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I manoscritti ebraici della Biblioteca Vaticana

Quando Pico della Mirandola


studiava la qabbalah
Il 30 gennaio viene presentato a Roma il volume Hebrew Manuscript in the Vatican Library:
Catalogue (a cura di Benjamin Richler, Malachi Beit-Ari e Nurit Pasternak, Citt del Vaticano,
Biblioteca Apostolica Vaticana, 2008 [Studi e testi, 438], pagine XXIX + 681 + 66*, 16 tavole
fuori testo, euro 120), che il nostro giornale ha a sua volta presentato nel numero dello scorso
30 ottobre. Intervengono, fra gli altri, il cardinale bibliotecario Raffaele Farina, l'ambasciatore
di Israele presso la Santa Sede Mordechay Lewy, e il prefetto della biblioteca monsignor Cesare
Pasini. Il 31 gennaio il volume sar presentato anche presso il Museo Diocesano di Milano.
di Giulio Busi
Vanta la pi importante scelta di manoscritti talmudici del mondo ma non un collegio
rabbinico; pu servire come laboratorio di storia del giudaismo italiano ma non un museo
ebraico; documenta l'evoluzione della lingua santa attraverso i secoli ma non un istituto di
linguistica: la Biblioteca Apostolica Vaticana occupa a buon diritto un posto di rilievo nella
conservazione della memoria culturale dell'ebraismo.
Non un caso che, proprio in quella che nacque come biblioteca privata del Pontefice, a met del
Quattrocento, si trovino alcuni dei testimoni pi antichi e pregiati della tradizione
giudaica. I motivi che spinsero i Papi e i loro consiglieri a raccogliere libri ebraici furono molti:
innanzitutto la consapevolezza delle comuni radici bibliche, poi una curiosit tipicamente
umanistica, e certo anche intenti polemici o conversionistici.
Sta di fatto che studiare il fondo manoscritto ebraico della Vaticana significa non solo avere un
quadro completo delle creazioni dello spirito ebraico, ma anche percorrere idealmente il mosaico
variegato della diaspora, in un'avventura intellettuale che congiunge l'et biblica a quella
tardoantica e sino al medioevo e al rinascimento. L'antichit dei testi conservati infatti un'altra
delle caratteristiche uniche della raccolta.
Un nuovo, amplissimo catalogo, ricco di quasi ottocento pagine, contiene ora la descrizione
accurata di questa straordinaria collezione. Frutto di una decina d'anni di studio, e di una
esemplare collaborazione tra la Vaticana e Israele, il volume il risultato di un lavoro d'quipe e
di un paziente collage di competenze diverse. L'indagine bibliografica stata eseguita a
Gerusalemme mentre l'esame paleografico delle pergamene, degli inchiostri e delle scritture,
stato naturalmente compiuto a Roma.
Ho assistito personalmente ad alcune fasi dell'operazione: a come, per centinaia e centinaia di

ore, gli specialisti di Gerusalemme si sono affaticati davanti ai lettori di microfilm per catturare
frasi talvolta illeggibili o annotazioni marginali di codici conservati a migliaia di chilometri di
distanza. Eppure, ne valeva la pena, e non solo perch si tratta di una delle collezioni pi pregiate
che esistano, ma anche perch racconta, letteralmente nero su bianco, la memoria dell'ininterrotto
confronto culturale tra le due fedi.
La ricerca ha preso le mosse dagli scritti fondamentali di alcuni importanti studiosi ebrei, che
cominciarono a occuparsi di questo fondo manoscritto a partire dagli inizi del secolo scorso. Va
detto che l'accesso alla biblioteca non fu sempre consentito agli ebrei. Ancora nella prima met
dell'Ottocento, Leopold Zunz, grande studioso di bibliografia, venuto dalla Germania per
consultare i tesori vaticani, fu messo alla porta senza tanti complimenti. Ma le cose poi
cambiarono e, nei primi decenni del Novecento, la Vaticana divenne un naturale luogo di lavoro
per numerosi intellettuali ebrei. Dopo le leggi razziali, nomi prestigiosi trovarono rifugio tra
queste mura, prima di abbandonare definitivamente l'Italia: tra di essi i semitisti Umberto
Cassuto e Giorgio Levi Della Vida, e il celebre maestro della bibliografia ebraica del Novecento,
Aaron Freimann.
A eccezione di qualche decina di codici pi recenti, gli 813 manoscritti censiti sono databili tra
l'XI e il XVI secolo, testimoni di un mondo lontano nel tempo, di una cultura ebraica ancora
libera dalle restrizioni dell'et del ghetto.
Tra i tesori della raccolta si conta, per esempio, quello che probabilmente il pi antico codice
ebraico conosciuto, un esemplare di un commento rabbinico al Levitico, vergato tra la fine del ix
e gli inizi del x secolo. Qui si trovano riuniti alcuni dei pi importanti manoscritti copiati in Italia
meridionale in et bizantina e normanna, quando l'ebraismo di quelle zone era tra i pi floridi di
tutto il bacino del Mediterraneo. Ma non meno importanti sono i documenti della tradizione
sefardita e di quella ashkenazita, testimonianze dei riti e delle credenze degli ebrei nell'area
iberica e nei territori franco-renani. Oltre una cinquantina sono i codici biblici, tra cui
la copia, unica al mondo, della traduzione aramaica del Pentateuco nota come Targum neofiti,
molti i manuali liturgici, i trattati filosofici e i testi cabbalistici, e poi i volumi di medicina e di
astronomia.
Le origini della biblioteca, nel pieno del rinascimento, coincidono con gli inizi dell'ebraistica
cristiana. Proprio allora gli umanisti tornarono a dar vita al mito della cultura trilingue, in cui
l'ebraico si accostava al greco e al latino dell'eredit classica, in un progetto di sapienza
universale. In un codice della Vaticana (manoscritto Ebraico 8) contenuta quella che si pu
definire la data di nascita dell'interesse umanistico per la letteratura ebraica postbiblica. una
nota in cui il fiorentino Giannozzo Manetti scrive: "Domenica 21 novembre 1442 ho cominciato
a studiare l'ebraico con Emanuele ebreo".
Dopo Manetti, fu Giovani Pico della Mirandola a inoltrarsi negli arcani della letteratura
cabbalistica. La Vaticana conserva i preziosissimi manoscritti con le traduzioni di testi mistici
eseguite per Pico dall'ebreo convertito Flavio Mitridate. Fu su questi codici che l'impaziente,
giovanissimo conte della Mirandola appront nel 1486 le Conclusiones cabbalistiche, che
avrebbe voluto discutere a Roma alla presenza di Papa Innocenzo viii. La disputa fu proibita; ma
l'interesse per i misteri ebraici si diffuse, negli anni successivi, anche tra alcuni esponenti del
clero. Per il cardinale Egidio da Viterbo fu per esempio copiato il manoscritto del Targum neofiti,
di cui si gi fatto cenno, e che documenta l'antichissima interpretazione della Bibbia in uso tra
gli ebrei di Palestina nei primi secoli dell'era volgare.
La cura con cui stato preparato questo catalogo, tra Roma e Gerusalemme, innanzitutto un

omaggio verso il passato, verso il grande retaggio storico dell'ebraismo, ma anche un segno di
fiducia nei libri e nella cultura come fondamento di dialogo.

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