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“ La via della funzione trascendente va seguita solo per intima necessità

individuale e in ogni caso non rappresenta mai un'evasione dalla vita e dal
mondo. Al contrario, una simile via è possibile e proficua soltanto se si
affrontano in realtà gli specifici compiti mondani che coloro che seguono
questa via si pongono. Le fantasie non sono surrogati di ciò che è vivo, ma
frutti dello spirito, che toccano in sorte a chi paga il suo tributo alla vita. Lo
scansafatiche non vive che la sua morbosa angoscia, e questa non gli genera
alcun senso “ C. G. Jung, L'Io e l'inconscio

GENESI E CONSIDERAZIONI
SULL’IMMAGINAZIONE ATTIVA
( articolo pubblicato sul portale www.opsonline.it )

Secondo Carl Gustav Jung, l’immaginazione attiva rappresenta una forma particolare di confronto
dialettico psicologico, ovvero il procedimento più avanzato d’integrazione tra conscio ed inconscio,
attraverso il quale l’Io e i complessi psichici si confrontano sul terreno della fantasia creando
espressioni comuni di significato e di valore. Rappresentando i conflitti in forme paradossali e
fantastiche, l’immaginazione attiva esprime una meta dello sviluppo della coscienza: “ In essa infatti
la personalità conscia con quella inconscia del soggetto confluiscono in un prodotto che è comune
ad ambedue e che le unifica ” (Jung, 1921). Come si vede, nell’immaginazione attiva trova
espressione il più importante compito del processo analitico: la congiunzione degli opposti che
l’analisi dell’inconscio ha evidenziato. Come scrive Federico de Luca Comandini “ Quando il conflitto
è stato dipanato in tutta la sua ampiezza, quando l’opera di integrazione cosciente tocca il suo
limite, diventa necessaria una sintesi, che sia frutto di tutte le parti in campo. I simboli che vi
appaiono offriranno il miglior orientamento d’insieme possibile per quel dato individuo,
delineando il suo originale piano d’esistenza. L’immaginazione attiva risponde a questo preciso
senso, secondo una finalità che Jung descrive come tendenza all’individuazione. “ (F. de Luca
Comandini, 1992).

