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I S T I T U T I D I S C U O L A S E C O N DA R I A”
2006
INSEGNARE OGGI
Gabriella Villa
Abstract
I problemi di convivenza nelle scuole sono segnalati sempre più spesso dalle cronache e
vissuti in prima persona da una moltitudine di soggetti: alunni, docenti, famiglie ecc.
Un punto dolente della scuola odierna sono contenuti e metodi che appaiono essere così
distanti dagli interessi degli alunni, della gran parte degli alunni. Questa “distanza” si traduce
talvolta in quegli atteggiamenti di disagio che rendono ogni giorno più difficoltoso affrontarne
le implicazioni educative e sociali.
A fronte di situazioni di sempre più difficile gestione sono gli insegnanti che devono
cominciare ad attrezzarsi per rispondere alle sollecitazioni che provengono dall’interno delle
classi e dall’esterno.
Rifondare l’insegnamento attraverso una didattica più attenta alle persone e alle loro
esigenze, espresse o nascoste, potrebbe rappresentare la chiave di volta per cominciare a
intravedere la direzione da intraprendere.
GV
Sommario
Abstract 2
Sommario 3
Introduzione 4
Ambiente sociale 7
Caratteristiche dell’istituto 7
Il modello del nostro istituto 8
Casi di difficile convivenza 9
1° caso - Espulsione “programmata” da un Istituto di scuola secondaria di 2° grado 9
2° caso – Espulsione “occasionale” da un Istituto di scuola secondaria di 1° grado 11
3° caso – Espulsione “sistematica” da un gruppo di pari nella scuola primaria 12
4° caso – Esclusione “psicologica” da un gruppo professionale 13
Il ruolo del Dirigente scolastico 13
Autonomia vs burocrazia 15
Modalità di diffusione delle informazioni 16
Comunicare: il blog 16
Attività sportive e culturali 17
Conoscere il contesto 17
Relazioni con le scuole di ordine inferiore e superiore 17
Il controllo degli spazi comuni 18
Uso delle telecamere 19
Commissione di disciplina 19
Interventi di supporto: la psicologa scolastica 20
I tempi 20
L’utenza 21
Gli interventi 21
Scuola dell’infanzia 21
Scuola primaria 22
Scuola secondaria di I grado 22
Formalizzazione del controllo 23
Caratteri istituto e regolamenti 23
Diritti e doveri fondamentali dei docenti 24
Diritti e doveri fondamentali degli alunni 25
Norme di comportamento degli alunni 26
Comunicazioni docenti - genitori 27
Obiettivi 29
Analisi e interpretazione 29
Assunto teorico 29
Le indicazioni metodologiche 32
I percorsi formativi per i docenti 33
Conclusioni 34
Che fare? 37
Coinvolgimento delle famiglie 37
Bibliografia 39
GV
Introduzione
Non dobbiamo dimenticare che la scuola, il nostro istituto, non rappresenta un’isola
a sé nel panorama del mondo, ma è un tassello di un puzzle (perdonate l’appropriazione
dell’immagine) più ampio e complesso. Non dobbiamo dimenticarci che fino a quando
penseremo e agiremo nella scuola come se la scuola fosse un mondo a se stante
continueremo a non essere in grado di governare le dinamiche che ci coinvolgono.
Un punto dolente della scuola odierna sono contenuti e metodi che paiono essere
così distanti dagli interessi degli alunni, della gran parte degli alunni. Questa “distanza” si
traduce poi negli atteggiamenti che una collega ben descrive1.
Il bisogno di divertimento è tanto lontano dalla scuola che il tempo scuola per tanti
ragazzi è un tempo “sospeso” fuori dalla realtà che è fatta invece di cose piacevoli, veloci,
appaganti ed estremamente coinvolgenti (magari per poco, vista la velocità con cui gli
interessi cambiano e vengono eliminati o sostituti da altro).
Continuare a pensare che bastino le discipline e le categorie mentali che ci hanno
formati come persone e probabilmente come docenti, non ci consentirà di aprirci alle
sollecitazioni continue che la società in senso lato ci invia e che probabilmente sono le sole,
oggi, in grado di darci qualche dritta su come dobbiamo muoverci per avvicinarci in modo
propositivo ai problemi che ci coinvolgono.
Problemi che coinvolgono i valori fondanti di una società che si possa tornare a
definire civile, i valori individuali che si possono definire etici ... dove di etico non c’è più
nulla, dove la responsabilità delle azioni individuali è sempre più inconsistente,
inafferrabile, evanescente ...
Mi domando da dove dobbiamo ripartire per rifondare un patto ...
Si sta aprendo una ferita che finora era ben occultata e che comincia a dolere. Il
malessere a scuola coinvolge ormai gran parte degli insegnanti proprio perché non possiamo
pensare che gli insegnanti siano trasmettitori o ripetitori dei saperi.
1
“In un liceo scientifico non ci sono apparentemente gravi problemi di convivenza. I ragazzi sono interessati, le
famiglie ci tengono che i figli vadano bene a scuola e spesso quando informate delle lacune dei figli, provvedono a
seguirli meglio o a farli seguire privatamente. Ho detto però apparentemente perchè noto che da quando ho
cominciato ad insegnare (circa 15 anni fa) ad oggi è presente un certo malessere tra i giovani che si traduce in
eccessiva frenesia e vivacità spesso positive, ma che richiedono ritmi sempre più serrati e senza pause per evitare
che le classi diventino troppo rumorose oppure invoglia a non andare a scuola con tentativi di trovare tutte le
scuse: assemblee di istituto a partire dalle 8.15, ponti tra assemblee e vacanze, assenze ingiustificate (perchè c'era
una bella giornata di sole o la verifica di questa o quella materia)”.
4
Questo, forse, poteva bastare nel passato, prima della scuola di massa, quando
comunque c’era una forte aspettativa di promozione sociale che - da sola - poteva rendere
interessante lo studio, o utile. Ma oggi ci troviamo davanti problemi più complessi e
abbiamo scoperto che non c’è apprendimento senza motivazione. Mentre i nostri alunni
sono sempre più demotivati.
Inoltre è sempre più forte la consapevolezza di un ruolo, quello dell’insegnante, che
non è più considerato a livello sociale, anzi spesso è vilipeso dalle stesse famiglie. Mi è
stato riferito di un genitore che ha dato del pezzente a un docente del figlio perchè si reca a
scuola, con qualsiasi tempo, in bicicletta!
E’ un piccolo episodio, ma lo ritengo emblematico di un modo di pensare che
permea la nostra società e che, inevitabilmente, si ripercuote negativamente sull’immagine
di chi fa un lavoro difficile, indispensabile e assolutamente svalorizzato. Credo davvero che
solo la consapevolezza ci possa in qualche modo “salvare”.
“Credo che il modello del docente trasmettitore sia ancora quello più diffuso”. Ciò
non toglie che esistono anche esperienze nelle quali il docente cerca di ripensare il proprio
ruolo e di contestualizzarlo.
Lo sforzo è quindi quello di interpretare gli orientamenti di carattere sociale oltre a
quelli relativi ai rapporti di convivenza prevalenti e/o caratterizzanti il clima relazionale nel
nostro istituto...e che quindi le nostre interpretazioni, ma anche solo le nostre “letture”
debbano essere usate come lenti per meglio focalizzare quale orientamento prevalga e come
sia utile rispondere alle sollecitazioni.
Spesso, però, ci mancano “i ferri del mestiere” che a volte possono essere un sorriso
per ricordare che abbiamo di fronte esseri umani - ragazzini e ragazzine - che ci chiedono
anche (o solo?) un po’ di attenzione per quello che sono o che vorrebbero essere e magari
anche un minimo di interesse per quelli che sono i loro sogni, le loro speranze, le loro
aspettative.
