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LA MONETA
DEL TEMPO
Un calendario per l’anima
PRESENTAZIONE
Questo scritto raccoglie la seconda parte del volu-
me “Il Tempo - l’Eternità” edito nel 1994, in occasione
delle celebrazione per gli 800 anni della Consacrazione
della Pieve dei Santi Apostoli in Verona. Il presente tito-
lo ricorda una espressione di Sant’Agostino: “Il tempo è
la moneta con cui possiamo comprare l’eternità”. In
queste pagine ci siamo proposti di seguire i suggerimenti
di un grande santo dei nostri giorni, San Josemaria Escri-
và, che apre le sue considerazioni in “Cammino” con il
seguente invito: “Che la tua vita non sia una vita steri-
le. Sii utile, lascia traccia. Illumina con la fiamma della
tua fede e del tuo amore. Cancella, con la tua vita di
apostolo, l’impronta viscida e sudicia che i seminatori
impuri dell’odio hanno lasciato. E incendia tutti i cam-
mini della terra con il fuoco di Cristo che porti nel cuo-
re”Ci auguriamo che, assieme al “Senso del vivere”, il
testo che raccoglie la prima parte del volume “Il Tempo
- l’Eternità” stampato dalle EDIZIONI ARES di Mila-
no, anche questa fatica sia di aiuto alla fede e alla vita in-
teriore di tanti cristiani e anche di tanti uomini che since-
ramente desiderano incontrare Dio.
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INTRODUZIONE
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una ipocrisia, mentre il culto interno senza la sua profes-
sione esteriore finirebbe con lo spegnersi totalmente.
Certamente il culto non esprime tutta la religiosità
umana; essa ha altre componenti fondamentali e ugual-
mente importanti: un insieme di conoscenze religiose e
la vita morale. Queste due componenti sono particolar-
mente importanti nel Cristianesimo.
Infatti, le conoscenze, soprattutto quelle riguar-
danti Dio e le sue opere, sono frutto di una rivelazione
che Dio stesso ha fatto all’umanità e sono perciò oggetto
di fede che chiamiamo “fede divina” perché ha come fon-
damento la Parola di Dio.
Analogamente, anche la vita morale: essa non
consiste semplicemente in un comportamento onesto che
fa dell’uomo una persona umanamente corretta e civile,
ma è la manifestazione coerente di una realtà nuova con-
cessa al credente: la grazia santificante, cioè la parteci-
pazione alla vita divina che dà all’uomo una nuova iden-
tità, quella di figlio di Dio.
Centro e Mediatore di ogni religiosità umana è
Gesù Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo; è lui, infatti, la
Parola che illumina l’intelligenza degli uomini sulla veri-
tà; è lui la causa e il fondamento di una vita morale all’al-
tezza della nostra dignità di figli di Dio, la santità; è lui,
infine, il protagonista assoluto che orienta a Dio tutto il
culto cristiano.
Perciò, il vero culto verso Dio è possibile solo
attraverso Gesù Cristo. Con la sua Incarnazione e con
la sua Morte di croce, Gesù ha tolto di mezzo il muro,
l’ostacolo che ci separava da Dio: l’inimicizia del pecca-
to, e ha così ricomposto il rapporto dell’uomo con Dio.
Gesù, Uomo-Dio, è dunque il vero adoratore del Padre e
continua ad esserlo attraverso la Chiesa e nella Chiesa. Il
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culto cristiano che la Chiesa, come Corpo Mistico di Cri-
sto, offre a Dio, si chiama “Liturgia” e ha la sua espres-
sione culminante nella Santa Messa.
Ci sono tuttavia altre espressioni concrete del culto
che, pur sempre radicate nella Liturgia, interessano parti-
colarmente la sfera della pietà - la “Pietas” - cioè la reli-
giosità interiore con tutti i sentimenti che la accompa-
gnano: sono le “devozioni”.
Per devozione s’intende appunto l’atteggia-mento
interiore particolarmente vivo e profondo di venerazione
con cui si vive il rapporto con una persona, ad esempio
verso i genitori. Nel caso di devozioni legate alla religio-
sità e alla pietà cristiana, le persone sono: Dio, la Vergi-
ne, i Santi.
Nel culto verso Dio il sentimento fondamentale è
quello della adorazione, atteggiamento che è riservato
in modo esclusivo soltanto a Dio. “Adorerai il Signore
Dio tuo e a lui solo servirai”.
Nella devozione verso i Santi, l’atteggiamento fon-
damentale è quello della venerazione, che assume una
particolare intensità e singolarità nel caso della Madon-
na. A lei si deve una venerazione tutta speciale come
conviene a Colei che è Madre di Cristo e Madre della
Chiesa.
Queste cose l’uomo secolarizzato del nostro tem-
po le ignora; se gli vengono insegnate non le capisce e
quando se le sente proporre le rifiuta come assurde e ri-
dicole, comunque assolutamente insignificanti e senza
importanza per la propria vita.
L’uomo secolarizzato di oggi è l’ultimo prodotto
di una cultura e di una società che esclude Dio dalla vita
dell’uomo dichiarandolo inutile ai fini del progresso e in-
significante per dare senso all’esistenza umana sulla ter-
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ra. Inutile dire che, liberatosi dall’ipo-tesi-Dio, l’uomo
attuale ha perso completamente il senso religioso, e il
culto verso Dio gli appare sorpassato, sintomo di super-
stizione e di bigottismo, comunque privo di qualunque
interesse. L’indifferen-za religiosa è la forma più blanda
di questo degrado spirituale che affligge il nostro mondo
occidentale.
Altra forma ben più grave e acuta di questo degra-
do è lo sforzo, comune a tutte le concezioni materialisti-
che dell’uomo e del mondo, di costruire una società sen-
za religione, o di elaborare una “religione” dell’uomo e
per l’uomo, come sognano da secoli i movimenti masso-
nici, i vari socialismi, lo scientismo presuntuoso e irri-
dente.
Sotto la spinta della secolarizzazione imperante,
anche molti cristiani hanno affievolito il senso religioso e
sono arrivati a considerare il culto verso Dio come se-
condario, come qualcosa di poco importante rispetto ad
altri imperativi della vocazione cristiana.
Così, si pensa a una fede senza contenuto dottrinale, a
un culto senza Liturgia e senza “formalità” cultuali; si
pretende una vita morale senza comandamenti o limitata
ai soli comandamenti “sociali”: il quinto e il settimo; si
vuole un cristianesimo senza la Chiesa e perciò senza
Cristo, che viene presentato semplicemente come un no-
bile esempio di difensore degli ultimi; insomma, una “re-
ligione” senza religione, dove gli unici valori riconosciuti
sono i valori del-l’uomo e per l’uomo.
Sembra che le tragiche lezioni che ci sono venute
dal nazismo, dal comunismo, dal libertinaggio laicista e
da tutte le deliranti ideologie del nostro secolo, non ab-
biano insegnato nulla agli uomini di oggi. Non è possibile
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emarginare Dio e pensare di poter costruire una civiltà
degna dell’uomo, tanto meno la civiltà dell’amore.
Se vogliamo veramente recuperare l’uomo,
dobbiamo recuperare Dio, se intendiamo difendere l’a-
more verso l’uomo, dobbiamo affermare l’amore verso
Dio. Non si può separare l’amore del prossimo dall’amo-
re di Dio; in questo modo si finisce col negare Dio e uc-
cidere l’amore. È questo un inganno diabolico, tanto ne-
fasto quanto sottile. E la società scristianizzata di oggi si
è prestata al gioco esaltando la solidarietà come valore
assoluto negando la dimensione religiosa dell’amore, e
dichiarando inutile e senza importanza il culto verso Dio.
La solidarietà è certo un valore gradito a Dio e degno di
considerazione e di rispetto, ma la solidarietà del cristia-
no ha un’altra dimensione, quella dell’amore che nasce
da Dio e conduce a Dio “Amatevi come io vi ho
amato”.
Proprio in questo amore umano e divino sta l’im-
pegno fondamentale del cristiano. Il tempo e la vita su
questa terra ci sono dati per amare. Solo questo amore
può redimere il tempo e dare ad esso valore di eterni-
tà. È l’invito di San Paolo agli Efesini: “Tempus redi-
mentes”. Dobbiamo redimere il tempo o, come dice la
traduzione italiana ufficiale, dobbiamo “approfittare del
tempo presente”. Redimere: cioè riscattare il tempo dalla
precarietà che gli è propria, perché “tutto passa”, e ancor
più riscattarlo dalla sua negatività, perché tutte le creatu-
re sono sotto il segno del peccato e hanno bisogno di re-
denzione. Di tutto ciò che passa rimarrà solo quello che
è nato dall’amore ed è stato realizzato nell’amore, cioè
quello che è passato attraverso la croce di Cristo. In altre
parole, redimere il tempo equivale per noi all’impegno di
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santificare la nostra vita e di orientare a Dio tutte le real-
tà umane.
Questo significa fare della nostra vita quotidiana il
luogo del nostro incontro con Dio per servire il suo dise-
gno di amore e di misericordia verso l’uma-nità. Il tempo
si carica così di eternità, viene sottratto alla caducità e li-
berato da tutto ciò che di falso o di negativo vi abbia in-
trodotto la superbia umana e l’azione del Maligno. Tutto
passa, tutto è precario ed effimero tranne il legame
che le cose hanno con Dio e il rapporto che noi ab-
biamo saputo vivere con Lui. L’importanza della storia
umana sta tutta qui: nel contenuto di eternità che la no-
stra libera corrispondenza all’amore di Dio ha saputo
mettervi. Con ragione affermava Sant’Agostino: “...
L’eternità si compra con la moneta del tempo”.
In queste pagine vogliamo riflettere su come possia-
mo santificare i nostri giorni sulla terra vivendo da buoni
figli di Dio:
• nel primo capitolo consideriamo quelle norme di pietà
che ci aiutano a santificare le ore del giorno. Siamo
chiamati infatti a vivere la nostra fede nei vari ambien-
ti dove scorre la nostra vita quotidiana: la famiglia, la
scuola, il lavoro, la professione...; chiamati a santifi-
carci coltivando la presenza di Dio, la rettitudine d’in-
tenzione, l’esercizio delle virtù umane, la disponibilità
apostolica verso i familiari, gli amici, i colleghi. In al-
tre parole l’eserci-zio della pietà cristiana è un mezzo
per alimentare in noi la vita interiore, cioè il senso di
Dio e la religiosità del cuore che devono accompa-
gnare la nostra vita di figli di Dio sulla terra.
• nel secondo capitolo ricordiamo le devozioni che nel-
la tradizione cristiana sono in qualche modo collegate
con i giorni della settimana, dal lunedì al sabato.
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Un posto a sé occupa la Domenica, in quanto è il
“Giorno del Signore” non legato a particolari devo-
zioni ma al culto di Dio visto come Creatore e Reden-
tore. Perciò le riflessioni sui giorni della settimana
sono precedute da alcune considerazioni sulla Dome-
nica e sul tempo festivo essendo il “Giorno del Si-
gnore” il momento fondamentale non solo per la Li-
turgia della Chiesa ma anche per la vita stessa del cri-
stiano.
• il terzo capitolo è dedicato all’Anno Liturgico nel
quale noi possiamo rivivere la storia della nostra sal-
vezza attraverso gli interventi compiuti da Dio nella
storia dell’umanità, interventi culminati con la Passio-
ne, Morte e Risurrezione di Cristo, dal quale abbiamo
ricevuto il dono dello Spirito Santo nella Pentecoste.-
Redimere il tempo. E’ compito di noi cristiani, come
figli di Dio nella Chiesa, riproporre Cristo come luce
del mondo e ricondurre gli uomini a Dio nella Verità e
nell’Amore. Sono queste, la Verità e l’Amore, le
coordinate che nascono da Dio e che a Dio conduco-
no, come Papa Benedetto sta proclamando a tutti gli
uomini del nostro tempo, vittime della più terribile
delle dittature: quella del relativismo. Solo così noi
cristiani possiamo dare un’anima alla nostra civiltà e
costruire un mondo degno dell’uomo.
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IL GIORNO
La vita è Cristo
1 - Il giorno e la vita
2 Salmo n. 38,5-7
3 Galati, 4,4
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terra, un modo soprannaturale che anticipa e prepara la
nostra condizione definitiva nel Cielo.
Per mezzo di Cristo, Dio ha voluto anche riscat-
tare la storia umana; solo in Cristo essa acquista valore e
significato. Senza Cristo, senza la sua vita umana e divi-
na, tutta la vicenda terrena dell'uomo sarebbe senza spe-
ranza, apparirebbe come una vicenda al buio, che si in-
terrompe nella morte. Gesù stesso lo ha ricordato: “Io
sono la luce del mondo (...) sono venuto perché abbiano
la vita".4
Questa dimensione cosmica e universale della
vita di Cristo, che porterà alla trasformazione di tutto il
creato, è ordinata all'uomo e, come abbiamo visto, pre-
suppone la sua partecipazione alla vita divina. Tutta la
nostra giornata terrena ha, dunque, per noi cristiani
questo significato: rivivere la vita di Cristo, identifi-
carci in Lui, trasformarci in un altro Cristo. S. Paolo lo
ricordava ai primi cristiani paragonandosi a una madre
che soffre le doglie del parto donec formetur Christus in
vobis, finche non si fosse formato Cristo in loro. E'
un'immagine che S. Paolo utilizza per sé, ma che va attri-
buita alla Chiesa, perché è nella Chiesa che veniamo ge-
nerati come figli di Dio per opera dello Spirito Santo.
Tutto è cominciato nel giorno del nostro Battesi-
mo, quando il sacerdote ha versato sul nostro capo l'ac-
qua del fonte battesimale, dicendo: "Io ti battezzo nel
nome del Padre, e del Figlio e dello Spirito Santo". In
quel momento lo Spirito Santo ha divinizzato la nostra
anima col dono della Grazia santificante rendendoci par-
tecipi della natura divina. Ora, la stessa e unica natura di-
vina è presente nel Padre e nel Figlio e nello Spirito San-
4 Gv. 10,10
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to secondo tre proprietà diverse fondate su tre relazioni
personali distinte: la paternità, la filiazione, la spira-
zione. In noi la partecipazione alla natura divina avviene
come filiazione, quella propria del Figlio, che Gesù ci ha
portato in dono. Diventiamo perciò figli nel Figlio, e at-
traverso il Figlio entriamo in comunione col Padre e con
lo Spirito Santo. E' un mistero grande, immenso, inim-
maginabile, che comprenderemo soltanto in Cielo. Qui,
sulla terra, dobbiamo affidarci alla luce della fede e alla
comprensione interiore che può darcene lo Spirito Santo.
Nell'Incarnazione il Figlio di Dio, facendosi
uomo, è diventato Sacerdote, Re e Profeta, e, perciò,
quando noi nel Battesimo riceviamo la sua filiazione di-
vina veniamo "configurati" a Cristo, veniamo cioè mo-
dellati su di lui secondo la sua triplice prerogativa. E'
come se lo Spirito Santo imprimesse nella nostra anima i
lineamenti di Gesù, la sua fisionomia, così che il Padre
guardandoci può dire: "Tu sei mio figlio!". Questa modi-
ficazione della nostra anima è soprannaturale, ma reale e
indelebile, e viene indicata dal catechismo col termine di
"carattere".
Da quel giorno è iniziato in noi il dinamismo della
grazia, che lungo la nostra vita terrena tenderà a farci
sempre più simili a Cristo, fino a identificarci con Lui.
Perciò come l'Incarnazione è stata per Gesù l'inizio della
sua vita di Uomo-Dio, vita che ha raggiunto il culmine
nel mistero pasquale della sua morte e risurrezione, allo
stesso modo il battesimo ha segnato per noi l'inizio della
nostra vita di figli di Dio, vita che trova il suo culmine
nella partecipazione all'Eucaristia, sacramento della Pa-
squa del Signore.
14
3 - La vita terrena dell’Uomo-Dio
5 Ebrei, 4,15
15
trascinato davanti ai tribunali, che vediamo deriso e in-
sultato, quell'Uomo che viene colpito con calci e bastoni,
con schiaffi e flagelli, quell'uomo irriconoscibile, diventa-
to una maschera, un "quadro di dolori", quell'Uomo è
Dio. E' Dio incatenato e trascinato davanti ai tribunali
degli uomini, è Dio deriso e flagellato, coperto di sputi e
di piaghe, è Dio trattato da imbroglione e vestito da paz-
zo; infine, quell'Uomo crocifisso sul Golgota, che strap-
pa con un grido la vita al suo corpo nudo davanti al cielo
e alla terra, è Dio-crocifisso, è Dio che muore. "Vera-
mente quest'uomo era Figlio di Dio!".6 Mai espressione
fu più vera e reale di questa, pronunciata dal centurione
pagano davanti a Cristo crocifisso. E noi non possiamo
contemplare la vita di Gesù senza pensare che è la vita
dell'Uomo per gli uomini e insieme la vita del Figlio di
Dio per i figli di Dio.
Si capisce allora l'amore immenso che i Santi nu-
trivano per il Vangelo. "Dobbiamo infatti riprodurre la
vita di Cristo nella nostra vita. Ma ciò non è possibile se
non attraverso la conoscenza di Cristo che si acquista
leggendo e rileggendo la Sacra Scrittura e meditandola
assiduamente nell'orazione".7
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pensare secondo il modo insegnatoci da Gesù, ad amare
quello che Egli ha amato, a cercare in ogni cosa la vo-
lontà di Dio. Ci dedicheremo ai doveri del nostro stato,
in famiglia e nella società, imitando Gesù che "ha fatto
bene ogni cosa",11 che ha santificato il lavoro nella botte-
ga di Giuseppe, lavorando con amore a lode del Padre,
offrendo la fatica e le contrarietà come espiazione dei
peccati. Ci sforzeremo di seguire il suo esempio quando
dedica tempo al colloquio intimo col Padre nell'orazione,
quando si è fatto tutto a tutti nella comprensione, nell'a-
mabilità paziente, nella misericordia operosa, "benefa-
ciendo omnes", facendo il bene a tutti; in altre parole
cercheremo di nutrire in noi sentimenti di pace, di gioia,
di misericordia, di pazienza, di fortezza, di fedeltà, di mi-
tezza, di obbedienza al Padre, di amore verso gli uomini;
metteremo i nostri passi sulle orme che lui ci ha lasciato,
camminando dove lui ha camminato.
