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Percorsi verso linnovazione:

strumenti e metodologie

NON SOLO STATUTI!


PROCESSI E STRUMENTI ORGANIZZATIVI PER
FARE INNOVAZIONE NELLE ISTITUZIONI MUSEALI

Antongiulio Bua
Comitato tecnico scientifico Beni e servizi culturali
Regione Lombardia

Alessandro Hinna
Universit degli Studi di Roma Tor Vergata

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Premessa

Dallinizio degli anni 90, sullo sfondo di un importante ripensamento del rapporto tra
pubblico e privato, chiamato in causa in nome del principio di sussidiariet, il diritto dei beni
culturali ha innestato nellimportante complesso normativo dedicato alle funzioni di
conservazione e tutela dei beni, le premesse giuridiche per innovare assetti istituzionali e
logiche operative.
Tutto ci ha definito un nuovo campo organizzativo nella cui successiva strutturazione
sembrerebbero oggi prevalere elementi di legittimazione istituzionale pi che elementi di
efficienza tecnica, dove le innovazioni normative introdotte sembrano essere vissute non
come presupposto, ma gi come testimonianza di innovazione organizzativa.
Partendo da queste basi, le brevi note presentate hanno lo scopo di spostare lenfasi del
dibattito sulla innovazione delle istituzioni museali dalla scelta del modello giuridico (con
particolare riferimento ad una prassi che sembra attualmente privilegiare la fondazione di
partecipazione) alla definizione del progetto istituzionale. Per questo, dopo una breve
introduzione al processo di definizione di un campo organizzativo, dove allobiettivo
esclusivo della conservazione andato sommandosi quello della valorizzazione, il paper
passa ad approfondire gli elementi distintivi di una fondazione di partecipazione ed i loro
rilievi sulla struttura economica e organizzativa dellistituzione culturale; quindi, viene di
seguito avanzata una prima ipotesi di analisi processuale nella quale - coerentemente alla tesi
che si va sostenendo - la scelta della forma giuridica rappresenta una fase di un processo di
analisi pi generale, nel quale essa necessariamente preceduta dallosservazione di talune
variabili che aiutano a esplicitare, con maggiore chiarezza e determinazione possibili, il
progetto istituzionale che si intende realizzare.
Il documento si conclude, infine, con una prima riflessione circa le possibilit di applicazione
del modello di fondazione di partecipazione in una logica di efficienza tecnica.

1. Il quadro istituzionale in cui il cambiamento si colloca1

Il passaggio agli anni 90 ha significato un profondo ripensamento dei rapporti tra cittadini e
pubblica amministrazione. Tendenze culturali e politiche liberiste di paesi vicini da una parte,
gravit della situazione economica e finanziaria dello Stato e delle amministrazioni dallaltra,
resero in quegli anni inevitabile lavvio di un processo di revisione delle scelte in essere che,
prima ancora che nei comportamenti, si evidenziarono in una stagione legislativa incisiva, con
interventi mirati sia allorganizzazione interna dei compiti e ruoli delle singole
amministrazioni, sia al rapporto tra Stato e comunit. Si oper infatti contemporaneamente
per la maggiore autonomia organizzativa e la pluralit di scelta delle formule istituzionali per
lerogazione dei servizi pubblici locali (L.142/90); per labbandono di logiche di gestione
autoreferenziali in favore di un orientamento al cittadino nello svolgimento delle attivit
amministrative (L.241/90); per il recupero del rapporto tra pubblico e privato nella gestione e
nel finanziamento di servizi di interesse collettivo con primi interventi di legislazioni speciale
(es. L. 266/90 o L.381/91) che fecero da apri pista alla costituzione del cos detto Terzo
settore.

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Il par.1 e 2 del presente contributo vengono argomentati in maniera pi distesa in A. Hinna, Innovazione
tecnica senza innovazione organizzativa: origini e trasformazioni istituzionali nella gestione dei musei statali,
paper presentato per il V Workshop dei Docenti e Ricercatori di Organizzazione Aziendale (Universit Luiss
Guido Carli, Roma 5-6 febbraio 2004)

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Erano queste, dunque, le premesse per un sistema giuridico-istituzionale nel quale avrebbero
trovato legittimazione principi e comportamenti di sussidiariet verticale (attraverso processi
di decentramento istituzionale ed amministrativo) ed orizzontale, chiamando in causa il
privato nel rivestire un ruolo non solo operativo nellerogazione dei servizi, ma anche
decisionale nella formazione ed attuazione delle politiche pubbliche.
E in questo quadro pi generale, dunque, che pu essere accolto a pieno il significato di un
ripensamento - che in quegli stessi anni iniziava ad avviarsi del senso istituzionale e
dellorientamento strategico di fondo del sistema museale italiano, iniziando un cammino
(tuttaltro che concluso) verso un nuovo e diverso equilibrio tra conservazione e
valorizzazione, cultura ed economia della cultura, mettendo profondamente in crisi listanza
di conservazione come attivit esclusiva e finalizzante del singolo museo.
La crisi del sistema politico e partitico dellinizio degli anni 90, unito alle pressioni derivanti
dalla futura entrata nella comunit europea furono forse le motivazioni principali di un
inversione di rotta: gli anni dellet delloro (cos da alcuni vennero definiti gli anni 80 per
il settore dei beni e delle attivit culturali), ovvero unepoca di grande interesse ed
effervescenza politica che port ad una crescita vertiginosa della spesa pubblica nel settore
(che raddoppi - in termini reali - dallinizio del decennio) erano finiti. Daltro canto, il
finanziamento del settore dei beni culturali non legato a ragioni di natura strettamente
culturale, ma piuttosto ad interessi (macro) di occupazione e sviluppo economico, avevano
portato ad un intervento massiccio dello Stato, con conseguenze negative sulla capacit di
gestione della spesa e scarso impatto sullefficienza e lefficacia delle istituzioni beneficiarie.
Ci apparve con chiarezza quando, con alle porte lEuropa unita, la struttura di offerta del
sistema museale italiano - non dando certo ragione degli ingentissimi investimenti fatti nel
corso degli anni precedenti - si dimostrava assolutamente inadeguata a cogliere la sfida
dellintegrazione economica degli stati componenti.
Su queste basi, gli osservatori pi attenti iniziarono a denunciare lurgenza di una nuova
identit dellistituzione museale, immaginata non pi come un contenitore di beni di valore,
ma come perno delle attivit culturali della citt. Lenfasi e lattenzione del dibattito volsero
conseguentemente sui temi inerenti lorganizzazione e la gestione dellistituzione e non pi
o non solo sugli effetti indiretti da essa provocati. Decentramento, autonomia, ruoli,
compiti, profili professionali, meccanismi di finanziamento, modalit di accordo e
collaborazione con le imprese private divennero le nuove dimensioni di confronto e ricerca.

2. Limportanza del percorso legislativo svolto ed i rischi ad esso connessi

La pubblicazione di importanti indagini empiriche dei primi anni 90 sottolinearono


chiaramente lurgenza di alcuni importanti punti da inserire nellagenda legislativa italiana.
Tra questi, oltre ad una generale difficolt di movimento allinterno di una vasta
proliferazione di norme giuridiche e quindi allesigenza di avviare la revisione del corpus
giuridico in materiale culturale, si faceva esplicito riferimento allopportunit di:
1. creare un forte potere centrale, che non fosse frammentato in otto o dieci ministeri con
obiettivi, logiche e culture amministrative differenti, ma che piuttosto nellunitariet
degli indirizzi ripartisse in maniera efficiente funzioni e compiti tra i diversi livelli
politico-amministrativi, applicando principi di sussidiariet (verticale);
2. avviare un deciso processo di decentramento amministrativo tale da accelerare la
spesa per investimenti, magari basata su sistemi di panificazione pluriennale e
obiettivi trasparenti;
3. investire nellautonomia delle istituzioni culturali, con particolare riferimento al
settore del patrimonio e dei musei. Qui, forte era dichiarata lesigenza di creare

3
organismi pi autonomi, pi vicini ai bisogni del pubblico e, per questo,
potenzialmente pi adatti a dare risposte soddisfacenti;
4. avviare un percorso di decentramento, collaborazione e sussidiariet tra i vari livelli
politico-amministrativi, attraverso la costituzione di commissioni miste di
coordinamento tra Stato e Regioni;
5. studiare nuove forme di partnership pubblico-privato per una pi efficace gestione del
servizio.
Unagenda legislativa intensa, dunque, che combinata al percorso di rinnovamento del
sistema amministrativo nazionale candid le scienze amministrative a nuove protagoniste del
percorso di rinnovamento della gestione dei beni culturali, lasciando sullo sfondo
lopportunit di interventi organizzativi (non solo istituzionali) per lattivazione e gestione dei
processi di innovazione auspicati.
Ciascuna delle richieste normative espresse fu poi effettivamente affrontata dal legislatore,
creando cos i presupposti normativi affinch lauspicata evoluzione gestionale potesse poi
nei fatti avvenire. Pertanto, coerentemente ai punti appena rilevati, utile ricordare che:
- vi fu listituzione formale, con il D.lgs. del 20 ottobre 1998, n. 368, del Ministero per i
Beni e le Attivit Culturali;
- il tema del decentramento venne affrontato a pi riprese a partire dalle note leggi
Bassanini (L. 59/97 e L. 127/97) fino ad arrivare alla pi recente riforma del Titolo V
della Costituzione;
- con la Legge n. 352/97, in tema di attivit museali degli enti locali, fu affermato il
principio di programmazione delle iniziative, nonch il rilievo delle attivit culturali,
definite come categoria ampia, comprensiva degli interventi di valorizzazione e
promozione della fruizione dei beni culturali;
- furono previste le soprintendenze autonome o speciali, la cui prima esperienza stata
la Soprintendenza Autonoma di Pompei dotata di autonomia scientifica, organizzativa,
amministrativa e finanziaria (ad essa sono seguite poi la Soprintendenza archeologica di
Roma e le quattro soprintendenze speciali per i poli museali di Venezia, Firenze, Roma
e Napoli, istituite con il D.M. 11 dicembre 2001).