Ma il più delle volte, come ben descrive una collega, sono d’altro tipo: “Alcuni di
noi si rendevano conto che non si poteva più lavorare con la scuola del programma e
bisognava quindi riflettere sui saperi ma anche sugli stili di apprendimento, sulle
dinamiche relazionali, sulla motivazione…
Ma questo richiedeva, necessariamente, la disponibilità dei docenti ben oltre le
riunioni di consiglio di classe formalmente convocate per le scadenze solite. Richiedeva che
gli insegnanti si ponessero come “professionisti riflessivi” e non come semplici
trasmettitori di sapere e puri esecutori.
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Questa disponibilità c’è stata da parte di un numero ridottissimo di docenti mentre
la maggioranza del Collegio (che pure aveva approvato il nuovo POF, ma forse
distrattamente) si è opposta alle azioni tese a coinvolgere i docenti nel ripensamento del
curricolo e nella costruzione di un fare scuola non stereotipato ma aperto alle
problematiche in corso”.
Ritengo che questo sia un nodo della questione: è ineludibile trovare uno o più modi
per coinvolgere i colleghi … utilizzando tutti gli strumenti che si hanno a disposizione,
anche contrattuali.
La nostra “insicurezza” (come agenti connotanti un’istituzione del territorio e nel
territorio) su ciò che sappiamo e su come lo sappiamo fare ci porta a sentirci spesso “in
stato di minorità” rispetto alle esigenze, talvolta legittime, delle famiglie.
Questo modo di percepirci ci induce a comportamenti di chiusura quando non di
rinuncia nei confronti di coloro che dovrebbero essere i nostri interlocutori privilegiati.
Delle due una: o agiamo così perchè ci manca consapevolezza del nostro ruolo oppure ci
manca la sostanza del ruolo (con tutto ciò che ne consegue in termini di incapacità di
interagire consci del nostro posto nel contesto)!
Dal mio punto di vista è improrogabile un ripensamento critico (o finalmente un
approccio critico) alle peculiarità della nostra professione, in un’ottica sociale in senso lato.
La mia esperienza di questi ultimi anni nella scuola, mi porta a rilevare da parte di
bambini e ragazzi: rapporti difficili con adulti e coetanei, egocentrismo, insofferenza nei
confronti delle necessità degli altri, interessi extrascolastici accentuati, difficoltà di
concentrazione, povertà di linguaggio, incapacità di ascolto, reattività eccessiva, scarsa
capacità di controllo delle frustrazioni.
Dall’altra i rapporti inesistenti e/o mal tollerati tra adulti, insieme alla “crisi di
rappresentatività degli organi collegiali che, presumibilmente, è ascrivibile alle
caratteristiche della società attuale che è molto “concentrata” su bisogni e diritti
individuali e poco propensa alla partecipazione, esclude la condivisione di problematiche
per ricercare soluzioni comuni”.
In palese contraddizione si rilevano forti aspettative che si manifestano con la
consistente presenza dei genitori alle riunioni almeno fino al biennio” della secondaria di 2°
grado.
Non sono certa però che queste presenze possano essere riconducibili ad attese reali
nei confronti di ciò che la scuola può fare per i propri figli. Sono propensa a credere che sia
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la manifestazione di un bisogno di presidio e di tutela della fragilità propria, come genitori
e, conseguentemente dei propri figli.
Ambiente sociale
La scuola dove lavoro si trova in un territorio costituito da due comuni nella bassa
bergamasca con popolazione complessiva di circa 20.000 abitanti. C’è la presenza, in
ambito comunale, anche di un Istituto superiore (Liceo) a due indirizzi. Dal punto di vista
socio economico sono attive molte piccole imprese, alcune aziende a carattere nazionale,
artigiani e commercianti in numero significativo.
Complessivamente il tessuto sociale è apparentemente coeso. Negli ultimi 10 anni si
è radicata la presenza di nuclei famigliari stranieri, che si sono riuniti in piccole comunità,
non sempre “percepibili” all’esterno.
Caratteristiche dell’istituto
L’Istituto comprensivo nasce con la struttura attuale nel 2000. La sede centrale per
lungo tempo è stata una scuola media bacino d’utenza anche di molti ragazzi dei comuni
limitrofi. Oggi, in genere, i ragazzi iscritti sono residenti nel comune dove si trova la scuola.
Attualmente fanno parte dell’Istituto comprensivo 2 plessi di secondaria di I grado, 2
scuole primarie (di fatto su 3 sedi) 4 scuole dell’infanzia, di cui una privata, ubicate su 2
territori comunali.
Il bacino d’utenza elettivo è rappresentato per uno dei due comuni dai tre ordini di
scuola, per l’altro da 2 ordini di scuola (infanzia e secondaria di primo grado) e
parzialmente dal terzo (primaria) in quanto la scuola primaria del capoluogo (comune e due
frazioni) fa parte di una Direzione Didattica e come tale ha una gestione diversa da quella
dell’istituto di cui stiamo trattando.
Una delle criticità emergenti la si può ricondurre alla presenza consistente a livello
territoriale di alunni stranieri che nell’istituto sono pari al 15,41% della popolazione
scolastica e in costante crescita (+ 5%) negli ultimi due anni e la vicinanza di una comunità
protetta per preadolescenti che vede le scuole di uno dei due comuni come “luogo”
privilegiato per l’inserimento, anche per brevi periodi, di questi ragazzi talvolta
particolarmente problematici.
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La miscellanea che compone l’istituto è ancora oggi, a distanza di un quinquennio,
chiaramente identificabile nelle culture professionali che compongono le diverse sedi e
nonostante gli sforzi dell’unica dirigenza presente in continuità negli anni, presenta ancora
zone d’ombra e resistenze latenti e/o dichiarate.
Il lavoro svolto negli anni ha portato a uniformare i documenti comuni, il POF, le
procedure per l’inserimento dei disabili, le modalità di accoglienza degli stranieri, e più in
dettaglio alcuni percorsi disciplinari, hanno trovato spazi di confronto e di condivisione.
1. DIRIGENTE SCOLASTICO
2. COLLABORATORI (2)
3. RESPONSABILI DI PLESSO (7)
4. DOCENTI CON INCARICHI FUNZIONALI AL POF (7)
5. SEGRETARI DEL COLLEGIO DOCENTI DEGLI ORDINI DI SCUOLA E PLENARIO
6. COORDINATORI DEI CONSIGLI DI CLASSE, INTERCLASSE E INTERSEZIONE
7. SEGRETARI DEI CONSIGLI DI CLASSE, INTERCLASSE E INTERSEZIONE
8. REFERENTI PER INCARICHI PARTICOLARI
9. MEMBRI DELLE COMMISSIONI
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PARTE PRIMA - Funzionigramma docenti
3
Lettera del Dirigente di presentazione del Funzionigramma al Collegio dei Docenti
8
consigli e proposte. Secondo la teoria del management della scuola, si pone
come concreto esempio di leadership partecipativa.
- rinforzare il ruolo della scuola nel territorio, attraverso legami e intese con le
Amministrazioni Comunali, Enti e Associazioni. Anche per questo aspetto la rete di
relazioni stabilite dall’IC (…) nel suo insieme e nelle sue articolazioni di plesso è molto
ampia, significativa e variegata:
In Italia da tre anni, Rinhe viene dalla Francia, è marocchina, frequenta la prima
classe di un istituto per il turismo. Parla fluidamente l’italiano, si ritiene una buona parlante
anche in francese. In Francia ha frequentato le scuole per due anni prima di venire in Italia
con la madre.
Ha un anno di più dei suoi compagni, si presenta esuberante nei modi e
nell’abbigliamento e intraprendente, di bell’aspetto e sicura di sé, viene nominata
rappresentante di classe dai suoi compagni che sono in prevalenza femmine (15 su 18).
Da subito si dimostra determinata e oppositiva nei confronti di un consiglio di classe
composto in prevalenza di insegnanti supplenti e con poca esperienza di insegnamento.
La coordinatrice di classe, in particolare sembra essere, anche fisicamente, l’opposto
di Rinhe: trentenne, magra, poco curata nell’aspetto, molto nervosa, chiusa e incline alle
lamentazioni. Per Rhine diventa da subito oggetto di critica.
