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Nelle religioni del mondo il culto e il cosmo sono sempre strettamente congiunti.
Infatti, noi diciamo che Dio si è rivelato non solo nella storia, ma anche nel cosmo.
Nell'Antico Testamento l'uomo diventa libero solo quando si trova nell'alleanza
con Dio. E se la creazione è intesa come spazio dell'alleanza, luogo dell'incontro tra Dio e
l'uomo, ciò significa anche che è pensata come luogo dell'adorazione.
Così Dio prende dimora nel mondo, il cielo e la terra. Si può dire che lo scopo del
culto e lo scopo della creazione nel loro insieme è lo stesso: la divinizzazione, un mondo di
libertà e di dimora.
La liturgia è inserita in quello dell'exitus-reditus: da Dio tutto proviene, e ci lascia
nella libertà per dare una risposta d'amore, perché a Dio tutto ritorna.
Non dobbiamo dimenticare il limite della nostra esistenza umana, il “non ancora”
che stiamo vivendo.
Dall'intendere il Nuovo Testamento come tempo di transizione, come immagine tra
ombra e realtà, deriva la forma specifica della teologia liturgica. Perciò la celebrazione non è
solo rito o solo un “gioco” liturgico”, essa vuole essere logike latreia, trasformazione della mia
esistenza in direzione del Logos.
Dopo che il velo del tempo si è squarciato e il cuore di Dio si è aperto per noi,
abbiamo bisogno dei simboli, dello spazio sacro, del tempo sacro, perché attraverso di loro
possiamo riconoscere nel cuore trafitto del Crocifisso il mistero di Dio.
Quanto all'altare c'era l'usanza di edificalo sopra le tombe dei martiri, perché loro
rendono presente, lungo tutto il corso della storia, il sacrificio di Cristo, e costituiscono l'altare
vivente della Chiesa. Solo dopo il Concilio Vaticano II si è cominciato a celebrare versus
populum, che corrisponderebbe all'immagine originaria dell'Ultima Cena, che è “pasto”
comunitario, però non nel senso del semplice “convito”. ma è veramente memoria del
comando del Signore.
Non è il cerchio chiuso in se stesso che esprime l'essenza dell'evento, ma la
partecipazione comune, che si esprime nell'orientamento comune.
Non è importante lo sguardo rivolto al sacerdote, ma l'adorazione comune, l'andare
incontro a Colui che viene.
La croce può servire come l'orientamento interiore della fede, essa dovrebbe
trovarsi al centro dell'altare ed essere il punto cui rivolgono lo sguardo tanto il sacerdote come
la comunità orante.
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sofferte. Ma lo stesso San Paolo scrisse che il pane e il vino diventano il corpo e il sangue di
Cristo.
Nella storia l'adorazione e il riconoscimento di Gesù nell'Eucaristia hanno avuto
mutamenti linguistici e anche spirituali. Solo “il vero corpo” presente nel sacramento può
costruire il vero corpo della nuova città di Dio, alla quale ci invita il Signore.
Nell'Ostia non è contenuto un dono materiale ma è il Signore stesso presente,
perciò chi lo riceve ha un incontro da persona a persona.
Pertanto si deve rialzare il luogo dove è questa Presenza. Allora la Chiesa non
diventa più un luogo morto, in quanto c'è sempre la celebrazione eucaristica, ci introduce in
essa e ci fa partecipare per sempre all'Eucaristia cosmica.
E' vero che nel primo comandamento si legge “non ti farai idolo né immagine”, ma
Dio stesso dice a Mosè “farai due cherubini d'oro...” queste immagini possono essere
rappresentati proprio per nascondere il mistero della presenza di Dio.
Attraverso l'archeologia si è scoperto che, al tempo di Gesù, nelle sinagoghe
c'erano delle immagini o pitture di qualche passo biblico, come una sorta d'insegnamento.
Anche nelle catacombe cristiane si riconoscono delle iconi sulla storia della salvezza. Gesù
stesso è rappresentato in immagini “allegoriche” ad esempio come pastore.
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Nell'icona c'è l'orientamento spirituale che abbiamo già conosciuto nella liturgia:
essa vuole attrarci in un cammino interiore, nel cammino che va verso l'oriente, verso Cristo
che sta per tornare.
La storia dell'arte ha mostrato tutta la storia della salvezza fino al ritorno del
Signore. Ad esempio, il gotico, il rinascimento, l'arte barocca ed è in questo periodo che si
comincia a parlare d'arte sacra.
Il centro dell'immagine di Cristo è il mistero pasquale e questa immagine insieme a
quelle dei santi, hanno la loro essenza che è condurci al di là del visibile. Perché senza fede
non c'è arte adeguata alla liturgia.
Quando Dio entra in contatto con l'uomo la semplice parola non basta più.
Vengono toccati punti dell'esistenza che diventano spontaneamente canto, esempio è l'uscita
dall'Egitto.
Ma il canto con Cristo diventa “nuovo”, definitivo, però prima bisogna che si
compiano tutte le sofferenze della storia, che tutto il dolore sia raccolto e consegnato nel
sacrificio della lode.
Il salterio diviene per se stesso il libro di preghiera della Chiesa in cammino, così è
realmente una Chiesa che prega con il canto.
Il mistero nuziale dell'unione di Dio con l'uomo, preannunciato nell'Antico
Testamento, si attua nel sacramento del corpo e del sangue di Cristo. Il canto della Chiesa
proviene ultimamente dall'amore: è esso che, in profondità, sta all'origine del cantare.