3. Le forme di collaborazione pubblico - privato: la fondazione di


partecipazione tra mito ed efficienza

Ci premesso, non v dubbio che i passi pi importanti (tanto pi se si abbandona il dato


normativo per osservarne leffettiva applicazione) furono per compiuti con riferimento alle
forme di collaborazione pubblico-privato. Lintroduzione dei cosiddetti servizi aggiuntivi
(legge Ronchey del 14 gennaio 1993, n.4) ne fu il primo passo. Una norma che deve la sua
importanza forse non tanto agli effetti finanziari prodotti sul sistema museale, quanto ad un
significato di rottura con il passato: prima di allora i privati (con o senza finalit di lucro)
partecipavano al settore dei beni culturali attraverso lesecuzione di compiti specifici
(restauro, catalogazione, etc..), ma non erano chiamati ad intervenire direttamente nella
gestione.
La conferma di un processo ormai definitivamente avviato arriv poi con il citato D.lgs. del
20 ottobre 1998, n. 368, nel quale fu espressamente previsto che - per il pi efficace esercizio
delle sue funzioni - il Ministero per i Beni e le Attivit Culturali potesse stipulare accordi con
altre amministrazioni o con soggetti privati, nonch costituire o partecipare ad associazioni,
fondazioni o societ. Se a ci si aggiunge che a livello locale levoluzione normativa
(successivamente confluita nel Testo Unico dellagosto 2000) aveva gi prefigurato diverse
forme di collaborazione pubblico-privato (si veda par.4), se ne deriva che gi verso il volgere

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del decennio lItalia era ormai dotata di un impianto normativo che, in sostanza, aveva aperto
alla gestione dei servizi culturali qualsiasi forma funzionale, pubblica o privata, individuale o
collettiva, non profit o a scopo di lucro. Di qui il dibattito sulla possibilit o meno di trovare
un giusto equilibrio tra esigenze di valorizzazione e fruizione del bene (che potrebbero indurre
ad una sua sovraesposizione per fini, ad esempio, di spettacolarizzazione e divertimento) ed
esigenze di tutela e conservazione che, invece, motivano logiche di fruizione controllata.
Proprio su questo delicato equilibrio sembrato, in questi anni, legittimarsi naturalmente il
settore delle aziende non profit, la cui naturale e da tempo argomentata idoneit alla
produzione di beni pubblici o meritori (Hansmann, 1980) sembra aver attenuato le
preoccupazioni di molti. Letteratura e prassi da un parte, successivi interventi di legislazione
locale (legge 448/2001, art.35) dallaltra, hanno poi di fatto ricondotto gran parte del dibattito
intorno allistituto della fondazione, in quanto strumento giuridico particolarmente idoneo
allinnovazione nella gestione dei beni culturali.
E questa, daltro canto, unulteriore conferma della riscoperta (non solo italiana) di queste
antiche istituzioni, le quali si ripresentano oggi assai variegate nella forma e nella struttura,
regolate da quella che non a caso viene definita giungla legislativa (tab.1)

Tab. 1- Fondazioni Museali e sistema delle Fondazioni Italiane


Classificazione delle Fondazioni italiane
Natura Tipologia Denominazione
Fondazione tradizionale Fondazione
Fondazioni di diritto (tra queste, quindi, anche le Fondazioni Museali private)
civile
Fondazioni Universitarie
(L.388/00))
Fondazioni di origine bancaria
Fondazioni create ex-novo dal (L. 218/90)
legislatore Fondazioni costituite o partecipate dal Ministero per i beni e
le attivit culturali
(D.lgs.368/98)
Fondazioni che gestiscono fondi pensionistici
(D.lgs. 124/93)
Fondazioni di diritto Fondazioni Casse di previdenza e assistenza
speciale Fondazioni derivanti dalla (L.537/93)
trasformazione di determinate Fondazioni Liriche
categorie di enti pubblici (D.Lgs. 367/96)
Le Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza (IPAB)
(L. 328/00)

Fondazioni derivanti dalla Esempi: Scuola nazionale di cinema"; Istituto nazionale per
trasformazione di singoli enti il dramma antico; La Triennale di Milano; Museo della
pubblici scienza e della tecnica.
Fondazioni individuate Fondazioni a patrimonio Fondazioni di Partecipazione
nella prassi progressivo
Fondazione di Comunit

E, quella della fondazione di partecipazione, una forma giuridica senzaltro innovativa, ma


che sembra in prima istanza trovare un forte legittimazione in quanto portatrice di valori
coerenti con valori pi generali della societ e, per questo, capace di rendere accettabili i
delicati accordi istituzionali sommariamente descritti. In particolare, nel caso delle fondazioni
di partecipazione costituite da Enti locali, la stessa legislazione nazionale pu aver avuto una
valenza di autorizzazione o legittimazione delle scelte operate. Come noto, infatti, a livello

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statale, le fondazioni museali costituiscono oggi delle ipotesi concrete di cooperazione tra
soggetti istituzionali ed entit private al fine di svolgere attivit non lucrative in ambito
culturale. La modalit di partecipazione del Ministero a dette organizzazioni, tra laltro, pu
avvenire anche con il conferimento di beni culturali o di diritti d'uso su beni mobili o
immobili di sua propriet. In tal caso, lo statuto della fondazione dovr prevedere che, in
ipotesi di estinzione o di scioglimento, i beni culturali ad essa conferiti in uso dal Ministero
tornino nella disponibilit di questultimo.
Ma se questa, data la strumentazione giuridica a disposizione, pu essere considerata una
delle poche strade percorribili a livello centrale per lavvio di partnership con privati o altre
amministrazioni dello stato, il discorso senzaltro diverso a livello di Enti locali. Qui, infatti,
proprio la possibilit di attivare a tale scopo diverse forme giuridiche di gestione, rende pi
dubbia la possibilit di legare luso diffuso dellistituto fondazionale ad esigenze di efficienza
tecnica. A tale scopo, infatti, almeno a parere di chi scrive, meglio si giustificherebbe un
approccio contingente alla scelta dellassetto istituzionale, capace di suggerire luna o laltra
forma di governo in funzione degli obiettivi e delle caratteristiche operative che si intendono
attribuire alla costituenda istituzione culturale.
La giustificazione di procedere su basi contingenti daltro canto motivata dal successo di
importanti istituzionali culturali che, seppur dotate di differenti vesti giuridiche, hanno
ampiamente dimostrato lefficacia del proprio agire.
Su queste premesse, come anticipato, si intende in questa sede:
- evidenziare il rischio di considerare le innovazioni della formula normativa
(fondazione di partecipazione) non come presupposto, ma gi come testimonianza di
innovazione organizzativa;
- spostare lenfasi del dibattito sulla riorganizzazione dei servizi culturali, dalla scelta
del modello giuridico alla definizione del progetto istituzionale;
Pertanto, dopo una breve disamina delle altre forme giuridiche attivabili nella gestione delle
attivit in esame (par.4), vengono approfonditi gli elementi distintivi di una fondazione di
partecipazione ed i loro rilievi sulla struttura economica e organizzativa dellistituzione
culturale (par.5).

4. Forme associative di espletamento di funzioni e servizi e forme di


gestione dei servizi pubblici locali.

Nel proporre un quadro di riferimento relativo alla gestione di servizi non inseriti in una
filiera industriale e non aventi rilevanza economica bene operare una prima distinzione in
relazione agli strumenti istituzionali prefigurati dallordinamento per lo svolgimento di
funzioni e servizi e per la gestione di servizi pubblici locali.
Questi si possono suddividere nelle cosiddette forme associative e nelle forme di gestione. La
distinzione non puramente terminologica, ma anche di contenuti, per cui bene sottolineare
come:
- nel primo ambito vengono previste le forme di associazione tra gli enti per l'esercizio di
funzioni e di servizi (siamo qui nel campo della cosiddetta amministrazione negoziata e/o
partecipata);
- nel secondo ambito vengono previste le forme di gestione dei servizi pubblici locali che
"abbiano per oggetto produzione di beni ed attivit rivolte a realizzare fini sociali e a
promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunit locali" (siamo qui nel campo delle
esternalizzazioni funzionali e/o delle vere e proprie privatizzazioni).
Le forme associative previste sono: a) convenzioni; b) consorzi; c) unioni di enti locali; d)
esercizio associato delle funzioni; e) accordi di programma.

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Le forme di gestione, invece, erano, fino ad oggi (laccezione temporale dobbligo),
disciplinate secondo l'Art. 113 bis del D.Lgs. 18 agosto 2000 n. 267 - Testo unico delle leggi
sull'ordinamento degli enti locali, come modificato dalla legge finanziaria 2002. I "servizi
pubblici locali privi di rilevanza industriale" venivano scorporati dagli altri servizi erogati
dagli enti locali. Tale articolo faceva quindi una elencazione che lasciava intendere una
gerarchia di scelta a cascata tra quattro "raggruppamenti" di possibili forme di gestione
espressi con 4 commi consecutivi. Nel comma 1 si diceva che i servizi "sono gestiti
mediante affidamento diretto a: Istituzioni, Aziende Speciali anche Consortili (e qui vi il
riferimento ai predetti Consorzi-Azienda), Societ di Capitali costituite o partecipate dagli
enti locali, regolate dal codice civile." Nel comma 2 si diceva che " consentita la gestione in
economia quando, per le modeste dimensioni o per le caratteristiche del servizio, non sia
opportuno procedere ad affidamento ai soggetti di cui al comma 1". Nel comma 3 si
affermava che "gli enti possono procedere all'affidamento diretto dei servizi culturali e del
tempo libero anche ad Associazioni e Fondazioni da loro costituite o partecipate". Nel
comma 4 si prefigurava che, per i servizi dei commi precedenti, "quando sussistano ragioni
tecniche, economiche o di utilit sociale , i servizi......possono essere affidati a terzi, in base a
procedure di evidenza pubblica, secondo le modalit stabilite dalle normative di settore ".
Da tempo in atto una volont di riforma della gestione dei servizi pubblici locali per
adeguare gli stessi a standard europei e per introdurre elementi di concorrenzialit nella
scelta dei gestori. Da ultimo il decreto legge del 29 settembre 2003 in materia di sviluppo
delleconomia e di correzione dei conti pubblici vuole con urgenza porre mano a detta
riforma anche nel settore di quelli che lo stesso decreto definisce servizi pubblici locali privi
di rilevanza economica. I quali appaiono prima facie assimilabili alloggetto delle attivit
proprie della costituenda agenzia.
Al momento, vista lestrema novit del dettato normativo, non si possono formulare
interpretazioni puntuali dello stesso. E per gi definibile limpossibilit di creare forme
societarie miste e labolizione del sistema della concessione a terzi. E poi chiaro come, ove
le attivit previste ricoprissero una specifica valenza economica, queste dovrebbero trovare la
loro disciplina nellart. 113 e quindi esclusivamente in forme di gestione societaria mista
pubblico-privata (in questambito promosse). Ma, al momento, si versa in uno stato di
indeterminatezza normativa la quale spinge, per lurgente definizione del presente progetto, a
consigliare modelli consolidati e certi che potranno generare i futuri scenari di apertura al
mercato del settore.