In questo modo, seguendo le orme di Cristo, è
certo che incontreremo la croce, perché Cristo ha voluto
attraverso la croce salvare l'umanità. Perciò incontrare la
croce è incontrare Cristo; allora la croce non è più una
disgrazia, non è più una condanna o una maledizione, di-
venta la strada verso la vita, verso la nostra pace e la no-
stra gioia. "Segni certi della vera Croce di Cristo: la se-
renità, un profondo senso di pace, un amore disposto a
qualsiasi sacrificio, un'efficacia grande che sgorga dal
Costato stesso di Gesù, e sempre - in modo evidente - la
gioia: una gioia che proviene dal sapere che chi si dona
davvero è vicino alla croce e, di conseguenza, è vicino a
nostro Signore".12
11 Mc. 7,37
12 Forgia, n.772
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Così, il nostro atteggiamento interiore di fron-
te alla croce di Cristo rivela la nostra maturità nella
vita cristiana, la maturità dei figli di Dio che hanno im-
parato a giudicare le cose della terra e di questa vita con
la saggezza della fede. La paura della Croce, la ribellione
davanti alla croce, l'insofferenza, la tristezza e la stessa
rassegnazione sono sintomi di immaturità spirituale per-
ché senza il crogiolo del dolore, della umiliazione e della
sofferenza, non è possibile capire Cristo e il suo amore
per noi.
Di solito si tratta delle croci piccole della vita
quotidiana, ma in esse, a poco a poco, con l'aiuto di Dio,
la nostra anima si fortificherà, comprenderà con chiarez-
za sempre più profonda la preziosità della vita eterna di
fronte alle effimere consolazioni mondane, perderà la
paura del sacrificio e andrà progredendo in tutte le virtù
cristiane. L'orazione, poi, farà il resto, finche Dio, facen-
doci assaporare la realtà dolcissima della filiazione divi-
na, ci riempirà di pace, ci darà un desiderio sempre più
vivo di servirlo e di farlo conoscere e amare anche dagli
altri.
In definitiva, noi cristiani siamo chiamati a
continuare nel mondo questo modo nuovo di essere e
di vivere sulla terra, un modo umano-divino inaugu-
rato da Cristo con la sua Incarnazione e culminato nella
sua morte e risurrezione. E' un modo di essere di natura
sacramentale, che viene a noi comunicato attraverso i
Sacramenti - dal battesimo all'eucaristia al matrimonio...
- e si sviluppa come imitazione di Cristo nei cammini
dell'orazione e della croce.
Lo scopo di queste pagine è tutto qui: aiutare
ciascuno di noi ad entrare sempre più profondamente in
quella “intimità personale con Gesù vivo e presente” alla
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quale Papa Benedetto sta invitandoci, con commovente
insistenza fin dall’inizio del suo Pontificato, come pro-
gramma centrale del suo ministero
Non solo dunque, togliere distanze di spazio e di
tempo fra noi e Gesù, ma anche e soprattutto far tacere
le insinuazioni del maligno e le voci stonate del nostro
io, affinchè Cristo possa occupare tutto lo spazio della
nostra anima e del nostro cuore. Potessimo davvero dire
con San Paolo: “Non sono più io che vivo ma è Cristo
che vive in me.”
20
LE “ORE” DEL GIORNO
5 - Le “ore” e l’orario
13 Mt. 23,5
14 Cammino n.784
24
7 – La preghiera del mattino
15 Lc. 17,18
25
La preghiera si conclude con una petizione di gra-
zia per sé stessi, per le persone care e, in definitiva, per
tutta la Chiesa. "Preservami dal peccato e da ogni male,
la tua grazia sia sempre con me e con tutti i miei cari,
Amen". E' consuetudine, infine, rivolgersi a Dio con la
preghiera del Padre nostro, e affidarsi alla protezione
della Santa Vergine e degli Angeli Custodi.
Con questa preghiera ogni cristiano può unirsi
alla preghiera liturgica di tutta la Chiesa che nelle
Lodi mattutine fa proprie le preghiere del mattino di
tutti i fedeli sparsi nel mondo.
Vista in questo modo la preghiera del mattino non
sembra certamente una preghiera riservata ai bambini,
come comunemente si crede. Tutt'altro! Essa richiede,
invece, grande maturità spirituale. Ringraziare Dio e dar-
gli lode col proprio lavoro e con la propria vita è l'atteg-
giamento specifico di un cristiano adulto, consapevole
che Dio è "il Primo" e viene al primo posto: - "Io sono
l'Alfa e l'Omega, il Primo e l'Ultimo, il Principio e la
Fine" 16 -, e consapevole anche della propria responsabi-
lità di figlio di Dio nel mondo e nella Chiesa.
Purtroppo, sono molti i cristiani che mancano a
questo primo appuntamento con Dio all'inizio della loro
giornata. La causa è senza dubbio l'ignoranza: non si
pensa, non si conosce il valore e il contenuto di questa
preghiera e il significato importante che essa riveste nella
nostra vita; ma anche hanno il loro peso la pigrizia: - ci si
alza all'ultimo momento, si è presi dalla fretta, dall'assillo
del lavoro ecc. - la poca fede, e soprattutto la scomparsa
quasi totale del senso religioso della vita. Si è dominati
da una visione materialistica delle cose e da una sorta di
16 Ap. 22,13
26
ateismo pratico che si è infiltrato nella mentalità corrente
e che ormai orienta il modo di vivere abituale della socie-
tà contemporanea.
E' dovere di noi cristiani reagire. Dio ha diritto
al primo posto nella nostra vita e dobbiamo dedicare
a lui il primo pensiero della giornata; a Lui la nostra
adorazione e la nostra lode, a lui il nostro cuore e le no-
stre opere. E' un modo concreto di far posto a Dio nella
nostra vita, e portarlo poi con noi, nelle nostre famiglie e
nella società in cui viviamo.
8 – Meditazione e orazione
18 Cammino n. 91
29
esplicito; il suo colloquio con il Padre era continuo, inin-
terrotto e spesso diventava esclusivo: di notte, all'alba, a
sera, improvvisamente lungo la giornata...; la meditazio-
ne non può essere continua perché non si può concentra-
re la riflessione simultaneamente sulla Parola di Dio e sul
lavoro o su altre preoccupazioni, ma l'orazione sì, perché
si può amare sempre, l'amore non conosce interruzioni e
può entrare in qualsiasi cosa facciamo. E' infatti l'amore,
l'amore vivo, attuale, che lega il nostro cuore a Dio, e
trasforma il lavoro, lo studio, le faccende quotidiane in
orazione.
Questa orazione continua non si improvvisa; è un
traguardo, una meta. Ed è un dono; bisogna perciò chie-
derlo al Signore. Dobbiamo chiederlo ogni volta, met-
tendoci con umiltà alla presenza di Dio: "Signore mio e
Dio mio, credo fermamente che sei qui, che mi vedi, che
mi ascolti..." , gli chiediamo poi perdono dei peccati e la
grazia di ricavare frutto da quella orazione. Da parte no-
stra occorre la perseveranza. Santa Teresa lamentava che
sono molti quelli che cominciano ma sono pochi quelli
che perseverano. L'orazione quotidiana è come l'oro-
logio della nostra pietà: se si ferma, si ferma il tempo
di Dio nella nostra anima. E perdiamo anche la sinto-
nia con l'Orologio liturgico della Chiesa.
10 – Il lavoro e la Redezione
19 Gen. 3,19
34
umano; ma agli occhi di Dio non è così. Prendiamo il la-
voro umile, silenzioso, sacrificato di una madre di fami-
glia che si dedica alla casa e ai figli o il lavoro di un net-
turbino che tiene pulite le strade delle nostre città finche
tutti dormono, e prendiamo il lavoro di un ministro, di
un grande scienziato o di un potente uomo d'affari: quali
di questi lavori vale di più davanti a Dio? Quello fatto
con più amore, con più spirito di servizio, con più alle-
gria. Fermo restando che il lavoro di un uomo politico,
di uno scienziato o di un imprenditore che disponga di
tanti mezzi economici può incidere sulla vita sociale, cul-
turale e morale di un popolo più intensamente e con
maggior efficacia umana per il bene comune che non il
lavoro socialmente meno rilevante di un operaio, di un
contadino o di una commessa, resta però vero che, da-
vanti a Dio, il contenuto d'amore, di fede e di umile di-
sponibilità costituisce il vero parametro di valore per
ogni attività umana. Semmai, le eventuali maggiori re-
sponsabilità devono costituire per il cristiano un più forte
motivo per agire rettamente e con amore di Dio in ogni
attività a vantaggio del bene comune.
Ognuno di noi, lì dove svolge il proprio lavoro
quotidiano, tra le mura domestiche, nell'officina, allo
sportello di un'agenzia, al volante di un autobus, come
fra le aule dell'università, o nell'emiciclo di un parlamen-
to, lì deve santificare il suo lavoro, santificarsi nel suo la-
voro, aiutare gli altri a santificarsi nel proprio lavoro,
trasformando in preghiera e in partecipazione alla croce
di Cristo ogni attività umana nobile e onesta. Per ricor-
darci di tutto questo possiamo servirci di un richiamo -
un'immagine, un piccolo Crocifisso, o un altro segno -
nel luogo dove lavoriamo: sul tavolo di studio, in ufficio,
in cucina, nell'auto, accanto al telefono..., e accompagna-
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re i momenti del lavoro con frequenti giaculatorie, atti di
riparazione, ringraziamenti, piccoli sacrifici come la pun-
tualità, la pazienza, il sorriso nonostante la stanchezza,
l'amabilità con le persone; tutto con ottimismo e buon
umore. Possiamo con ragione dire che questa è la
"Liturgia dell'Ora Media", liturgia del lavoro che
ogni cristiano è chiamato a celebrare ogni giorno.
20 Lc. 24,29
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non lasciarci soli. Vorrei portarti con me; vorrei riceverti
con la purezza, l'umiltà, la devozione con cui ti ricevette
la tua Santissima Madre, con lo spirito e il fervore dei
Santi!".
E' questo un modo cristiano di vincere la solitudi-
ne; inoltre il cristiano ha la certezza che Dio abita anche
nella sua anima e lo avvolge col suo amore paterno; e
perciò sa di non essere mai solo.
La famiglia che a sera, dopo una giornata di
lavoro, si ricompone tra le pareti domestiche, e risco-
pre sé stessa nei valori che la costituiscono: l'amore
coniugale fedele, gioioso e fecondo, la paternità, la ma-
ternità, l'amicizia semplice e sincera che unisce tra loro i
membri della famiglia, è un fatto di enorme importanza,
soprattutto nell'attuale congiuntura socio-culturale.
Tutti sappiamo che l'organizzazione della vita so-
ciale è oggi dominata da ritmi e da strutture che non fa-
voriscono la vita famigliare; inoltre stiamo soffrendo le
conseguenze di una sistematica e progressiva demolizio-
ne dei valori della famiglia , demolizione operata dalle
ideologie marxista e laicista che hanno lasciato le attuali
generazioni impoverite e impaurite di fronte alla vita.
Perciò, a parte i momenti particolarmente difficili legati a
situazioni eccezionali che di tanto in tanto possono veri-
ficarsi, il rientro serale a casa col ricomporsi dell'ambien-
te famigliare è un momento estremamente delicato nella
nostra vita ordinaria. Esso rivela la maturità umana e
cristiana degli sposi. Lì si vede quanto le "categorie
dell'amore" abbiano sostituito le "categorie dell'egoismo"
e quanto la "legge" del dono di sé abbia forgiato i com-
portamenti che riguardano la vita famigliare. Infatti, la
tentazione di scaricare l'uno sull'altro il peso negativo
38
della giornata e di rifarsi delle frustrazioni personali è
sempre in agguato dietro la porta di casa.
40
E' compito di noi cristiani recuperare la famiglia
secondo il disegno di Dio, non solo nei suoi valori e nei
principi che la costituiscono come istituto naturale volu-
to dal Creatore, ma anche come ambiente di vita, come
luogo dell'amore e del dono reciproco, il luogo dove
nessuno si sente solo, dove nessuno ha paura o timore,
dove nessuno si sente schiavo. Ci sarà questo ambiente
di libertà responsabile, di ottimismo, di allegria, di fidu-
cia e di rispetto se i coniugi cristiani si ameranno profon-
damente, sinceramente, al di là di ogni merito e di ogni
altra valutazione, se sapranno dirsi le cose con lealtà,
con garbo e con atteggiamento positivo che non sappia
di critica o di giudizio ma di stima e di incoraggiamento;
se, nel caso di inevitabili divergenze di opinione, sapran-
no venirsi incontro rinunciando ciascuno a qualche posi-
zione personale o comunque alla pretesa di imporre con
la forza, anche solo della voce, le proprie decisioni; e an-
cora se sapranno non dirsi più "sono fatto così, questo è
il mio carattere, queste le mie abitudini..."; e nei momenti
di incomprensione non produrranno immediatamente la
lista dei torti e delle ragioni tenuta a portata di mano e
mai dimenticata.
Insomma, dovranno ricordarsi gli sposi cristiani,
ciò che si sono detti nel giorno del matrimonio: "...ti pro-
metto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore,
nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i
giorni della mia vita." Quel "sempre" significa dunque
"tutti i giorni", perché l'amore non è mai ovvio o sconta-
to, ma ha bisogno di rinnovarsi e di alimentarsi ogni
giorno. "Si tratta - scrive San J. Escrivà - di santificare
giorno per giorno la vita domestica, creando con l'affetto
reciproco, un autentico ambiente di famiglia. (...). La
vita famigliare, i rapporti coniugali, la cura e l'educazio-
41
ne dei figli, lo sforzo economico per sostenere la fami-
glia, darne sicurezza e migliorarne le condizioni, il tratto
con gli altri componenti della comunità sociale: sono
queste le situazioni umane più comuni che gli sposi cri-
stiani devono soprannaturalizzare".21
23 Lc. 20,30
43
tivo ha portato, soprattutto la madre di famiglia, a stare
molte ore al giorno fuori di casa, offrendo tristi surrogati
alla tavola: fast-food, self-service, snack-bar...; ed è an-
che vero che la debolezza umana può talvolta trasforma-
re la tavola in una greppia o in un festino per quanti
"hanno come dio il loro ventre"24; ma proprio per questo
la preghiera prima dei pasti può presentarsi come un
mezzo estremamente efficace per farci recuperare il si-
gnificato così umano e cristiano della tavola, e insieme
farci ritrovare il senso gioioso della famiglia. Se non al-
tro, la preghiera prima dei pasti servirà a ricordarci che
non dobbiamo stare a tavola come i pagani che non co-
noscono Dio, potrà anzi aiutarci ad elevare lo spirito
mentre nutriamo il corpo, e a "mettere una piccola croce
in ogni piatto" (Escrivà). Ci ricorderemo così che al no-
stro corpo dobbiamo dare ma anche chiedere, perché
non diventi un asinello che tira calci e si ribella.
24 Fil. 3,19
44
E' vero che la lettura del Vangelo è fatta di solito
personalmente, perché la conoscenza di Gesù e il rappor-
to con Lui non possono essere che personali, ma resta
vero che la lettura in comune del Vangelo, sia pure fatta
ogni tanto, è uno stimolo al dialogo tra genitori e figli e
rimane uno dei canali più efficaci per la trasmissione del-
la fede tra le generazioni. E' dunque impensabile una fa-
miglia cristiana che non tenga in casa, a portata di mano,
un Vangelo. A portata di mano! Che non rimanga, cioè,
polveroso negli scaffali di casa.
Un altro modo di "raccontarsi la fede" tra genera-
zioni è la recita del Santo Rosario. E' una delle forme di
preghiera più complete; unisce infatti la preghiera vocale
alla meditazione, la semplicità alla profondità, riunisce
insieme le formule di preghiera più sante: il Padre nostro,
l'Ave Maria, il Gloria. E' anche una preghiera squisita-
mente "dialogica"; si presta cioè ad essere pregata insie-
me. Se leggere il Vangelo è come ospitare Gesù in casa,
possiamo dire che pregare il Rosario è come ospitare
la Madonna in famiglia. In certo qual modo, è racco-
gliersi tutti intorno a lei e farci raccontare da lei gli epi-
sodi principali della vita di Gesù, gli episodi di cui lei
stessa è stata testimone e protagonista; e da parte nostra,
le rispondiamo con parole di lode e di affetto.
Del resto, ciò che la Madonna desidera ardente-
mente è che noi cresciamo sempre più nella conoscenza
di Gesù, suo Figlio, e che gli vogliamo bene, che gli re-
stiamo fedeli e lo facciamo amare dagli altri. Il Rosario
dunque è tutto qui: un incontro, un intrattenimento filiale
e affettuoso con Santa Maria, Madre di Gesù e Madre
nostra, che vuole farci crescere come figli, come altret-
tanti Gesù. Questo spiega il perché la preghiera del Ro-
sario sia così gradita alla Madonna, l'abbia chiesta fre-
45
quentemente e abbia promesso di colmare di benedizioni
le famiglie dove viene recitata.
Per capire il Rosario occorre farsi piccoli; i
bambini sono semplici, hanno fantasia e sono affettuosi.
