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Gli strumenti del web 2.

0 per la partecipazione e la mobilitazione


Agnese Vardanega, Universit di Teramo: avardanega@gmail.com Relazione presentata al convegno La democrazia partecipativa nellattuale quadro politico e istituzionale, Universit di Teramo, Facolt di Scienze Politiche, 10 aprile 2014

Introduzione
Internet nasce come strumento di collaborazione, prima militare, poi scientifico, poi culturale e commerciale, e reca con s dalle sue origini lutopia dellapertura e della trasparenza universali, riecheggiate anche dal Movimento 5 Stelle, non meno che gli spettri della sorveglianza globale, del segreto, dello spionaggio. Comunque la si pensi, difficile negare che la rete ha modificato radicalmente il nostro modo di informarci e di mantenere i rapporti con gli altri, lagenda della politica e dei mezzi di comunicazione, e sta portando ad un generale ripensamento dei modi e delle caratteristiche della sfera pubblica (Dahlgren, 2005, 2013; Hindman, 2008; Papacharissi, 2009). quindi naturale chiedersi se e come il web possa contribuire a migliorare il rapporto fra cittadini e istituzioni, costruire societ civile, integrandosi con e non contrapponendosi a le forme della democrazia rappresentativa. Alluniversit ci hanno insegnato che la democrazia rappresentativa o partecipata o non una democrazia. Cera ancora il muro di Berlino, e ci dicevano Votano pure in Bulgaria, non il voto in s quello che rende democratico un sistema1. Della crisi della democrazia rappresentativa, e dei partiti politici, si discute da tempo, e non solo in Italia; forse si discute da sempre, nel senso che la democrazia di per s un percorso accidentato, mai scontato. La crisi attuale si innesta per nei processi di frammentazione delle identit e delle appartenenze politiche, sociali e culturali, tipiche della postmodernit, e appare dunque per certi versi irreversibile. E se vero che le forme della socialit online si sposano molto bene con le caratteristiche e le esigenze del cittadino postmoderno (il rifiuto dellappartenenza, in particolare), anche vero che la crisi dei partiti in Europa precede la diffusione di Internet. E gi nel 1997, Rodot

Tanto vero che alcuni ricercatori hanno recentemente osservato come il governo cinese tolleri lespressione online di opinioni contrarie, mentre censura lorganizzazione di gruppi (King et al., 2013).

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si chiedeva se Internet potesse costituire una risposta, immaginando forme di partecipazione che lui definiva continue e che oggi potremmo anche chiamare diffuse (Rodot, 1997, 2013)2.