Tutto ci premesso, dopo un breve inciso sulla gestione in economia, vengono presentati gli
elementi caratterizzanti delle diverse forme associative e gestionali alle quali si faceva
riferimento.

4.1. La gestione in economia: unipotesi residuale


Rimane un dato certo il disposto normativo secondo cui la gestione in economia deve essere
utilizzata solo quando, per le modeste dimensioni o per le caratteristiche del servizio, non
risulti minimamente utile la costituzione di altre strutture organizzative. La natura residuale
della gestione in economia confermata, oltre che dalla legge finanziaria 2002, anche dalla
giurisprudenza che stata spesso concorde nel ritenere che lEnte locale possa farvi ricorso
solo in presenza di servizi di cos scarsa entit da rendere antieconomica leventuale
decisione di dare origine ad uninopportuna germinazione di nuovi soggetti giuridici (Cons.
Stato, sez. V, 2 dicembre 1998, n.1723).
In caso di ricorso a detta modalit gestionale, infatti, il servizio viene reso allutenza da parte
del personale dellEnte locale, nel rispetto di tutte le disposizioni ordinamentali del
medesimo Ente quali, ad esempio, le norme in materia di controlli e di contabilit. In tal

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modo, si tratta senza dubbio della forma di gestione primaria che maggiormente potrebbe
ingessare la gestione di un bene culturale.
In particolare, i punti critici di tale forma possono individuarsi:
 nella difficolt di impostare relazioni di varia natura e contenuto con i molteplici
soggetti (pubblici e privati) che possono operare nel settore e con i quali necessario
interagire;
 nella difficolt di gestire in modo ottimale i flussi finanziari in entrata e in uscita;
 nella rigidit nellorganizzazione del personale pubblico, soggetto a specifiche
disposizioni;
 nellassoggettamento alle norme di contabilit pubblica.

4.2. I Consorzi-azienda
L'art. 25, c. 1, legge n. 142/1990 nella sua formulazione originaria aveva attribuito a Comuni
e Province la facolt di costituire Consorzi per la gestione associata di uno o pi servizi,
secondo le disposizioni dettate per le Aziende speciali.
La circostanza che tale disciplina stabilisse che i Consorzi potevano essere costituiti per la
"gestione... di uno o pi servizi" aveva indotto a ritenere che, dopo l'entrata in vigore della
legge n. 142/1990, non fosse pi consentito costituire ad eccezione di quelli "obbligatori"
di cui al settimo comma dell'art. 25 cit. Consorzi per lo svolgimento di funzioni c.d.
istituzionali di competenza comunale e provinciale (artt. 156, c. 1 e 169, c. 1 .T.U. n.
383/1934). Il rinvio alle "norme previste per le Aziende speciali" aveva comportato, poi, una
sorta di divieto di costituire Consorzi per lo svolgimento di servizi sociali in quanto gli unici
ammessi dovevano considerarsi, in base al detto rinvio, quelli che gestivano servizi aventi
"rilevanza economica ed imprenditoriale". Peraltro, la giurisprudenza, sul presupposto che
l'art. 25, legge 142/1990 prevedeva la possibilit di costituire un Consorzio "per la gestione
associata di uno o pi servizi" senza alcuna limitazione riferibile alla natura e alla rilevanza
(sociale o imprenditoriale) dei servizi stessi, era pervenuta alla conclusione che il Consorzio
rappresentava "uno dei possibili strumenti a disposizione degli enti locali per la gestione
associata di uno o pi servizi pubblici quale che sia la natura degli stessi". Se ne era dedotto
che l'attivit dei Consorzi poteva "differenziarsi secondo che riguardi lo svolgimento d
funzioni e servizi sociali, ovvero di rilevanza economica ed imprenditoriale".
Tale conclusione, anticipata dalla giurisprudenza, stata, per cosi dire, ribadita dal legislatore
che ha, infatti, previsto che gli enti locali possono costituire Consorzi sia per l' "esercizio di
funzioni", che per la gestione di "servizi sociali" e di servizi "aventi rilevanza economica ed
imprenditoriale", stabilendo, nel contempo, che a questi ultimi e - se previsto nello statuto - a
quelli costituiti per la gestione di servizi sociali, si applicano le norme previste per le aziende
speciali. Ora, a seguito delle modifiche intercorse attraverso lapprovazione dellart. 35 della
Legge Finanziaria 2002 la forma di gestione tramite Consorzio Azienda disciplinata dalla
norme relative allazienda speciale ed riservata ai servizi pubblici non aventi rilevanza
industriale e quindi disciplinati allart. 113 bis del TUEL.
Questa forma di gestione associata, anche se con modalit diverse e con differenti approcci ai
servizi, gi abbastanza sperimentata con riferimento a realt territoriali e bacini di utenza
molto ampi e con la caratteristica soprattutto di centri-rete o centri servizi (per la cultura e il
turismo). I vantaggi in termini di efficacia ed economicit dei servizi possono essere elevati,
perch vi la possibilit di portare la cooperazione a livello di gestione aziendale, ci che
pu permettere di spaziare oltre il livello base di servizi per fornire anche servizi diversi di
pubblica utilit e garantire fonti di risorse finanziarie.
Per quanto esposto, tre paiono gli elementi critici di osservazione: (a) il Piano-Programma
che di fatto deve comprendere (b) un contratto di servizio (convenzione) che disciplina i
rapporti tra il singolo Ente locale ed il Consorzio e lo statuto (c) che, redatto in conformit

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alla convenzione, dovr riportare indicazioni in materia di nomina, funzioni, e
organizzazione degli organi consortili.

4.3. Le convenzioni (art.30 TUEL)


Questo strumento, al pari dei consorzi, pu essere annoverato tra i fenomeni associativi su
base contrattuale, poich vi si ritrovano alcuni degli elementi normalmente considerati
essenziali del fatto associativo quali la comunanza di attivit e la prefigurazione di un dato
risultato. Inoltre, il TUEL prevede la forma pattizia per quasi tutti i fenomeni associativi tra
Enti locali (anche latto costitutivo di un consorzio assume sempre la forma di una
convenzione). Ci trova conferma nel fatto che le convenzioni sono senza dubbio
assoggettate alla disciplina che regola le obbligazioni e i contratti.
In ogni caso, si deve considerare che, dal punto di vista meramente tipologico, le convenzioni
rappresentano il vincolo associativo pi tenue che due o pi Enti locali possano costituire tra
di loro, tanto che una convenzione pu anche non avere alcuna rilevanza esterna dal punto di
vista strutturale.
Una convenzione avente ad oggetto la gestione di soli servizi pubblici (e non anche di
funzioni) pu, in effetti, essere vista come mera estensione territoriale dellattivit di
unazienda di servizi di un certo Ente. Si tratta quindi di accordi aventi lo scopo di
organizzare e gestire in comune determinate funzioni e servizi, anche al fine di massimizzare
economie di scala o di scopo.
Quanto al contenuto, il comma 2 dellarticolo 30 in esame stabilisce che le convenzioni
debbano necessariamente indicare i fini, la durata, le forme di consultazione degli enti
contraenti nonch i reciproci obblighi e garanzie che devono intercorrere tra questi, oltre alle
modalit di assetto dei rapporti finanziari. Alla luce di quanto disposto dallart. 1418, co.3,
c.c. si ritiene che gli elementi indicati devono essere presenti a pena di nullit della
convenzione.

