You are on page 1of 4

Amore & Morte


Mito e leggenda
( La favola dei due fratelli)

Di Vassallo Roberto
Prefazione.


L’amore
e
la
morte
sono
nati
con
l’uomo
e
svaniranno
assieme
a
lui.


Da
sempre
amore
e
morte
sono
associati
come
inizio
e
fine,
senza
uno
l’altro
non
avrebbe
ragione
di
esistere.

Chiarito
questo
semplice
concetto,
possiamo
addentrarci
nei
meandri
di
questa
particolare
simbiosi.



L’amore
nacque
per
volere
divino
all’inizio
dei
tempi,
quando
il
Creatore
pose
l’uomo
al
centro
dell’universo,
lo

stesso
sentimento
infuse
in
lui
e
nella
sua
compagna
e
tutto
ciò
che
circondava
loro.

L’amore
si
sparse
per
tutto
il
creato
con
le
spore
di
un
nuovo
germoglio
divino,
fecondando
la
terra
stessa,
gli

animali
e
le
piante
e
tutto
ciò
cha
aveva
vita.


Un
brutto
giorno
accadde
però
che
il
dubbio
figlio
dell’invidia
e
della
menzogna,
s’insinuasse
nell’uomo
e
nella

sua
compagna
dando
vita
a
una
nuova
creatura
“il
peccato”…


Adamo
era
solito,
quando
le
fatiche
del
lavoro
nei
campi
lo
permettevano,
sdraiarsi
all’ombra
degli
alberi
così
da

trovare
riparo
alla
calura
estiva
e
la
sua
compagna
Eva
lo
accudiva
volentieri
perché
questi
erano
i
voleri

dell’Onnipotente.
Adamo
ed
Eva
erano
nudi
perché
non
conoscevano
la
vergogna.
Accadde
che
Lilith
che
era

stata
sì
la
prima
compagna
di
Adamo,
ma
a
lui
si
era
ribellata
e
per
punizione
era
stata
cacciata
dal
paradiso

terrestre,
provasse
un
sentimento
per
quest’ultimo,
ma
così
diverso
da
quelli
che
le
erano
stati
insegnati
molto

tempo
prima
dell’Altissimo,
che
forse
neanche
lei
sapeva
descrivere.
Sicuramente
non
era
amore,
né
odio
perché

non
era
giunto
ancora
il
momento
di
provare
quel
tipo
di
sensazione.
Quello
che
stava
crescendo
il
Lilith
era
il

tarlo
dell’invidia,
quel
desiderare
a
tutti
i
costi
quello
che
non
si
ha.
Adamo
aveva
l’amore
dell’Altissimo
e
quello

di
Eva,
quello
stesso
amore
che
Lilith
aveva
con
forza
rifiutato
per
non
rinunciare
alla
sua
libertà.
Ora
a
distanza

di
tempo
quella
donna
ora
trasformata
in
demone
aveva
partorito
la
sua
prima
figlia,
l’invidia.


Mise
al
mondo
la
piccola
sotto
il
diluvio,
la
partorì
sulle
ortiche
perché
non
c’era
un
posto
adatto
ad
accoglierla.


Ancora
avvolta
nella
sua
placenta
la
piccola,
si
alzò
sulle
proprie
instabili
gambe
e
con
voce
roca
cominciò
a
inveire

contro
sua
madre.
Invidia
non
crebbe
mai,
il
suo
aspetto
rimase
per
sempre
quello
terrificante
di
una
nana
deforme

dagli
occhi
di
sangue
e
dalla
voce
da
vecchia,
s’insinuò
come
le
punture
d’ortica
tra
i
sentimenti
umani,

provocandone
il
lento
decadimento.


La
leggenda
narra
che
mentre
Adamo
si
riposava
dalle
fatiche
dei
campi,
invidia
attrasse
Eva
proprio
mentre

passava
accanto
all’albero
del
bene
e
del
male.
Invidia
conoscendo
bene
il
suo
aspetto
terrificante
lo
mutò
in

quello
più
rassicurante
di
una
serpe
e
la
invitò
a
cogliere
il
frutto
di
quell’albero
così
speciale.

Alla
prima

risposta
negativa
di
Eva,
Invidia
non
si
diede
per
vinta
e
ritornò
alla
carica.
L’albero
del
bene
e
del
male
per

inciso
era
l’unica
pianta
in
tutto
il
paradiso
terrestre
cui
L’Altissimo
aveva
ordinato
di
non
mangiarne
i
frutti,

perché
se
Adamo
e
la
sua
compagna
lo
avessero
fatto,
sarebbero
morti.
Invidia
sapeva
ben
destreggiarsi
con
le

parole
e
non
ci
mise
tanto
tempo
a
convincere
Eva,
che
il
frutto
proibito
non
le
avrebbe
dato
nessuna
morte,
anzi

al
contrario
le
avrebbe
aperto
gli
occhi
e
gli
avrebbe
reso
simili
al
Creatore
stesso,
e
poi
quel
frutto
era
così

invitante,
il
suo
colore
e
il
suo
profumo
erano
troppo
stimolanti
anche
per
la
ligia
Eva.
Così
la
donna
non
si
fece

pregare
due
volte,
ne
mangiò
e
ne
diede
anche
al
proprio
compagno
che
nella
sua
beata
ignoranza
mai
poteva

immaginare
cosa
avrebbe
provocato
un
così
naturale
gesto.
Per
prima
cosa
si
accorsero
di
essere
nudi
e
di
ciò

provarono
imbarazzo,
quindi
cercarono
qualcosa
per
coprirsi
le
vergogne,
poi
quando
il
loro
Padre
li
chiamò,

loro
corsero
a
nascondersi,
il
resto
è
storia
nota.