Anche noi dobbiamo essere semplici per non scoraggiar-
ci delle distrazioni e per non nasconderci dietro il solito
pregiudizio della monotonia; dobbiamo avere fantasia
per metterci anche noi negli episodi della vita di Gesù
raccontati nei "misteri" del Rosario; e dobbiamo essere
affettuosi per saper dire alla Madonna mille volte le stes-
se parole belle come fanno gli innamorati.
15 – “Tutto è compiuto”
25 Lc. 12,36
47
talmente di fede e di senso soprannaturale da giudicare
come "fortuna" una vita vissuta lontano da Dio; non pen-
siamo invece che vivere sulla terra per quasi tutti i nostri
giorni lontani da Dio è già di per sé una vera disgrazia.
Essere stati fedeli a Dio fin dalla nostra giovinezza e, no-
nostante le nostre miserie, non esserci mai allontanati da
lui, è una delle più grandi "fortune" che possa capitarci,
una grande grazia di Dio!
26 Cammino, n. 236
48
di quella giornata. Questa luce è lo sguardo di Dio, no-
stro Padre; uno sguardo che non terrorizza, non umilia,
non incute timore. E' uno sguardo che guarisce, che con-
sola, che fortifica; che spinge all'amore: al dolore d'Amo-
re.
E così la nostra giornata finisce tutta nelle mani
di Dio con le cose buone che abbiamo fatto e che abbia-
mo ricevuto, rendendogli grazie di tutto e con tutto il
cuore, e anche con le cose brutte che abbiamo commes-
so, i cedimenti, le pigrizie, le cattiverie, le
inadempienze..., tutto ciò che è dispiaciuto a Dio, ripa-
rando con un atto d'amore il disamore della giornata. E il
proposito, per il giorno dopo, di lottare con più impegno
concluderà il nostro esame.
Nelle nostre famiglie c'è anche l'abitudine di darsi
la buona notte prima di andare a letto. L'esame di co-
scienza è darsi la buonanotte col Signore, serenamente
riconciliati con lui. Solo così santificheremo il nostro ri-
poso, perché anche il riposo, come tutti i momenti che
fanno parte della vita, va santificato, va offerto a Dio e
accompagnato da pensieri buoni. Nell'ora di Compieta, si
legge un salmo scelto tra quelli che contengono pensieri
di fiducia in Dio, di abbandono alla sua volontà, e che
ispirano sentimenti di pace dovuti alla certezza che Dio
veglia sul nostro riposo e che gli Angeli custodiscono le
nostre case.
Entrare nel riposo del tempo notturno con
pensieri di pace e di serenità dipende molto da come
viviamo le ultime ore della nostra giornata. Se sciu-
piamo le ore serali in occupazioni sciocche, egoistiche o
alienanti, o peggio in cose che offendono Dio o sporcano
il nostro cuore, vivremo il tempo notturno con l'anima
49
torpida e appesantita, con un fondo di tristezza e di soli-
tudine che ha per compagni i fantasmi e le paure.
Alcuni hanno l'abitudine di farsi la doccia prima
di andare a letto. Il riposo vero, tonificante, è la pace in-
teriore, il cuore pulito e la coscienza luminosa di chi si
addormenta nelle braccia di Dio. "Illumina, questa notte,
o Signore, perché dopo un sonno tranquillo, ci risveglia-
mo alla luce del nuovo giorno, per camminare lieti nel
tuo nome".27
Terminata Compieta, la Chiesa suggerisce di con-
cludere l'intera Liturgia delle Ore con un Canto alla Ma-
donna, una Antifona mariana. Le più conosciute sono
"Alma Madre del Redentore" (Alma Redemptoris
Mater), e la Salve Regina. E' del tutto naturale e molto
umano addormentarsi col pensiero della madre; è lei
di solito a coricarsi per ultima, dopo aver fatto l'ispezio-
ne della casa per verificare che tutto sia in ordine e al si-
curo, e dopo aver dato un ultimo sguardo ai figli per as-
sicurarsi sulle loro condizioni. Questo pensiero conclusi-
vo alla Madonna può essere vissuto in molti modi: uno
sguardo affettuoso alla sua immagine che certamente
portiamo nella nostra camera da letto; i giovani, salutan-
dola con l'Ave Maria, perché custodisca la loro purezza;
i genitori, soprattutto la madre, invocando la benedizione
di Dio sulla casa e su tutti i famigliari, seguendo - perché
no? - una consuetudine delle vecchie famiglie cristiane,
dove ogni sera la madre aspergeva con l'acqua benedetta
i figli e tutta la famiglia. La benedizione della madre ha
grande peso davanti a Dio, ed è fonte di grazia e di pro-
tezione. Il tempo notturno diventa così tempo di vero ri-
poso e di pace, sapendo che la benedizione di Dio custo-
30 Gv. 12,32
54
liate con Dio. Ed è appunto attraverso la croce di Cristo
che noi cristiani dobbiamo orientare a Dio tutte le cose
della terra.
L'abisso di questo mistero resterà sempre inson-
dabile per la nostra mente e il nostro cuore non avrà pen-
sieri abbastanza profondi per comprenderne la bellezza e
la ricchezza. Non è qui il luogo per esporre tutta la dot-
trina teologica intorno al sacrificio della croce e alla Eu-
carestia, ma è necessario ricordare che il sacrificio reden-
tore di Gesù Cristo, compiuto una volta per sempre sul
Calvario, si fa presente sui nostri altari fino al suo ritorno
glorioso alla fine del mondo attraverso il sacrificio euca-
ristico della Santa Messa. Il Corpo sacrificato e il San-
gue versato del nostro Redentore, attraverso i segni sa-
cramentali dell'Eucaristia, giungono fino a noi per essere
fonte e nutrimento della nostra vita cristiana, e della vita
di tutta la Chiesa.
Non è possibile, perciò, pensare alla giornata di
un cristiano senza questo "centro" al quale deve riferirsi
ogni momento della vita quotidiana, e che deve diventare
il "cuore" del nostro rapporto con Dio. Deve "diventare"
perché le cose non si fanno da sole; bisogna volerle, e
perciò occorre impegno, convinzione, perseveranza; in
una parola, occorre fede. "Lotta per far si che il santo
Sacrificio dell'altare sia il centro e la radice della tua
vita interiore, in modo che tutta la giornata si trasformi
in un atto di culto, - prolungamento della Messa che hai
ascoltato e preparazione alla successiva - , che trabocca
in giaculatorie, visite al Santissimo, nell'offerta del tuo
lavoro professionale e della tua vita famigliare...".31 Sono
appunto quelle varie preghiere "orarie" che abbiamo de-
31 Forgia, n. 69
55
scritto, e che ricevono dalla Santa Messa il valore di cul-
to a Dio; diventano cioè la "nostra" messa che, unita a
quella di Cristo, partecipa ai fini per i quali egli l'ha cele-
brata sul Calvario.
32 Rom. 5,19
56
assai espressive le parole con le quali il sacerdote con-
clude la preghiera eucaristica; egli, innalzando il calice e
l'ostia consacrata, dice con voce solenne: "Per Cristo,
con Cristo, in Cristo, a te, Dio Padre onnipotente, nell'u-
nità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria per tutti i se-
coli dei secoli". Le espressioni di lode e di ringraziamen-
to a Dio contenute nelle preghiere del mattino e della
sera, e quelle sparse lungo tutta la giornata, possono aiu-
tarci a vivere la preparazione e il ringraziamento alla
Messa estendendo all'intera giornata il valore "eucaristi-
co", cioè di ringraziamento che è proprio del sacrificio di
Cristo.
Il terzo fine del Sacrificio del Calvario è l'espia-
zione. Gesù ha dato la sua vita in espiazione per i nostri
peccati. Ottenendoci il perdono delle colpe e la remissio-
ne della pena, egli è diventato Vittima propiziatrice che
ha soddisfatto per noi ogni nostro debito con Dio. Se
amiamo i piccoli sacrifici della giornata: la fatica del la-
voro, il peso delle contrarietà, la sofferenza per il male,
l'ansia per le preoccupazioni, e tanti piccoli inconvenienti
del nostro vivere quotidiano, e portiamo con garbo tutto
questo guardando alla Messa, comprenderemo facilmen-
te il significato di quelle gocce d'acqua che il sacerdote,
al momento di preparare le offerte, mette nel calice
unendole al vino. Così, tutto il "peso" della nostra gior-
nata, - che da sola varrebbe ben poco, non sarebbe che
poche gocce d'acqua - unito al Sangue divino del Reden-
tore diventa Sacrificio di Cristo, diventa anch'esso espia-
zione per i nostri peccati e per quelli del mondo intero.
Non c'è modo migliore, un modo più "cristiano", di san-
tificare la fatica del lavoro e tutta l'attività della nostra
giornata.
57
Da ultimo, il quarto fine del Sacrificio del Calva-
rio è l'impetrazione. Gesù è il Grande Intercessore per
l'umanità intera. Innalzato sulla croce, sospeso tra cielo e
terra, egli è la Vittima "pura, santa, immacolata" che sup-
plica il Padre e chiede per noi ogni grazia. Egli ci ha me-
ritato innanzitutto tre doni fondamentali: il perdono dei
peccati, la grazia santificante che ci fa figli di Dio, e il di-
ritto alla gloria del cielo. Sono i doni che abbiamo rice-
vuto nel Battesimo, e la S. Messa ce li accresce perché
nell'Eucaristia incontriamo l'autore stesso della grazia.
La sua presenza sull'altare è una presenza reale anche se
è diverso lo stato e il modo rispetto alla presenza sulla
croce: lo stato è quello di vittima gloriosa, il modo è in-
cruento e a modo di sostanza. Gesù, salito al cielo, siede
glorioso alla destra del Padre, ma la sua umanità glorifi-
cata porta i segni della passione; è quindi la Vittima vi-
vente e santa che non cessa di intercedere per noi pre-
sentando al Padre le suppliche di tutta la Chiesa e di tut-
ta l'umanità. Tale è la sua presenza sull'altare.
Non c'è dunque preghiera che abbia la forza
di penetrare nel cuore di Dio, e che abbia quindi effi-
cacia di intercessione, come la Santa Messa. Anzi,
possiamo dire che nessuna petizione di grazia può pre-
tendere di essere esaudita se non passa in un modo o nel-
l'altro attraverso l'intercessione di Cristo. E' per questo
che la Chiesa conclude sempre le sue petizioni: "Per
Gesù Cristo nostro Signore". Sono petizioni espresse
dalla Chiesa nella Santa Messa, che abbracciano l'immen-
so panorama delle necessità del popolo cristiano e dell'u-
manità intera, necessità temporali e soprattutto necessità
spirituali.
E' antica consuetudine presso i fedeli di offrire la
Santa Messa quasi esclusivamente in suffragio dei defun-
58
ti. Ed è giusto e doveroso ricordare le anime del Purga-
torio, dal momento che grandi sono i loro patimenti e
non possono fare più nulla per sé stesse, per abbreviare
cioè la loro purificazione. Ma limitarsi a questa sola in-
tenzione è ridurre enormemente il significato impetrato-
rio della Messa. La Chiesa, nel messale romano, accanto
ad alcune Messe per i defunti, presenta un lungo elenco
di Messe per le varie necessità dei vivi, come ad esempio
per le varie categorie di persone: gli infermi, i prigionieri,
i profughi, i carcerati, i moribondi...; per le necessità spi-
rituali: la conversione dei peccatori, la remissione dei
peccati, per l'unità della famiglia, per chiedere la virtù
della carità...; in occasione di calamità naturali o per altre
intenzioni, ad esempio per la pace, per l'unità dei cristia-
ni, per la santificazione del lavoro, ecc. Davvero "le gioie
e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini, so-
prattutto dei poveri e di tutti coloro che soffrono" 33, la
Chiesa le sente come proprie e le porta davanti a Dio at-
traverso Cristo che, con il suo sacrificio sulla croce, è di-
ventato l'unico, vero, mediatore tra Dio e gli uomini.
59
che chiede il Papa, uniti alla sua Messa, chiediamo quello
che chiedono i Vescovi uniti con lui, facciamo nostre le
intenzioni e le necessità dei nostri fratelli presenti e lon-
tani; di più, chiediamo quello che chiedono i santi nel
cielo, quello che chiede la Madonna e quello che sta
chiedendo Gesù a gloria del Padre e per la salvezza del
mondo.
Il valore della Messa è infinito e non dobbiamo
temere di diminuirlo se offriamo la Santa Messa per le
intenzioni di tutta la Chiesa e di tutto il mondo. Quello,
semmai, che impedisce i frutti della Santa Messa è la no-
stra poca fede. Fanno difetto le nostre disposizioni inte-
riori: veniamo alla Messa in fretta, a freddo, all'ultimo
momento, senza un'adeguata preparazione. Se è domeni-
ca, veniamo più per soddisfare un precetto che per amo-
re, stiamo in chiesa passivamente, sbadatamente, con il
cuore arido e con la mente piena di altri pensieri... Non
parliamo qui di stati d'animo indipendenti dalla nostra
volontà, ma di disposizioni interiori volute e accettate
passivamente, senza lottare, senza reagire. Sono duemila
anni che Gesù ci aspetta a questi appuntamenti che sono
di grazia, di amore e di misericordia. Non possiamo la-
sciarci dominare dalla malavoglia o dalla pigrizia.
Il Signore Gesù ci viene incontro dall'eternità con
le mani colme dei suoi doni e incontra invece la nostra
indifferenza, la nostra ignoranza, la nostra ottusità. "Se
tu conoscessi il dono di Dio!" 34 potrebbe dire Gesù a
tanti di noi. E' triste vedere cristiani che non amano la
Messa, non la desiderano, non la cercano; spesso basta
loro una piccola difficoltà, un motivo banale per sentirsi
dispensati. "Non ama Cristo chi non ama la Santa Messa,
34 Gv. 4,10
60
chi non si sforza di viverla con calma e con serenità, con
devozione, con amore".35
Può esserci di aiuto immaginare l'altare come
se fosse il Calvario, e noi ai piedi della croce, con Ma-
ria, con Giovanni e con gli Angeli; e Gesù che dall'alto
della croce ci guarda con uno sguardo pieno di amore, di
perdono, di bontà; non una parola di rimprovero, non un
gesto di condanna; invece tutte parole di incoraggiamen-
to che riecheggiano quelle dell'ultima Cena: "Prendete e
mangiatene tutti, questo è il mio Corpo offerto in sacri-
ficio per voi", (...) questo è il calice del mio Sangue...
versato per voi" 36, e semmai si lascia sfuggire un sospiro
che è un desiderio ardente: "Sitio! - Ho sete!". Il Signore
ha sete di te, del tuo amore, della tua donazione, della
tua corrispondenza, ha sete della tua fedeltà, della tua te-
stimonianza. Gli duole che per tanti di noi il suo sacrifi-
cio sia stato inutile e che il suo sangue prezioso sia stato
sparso invano. Perciò ha sete di anime, ha sete del nostro
apostolato. Ecco perché tutte le persone che abbiamo in-
contrato e che incontreremo in quella giornata dovrebbe-
ro sentire il calore della nostra fede, dell'incontro di gra-
zia che abbiamo avuto con Cristo.
Perché un giorno il mondo diventi un altare sul
quale si innalzi Cristo trafitto sulla croce per attirare tutti
e tutto al suo amore, occorre che per ciascuno di noi la
santa Messa diventi il "cuore" di ogni giornata, un cuore
vivo, pulsante, che irrori sangue divino alla nostra anima
e a tutte le nostre opere, così da poter dire con San Pao-
lo: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me".37
35 San J. Escrivà, E' Gesù che passa, n. 92
36 Santa Messa:, Preghiera eucaristica: formula della consacrazio-
ne
37 Gal. 2,20
61
21 – La “Pienezza del tempo”
62
a figli".38 Questo mistero immenso e commovente del Fi-
glio di Dio che, nel grembo verginale di una Donna,
prende la nostra umanità povera e passibile e la unisce
alla sua divinità, questo mistero è la "Pienezza del tem-
po", e a questa Donna il cielo e la terra s'inchinano quan-
do l'Angelo di Dio la saluta "piena di Grazia" e le annun-
cia che Dio l'ha scelta per essere il talamo nuziale del
Verbo di Dio.
L’”Angelus” ha assunto così il significato di
una preghiera mariana, e ormai da secoli il popolo cri-
stiano rivolge, a mezzogiorno, questo saluto angelico
alla Madonna. In effetti, è difficile immaginare il mistero
dell'Incarnazione senza pensare al luogo dove esso si
compie, cioè a Colei che ne è stata strumento ineffabile,
non passivo ma docile e fedelissimo nelle mani di Dio.
Il vaticinio di Isaia: "Ecco, la Vergine concepirà
e partorirà un figlio che chiamerà Emanuele, Dio-con-
noi",39 proietta la Madonna sull'orizzonte della storia
umana e vede in lei la personificazione della "pienezza
del tempo". Anche per noi recitare l'Angelus di mezzo-
giorno, interrompendo per qualche minuto il lavoro lì
dove siamo: in casa, in ufficio, in viaggio, possibilmente
rivolti a qualche sua immagine, è mettere la Madonna nel
punto centrale della nostra giornata, come se essa doves-
se ricordarci il valore divino del tempo, il significato so-
prannaturale di ogni nostra attività, la presenza di Cristo
fatto carne nella nostra vita.
Così, sull'orologio della nostra giornata, tutte le
ore sono ore di Dio, ore di grazia. Le lancette scorrono
sul quadrante dell'amore senza soluzione di continuità,
come il respiro, come il battito del cuore. Al centro del
38 Galati, 4,4
39 Is. 7,14
63
quadrante è l'Eternità: lì le lancette sono immobili, l'amo-
re non ha più bisogno del tempo...:è un lampo abbaglian-
te di luce nella contemplazione del volto di Dio.