4.4. Le aziende speciali e le istituzioni (art.114 TUEL)


Le due unit organizzative considerate, che in prima istanza possono apparire simili,
presentano in realt alcune rilevanti differenze.
Se da un lato vero, infatti, che il legislatore delinea una disciplina pressoch comune quanto
alla struttura interna e ai rapporti con lEnte locale di riferimento (soprattutto per ci che
attiene al potere direttivo), altrettanto vero che i due istituti sono volti a soddisfare esigenze
profondamente diverse tra di loro e ci si riflette su non poche caratteristiche della
regolamentazione.
LAzienda speciale, infatti, definita come ente strumentale dellEnte locale dotato di
personalit giuridica, di autonomia imprenditoriale e di un proprio statuto, un vero e
proprio ente pubblico economico organizzato in forma imprenditoriale e, come tale, soggetto
alla disciplina civilistica dimpresa. La sua adozione , nella prassi, spesso ritenuta idonea
alla gestione di una pluralit di servizi pubblici anche di impresa.
Il perseguimento degli obiettivi di efficacia, efficienza ed economicit, indicati
nominativamente dal comma 4 dellart.114, rimesso allautonomia operativa e gestionale
dellazienda che, tuttavia, deve agire nellambito degli indirizzi fissati dallEnte locale, con
cui si instaura un rapporto di strumentalit basato sullattuazione delle linee programmatiche
utili allottimale erogazione del servizio pubblico.
Ci vuol dire che lEnte locale si limita al conferimento dei mezzi e delle risorse necessarie,
anche provvedendo a coprire gli eventuali costi sociali, ma lobbligo del pareggio di bilancio
e il concreto soddisfacimento dellinteresse pubblico spettano allazienda, la cui azione sar
autonoma e diretta. Data la natura imprenditoriale dellazienda in esame, il suo rapporto con
lEnte locale viene regolato per il tramite di apposito contratto di servizio nel quale

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dovrebbero essere regolate le dimensioni fondamentali di natura amministrativa, finanziaria e
commerciale.
LIstituzione, invece, pur condividendo numerosi tratti del modello azienda speciale,
caratterizzata da una pi accentuata strumentalit nei confronti dellEnte locale, essendo
prevista come forma di gestione organizzata per la cura e lesercizio dei soli servizi sociali
privi di rilevanza industriale e a carattere tipicamente erogativo in cui non necessariamente si
presenta un margine di profittabilit2.
In ogni caso, proprio a causa della finalizzazione considerata che listituzione, pur essendo
dotata di autonomia gestionale, non gode di personalit giuridica, n di autonomia
imprenditoriale. Inoltre, sia lerogazione del capitale necessario per lattivit dellistituzione,
sia il suo ordinamento e funzionamento competono esclusivamente allEnte locale che li
disciplina mediante lo statuto e appositi atti regolamentari3.
In conclusione, listituzione, pur consentendo di mantenere un collegamento diretto e
strutturale con lEnte locale, presenta (almeno in potenza) una scarsa sensibilit al
cambiamento ed uno scarso orientamento allimplementazione di progetti di sviluppo e di
azioni di autofinanziamento. Listituto in questione, infatti, non dotato di un patrimonio
autonomo. Da ultimo, presenta linconveniente di essere strutturalmente poco aperta
allesterno (siano essi privati o enti pubblici). E questo un limite proprio anche dellazienda
speciale a meno che a tal fine non sia trasformata in societ di capitali o azienda consortile.
Volendo schematizzare, quindi, le principali differenze tra listituzione e lazienda speciale
sono che, a differenza della prima, la seconda:
dotata di personalit giuridica e di autonomia patrimoniale ed imprenditoriale;
ha un proprio organo di revisione e forme autonome di verifica della gestione;
dotata di proprio personale a cui si applica pienamente limpianto normativo del lavoro
privato.
Rispetto allistituzione, quindi, lazienda gode di maggiore indipendenza gestionale e di
maggiore flessibilit organizzativa, nonostante la sottoposizione, al pari dellistituzione, agli
indirizzi generali dellEnte locale di riferimento.

4.5. Le societ di capitali costituite dagli Enti locali


Le societ di capitale, oggi a totale capitale pubblico4, costituiscono uno strumento
attraverso il quale lEnte locale tende a perseguire un obiettivo di redditivit di impresa. La
migliore qualit del servizio resa possibile dalle risorse finanziarie e dalle conoscenze
tecniche e organizzative dellimpresa privata, nonch dalla snellezza e funzionalit tipiche
dello strumento privatistico.
La possibilit di convivenza allinterno dellazienda di pi soci, rende particolarmente
delicata la stesura dei cos detti patti parasociali, dedicata generalmente alla regolazioni di
variabili di gestione fondamentali quali ad esempio regole di funzionamento degli organi e
modalit di decisione e di governo.

2
Ci non vuol dire che listituzione non possa essere utilizzata anche nel caso dei servizi culturali. Lart. 128
del d.lgs. n.112/98, infatti, ha specificato che con lespressione servizi sociali si devono intendere tutte quelle
attivit destinate a rimuovere o superare le situazioni di bisogno e di difficolt che la persona umana incontra
nella sua vita. Questo concetto pu, quindi, essere inteso in senso ampio, tanto da ricomprendervi anche i
servizi volti ad assicurare il benessere culturale quale il caso delle prestazioni erogate da teatri, musei o
pinacoteche.
3
LEnte locale dovr, quindi, conferire il capitale di dotazione e successivamente approvare programmi, bilanci
e conti consuntivi.
4
Le societ miste pubblico-private sono state recentemente abrogate dallallegato alla legge finanziaria per il
2004 che ammette la sola possibilit della societ totalitaria pubblica

10
4.6. Le associazioni e le fondazioni costituite o partecipate dallEnte locale (art.113 bis
TUEL)
Si ritiene, innanzitutto opportuno rammentare sommariamente la differenza tra
unassociazione e una fondazione.
Nel primo caso si in presenza di una persona giuridica privata costituita da un insieme di
soggetti che si riuniscono per perseguire un preciso scopo statutario, ma che possono poi nel
corso della vita dellente apportare modifiche allattivit e ai fini dellente medesimo. In
particolare, i vari soci esprimeranno il loro voto in assemblea (ogni socio un voto) trattandosi
di un ente strutturato secondo una logica democratica. Alla base di detta forma giuridica, v
un contratto associativo aperto allentrata successiva di nuovi soci rispetto a coloro che
lhanno fondata. Le fonti di finanziamento di detti istituti sostanzialmente riconducibile ad
entrate da proventi istituzionali, e quindi non fiscalmente imponibili, ed entrate di natura
strettamente commerciale.
Nel caso della fondazione si crea, invece, una persona giuridica privata costituita da un
patrimonio vincolato in modo pi rigido al perseguimento dello scopo statutario per tutta la
sua durata (la prassi conosce ipotesi di modifica dello scopo della fondazione a determinate
condizioni) e che comunque , almeno formalmente, distinta dalle persone (fisiche e
giuridiche) che lhanno costituita, senza che peraltro questo impedisca di prevedere, nello
statuto, forme precise di elezione degli organi tali da garantire la rappresentanza dei vari
fondatori. La fondazione non strutturata in modo democratico come lassociazione, manca
lorgano assembleare e le decisioni circa lattivit e gli indirizzi della fondazione sono
assunte dal Consiglio di Amministrazione o dal Consiglio direttivo (in caso di adozione del
modello di governo duale tipico delle fondazioni di origine bancaria). Gli organi e
lordinamento interno vengono predefiniti dal fondatore nel relativo negozio costitutivo che,
tra laltro, si caratterizza per essere (a differenza di quanto visto nel caso dellassociazione)
di tipo chiuso.
Dal punto di vista delle fonti di finanziamento, la fondazione si caratterizza generalmente per
una propria sorgente di reddito derivante dal patrimonio. Sotto il profilo fiscale, essa
considerata, ente commerciale o non, a seconda della prevalenza o meno di entrare di attivit
di natura commerciale rispetto a quelle di natura istituzionale.

5. Elementi di innovazione giuridico istituzionale della fondazione di


partecipazione (focus) 5

Pur rinviando ad altre sedi le considerazioni di natura strettamente giuridica, importante qui
sottolineare come le nuove fondazioni museali (sia quelle ministeriali che quelle costituite o
partecipate dagli enti locali) si differenzino profondamente dalle fondazioni tradizionali cos
come sopra descritte.
In particolare, la fondazione di partecipazione assomma alle prerogative della fondazione
classica quelle dellassociazione, cos come definite dal codice civile. Cercando una
equilibrata fusione e sintesi dellelemento personale delle associazioni e dellelemento
patrimoniale delle fondazioni, questo istituto risponde alla esigenza di essere vivai di idee e
iniziative (caratteristica propria dellassociazionismo), pur garantendo una certa stabilit

5
Vengono qui sintetizzate alcune delle considerazioni gi in altre occasioni affrontate (A. Hinna, Le Fondazioni
museali: complessit organizzativa e ambiti di applicazione, In AA.VV., Lazienda museo: dalla conservazione
del valore alla creazione dei valori, Franco Angeli, Milano (in corso di pubblicazione).

11
dellorganizzazione nel tempo. Listituto fondazionale che ne deriva si caratterizza (tra laltro)
in quanto:
 costituito da patrimonio di destinazione a struttura aperta;
 lAtto Costitutivo un contratto plurilaterale con comunione di scopo che pu ricevere
ladesione di altre parti oltre quelle originarie, ai sensi dellart. 1332 del c.c.;
 la struttura aperta consente la variazione del numero dei contraenti senza rendere
necessaria la modifica della struttura del contratto;
 possono fare parte di una Fondazione di Partecipazione Stato, Regioni, enti pubblici e
privati, con il diritto di nominare i loro rappresentanti nel Consiglio di
Amministrazione, secondo le indicazioni dello statuto redatto nel momento
costitutivo;
 lingresso di nuove parti garantito dalla clausola di adesione, o apertura, la quale pu
implicare il controllo di determinate condizioni di ammissibilit (ovviamente prima
determinate nel contratto);
 allattivit della Fondazione possono aderire altri soggetti in qualit di Partecipanti, in
quanto contribuiscono in modo determinante alla sopravvivenza dellEnte mediante il
versamento di somme di denaro, prestazioni di lavoro volontario o attraverso la
donazione di beni materiali e immateriali;
 attraverso una definita composizione di Organi viene garantita la proporzionalit tra
tipologia di contributo e partecipazione allattivit.
Rispetto al modello di fondazione tradizionale, gli elementi appena ricordati determinano
quindi:
un maggior numero di attori che, direttamente o indirettamente, partecipano
allattivit delle fondazioni ed un maggior grado di eterogeneit delle ricompense che
detti soggetti dovrebbero ottenere dalla loro partecipazione alla Fondazione;
una diversa composizione delle fonti di finanziamento da cui lazienda fondazione
trae le proprie risorse e, quindi, una diversa tipologia di contributi che i singoli
soggetti dovrebbero apportare alla stessa.