Dunque
che
cosa
era
che
spinse
Eva
a
cogliere
il
frutto
proibito
e
a
offrirlo
al
suo
compagno
Adamo?
Non
era

quello
stesso
sentimento
che
face
sì
che
Adamo
accettasse
il
frutto
da
Eva?
Non
era
dunque
amore
quell’impulso

infuso
a
piene
mani
dallo
stesso
Creatore
e
che
ora
gli
si
rivoltava
contro?


L’amore
di
Dio
è
un
sentimento
egoista,
le
sue
leggi
furono
incise
col
fuoco
sulla
pietra,
cosicché
l’uomo
le

tenesse
sempre
a
mente,
ma
si
sa,
la
pietra
è
dura
quant’è
fragile
e
quelle
leggi
incise
ora
sono
briciole
scosse
dal

vento.


Consapevole
della
volubilità
umana,
il
Sempiterno
decise
allora
di
dare
un
termine
a
tutto
ciò
che
aveva
creato
e

per
fare
questo
si
rivolse
al
demonio.

Lucifero
non
ci
pensò
poi
troppo,
chiamò
a
sé
Lilith
e
le
affidò
un
compito.


Dopo
la
cacciata
dal
paradiso
terrestre,
la
vita
dei
due
esiliati
si
era
fatta
più
complicata
e
a
renderla
ancora
più

difficile
era
giunta
anche
la
nascita
di
due
figli,
Caino
e
Abele.

Caino
il
primogenito,
coltivava
la
terra
mentre

Abele
pascolava
il
gregge.
Il
primo
offriva
a
Dio
i
frutti
delle
sue
coltivazioni
mentre
Abele
un
agnello
del
suo

gregge;
Dio
gradì
l'offerta
di
Abele
ma
non
quella
di
Caino.
Il
motivo
di
questa
preferenza
non
è
tuttora
ignoto.

Geloso
del
fratello
Caino
lo
invitò
a
uscire
in
campagna
e
là
lo
uccide.


Era
una
notte
così
buia
che
anche
la
luna
si
era
nascosta
per
non
macchiare
il
suo
candore
con
ciò
che
doveva

accadere.
Caino
pervaso
dalla
gelosia,
non
riusciva
a
prendere
sonno,
la
sua
mente
era
pervasa
da
oscuri
presagi,

il
suo
respiro
si
faceva
sempre
più
pesante
a
mano
a
mano
che
il
tempo
passava.
Sopraggiunse
Lilith,
anche
il
suo

respiro
era
affannoso,
ma
così
diverso
da
quello
di
Caino,
lei
si
avvicinò
a
lui,
le
sedusse
con
le
carezze
e
con
le

movenze
del
suo
corpo
nudo
mai
sazio
lo
attirò
a
se
come
il
miele
le
api,
la
notte
fu
scossa
dai
loro
gemiti
e

lamenti
e
quando
l’alba
s’affacciò
al
nuovo
giorno,
trovò
una
nuova
creatura
partorita
col
favore
del
buio.
Questo

era
il
frutto
che
doveva
dare
il
termine
a
tutte
le
cose,
il
Creatore
aveva
delegato
il
diavolo
a
un
tale
nefasto

compito
perché
nel
suo
sconfinato
amore,
Dio
non
poteva
concepire
un
simile
pensiero.


Morte
fu
il
nome
imposto
a
questa
nera
creatura
e
da
quel
momento
in
poi
molte
cose,
sarebbero
cambiate.


Morte
aveva
una
bellezza
tutta
particolare,
che
solo
chi
conosce
il
male
sa
apprezzare.

Appariva
a
volte
stupenda,
di
un
elegante
splendore
che
l’avvolgeva
come
un
manto,
lo
stesso
mantello
si

mostrava
a
volte
tetro
e
nero
come
a
nascondere
la
bruttezza
che
in
se
la
morte
cela.

L’eroe
spira
in
battaglia,
baciato
in
fronte
dalla
morte
stessa
che
caricandoselo
sulle
spalle
lo
cinge
d’alloro
e
gli

apre
la
porta
dei
campi
Elisi.
L’amante
respinto
è
invece
accolto
dalla
nera
signora
che
non
indifferente
all’amore

lo
accoglie
nel
suo
letto
immacolato.
La
morte
coglie
il
saggio
mentre
dorme
e
il
passaggio
è
leggero
tra
i
due

mondi,
indolore
nel
sonno;
piacevole
nell’amplesso
succube
ai
capricci
di
Eros,
che
geloso
come
solo
un
dio
sa
di

essere
vuole
tutto
per
sé.