LA SETTIMANA
40 Gn. 1, 14 -18
64
alla maggior parte dei fenomeni naturali che avvengono
sulla terra, soprattutto al "miracolo" della vita. Il suo
moto apparente intorno alla terra è stato il primo moto
astrale che gli uomini hanno osservato e la sua durata
elementare - l'intervallo tra due passaggi successivi allo
zenit - costituisce l'unità di misura più nota e universale
del tempo: il giorno.
Quanto alla luna, essa ha avuto un posto singola-
re nelle tradizioni popolari e nelle mitologie antiche. A
differenza del sole, ha sempre suscitato nell'animo umano
una profonda suggestione e insieme un vago senso di ti-
more. Forse per essere l'astro notturno, signora della
notte, forse per la sua faccia pallida e piena di mistero,
forse per le sue fasi così enigmatiche o per l'influsso mi-
sterioso da essa esercitato sui vari fenomeni della natura,
la luna ha contribuito alla formazione di miti e di creden-
ze che troviamo nel patrimonio religioso e culturale di
tutti i popoli. Lo stesso San Zeno, Vescovo e patrono di
Verona, nei suoi sermoni allude al continuo "risorgere
della luna", e vede nel ciclo delle fasi lunari il paradigma
dell'esistenza umana. In particolare, l'influsso della luna
sui fenomeni della fertilità - la semina, la covatura delle
uova, il trattamento del vino, l'attecchimento degli inne-
sti, la fertilità negli animali...., ha portato a considerare la
lunazione, cioè la durata del moto lunare nel susseguirsi
delle quattro fasi, come misura di un tempo ciclico più
ampio: il mese.
Sta di fatto che il libro della Genesi vede nel
sole e nella luna "segni" a servizio dell'uomo; all'uo-
mo, infatti, essi sono serviti non solo per scandire il tem-
po di due unità cronologiche cicliche fondamentali: il
giorno e l'anno, ma anche per scandire il ritmo della vita.
Tuttavia il testo biblico afferma con forza e senza equi-
65
voci che il sole, la luna e gli astri sono creature di Dio,
creature limitate e deboli; non sono affatto divinità e non
hanno nulla a che vedere con presunte forze cosmiche
che presiedano alla vita e alla vicenda degli uomini. Que-
ste affermazioni dell'antico testo biblico hanno un valore
polemico nei confronti delle religioni semitiche che esa-
speravano le forze puramente naturali possedute dai cor-
pi celesti, i quali, come sorgenti di energia, esercitano un
influsso - ancor oggi non pienamente conosciuto - sulla
natura; ma esse sono attuali anche ai nostri giorni, pur
vivendo noi nell'epoca della scienza, perché la pratica
dell'occultismo, della magia e delle arti divinatorie hanno
oggi un rigurgito inquietante, soprattutto presso molte
sette pseudo-religiose e stravaganti.
Tutte le pratiche occulte, esoteriche, astrologi-
che sono pura superstizione, spesso legata a ignoranza,
a debole intelligenza e scarsa formazione, sempre a man-
canza di fede. Negli uomini d'oggi, là dove manca la fede
prospera la superstizione, e la stessa scienza non regge a
lungo di fronte al mistero dell'inconoscibile che sempre
permane nelle creature e nel cosmo. La Bibbia afferma
che tutto nel cosmo è a servizio dell'uomo e l'uomo non
rimane asservito al cosmo, come vorrebbero le teorie
astrologiche; egli invece è l'unica creatura che, portando
in sé l'immagine di Dio, rimane nello spirito autonoma e
trascendente, custodita e guidata dalla Provvidenza divi-
na.
E’ vero tuttavia che i cicli naturali che misurano il
tempo - le ore del giorno, i mesi dell’anno - rivestono un
significato cultuale e liturgico che possono alludere al
rapporto dell’uomo con Dio e collegarsi alla stessa vita
spirituale di noi cristiani, come abbiamo visto per la “Li-
turgia delle Ore”; qui, in questo capitolo, vogliamo ora
66
fermare la nostra attenzione su un’altra unità cronologica
che non appartiene strettamente a cicli naturali come il
giorno e l’anno, e tuttavia riveste notevole importanza
nella vita personale e sociale: il ciclo di sette giorni che
prende appunto il nome di settimana. Abbiamo già
detto che essa non è un ciclo cronologico legato alla na-
tura, anche se in qualche modo potrebbe collegarsi alle
quattro fasi lunari ognuna delle quali dura infatti circa
sette giorni; è invece un'unità cronologica indipendente,
collegata ad aspetti della vita civile e religiosa, in parti-
colare alla festa.
23 – La festa
41 Lc. 4,19
42 Gv. 4,21
69
Nei luoghi dove si svolge la vita di ogni giorno, lì il cri-
stiano deve saper incontrare Dio.
Quello che spesso accade è che l'uomo immerso
nel suo lavoro, nei suoi affari terreni, nella sua attività
pubblica o nei suoi interessi personali si dimentica di Dio
e del suo rapporto con lui. Perciò il Signore ha voluto il
settimo giorno, e lo ha inserito nei suoi Comandamenti.
E lo ha inserito proprio così, con l'espressione: Ricorda-
ti!... Ricordati che sei creatura di Dio e la natura è il
dono che egli ti ha affidato; ricordati che sei libero e non
devi farti schiavo delle cose; ricordati che non sei solo e
devi farti dono per gli altri; ricordati che Dio ti ha ricon-
ciliato col sangue prezioso del suo Figlio e devi procla-
mare nel perdono la sua misericordia; ricordati che sei
"nuova creatura" e Cristo risorto vuole, con te, ricondur-
re al Padre tutte le cose; insomma, ricordati che sei figlio
di Dio e il tempo della tua vita ti è dato per conoscere,
amare e servire Lui, con cuore grato e fedele.
La "festa" è tutto questo e, in un certo senso, si
identifica con la persona di Cristo: Gesù è la vera Festa
dell'umanità. In Lui tutti i valori dell'uomo, della natu-
ra, della società umana, tutti i valori di grazia e di reden-
zione contenuti in quel: "Ricordati di santificare il giorno
del Signore" vengono ricuperati, riproposti e celebrati.
Tutto il valore della creazione viene da Cristo assunto e
inserito nei "tempi nuovi" che egli ha inaugurato, i tempi
dello "Sposo", che invita alla sua festa di nozze tutta l'u-
manità.
70
Così la festa si presenta come il luogo dei
"fini" e il tempo feriale come luogo dei "mezzi": il la-
voro, lo studio, la legge, la fatica, il dolore ecc. Senza la
festa l'uomo non sa più perché lavora, perché soffre, per-
ché è soggetto alla legge e perché deve impegnarsi; sen-
za la festa i mezzi rischiano di diventare un fine: si lavora
per il successo, per il guadagno, per la carriera... si lavo-
ra per il lavoro. La festa ricupera il valore e il significato
della vita "feriale" e dei mezzi che essa comporta.
Ma d'altra parte la ferialità impedisce che la festa
divida l'uomo, lo chiuda in uno spazio "sacro" dove l'uo-
mo si rifugia e dal quale l'uomo esorcizzi il profano. E'
l'antica tentazione dualistica di contrapporre il sacro al
profano, di vedere incompatibilità tra la festa e il lavoro.
E' una contrapposizione che poi finisce per escludere o
l'uno o l'altra. Nel mondo antico si tendeva ad eliminare
il lavoro "sacralizzandolo", collegandolo a qualche divi-
nità, perché si vedeva il lavoro come una condanna,
espressione del male. Il mondo moderno, che a differen-
za del mondo pagano è ateo o areligioso, tende invece
ad eliminare la festa.
La rivoluzione francese aveva trasformato l'intero
calendario in tempo profano, con giorni e mesi totalmen-
te feriali, e con struttura e nomenclatura prive di qualsia-
si riferimento religioso; tutto era pensato sulla vita feria-
le, con un giorno di riposo per ogni decade lavorativa.
Ma anche la società attuale, considerando il lavoro
necessità e finalizzandolo alla produzione, ha ridotto
la festa a "tempo libero", che in realtà significa tem-
po vuoto col problema di trovare i riempitivi che diano
l'illusione della festa, se non altro "consumando" quanto
si è prodotto nei giorni feriali. Ne è venuta fuori una pa-
rodia della festa, con i suoi contenuti di evasione, di
71
stordimento, di tifo, di varie droghe, compresi l'alcool e
il sesso.
La festa ci ricorda che il lavoro, pur non essendo
il fine dell'uomo, è tuttavia un grande privilegio concesso
dal Creatore alla creatura; è nel lavoro e con il lavoro
che l'uomo è chiamato a partecipare alla creazione. Dio,
infatti, pose l'uomo nell'Eden - sulla terra - ut operaretur,
perché lavorasse, ma lo creò "a sua immagine e somi-
glianza" perché potesse conoscere Lui, amare Lui, e rea-
lizzare in Lui il suo fine. Ritroveremo questo riferimento
quando mediteremo sul significato biblico del settimo
giorno.
I sei giorni della creazione sono il "tempo di
lavoro" di Dio. Dio compiendo l'opera grandiosa e
splendida della creazione manifesta le sue perfezioni e la
sua gloria; nel settimo giorno Dio si ferma e "riposa". E'
un riposo "contemplativo”: “Dio vide quanto aveva fat-
to, ed ecco, era cosa molto buona".43 Sappiamo infatti
che Dio opera sempre. Ai Giudei che gli rimproveravano
di non rispettare il sabato, Gesù rispose: "Il Padre mio
opera sempre e anch'io opero".44 Dio non cessa di creare
perché continua a partecipare l'essere e l'agire a tutte le
creature, e a governarle con la sua provvidenza. Il riposo
contemplativo di Dio ha dunque un valore esemplare per
l'uomo. E' l'uomo che ha bisogno di "fermarsi", di lascia-
re il lavoro, cioè il tempo feriale, per contemplare ciò
che Dio ha fatto, per immergersi nel tempo festivo, cioè
nella gloria di Dio, e dare al tempo la dimensione dell'e-
ternità.
43 Gn. 1, 31
44 Gv. 5, 17
72
25 – Le dimensioni della festa
73
la fruizione di sé stessi, della propria persona e del pro-
prio tempo.
La festa annulla le distanze sociali; è il tempo
della vera uguaglianza. Tutti ugualmente commensali al
tavolo di Dio: il creato, e soprattutto tutti commensali
intorno al tavolo di Cristo, alla mensa dell'altare, dove a
tutti vengono offerti il Pane e la Parola. Nella festa nes-
suno è debitore e insieme tutti siamo debitori gli uni de-
gli altri, debitori di stima, di onore, di gratitudine. La fe-
sta affranca dalla servitù; ogni uomo è padrone, dispone
pienamente di sé stesso, del suo tempo, dei suoi talenti; è
il giorno in cui l'uomo è felice di essere uomo.
La festa è tutta e solo dono, dono che si riceve
da Dio e dai fratelli. La festa quindi non si compra; non
esiste denaro né appoggio di potenti che possano procu-
rarcela. Si può orchestrare la fenomenologia della festa,
si possono al limite sponsorizzare le manifestazioni este-
riori: giochi, premi, sagre e altri divertimenti legati a tra-
dizioni popolari, ma la festa è un'altra cosa e non abita lì;
la festa viene dal cuore, quando è pulito, luminoso, nella
pace.
Che si possa comprare la festa è uno degli ingan-
ni della nostra cultura secolarizzata ed è tipico della so-
cietà dei consumi. Il consumismo è la negazione della fe-
sta. L'uomo consumista ha il cuore vuoto e vuole riem-
pirlo dall'esterno con le cose, con i prodotti effimeri e
bugiardi dell'edonismo. Comprare la festa è sinonimo ed
è frutto di superstizione. L'uomo areligioso o miscreden-
te della nostra epoca cade nella magia più primitiva
quando ha la pretesa di captare la festa con gli amuleti
del consumismo.
La festa ha invece una dimensione comunitaria.
Non si può far festa da soli perché la festa è "partecipa-
74
zione". Si può far festa "in solitudine", con la sola pre-
senza di sé stessi, se il cuore è aperto all'amore, al dono,
alla contemplazione. Ma normalmente si fa festa "in
compagnia", con presenze che esprimano partecipazione,
condivisione di un bene che è di tutti e per tutti; la festa
non è proprietà esclusiva di nessuno, non è un bene pri-
vato per alcuni privilegiati. La festa è un bene che più
viene condiviso e più cresce; la partecipazione di molti fa
diventare la festa più grande, più intensa e più fastosa.
La festa è un canto dell'anima, un canto che
conosce l'assolo ma che normalmente si esprime in un
coro a più voci, in una polifonia a tutto campo, senza li-
miti di voci, di strumenti, di temi e di melodie. E' un can-
to che può coinvolgere popoli interi. Nel Cielo la festa è
"moltitudine": "Dopo ciò udii come una voce potente di
una folla immensa (...) simile a fragore di grandi acque
e a rombo di tuoni possenti, che gridavano:
"alleluia!".45 In cielo infatti la gioia di uno è gioia di tutti
e la gioia di tutti inonda il cuore di ciascuno. Il cielo è
tutto e solo festa, la Grande Festa, perché sono finiti i
giorni della fatica, i giorni del sudore e della necessità, e
"Dio, che ha terso le lagrime dai loro occhi, sarà tutto
in tutti". Qui sulla terra la festa non è mai compiuta né
completa. Conosce i limiti e le vicissitudini dell'animo
umano: le lagrime si mescolano al sorriso, la gioia al do-
lore e si fondono insieme la fatica e il riposo, l'odio e l'a-
more, la morte e la vita. Qui sulla terra la festa porta il
peso della nostra condizione umana.
45 Ap. 19,6
75
Da tutto questo è facile capire che il vero nemico
della festa non è il lavoro, non è la fatica, non è neppure
il dolore: la liturgia della Chiesa celebra la Festa della
Croce! Il vero nemico della festa è il peccato perché ci
occulta il volto di Dio, ci separa dai fratelli, ci impe-
disce la fruizione del creato e di ogni altro dono di
Dio. Il peccato ha introdotto la "ferialità" nel lavoro, la
fatica nel dovere, il dolore nella maternità, la schiavitù
nel rapporto fra gli uomini. "La Festa è finita" può essere
un titolo del dramma consumato nell'Eden dai nostri pro-
genitori. Il peccato, infatti, ha sostituito alla felicità il
piacere, alla pace la paura, alla verità la menzogna, al
dialogo la contesa, all'amore l'egoismo. La festa, che pur
è rimasta una dimensione dell'animo umano, ha imbocca-
to così le strade della solitudine, dello stordimento, della
noia, della nudità. Col peccato è entrata nel mondo la
contraffazione della gioia festiva, la sua antitesi: la tri-
stezza. La gente può cantare, ballare, divertirsi senza che
per questo ci sia festa. Quanto vuoto, quanta insoddisfa-
zione e tristezza contrassegnano il tramonto di tante
giornate "festive"!
Ma il nemico della festa non è soltanto il peccato
dei "cattivi", il peccato palese, trasgressivo, ma anche il
peccato dei "buoni"; è un nemico subdolo, silenzioso, ma
ugualmente paludato di tristezza antifestiva: è la tiepi-
dezza, la mediocrità consapevole e voluta nella vita
spirituale. Il peccato della tiepidezza ha il nome con sé:
il vocabolario la definisce come "atteggiamento che de-
nota poco amore e poco entusiasmo". Più che un pecca-
to esplicito è perciò uno "stato" dell'anima, uno stato pa-
ragonabile a una malattia debilitante, che toglie slancio e
vitalità alla vita cristiana.
76
Il tiepido porta un'anima grigia, pigra e indiffe-
rente, che ha perso interesse alle cose di Dio e si limita a
non trasgredire gravemente i suoi Comandamenti. I Co-
mandamenti stessi sono sentiti come un peso al quale si
vorrebbe volentieri sottrarsi. Questo stato dell'anima tie-
pida si esprime tuttavia in molti, piccoli, sintomi che ne
fanno una malattia ad ampio spettro. "Sei tiepido se fai
pigramente e di malavoglia le cose che si riferiscono al
Signore; se vai cercando con calcolo e con furbizia il
modo di diminuire i tuoi doveri; se non pensi che a te
stesso e alle tue comodità; se le tue conversazioni sono
oziose e vane; se non aborrisci il peccato veniale; se agi-
sci per motivi umani".46
Questi ed altri sintomi, tutti all'insegna del com-
promesso in favore della comodità e della vanità, rivela-
no una situazione interiore di piatta "ferialità", dove va
spegnendosi ogni ideale di santità, ogni slancio di gene-
rosità, ogni moto d'amore verso Dio e il prossimo. Così
il tiepido riduce tutto alla legge e trasforma anche la
festa in un obbligo, dimenticando lo spirito del terzo
Comandamento che è l'unico a non usare la terminologia
ingiuntiva propria della legge. Dice infatti: "Ricordati" di
santificare la festa; proprio perché la festa non si può im-
porre, non si può comandare, come non si può comanda-
re la gioia, l'amore, il dono di sé. Per il tiepido anche la
Messa domenicale è un "dare", quasi un pedaggio da pa-
gare, anziché un "ricevere".
Così, la conseguenza di questa opaca ferialità è la
tristezza, l'incapacità di fare festa, di vivere la gioia. Per-
ciò, San Tommaso d'Aquino definisce la tiepidezza:
"Una specie di tristezza che rende l'uomo tardo a com-
27 – La settimana
80
LA D O M E N I C A
82
metterete, resteranno non rimessi".48 La pace, la remis-
sione dei peccati, l'effusione dello Spirito Santo: sono il
frutto della Pasqua e insieme i segni della creazione rin-
novata.