5.1 Le dimensioni di complessit economica ed organizzativa


Tutto quanto detto comporta, sotto il profilo finanziario ed economico, alcune caratteristiche
assolutamente peculiari delle nuove fondazioni di partecipazione. In particolare, il fatto che il
fondatore (pubblico) non conferisca in sede di costituzione un patrimonio congruo a fornire
una rendita finanziaria adeguata al perseguimento dello scopo istituzionale, ma piuttosto
conferisca (spesso in uso e non in propriet) i beni culturali che ha in consegna, porta alla
costituzione di fondazioni con patrimoni la cui progressiva formazione funzione,
contemporaneamente o alternativamente, di: finanziamenti pubblici, finanziamenti o
donazioni private, entrate derivanti dallo svolgimento delle attivit svolte con e per i beni a
essa conferiti in concessione duso.
Pertanto, la nascente fondazione, si caratterizzer (distinguendosi da una fondazione
tradizionale) per:
un ridimensionamento dellimportanza dello stock di patrimonio iniziale, in quanto ci
che pi rilever in fase di costituzione non sar la consistenza iniziale del patrimonio ma,
ad esempio, lidea progettuale o le variabili di contesto, ovvero le condizioni effettive
perch questo possa realisticamente crescere nel tempo;
un nuovo rapporto tra patrimonio disponibile e obiettivi perseguiti, in quanto nel caso
della fondazione di partecipazione caratterizzata inevitabilmente da un patrimonio a
formazione progressiva questi si pongono in una dinamica tipica dellazienda di
produzione e, quindi, inversa al caso classico di fondazione: patrimonio e obiettivi si
porranno in questa sede in un rapporto di interdipendenza reciproca, dove le possibilit di
crescita del patrimonio saranno inevitabilmente legate alla capacit del management di

12
realizzare gli obiettivi, i quali pur nel rispetto di quanto statutariamente fissato come
scopo della fondazione potranno dimostrarsi sempre pi ambiziosi in linea con il
progressivo crescere della consistenza patrimoniale;
una nuova attivit di gestione caratteristica, in quanto alla gestione del patrimonio
tipica di una fondazione classica, dovr aggiungersi, almeno in una fase iniziale del ciclo
di vita dellazienda, unattivit di pianificazione strategica della raccolta fondi;
una nuova e pi forte attenzione allefficacia della propria attivit, in quanto, come
conseguenza del punto appena espresso, la significativit del ruolo da essa svolto sar
condizione necessaria alla sopravvivenza dellistituto;
una nuova logica di responsabilizzazione dei soci, in quanto questa non sar pi di tipo
patrimonialistico, e quindi sul conferimento iniziale, ma di tipo continuativo sulla
dinamica della gestione corrente.

Gli elementi e le relazioni sinora individuati. mettono in luce limportanza di competenze


tecniche e manageriali come condizioni fondamentali e contributo critico allequilibrio
istituzionale delle nuove fondazioni museali. Rispetto al modello fondazionale classico,
quindi, ci si traduce in una nuova (e/o diversa) natura dei compiti e in un maggior livello di
risultati richiesti, con importanti conseguenze sul piano della complessit organizzativa.
Pi in particolare, partendo dallipotesi che il livello di complessit organizzativa di un
istituto fondazionale sia funzione (a) della tipologia di assetto istituzionale adottato, (b) della
composizione delle fonti di finanziamento e, infine, (c) della tecniche adottate, le fondazioni
di partecipazione museali possono essere inserite tra le tipologie fondazionali a maggior grado
di complessit organizzativa (fig.1). Queste le principali motivazioni:
1. sotto il profilo istituzionale, le regolamentazioni di settore e la conseguente dinamica-
trasformazione delle possibili combinazioni soggetti-contributi-ricompense incide sia
sulla dimensione quantitativa dei compiti da esse svolte, sia sulla pressione sui risultati
che, data la natura e leterogeneit degli interessi (politici ed economici) messi in campo,
non pu che vedersi incrementata;
2. sotto il profilo delle fonti di finanziamento, la necessit di dedicarsi al reperimento di
risorse o allimplementazione di attivit di tipo economico implica un aumento del
numero degli elementi da considerare nellassunzione delle decisioni: le fondazioni
donative raramente hanno la possibilit di prevedere e standardizzare i flussi finanziari in
entrata, elemento centrale per la determinazione degli obiettivi perseguibili; i processi
decisionali sono spesso caratterizzati da unincessante negoziazione tra obiettivi
istituzionali perseguiti e bisogni percepiti e (quindi) vincenti sotto il profilo del funding;
alla gestione della raccolta fondi, inoltre, sono necessariamente dedicate risorse e
competenze specifiche con importanti conseguenze sul livello di specializzazione e
divisione del lavoro;
3. dal punto di vista della tecniche, infine, il fatto di essere fondazioni operative, implica (a
differenza di quanto accade per le granting foundation) la gestione diretta delle attivit
istituzionali, producendo direttamente beni e servizi di utilit collettiva - anche attraverso
la realizzazione interna di interi processi di produzione di beni e servizi con importanti
ripercussioni sia sul profilo di incertezza dei compiti, sia sulla dimensione quantitativa
degli stessi.

13
Fig. 1 Le dimensioni di complessit organizzativa di una fondazione

Nuova fondazione
di partecipazione

Ass. istituz. Ass. istituz.


semplice composto
granting
strategic giving
operating
di supporto
non donative donative

A conclusione dellanalisi fin qui svolta, vale forse la pena sottolineare come le fondazioni
museali oggetto del dibattito non hanno nulla a che fare con le fondazioni museali americane
ad esse spesso assimilate. Questultime, infatti, sono fondazioni tradizionali di diritto privato
e, quindi, (a) istituzioni private, (b) che gestiscono musei quasi sempre privati, (c) la cui fonte
principale di entrata data dai proventi da investimento del patrimonio finanziario di
dotazione e (d) dal mercato delle donazioni private. Le nuove fondazioni museali italiane,
invece, saranno (a) istituti privati, (b) che gestiscono musei pubblici, (c) non dotati di un
patrimonio finanziario di partenza, n (d) di un mercato consolidato di donazioni.
Sono differenze queste forse scontate, ma che spesso non sembrano tenute nella dovuta
considerazione da alcuni fautori del modello americano, e che definiscono in maniera chiara
lapprodo ad una diversa tipicizzazione istituzionale: le fondazioni museali italiane cos
descritte, infatti, verrebbero a costituirsi come fondazioni di gestione, intendendo come tali,
appunto, istituzioni formalmente riconosciute come fondazione, il cui scopo e le cui risorse
finanziarie non sono principalmente derivanti dagli investimenti patrimoniali (e quindi
strettamente correlati alla dimensione di detto patrimonio), ma si compongono attraverso la
dinamica dei risultati di esercizio e delle politiche di fund raising.
Dal punto di vista dei policy makers (Ente locale) ci ha significato in quanto:
la fondazione deve essere pensata in funzione di un patto strategico dal quale siano
derivabili gli elementi di tenuta della gestione corrente e copertura delleventuale
sbilancio di esercizio della costituenda fondazione;
divengono variabili fondamentali di analisi i risultati di esercizio e di fund raising attesi,
nonch la disponibilit nel tempo ad integrazioni e contributi (dei fondatori) in conto
esercizio (documenti fondamentali: contratto di servizio, business plan);
la fondazione , sotto il profilo manageriale, sostanzialmente assimilabile ad una tipica
azienda di servizi, salvo il fatto che essa pu (ove riesca!) ad attivare una fonte di
finanziamento aggiuntiva derivante dalle politiche di fund raising messe in atto;
ci che distanzia la fondazione di partecipazione dallazienda o societ di gestione
essenzialmente il senso dellistituto fondazionale, contraddistinto da scopo
esclusivamente altruistico e non di lucro.

14
6. Legittimit e rilevanza di una logica di analisi processuale

Lanalisi sinora svolta ha posto dunque levidenza sullimportanza di considerare tutte le


caratteristiche di una forma giuridica, in questo caso la fondazione di partecipazione, per
valutarne le relative potenzialit ed eventuali criticit in funzione del suo utilizzo per la
gestione dellistituzione o sistema museale che sintende creare e sviluppare. Pertanto
legittimo parlare di un problema di coerenza tra modello giuridico, configurazione
organizzativa e progetto istituzionale che ci si propone di realizzare. Di qui lopportunit di
una analisi per gradi che lasci precedere la definizione del progetto istituzionale alla scelta
ragionata dellassetto istituzionale dellazienda da costituirsi. Ci al fine di evitare il rischio
- la prassi lo ha pi volte dimostrato - di incardinare il progetto istituzionale allinterno di un
sistema di regole (per altro auto dichiarate) che ne potrebbero mortificare le potenzialit di
sviluppo.
Se ci vero in una generica logica di start up di impresa, lo certamente di pi qualora
loggetto di analisi ed avvio sia una istituzione museale pubblica. Queste, infatti, sono
istituzioni complesse che hanno scopi, funzioni e ruoli diversi da soddisfare. In particolare, la
natura pubblica del servizio erogato fa s che la sua efficacia sia data dalla contemporanea:
- percezione della creazione di valore pubblico,
- sostenibilit operativa ed amministrativa,
- legittimazione e sostegno presso lambiente di riferimento.
Tutto ci premesso, viene quindi di seguito sinteticamente riportato uno schema processuale
di analisi e definizione del progetto istituzionale. Coerentemente alla sede in cui il lavoro
viene presentato, infine, le argomentazioni vengono proposte non come punti fermi o tesi
comprovate, ma come primi suggerimenti derivabili da studi specifici di settore ed esperienze
dirette di assistenza. Detto processo si compone di 7 macro steps (fig.2) luno allaltro
interdipendenti in forma sequenziale () ed alle volte reciproca ().