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PARTE SECONDA – Funzionigramma docenti
9
La durezza del rapporto che si instaura si evidenzia spesso con scambi di battute al
vetriolo che spesso R. non comprende (Sei perfetta per un crocicchio!), ma che i suoi
compagni (i maschi) ridendo e facendo guazzabuglio le traducono a gesti, tra gli
ammiccamenti di alcune compagne, provocando l’ilarità generale.
R. reagisce mostrando indifferenza, ma fuori dall’aula piange di rabbia e reagisce
facendo riferimenti dello stesso tipo riguardanti l’insegnante. In classe sbotta spesso con
altri insegnanti, che però controllano maggiormente la situazione, richiamandosi a principi
generici di convivenza ed educazione in Italia e minacciando ritorsioni sul profitto.
I rapporti difficili continuano e le provocazioni continue di R. nei confronti
dell’insegnante aumentano di intensità e coinvolgono tutta la classe: c’è chi le chiede a gran
voce di smetterla, chi interviene in difesa di R., chi in difesa della prof. e chi si fa i fatti suoi
chiacchierando con il compagno di banco o scarabocchiando il suo o l’altrui diario.
Il caos è totale: l’insegnante dichiara in consiglio di classe la sua impossibilità a fare
lezione. R. viene convocata dal preside con il quale ha uno scambio di battute al vetriolo,
soprattutto quando il preside chiede il numero di telefono per contattare la madre.
R. si rifiuta di comunicarlo perché sostiene che la madre ha piena fiducia in lei e
quindi non interverrà per sedare la situazione. Con il preside R. esplicita le sue necessità,
che sostiene siano quelle della classe: maggior rispetto e considerazione da parte degli
insegnanti in generale e da parte dell’ins. coordinatrice in particolare, più spazio per essere
ascoltati.
Il consiglio di classe si irrigidisce sulla posizione della necessità di trasmissione di
contenuti (Fare scuola e non chiacchiere, hanno solo voglia di perdere tempo, non hanno
nessun interesse), ma nonostante ciò accettano la proposta del preside di provare a far
intervenire sulla classe un’esperta per tentare di dare alle allieve e agli allievi lo spazio
richiesto per parlare.
Al termine degli interventi programmati (10 incontri settimanali di 2 ore ciascuno
con la presenza dell’operatore e dell’insegnante di classe) il consiglio di classe valuta
inesistenti i risultati ottenuti, decreta che 11 allievi sono gravemente insufficienti nella gran
parte delle discipline (votazioni nell’ordine di 1 e 2).
Nel gruppo dei gravemente insufficienti ci sono le 5 ragazze straniere della classe,
due ragazze già ripetenti, un ragazzo transitato dalla scuola professionale regionale e una
ragazza che aveva abbandonato gli studi e ha poi ripreso e quindi è più grande degli altri di
alcuni anni e due ragazze che non manifestano alcun interesse a continuare.
Anzi non si sarebbero proprio iscritte.
10
R. dopo la consegna del documento di valutazione alla madre, viene ritirata dalla scuola e
ufficialmente spedita in Marocco dalla famiglia d’origine, forse promessa sposa a un
vedovo.
11
Succede il finimondo: spiegazioni a metà da parte dei ragazzi, risate e battute,
intervento del bidello, minacce di sospensione a tutta la classe per avere taciuto, minacce di
deferimento al preside… e conseguente allontanamento dalla classe e dalla scuola
dell’intruso.
Il giorno dopo una delegazione di due insegnanti della classe va dal preside e
insieme decidono che, non potendo sospendere tutta la classe e non essendo opportuno
soprassedere a un evento di tale portata, sia necessario comunque infliggere una punizione
esemplare. Ma a chi?
Naturalmente a Salah che oltre a essere marocchino, come Moahmmed, è pure suo
amico e come tale più responsabile di altri per quello che è successo e nonostante lui neghi
di essersi accordato con M. e di non essere arrivato a scuola con lui non viene creduto e gli
viene inflitta la punizione: tre giorni di sospensione per avere “gabbato” la scuola.
In effetti il vero problema in questo secondo caso, a mio parere, non è la visita
dell’ospite bensì “quel tipo” di risposta punitiva della scuola nei confronti di un allievo (che
io ritengo drammatica visto l’ordine di scuola!)5. Due considerazioni: la prima
sull’opportunità di individuare il capro espiatorio; la seconda sul merito della punizione.
In questa occasione è avvenuto diversamente da come normalmente ci si
aspetterebbe. E’ anche a causa della mancanza di procedure certe per affrontare casi di
questo genere che la vicenda è stata trattata da tutti con estrema superficialità e non, come
avrebbe dovuto essere, con serietà e pacatezza.
5
“Non sarebbe stato più giusto che tutti gli insegnanti del consiglio di classe potessero discutere del caso e
stabilire l'eventuale punizione o strategia da seguire?”
12
Questo atteggiamento reiterato provocava sistematicamente una forte reazione
emotiva della vittima che la portava ad autoescludersi e a isolarsi in modo rabbioso dal
gruppo.
“Altro luogo problematico è quello dei consigli di classe dove gli atteggiamenti
oscillano tra quello dell’insegnante che ha fretta e ritiene il consiglio una perdita di tempo
e quello dell’insegnante che vorrebbe utilizzare la riunione per discutere dei problemi della
classe, ma in modo non formale”.
In realtà, i consigli di classe si dimostrano luoghi in cui si prende atto di ciò che non
va, ma raramente gli insegnanti riescono ad essere propositivi rispetto alle strategie di
intervento per migliorare la situazione. I consigli di classe diventano sempre di più momenti
burocratici, formali piuttosto che occasioni di riflessione, di confronto e di individuazione di
soluzioni per i problemi.
Chi o che cosa potrebbe far prendere una piega diversa a quanto descritto? E’
possibile pensare che all’interno delle istituzioni scolastiche ci siano gli spazi per
modificare gli atteggiamenti degli attori? Se, si in quale modo?
Un possibile approccio potrebbe essere osservare il proprio operato e verificarne
l’efficacia non solo rispetto ai risultati ma soprattutto rispetto ai processi, a ciò che succede
e a come succede.
In realtà, nell’ambiente - scuola (come in ogni altra organizzazione, suppongo) si
manifestano problemi di convivenza che non sono limitabili ad un segmento problematico,
ma che si rivelano, a ben guardare, nei diversi segmenti del sistema e ne condizionano le
relazioni con i diversi ambiti e settori.
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Prima superiore, istituto commerciale, classe di 18 alunni, prevalenza femmine (15),
28% di provenienza straniera. Alla fine del I quadrimestre il Consiglio di classe “decreta
che 11 allievi sono gravemente insufficienti nella gran parte delle discipline (votazioni
nell’ordine di 1 e 2).
Nel gruppo dei gravemente insufficienti ci sono le 5 ragazze straniere della classe,
due ragazze già ripetenti, un ragazzo transitato dalla scuola professionale regionale e una
ragazza che aveva abbandonato gli studi e ha poi ripreso e quindi è più grande degli altri di
alcuni anni e due ragazze che non manifestano alcun interesse a continuare.
Che idea si fa, il Dirigente scolastico di questo Consiglio di classe e quali interventi
può pensare di mettere in atto per migliorare la situazione?
Di quali strumenti il Dirigente scolastico può far uso per valutare le competenze di
un docente? Quando ha l’opportunità di osservare comportamenti e atteggiamenti di docenti
che lavorano in sedi staccate o, per loro caratteristiche tendono a ritrarsi dal confronto
aperto? Ci potrebbero essere modalità favorenti la conoscenza, ci saranno esperienze che
vanno in questo senso?
Usciamo dalle questioni teoriche. Se, come qualche collega sostiene, “difficilmente
(il Dirigente scolastico) farà una valutazione errata sul personale, anche se questo espleta
la sua attività in un plesso distante” e “la vera valutazione di ogni nostro operato è
riconducibile ai risultati attesi” come si spiega e come si giustifica una situazione come
quella appena descritta?