La musica liturgica cristiana si definisce in rapporto del Logos, perché:
a) essa si riferisce agli avvenimenti con cui Dio è intervenuto nella storia e come centro hanno
Cristo.
b) è lo Spirito che intercede per noi, che ci muove al canto. Spirito che è presso da Cristo.
c) la Parola è il senso creativo da cui proviene il Tutto, quello ci conduce alla liturgia cosmica,
cioè ci unisce ai cherubini, ai serafini e agli angeli nella lode.
Il Logos stesso è il grande artista in cui tutte le opere dell'arte sono originariamente
presenti, quindi il canto significa porsi sulle tracce del Logos e seguirlo.
Capitolo 1 Il rito
Il rito è per i cristiani la forma concreta, che supera i tempi e gli spazi in cui si è
comunitariamente configurato il modello fondamentale dell'adorazione che ci è stato donato
dalla fede. E ha il suo luogo primario nella liturgia.
Le origini dei riti sono la Chiesa di Roma, Alessandria (rito copto ed etiopico),
Antiochia (siro occidentali, malabarico, caidalci) e Bisanzio.
I riti non sono solo prodotti dell'inculturazione, benché abbiamo fatto propri
elementi di culture diverse, essi sono figure della tradizione apostolica e del suo sviluppo nei
grandi ambienti tradizionali.
Il rito è espressione dell'ecclesialità e della comuritarietà che supera la storia, della
preghiera e dell'azione liturgica.
1 Partecipazione attiva
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La vera “azione”, a cui noi tutti dobbiamo prendere parte, è azione di Dio stesso. E'
questa la novità e la particolarità della liturgia cristiana, deve essere ben visibile che l'oratio dà
spazio all'actio di Dio.
Ma in tutto questo il corpo deve essere “allenato” per la Risurrezione, che si
esprime attraverso dei gesti.
3 Atteggiamenti
• Inginocchiarsi (Prostratio)
Nell'inginocchiarsi si distingue l'atteggiamento di distendersi fino a terra davanti
alla predominanza di Dio. Anche lo stesso Gesù prega in ginocchio nel Getsemani, mostrando
così la caduta dell'uomo, solo così può accettare la volontà del Padre.
Purtroppo, può darsi che nella nostra cultura sia estraneo mettersi in ginocchio,
questa è una cosa da ricuperare perché chi impara a credere, impara a inginocchiarsi.
• Stare in piedi e sedersi: liturgia e cultura
Stare in piedi nell'Antico Testamento è un atteggiamento di preghiera mentre per i
cristiani era sopratutto la forma pasquale della preghiera, perché è gesto del vincitore e noi ci
uniamo alla vittoria di Cristo con questo gesto. Anche, l'immagine dell'orante raffigurata che è
in piedi nelle catacombe ci fa capire che la nostra preghiera è anticipo della vita futura in
adorazione.
Mentre stare seduti è segno di raccoglimento, il corpo deve rilassarsi per l'ascolto e
la comprensione di ciò che succede.
Per altro, la pietà popolare dilata il mondo della fede e gli conferisce la sua vitalità
in ogni contesto di vita. Essa è meno universale della liturgia, che nell'unità della fede unisce
tra di loro grandi spazi e abbraccia culture differenti. Ma l'unità del rito dona l'esperienza reale
della comunione.
4 Gesti
Le mani allargate verso l'altare e aperte sono segno dell'orante e, allo stesso tempo
ricordo della croce di Cristo. Le mani giunte sono segno di fiducia e di fedeltà, non in se stessi
ma nel Signore. L'inchinarsi è gesto di sapersi indegno di sostenere lo sguardo del Signore, di
umiltà. Il battersi il petto è segno di riconoscersi colpevoli e quindi bisognosi del perdono di
Dio.
5 La voce umana
Il Logos e la voce dell'uomo sono essenziali nella liturgia. Il Dio che si è rivelato
cerca una risposta e, proprio dentro della liturgia attraverso l'Amen, l'Alleluja, l'Et cum spiritu
tuo, ecc. noi diamo risposta a Colui che ci parla.
Nella liturgia rispondiamo anche col nostro silenzio e perché questo sia fecondo,
deve portarci alla comunione col Signore. Abbiamo due momenti per riflettere, dopo l'omelia e
dopo la Comunione, e anche in quei momenti della preghiera silenziosa del sacerdote.
In questo possiamo notare che c'è ancora tanto bisogno di educazione liturgica, per
riconoscere il significato di ciò che accade.
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6 Abiti liturgici
Utilizzati per celebrare l’Eucaristia, manifestano che chi presiede lo fa al posto di
un altro: Cristo; perciò è strumento di Cristo, ma deve rivestirsi di Lui, dell’uomo nuovo come
dice San Paolo.
Questo richiama il sacerdote ad entrare nella dinamica che lo porta fuori di se
stesso e fa tutto come Cristo e per Cristo. E' segno scatologico di ciò che ci attende.
La teologia delle veste diventa così una teologia del corpo. Corpo che va in rovina,
che è solo una tenda provvisoria, ma allo stesso tempo è anticipazione del corpo definitivo.
7 Materia
La materia di questo mondo appartiene alla liturgia ed entra in due modi: nella
forma di simboli multiformi (fuoco, campana, ecc), anche nei sacramenti, che costituiscono la
liturgia in senso stretto che non hanno bisogno di altro. Ad esempio, la materia della
confessione, dell’ordinazione sacerdotale e del matrimonio è l'uomo. Ma gli altri quattro
hanno bisogno dell’acqua, dell’olio, del pane, e del vino. Così gli elementi diventano materia
dei sacramenti grazie al loro legame con la storia unica e irripetibile di Dio con gli uomini in
Gesù Cristo.