Fig.2 Il processo di analisi e definizione del progetto istituzionale

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15
Step 1 Definizione della missione
Considerata la molteplicit degli obiettivi e degli interessi da soddisfare, la prima sfida che
lEnte locale si trova a dover fronteggiare certamente quella di individuare lidentit della
costituenda istituzione attraverso la esplicitazione della missione, ovvero la dichiarazione di
idee, valori e atteggiamenti entro i quali poi orientare la strategia e lazione organizzativa
(fig.3).
Da essa dovrebbe derivarsi:
- lutilit sociale perseguita, attraverso lesplicitazione delle dimensioni di attivit
fondamentali perseguite (ricerca, istruzione, intrattenimento, conservazione);
- il peso e limportanza del risultato reddituale (massimizzazione dei ricavi, intera copertura
dei costi, recupero parziale dei costi);
- il ruolo che listituzione dovr rivestire nello sviluppo economico locale (connessione tra
politiche culturali e turistiche, attivazione di progetti integrati in termini territoriali e,
quindi, integrazione di pi filiere produttive quali, ad esempio, turismo, artigianato,
ricerca applicata, formazione, etc..).
A seconda dellenfasi posta su ciascuna delle tre dimensioni indicate, si avranno quindi i
primi indirizzi importanti per la formulazione della strategia e degli obiettivi del progetto
istituzionale, oltre che alcune prime informazioni circa la forma giuridica pi coerente al tipo
di traguardi identificati (si veda in proposito Step 9).

Fig. 3. Contenuti e dimensioni fondamentali del processo di esplicitazione della missione


istituzionale

Campo di Orizzonte
attivit temporale

Peso e significato del


risultato reddituale

Missione
istituzionale

Ruolo nello Utilit sociale


sviluppo perseguita
economico locale

Sviluppo qualitativo Crescita dimensionale


perseguito perseguita

Fonte: Basato su Contenuti dellorientamento strategico di fondo dellimpresa, in Airoldi, Brunetti, Coda,
Lezioni di economia aziendale, pag. 313

16
Va da s che man mano che lanalisi approfondisce, contestualizza e identifica strategie ed
obiettivi operativi, la missione potr essere in parte rivisitata.

Step 2: Definizione della strategia


Ad un livello gerarchicamente inferiore, e quindi in una seconda fase di analisi, si collocano
le strategie attraverso le quali detta missione intende essere realizzata. Operando un distinguo
tra strategia e pianificazione , con la prima intendiamo qui riferirci non ad un programma
dettagliato, ma ad un tema unificatore che ha lo scopo di conferire coerenza ed unicit di
direzione alle decisione ed alle attivit dei singoli, fissando gli obiettivi dellorganizzazione.
E qui che prende forma il progetto istituzionale che - in prima battuta dovr
necessariamente risultare da un percorso di analisi della situazione, generazione delle
alternative strategiche, di valutazione delle stesse e di scelta. In particolare, data la natura
delle istituzioni in esame, sar in questo caso quanto mai opportuno lavvio di un processo
conoscitivo e decisionale che, partendo dal framework costituito nella dichiarazione della
missione, proceda attraverso unanalisi interna ed esterna che aiuti a:
declinare in obiettivi rilevanti, i traguardi (macro) indicati dalla mission. Ci per precisare
nello specifico ci che lAmministrazione vuole fare;
valutare i punti di forza e debolezza delle risorse (materiali ed immateriali) esistenti e
dedicabili alla costituenda istituzione, cercando di definire un strategia che sfrutti le
risorse e le competenze pi significative a disposizione (approccio resource based
Grant, 1999) cos da meglio comprendere cosa, allo stato dellarte, si pu fare;
identificare degli spazi possibili di intervento, attraverso unanalisi dei mercati potenziali
scelti dalla missione e, quindi, della concorrenza (generica o specifica) con la quale
confrontarsi. Ci per meglio comprendere ci che si potrebbe fare;
conoscere le aspettative e le preferenze degli stakeholders, siano essi visitatori,
finanziatori o, pi in generale, residenti della comunit locale in cui listituzione sar
attiva. Ci per meglio comprendere cosa la costituenda istituzione dovrebbe fare..

Fig. 4. Il processo di definizione del progetto culturale

V a lu t a z io n e d e i p u n t i
I d e n t i f i c a z i o n e d e g li
fo r t i/ p u n t i d e b o l i
s p a z i n o rm a t iv i
d e l p ro g e t to d i s is t e m a

(3 ) (2 )
C o s a p o treb b e far e C o s a p u fa r e

A n a l i s i d e l la A n a l i s i d e l la
s i t u a z io n e S t ra t e g ia s i t u a z io n e
e s te rn a di base in t e rn a

C o s a d o v re b b e fa r e C o s a v u o le fa r e

(4 ) (1 )
D e fin iz io n e
A n a li s i e d e fi n i z io n e
o b ie t t iv i d i s is te m a
d e i b is o g n i
( d ic h ia ra t i o a t t e s i
C iv ic i e s o c ia li
d a l l e n t e l o c a l e )

Fonte: Basato su Contenuti cognitivi del processo di formulazione della strategia, in Airoldi, Brunetti, Coda,
Lezioni di economia aziendale, pag. 514.

17
Unanalisi cos strutturata per la formulazione strategica dovr esse finalizzata si badi - non
tanto a fornire obiettivi e soluzioni statiche e certe, ma a meglio identificare, comprendere e
classificare i principali fattori che influenzano le decisione strategiche che, nel tempo,
verranno formulate e riformulate in funzione delle decisioni che gli individui partecipi
dellistituzione attueranno. Pertanto, tenendo fortemente in considerazione i limiti (ormai in
letteratura ampiamente argomentati) di un approccio freddo e razionalista, il processo di
formulazione strategica cos come sopra inteso, rappresenter un quadro - n alternativo n
sostitutivo dellesperienza e della creativit dei singoli partecipi della direzione della
costituenda istituzione per stimolare ed orientare creativit ed innovazione
dellorganizzazione.
In altri termini, lo sviluppo di una missione chiara (step. 1) ed adeguata ad un insieme di
obiettivi traguardabili (step 2), serve ad impedire allorganizzazione di avviarsi verso un
futuro incerto. Ci non toglie, ovviamente, che nel tempo il management non possa trovare
detti traguardi inadeguati ai mutamenti dellambiente di riferimento o alle capacit
organizzative del museo.

Step 3: Analisi e definizione dellassetto di governance


Al proposito, con specifico riferimento alla gestione e valorizzazione del patrimonio culturale,
modelli di gestione partecipata sono ormai avviati da diversi anni, pur assumendo forme e
denominazioni diverse in funzione della frequenza, densit, tipologia ed organizzazioni delle
relazioni dei soggetti che le costituiscono. Si parla, non a caso, di reti, sistemi, poli museali e,
pi recentemente, distretti culturali, questi ultimi intesi come sistema territorialmente
delimitato di relazioni che integra il processo di valorizzazione delle dotazioni culturali, sia
materiali che immateriali, con le infrastrutture e con gli altri settori produttivi che a quel
processo sono connesse.
Ci premesso, si tratta in questa fase di verificare lopportunit di procedere nelluno o
nellaltra direzione.
A tale scopo potranno essere analizzati (cfr. par.7):
le interdipendenze operative (attivabili o attivate) tra le istituzioni potenzialmente
partecipi
la struttura degli interessi coinvolti (Moretti, Bonel, 2003)
il grado di complessit, intensit e frequenza delle relazioni instaurabili tra soggetti
coinvolti o da coinvolgere (Grandori, 1999)
Ci al fine, anche, di ricavare informazioni utili nel definire la configurazione
interorganizzativa ed il set di meccanismi di coordinamento funzionali alla gestione dei
sistema (Step 6).

Step 4: Analisi e definizione dellassetto finanziario atteso


Sulla base della strategia e degli obiettivi dichiarati viene ad innestarsi lanalisi di sostenibilit
finanziaria, volta a dimostrare la fondatezza delle ipotesi di copertura degli esborsi
finanziari necessari allattuazione e alla gestione del progetto.
Lanalisi finanziaria in questo senso scomponibile in due (sotto) fasi distinte e sequenziali:
a) verifica delle condizioni di equilibrio finanziario del progetto, con riferimento ad ipotesi di
copertura sia dei costi di gestione corrente che dellinvestimento iniziale;
b) a seconda dei risultati ottenuti, individuazione di unipotesi di piano di finanziamento
esterno delliniziativa (piano di fund raising). A questo ultimo proposito, potranno in
particolare essere valutate fonti di finanziamento quali:
- risorse reperite dalloperatore pubblico sul mercato privato dei capitali: in questo caso, in
realt, si tratta di risorse che dovranno essere restituite, opportunamente maggiorate di un
saggio di remunerazione che renda interessante loperazione per i privati coinvolti, il che
presuppone una evidente redditivit delliniziativa, almeno sotto il profilo dellequilibrio

18
gestionale. Rientra in questa tipologia anche la predisposizione di forme di intervento
pubblico-private, del tipo project financing, leasing finanziario o operativo, fondi di
investimento darte, etc...;
- risorse finanziarie provenienti dalla programmazione co-finanziata con i Fondi strutturali
dellUnione Europea,
- finanziamenti privati comprendenti sia finanziamenti da aziende profit, sia da aziende non
profit, sia donazioni o quote associative versate da singoli individui. Per valutare la reale
possibilit di attivazione di finanziamenti privati, potrebbe essere necessario non limitarsi
esclusivamente ad una analisi di tipo desk (segmentazione stakeholders, analisi delle
risorse del territorio, etc..) ma procedere altres a verificare la reale capacit di funding
attraverso incontri o focus group con determinate categorie di stakeholders.
I risultati complessivi di tale analisi, condurranno alla definizione del Piano di finanziamento
necessario allattuazione del progetto.
Questultimo tra laltro potr essere reso oggetto integrante della Convenzione o Contratto
di Servizio tra la nascente istituzione e gli Enti pubblici di riferimento.
Il mix delle tipologie di entrate previste, rappresenta un secondo elemento importante (il
primo, come anticipato, la natura della missione) per la scelta della figura giuridica ad essa
pi coerente. Basti pensare alle maggiori potenzialit di fund raising permesse dalla scelta di
una forma giuridica non profit (legate anche ad elementi di natura fiscale) o alla possibilit di
coinvolgere privati (con interessi commerciali) in societ di capitale, qualora il mix di servizi
e attivit previste si dimostri potenzialmente remunerativo.

