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FERDINANDO RANCAN

IL SENSO DEL VIVERE


Uomo - Tempo - Eternit

(cenno biografico sullautore)

Don Ferdinando Rancan nato a Tregnago, Verona, il 14 giugno 1926. Dopo aver conseguito la maturit classica, si laurea in Scienze Naturali nel 1955 presso lUniversit La Sapienza di Roma. Tornato a Verona e completati gli studi teologici, riceve lOrdinazione Sacerdotale e si dedica per parecchi anni allinsegnamento nel Seminario diocesano e nei Licei della citt. Dopo essere stato parroco per ventanni presso la Pieve dei Santi Apostoli in Verona, attualmente svolge il suo ministero sacerdotale presso la chiesa di SantEufemia nella sua citt di Verona.

Altri scritti:
L dove cielo e terra si incontrano (La preghiera e la Messa nella vita del cristiano) Ricevi questo anello... (Riflessioni sullamore umano e il matrimonio). Non presentarti a mani vuote davanti al Signore - Come santificare il tempo Ed. Segno di Udine Fiori di melograno Raccolta di poesie. Ed. Athesis In quella casa cero anchio Vita di Ges narrata da un piccolo. Ed. Fede & Cultura

PREFAZIONE
Un millennio muore, un millennio nasce! Il tempo di fronte alleternit: luomo di fronte a Dio. La ruota del tempo non conosce stanchezze, ma anche il suo moto non soffre impazienze. Il tempo non invecchia mai, il giovane compagno di viaggio di tutte le cose. Quanti millenni avr visto nascere lumanit? Quanti ancora ne vedr tramontare? Le ere del cosmo sono nascoste nellet delle stelle, e le vicende della terra giacciono sepolte negli strati della sua corteccia; ma i millenni della storia, quelli passati e quelli che verranno, sono scritti in un libro che nessuno conosce. Non dato a voi di conoscere i tempi e i momenti.... Eppure, da sempre, luomo ha sentito il bisogno di misurare il tempo e le cose, segno che in lui qualcosa sfugge ad ogni misura; egli misurato dal tempo ma anche misura del tempo; qualcosa in lui attinge ad una coordinata trascendente: leternit. Per secoli il sole stato lunico orologio delluomo. Poi un giorno gli antichi inventarono la clessidra; vi facevano scorrere lacqua o la sabbia, ma in realt vi vedevano scorrere il tempo. Infatti, lassillo profondo del cuore umano non sta nel desiderio di misurare le cose, ma sta nel bisogno di capire il lento e inarrestabile scorrere del tempo che gli ricorda il problema cruciale dellesistenza: che senso hanno le cose, e soprattutto che senso ha ci che scorre dentro il tempo, cio la vita. E cos ciascuno di noi tiene nelle proprie mani la sua clessidra. C' chi la guarda come un giocattolo e magari ci scherza e se ne trastulla: sono le anime superficiali che si giocano la vita per il tempo, mentre le anime nobili e sagge si giocano il tempo per la Vita. C' chi guarda la sua clessidra con terrore: anime assillate dall'angoscia per il tempo che, inesorabile, non si ferma mai, e anime in ansia per la paura che improvvisamente si svuoti la clessidra e il tempo finisca nel nulla. C' chi guarda la sua clessidra giocondamente; vorrebbe che scorresse lenta per godersi il tempo; sono anime di buontemponi che "non hanno tempo" per la Vita. C' poi chi guarda la clessidra con gli occhi smarriti di chi s'interroga sull'oggetto che tiene tra le mani e non sa che farsene perch non sa a che cosa serve; non conosce n il tempo n la vita perch non conosce s stesso. C' infine chi la clessidra non la vorrebbe guardare affatto, vorrebbe nasconderla, eliminarla: la vede come un giudice implacabile che gli ricorda diritti e doveri, compiti e mansioni, progetti e responsabilit... gli ricorda la Vita. Ma la clessidra sempre l, incollata alle nostre mani. Non abbiamo alternative: o usarla per misurare il tempo, o usarla per misurare la Vita. Il cristiano guarda alla sua clessidra con gli occhi luminosi di un figlio di Dio. Ama la clessidra perch ama la Vita; vive la vita e perci gioisce della clessidra. La tiene nelle sue mani senza scuoterla o abbandonarla, e quando il momento la capovolge, perch il cristiano continuamente "ricomincia" nella sua vita di figlio di Dio. Il cristiano sa che gli appartiene la vita e gli appartiene il tempo, e non li separa perch, in noi creature, la vita senza il tempo un'utopia e il tempo senza la vita il nulla.