LA GENESI DEL METODO


Le origini del metodo di immaginazione attiva di Jung si possono rintracciare in quei significativi
anni che segnarono il distacco teorico-personale da Sigmund Freud (1912-1919). Difatti, seppure sin
da piccolo sviluppò varie fantasie sistemiche, furono proprio quegli anni a dare a Jung pieno valore
alla facoltà immaginativa: “ Gli anni più importanti della mia vita furono quelli in cui inseguivo le
mie immagini interne. In quegli anni si decise tutto ciò che era essenziale, tutto cominciò allora. I
dettagli posteriori sono solo complementari e chiarificazioni del materiale che scaturì
dall’inconscio e che da principio mi travolse nelle sue onde: ma fu esso la materia prima di un
lavoro che durò tutta la vita “ (Jung, 1961). Le prime elaborazioni teoriche sull’argomento prendono
avvio nel 1916. In La struttura dell’inconscio ( Jung.1916), infatti, Jung identifica nella fantasia la
sede degli “embrioni di vita psicologici” che costituiscono il fondamento dell’esistenza individuale: ”
Uno li va cercando nella coscienza, l’altro nell’inconscio. Ma la coscienza non è che uno dei lati e lo
stesso vale per l’inconscio. La funzione unificante che cerchiamo si trova nelle fantasie creatrici.
Nella fantasia confluiscono tutte le determinazioni attive” ( ibidem ). Dello stesso anno è il saggio
La funzione trascendente (edito nel 1958 in forma largamente riveduta) nel quale, anche se il
termine non è presente (viene utilizzato “fantasia spontanea”), si ha una definizione che risulterà più
o meno la stessa degli scritti successivi.
Contrariamente al sogno, che rappresenta un puro prodotto dell’inconscio, l’immaginazione attiva
conferisce a quel fattore interno un’espressione che Jung ha definito funzione trascendente, cioè
quella funzione psichica che trascendendo la coppia di opposti costituita da tendenze consce e
inconsce incompatibili, opera il passaggio da un atteggiamento a un altro, superando così
l'opposizione componendola in una sintesi originale. Per Jung, dunque, quando è necessaria una
sintesi, il lavoro psicologico con le fantasie offre possibilità migliori che con l’analisi dei sogni, poiché
esso è ” un materiale generalmente inadatto o difficile da usare per la funzione trascendente perché
di solito esigono troppo dal soggetto” ( ibidem ). La distanza che separa il sonno e la veglia, infatti,
può eccedere la capacità dell’Io di porsi attivamente in rapporto con il messaggio inconscio.
Nell’opera di sintesi è dunque opportuno che gli opposti siano il più possibile ravvicinati ed i simboli
che emergono da tale confronto, permettono il superamento della scissione della personalità, e
dunque una sua maturazione più intensa e rapida. Come scrive Jung, “bisogna lasciare alla fantasia
tutto il campo libero possibile, senza tuttavia permetterle di abbandonare la cerchia del suo
oggetto, cioè l’affetto[…] Il procedimento rappresenta una sorta di arricchimento e di chiarimento
dell’affetto, e in tal modo l’affetto con i suoi contenuti si avvicina alla coscienza. Generando
un’impressione, esso diventa anche comprensibile [...] Questo è l‘inizio della funzione trascendente,
ossia della cooperazione tra dati consci e dati inconsci.”( ibidem ). Da sottolineare, a questo punto, il
rischio che l’elaborazione delle fantasie viri verso un eccessivo estetismo o, all’opposto, che prenda
una piega contenutistico-intellettuale. Per evitare questa sorta di manipolazioni coscienti, secondo
Jung: ” La guida in tema di forma e di contenuto va lasciata per quanto possibile all’intuizione
dipendente dall’inconscio”( ibidem ).
Nei testi degli anni successivi, Jung chiarisce ulteriormente il senso “attivo” dell’atteggiamento
psicologico verso l’immagine, in contrasto con la disposizione passiva del fantasticare. La distinzione
è presente per la prima volta in Tipi psicologici: “Si possono distinguere fantasie attive e passive; le
prime sono provocate dall’intuizione cioè da un atteggiamento diretto alla percezione di contenuti
inconsci, per cui la libido investe subito tutti gli elementi emergenti dall’inconscio, elevandoli
attraverso l’associazione di materiali paralleli a un livello di chiarezza e di evidenza; le altre
appaiono a priori in forma chiara senza che vi sia un atteggiamento intuitivo precedente o
concomitante, mentre il soggetto che ne prende conoscenza mantiene un atteggiamento
completamente passivo. […] Nella fantasia attiva non si tratta dunque necessariamente di uno
stato psichico dissociato, ma piuttosto di una partecipazione attiva della coscienza “ (Jung,
1921, grassetto mio).
L’immaginazione attiva, dunque, non va confusa con quel cinema interno che quasi ogni individuo
dotato di un po’ di fantasia fa scorrere davanti al suo occhio interno in uno stato di rilassamento, ad
esempio prima di addormentarsi. In queste forme citate di immaginazione, infatti, l’interessato “sa”