I Dirigenti scolastici della scuola dell’autonomia sono giocolieri in grado di
mantenere in equilibrio sopra di loro una struttura che, a un primo sguardo può apparire
particolarmente gravosa, ma nei fatti l’abilità della dirigenza consente di trasmettere
un’impressione di leggerezza ed equilibrismo?
Non riesco a interpretare diversamente. I fatti però dimostrano che la dirigenza - da
sola – non riesce a far funzionare le scuole.
Pur concordando sull’analisi della complessità della figura del Dirigente scolastico e
sulla fragilità di un ruolo che è mal definito e talvolta peggio interpretato, mancano, a mio
avviso, all’interno delle scuole quelle figure di sistema di cui si parlò tempo fa (un decennio
ormai) e che sono state eliminate, anche dalla discussione sullo sviluppo
dell’organizzazione scolastica, negli ultimi anni.
E’ evidente che le funzioni strumentali non hanno la stessa portata e lo stesso
riconoscimento formale che “quelle” figure si ipotizzava dovessero avere. Mi chiedo:
14
potrebbero avere un senso e una collocazione all’interno di un ruolo che non fosse appiattito
sulla funzione unica per i docenti? Una diversificazione di competenze, all’interno
dell’istituzione, potrebbe essere funzionale ad affrontare i problemi di cui stiamo
discutendo?
L’interpretare una dirigenza “allargata” che coinvolge, tramite l’istituto della delega,
altre professionalità alle quali viene demandata dal Dirigente scolastico la gestione di settori
particolari quali lo sviluppo delle tecnologie, il coordinamento per le disabilità e altre aree
strategiche abbia come risultato di responsabilizzare più docenti e di creare una rete di
condivisione delle scelte e di supporto logistico e “di consenso”.
La domanda che rimane inespressa è: la rete di rapporti che si crea aiuta ad aprire
spazi di confronto tra i docenti?
Il Dirigente scolastico della mia scuola sta tentando faticosamente di dare corpo a
una leadership allargata condividendo funzioni e compiti con i docenti dei vari ordini di
scuola dell’istituto (Istituto comprensivo composto da scuola dell’infanzia, primaria e
secondaria di I grado).
Resta comunque irrisolto il fatto del riconoscimento reciproco tra i vari attori
istituzionali (vicepreside, collaboratori, coordinatori di commissioni ecc.), che compongono
il cosiddetto funzionigramma d’istituto, in quanto la percezione tra i diversi professionisti
coinvolti (maestre e professori) è sperequata a favore dei professori che si percepiscono
(vengono percepiti?), al di là delle belle parole di attestazione formale di stima, come più
competenti e preparati delle colleghe maestre e tendono a proporsi con più “autorevolezza”.
Lo sforzo, che mi sembra di cogliere, e che deriva da momenti di confronto aperto
tra tutte le componenti presenti, è quello di cercare un equilibrio nell’assegnazione dei
compiti e di una grande attenzione all’ascolto delle proposte che vengono dalle persone.
Autonomia vs burocrazia
15
fa la sinistra, si arrocca su posizioni del tipo “in fondo se avessero interesse si darebbero da
fare” dimenticando che chi ricopre posizioni di “potere/coordinamento” (mi si passi il
termine) ha il dovere di svolgere al meglio la sua funzione, anche come promotore di
iniziative. Invece ci si limita a riempire scartoffie che nessuno leggerà.
Mi sembra che sia sempre più ineludibile il confronto tra le persone e che tale
pratica, desueta nella gran parte delle scuole, rappresenti l’unico modo per trovare soluzioni
alla situazione attuale.
Trovo splendida l’esperienza descritta dalla dirigente tedesca Enja Riegel, anche se
forse poco ricevibile nelle nostre realtà per alcuni dei vincoli strutturali e culturali,
soprattutto nelle scuole secondarie, dove il prevalere della trasmissione disciplinare non
sembra lasciare posto a “pensieri” organizzativi e didattici di altro tipo. Mi rimane
comunque il dubbio che si continui a proporre una scuola che potrebbe non esserci più, se
solo si volesse andare oltre.
E non mi si dica che ci sono troppi lacci e laccioli perché sento puzzo di alibi … in
fondo la burocrazia è un pannicello caldo e sicuro che ci mette al riparo dai venti innovatori.
Qualche sforzo comunque è stato fatto per rendere più trasparenti le cose che si
fanno: è stato predisposto un pieghevole che illustra sinteticamente l’offerta formativa e le
linee di indirizzo dell’istituto e che viene distribuito alle famiglie dei nuovi iscritti.
Il POF viene adeguato alle situazioni e/o proposte emergenti ogni anno. Non viene
però consegnato ai docenti “nuovi arrivati” che pertanto ne vengono a conoscenza in corso
d’anno mentre “agiscono” alcune situazioni.
Comunicare: il blog
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Nel caso specifico, alunni, insegnanti, operatori sociali, genitori e chiunque abbia
qualcosa da dire sulle tematiche interculturali in senso lato. Da non trascurare anche la
possibilità di segnalare materiali didattici provati e ritenuti interessanti, oltre che - a livello
locale - la facilità di far girare informazioni di interesse generale per il nostro territorio.
Il numero di contatti, oltre 8200 da dicembre scorso, ci fa ben sperare...
Attualmente è in via di sperimentazione un ulteriore tentativo di coinvolgimento dei
docenti disciplinaristi attraverso il lavoro cooperativo su piattaforma Moodle, all’indirizzo
http://www.retesir.it/moodle/course/view.php?id=27
Conoscere il contesto
I tempi e i modi per approfondire la conoscenza del contesto ambientale degli alunni
sono in genere molto risicati e, probabilmente, anche di poco interesse per i docenti.
La scuola è capofila di un progetto territoriale per l’integrazione degli alunni
stranieri e la didattica interculturale che si sostanzia nella presenza dello SPORTELLO
SCUOLA PER L’INTEGRAZIONE DEGLI ALUNNI STRANIERI E LA DIDATTICA INTERCULTURALE.
Questa esperienza, ormai al secondo triennio, presenta ancora molti punti deboli,
soprattutto in quanto al riconoscimento effettivo delle peculiarità che le sono proprie di
tramite tra docenti, genitori ed enti territoriali.
Ulteriori informazioni sono reperibili nel nostro BLOG all’indirizzo
http://blog.scuolaer.it/stranieri
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Il controllo degli spazi comuni
Nel mio istituto non viene applicata una separazione netta tra le diverse classi, anche
se i ragazzi di 3 media occupano un’ala a sé dell’edificio. Nella primaria le classi prime e
seconde si trovano generalmente al piano terra, mentre il primo piano è occupato dalle
classi più alte. Anche in giardino i piccoli occupano una zona a loro destinata, mentre le
restanti classi sono riunite nella zona restante.
Nella secondaria i ragazzi occupano il cortile interno indistintamente. Tutto lo spazio
esterno, giardino e cortile, è recintato e interdetto all’accesso di estranei. E’ sorvegliato da
telecamere.
Nessun alunno o studente può lasciare l’aula senza il permesso del docente che sta
facendo lezione. Gli spostamenti di aula avvengono sempre con i gruppi classe
accompagnati da un adulto (docente o collaboratore scolastico).
La vigilanza è garantita dalla presenza di almeno un collaboratore scolastico per
piano (sia nella primaria che nella secondaria).
Dalla bozza del regolamento d’Istituto:
i collaboratori scolastici
• riaccompagnano nelle loro classi gli alunni che, al di fuori dell’intervallo e senza
seri motivi, sostano nei corridoi;
• sorvegliano gli alunni in caso di uscita dalle classi, di ritardo, assenza, o
allontanamento momentaneo dell’insegnante;
• invitano gli alunni a rientrare nelle classi se sostano nei corridoi mentre sono in
attesa di un docente;
• impediscono, con le buone maniere, che alunni di altri corsi possano svolgere
azioni di disturbo nel corridoio di propria pertinenza, riconducendoli con garbo e
intelligenza alle loro classi;
• sono sempre tolleranti e disponibili con gli alunni, non dimenticando mai che la
funzione della scuola é quella di educare specialmente quegli allievi che ne hanno
più bisogno.