Politica liquida e partecipazione


In primo luogo, necessario chiedersi se la partecipazione sia effettivamente aumentata grazie agli strumenti del web 2.0. Per rispondere a questa domanda, posta in termini un po semplicistici per non dire brutali, bisogna in primo luogo chiarire che non corretto tenere conto solo dellonline, dimenticando le possibili relazioni fra comportamenti online e comportamenti offline delle persone. Con riferimento al presente discorso, la caratteristica principale del web 2.0 costituita dal fatto che esso consente la circolazione dei contenuti (cfr. ad es. Jenkins et al., 2013), sulla base delle relazioni interpersonali degli utenti. La circolazione di questi contenuti pu avere ed in genere ha, effetti che sono reali anche quando le relazioni personali non lo sono (nel senso che le persone non si conoscono). Ad esempio, una recente ricerca su una campagna di sensibilizzazione sul Darfur ha mostrato come ad un numero elevato di like e di condivisione dei posts pubblicati su Facebook, non abbiano corrisposto azioni effettive come le donazioni (Lewis et al., 2014). I ricercatori hanno concluso che strumenti come Facebook sono illusori. stato per obiettato loro che i risultati non tenevano conto di eventuali forme di attivazione dei cittadini offline, faccia a faccia, o in altre forme. Il concetto di partecipazione, inoltre, stato definito in tanti modi diversi, e in relazione a tante diverse forme di relazione fra i cittadini, la politica, i partiti, lo Stato, le amministrazioni. dunque difficile dare una risposta univoca alla domanda se la partecipazione sia effettivamente aumentata, senza distinguere fra i diversi aspetti. Per quanto riguarda gli effetti del web sulla propensione al voto, ad esempio, lestate scorsa il Censis ha sottolineato il nesso temporale fra crescita degli utenti del web e tassi di astensionismo alle elezioni (Censis, 2013). I nuovi cittadini si costruiscono una realt mediatica a propria misura (quella che Dahlgren chiama la solo-sfera; cfr. oltre) e quindi perdono interesse nei confronti della cosa pubblica. In realt, non difficile trovare casi eclatanti che potrebbero indurre a sospettare la casualit di tale nesso. Il primo quello del Movimento 5 Stelle, che ha avuto un notevole successo nel portare al voto i suoi simpatizzanti e anche molti potenziali astenuti. Laltro caso quello di
Linteresse nei confronti del rapporto fra web e politica si andato per sviluppando solo fra il 2004 (anno della campagna elettorale di Howard Dean) e il 2012-13, a seguito delle campagne di Obama del 2008 e del 2012, e del fenomeno Movimento 5 Stelle.
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Obama, che grazie al web ha portato al voto fasce di popolazione che prima non votavano, in particolare i giovani e gli afroamericani, distanti non soltanto dal voto ma anche dai media tradizionali, ed in particolare dai programmi di informazione politica. I cittadini postmoderni, in assenza di appartenenza ideologica, sono disposti a mobilitarsi su issues specifiche, e, in assenza di una appartenenza di partito, sono disposti ad attingere a gruppi di volta in volta diversi, senza il bisogno di una comunit in senso tradizionale (cfr. Rainie et al., 2012). Questo comporta una frammentazione delle iniziative, ed una polverizzazione dellimpegno, che lo rende invisibile, scollegato da qualunque meccanismo istituzionale e dunque inutile (Dahlgren, 2011). La perdita di interesse nei confronti della cosa pubblica potrebbe essere un effetto ottico, dovuto a tale frammentazione, e al progressivo venire meno del valore simbolico dellidea di stato-nazione, che per buona parte del Novecento stato un riferimento comune per cittadini e governanti (Bauman, 2003, 2011). Obama e Grillo con strategie peraltro molto diverse sono riusciti a creare meccanismi di raccordo fra lattivazione spontanea (nei territori e sul web, individuale e di gruppo), e i luoghi della politica tradizionale. Il web potrebbe essere usato per realizzare un rapporto pi diretto fra i politici e i cittadini, grazie a strumenti pi interattivi del classico sito web, come i blogs e i social media. Vari studi condotti a questo riguardo ci dicono che gli utenti di Internet cercano informazioni sui politici, visitano i loro profili di Facebook, ma non i loro blog, tantomeno quelli elettorali (cfr. ad es. Demos & Pi, 2012). Luso dei siti e dei blog elettorali quindi in deciso calo, anche in Italia, a favore dei social media. La velocit e limmediatezza sembrerebbe essere dunque preferita allargomentazione e allapprofondimento. vero che i politici possono imputare questa scelta ai cittadini: ma, da parte loro, labbandono del modello io scrivo, tu leggi si traduce in un maggior coinvolgimento degli elettori? In Italia, come anche in altri paesi Europei, questo avviene solo in parte, tanto che alcuni hanno usato lespressione web 1.5 (ad es. Jackson e Lilleker, 2009), per descrivere il barcamenarsi di singoli esponenti politici e dei partiti fra il distribuire contenuti come si fai sui media tradizionali e il web sociale, quello che appunto si definisce 2.0. Com noto, i partiti statunitensi hanno una organizzazione interna molto diversa, e forse anche per questo la prima campagna elettorale di Obama (quella per le primarie del 2008) ha rappresentato un caso esemplare di uso del web per avvicinare gli elettori online e offline. Quella che stata definita una campagna porta-a-porta elettronica (dAlimonte, 2014) non stata una campagna improntata al porta-a-porta virtuale, ma a quello vero e proprio, con volantini e cheesecake: fra le persone contattate sul web, sono stati individuati dei potenziali leader locali, 3