Questa effusione dello Spirito Santo riguardava
soprattutto i singoli apostoli che ricevevano così il pote-
re di rimettere i peccati, ma preludeva alla grande effu-
sione dello Spirito nella domenica di Pentecoste. In quel
giorno la discesa dello Spirito Santo avviene su tutta la
Chiesa con destinazione a tutti i popoli della terra.
"Manda il tuo Spirito, o Signore, e rinnoverai la faccia
della terra". E' questa l'altra grande opera di Dio ricor-
data e celebrata nella domenica. Nasce in quel giorno la
Chiesa e in essa il genere umano potrà trovare la sua uni-
tà; lo Spirito Santo compirà il prodigio di riunire tutte le
razze, le lingue e le nazioni della terra in un unico popo-
lo, il nuovo Popolo di Dio, con una sola fede, un solo
battesimo, un solo Maestro e un solo Padre. La creazio-
ne, che si ronnoverà nella risurrezione finale, viene pre-
parata dallo Spirito Santo per il giorno della glorificazio-
ne alla fine dei tempi. Allora, l'ottavo giorno sarà l'unico
giorno dell'universo e dell'umanità intera, il solo e l'unico
giorno senza fine e senza tramonto.
29 – La Liturgia domenicale
48 Gv. 20,22
83
buono, perché eterna è la sua misericordia".49 Celebra-
re: non semplicemente ricordare, commemorare, im-
maginare un passato che non esiste più. Si "celebra" una
realtà presente, attuale, che è viva adesso. La creazione è
sotto i nostri occhi e si sta facendo continuamente; la
Redenzione, realizzata in Cristo morto e risorto, è attua-
le oggi, perché Gesù è vivo e continua ad offrirsi al Pa-
dre per noi; lo Spirito Santo, principio vitale della Chie-
sa, continua ad effondersi nelle anime, purificando, illu-
minando, santificando. Le "opere di Dio" compiute nel
tempo non sono limitate dal tempo, ma lo pervadono in-
teramente con la loro presenza e la loro efficacia. Cristo
è di ieri, di oggi, dei secoli.
Questa convinzione dovrebbe essere ben presente
e viva nell'animo di ogni cristiano quando si reca in chie-
sa per celebrare il giorno del Signore. Molti cristiani as-
sistono alla liturgia domenicale come spettatori passivi;
stanno ad osservare con curiosità scontata un cerimonia-
le già noto e rimangono interiormente estranei come se
la cosa non li riguardasse; tutt'al più stanno ad aspettare
che finisca. Non pensano che si stanno compiendo da-
vanti a loro e per loro le grandi "Meraviglie di Dio".
Il cuore della domenica è la liturgia eucaristi-
ca. La celebrazione dell'Eucarestia è un fatto trinitario e
riassume tutto ciò che il Padre, il Figlio e lo Spirito San-
to hanno compiuto per la salvezza del mondo, salvezza
che lì sull'altare viene offerta a ciascuno di noi. Per que-
sto la Chiesa fin dai primissimi tempi ha visto la santifi-
cazione del Giorno del Signore indissolubilmente legata
alla celebrazione dell'Eucaristia, così da farne un obbligo
grave per ogni cristiano. Non c'è domenica, non c'è
49 Salmo 117, 29
84
vera festa cristiana, se manca l'Eucaristia. Il cristiano
che senza un motivo proporzionato non partecipa con la
fede dovuta alla liturgia eucaristica domenicale, non solo
esclude sé stesso dai doni di salvezza che Dio ci offre,
ma anche fa violenza al significato stesso del tempo; per
lui, infatti, la domenica non è più il "Giorno del Signore",
il giorno di festa che lo unisce agli altri fratelli nella fede,
ma soltanto un giorno di riposo, tempo libero, tempo di
divertimento o altro, in ogni caso tempo "mondano". E
anche quando fosse fisicamente impedito, il cristiano sa
che può unirsi spiritualmente alla Chiesa che, sparsa nel
mondo intero, celebra il mistero di Cristo, e può dedica-
re qualche minuto alla lettura meditata della Parola di
Dio e partecipare in spirito e col desiderio al sacrificio
dell'altare.
50 cfr. Atti, 2, 42
86
Perciò la recita del Credo come risposta alla Parola di
Dio è un momento di intensa ecclesialità.
31 – La fraternità cristiana
51 Is. 40,26
90
Leggiamo nella Bibbia che, portata a termine la creazio-
ne, "Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa mol-
to buona".52 Abbiamo visto che il riposo di Dio è un
riposo contemplativo. In verità, Egli non ha bisogno di
contemplare quello che ha fatto, siamo noi che abbiamo
bisogno di contemplare le opere di Dio per renderGli
gloria.
Per noi, dunque, il riposo domenicale non signifi-
ca semplicemente interruzione del lavoro, ma implica an-
che un "distacco" dal lavoro. In altre parole abbiamo bi-
sogno di prendere le distanze dal nostro lavoro per ve-
derlo nella prospettiva della gloria di Dio e per togliere
da noi ogni atteggiamento egoistico che sappia di attac-
camento interessato. L'uomo è capace di brutalizzare il
suo lavoro piegandolo al proprio interesse egoistico, al-
l'oppressione e all'ingiustizia; allo stesso modo può pro-
fanare il suo riposo distogliendolo dalla contemplazione
per consumarlo nella evasione.
52 Gn. 1, 31
91
tiene totalmente ai figli, non è fruibile pienamente nella
sua paternità; la sua attività professionale, pur importan-
te e necessaria, lo toglie in maniera più o meno rilevante
all'ambiente famigliare, sia in termini di tempo che di
energie e di partecipazione. Lo stesso avviene per la ma-
dre, che è anche sposa, e per i figli.
Nella domenica la famiglia deve ritrovare sé
stessa pienamente; i genitori devono essere totalmente
per i figli, fruibili in tutta la loro dimensione di paternità
e di maternità; la moglie deve ritrovare sé stessa nella
pienezza della sua femminilità e del suo ruolo, e fruire
pienamente della sua famiglia. Proprio la donna è mag-
giormente esposta ad essere derubata del riposo domeni-
cale; facilmente la domenica può diventare un giorno di
riposo per tutti eccetto che per la donna. Perciò anche i
lavori domestici devono essere ridotti al minimo e su di
essi devono prevalere le persone.
Spesso il lavoro si frappone tra le persone e crea
tra loro distanze; il riposo serve a togliere barriere e a
permettere alle persone di incontrarsi nella gratuità, nella
libertà del dialogo, nella totale disponibilità reciproca,
perché tutto lo spazio sia lasciato ai legami e agli affetti
familiari, all'attività dello spirito, alla partecipazione agli
atti di culto.
Perciò contrastano col riposo domenicale la vana
dissipazione, il divertimento stupido o peggio immorale,
l'ozio neghittoso ed egoistico. Anche sul piano fisiologi-
co e psicologico il riposo consiste spesso nel cambiare di
attività, nel passare ad una attività meno impegnativa che
può essere manuale o spirituale, sociale o artistica, per-
sonale o collettiva, ma sempre espressione di valori uma-
ni autentici e promozionali della persona. Ora, la dissipa-
zione non è riposo e nemmeno lavoro, è un macinare a
92
vuoto energie con progressivo impoverimento interiore;
così il divertimento disordinato e malsano, non è né ripo-
so né lavoro, è spreco di energie, stordimento da evasio-
ne che finisce in un'inutile fatica; e neanche l'ozio neghit-
toso è riposo e tanto meno è lavoro: chiudersi nella pro-
pria accidia è tradire la festa, è negarsi al dono e alla fra-
ternità. In queste situazioni il riposo domenicale anziché
riunire la famiglia, la disperde, disunisce i suoi membri e
li isola, finisce tutt'al più col creare incontri fittizi, rap-
porti che mancano di autenticità e sincerità, e che spesso
finiscono nell'inganno reciproco e in una squallida com-
plicità. Così, il riposo festivo si chiude nel vuoto sterile
di una giornata senza valori, lasciandoci più soli e più
poveri, spesso più affaticati e insoddisfatti.
34 – Riposo ed eternità
93
il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da
ogni suo lavoro".53
Anche Gesù, prima di morire, con forte grido
esclamò: "Tutto è compiuto!" E chinato il capo, spirò.54
Nel testo greco l'espressione "chinare il capo" è resa con
il verbo klineìn che indica l'atto di riposare nel sonno
dopo la fatica. La morte di Cristo è il "riposo" del Figlio
di Dio che "tutto ha compiuto", ha portato a compimen-
to il lavoro che il Padre gli aveva affidato: la Redenzione
del mondo. Questo riposo non finisce nel sepolcro per-
ché la morte di Cristo è sorgente di vita - la Croce è l'Al-
bero della Vita - e perciò si apre sulla risurrezione e sulla
glorificazione alla destra del Padre. E' questo appunto il
vero riposo: la destra del Padre, il Cielo; riposo che pre-
suppone l'aver portato a compimento il lavoro, il compi-
to o la missione che Dio ha affidato.
Dio vuole portare a compimento in tutto e in tutti
il suo misterioso e misericordioso disegno di salvezza. E'
la condizione perché ogni cosa "entri nel suo riposo".
Non tutti infatti vi entrano; coloro che induriscono il loro
cuore e non camminano nelle vie del Signore "non entre-
ranno nel luogo del (suo) riposo".55
Questo riposo in Dio - il Cielo - è il riposo del-
l'ottavo giorno, significato e anticipato nel riposo dome-
nicale. Tra il riposo del primo giorno, la domenica, e il
riposo dell'ottavo giorno, l'eternità, c'è in mezzo la
settimana della storia umana dove il “lavoro di Dio”
e il “lavoro dell’uomo” si intrecciano, dove cioè la li-
bertà dell’uomo è perennemente interpellata dal progetto
di Dio, un progetto che deve compiersi in ogni uomo e
53 Gn. 2, 1
54 Gv. 19, 30
55 Salmo 95, 11
94
poi sull'intera umanità, finché non sia completato il "nu-
mero degli eletti". E' un grande mistero questo della cor-
responsabilità dell'uomo col disegno di Dio: dipende da
noi che si affretti o si allontani il giorno del riposo; di-
pende dal modo con cui rispondiamo al lavoro di Dio,
alla sua grazia, che maturino "i tempi e i momenti" che il
Padre ha riservato a sé, che, cioè, finiscano i "tempi della
fatica" e della prova e giunga il momento in cui "tutto è
compiuto", il momento in cui il libro, nel quale vengono
scritti i nomi di tutti gli eletti, sia giunto alla sua ultima
pagina. Allora ogni cosa entrerà nel riposo di Dio, nella
partecipazione e nella contemplazione della sua gloria.
Il riposo domenicale deve aiutare il cristiano a
guardare alla settimana come al luogo dove si attua la
sua vocazione, quella di collaborare al lavoro di Dio,
quella di mettere la propria libertà a servizio dei fratelli,
del loro bene temporale finalizzato al loro bene eterno,
alla loro salvezza. I giorni "feriali" nella settimana del
cristiano sono i giorni della "fatica di Dio", che vuole
salvare gli uomini contando sulla loro libertà, sono i
giorni della "fatica di Cristo" che, avendo riconciliato
con il Padre tutte le cose mediante la Croce, la offre a
noi come luogo del suo riposo: "Venite a me voi tutti
che siete affaticati e stanchi ed io vi ristorerò. Prendete
su di voi il mio giogo (...) il mio giogo infatti è dolce e
il mio carico leggero e troverete riposo per le vostre
anime".56 Se la domenica è il giorno in cui cantiamo il
"Gloria a Dio ", e l'ottavo giorno è il giorno del "Te
Deum laudamus", i giorni feriali della settimana
sono i giorni del “Padre nostro”. L'impegno di collabo-
rare col disegno di Dio per la salvezza del mondo, che
56 Mt.11,28-29
95
cos'è se non un modo concreto di dire al Padre che "sia
santificato il suo nome, che venga il suo regno e che si
compia la sua volontà qui sulla terra con la perfezione e
la compiutezza con cui si compie nel cielo? Recitare il
Padre nostro con la vita, corrispondendo ogni giorno al
disegno di Dio e alla sua grazia è far camminare l'umani-
tà verso la "terra promessa", verso il luogo del riposo,
quando completato il numero degli eletti, Dio sarà tutto
in tutti e tergerà ogni lagrima dai loro occhi; non ci
sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, per-
ché le cose di prima sono passate.57 Allora non ci sarà
più distinzione tra "lavoro e riposo" perché il nostro ri-
poso sarà la beatitudine e il nostro lavoro sarà cantare
senza fine la lode di Dio, di colui che tutte le creature del
cielo e della terra proclameranno tre volte Santo, per
sempre.
57 Ap. 21,4
96
L U N E D I’
35 – La devozione
100
Dio è amore, e l'amore è "effusivo", ha bisogno
cioè di manifestarsi e di comunicarsi. E quanto più l'a-
more è grande e profondo, tanto più tende ad effondersi
e a donarsi in ciò che di più personale e di più intimo
esso possiede. Ora, essendo puro e solo Amore, Dio non
può che rivelare sé stesso, la sua intimità più profonda.
La Trinità è appunto "l'intimità di Dio", l'abisso ab-
bagliante della sua vita intima, che è vita tri-personale.
La Trinità costituisce dunque ciò che è più proprio di
Dio, esclusivo e costitutivo del suo Essere divino.
Nessuno avrebbe potuto conoscere questo miste-
ro se Dio non lo avesse rivelato; è perciò il mistero qua-
lificante ed esclusivo della fede cristiana. In ogni altra re-
ligione l'unità di Dio rimane qualcosa di vago e astratto,
tanto che la divinità stessa resta così lontana da perdere
quasi ogni legame con il mondo e con gli uomini. Oppu-
re si arriva a considerare le perfezioni divine come altret-
tanti dei, che spesso degenerano in forme umane con i li-
miti e le debolezze proprie degli uomini.
D'altra parte, il politeismo delle religioni, frantu-
mando l'unità di Dio, ne falsa profondamente il concetto
e la natura, e ne corrompe il culto. La stessa Trimurti in-
duista non è che una forma di politeismo che, in mezzo a
una innumerevole moltitudine di divinità minori, ricorda
solo numericamente la Trinità ma non contiene alcuna
analogia col grande mistero della nostra fede.
D'altro lato, il monoteismo islamico, pur affer-
mando un unico Dio, personale e trascendente, giusto e
rimuneratore, considera la divinità come qualcosa di mo-
nolitico, che incombe sull'uomo, lasciando ben poco spa-
zio alla sua libertà e vincolandolo con un rapporto preva-
lentemente esteriore, legale e cultuale. Oltre al mistero
trinitario, l'Islamismo ignora completamente il mistero
101
della grazia; non riconosce in Gesù il Figlio di Dio, in-
carnato, morto e risorto per noi, il quale ha ottenuto che
gli uomini vivessero un rapporto con Dio totalmente
nuovo e gratuito, quello di figli. Anche il codice della re-
ligiosità islamica - il Corano - viene applicato come leg-
ge sociale e ordinamento politico, mentre il culto assorbe
gran parte della morale. In realtà, il Dio rivelatosi in
Gesù è Padre, Figlio e Spirito Santo, e si è rivelato come
il Signore di tutti i popoli della terra e insieme come Re-
dentore di ogni uomo.
Ci tornano alla mente nel loro significato più pro-
fondo le parole di Gesù alla Samaritana: "Credimi, o
donna, è giunto il momento (ed è questo) in cui né su
questo monte (il Garizim), né in Gerusalemme adorere-
te il Padre...".59 In senso allegorico la Samaritana è come
la personificazione dell'umanità e i vari mariti che la don-
na ha avuto possono significare allegoricamente i vari dèi
che l'umanità ha adorato e servito. Ma ora Gesù si è se-
duto al pozzo della nostra sete, sete di verità, la sete bru-
ciante che divora il cuore degli uomini. Gli rispose la
donna: ”So che deve venire il Messia; quando egli ver-
rà, ci annunzierà ogni cosa. Le disse Gesù: "Sono io,
che ti parlo". Gesù dunque non è un semplice uomo che
può avere avuto delle rivelazioni divine, è il Figlio di
Dio, l'inviato del Padre; in Lui Dio si è aperto all'uomo,
ha spalancato le profondità del suo essere divino, l'infini-
to mistero della sua vita intima. Cristo ha rivelato Dio al-
l'uomo e, attraverso Cristo, l'uomo può entrare nella "in-
timità di Dio". Come la Samaritana, anche l'umanità può
dire di Cristo: Ecco Colui che mi ha detto tutto quello
59 Gv. 4,21
102
che ho fatto, tutti i mariti che ho avuto, tutte le false di-
vinità che ho adorato.
60 Fil. 2,6 - 8
103
fratello primogenito; infine, lo Spirito Santo che
"inabita" nel Padre e nel Figlio come loro Amore, volle
estendere la sua inabitazione in noi effondendosi nei no-
stri cuori, diventando "l'ospite dolce" della nostra anima.
Dio, che cosa poteva fare di più per noi? A pen-
sarci bene, c'è da impazzire di felicità, di commozione, di
gratitudine; e c'è anche da coprirci di vergogna per la no-
stra indifferenza, ignoranza e ingratitudine. Solo in cielo
avremo l'esperienza diretta di questo Abisso di luce e di
gloria, di questo Oceano senza sponde, quando immersi
totalmente nel mistero trinitario, contempleremo le sin-
gole Persone divine nelle relazioni ineffabili che le distin-
guono e insieme nella infinita unità della loro unica natu-
ra divina.