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Abbandonata la clessidra, la tecnica ci ha dato lorologio. Orologi sempre pi sofisticati, autentici capolavori di fantasia per la forma e di precisione per la tecnica stanno scandendo su tutti i meridiani della terra gli istanti infinitesimali della vita umana. E cos abbiamo prodotto milioni di orologi, ma forse abbiamo perduto il senso del tempo e smarrito il cammino della vita. Dio lunico, vero orologio delluomo, il solo che possa illuminare il nostro cammino nel tempo e far scorrere nel tempo il flusso della Vita. Dobbiamo tornare al Sole, il sole divino: Ges Cristo. E lui la pienezza del tempo. Egli abbraccia il tempo da cima e fondo e lo illumina tutto: Io sono lAlfa e lOmega, il Primo e lUltimo, il Principio e la Fine... Colui che era, che e che viene. Da duemila anni questo Sole illumina il mondo, ma da sempre e per sempre Egli illumina lumanit. E lui lorologio della storia umana, lui: Ges Cristo, unico Salvatore, ieri, oggi e nei secoli. Pronunciare queste parole nella societ di oggi come parlare un linguaggio indecifrabile, estremamente lontano e incomprensibile, di cui si perso completamente il vocabolario. Ges Cristo: la cultura secolarizzata in cui viviamo ha tolto a Ges di Nazareth ogni rilevanza storica, lo ha ridotto ad una figura fra le tante, perduta nella nebbia del passato. Tuttal pi serve come pretesto per tavole rotonde o per fictions televisive e cinematografiche. Unico Salvatore: il significato di queste parole esula completamente dai problemi delluomo contemporaneo. Luomo, oggi, ha bisogno di medicine che sconfiggano i grandi nemici dellumanit: il cancro, lAids, la senilit, ha poi bisogno di lavoro, di libert, di strutture sociali che lo garantiscano e gli forniscano sicurezza. Di quale salvezza sia portatore Ges Cristo, luomo del nostro tempo non lo comprende. Tuttal pi, quello che egli riesce a scoprire in Ges di Nazareth un affascinante esempio di solidariet umana, di onest, di fortezza e coerenza morale che lo collocano tra i grandi spiriti, tra i leaders morali e religiosi dellumanit, destinato quindi a condividere con loro lo spazio riservato ai problemi spirituali delluomo, in un pluralismo religioso dove tutte le risposte rivestono uguale dignit. Ieri, oggi e nei secoli: anche questa espressione contiene categorie che la nostra cultura, soprattutto occidentale, ha perduto da tempo. Nel senso tradizionale, cio nel senso comune dellumanit, ieri ha una sua consistenza oggettiva e appartiene alla storia. Nella cultura attuale non esiste un ieri vero e proprio, ma un passato puramente soggettivo che non appartiene alla storia ma alla memoria, un passato che diventa interpretazione puramente soggettiva di una memoria rovinata da ideologie e corrotta dalla menzogna. Cos pure, loggi delluomo moderno non ha un suo valore, un suo contenuto oggettivo, si riduce a pura fruizione di ci che il benessere pu offrire insieme allangosciosa tensione verso un futuroutopia conteso fra timore e desiderio. In altre parole, luomo del nostro tempo, ormai abbuffato di cultura scristianizzata, non conosce pi la realt, quella vera, quella profonda, quella che dura sempre perch radicata nei valori perenni che non passano e non invecchiano. E cos gli rimasto solo il moto, il fluire superficiale di ci che passa, di ci che effimero e apparente. E la cultura del non-senso, della mancanza di significato, cultura di cui imbevuto luomo contemporaneo. Ebbene, proprio a questuomo della societ secolarizzata, che non ha pi n mezzi n categorie culturali per capire, lunica voce disponibile che pu aiutarlo e pu rendergli possibile la conoscenza della Verit la voce di Ges Cristo che continua ad offrirsi al mondo come Via, Verit e Vita. 4