sempre che il tutto è “solo” fantasia. L’immaginazione attiva, si differenzia da tali forme del
fantasticare in quanto l’individuo entra coscientemente e completamente nell’evento,
ed è solo con la partecipazione attiva alle fantasie che si può stabilire un collegamento tra coscienza e
inconscio, un contatto trasformatore ( S. Di Lorenzo, 1970 ). Un esempio citato da Marie-Louise von
Franz può essere utile: “ Un’analizzanda raccontò a Jung un’immaginazione che aveva iniziato e
che suonava nel modo seguente: ”Mi trovavo su una spiaggia di mare e in quel momento venne
verso di me un leone, che si trasformò in una nave sul mare….” Jung la interruppe: ” E’ assurdo, se
un leone viene verso di lei allora lei ha una relazione, non sta semplicemente a osservare finché il
leone si trasforma in una nave” (M-L von Franz, 2002).
Nel 1925 appare l’inedito Appunti del seminario di Psicologia Analitica (Zurigo, 1925) nel quale
Jung fa riferimento alle sue personali esperienze col metodo dell’immaginazione attiva, mentre in
L’Io e l’inconscio (Jung, 1928) sono presenti i primi esempi pubblicati: “ L’acquistare
progressivamente coscienza di fantasie per altro consce, partecipando attivamente al fatto
fantastico, ha tre conseguenze, come ormai ho visto in un gran numero di casi: primo, che la
coscienza è ampliata in quanto innumerevoli contenuti inconsci divengono coscienti; secondo, che
viene gradatamente demolita l’influenza dominante dell’inconscio; terzo, che avviene una modifica
della personalità (Jung, 1928). Del 1929 è Il commento al “Segreto del fiore d’oro” pubblicato
assieme a Richard Wilhelm, nel quale si evidenziano le analogie ma anche gli elementi discriminanti
tra la tecnica junghiana e la spiritualità orientale : ” L'immaginazione attiva è la più importante
scoperta di Jung. Mentre, da un certo punto di vista, essa può paragonarsi alle attività meditative
tipiche dell'estremo oriente, quali le tecniche del Buddismo Zen, o dello Yoga tantrico, o alle
tecniche occidentali, quali quelle degli esercizi spirituali dei Gesuiti, ne differisce
fondamentalmente, in quanto il meditante resta completamente privo di qualsiasi scopo o
programma. In tal modo, la meditazione diviene il solitario esperimento di un soggetto libero, che
si colloca all'estremità opposta di qualsiasi tentativo organizzato di impadronirsi dell'accesso
all'inconscio ” (M-L Von Franz, 1964).
Sempre in quell’anno, nel saggio Scopi della psicoterapia (Jung, 1931) Jung descrisse come arrivò a
scoprire la tecnica dell'immaginazione attiva. I pazienti restavano affascinati da un'immagine onirica
e dicevano che, se avessero saputo disegnare o dipingere, avrebbero voluto darle espressione. Jung
allora cominciò a incoraggiarli a tentare di dar forma alle loro visioni interiori, poiché: ” Con questo
metodo[…] il paziente può rendersi indipendente per autocreazione: non dipende più dai suoi sogni
o dal sapere del suo terapeuta, ma nel dipingere, per così dire, se stesso può plasmare se stesso
perché quel che dipinge è fantasia operante, è ciò che opera, che agisce in lui ”( Jung, 1931 ). E’
doveroso ricordare come a Barbara Hannah, Jung le confidò di ritenere l’immaginazione attiva la
“pietra di paragone” per rendersi conto se un paziente volesse davvero divenire indipendente dal
proprio analista o restare a lui subalterno.
Mentre nel 1935 il termine “immaginazione attiva” ha la sua consacrazione pubblica nelle famose
Tavistock Lectures che Jung tenne all’Istituto di Psicologia medica (Tavistock Clinic) di Londra, è in
Psicologia e alchimia ( Jung, 1944 ) che la problematica guadagna uno sfondo definito: riconoscendo
un parallelo storico tra la sua psicologia e l’opus alchemico, Jung scorge analoga somiglianza tra
l’immaginazione attiva e il concetto di imaginatio degli alchimisti. Distinta dalla mera phantasia
“L’imaginatio è un’evocazione attiva di immagini (interne) “secundum naturam”, un’opera vera e
propria di pensiero o di rappresentazione, che non fantastica per caso, nel vuoto e senza
fondamento, che non gioca con i suoi oggetti, ma che tenta invece di comprendere i fatti interni e di
rappresentarli con immagini fedeli alla loro natura” (ibidem). Similmente, nell’atteggiamento
junghiano la concentrazione dell’Io è essenziale alla considerazione oggettiva delle immagini e al
processo trasformativo, poiché eludendo tale confronto ci si ferma allo stadio della immaginatio
phantastica, non andando più oltre al fantasticare passivo. A conclusione di questo breve exursus,
vanno segnalati anche Psicologia della traslazione (1946) e Riflessione tecniche sull’essenza della
psiche (1947/54) dove si sottolinea l’utilità del metodo quando è necessario una sintesi della
personalità, oltre a Mysterium coniunctionis (1955/1956), nel quale si approfondisce il parallelo
presente in Psicologia e alchimia.