61 Gv. 14,23
104
Ma la devozione alla Santissima Trinità, oltre che
una diretta conseguenza della inabitazione divina è anche
la caratteristica che esprime lo sviluppo autentico della
vita battesimale. Possiamo dire che il tratto intimo con
le singole Persone della Santissima Trinità rappre-
senta il vertice più alto della pietà cristiana. "Il cuore
sente il bisogno, allora, di distinguere le Persone divine e
di adorarle a una a una. In un certo senso, questa scoper-
ta che l'anima fa nella vita soprannaturale è simile a quel-
la di un infante che apre gli occhi all'esistenza. L'anima si
intrattiene amorosamente con il Padre, con il Figlio, con
lo Spirito Santo; e si sottomette agevolmente all'attività
del Paraclito vivificante, che ci viene dato senza nostro
merito: i doni e le virtù soprannaturali!".62
L'inabitazione della Trinità nella nostra anima ci
porta a rientrare in noi stessi, a scendere profondamente
nell'intimo della nostra coscienza e ad aprirci totalmente
a Colui che è l'unico, vero, interlocutore del cuore uma-
no e che, secondo l'espressione di Sant'Agostino, è “inti-
mior intimo meo"63, è cioè presente al mio essere più in-
timamente di quanto non sia presente io a me stesso.
Questo non significa che la devozione alla San-
tissima Trinità sia intimistica, una sorta di ripiegamento
su noi stessi o di chiusura nel nostro io. Tutt'altro! Il rap-
porto con le tre Persone Divine, quando è vissuto con
pietà autentica e sincera, ci porta invece fuori dal nostro
isolamento egoistico e dalla nostra mediocrità. Avvertia-
mo che Dio prende la nostra anima e le fa sentire che
Egli "in altis habitat" - abita le altezze, le altezze vertigi-
nose della santità assoluta, davanti alla quale la nostra
anima si sente infinitamente piccola e impotente, e le vie-
62 San J. Escrivà, Amici di Dio, n. 306
63 Confessioni, 3,6,11
105
ne spontaneo il grido di Pietro sul lago di Tiberiade:
Iube me venire ad te! Signore, comandamelo tu di venire
fino a te!
- Così l'anima si rivolge innanzitutto al Pa-
dre, lo invoca e gli chiede di salire fino al suo cuore: ad
cor tuum, dives in misericordia, fino a te, o Padre mio,
fino al tuo cuore paterno, ricco di misericordia! Pensan-
do allora alla caratteristica che identifica la prima Perso-
na, la paternità, ci torna alla memoria la figura commo-
vente del Padre buono nella parabola evangelica di Luca,
quel padre che non ha cessato un solo giorno di scrutare
l'orizzonte in attesa del figlio che l'aveva abbandonato,
quel padre che, scorgendo la figura barcollante del figlio,
ridotto da una vita disordinata e dalla sua stupidità ad un
rudere irriconoscibile, "quand'era ancora lontano, gli
corse incontro commosso, gli si gettò al collo e lo ba-
ciò".64 E ci immaginiamo la forza di quelle braccia im-
mense che avvolgono, come per nasconderla, la miseria
e le ferite del figlio ritrovato, la tenerezza di quell'ab-
braccio interminabile, il calore di quelle lagrime che riga-
vano la polvere su quel povero corpo sfinito per l'inedia
e la fatica, che si sforzava di mormorare: "Non sono più
tuo figlio!". Un figlio perduto e ritrovato, un figlio torna-
to a vivere sul petto di suo padre, dal quale uscivano,
come esplosioni di misericordia, i battiti di un cuore ca-
pace solo di amare. E ripetutamente gli diciamo: "Padre
mio, fammi salire fino a te, fino al tuo cuore ricco di mi-
sericordia!"
- La nostra anima si rivolge poi al Figlio,
perché la strada che porta alla casa paterna, alle braccia
del Padre ricco di misericordia, non l'hanno tracciata gli
64 Lc. 15,20
106
uomini, non l'abbiamo aperta noi con la nostra volontà
umana, l'ha tracciata con le sue orme insanguinate il Fi-
glio di Dio fatto uomo, Gesù, seconda Persona della
Santissima Trinità. Egli, facendoci partecipi della sua fi-
liazione divina, che è la caratteristica che lo identifica, si
è fatto per noi strada e cammino di salvezza: ”Nessuno
viene al Padre se non per mezzo di me... Io sono la Via,
la Verità, la Vita”.65
Così, la strada del nostro ritorno l'ha scavata la
croce sulla Carne del Figlio dell'uomo, dove l'Amore ha
aperto brecce ormai per sempre spalancate sull'oceano
della misericordia divina. Lì trova rifugio la nostra debo-
lezza, lì ricevono sollievo le nostre ferite, di lì passa la
nostra fatica di peccatori che vogliono dimenticare le
ghiande contese ai porci. E la nostra invocazione: "Co-
mandami, Signore, di venire fino a te!" diventa allora un
grido umile e forte all'Umanità crocifissa di Cristo: "In-
tra tua vulnera absconde me!, dentro le tue ferite na-
scondimi, o Signore!"
"Dentro le tue ferite! ...Incomincia così la nostra
divina avventura che ci porta a "scoprire" a una a una le
piaghe aperte di Cristo crocifisso. La piaga delle mani,
quelle mani che tanto hanno operato sulla nostra umanità
smarrita e dolente: la mano destra, che ha accarezzato
bambini, che ha risanato infermi, sollevato peccatori e si
è posata dolcemente sul capo di Giovanni; la mano sini-
stra, così forte nel cacciare demoni, così decisa nel vibra-
re la frusta contro i venditori del tempio, così tremante
di tristezza nell'offrire il boccone al traditore svelato; e
poi le ferite dei piedi, quei piedi che tanto hanno cammi-
nato sulle strade degli uomini in fuga dalla casa paterna, i
65 Gv. 14,6
107
piedi che si sono impolverati, affaticati e feriti sui sentieri
del Tabor, sulle pietre della via dolorosa, i piedi che la-
grime di pentimento hanno lavato, che baci ardenti han-
no coperto d'amore, che olio di nardo prezioso ha impre-
gnato di devozione; i piedi di Dio, che hanno lasciato
sulla terra orme divine per i piedi degli uomini, per i pie-
di di quanti vogliono seguirlo per annunciare nel mondo
il suo amore e la sua pace.
"Dentro le tue piaghe nascondimi!"... E' un modo
efficace per entrare nella vita di Cristo e percorrere il
cammino del pentimento, della purificazione, della con-
versione che porta alla casa paterna. "Ti sei "messo" nel-
la Piaga santissima della mano destra del tuo Signore, e
mi hai domandato: "Se una sola ferita di Cristo lava, ri-
sana, acquieta, fortifica e infiamma e innamora, che mai
faranno le cinque Piaghe aperte sul legno della
Croce?".66
Fra quelle cinque piaghe, la grande ferita che por-
ta all'intimità con Dio, ad incontrare la misericordia del
Padre e la grazia dello Spirito Santo, è la ferita del costa-
to: “Uno dei soldati gli colpì il costato con la lancia...”
- il testo latino dice "aperuit", gli aprì; non la lancia ma
l'amore ha spalancato il Cuore del Figlio di Dio - Da
quella piaga si è aperto l'Oceano ed è traboccato sul
mondo: "...e subito ne uscì sangue ed acqua".67 Il san-
gue, le ultime gocce di sangue: esse esprimono il sacrifi-
cio totale di Cristo, il quale avendo amato i suoi, li amò
sino alla fine, e l'acqua: essa indica il dono dello Spirito
Santo; perciò il sangue e l'acqua alludono alla Eucaristia
e al Battesimo, i sacramenti che edificano la Chiesa. E'
70 2 Cor. 5,10
111
e rimane perciò impotente, incapace di compiere una
qualsiasi cosa per sé stessa. E pur ardendo di intenso de-
siderio di purificazione, perché l'amore di Dio è ormai
perfetto e definitivo in lei, non può essere aiutata che da
altri.
Il Purgatorio - così si chiama la condizione della
anime che hanno bisogno di completare la loro purifica-
zione - ci rivela così una bellissima e commovente verità
della nostra fede: la Comunione dei Santi. Noi, che for-
miamo la Chiesa ancora pellegrina sulla terra, possiamo
aiutare i nostri fratelli della Chiesa purgante con la pre-
ghiera, con i suffragi, attingendo ai meriti di Cristo, della
Vergine e dei Santi; soprattutto possiamo ricorrere al sa-
crificio eucaristico della Santa Messa. D'altra parte, le
anime del Purgatorio possono pregare e intercedere per
noi, per le nostre necessità, particolarmente per le neces-
sità spirituali. "Le anime sante del Purgatorio. - Per do-
vere di carità, di giustizia, e anche per giustificabile egoi-
smo - sono così potenti davanti a Dio! - tienile molto
presenti nei tuoi sacrifici e nella tua orazione. Potessi tu
dire, nel nominarle: "Le mie buone amiche, le anime del
Purgatorio...".71
40 – I suffragi
114
MARTED Ì
73 Ap. 12,7 - 9
115
ta, si è spostata sulla terra. Il demonio ha sedotto l'uma-
nità trascinandola nella ribellione e, benché sconfitto da
Cristo, esso continua a contendersi il cuore degli uomini.
La vita dell'uomo sulla terra è diventata così "una
milizia" - Militia est vita hominis super terram -. E’ una
battaglia che si combatte su più fronti: uno è dentro di
noi, ed è costituito dal disordine delle passioni provocato
in noi dal peccato. Un altro è quello aperto dalle conti-
nue insidie del Maligno, che viene descritto da San Pie-
tro come "un leone ruggente che ci gira attorno cercan-
do chi divorare".74 Effettivamente, non potendo nulla
contro Dio, il demonio e i suoi angeli si accaniscono
contro l'uomo che porta l'immagine di Dio. Un altro
fronte ancora vede in azione i complici e gli alleati del
maligno, cioè lo spirito del mondo e i suoi discepoli. Eb-
bene, il Signore non ci ha lasciati soli in questa battaglia;
i suoi Angeli, che hanno contrastato Lucifero nel cielo,
continuano la loro battaglia sulla terra proteggendo ed
aiutando tutti noi nella lotta contro l’angelo delle tenebre
e contro il suo potere.
E' poi convinzione diffusa nella tradizione della
Chiesa che, non solo le singole persone hanno il loro an-
gelo custode, ma anche le famiglie, le istituzioni, le città,
gli Stati; le persone stesse che siano rivestite di una par-
ticolare missione hanno un angelo tutelare; così i genito-
ri, i sacerdoti, i vescovi... hanno un loro angelo "ministe-
riale". Il Signore sa che la nostra battaglia non conosce
frontiere né di spazio né di tempo; il demonio e i suoi an-
geli non si concedono tregua: seminano errori, suscitano
eresie, diffondono menzogne; non solo, ma cercano an-
che di impedire in tutti i modi l'azione salvifica della
74 1 Pt. 5,8
116
Chiesa: ostacolano il lavoro dei sacerdoti e dei genitori
cristiani, suggestionano l'intelligenza di molti con dottri-
ne false e talvolta deliranti, scatenano persecuzioni ora
subdole, ora violente contro la Chiesa, seminano divisio-
ni nelle famiglie e nella società, sollevano popolo contro
popolo scatenando guerre crudeli e feroci...
In questa lotta dove entrano la cattiveria umana e
l'azione del demonio in un miscuglio funesto e tragico
possiamo contare innanzitutto sulla grazia che Dio non
ci fa mai mancare, e sulla potente protezione della Ma-
donna che possiamo ben chiamare "terrore dei demoni",
ma anche sull'aiuto e sulla collaborazione di quegli spiriti
celesti che Dio ha mandato a nostra custodia e protezio-
ne. Sacerdoti e Vescovi per la comunità dei fedeli, ma
anche governatori di città e reggitori di popoli possono
affidarsi alla potente custodia degli angeli tutelari. So-
prattutto i genitori dovrebbero coltivare la cristiana
abitudine di ricorrere tutte le sere agli angeli custodi
della loro famiglia e della loro casa. Così dice una pre-
ghiera della Chiesa: "O Dio onnipotente ed eterno, man-
da dal cielo il tuo santo angelo a custodire, confortare,
proteggere, visitare e difendere quanti abitano questa
casa".
44 – Gli Arcangeli
82 Eb. 1,6
123
fu San Gabriele l'angelo che nella notte di Natale annun-
ciò ai pastori la nascita del Bambino.83
Nella tradizione cristiana, la missione affidata a
San Gabriele, missione di essere annunciatore della vita
nascente, ha fatto del grande arcangelo il protettore del-
la famiglia, in particolare delle coppie che desiderano
o attendono un figlio. Dopo la Santa famiglia di Naza-
reth - Gesù, Giuseppe e Maria - la famiglia cristiana non
può contare su un protettore e un intercessore più effica-
ce dell'arcangelo San Gabriele. E' una devozione che i
genitori cristiani dovrebbero coltivare in modo da pren-
dere ogni figlio che arriva come una visita del dolce ar-
cangelo dell'Annunciazione, sapendo che un figlio non
arriva mai da solo ma sempre coperto dalla "potenza di
Dio" e accompagnato dalla sua provvidenza.
Purtroppo, oggi, molti genitori "temono" l'arrivo
di un figlio, lo paventano, e molti lo evitano volutamen-
te, e altri addirittura lo rifiutano o lo uccidono quando è
già germogliato nel grembo materno. Si dice che i geni-
tori della società consumistica "hanno ucciso la cicogna";
in realtà rifiutano la visita dell'arcangelo del Signore e
soprattutto fanno offesa all'Annunciazione del Signore.
Un figlio è qualcosa di eterno, di immensamente prezio-
so; le ricchezze di questo mondo passano, e passano gli
agi, le comodità, i piaceri... come anche finiscono le fati-
che, i sacrifici, le lagrime di questa vita; un figlio dura
83 La figura dell'Arcangelo San Gabriele come messaggero di Dio,
ha fatto pensare a Maometto di aver ricevuto il suo "Corano" pro-
prio da San Gabriele. E', ovviamente, una contraddizione, dal mo-
mento che l'arcangelo non poteva rivelare cose o principi che sono
in contrasto e addirittura sono la negazione di quanto aveva rivela-
to alla Vergine, a Zaccaria, ai pastori di Betlemme. Oppure, se di
angelo si è trattato, non può essere stato certamente un angelo del
Signore, e tanto meno l'arcangelo San Gabriele.
124
per sempre. Nella vita eterna, una sola creatura in più
rende felici per sempre il cielo e la terra e costituisce il
trofeo più splendido e prezioso per una madre. Le fami-
glie generose nell'accogliere la vita godono di una parti-
colare protezione dell'arcangelo San Gabriele. La Litur-
gia lo accomuna sempre al grande evento dell'Incarna-
zione: quando una donna dice "sì" alla vita, parteci-
pa al fiat di Maria, riceve l'omaggio dell'Arcangelo e
godrà del suo aiuto e della sua protezione.
86 Mt. 16,18
130
della Chiesa come sacramento di salvezza. Spesso l'ulti-
ma Cena viene raffigurata nel momento in cui Gesù svela
il traditore, dipingendo lo sconcerto e lo stupore sul vol-
to dei Dodici; dal punto di vista umano è certamente il
momento più drammatico, ma non è il più importante né
il più intenso. Il momento centrale e determinante della
Cena è quello in cui Gesù, distribuito il pane e il vino
convertiti nel suo Corpo e nel suo Sangue, conclude:
“Fate questo in memoria di me”.87 Da quel momento
fino alla fine dei tempi la Chiesa, fondata sugli Apo-
stoli, avrà il compito di perpetuare il Sacerdozio e il
Sacrificio di Cristo per la salvezza di tutta l'umanità.
Gli Apostoli chiameranno quel momento "fractio panis",
il rito di “spezzare il Pane”, rito che diventerà il cuore di
tutta la Liturgia.
L'altro momento che vede gli Apostoli tutti insie-
me nel Cenacolo è il momento della Pentecoste. Nel Ce-
nacolo sono presenti Maria, gli Apostoli e i pochi disce-
poli rimasti fedeli. E’ tutta la Chiesa, la Chiesa nascente;
ma è ancora come un corpo senza la sua anima. Quando
lo Spirito Santo discenderà su Maria e da lei sugli Apo-
stoli e su tutti i presenti, quel corpo viene percorso da un
“alito di vita”, e quell’assemblea di persone diventa la
Chiesa vivente. E' il vero “momento” degli Apostoli. Se
nell'ultima Cena essi diventano sacerdoti di Cristo per
tutta la Chiesa, nella Pentecoste vengono consacrati
"apostoli" per tutta l'umanità.
C'è infine un altro momento, non documentato
dai Vangeli ma desunto dalla Tradizione, forse l’ultimo,
in cui gli Apostoli sono di nuovo riuniti insieme e richia-
mano tutta la Chiesa: il momento della "Dormizione del-
87 Lc. 22,19
131
la Vergine Maria”. Vengono raffigurati intorno al sepol-
cro vuoto della Madonna o, come nelle icone orientali,
intorno al letto regale della loro Regina "addormentata"
nelle braccia di Dio.
Le feste liturgiche che ricordano questi momenti
- il giovedì santo, la Pentecoste, l'Ascensione e l'Assun-
zione di Maria - non sono propriamente feste degli apo-
stoli, sono semmai feste della Chiesa perché celebrano il
"mistero della Chiesa", ma proprio per questo la presen-
za del Collegio apostolico acquista un valore e un signi-
ficato determinanti: da allora fino alla fine dei tempi, lì
dove sono gli Apostoli, lì troviamo la Chiesa. Ed è per
questo che la Chiesa è contrassegnata dalla nota di
"apostolica".
47 – La Chiesa è “apostolica”
89 Atti, 5,41-42
134
soprattutto della madre col figlio e col marito, del fratel-
lo col fratello...; e tutto veniva confermato con l'esempio
di una vita coerente con la fede professata.