Step. 5 : Scelta della forma giuridica


A questo punto, avendo individuato i nuclei informativi fondamentali del progetto
istituzionale, dovrebbero esistere gli input fondamentali per una scelta ragionata della forma
giuridica della costituenda istituzione.
In particolare, il processo decisionale che dovrebbe condurre alla scelta di dette forme di
gestione potrebbe articolarsi in tre (sotto) fasi6:

a) Definizione del grado di legittimazione giuridica del progetto istituzionale


Si ritiene che condizione propedeutica alla definizione della modalit gestionale sia la scelta
tra due distinti approcci, uno che presuppone e preserva la distinzione degli enti e della
propriet dei beni coinvolti nella costruzione della rete e laltro che, invece, attribuisce al
sistema una propria distinta capacit giuridica operando una vera e propria personificazione,
ovvero creazione di uno o pi soggetti che godano della legittimazione giuridica per adottare
una o pi attivit in luogo e per conto degli enti pubblici di riferimento.
In altre parole, in primo luogo occorre decidere, sulla base degli elementi costitutivi del
progetto istituzionale cos come sopra inteso, se il soggetto o i soggetti pubblici ad esso
partecipanti intendono o meno spogliarsi delle proprie funzioni e trasferirle alla costituenda
istituzione, perdendo cos parte della loro potest. Qualora la scelta ricada sul primo dei due
approcci prospettati, sembrerebbero preferibili opzioni semplici e immediate, quali
listituzione nel caso del singolo ente locale, o forme associative, del tipo convenzione,
qualora si tratti di pi enti locali. Ci aiuterebbe a conseguire importanti vantaggi sul piano
della semplicit delladozione e su quello della stabilit e univocit dei poteri e delle scelte
gestionali. La gestione della rete (tra pi Enti) mediante convenzione, ad esempio, non altera
(come si visto) n le competenze degli enti interessati, n il regime giuridico dei beni che ne
sono oggetto, poich, appunto, si basa sulla volont di ciascun soggetto convenzionato di dare

6
In questa parte del documento, pi che punti fermi sulla migliore forma di organizzazione dei servizi culturali,
si intendono offrire spunti di riflessione circa la ottimizzazione degli spazi normativi e dei conseguenti
strumenti di ingegneria istituzionale.

19
esecuzione allaccordo nel modo migliore. Questa soluzione, tuttavia, lo si segnala per
completezza di esposizione, pone diversi problemi sotto il profilo della difficolt di garantire
la coercibilit esecutiva dellintesa pattizia.

b) Definizione della tipologia aziendale della nuova forma di gestione


Diversamente, se il progetto istituzionale suggerisce di ricorrere a forme di gestione pi
strutturate, prima ancora della identificazione della singola tipologia, andr individuato, in
funzione della missione, degli obiettivi dichiarati e, quindi, del mix di risorse finanziarie che
si intendono attivare, il settore di appartenenza della costituenda organizzazione. Come si
visto, infatti, il quadro normativo attuale lascia libera la scelta tra e allinterno dei settori
pubblico, privato o non profit. Appare tuttavia chiaro che la identificazione del settore non
pu essere casuale, ma deve necessariamente rispondere a precise caratteristiche economiche,
politiche e sociali evidenziate dal progetto istituzionale. In particolare, dietro la scelta delluna
o dellaltra tipologia possono, in linea di massima, intravedersi criteri di scelta oggettivi che
portano ad accostare:
la scelta di unazienda pubblica ad una logica di tipo garantista che, nella massima
tutela dellinteresse collettivo, ha come prioritario il mantenimento del controllo da parte
dellente sullorganizzazione, minimizzandone - ovviamente - lautonomia gestionale;
quella di una azienda non profit ad un logica di tipo contrattuale che, pur garantendo il
controllo dellente locale sullorganizzazione, vuole dotare lazienda non profit di autonomia
e flessibilit organizzativa, sottostando al vincolo della massimizzazione dellimpatto sociale
(outcome) dei servizi erogati, nel rispetto dellequilibrio economico di bilancio;
quella di una impresa profit oriented ad una logica strettamente imprenditoriale che,
vada oltre il semplice rispetto dellequilibrio economico di bilancio, verso la redditivit
dellimpresa. Ci necessita di dare massima autonomia organizzativa e strategica allimpresa
erogatrice.

c) Definizione della forma giuridica (anche provvisoria)


Solo a questo punto, dunque, si passa alla scelta di una delle diverse forme giuridiche prima
descritte. In questa fase potrebbe essere valutata anche la possibilit di forme gestionali
provvisorie o intermedie (del tipo associazioni temporanee o consorzi di scopo) che, in
quanto contraddistinte da processi di costituzione particolarmente agili e strutture
organizzative leggere, possono rappresentare lo spazio organizzativo e istituzionale idoneo
allimplementazione e, quindi, consentire la migliore definizione del progetto culturale
prima di scegliere e costituire la definitiva forma di gestione del servizio.

Step 6. Definizione dellassetto organizzativo


E questo il momento in cui lanalisi deve andare oltre lo studio delle risorse esistenti o di
quelle mancanti, per definire quellassetto organizzativo capace, coerentemente agli obiettivi
dichiarati, di ospitarle e al meglio valorizzarle, in una logica di coerenza evolutiva delle
risorse (dynamic resource fit) dove la strategia non solo utilizza le risorse, ma
contemporaneamente le incrementa attraverso la creazione di capacit e di conoscenza
derivanti dallesperienza svolta. Progettare lassetto organizzativo, in altri termini, significa
definire il modo in cui le risorse precedentemente identificate e valutate - dovranno essere
combinate per lo sviluppo di capacit organizzative che rendano sostenibile il progetto
istituzionale. In questo senso, una variabile di input fondamentale diviene certamente il grado
di innovazione attesa. Pi esplicitamente, il gap tra processi e prodotti gi conosciuti o
implementati e processi e prodotti sottesi al nuovo progetto istituzionale, configureranno
istituzioni chiamate a realizzare forme di innovazione di tipo (Tuschman-Nadler, 1986, pp.79-
92):
incrementale, con laggiunta di limitate modifiche a processi o prodotti;

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sintetico, nel caso in cui si parli di nuove idee o tecnologie nei processi e o nella gamma
di servizi finora prodotti );
discontinuo, qualora si tratti di operare un vero e proprio salto tecnologico e culturale
nella gestione ed erogazione dei servizi.
Ovviamente, al crescere dellintensit dellinnovazione richiesta, sar necessario realizzare un
cambiamento organizzativo ed un patrimonio cognitivo profondamente diverso da quello
degli assetti organizzativi precedenti (Decastri, 1992, pag.30). Ecco allora che rispetto al tipo
di innovazione verranno differentemente interessati e definiti struttura organizzativa, sistemi
operativi di gestione, organizzazione e tecniche operative: la creativit, evidente, necessita
di un assetto organizzativo assai diverso da quello adottabile di fronte ad un obiettivo di
conseguimento di efficienza di costo (Tab.2).

Tab. 2 Elementi comparativi delle organizzazioni operative e di quelle innovative

Organizzazione Organizzazione innovativa


operativa
Struttura Burocratica; Organizzazione lineare senza
specializzazione del lavoro; controllo gerarchico
controllo gerarchico Gruppi di progetto orientati verso
compiti specifici
Processi Unit operative controllate e Processi orientati alla
coordinate dal top management generazione, selezione
che attua la programmazione sovvenzionamento e sviluppo delle
strategica, lallocazione del idee.
capitale e la pianificazione a Pianificazione strategica flessibile
livello operativo e controllo finanziario ed
operativo limitato
Sistemi di Incentivi finanziari, avanzamento Autonomia, riconoscimenti,
ricompensa gerarchico, potere e status symbol partecipazione azionarie in nuove
attivit
Persone Reclutamento e selezione basati Necessit di individui generatori
sulla necessit delle strutture di idee, in grado di associare le
organizzative di procurarsi conoscenze tecniche richieste con
competenze specifiche: specialisti la creativit personale. I manager
di funzione e del personale, devono agire da sponsor e da
general manager e operai organizzatori.
specializzati.
Fonte: R. M. Grant, Lanalisi strategica per le decisioni aziendali, pag. 355

In particolare, dato la natura delle istituzioni esaminate, le strutture organizzative dovranno


essere pensate in modo tale da eseguire le attivit consolidate in una logica di alta
professionalit ed efficienza economica, ed agevolare il cambiamento e linnovazione per il
futuro. Sono questi gli obiettivi che una singola struttura organizzativa ha difficolt a gestire e
che, quindi, paiono quasi sempre presupporre delle strutture di apprendimento parallele. Tali
potrebbero essere delle vere e proprie funzioni ricerche e sviluppo dotate di propria struttura
organizzativa, circoli di qualit, task forces di progetto. Tutto quanto detto, ovviamente,
chiama in causa una particolare combinazione dei ruoli e dei poteri allinterno
dellorganizzazione ed una particolare configurazione della conoscenza che definiranno il
modello di governance della nascente organizzazione, al quale lautonomia regolamentare
della costituenda istituzione dovr necessariamente riferirsi (cfr. Step 7).

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Step 7. Elaborazione del piano economico-finanziario ed analisi di sensibilit
In questa fase viene sviluppato il modello economico finanziario volto a validare i presupposti
di fattibilit del progetto. Sulla base del riepilogo degli investimenti da effettuare per
categorie di immobilizzazioni, dei costi di gestione e dei ricavi associati a ciascuna linea di
attivit, verranno elaborati:
- il conto economico (con analisi dei ricavi, analisi dei costi operativi per categoria
significativa, analisi delle spese generali, incidenza degli ammortamenti, margini di
contribuzione);
- il piano finanziario dettagliato per fabbisogni finanziari (investimenti e circolante e
eventuale rimborso del debito);
- lanalisi della copertura con mezzi propri (finanziamenti pubblici ed apporti di terzi);
- lanalisi delle modalit di gestione e di utilizzo degli eventuali utili realizzati;
Infine, assume rilevanza nel valutare la fattibilit economico-finanziaria del progetto, la
possibilit di definire il profilo di rischio da associare alle ipotesi progettuali e dunque
valutare la sensibilit del piano economico-finanziario rispetto ai diversi scenari attesi. In tal
modo sar resa disponibile ai decisori pubblici (o altri investitori) una chiave di lettura
consapevole delle ipotesi su cui si fonda lo sviluppo del business plan del progetto
istituzionale, in modo tale che possano essere individuate le azioni da intraprendere affinch il
modello economico-finanziario delineato rappresenti correttamente le aspettative e non sia un
mero insieme di valutazioni accademiche di difficile praticabilit.