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persone cio ricche di relazioni, e magari anche di tempo a disposizione (ad esempio le casalinghe, le influencers del quartiere, per cos dire). Queste persone sono state poi invitate a creare dei gruppi su Facebook, e ad organizzare in questo modo dei gruppi di sostenitori sul territorio comitati elettorali che hanno fatto il porta a porta reale. Nel valutare il rapporto fra partecipazione e web, dobbiamo decidere se guardare alla bottiglia mezza vuota o a quella mezza piena. Se partiamo dallidea della politica liquida, del cittadino consumatore e di una sfera pubblica sempre pi privatizzata (Bauman, 2000), allora ci troviamo di fronte quasi ad un miracolo ed la posizione degli studiosi pi ottimisti. Se invece il nostro riferimento rappresentato dalle forme di partecipazione tipiche del Novecento, allora il web non fa che sottolineare quanto le nuove siano diverse da quelle di allora. Le persone si occupano di politica in maniera superficiale, disimpegnata; molti non partecipano perch non si vogliono impegnare con un gruppo di persone, con partiti e associazioni sindacali in particolare. vero dunque che, anche se i livelli di partecipazione aumentano, ci non comporta necessariamente luscita dallindividualismo del consumatore di esperienze3: questo significa che non esiste pi una societ civile, o che dobbiamo abituarci a queste nuove forme comunitarie?