LE FASI E I RECENTI SVILUPPI DELL’IMMAGINAZIONE ATTIVA

Secondo la suddivisione proposta da Marie-Louise von Franz (1978), l’immaginazione attiva si divide
in quattro fasi distinte:

1) Lasciar accadere.
La prima condizione da rispettare è quella di svuotare la propria mente dai processi del pensiero
dell’Io. Affinché l’ignoto possa manifestarsi, va sospesa l’attività della coscienza, lasciando scivolare
via obiezioni, critiche, interpretazioni, valutazioni che creano continue interferenze. Seppur arduo e
difficile per la mentalità occidentale, “ Il lasciar agire, il fare nel non-fare, l’abbandonarsi del
Maestro Eckhart è diventato per me la chiave che dischiude la porta verso la via: bisogna esser
psichicamente in grado di lasciar accadere. Questo è per noi una vera arte, che quasi nessuno
conosce. La coscienza interviene continuamente ad aiutare, correggere e negare, e in ogni caso non
è capace di lasciare che il processo psichico si svolga indisturbato” (Jung, 1929-1957)

2) L’immagine gravida
Attraverso il lasciar fare, “ S'è creata così una posizione che può accogliere senz'altro anche
l'irrazionale e l'incomprensibile, giacché entrambi rappresentano il processo del divenire ” (Jung,
1929-1957). La seconda fase, infatti, consiste nel ricevere l’immagine che si fa strada dall’inconscio e
fissare l’attenzione su di essa. Il punto di partenza può essere del tutto spontaneo, creandosi da sé nel
vuoto dell’atteggiamento meditativo, oppure concentrandosi su un’immagine vivida che coinvolga la
sfera emotiva; talvolta i sogni offrono spunti, altre volte la fantasia stessa poggia su sensazioni
interne. Le modalità di ricezione delle immagini rispecchiano l’inclinazioni personali, che possono
dunque essere visive, uditive, o associate a sensazioni corporee. Rispetto all’evento inconscio che si è
lasciato accadere, va evitato di sconfinare nella passività: subito si pone il compito complementare di
controreagire sull’evento con la costanza della nostra attenzione: “Osservare una cosa o
concentrarsi su di essa, <<betrachten>>, conferisce all’oggetto la qualità d’esser gravido. E se esso
è gravido allora ne viene fuori qualcosa; è vivo, produce, si modifica.” (Jung, 1960/1969)

3) Trascrivere le modificazioni
Fissando l’attenzione su di un’immagine che giunge spontanea, si continua osservando le
trasformazioni che questa immagina subisce, come si arricchisce di dettagli, si sviluppa e si evolve. Si
dovrà prender nota con cura di tutte le modificazioni che si producono e dar loro qualche forma di
espressione, poiché altrimenti l’impressione soggettiva sfumerebbe nell’indistinto. Tali modalità
espressive possono essere la scrittura, la pittura o la scultura, talvolta musica e danza, senza eccedere
nell’elaborazioni estetica o, all’opposto, in contenutismo esasperato.

4) Entrata in scena
Il processo raggiunge il suo culmine quando l’evento inconscio suscita in chi sta immaginando il
problema di prender attiva posizione al suo interno. Nella descrizione del metodo su ricordata, Jung
ricorre alla metafora del teatro; sulla scena interna far da spettatori non basta. Se si è compreso che
sulla scena si sta rappresentando il nostro conflitto, non si potrà fare a meno di entrarvi dentro e di
reagire personalmente prendendo parte al suo esito, osando porre domande ed azzardare risposte,
evitando in tal modo la passività della pura fantasticheria.