18
Uso delle telecamere
L’esterno di tutti gli edifici è controllato dall’occhio vigile delle telecamere e ciò
nonostante recentemente sono state danneggiate una bicicletta parcheggiata nel cortile della
scuola e un’auto di una docente.
L’uso delle telecamere, seppur oggi sempre più invadenti nella nostra vita non solo
scolastica, può avere un senso per garantire una maggiore sicurezza a chi sta “dentro” l’edificio
scolastico. E come tali devono essere “percepite” da alunni, genitori e docenti. Il “patto”
dichiarato tra chi “vive” all’interno e chi sta fuori deve essere quello della protezione per chi
“abita” l’edificio.
Questa posizione però dovrebbe essere “dichiarata” e acquisita come parte delle
caratteristiche della scuola. Certo l’uso che se ne fa deve essere coerente con il dichiarato sia
come vincolo sia come protezione per tutta l’utenza scolastica.
Serve comunque sempre e prioritariamente una forte rimotivazione di tutti a sostegno di
un’eventuale scelta di questo tipo laddove non la si sia ancora fatta. In conclusione: nessun
mezzo o strumento che dir si voglia raggiunge, a mio parere, lo scopo che gli è proprio se non è
sostenuto da adeguata consapevolezza.
Commissione di disciplina
Nel mio istituto non esiste una commissione disciplinare. Il tutto è demandato al
team docente – nella primaria – e al consiglio di classe – nella secondaria. Se la punizione
riguarda un tipo di esclusione (uscite didattiche, visite di istruzione o allontanamento
temporaneo dalla comunità scolastica) interviene la comunicazione formale del Dirigente
scolastico alla famiglia.
Di norma si tende a evitare questo tipo di punizione intervenendo, anche
informalmente presso la famiglia e, se opportuno, il dirigente interviene parlando con lo
studente e valutando con lui le ragioni del suo comportamento.
Se il Consiglio di classe lo richiede può intervenire sul singolo e/o sul gruppo e sulla
famiglia, anche la psicologa scolastica. Più difficoltosi sono i rapporti con gli assistenti
sociali e in genere con le istituzioni del territorio (neuropsichiatria e psicologi ASL) a causa
della forte richiesta e delle risorse esigue (unità di personale non adeguate alle necessità del
territorio).
19
L’atteggiamento assunto dagli operatori di fronte a fatti contingenti relativi alla
convivenza scolastica ha avuto fasi alterne: fino allo scorso anno si rischiava spesso di
giungere sull’orlo di una crisi di nervi, da parte di tutti.
La modalità di tentare informalmente di contenere alcuni degli episodi di difficile
convivenza ha portato nel passato a episodi di insofferenza particolarmente manifesti sia da
parte dei docenti che dei collaboratori scolastici.
Da un anno a questa parte una migliore gestione degli spazi (soprattutto nella
secondaria) ha consentito un controllo più efficace e meno movimenti di alunni non
autorizzati (in prevalenza stranieri) all’interno dell’edificio.
In genere comunque i docenti si fanno carico di intervenire in modo fermo per
“contenere” episodi di cattiva convivenza, anche informando tempestivamente le famiglie e
chiedendone la collaborazione. Ovviamente alcuni casi “sfuggono” comunque alle
intenzioni.
Ultimamente non si sono verificati episodi particolarmente incresciosi (fatto salvo
l’episodio citato come “2° caso”).
I tempi
20
L’impegno è stato di quattro ore settimanali ripartite flessibilmente nell’arco di
tempo concordato per un totale di ore 100.
L’utenza
Gli interventi
In una prima fase si è provveduto ad un contatto capillare con l’utenza. Sono stati
attivati incontri con tutte le assemblee di classe di ogni scuola al duplice scopo di informare
gli interessati sulle possibilità offerte dal servizio e, nel contempo, di verificare, quali
aspettative, quali esigenze e quale motivazione avesse l’utenza stessa nei confronti di
tale opportunità.
Questo passaggio ha consentito di prendere contatti con l’utenza e di dedicare il
tempo necessario non solo ad una dovuta diretta informazione, ma anche e soprattutto
si è rivelato utile a fornire un’occasione per instaurare un clima di fiducia e di collaborazione,
per evidenziare una condivisione di intenti e per creare una progettualità comune tra
Istituzione scolastica e famiglie verso le molteplici e differenziate esigenze delle parti
in gioco nel percorso educativo.
Al termine di questa fase si sono avviati gli interventi specifici nei singoli
ordini scolastici.
Scuola dell’infanzia
L’intervento effettuato nella scuola statale e nella scuola “Aresi”, è stato rivolto agli
alunni coinvolti nel passaggio alla scuola primaria. Sono state somministrate delle prove, a
piccoli gruppi, per saggiare le risorse personali del singolo relativamente alla padronanza
dei requisiti necessari ad impostare positivamente l’apprendimento nel successivo ordine
scolastico.
Questo “screening”, insieme alle osservazioni sistematiche delle docenti, ha
permesso di meglio evidenziare gli aspetti di debolezza e di forza del soggetto
consentendo, quindi, ai docenti interessati di poter operare in un immediato futuro,
21
secondo il criterio della prevenzione e fornendo loro anche un profilo del gruppo da
considerare nelle formazione delle classi.
Le informazioni ottenute sono state comunicate alle famiglie e agli insegnanti
coinvolti in un incontro di fine anno, al fine di comporre un quadro d’insieme del
singolo e del gruppo il più possibile completo ed esaustivo.
Ci sono stati, inoltre, colloqui con i docenti per verificare alcune situazioni di
alunni (fascia 3/4anni) ai quali sono seguiti momenti di osservazione degli stessi in
classe ed in alcuni casi incontri con i genitori.
Scuola primaria
Gli interventi in tale ordine sono stati rivolti a due alunni frequentanti la classe 3. E’ stata
effettuata l’osservazione diretta in classe dei suddetti bambini e ci sono stati ripetuti colloqui
con i rispettivi genitori. Successivamente una delle famiglie ha manifestato l’intenzione di
richiedere un sostegno, alle strutture interessate, per agevolare il percorso di studio della
propria figlia.
Una docente del team ha fatto da riferimento per un rapido passaggio delle informazioni
ma non sono mancati i contatti con gli altri.
Le attività che hanno interessato tale fascia hanno coinvolto alcune classi con interventi
di tipo differente:
o Nella classe 1/b sono stati segnalati da parte dei docenti comportamenti non
adeguati che hanno richiesto dapprima un incontro di contatto con il gruppo e
successivamente la somministrazione di questionari finalizzati a fornire
indicazioni sul vissuto dei singoli alunni e del loro insieme. Relativamente
al primo caso si è utilizzato un questionario sull’autostima per verificare come lo
studente “legge” se stesso e su quali premesse imposta la sua relazione con gli
altri; si è associato a questo un secondo questionario, molto rapido e breve, per
avere indicazioni sul suo “locus of control”.
22
o Nella classe 2/a l’intervento è consistito nella somministrazione di in un
sociogramma per avere una mappa delle relazioni intercorrenti all’interno del gruppo,
in quella fase, e dei “ruoli” riconosciuti nella struttura dei rapporti.
I dati raccolti sono stati oggetto di riflessione e di confronto con i docenti interessati
e, successivamente, con gli stessi studenti.
L’intervento nelle classi 3 è consistito in più conversazioni guidate con gli alunni
per indurre alcune riflessioni sulle regole che è opportuno applicare per costruire rapporti
interpersonali corretti all’interno di una comunità come quella scolastica. Comunità dove
si opera in un gruppo non scelto ma con il quale si condivide una meta, un progetto
comune portato avanti quotidianamente e che esige rispetto tra le parti.
Su diretta richiesta di alcuni genitori si sono avuti dei colloqui per il
monitoraggio di situazioni specifiche attinenti le esperienze scolastiche/familiari dei relativi
figli.
