale europea pu esser dunque chiamata ad
intervenire con una espansione monetaria, al fine di ridurre i tassi dinteresse,
stimolare gli investimenti e quindi la domanda, la produzione e loccupazione.
Ipotizziamo che la situazione sia quella gi descritta nellesempio precedente.
Come abbiamo visto, il tasso dinteresse necessario ad evitare le fughe di capitale
del 18,8%. Tuttavia per stimolare la domanda bisognerebbe ridurre
ulteriormente il tasso dinteresse interno. Pu lintroduzione di una Tobin tax
rendere possibile tale riduzione? Per rispondere dobbiamo innanzitutto modificare
la condizione di parit scoperta dei tassi dinteresse al fine di contemplare
limposta.

A questo proposito, noi sappiamo che lacquisto di un titolo americano prevede i
seguenti passaggi: in primo luogo la conversione da euro a dollari, quindi
lacquisto del titolo in questione ed infine, alla data di scadenza del medesimo, la
riconversione da dollari ad euro del guadagno ottenuto. La Tobin tax unimposta
sulle transazioni valutarie. Essa quindi si applicher in due momenti: allatto della
conversione iniziale da euro a dollari, e allatto della conversione finale da dollari
ad euro. Posto che t sia laliquota dimposta applicata ad ogni conversione, la
condizione di parit scoperta diventa:

t t
E
E
i i
e
t
t
t t
+ = +
+
) 1 ( ) 1 ( 1
1
*


Adesso inseriamo nella nuova condizione di parit i valori assunti dalle variabili.
Immaginiamo in primo luogo che laliquota della Tobin tax venga fissata dalle
autorit al livello t = 0,01 = 1%. Inseriamo inoltre i valori dellesercizio
precedente relativi al tasso dinteresse americano (i* =0,1) e ai cambi corrente e
atteso (rispettivamente E
t
=1,08 ed E
t+1
=1). Lunica incognita rimasta il tasso
dinteresse interno i
t
, che rappresenta il tasso minimo necessario ad evitare le
fughe di capitale allestero. Sostituendo le cifre alle variabili otteniamo:


166 , 1 1
01 , 0 ) 01 , 0 1 (
1
08 , 1
) 1 , 0 1 ( 1
= +
+ = +
t
t
i
i



E facile a questo punto verificare che, grazie allintroduzione della Tobin tax, il
tasso interno necessario ad evitare le fughe di capitale si ridotto, essendo
diventato i
t
=0,166 =16,6%. Dunque unimposta dell1% sul valore di tutti gli
scambi di euro contro dollari e viceversa, render costosi gli spostamenti di
133

capitale da un luogo allaltro, e quindi dovrebbe permettere alla Banca centrale
europea di ridurre il tasso dinteresse interno dal livello iniziale del 18,8% al
nuovo livello del 16,6% senza il rischio di una fuga di capitali verso lestero.

Ovviamente, il ragionamento pu essere anche ribaltato. Supponiamo cio che la
Banca centrale europea intenda calcolare quella aliquota di imposta t che le
consenta di mantenere il tasso interno esattamente al medesimo livello del tasso
estero del 10% fissato dalla banca centrale americana. In tal caso si tratta di
esprimere la condizione di parit isolando il termine t. Dopo semplici passaggi la
condizione diventa:

e
t
t
t
t
E
E
i
i
t
1
*
) 1 (
) 1 (
1
+
+
+
=

Prendendo i dati del nostro esempio, e ponendo i
t
= i
t
* =10%, si scopre che per
mantenere i due tassi dinteresse al medesimo livello nonostante la svalutazione
attesa delleuro, laliquota della Tobin tax dovrebbe essere pari a t =0,075 =
7,5%.

Listituzione di una Tobin tax a livello internazionale stata caldeggiata da molti,
sia in ambito accademico che politico. Essa tuttavia stata pure da pi parti
contestata. Gli economisti di ispirazione liberista lhanno sempre considerata
uninterferenza rispetto al libero operare delle forze del mercato. Gli studiosi di
orientamento critico, ispirati dalle opere di pensatori eterodossi come Marx e
Keynes, ritengono invece che la Tobin tax rappresenti uno strumento troppo
debole per contrastare i continui movimenti di capitale sui mercati mondiali.
Secondo questa visione, per liberare la politica monetaria dalla minaccia delle
fughe non basta semplicemente tassare gli spostamenti di capitali. Bisognerebbe
piuttosto sottoporli a ben pi rigidi vincoli, e al limite vietarli del tutto quando si
tratta di spostamenti a breve termine, come del resto gi avveniva allepoca dei
ferrei controlli vigenti nel dopoguerra.

Tra le ragioni per cui gli economisti critici ritengono che gli spostamenti di
capitali andrebbero fortemente vincolati o addirittura vietati, vi il fatto che tali
spostamenti non solo creano problemi alla politica monetaria, ma di fatto
determinano effetti ben pi gravi sullintera economia mondiale. Infatti, se i
capitali possono scorazzare liberamente da un paese allaltro, chiaro che essi si
muoveranno verso le nazioni che offrono loro i massimi vantaggi economici. Ed
chiaro che i vantaggi economici potranno essere di varia natura. In condizioni di
libera circolazione dei capitali, infatti, i vari paesi non si limitano semplicemente a
tenere i tassi dinteresse alti in modo da evitare fughe di capitale, ma si faranno
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concorrenza tra loro su molti altri piani, e soprattutto sulla disciplina fiscale,
finanziaria e del lavoro, in modo da attirare la massima quantit di capitale. I
governi dei vari paesi ad esempio ridurranno le spese sociali in modo da ridurre la
tassazione, adotteranno aliquote fiscali particolarmente basse sui possessori di
capitale, garantiranno il segreto bancario a tutela dei grandi capitali, introdurranno
norme di sicurezza sul lavoro pi blande in modo da ridurre i costi per le imprese,
imporranno forti vincoli al diritto di sciopero e alle organizzazioni sindacali in
modo da contenere le rivendicazioni salariali, eccetera, e tutto questo per indurre i
proprietari del capitale a investire dalle loro parti. Tutti questi provvedimenti
ovviamente faranno aumentare i tassi dinteresse e pi in generale i margini di
profitto a livello globale, mentre probabilmente comporteranno una riduzione dei
salari e delle spese sociali. Insomma, secondo gli economisti critici la libert di
movimento dei capitali induce i vari paesi ad adottare politiche orientate a
favore dei proprietari di capitale, e spesso a detrimento degli interessi dei
lavoratori. Anche per questo alcuni hanno sostenuto che la globalizzazione dei
mercati ha determinato una specie di dittatura del capitale finanziario, poich gli
interessi del capitale incidono pi fortemente che in passato sulle decisioni
politiche. In questottica, dunque, i controlli sui movimenti di capitale vengono
incoraggiati anche allo scopo di ridimensionare linfluenza sulle decisioni di
governo esercitata in questi anni dalle lobbies finanziarie.

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