Politica pop e sfera pubblica


Si detto che la caratteristica principale del web 2.0 la circolazione sociale dei contenuti (cfr. ad es. Jenkins et al., 2013), e dunque delle informazioni. Se vero che la condivisione delle informazioni uno dei modi per distribuire il potere, allora senzaltro il web pu rappresentare un fattore di democratizzazione dei processi decisionali e politici. Unaspetto critico che viene spesso sottolineato a questo riguardo che, se vero che Internet ha dato a tutti la possibilit di creare e condividere contenuti, pur vero che della grandissima parte di questi contenuti si potrebbe tranquillamente fare a meno: le persone sul web diffondono infatti principalmente vignette, battute, insulti, e volgarit di vario genere4. Lemblema di questa posizione un po elitista diventato Michele Serra, che di tanto in tanto nelle sue Amache inveisce contro il web, come la volta in cui ebbe a sostenere che su Twitter ci sono tante parole e pochi ragionamenti5. Non difficile ironizzare rispondendo che con 140 caratteri a disposizione, in realt, non solo sono pochi i ragionamenti, ma anche le parole non possono essere molte.
Per usare una bella e profetica espressione usata da Thomas Luckmann nel 1967 per analizzare la religione invisibile (Luckmann, 1967). 4 Mentre le amministrazioni sono un po pi reste a diffondere informazioni che potrebbero essere di utilit al dibattito pubblico. 5 M. Serra, Amaca, Repubblica del 16 marzo 2012; M. Serra, Perch dico che sono pochi i 140 caratteri di Twitter http://www.repubblica.it/tecnologia/2012/03/17/news/serra_twitter-31698872/
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Io vorrei per tornare indietro di una quindicina di anni, e riflettere sul fatto che a quei tempi, se avessi voluto condividere un articolo di giornale, avrei dovuto farne delle fotocopie, che avrei potuto dare facilmente solo a chi avevo modo di incontrare di persona. Oggi lo posso condividere in tempo reale su Facebook o Twitter, o anche mandare per email, se proprio non mi piacciono i social network (sites). Cos come posso mettere online questa relazione in tempo reale. Sono sicura, senza false modestie, che la gran parte della popolazione mondiale ne potr fare (e ne far) tranquillamente a meno, ma magari qualcuno a cui interessa potrebbe avvantaggiarsi di questa opportunit. La quantit di informazioni che circola senzaltro aumentata, e, se c un problema, piuttosto quello che non facciamo in tempo a leggere con attenzione tutto, ed difficile selezionare i contenuti di qualit. Secondo alcuni, questo eccesso di informazione, questo rumore costante, da imputarsi al web in quanto tale; altri, per, fanno notare come i social media possano fare da filtro. Invece che andare su Google a cercare le notizie, ci si affida alle scelte di persone che si conoscono o che considerano autorevoli. A selezionare le informazioni interessanti sono i miei amici, o persone di cui ho deciso di fidarmi, non pi un ristretto numero di direttori di testate giornalistiche e le logiche interne alle loro professioni. Certo, in questo modo, ciascuno finisce per costruirsi una propria bolla, una sua solo-sfera (Dahlgren, 2011), in cui le opinioni e le notizie contrarie al suo punto di vista diventano invisibili, oppure sono violentemente attaccate come vediamo tutti i giorni online6. I giornali, le redazioni, i direttori di testata, hanno sempre meno peso nel decidere cosa va in prima pagina: le prime pagine dei quotidiani online vengono in parte determinate dalle scelte dei lettori, in quanto possibile sapere con esattezza quante volte un articolo stato letto e condiviso. Ed infatti somigliano sempre meno alle vecchie prime pagine dei quotidiani cartacei, sono pi popolari nei contenuti, certe volte persino stucchevoli. La politica pop (Mazzoleni e Sfardini, 2009) per un fenomeno televisivo, non un prodotto del web. Per politica pop si intende quel tipo di comunicazione e informazione politica che passa attraverso vari generi, creando degli ibridi culturali, come linfotainment, oramai diffusissimi in televisione. Politica pop anche quel modo di seguire la politica, per cui la parte pi seguita di Ballar, ad esempio, limitazione di Crozza (ibi.). Quello che cambia con il web, che questi vengono non solo condivisi, ma anche prodotti dagli utenti. Nel famoso testo del 2006, Cultura della convergenza, Jenkins parla di Photoshop
Hanno contribuito a costruire questa bolla giganti del web come Facebook, Google e Amazon, per vendere pubblicit e servizi sempre pi mirati (Pariser, 2011). Daltra parte, le reti di condivisione possono anche essere viste come piccole comunit di interessi.
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per la democrazia: nei fotomontaggi a sfondo satirico o parodistico che vengono prodotti in casa e diffusi in rete, Jenkins vede cio uno degli aspetti del processo di democratizzazione attivato dal web. chiaro per anche che, allinterno della grandissima massa di contenuti prodotti, ce ne siano di volgari, di falsi, di fuorvianti, di scorretti (ed anzi probabile che siano la maggior parte). Non voglio sostenere che la selezione naturale funzioni nel lasciar sopravvivere solo i contenuti di qualit. Per tante ragioni su cui impossibile soffermarsi ora improbabile che sia proprio cos. Voglio per sottolineare il fatto che, belli o brutti che siano, questi contenuti hanno in molti casi leffetto di modificare lagenda dei politici e dei media. Lintervento di Crozza a Ballar propone una sintesi dei temi della settimana: essendo la parte pi seguita della trasmissione, lagenda dello spettatore cio suggerita da Crozza (anche in riferimento ai temi e agli ospiti della puntata); ed molto probabile che questo porti le persone a cercare pi informazioni su questi temi che su altri (ibi.). Le vignette e i tormentoni prodotti sul web possono avere lo stesso effetto, soprattutto se vengono ripresi dai big media, come sempre pi di frequente accade. Gazebo una trasmissione pop che nasce dal web, e parla di politica con regolari incursioni nella realt della rete. molto difficile distinguere linformazione e lintrattenimento, anche se Damilano, in quanto giornalista, fa da garante della qualit dellinformazione (e non da spalla a Diego Bianchi ). Le discussioni online (o le chiacchiere da bar 2.0) e la politica pop possono sembrare un pallido riflesso delle discussioni dei caff descritte da Habermas (1971), che hanno portato alla nascita della societ civile europea. Eppure, sappiamo che questi caff non erano popolati dai soggetti razionali e pacati che la teoria della deliberazione di Habermas potrebbe suggerire: non sempre erano persone acculturate come gli Enciclopedisti, e, in ogni caso, le discussioni diventavano anche piuttosto accese. Questi luoghi venivano considerati volgari e minacciosi dal sovrano e la sua corte: erano i luoghi nei quali si formavano nuove istanze di interesse generale, e che a livello discorsivo, prima che istituzionale hanno dato luogo allidea di democrazia e di opinione pubblica come li concepiamo oggi. Sotto diversi profili, e per quanto volgari possano apparire, le odierne chiacchiere da bar 2.0 non sono meno serie, almeno non nelle loro potenziali conseguenze, visto che stanno modificando lagenda dei media e soprattutto quella della politica.