48 – La devozione a S. Giuseppe
94 Mt. 1, 20
137
e tenerissimo amore sponsale, assolutamente rispettoso
del mistero compiuto in lei da Dio, e di cui divenne deli-
cato e fedele custode. “Virginum custos et pater” è chia-
mato dalla Liturgia, - Custode di vergini e padre. Sono
queste le altre due prerogative che lo costituiscono gran-
de e unico.
Come vero sposo di Maria, egli divenne vero pa-
dre di Gesù nell'ordine legale, padre "putativo" secondo
la legge, per cui trasmise a Gesù tutto ciò che la paterni-
tà umana comporta. Tuttavia, la paternità legale di Giu-
seppe fu profondamente diversa dalla paternità legale se-
condo la legge puramente umana. Gesù, infatti, era figlio
verginale di Maria, concepito e generato secondo la car-
ne esclusivamente da Lei, che era vera sposa, non soltan-
to “legale”, di Giuseppe. Egli pertanto divenne padre di
Colui che era vero figlio esclusivamente della sua sposa.
Infine la sua paternità legale non gli derivava primiera-
mente dalla legge umana, ma da un intervento divino, da
una vocazione e da una missione conferitagli da Dio.
95 Ab. 2, 4
139
to condurre Giuseppe, una fede profonda, senza incer-
tezze, che ha illuminato soprannaturalmente tutte le sue
decisioni nelle quali, tuttavia, egli non ha mai abdicato
alla sua personale responsabilità, al suo realismo, alla sua
prudenza intelligente e generosa. Una fede che lo ha por-
tato ad abbandonarsi con assoluta docilità a Dio e al suo
disegno senza mai chiedere perché, senza mai aspettarsi
o pretendere miracoli, ma mettendo a disposizione di
Dio la propria intelligenza, la propria iniziativa, la pro-
pria fatica, il proprio sacrificio silenzioso e gioioso. In
questa fede con opere risplende anche l'umiltà di Giusep-
pe, la sua fortezza, la sua integrità morale, nonché la sua
purezza verginale, la sua fedeltà a Maria e alla missione
affidatagli da Dio.
97 Gv. 1, 42
98 Mt. 16, 16-18
143
fermare in essa i tuoi fratelli.99 Così Pietro è diventato se-
gno visibile dell'unità della Chiesa nell'unica fede e perciò
garanzia di verità per tutti i credenti.
Non ringrazieremo mai abbastanza il Signore per
averci lasciato questo dono, guida sicura per la nostra
fede. In mezzo a innumerevoli voci assordanti e discor-
danti che si levano nella Chiesa e fuori di essa - spesso
sono vere allucinazioni diaboliche - la voce di Pietro ri-
mane l'unica vera certezza per la nostra vita di credenti
in Cristo. La fede di Pietro - del Papa che ne è il succes-
sore - è norma per la nostra fede. Infatti la professione di
Pietro è stata convalidata da Gesù come rivelazione del
Padre e perciò ha la certezza della verità. Chi si allonta-
na dalla fede di Pietro non ha in sé la verità di Cri-
sto. E' la condizione dolorosa di tanti fratelli nostri delle
confessioni protestanti, senza dire delle sètte che pullula-
no ininterrottamente nel mondo confuso e lacerato dei
nostri giorni. Se non ascoltiamo la voce di Pietro e non
aderiamo alla sua fede non ci restano che le opinioni de-
gli uomini. Ora l'oggetto della nostra fede non sono le
opinioni degli uomini ma la verità rivelataci da Cristo e
professata da Pietro.
"Cefa" significa poi capo. E come capo del colle-
gio apostolico e di tutta la Chiesa, Pietro ha il compito di
condurre e governare il gregge di Cristo con l'autorità e
con la cura del pastore. "Pasci i miei agnelli... pasci le
mie pecorelle". "A te darò le chiavi del Regno dei cieli e
tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei
cieli...".100 E’ un'autorità che non deriva dall'uomo ma da
Cristo, e di Cristo, come pastore e guida, continua nel
mondo la missione.
99 Lc. 22, 32
100 Mt. 16, 19
144
Pietro rese testimonianza a Cristo e alla fede con
il martirio subito nell'anno 67, quando era Vescovo di
Roma. Così il suo ufficio di Roccia, di Capo e Pastore
della Chiesa universale passò ai suoi successori nella
sede di Roma (la Santa Sede).
Percorrere una strada senza la certezza di essere
nella verità non solo è frustrante perché si cammina col
dubbio di sprecare energie e fatiche inutilmente, ma an-
che provoca un senso di solitudine e di smarrimento; il
fatto, poi, di essere in molti a percorrerla non toglie l'an-
goscia ma piuttosto la dilata. Il dubbio, anche se condivi-
so in molti, non fa mai compagnia; è molto simile al cre-
puscolo dove tutte le strade si incrociano e si perdono, e
dove si mescolano le voci discordi e confuse dei compa-
gni di viaggio. Avere una guida sicura che conosce la
strada è come incontrare la luce. Per noi camminare con
Pietro è camminare con "il dolce Cristo in terra", è come
avere per compagno Gesù stesso, pastore e guida delle
nostre anime.
Ogni mercoledì - ma possiamo farlo ogni giorno -
abbiamo l'occasione di innalzare una preghiera particola-
re per il Papa e per le sue intenzioni, e di alimentare così
nel nostro cuore un amore sempre più grande per la sua
persona. L'affetto e la stima che nutriremo per lui -
chiunque egli sia - ci porteranno a difenderlo dagli attac-
chi, spesso violenti, dei nemici della Chiesa, e ad acco-
gliere con filiale adesione il suo Magistero con l'impegno
di conoscere e diffondere i suoi insegnamenti.
145
GIOVEDÌ
53 – Il Mistero dell’Eucaristia
54 – Il culto dell’Eucaristia
155
corre intrattenere una intensa e profonda amicizia
con Gesù Cristo, occorre essere anime di Eucaristia e
avere una grande familiarità col Vangelo. Queste
sono anche le note che contrassegnano un'anima d'apo-
stolo. "Sii anima di Eucarestia! - Se il centro dei tuoi
pensieri e delle tue speranze è il Tabernacolo, come sa-
ranno abbondanti, figlio mio, i frutti di santità e di apo-
stolato!".113
Si è detto che il mistero eucaristico ha il suo mo-
mento più solenne e culminante nella Santa Messa; per-
ciò anche la pietà eucaristica deve accompagnare il sacri-
ficio dell'altare con espressioni che ci aiutino a parteci-
parvi con frutto. A tale scopo i santi curavano con gran-
de fervore e impegno la preparazione e il ringraziamento
della Santa Messa. Alcuni, come san Josemaria Escrivà,
dividevano il tempo della loro giornata in riferimento alla
Santa Messa: una parte come preparazione e una parte
come ringraziamento. Noi potremmo curare almeno la
preparazione prossima, quella che precede immediata-
mente la celebrazione della santa Messa. Possiamo cioè
recarci in chiesa per tempo e intrattenerci in orazione da-
vanti al tabernacolo. Possiamo così richiamare alla nostra
mente le intenzioni che desideriamo unire a quelle di Cri-
sto nel suo sacrificio: cose personali, situazioni di fami-
glia, problemi o difficoltà delle persone che ci sono state
affidate, iniziative apostoliche, le molteplici necessità che
affliggono gli uomini del mondo intero, persone defunte
che vorremmo suffragare... Ma la preparazione più im-
portante è quella di trasformare in "materia" per il sacri-
ficio tutta la nostra giornata: il lavoro, le fatiche o le pre-
occupazioni che accompagnano la nostra attività, le gioie
56 – Eucaristia e Sacerdozio
160
fortezza, della scienza, della pietà e del timore di Dio.118
Lo Spirito Santo è autore di tutto ciò che accade nella
nostra anima: è lui l'autore della nostra preghiera119, è
Lui l'autore della contrizione del cuore per un pentimen-
to sincero dei nostri peccati120, è Lui l'autore della con-
templazione per una conoscenza penetrante e gioiosa di
Dio121, è Lui l'autore delle luci interiori che ci fanno co-
noscere la volontà di Dio e ci illuminano sulla nostra vo-
cazione122, è Lui che ci dà la consapevolezza gioiosa del-
la Filiazione divina e ci suggerisce le parole e i consigli
opportuni per aiutare i nostri amici e le persone care, è
Lui l'autore di tutti i moti della volontà verso propositi di
santità, di lotta interiore, di fedeltà alla grazia,123 e infine
è Lui l'autore della "gioia nella pace" che Cristo ci ha
promesso.
Così San Paolo riassume l'azione dello Spirito
Santo: "Camminate secondo lo Spirito e non sarete por-
118 "...Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito Santo
abita in voi?" (1 Cor. 3, 16).
119 "...Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla
nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa
sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso interce-
de con insistenza per noi"(Rm. 8, 26).
120 "Dio Padre di misericordia, che nella morte e risurrezio-
ne di suo Figlio ha riconciliato a sé il mondo e ha effuso
lo Spirito Santo per la remissione dei peccati,..." (Formu-
la della assoluzione nel Sacramento della Confessione).
121 "...noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo
Spirito di Dio per conoscere tutto ciò che Dio ci ha dona-
to" (1 Cor. 2, 12).
122 "...Infatti tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, co-
storo sono figli di Dio" (Rm. 8, 14).
123 "La speranza poi non delude, perché l'amore di Dio è
stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito
Santo che ci è stato dato" (Rm. 5, 5).
161
tati a soddisfare i desideri della carne; la carne infatti
ha desideri contrari allo Spirito (...) Il frutto dello Spi-
rito, invece, è amore, gioia, pace, pazienza, benevolen-
za, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé. Se pertanto
viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo
Spirito".124
Ben a ragione quindi la Chiesa ci suggerisce di
coltivare la devozione allo Spirito Santo, di invocarlo
frequentemente e con fiducia, perché a Lui Gesù ha affi-
dato, a nome del Padre, il compito di illuminare, purifi-
care e santificare ogni anima che lo accolga e lo segua
con docilità: "Io pregherò il Padre ed Egli vi darà un
altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre,
lo Spirito di Verità (...) Egli, il Consolatore, lo Spirito
Santo che il Padre manderà nel mio nome, vi insegnerà
ogni cosa (...) e vi guiderà alla verità tutta intera". 125
La Liturgia ci offre una grande ricchezza di pre-
ghiere e di invocazioni che possono alimentare la nostra
devozione allo Spirito Santo; eccone alcune tolte dalla
sequenza nella solennità di Pentecoste:
Consolatore perfetto,
Vieni, Spirito Santo, ospite dolce dell’anima,
manda a noi dal cielo dolcissimo sollievo.
un raggio della tua luce.
Nella fatica riposo,
Vieni, padre dei poveri, nella calura, riparo,
vieni, datore dei doni, nel pianto, conforto.
vieni, luce dei cuori.
124 Gal. 3, 16...22, 25
125 Gv. 14, 16...26
162
O luce beatissima,
invadi nell’intimo Piega ciò che è rigido,
il cuore dei tuoi fedeli. scalda ciò che è gelido,
drizza ciò che è sviato.
163
VENERDÌ
58 – Dolore e Amore
165
avevano compreso in profondità solo nella Pentecoste per
opera dello Spirito Santo.
Ma questa comprensione teologica non basta per
spiegare un racconto che si distende in ampiezza e che si
presenta con ricchezza di particolari come nessun altro rac-
conto evangelico. Quello che era accaduto in poche ore e
che si era abbattuto così improvviso e così inaspettato con
incomprensibile crudeltà su Gesù - le violenze fisiche, i
maltrattamenti, le umiliazioni di cui era stato fatto segno -
tutto questo aveva avuto le caratteristiche di una tale bru-
talità che non poteva essere facilmente dimenticato e, per
di più, si trattava di una brutalità assolutamente gratuita.
Gli altri due crocifissi, che pure erano ladroni e malfattori,
non avevano ricevuto i maltrattamenti inflitti a Gesù; non
avevano subito la terribile flagellazione romana, non erano
stati trattati a pugni e calci né erano stati esposti alla deri-
sione e agli insulti come Gesù, non la corona di spine, non
le percosse e gli sputi, non il ludibrio e la burla...; lo stesso
ladrone pentito non può fare a meno di osservare: "Costui
non ha fatto nulla di male!", osservazione che ci fa capire
128
133 Col. 1, 24
169
61 – La Via Crucis
170
Poche devozioni fanno tanto bene alla nostra anima
quanto l'esercizio della Via Crucis. Le anime che amano
profondamente Gesù Cristo sentono il bisogno di non
lasciarlo solo in mezzo al ludibrio e allo scherno della
folla che faceva ala al suo passaggio. Il peso della croce, la
fatica della strada, la debolezza estrema delle sue membra,
erano nulla a paragone dell'amarezza interiore e del tedio
spirituale e morale che affliggeva la sua anima. L'unica pre-
senza in mezzo a tanto odio è stata la tenerezza silenziosa
ma dolcissima di sua Madre, che Giovanni e le altre donne,
prese più dal terrore e dallo smarrimento, non potevano ca-
pire. Mai strada fu tanto lunga e segnata da tanta solitudine
come le poche centinaia di metri che portarono Gesù al
Golgota: la lunghezza di quella strada fu pari alla nostra
lontananza da Dio. Ancora una volta la via dolorosa del
Signore ci ricorda la profonda malizia del peccato e
l'immenso amore di Cristo per noi. Ripercorrere quella
strada è rinnovare la contrizione, la gratitudine, la gioia, il
proposito; è rinnovare l'amore.
62 – La devozione al Crocifisso
134 1 Cor. 1, 22
135 Gal. 6, 4
136 1 Cor. 2, 2
137 Fil. 2, 8
172
alla compassione, al dolore dei propri peccati, e al deside-
rio di partecipare alle sue sofferenze.
Il Rinascimento ci ha restituito il Crocifisso nella
sua integrità fisica e nella bellezza formale delle sue mem-
bra. Potremmo vederci un'allusione all'innocenza di Gesù e
alla sua integrità morale; è una bellezza che il patire non ha
oscurato né deturpato. Nella cultura attuale secolarizzata, il
Crocifisso ha perduto quasi totalmente il suo significato e,
o viene accettato come amuleto o come pendaglio orna-
mentale, oppure respinto come ingombrante e fastidioso,
cacciato dagli ambienti pubblici.
Per il cristiano, invece, il Crocifisso rimane il
grande libro della sua vita; su quelle pagine con l'aiuto
della Chiesa e con i sentimenti della pietà, il cristiano sa
leggere tutto ciò che Dio ha voluto scrivere per noi. Su
quelle pagine c'è scritta la giustizia di Dio perché la morte
di Cristo è la condanna del nostro peccato, c'è scritta la mi-
sericordia di Dio perché il sacrificio di Cristo ha meritato il
perdono delle nostre iniquità, c'è scritta l'onnipotenza di
Dio perché la debolezza di Cristo è vittoria sulla forza del
male, c'è scritta la sapienza di Dio perché si è compiuto
nella passione di Cristo il disegno del Padre per la salvezza
dell'uomo, c'è scritta la libertà di Dio che nell'obbedienza di
Cristo ha liberato la libertà dell'uomo; in una parola, quelle
pagine ci raccontano tutto l'amore di Dio per noi perché in
Cristo, morto e risorto, il Padre ci ha donato ogni cosa, e la
vita eterna.
Dobbiamo mettere Cristo crocifisso al suo posto, sul
Golgota della nostra carne, della nostra anima, di ogni
realtà umana. Deve compiersi la volontà di Cristo:
“Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutto (tutti) a
me”. San Giovanni nota che nel linguaggio di Gesù essere
138
174
che sta aspettando il Crocifisso che le manca: e quel Croci-
fisso devi essere tu”. 143
64 – La riparazione
179
SABATO
65 – Il “giorno mariano”
149 Gn. 3, 20
182
re sé stessa nella sua identità più profonda: la materni-
tà.
Tutti questi motivi spiegano perché la donna sente
una profonda attrattiva verso l'uomo, attrattiva che il pec-
cato ha rovinato trasformandola in schiavitù, mentre, origi-
nariamente, era la voce limpida e gioiosa della sua femmini-
lità che vedeva nell'uomo l'essere affidatole da Dio, voce
che, per quanto venga soffocata, riecheggia continuamente
nel suo intimo, soprattutto quando l'essere umano lo sente
germogliare nel suo grembo, lo genera dentro di sé, lo sen-
te crescere, farsi da lei, dalla sua carne e dal suo sangue.
Ecco perché l'aborto è innanzitutto una violenza contro
la donna, perché nell'aborto la donna non uccide sol-
tanto l'essere umano che le è stato affidato, ma uccide
anche sé stessa come donna.
150 Gn. 3, 15
151 S. Ireneo, Adversus haereses, 3,22. S. Ireneo, che abbia-
mo già ricordato come padre dell'antropologia
cristiana, è considerato anche padre della mariologia cattolica.
152 Vedremo più avanti che questa è una delle ragioni fondamenta-
li dell'Immacolata Concezione.
184
nealogia di Gesù: la genealogia "discendente" - da Abramo
a Maria - descritta da Matteo, e quella "ascendente" - da
Maria ad Adamo - descritta da Luca. In Matteo , Maria è
153
186
creatura sulla quale aveva impresso il suo sigillo e che egli
aveva posto come interprete dell’intero universo, restasse
irreparabilmente ferita e rovinata in sé stessa e nella sua vo-
cazione, trascinando nella propria rovina tutto il creato.
Alla maniera di un grande artista che, vedendo in-
franto e demolito il suo capolavoro, stretto dal dolore e
dall’amore decide di ricostruirlo più bello e più perfetto di
prima, così Dio non si è rassegnato al peccato che ha de-
turpato l’uomo e rovinato l’immagine divina che era in lui,
ma ha ri-creato una creatura più santa, più perfetta, più bel-
la: ha inventato la Piena di Grazia, capolavoro della crea-
zione, prototipo della nuova umanità che avrebbe avuto in
Cristo la sua perfetta realizzazione.