L’immaginazione attiva, dunque, è un fatto individuale che si svolge in solitudine, senza la diretta
partecipazione dell’analista, il quale deve evitare ogni intromissione; la specificità del metodo, infatti,
sta nella produzione di simboli individuali, in una sintesi creativa della personalità che non va in
alcun modo disturbata con fattori ad essa estrinseci: ”Non c’è una meta che deve essere raggiunta
(nessun “addestramento” all’individuazione), nessun progetto, nessuna immagine, nessun testo ecc.
come indicazione della via, nessuna postura del corpo o controllo del respiro prescritti. Si inizia
semplicemente con ciò che si impone dall’interno, o con una situazione di un sogno relativamente
incompleta nel suo dispiegarsi, o con uno stato d’animo momentaneo.“ ( M.L. von Franz, 2002).
Ogni alterazione, anche impercettibile, sarebbe violazione. Ciò fa da spartiacque con la maggior parte
delle tecniche immaginative in circolazione che ammettono l’interferenza del terapeuta: questi
presenzia, suggerisce il tema, aiuta a superare intoppi, e così via. Già il fatto stesso che l’esperienza si
svolga fuori dell’ora di analisi rivela come l’atteggiamento junghiano fosse quello di interferire il
meno possibile. Ci si limita ad ascoltare l’esperienza del paziente (se questi desideri riferirla)
evitando di sottoporla ad interpretazione. Racconta Barbara Hannah “Quando ero analizzata da
Jung, lui voleva sempre sentire se io avessi fatto una immaginazione attiva, ma dopo aver
ascoltato attentamente, qualsiasi cosa avessi fatto, non analizzava mai né faceva commenti, eccetto
che farmi notare se io l’avessi usata nel modo sbagliato. Dopo di che, sempre, chiedeva i sogni e li
analizzava con grande cura ”(B. Hannah, 1981).
Sempre secondo la stessa Autrice (B. Hannah, 1953), l'immaginazione attiva è consigliabile:

1. Quando l'inconscio straripa con fantasie, il che capita particolarmente spesso con le persone che
hanno un punto di vista molto intellettuale o razionale.
2. Quando vi è un'attività onirica eccedente, allo scopo di contenerla.
3. Quando i sogni sono troppo pochi, o i loro contenuti sono inaccessibili.
4. Quando uno sente, o crede di essere sotto influenze indefinibili, sotto una specie di incantesimo;
oppure sente, o crede di essere dietro una specie di schermo di vetro.
5. Quando è particolarmente alterato l'adattamento alla vita.
6. Quando si incappa ripetutamente nella stessa situazione bloccata.

Secondo Anna Marjula (A. Marjula, 1967), verso la fine della sua vita Jung spesso rimpiangeva che
l'immaginazione attiva non fosse usata largamente dai suoi allievi. Difatti, spesso in analisi
l’immaginazione attiva è del tutto ignorata e poca è l’attenzione che occupa nella formazione degli
stessi analisti. Oltre ad una ristretta cerchia di allievi di Jung, poche sono le varianti degne di nota:
oltre alla particolare rivisitazione offerta da James Hillman, da ricordare è senz’altro il contributo di
Mary Watkins, quello di Micheal Fordham ( il quale si è occupato principalmente della relazione tra
immaginazione attiva e transfert) e soprattutto il “gioco della sabbia” di Dora Kalff. Particolare ed
originale variante alla metodologia classica, è quella proposta da Annemarie Kroke, la quale fa
esperienza di immaginazione attiva all’interno della seduta: ” Ritengo, infatti, che l’immaginazione
attiva nelle sedute in presenza dell’analista dia la possibilità al paziente di entrare in una
particolare vicinanza con la propria dimensione interna.[…] L’immaginazione attiva nelle sedute
promuove, dunque, a mio avviso, e intensifica, il processo terapeutico. L’immaginante scopre la
possibilità di compiere passi trasformativi e può nascere così la fiducia nella “guida” interna
dell’inconscio. Tutto questo rende poi accessibile la continuazione dell’immaginazione attiva senza
l’accompagnamento dell’analista a conclusione dell’analisi” (A. Kroke, 2004). L’Autrice, la quale
propone l’immaginazione attiva per proseguire un sogno, oppure per riprendere un’espressione
metaforica, sintomi fisici o gesti motori, pone particolare importanza nell’entrare con il corpo
nell’immagine sviluppata, poiché il vissuto corporeo facilita l’immaginante a non vivere l’esperienza
dell’immaginazione attiva come un aspetto esclusivamente intellettuale, in quanto quest’ultimo è
carico di emozioni ed affetti. Inoltre, quando l’immaginante si dedica alla percezione dell’immagine
che prende forma davanti ai suoi occhi interni (fase pre-immaginativa), è necessario che anche
l’analista cerchi di far emergere una sua personale immagine, in quanto quest’ultima risulta utile per
orientare l’attenzione nell’accompagnamento immaginativo.

BIBLIOGRAFIA GENERALE

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