23
Diritti e doveri fondamentali dei docenti
(…)
Per definire il profilo professionale (…) si fa riferimento a una pubblicazione
dell’O.C.S.E. (…) “La qualità dell’insegnamento” che individua cinque dimensioni della
qualità dell’insegnante.
1. Conoscenza dei compiti di natura disciplinare specialistica e dei contenuti dei programmi
Competenze tecniche-disciplinari:
- contenuti della disciplina e dei relativi aspetti didattici,
- capacità di gestire l’autoaggiornamento disciplinare,
- capacità di utilizzare le tecnologie dell’informazione.
Competenza disciplinare ed epistemologica:
- possesso di una adeguata cultura generale.
2. Il “saper fare pedagogico”, cioè l’apprendimento di metodi pedagogici e l’attitudine ad
applicarli
Competenza pedagogica. Competenza psicopedagogia. Competenza sociologica:
- conoscere la psicologia dell’età evolutiva, la psicologia della conoscenza e la
psicologia dell’apprendimento,
- le teorie della comunicazione;
- partecipare con regolarità e responsabilità alla formazione continua;
- saper condurre la ricerca singolarmente ed in gruppo;
- saper produrre materiali didattici efficaci per i propri alunni.
3. La capacità di riflessione, cioè l’attitudine all’autocritica, caratteristica essenziale della
professionalizzazione degli insegnanti
L’insegnante è soggetto ad errori e li deve ammettere, anche davanti ai ragazzi.
La scuola deve valorizzare la capacità di collaborare con i colleghi come indicatore di
professionalità.
L’insegnante deve esprimere i propri pareri e le proprie osservazioni nei luoghi istituzionali,
evitando contrapposizioni di carattere personale.
4. L’empatia o capacità di identificarsi negli altri e di riconoscerne la dignità
Competenze relazionali:
- possesso delle tecniche di conduzione del gruppo di alunni
Competenza comunicativa o interrelazionale,
Voler bene agli alunni significa:
- essere al servizio della loro formazione;
24
- rispettarli, aiutarli, stimarli;
- non disprezzarli, incoraggiarli, non deprimerli;
- valorizzare le loro idee e non imporre le proprie.
5. La competenza gestionale, caratteristica fondamentale dentro e fuori la scuola
Competenze decisionali e organizzative:
- dimensione socio-culturale del ruolo e della funzione docente;
- strategie, criteri e metodi della progettazione formativa;
- teorie, tecniche e strumenti della programmazione educativa e didattica;
- criteri, tecniche e strumenti della misurazione e della valutazione del processo e del
prodotto;
- produzione di percorsi progettuali;
- procedure per attività di formazione continua.
Competenze progettuali e organizzative.
Altri articoli si occupano dei diversi aspetti della convivenza attraverso la regolamentazione
dei comportamenti degli attori scolastici
Art. 20
Indicazioni sui doveri dei docenti
Art. 21
Norme di comportamento e doveri dei collaboratori scolastici
Art. 22
25
- ad intervenire con richieste di chiarimenti, contributi personali, e manifestando il
proprio interesse, durante l’interazione didattica.
Gli alunni devono conoscere se stessi, gli altri, l’ambiente, per rispettarsi e rispettarli nel
ruolo e nella funzione.
• Rispetto di se stessi
• Rispetto delle persone che vivono e operano nella scuola.
Gli alunni devono vivere la libertà nella scuola, evitando ogni metodo violento e ogni
pregiudizio, dimostrandosi disponibili al dialogo.
Devono riconoscere agli insegnanti il loro ruolo istituzionale e la loro competenza
professionale
Rispetto delle cose: arredi, strumenti e strutture.
Gli alunni hanno il dovere di:
- partecipare alle lezioni portando il materiale occorrente, regolarmente, con impegno
e attenzione;
- partecipare alle attività parascolastiche (uscite, incontri);
- favorire la comunicazione tra la scuola e la famiglia;
- seguire le indicazioni impartite dal Dirigente, dagli insegnanti e dal personale.
Compito degli alunni è agire per conseguire le finalità e gli obiettivi della scuola, svolgendo
puntualmente i compiti assegnati e impegnandosi regolarmente nello studio individuale.
Art. 23
Anche l’articolo che segue rappresenta un tentativo di coinvolgimento reale delle varie
componenti scolastiche. Quanto poi effettivamente si potrà applicare questo è tutto da
vedere.
26
Art. 24 Diritto di trasparenza nella didattica
L’alunno ha diritto alla partecipazione attiva e responsabile alla vita della scuola.
Il coordinatore del CdC si farà carico di illustrare alla classe il POF e recepirà osservazioni
e suggerimenti che verranno posti all’analisi e alla discussione del consiglio di classe. I
docenti esplicitano le metodologie didattiche che intendono seguire, le modalità di verifica e
i criteri di valutazione.
La valutazione sarà sempre tempestiva e adeguatamente motivata nell’intento di attivare
negli alunni processi di autovalutazione che consentano di individuare i propri punti di forza
e di debolezza e quindi migliorare il proprio rendimento.
Art. 25
I diritti e i doveri fondamentali dei genitori
Art. 26
Indicazioni (di comportamento auspicato dei genitori)
(…)
Art. 43
27
Un esempio:
Art. 2 - Sanzioni
1. Ammonizione verbale in classe
- per mancanza ai doveri scolastici
2. Comunicazione scritta sul diario alla famiglia da parte dell’insegnante
- per mancanza reiterata ai doveri scolastici
- per comportamento scorretto
3. Annotazione disciplinare sul registro di classe
- per negligenza abituale
- per assenze ingiustificate
- per mancanza di rispetto nei confronti di persone
- per fatti che turbino il regolare andamento delle lezioni in classe
4. Comunicazione formale scritta alla famiglia da parte del Dirigente scolastico
- per ripetute mancanze ai doveri scolastici
- per ripetute mancanze di rispetto nei confronti delle persone
- per fatti che turbino il regolare andamento della scuola
5. Temporaneo allontanamento dalla comunità scolastica per un periodo non superiore
a quindici giorni
- per comportamenti in grave contrasto con l’ambiente educativo della scuola, che
pregiudichino l’immagine dell’Istituto,
- per ripetute mancanze, già sanzionate con la comunicazione formale del Dirigente
scolastico alla famiglia.
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Obiettivi
Sono stati concordati con il Dirigente scolastico i seguenti obiettivi che dovranno sostenere
le proposte di formazione al Collegio dei docenti:
- linee di intervento sostenute da rigore etico e professionale
- promozione di pratiche cooperative e collaborative
La declinazione pratica delle linee di intervento, che dovrebbero sottendere la
progettazione di attività di coinvolgimento dei docenti, trova la sua giustificazione nella
necessità di proporre non tanto l’aggiornamento inteso come integrazione culturale delle
conoscenze del docente, quanto piuttosto una formazione permanente di chi insegna,
attraverso metodologie di sperimentazione, di ricerca-azione e/o di formazione/azione.
Analisi e interpretazione
Assunto teorico
Questo tipo di visione del problema della formazione/preparazione dei docenti pone la
relazione educativa al centro del pluriverso istruzione e ne fa il cardine di ogni azione
direttamente coinvolgente il rapporto alunno/insegnante.
È ormai palese, ma forse non riconosciuto comunemente, che nel rapporto educativo il
dimostrare accettazione e testimoniare lo sforzo di capire l’interlocutore può rappresentare, nel
comportamento dell’insegnante, una modalità comunicativa che può efficacemente migliorare
il processo di apprendimento.
Come Rogers ha ampiamente dimostrato, alcune modalità di azione del docente nel
processo di relazione, permettono di facilitare la costruzione di abilità nell’alunno attraverso
atteggiamenti di non direttività, di attenzione, di empatia. Si parla di rapporto d’aiuto quando
l’adulto si “ritrae” per permettere all’alunno di riformulare egli stesso il proprio pensiero e di
rappresentare a sé e agli altri la propria conoscenza.