Conclusioni
Che una maggiore democratizzazione delle nostre societ passi per Internet una possibilit, e non una certezza (Dahlgren, 2011; Riva, 2012). I pericoli sono tanti: dalla sorveglianza globale, 6

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alle diseguaglianze nellaccesso, allesistenza di gruppi organizzati di influencers in grado di influenzare landamento delle discussioni online7 e i temi emergenti8. Gli strumenti che gi esistono, e labitudine ad usarli, hanno gi fatto nascere nei cittadini non solo il bisogno, ma la richiesta di partecipazione diretta: Se posso dire la mia, devo avere il diritto di farlo e di essere ascoltato. Daltra parte, se vero che il web fornisce gli strumenti per una democrazia continua, anche vero che, allaumentare delle occasioni di partecipazione, si avr una partecipazione sempre pi distratta, sempre meno competente o anche, sempre meno partecipazione. Ma il vero punto , come sanno tutti coloro che si occupino anche solo di sfuggita di scienza politica, che non esister mai un mondo in cui tutti parteciperanno a tutti i processi decisionali che li riguardano. Alcuni parteciperanno in maniera sistematica ed organizzata, e altri non parteciperanno per niente, finendo per essere manipolati dalle cordate e appunto dalle minoranze organizzate. Allinterno di organizzazioni formali, come i partiti, queste minoranze sono visibili. Nelle forme assembleari, invece, la democrazia finisce alla merc di truppe cammellate organizzate da chiss chi, che portano al voto lassemblea quando lesito del voto gi deciso, o comunque controllabile. Questo spiega (a voler riconoscere loro la buona fede) come nel movimento cinque stelle scatti lallarme per qualche riunione subito interpretata come un po carbonara organizzata da un numero ristretto di persone, peggio che peggio se eletti. Per non parlare della deriva populista: il bagno di folla, il rapporto diretto fra il leader e i cittadini, o fra il capo e il suo popolo, e il sospetto nei confronti di qualunque forma associativa. Ma qui usciamo dalla questione del web. Questa lessenza della crisi della democrazia rappresentativa, dovuta al ripetuto collasso del sistema dei partiti, e forse anche alla debolezza della cultura democratica del nostro paese. Come ci insegnavano ai primi anni di universit i partiti politici nascono per ovviare a questo problema, ovvero: da una parte, per rendere pi trasparenti i meccanismi della partecipazione; e, dallaltra, per ridurre le diseguaglianze nella partecipazione, e garantire quelli che non sanno o non possono o persino non vogliono partecipare. Oggi, molto difficile usare questo argomento che pure mantiene una sua validit di fondo per convincere qualcuno dellutilit dei partiti: c da scommettere che se lo andassimo a proporre in qualche discussione (pubblica o privata), saremmo presi per matti. I processi di frammentazione sociale e di progressiva individualizzazione dellesperienza sono ben noti da tempo, ma scarsamente elaborati in quegli ambienti che vengono maggiormente messi
Utilizzati per quel che se ne sa dal M5S probabilmente e sicuramente dal PD (Campo, 2013). Come dimostrato dal sabotaggio a scopo dimostrativo #Gilda35 relativamente ai TopTweets di Twitter (Addon Apokalypse Now, ovvero la Fine dei TopTweets, 2011)
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in questione da essi, ovvero gli ambienti pi istituzionalizzati, le grandi organizzazioni politiche e associative, i big media. facile e comodo imputare questi processi a misteriose dinamiche sociali proprie del web, sminuendone le potenzialit e considerandolo persino come qualcosa di dannoso. Anche perch in questo modo si pu giustificare la scarsa attenzione dedicata al tema dei diritti digitali dei cittadini, e una certa disattenzione nel colmare le diseguaglianze esistenti e la nostra arretratezza su questi aspetti.