Step 8. Predisposizione regolamentazione di base


Arrivati a questo punto lanalisi dovrebbe poter fornire tutti gli elementi necessari alla
definizione:
dellassetto istituzionale e, quindi statuto, regolamento, patti parasociali, etc, a
seconda della forma giuridica scelta;
dellassetto contrattualistico di base e, quindi, contratto di servizio, convenzioni
quadro, etc..

Step 9. Predisposizione del sistema di rendicontazione sociale


Si tratta, infine, di definire rispetto alla missione istituzionale definita in step 1, un sistema di
rendicontazione sociale che permetta di comprendere e comunicare a tutti gli stakeholders
(interni ed esterni) i risultati effettivamente raggiunti (A. Bua, 2002).
Ci al fine di garantire periodicamente:
 trasparenza amministrativa, perseguita mediante la comunicazione di informazioni atte a
permettere la verifica del rispetto dei vincoli economici;
 trasparenza gestionale, perseguita mediante la comunicazione di informazioni atte a
permettere la verifica del rispetto dei vincoli dordine normativo e/o statutario;
 trasparenza istituzionale, perseguita mediante la comunicazione di informazioni atte a
permettere il controllo delleffettivo perseguimento degli scopi istituzionali, oltre che
leffettivo raggiungimento degli stessi.
In questo modo, la struttura museale (impresa/sistema/distretto) oltre che legittimarsi
progressivamente sul territorio, avrebbe altres loccasione di definire ex ante un sistema di
indicatori di base (di efficienza, efficacia, qualit, etc..) ed alimentare un sistema informativo
aziendale utile anche alla implementazione di una attivit strategica di raccolta fondi.

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7. La scelta della Fondazione di Partecipazione in una logica di efficienza
tecnica: museo e comunit

Le considerazioni sinora avanzate non hanno lo scopo di accantonare la possibilit di un


potenziale spazio applicativo dellistituto fondazionale, ma servono ad evidenziare come ci
sia vincolato al verificarsi di determinate condizioni di sistema. Tali sono, a parere di chi
scrive quelle che verrebbero a crearsi se nella definizione della missione istituzionale dovesse
assumere particolare significato la dimensione di relativa al ruolo dellistituzione culturale
come volano dello sviluppo economico locale (fig. 3). Esso infatti, lascerebbe supporre
limplementazione di strategie cooperative con altri musei o tra museo/i ed altri soggetti
economici del territorio.
Sono questi, in effetti, modelli di gestione ormai avviati anche nel caso italiano gi a partire
dalla met degli anni 90, pur assumendo forme e denominazioni diverse in funzione della
frequenza, densit, tipologia ed organizzazioni delle relazioni dei soggetti che le
costituiscono. Si parla, non a caso, di reti, sistemi, poli museali e, pi recentemente, distretti
culturali.
Sono, queste, forme organizzative di cooperazione che sembrano particolarmente adatte ad
alcune caratteristiche distintive del complesso museale italiano quali ad esempio lenorme
ricchezza, la distribuzione capillare o il forte legame con la lunga tradizione artistica e storica
del paese e, quindi, con il territorio di riferimento.
Losservazione empirica dimostra come la complementariet di risorse, la possibilit di
accesso a finanziamenti, lattivazione di economie di scala, sono tra le principali motivazioni
che hanno finora portato alla formazione di reti (Grandori, 1989) e di sistemi museali,
questultimi dalle prime distinti per una particolare struttura delle relazioni, tale da alimentare
interconnessioni di rilevante intensit e comportamenti organizzativi osservabili e
distinguibili dai comportamenti delle singole parti. Sono certamente ascrivibili a tale categoria
(almeno nellintenzione della norma) i poli museali, ovvero quei sistemi ai quali il legislatore
ha inteso riconoscere personalit giuridica ed autonomia organizzativa (D.lgs. 368/98; D.M.
11 dicembre 2001).
Riflessioni diverse sono, invece, alla base del recente interesse per la formazione di distretti
culturali, intendendo come tali un sistema territorialmente delimitato di relazioni che integra
il processo di valorizzazione delle dotazioni culturali, sia materiali che immateriali, con le
infrastrutture e con gli altri settori produttivi che a quel processo sono connessi:
Due in questo caso le argomentazioni di fondo:
- la microeconomia del museo un sistema strutturalmente in perdita, mentre la
macroeconomia del territorio che lo contiene fortemente in attivo, grazie, ad esempio,
al volume di spesa turistica e di servizi ai cittadini;
- in un territorio esiste un variegato insieme di benefici connessi alla disponibilit di beni
culturali. Diviene quindi importante la capacit di valorizzazione del rapporto tra bene
culturale e sviluppo economico del territorio, attraverso lintegrazione della filiera
produttiva dei beni culturali con circuiti economici e sociali locali.
Da ci deriva come (nellaccezione oggi comunemente intesa) il distretto culturale, pur
ereditando dal distretto industriale (Lorenzoni, 1983; Porter, 1998) limportanza
dellinterdipendenza delle singole unit e la connotazione socio-culturale in cui queste sono
inserite, da questo si distingue poich, dovendo fornire economie esterne al processo di
valorizzazione del bene culturale, non pu presentarsi in forma di specializzazione settoriale.
Esso si configura, piuttosto, come un sistema reticolare, il cui asset principale rappresentato
dei beni culturali di un territorio spazialmente delimitato, partecipato da attori tra loro assai
differenziati (enti locali, imprese, universit, centri di ricerca, aziende non profit, etc..).

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Tutto ci premesso, va tuttavia rilevato come le prime sperimentazioni prodotte (Bagdadli,
2001) hanno da subito dimostrato una certa difficolt nel definire una configurazione
interorganizzativa e un set di meccanismi di coordinamento opportuni.
In tutti questi modelli organizzativi infatti - con intensit crescente passando dalla rete, al
sistema e, quindi, al distretto appare chiara la difficolt di stabilire un sistema di accordi
efficiente, fattore che, unito alla frequenza degli scambi, sembra legittimare una struttura di
governo stabile (una cabina di regia), partecipata da pi stakeholders, che permetta la
programmazione ed il controllo diretto delle prestazioni pattuite.
Su queste premesse, dunque, si definisce lopportunit di un assetto istituzionale come quello
che caratterizza la fondazione di partecipazione. Il senso di questa istituzione ben si
presterebbe a un progetto di comunit che punti sullincontro virtuoso tra pubblico e privato
nel settore dei beni culturali, partendo da un senso dellistituzione museale pi pubblica, pi
vicina ai bisogni della cittadinanza. Le caratteristiche giuridico-istituzionali prima analizzate,
infatti, sarebbero in questo senso (oltre che necessarie) nel miglior modo valorizzate, mentre
la progressivit del patrimonio potrebbe dimostrarsi pi concretamente realizzabile. La
fondazione infatti - specialmente se di supporto ad una logica distrettuale - puntando sul
sistema stabile di relazioni sociali che verrebbero inevitabilmente a definirsi, potrebbe
consolidare unimportante base associativa, facendo leva sia sullinteresse economico delle
piccole-medie imprese locali, sia su un mercato di donatori anche individuali interessati
ad investire nei beni culturali per uno sviluppo sostenibile del territorio. Sono queste, in
fondo, ipotesi non troppo lontane dalle pi moderne strategie di fund raising che, allinterno
di un nuovo paradigma della governance, promuovono modelli di azione essenzialmente
fondati su progettualit, qualit, spirito imprenditoriale, capacit di promuovere e gestire
partnership per la costruzione di reti istituzionali solide, favorendo la creazione di forme di
alleanze tra soggetti che prima ancora di essere donatori (supporters) della fondazione, sono
di questa dei veri e propri partner strategici.

8. Considerazioni conclusive
Con queste brevi note si cercato di argomentare come nessun processo di innovazione pu
essere realmente avviato finch continuer una corsa agli statuti, priva di un progetto e di
una strategia di sviluppo dellistituzione museale. Una cosa immaginare lo strumento in
astratto, altro realizzarla in concreto: fare una fondazione non un mezzo per risolvere
miracolosamente problemi sostanziali difficili. Servono, piuttosto, obiettivi chiari e
competenze specifiche.
Linnovazione, si tentato di argomentarlo, ha come presupposto fondamentale lacquisizione
e riconfigurazione della conoscenza. Per questo importante lavorare ed investire sulla
architettura delle competenze individuali ed organizzative capaci di sostenere ed alimentare il
cambiamento atteso. E questo un bisogno evidente ma allo stesso tempo particolarmente
ambizioso da soddisfare: visione, comunicazione e delega, questi sono i pilastri di un
cambiamento possibile nel breve e sostenibile nel tempo, ma che solo le risorse interne di
leadership possono offrire.
I sistemi di misurazione e rendicontazione coerenti agli obiettivi dichiarati, invece, possono
mettere i partners progettuali e la comunit in genere, nella condizione di esercitare sul
management un certo livello di pressione sui risultati e, quindi, di mantenere alto il livello di
tensione allefficacia e alla innovazione dellorganizzazione (Decastri, Hinna, 2004).
Di qui limportanza di creare abitudini mentali connesse alla formazione permanente, intesa
come attivit continua di confronto con le esperienze vissute, capitalizzazione di successi ed
insuccessi, forte propensione al rischio e disponibilit al fallimento.

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Bibliografia

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