29
“La situazione non direttiva è non valutativa e accetta gli atteggiamenti e i sentimenti (…)
senza critiche o minacce”, mentre i colloqui direttivi alla lunga inibiscono gli interventi
spontanei e sollecitati (…) fino alla palese evasione del compito. (Mantovani)
Va comunque tenuta nel debito conto la non neutralità dell’osservatore per questo più
osservatori consentono una maggiore obiettività e regolarità nell’osservazione.
Questo tipo di percorso è già stato avviato nell’istituto e potrà efficacemente essere
riproposto a quel gruppo di docenti disponibile a lavorare in questa direzione.
Nella comunicazione umana Bateson (1956) individua due livelli di astrazione che
definisce nella teoria del doppio legame come comportamento espressivo - la notizia, il
contenuto del messaggio - e la metacognizione - il comando, il modo di esplicazione del
messaggio.
I due livelli di astrazione, quello numerico - di cui fanno parte il lessico, la sintassi, le
convenzioni - presenta un’articolazione logica; mentre quello analogico - l’agito, il movimento
del corpo, i gesti, la voce - si rifà alla metacomunicazione.
30
Le ricerche in questo campo hanno confermato che doppio legame, risposta tangenziale,
mistificazione nascondono invece di evidenziare il contrasto - conflitto e contrapposizione sono
invece ritenuti opportuni da Laing - e divengono strumenti classicamente selettivi di
discriminazione e di esclusione.
Gli studi della scuola di Rosenthal sull’effetto Pigmalione hanno rilevato che modalità
espressive non intenzionali, rilevabili attraverso l’auto e l’eterosservazione, hanno permesso di
percepire meglio il proprio comportamento comunicativo soprattutto attraverso il controllo del
comportamento verbale educabile.
La conferma tramite scambio verbale, infatti, permette agli allievi confermati di mantenere
l’impegno per un tempo significativamente maggiore che non quelli disconfermati o lasciati in
silenzio.
31
La cultura pedagogica contemporanea, e Rogers in particolare, suggerisce di dirottare
l’aggressività utilizzando l’interazione verbale “a riflesso” per facilitare l’espressione dei
sentimenti e delle sensazioni.
Le indicazioni metodologiche
Le relazioni di convivenza tra persone, anche di etnie diverse, pongono sempre più spesso
problematiche relative all’integrazione culturale.
L’intolleranza come non conoscenza del diverso, spinge chi si sente in tale situazione a
proiettare su chi è palesemente diverso, le proprie inadeguatezze.
In questo modo viene salvata la parte di sé avvertita come positiva separandola da quella
negativa. Se questa è la ragione del fallimento di molti rapporti nella scuola, oltre ad
incrementare la conoscenza del diverso, è necessario che si aiutino gli allievi ad elaborare
atteggiamenti prosociali.
Il focus, in tale accezione, si sposta sugli atteggiamenti relazionali che, per valenza e
complessità, sottendono:
o componenti “fredde” (cognitive) variamente elaborate a partire da stimoli ambientali;
32
o componenti “calde” (dinamico-affettive) riconducibili a stati motivazionali, dinamiche
pulsionali, stili di vita.
L’interpretazione dell’atteggiamento, quale predisposizione a reagire in modo costante,
permette di distinguerlo dalle opinioni, che si rifanno ad aspetti riconosciuti e verbalizzati, dai
pregiudizi, che rappresentano atteggiamenti della cultura di un gruppo e dagli stereotipi
individuabili come pregiudizi sclerotizzati della stessa cultura.
Anche gli atteggiamenti professionali e relazionali possono essere rilevati
indirettamente come
o componenti cognitive (esplicite);
o componenti affettivo-motivazionali (implicite).
Ne deriva che la conoscenza delle diverse componenti degli atteggiamenti professionali
può essere predittiva del comportamento docente.
Partendo da questo assunto sarebbe necessario
o verificare empiricamente le possibilità di incidere sugli atteggiamenti mentali di
insegnanti e alunni;
o predisporre percorsi di educazione interculturale per scuole di gradi diversi;
o verificare l’efficacia dei percorsi e le loro condizioni di utilizzo.
33
quello che già sanno e fanno, non può che manifestarsi attraverso il capire, l’approfondire,
l’assumere stili educativi e relazionali “nuovi”.
Ad-prehendere è portare vicino a sé, è creare un rapporto; quindi non basta l’assunzione
dichiarata di modelli sociali adeguati o la conoscenza di strategie pro-sociali, è necessario
interiorizzare rapporti agendoli in prima persona.
Attraverso il “farsi carico” dei propri studenti l’insegnante può consapevolmente
accettare gli aspetti soggettivi e socioculturali connessi all’insegnamento e all’apprendimento,
favorendo la propria e l’altrui realizzazione intellettuale ed emotiva, strutturando percorsi di
crescita che, prima di istruire ed educare, ricolleghino il pensiero alla sua naturale radice
affettiva e relazionale: bambini e ragazzi hanno bisogno di pensare di essere pensati.
James Hillman ha di recente (Hillman,1997) correttamente richiamato alla necessità di
una figura di “mèntore” nell’educazione del giovane, di qualcuno capace cioè, in virtù del
possesso di una affinata sensibilità immaginativa, di riconoscere il “dàimon”, la vocazione
irriducibile, la “ciascunità” che si manifesta nella fisionomia, fisica e comportamentale di ogni
giovane. Il quale ha bisogno di essere “percepito” da uno sguardo che sappia esplorarne,
proprio nel dettaglio complicatissimo del suo manifestarsi, le attese e le possibilità, come se
fosse una materia da cui l’artista sensibile dovesse trarre la forma latente e virtuale, quella sola
che anela a emergere6.
Su queste tematiche si è ampiamente discusso lo scorso anno in Commissione
Intercultura d’Istituto e negli incontri di rete territoriale per l’inserimento degli alunni stranieri
e si sono condivise le linee di indirizzo. Da quest’anno scolastico le stesse tematiche sono
all’attenzione anche dei referenti provinciali per l’inserimento degli alunni stranieri e per la
didattica interculturale. (http://www.sportellostranieri.bergamo.it)
Conclusioni
Il fatto è che applicare una riflessione sul “processo educativo” aiuta a capire quali
obiettivi davvero vogliamo realizzare, quali azioni dobbiamo mettere in campo e quali
valutazioni siamo in grado di effettuare al termine delle singole azioni decise ai vari livelli.
E’ il processo di validazione/riflessione su un processo che ci aiuta a capire se e come
siano necessari aggiustamenti, correzioni, nuovi interventi … purtroppo questa è una cultura
che a scuola trova ancora molti detrattori, ma è sicuramente un modo per “comprendere” quello
che ci sta intorno e che ci può indirizzare e sostenere nei processi di miglioramento.
6
Mottana P., (2006), Ho bisogno d’un amante, in Pedagogika.it, pp.8-11, Anno X, n.3, Maggio-Giugno 2006.
34
Anche una dirigenza “allargata” che coinvolge, tramite l’istituto della delega, altre
professionalità alle quali viene demandata dal Dirigente scolastico la gestione di settori
particolari quali lo sviluppo delle tecnologie, il coordinamento per le disabilità e altre aree
strategiche, con il risultato di responsabilizzare più docenti e di creare una rete di condivisione
delle scelte e di supporto logistico e “di consenso”, aiuta ad aprire spazi di confronto e di
proposta tra i docenti.
Sarebbe necessario ripensare la funzione docente in un’ottica diversa: più collaborativa
e meno “costretta” nella competenza disciplinare. Dal punto di vista organizzativo, in
particolare nel mio Istituto, si sta ripensando alla necessità di “gestire” diversamente il tempo a
disposizione per le riunioni collegiali, anche se permangono forti resistenze.
Le problematiche, che sono estremamente complesse, dovrebbero indirizzare a
rifondare il concetto di insegnamento, facendo magari intravedere ai docenti più restii, che
insegnare confrontandosi con colleghi, allievi, famiglie e in genere, con la comunità che ci
circonda e di cui siamo parte, servirebbe a renderci più consapevoli di come sarebbe necessario
agire nelle diverse situazioni.