Riferimenti bibliografici
Add-on Apokalypse Now, ovvero la Fine dei TopTweets. (2011). Gilda35, satira dadaista sul professionismo di internet, 23 aprile 2011. http://gilda35.com/2011/04/23/add-on-apokalypse-nowovvero-la-fine-dei-toptweets/ Bauman, Z. (2000). Liquid Modernity. New York: Wiley. Bauman, Z. (2003). La societ sotto assedio. Roma: Laterza. Bauman, Z. (2011). Letica in un mondo di consumatori. Roma: Laterza. Campo, P. (2013). Se Sparta di stanza al Nazareno. Europa Quotidiano. 25 gennaio 2013. http://www.europaquotidiano.it/2013/01/25/se-sparta-e-di-stanza-al-nazareno/ Censis. (2013). Il primato dellopinione nella comunicazione orizzontale. Roma: Censis. D Alimonte, R. (2014). postfazione. Usa e Italia: la politica nellera digitale. In La lezione di Obama. Come vincere le elezioni nellera della politica 2.0 (pp. 7276). Milano: Baldini & Castoldi. Dahlgren, P. (2005). The Internet, public spheres, and political communication: Dispersion and deliberation. Political Communication, 22(2), 147162. Dahlgren, P. (2011). Reinventing Participation: Civic Agency and the Web Environment. Relazione presentata al convegno Comunicazione e Civic Engagement. Istituzioni, cittadini e spazi pubblici nella postmodernit (22-23 settembre 2011), Roma. Dahlgren, P. (2013). The Political Web: Media, Participation and Alternative Democracy. New York: Palgrave Macmillan. Demos & Pi. (2012). Focus: Ecco i cives.net, la community politica (p. 13). Vicenza: Demos & Pi. http://www.demos.it/2013/pdf/2516capsoc36_civesnet.pdf Habermas, J. (1971). Storia e critica dellopinione pubblica. Bari: Laterza. Hindman, M. (2008). What is the online public sphere good for? In L. Tsui & J. Turow (Eds.), The Hyperlinked Society: Questioning Connections in the Digital Age (pp. 268288). Ann Arbor: University of Michigan Press. Jackson, N. A., Lilleker, D. G. (2009). Building an Architecture of Participation? Political Parties and Web 2.0 in Britain. Journal of Information Technology & Politics, 6(3-4), 232250. Jenkins, H. (2006). Convergence Culture: Where Old and New Media Collide. New York: NYU Press. Jenkins, H., Ford, S., Green, J. (2013). Spreadable Media: Creating Value and Meaning in a Networked Culture. New York: NYU Press. King, G., Pan, J., Roberts, M. E. (2013). How Censorship in China Allows Government Criticism but Silences Collective Expression. American Political Science Review, 107(02), 326343. Lewis, K., Gray, K., Meierhenrich, J. (2014). The Structure of Online Activism. Sociological Science, 19. Luckmann, T. (1967). The invisible religion: the problem of religion in modern society. New York: Macmillan. Mazzoleni, G., Sfardini, A. (2009). Politica pop. Bologna: Il Mulino. Papacharissi, Z. (2009). The virtual sphere 2.0: The Internet, the public sphere, and beyond. In A. Chadwick & P. N. Howard (Eds.), Routledge Handbook of Internet Politics (pp. 230245). Abingdon: Routledge. Pariser, E. (2011). The Filter Bubble: What The Internet Is Hiding From You. Penguin UK. Rainie, H., Rainie, L., Wellman, B. (2012). Networked: The New Social Operating System. Boston: MIT Press. Riva, F. (2012). La democrazia che verr. Civitas, (1). http://www.sturzo.it/civitas/index.php?option=com_content&view=category&id=51&Itemid=106

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Rodot, S. (1997). Tecnopolitica: la democrazia e le nuove tecnologie della comunicazione. Bari: Laterza. Rodot, S. (2013). Iperdemocrazia. Come cambia la sovranit democratica con il web. Roma: Laterza.

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