Il
giorno
è
la
conseguenza
della
notte
e
viceversa,
la
morte
tanto
dolce
e
bella
d’apparire
irreale,
tanto
desiderata

da
preferirla
a
un
amante,
quanto
crudele
a
sadica
da
presentarsi
brutta
agli
occhi
di
chi
la
brama.
Così,
nella
sua

veste
peggiore,
appare
a
chi
stufo
della
vita
a
lei,
si
concede
senza
remore,
e
morte
come
una
bambina
viziosa
lo

tormenta,
lo
tortura,
lo
lacera
fino
a
che
le
sue
pene
divenute
insopportabili
e
straziate
da
tanto
dolore
neanche

ha
più
la
forza
ha
di
chiedere
pietà
e
solo
allora
morte
gli
concederà
la
grazia.


Amore
e
morte
sono
due
fratelli
come
la
luna
e
il
sole,
che
per
volere
divino
sono
destinati
a
mai
incontrarsi
ma
a

essere
uno
l’alter
ego
dell’altra.



L’amore
da
subito
prese
come
suo
simbolo
la
luce
del
sole,
mentre
la
morte
per
nascondere
agli
occhi
degli

umani
la
sua
macabra
bellezza,
scelse
il
buio
della
notte.
L’amore
preferì
adottare
come
dio
un
bimbo
e
lo
vestì
di

gloria,
la
morte
invece
prese
una
bimba
e
la
vestì
di
nero.


Insieme
immortali
scesero
sulla
terra.


Il
primo
amante
del
gioco
della
spensieratezza,
trascorreva
le
lunghe
giornate
nell’ozio
stuzzicando
i
giovani
che

ignari
si
fermavano
a
chiacchierare.
Si
divertiva
a
scoccare
le
sue
frecce
intrise
del
dolce
veleno
della
passione
a

caso,
colpendo
alla
rinfusa
chiunque
capitasse
a
tiro,
lo
stesso
faceva
sua
sorella
che
protetta
dalla
complice

ombra
della
luna,
anche
lei
scoccava
a
caso
le
sue
frecce,
ma
intrise
di
ben
più
pericoloso
veleno.

Da
quel
giorno
i
due
fratelli
diventati
inseparabili,
hanno
mantenuto
l’equilibrio
su
questo
pianeta,
sino
a
oggi.


Dov’è
finita
la
romantica
morte
sotto
la
luna,
dove
sono
gli
amanti
che
impavidi
sfidavano
gli
sguardi
altrui,
dové

la
passione
che
col
suo
rosso
manto
incendiava
i
deserti
di
ghiaccio
della
Siberia,
a
chi
donerà
più
il
suo
freddo

bacio
Morte
se
non
vi
sono
più
labbra
da
baciare.


A
chi
lascerò
l’estasi
di
una
morte
romantica.


Soffia
il
vento
gelido
bussando
come
un
forsennato
alle
persiane
chiuse.

Infuria
il
vento
gelato
come
lugubre
suono
di
violino,
mentre
dall’alto
del
suo
leggio
la
morte
intona
la
sua
litania.

Sono
parole
d’amore,
che
s’infrangono
contro
i
marmi
scuri
dei
nostri
caldi
loculi.


A
chi
lascerò
l’estasi
di
una
morte
romantica.

Non
vi
sono
più
eroi,
bruciati
l’attimo
di
una
poesia,
non
vi
sono
più
amanti,
risucchiati
dal
vento
dell’oblio,

vagabonda
per
il
mondo
la
poesia
si
macera
nella
tristezza
e
come
una
rosa
avvizzita.


Solo
la
sabbia
che
accolse
le
prime
timide
lettere
d’amore
di
giovani
innamorati,
ora
le
custodisce
in
se,
come
un

immenso
tesoro,
quello
stesso
tesoro
che
un
bimbo
curioso
sfidando
il
mare
volle
solo
guardare.


A
chi
mai
lascerò
l’estasi
di
una
morte
romantica,
se
anche
la
morte
è
morta
e
con

lei
tutta
la
sua
infinita
poesia.

Hanno
ucciso
il
chiaro
di
luna,
hanno
spento
il
sorriso
del
sole,
ad
una
ad
una
si
sono
affievolite
tutte
le
stelle
del

cielo,
e
la
via
lattea
che
conduceva
alla
dimora
degli
dei,
ora
è
deserto.


A
chi
mai
lascerò
l’estasi
di
una
morte
romantica,
se
la
morte
stessa
mi
si
rifiuta.


Due
fratelli
scesero
dalle
volte
celesti
fin
sulla
terra,
amore
e
morte
erano
i
loro
nomi,
amore
rosso
color
di
passione

ha
sparso
per
il
mondo
il
suo
seme,
morte
dai
neri
occhi
ha
accompagnato
la
notte
nei
nostri
eterni
sonni.

Di
amore
s’è
perso
il
significato
e
di
morte
la
poesia.


A
chi
mai
lascerò
l’estasi
di
una
morte
romantica
se
sulla
faccia
della
terra,
non
v’è
più
nessun
erede
del
genere

umano.


You might also like