Spesso, la visione settaria del contesto non ci consente di interagire con cognizione di
causa e ci costringe in posizioni settarie di cui talvolta non siamo nemmeno consapevoli. Per
questo è necessario riconoscerlo e assumere la criticità di questo atteggiamento.
Certo sarebbe davvero interessante capire di cosa pensano di aver bisogno i ragazzi,
di come può cambiare il loro atteggiamento, … sentirlo dalle loro parole. Potrebbe essere un
modo per farli diventare consapevoli delle loro necessità e dei progressi che potrebbero
mettere in atto (rendendoli coscienti dei loro vissuti e aiutandoli a investire sul futuro) e
permetterebbe ai docenti di dare un riscontro di “riconoscimento” al lavoro svolto da
ciascuno di loro nella direzione auspicata dalla scuola e dai docenti stessi. Una sorta di
iniezione di autostima per il gruppo che bene ha agito.
E gli esempi potrebbero essere molti e forse anche semplici: basterebbe utilizzare
modalità utili a coinvolgere anche gli studenti più restii, individuando anche materiali
accattivanti per le diverse discipline. E qui bisognerebbe aprire una parentesi sulle cause di
carenza di materiali del tipo che si diceva pocanzi e delle resistenze che i docenti mettono in
atto nell’utilizzo di strumenti, come il personal computer e l’accesso alla rete internet, che
potrebbero affiancare anche le attività scolastiche più “tradizionali”.
Potrei fare anche qualche esempio: la scrittura collaborativa di un testo, una
relazione, una presentazione di storia piuttosto che di scienze, reperendo l’apparato iconico,
35
magari da internet, potrebbero essere occasioni per rendere meno “noiosa” la scuola
lavorando insieme.
Primo ostacolo, almeno da noi, è però il lavoro collaborativo che è semplicemente
ignorato come modalità didattica e non riconosciuto come abilità cognitiva e sociale.
Secondo ostacolo, le scarse competenze dei docenti riguardo all’uso didattico dei
personal computer.
Terzo ostacolo – strutturale - i laboratori poco diffusi vs poco funzionali. E potrei
continuare...
Sul versante “consapevolezza” è indispensabile, anche se più difficilmente
approcciabile, rendersi conto che abbiamo a che fare con persone che, seppur giovani, hanno
già una loro idea del mondo e di ciò che del mondo amano o “odiano”. Semmai la scuola oggi
deve aiutare gli alunni a trovare la loro strada, proponendo contenuti con modalità che li
intrighino e li incuriosiscano (una selezione è necessaria) e li aiutino a crescere, maturando
capacità di analisi, di sintesi, di elaborazione, di critica ... magari passando anche attraverso
contenuti più vicini ai loro bisogni.
E la letteratura ad esempio non ne è certo avara. Interessante mi sembra l’idea del
regista, ma senza pensare a un regista despota che propone la recita di un testo senza aver prima
“sondato” quale soggetto è più adatto alle caratteristiche dei suoi attori. Poi è vero che un buon
attore matura nel tempo, se ha avuto la fortuna di avere buoni maestri/registi.
Non è solo una questione di empatia e l’apprendimento in senso lato è un continuum ...
L’apprendimento disciplinare presuppone invece una scelta volontaria e un preciso impegno di
scelte e di sistematizzazioni.
Non si può insegnare l’universo mondo, né lo si può apprendere!
Se davvero “nuovi contenuti” più vicini al vissuto dei ragazzi non dovessero bastare per
coinvolgerli di più, insieme a metodi più stimolanti - non dimentichiamo che la realtà vissuta è
sempre più multidimensionale e veloce - allora la scuola non potrebbe che dichiarare il
fallimento del proprio mandato ...
Credo che una riflessione profonda sia urgente, anche da parte di chi si arrocca su
posizioni di difesa. Il vero problema è: come espugnare la cittadella? Perchè a mio parere da lì
bisogna partire, proprio da quei colleghi così restii a qualsiasi “contatto” in senso professionale
con gli “alieni” ...
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Che fare?
Con gli alunni bisogna imparare a usare una strategia non giudicante e coinvolgente:
partire da un interesse “primario” dell’età (uniformarsi al gruppo che per definizione è sempre
alla moda) per convogliare l’attenzione su aspetti sociali e culturali di una generazione,
attraverso l’uso di abilità di analisi e critica, per costruire competenze (essere capaci di
un’attenzione successiva, anche attraverso la conoscenza di altre realtà). Spero di non aver
semplificato eccessivamente...
Con i docenti serve “utilizzare” l’autonomia per tentare una nuova interpretazione dei
tempi e degli spazi “canonici” delle riunioni. Ma non come tentativo di qualche docente
volenteroso di un qualche Consiglio di Classe, piuttosto come una linea adottata dal Collegio
dei Docenti con lo scopo, magari, di gestire meglio i tempi a disposizione.
Dovremmo anche imparare a “sostenerci” di più e a riconoscerci reciprocamente come
persone “professioniste” in grado di agire con competenza “riconosciuta” nel contesto
istituzionale in cui operiamo.
Se il confronto passasse attraverso il riconoscimento di competenze non esclusivamente
disciplinari sarebbe possibile aprire uno spazio di sostegno reciproco in quei casi in cui spesso
ci sentiamo soli e incapaci di re-agire.
Emblematica la dichiarazione della dirigente scolastica tedesca Enja Riegel
“Chiedete i permessi solo dopo che avrete avuto successo ... nessuno potrà dirvi di no!”
Proprio in quest’ottica dovremmo muoverci: provare ad agire … poi verrà il
“riconoscimento ufficiale” prima però è necessario attivarsi con modalità praticabili nel nostro
conteso scolastico.
La convivenza migliora se si fanno lavorare insieme i ragazzi. Ma chi insegna a noi
docenti come si fa a far lavorare insieme i ragazzi, dal momento che a noi non è stato
insegnato? Chi o che cosa ci può far capire l’importanza di costruire la conoscenza con gli altri
e ci insegna come si deve fare a interagire all’interno di gruppi professionali? Queste restano
questioni ineludibili – e di cui è ormai tempo di occuparsi - se si vuole fare qualche progresso.
A volte penso che sarebbe necessario “formare” anche i genitori che troppo spesso
sembrano incapaci di gestire loro stessi quelle situazioni che ci imputano come preoccupanti
37
per i loro figli. E’ come se sentendosi inadeguati volessero demandare ad altri, la scuola nel
nostro caso, l’onere di intervenire là dove loro non sanno che fare.
Interpreto così anche la riluttanza ad ammettere l’evidenza dei comportamenti “limite”
dei figli ... esattamente come incapacità di farsi carico del compito educativo e
conseguentemente la negazione dell’eventuale problema che venisse loro sottoposto.
Il coinvolgimento delle famiglie, anche attraverso il Comitato genitori presente in ogni
istituto, per creare, al di fuori dell’ambiente scolastico, un clima “familiare” con lo scopo
dichiarato di aiutare i ragazzi a conoscersi meglio in un ambiente non così fortemente
strutturato e “competitivo” come è oggi la scuola potrebbe essere un passo auspicabile anche se
di non facile attuazione.
Penso sia giunto il tempo di cominciare a riconoscere - e a contrastare - uno dei
problemi più spinosi della nostra organizzazione sociale in senso lato, e cioè la sempre più
marcata solitudine delle persone e la conseguente incapacità a relazionarsi con gli altri, dovuta
alle nostre case vuote, ai nostri figli “unici” di nome e di fatto - con tutto ciò che ne consegue -
a partire dall’incapacità di vivere con gli altri fino al pensare di avere solo diritti!
La convivenza ha mille sfaccettature, mille luci riflesse e altrettante ombre nascoste, si
tratta di voler cominciare a “guardarne” più da vicino anche un solo aspetto. Quale va deciso
insieme.
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Bibliografia
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