Maria è figlia eccelsa di Dio Padre, predestinata e
scelta dall’eternità ad essere la sua “serva” in ordine al pia-
no della salvezza. La sua maternità redenta è perciò
strettamente legata alla paternità di Dio. Sta in questo il
motivo fondamentale della Concezione Immacolata di Ma-
ria. Se infatti la maternità, come collaborazione della crea-
tura con il creatore, si rivela segno della potenza generante
del Dio Vivente, Fonte della vita, mentre il peccato si rivela
come sinonimo di morte, allora la maternità è incompatibile
con il peccato. Se il grembo di Maria doveva essere segno
della fecondità e della vita, in quanto generava il Figlio del-
l’Eterno Padre, ed essere perciò epifania della paternità di
Dio, allora Maria non poteva essere soggetta al peccato
nemmeno per un solo istante, fin dalla sua concezione. In-
fatti, come avrebbe potuto Maria ricuperare la maternità di
Eva che giaceva sotto il segno del peccato e generare il Fi-
glio del Dio vivente, se essa stessa, Maria, fosse stata sog-
getta al peccato? Se dunque Maria doveva essere madre, di
una maternità secondo il disegno di Dio, doveva essere im-
macolata. Il fatto poi di essere stata predestinata a una ma-
ternità di redenzione - Madre del Redentore - spiega per-
187
ché essa fu immacolata in vista e per i meriti del Sacrificio
di Cristo.
69 – Madre di Dio-Figlio
70 – Madre di Cristo
191
grazia che non passi attraverso le mani materne di Maria.
Come una madre di famiglia che amministra il patrimonio
famigliare, Maria amministra il tesoro infinito della Reden-
zione che Cristo le ha messo a disposizione.
Maria dunque è intimamente legata alla missione
mediatrice di Cristo. La sua maternità mediatrice si manife-
sta proprio a una festa di nozze, a Cana di Galilea. Gesù
compie un miracolo in sé molto materiale ma dal significato
estremamente profondo, perché raffigura il nuovo rapporto
tra Dio e l'uomo inaugurato da Cristo nell'Incarnazione.
Maria ottiene con la sua mediazione che Cristo si riveli
come Messia, e che gli apostoli aderiscano a lui mediante la
fede. "Si ha dunque una mediazione: Maria si pone tra suo
Figlio e gli uomini (...). Si pone "in mezzo" cioè fa da me-
diatrice non come un'estranea, ma nella sua posizione di
madre, consapevole che come tale può - anzi "ha il diritto"
- di far presente al Figlio i bisogni degli uomini" : "...non
161
192
fede di Maria non si limita alla nascita di Gesù ma abbrac-
cia tutto il messaggio dell'Angelo. In quel messaggio non le
veniva chiesto il consenso per il concepimento di un bambi-
no di cui avrebbe ignorato il destino: quel bambino doveva
chiamarsi "Gesù" perché avrebbe liberato l'uomo dal suo
peccato. Il "sì" di Maria all'Angelo abbracciava dunque tut-
to il mistero di Cristo: la sua Incarnazione e la sua nascita
ma anche la sua passione e la sua morte redentrice.
Maria infatti ne fu avvertita quaranta giorni dopo la
nascita del Bambino, quando portò Gesù al Tempio per of-
frirlo al Padre: quel gesto ebbe un significato ben più pro-
fondo di quello inteso da Mosè che aveva ordinato agli
Ebrei di offrire a Dio e poi di riscattare i primogeniti perché
si ricordassero che la mano di Dio li aveva scampati dal-
l'Angelo sterminatore. Nel ricevere tra le braccia il Bambi-
no, il vecchio Simeone sarà esplicito con Maria: quel Bam-
bino sarà salvezza e rovina di molti, e "Anche a te una spa-
da trafiggerà l'anima". 164
73 – L’Immacolata
ché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo" (Mt. 1,
16-20).
171 Lc. 1, 37
172 Ef. 1, 10
200
Della Verginità dopo il parto, conseguenza ovvia e
diretta della totale integrità di Maria e della sua intenzione
manifestata all'Angelo Gabriele, basta rileggere la esplicita
173
173 Nel Vangelo si parla di "fratelli e sorelle" di Gesù nel senso ge-
nerico di parentela, secondo la consuetudine in uso presso gli
Ebrei.
174 "Se qualcuno non confessa che la Santa, semprevergine e Im-
macolata Maria sia in senso proprio e secondo verità Madre di Dio
in quanto propriamente e veramente (...) ha concepito nello Spirito
Santo, senza seme e partorito senza corruzione, permanendo anche
dopo il parto la sua indissolubile Verginità, lo stesso Dio-Verbo,
nato dal Padre prima di tutti i secoli, sia condannato" (Mansi
10,1151-1152).
201
75 – L’Assunta
77 – Le devozioni mariane
209
L'ANNO LITURGICO
Il tempo ciclico.
213
la nella storia le meraviglie della sua potenza e della sua mi-
sericordia.
220
IL TEMPO LITURGICO
228
la fede, abiti nei vostri cuori, ben radicati e fondati nell'a-
more" 189
88 – Natale
89 – La Sacra Famiglia
90 – L’Epifania
91 – “Vedere” Gesù
92 – La Pasqua ebraica
93 – La Pasqua cristiana
246
fu un sacrificio di adorazione al Padre, la Pasqua di Cristo
ebbe un valore salvifico per tutta l'umanità.
Anche nella Pasqua cristiana ritroviamo tutti e due
gli aspetti: la Pasqua cristiana è rito ed è mistero; è rito
perché richiama i segni salvifici della Pasqua ebraica,
ed è mistero perché contiene la realtà del Sacrificio di
Cristo. La Chiesa perciò chiama la Pasqua cristiana: Sacra-
menta paschalia: i Sacramenti pasquali. I Sacramenti che
hanno significato pasquale sono il Battesimo e l'Eucaristia.
Il Battesimo ci ricorda e attua in noi l'aspetto salvifico della
Pasqua, aspetto prefigurato nella liberazione degli Ebrei
dall'Egitto attraverso le acque del Mar Rosso; l'Eucaristia
ci ricorda e attua in noi il sacrificio di Cristo nella sua Pa-
squa di morte e resurrezione. Tutta la Liturgia pasquale è
insieme Liturgia battesimale e Liturgia eucaristica. Gesù
stesso chiama la sua morte un "Battesimo".
Nel richiamare queste realtà è necessario da parte
nostra uno sforzo di riflessione. C'è il pericolo infatti che
noi ascoltiamo queste cose e le sentiamo come lontane nel
tempo ed estranee alla nostra situazione attuale, alla nostra
realtà quotidiana. Queste sono certamente cose di Dio -
pensiamo - e deve farle lui, noi abbiamo le nostre cose - il
lavoro e i suoi problemi, la famiglia e le sue necessità, la
società e le sue vicende... - e dobbiamo pensarci noi. Ab-
biamo già detto che la Storia di Dio (storia sacra) e la sto-
ria dell'uomo non sono due storie parallele; Dio agisce den-
tro la storia dell'uomo e il tempo della salvezza è presente
in ogni momento della nostra vita. Parlando della fede
come strada che conduce la nostra esistenza terrena, dice-
vamo che la fede è "vedere" presente nella mia vita il Dio-
che-salva. Dobbiamo chiedere alla Madonna che "portava
tutte queste cose meditandole nel suo cuore", di sentirci
anche noi "interessati a quanto Dio ha fatto e continua a
fare nel mondo. La vita del cristiano è una vita pasquale, è
247
la vita di Cristo morto e risorto che in qualche modo conti-
nua in noi.
95 – L’itinerario quaresimale
252
In ogni caso occorre conservare una grande fiducia
in Dio che non ci lascia mai soli nella prova, e una serenità
interiore che ci mantenga la lucidità di coscienza. La tenta-
zione, per quanto violenta, sfacciata e accompagnata da
turbamenti sensibili, non è ancora peccato finché non c'è la
nostra piena e consapevole accettazione. Spesso il Signore
permette che siamo tentati per saggiare la nostra fedeltà,
per mantenerci umili e vigilanti dandoci una più profonda
conoscenza di noi stessi, e per farci acquistare esperienza
che ci conduca a comprendere, amare ed aiutare i nostri
fratelli nelle loro cadute. Del resto, nessuno può mai vince-
re una tentazione senza la grazia di Dio. Perciò è indispen-
sabile la preghiera, che diventa la nostra arma più efficace
e, se umile e perseverante, sorgente sicura di vittoria. In
fondo, il primo e peggior nemico che abbiamo siamo noi
stessi; il demonio, dice S. Agostino, è un cane legato a ca-
tena che, abbaiando, cerca di impaurirci, ma morde solo
quelli che gli si avvicinano. Le promesse battesimali con-
tengono un categorico rifiuto di seguire il demonio: "Ri-
nunci a Satana, causa e origine di ogni peccato?" - "Rinun-
cio!".
L'aspetto battesimale e l’aspetto penitenziale della
Quaresima, presentandoci Gesù lottatore vittorioso sul
male che c'è in noi e nel mondo servono anche a ricordarci
che la nostra vita sulla terra è una milizia, una milizia che,
se lo vogliamo, avrà l'appannaggio della vittoria perché Lui
ha vinto.
99 – Il pianto di Gesù
263
100 – La Risurrezione: fondamento della fede
264
Come possiamo noi cristiani capire e far capire agli
altri che le verità della nostra fede sono fondamentali per la
vita dell'uomo? Come liberarci dalle strettoie anguste e
asfissianti di una cultura laica così povera e debole che non
riesce ad andare oltre ciò che è contingente, puramente
storico, ciò che è addirittura provvisorio o effimero nella
vita umana e nella storia dell'umanità? E’ necessario rompe-
re il muro dell'immanente per aprirsi all’orizzonte sconfina-
to della realtà di Dio e della sua presenza nella vita e nel
destino degli uomini.
Noi cristiani abbiamo ricevuto il dono inestimabile
della fede per cui "non fissiamo lo sguardo (soltanto) sulle
cose visibili, ma su quelle invisibili. Le cose visibili sono
di un momento, quelle invisibili sono eterne". Cammina-
219
265
Era necessario richiamare l'importanza e la necessi-
tà della fede riguardo alla Risurrezione di Gesù, sia come
fatto che come mistero, perché ogni discorso sul cristiane-
simo resterebbe marginale e in certo senso anche retorico
se non partisse da questo presupposto, che è stato fin dall'i-
nizio il fondamento della predicazione degli apostoli e
come la piattaforma di tutto l'edificio della Chiesa.
Gesù Risorto è il sigillo a tutte le opere di Dio, è la
conferma di tutto ciò che nell'uomo è rimasto integro, retto
e nobile per sapienza e per virtù ed è la risposta definitiva
di Dio sul nostro destino.
103 – La Pentecoste
105 – Il Santoriale
231 Ap. 7, 9
278
canti, vecchi e fanciulli, soldati e uomini di pensiero, madri
di famiglia, sacerdoti e semplici fedeli, un catalogo senza
fine che va riempiendo il Libro della vita, un firmamento di
luci, piccole o grandi, che illuminano di splendore il cielo di
Dio.
La Chiesa, che nel suo Anno Liturgico celebra il mi-
stero di Cristo e l'amore salvifico di Dio, ha voluto anche
celebrare la gloria dei suoi Santi. E' il Santoriale, il calenda-
rio dei Santi distribuiti lungo tutto l'anno solare. E' commo-
vente l'orgoglio materno con cui la Chiesa sfoglia questo
album di famiglia per mostrarci i suoi figli migliori. Ce li
presenta anche per dirci che cosa può fare la grazia di Dio
quando trova un cuore umile e ben disposto, che si lascia
condurre docilmente dalla grazia. L'esempio trascina, e fu-
rono molte le anime che si lasciarono trascinare dall'esem-
pio dei Santi. Con questo la Chiesa vuol dirci anche che la
santità è possibile a tutti, anzi, che tutti siamo chiamati a
volerla e a cercarla perché a tutti il Signore ha fatto il dono
dello Spirito Santo e a tutti ha dato la capacità di amare.
Ma la Chiesa celebra la memoria dei Santi anche per
affidarci alla loro intercessione. Essi furono i grandi amici
di Dio, e ora stanno davanti a lui nella gloria del Cielo.
Possono quindi appoggiare le nostre preghiere con la loro
intercessione e ottenerci la benevolenza di Dio, il suo aiuto
e la sua misericordia. Così infatti prega la Chiesa nella so-
lennità in cui ricorda tutti i Santi del cielo: "O Dio, Onnipo-
tente ed eterno, che doni alla tua Chiesa la gioia di celebra-
re in un'unica festa i meriti e la gloria di Tutti i Santi, con-
cedi al tuo popolo, per la comune intercessione di tanti fra-
telli, l'abbondanza della tua misericordia".
La Chiesa ci ricorda così nella sua liturgia la splen-
dida e consolante verità della nostra fede: la Comunione
dei Santi. E’ il legame intimo e profondo che attraverso la
partecipazione alla vita divina in Cristo unisce tutti gli uo-
279
mini: le anime che hanno raggiunto la patria del Cielo e
guardano a Dio per contemplare il suo Volto e guardano a
noi per incoraggiarci col loro esempio e la loro intercessio-
ne: Vale la pena! – gridano – Vale la pena! Anche soffrire,
se necessario, per essere fedeli a Dio e perseverare nel
bene; le anime non ancora in Cielo perché hanno bisogno di
purificazione, per le quali possiamo pregare e offrire suffra-
gi sapendo che anch’esse pregano per noi, e infine noi, an-
cora pellegrini sulla terra, che abbiamo bisogno di aiuto e
di grazia per superare le prove della vita, difenderci dallo
spirito mondano e dalle suggestioni del Maligno… Siamo
un’unica Chiesa, la famiglia dei figli di Dio in tre situazioni
diverse: di esse le prime due sono situazioni provvisorie in
attesa del loro compimento nella Gloria del Cielo. Per que-
sto ci aiutiamo reciprocamente con preghiere, intercessione
e suffragi.
Restare fuori della Gloria del Cielo, esclusi dalla fa-
miglia di Dio, condannati per sempre nelle tenebre “dove è
pianto e stridore di denti”, separati eternamente dalla Co-
munione dei Santi è l’unica, vera tragedia dell’uomo. Vo-
gliamo che questo non succeda a nessuno di noi.
280
INDICE
INTRODUZIONE
IL GIORNO
La vita è Cristo
1 Il giorno e la vita .
2 Cristo: l’oggi del cristiano
3 La vita terrena dell’Uomo-Dio
4 Il cristiano: un altro Cristo
281
LA SETTIMANA
La Domenica
28 Il Giorno del Signore
29 La Liturgia domenicale
30 Il Giorno della Chiesa
31 La fraternità cristiana
32 Il giorno del “riposo”
33 Riposo e vita famigliare
34 Riposo ed eternità
Lunedì
35 La devozione
36 Devozione alla Santissima Trinità
37 La Trinità: dono d’amore
38 L’inabitazione della Trinità nell’anima
39 Devozione alle anime del Purgatorio
40 I suffragi
Martedì
41 Devozione agli Angeli Custodi
42 Gli Angeli: nostri amici
43 Gli Angeli: nostri messaggeri presso Dio
44 Gli Arcangeli
45 La Regina degli Angeli
282
Mercoledì .
46 La devozione agli Apostoli
47 La Chiesa è “apostolica”
48 La devozione a San Giuseppe
49 La santità di Giuseppe
50 San Giuseppe: custode di Vergini e Padre
51 La devozione a San Pietro e al Papa
Giovedì
52 L’Eucaristia nella Chiesa
53 Il Mistero eucaristico
54 Il culto dell’Eucaristia
55 Le devozioni eucaristiche
56 Eucaristia e Sacerdozio
57 Devozione allo Spirito Santo
Venerdì
58 Dolore e amore
59 La Passione del Signore
60 Scuola di dolore e di amore
61 La Via Crucis
62 La devozione al Crocifisso
63 La devozione al Sacro Cuore
64 La riparazione
Sabato
65 Il “giorno mariano”
66 Lo specifico femminile: la maternità
67 Maria nel disegno di Dio
68 Maternità divina e Paternità di Dio
69 Madre del Dio-Figlio
70 Madre di Cristo
71 Madre del Redentore
283
72 Sposa dello Spirito Santo
73 L’Immacolata
74 La “Sempre Vergine” Maria
75 L’Assunta
76 Maria nella vita cristiana
77 Le devozioni mariane
78 Le devozioni nella vita cristiana
L’ANNO LITURGICO
Il tempo ciclico
79 Cristo: pienezza del tempo
80 Il “tempo di Dio” - Il tempo dell’uomo
81 I cicli dell’anima: “cominciare e ricominciare”
82 L’uomo e la natura: “ordine e disordine”
83 Riconciliarsi con la terra
Il tempo Liturgico
84 Quando Dio cerca l’uomo
85 Isaia: o il “desiderio” di Dio
86 Giovanni il Battista: “preparate la via”
87 L’Immacolata: la “dimora” degna di Dio
Tempo di Natale
88 Natale
89 La Sacra famiglia
90 L’Epifania
91 “Vedere” Gesù
Il Mistero Pasquale
92 La Pasqua ebraica
93 La Pasqua cristiana
94 Il Mercoledì delle Ceneri
284
95 L’itinerario quaresimale
96 Aspetto sacrificale della Pasqua di Cristo
97 Un personaggio tra gli altri
98 Il trionfo delle Palme
99 Il pianto di Cristo
\ 100 La Risurrezione: fondamento della fede
101 Capire la Risurrezione
102 Cristo è vivo
103 La Pentecoste
104 Il Tempo Ordinario
105 Il Santoriale
285
(da apporre sulla parte posteriore della copertina
con piccola foto già in Vostro possesso)
286