Occorre ripeterlo con forza: Ges Cristo l unico Salvatore, ieri, oggi e nei secoli: lo ieri di Cristo la sua Incarnazione, Passione, Morte e Risurrezione nella loro realt storica come i Vangeli ce lhanno consegnata e nel loro perenne valore salvifico; loggi di Cristo la Chiesa; in essa, con il Vangelo e i sacramenti, Cristo continua la sua presenza di Salvatore. Il cristiano - occorre ripeterlo - non crede ad un uomo del passato, ad uno dei grandi spiriti dellUmanit. Budda morto, Confucio morto, Maometto morto, Socrate e Platone sono morti; e sono morti anche Abramo, Mos e i Profeti. Cristo vivo perch risorto e ha vinto la morte. Infatti la sua stessa morte non stata una morte, ma stata il sacrificio della sua Vita per la salvezza del mondo. infine, i secoli dei secoli sono la sua eternit, dove Cristo risiede alla destra del Padre nella gloria come unico, grande intercessore per tutta lumanit.

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Natale 1999: la Chiesa entra dunque nel terzo millennio della sua storia. Vi entra con una rinnovata e pi profonda consapevolezza che Colui che duemila anni fa nato a Betlemme, lha costituita come segno levato fra le Nazioni. Un segno che ha attraversato secoli di storia segnati dal sangue dei martiri, dalleroica dedizione di tanti pastori, dalla vita di innumerevoli testimoni dellamore di Dio; ma anche un segno che passato attraverso venti impetuosi e terribili tempeste che hanno inferto dolorose ferite e lasciato profonde cicatrici sul suo corpo, e tuttavia un segno del quale tutti i popoli della terra, oggi come non mai, hanno bisogno. Lumanit, questa folla sterminata di esseri umani che copre la terra, appare sempre pi come un gregge sbandato senza pastore. Negli ultimi secoli molt i mercenari hanno preteso di essere pastori, e i lupi hanno sbranato interi popoli, e i popoli stessi sono diventati lupi rapaci gli uni per gli altri. Unumanit stremata e sbandata approda cos, col suo carico di valori e di orrori, al terzo millennio dellera cristiana come su un altopiano dopo una lunga e faticosa scalata. Lultima rampa di questa scalata, il secolo ventesimo, stata la pi dura e drammatica di tutto il suo lungo viaggio nella storia. Questo secolo dilaniato dalle ideologie, drogato dai successi tecnici e materiali, rimarr come uno dei pi crudeli e disumani nellesperienza dellumanit. Milioni di esseri umani sono stati sacrificati dallodio: guerre senza interruzione, crudeli e devastanti, hanno attraversato quasi tutte le regioni del pianeta, idee impazzite e princpi delirant i hanno costruito lager, gulag, foibe, forni crematori, hanno giustificato genocidi, pulizie etniche, deportazioni forzate, violenze e terrorismi che non hanno risparmiato esseri innocenti e indifesi. Un secolo duro e violento in cui si distrutto molto e costruito sul nulla, un secolo in cui la dignit della persona umana ha subito violenze e umiliazioni che hanno pochi riscontri in altre epoche della storia. Questa progressiva pazzia che si scatenata contro luomo e contro Dio ha procurato alla Chiesa migliaia di martiri: dallEstremo Oriente al Messico, dalla Spagna ai Paesi dellEst, in molte regioni dellAfrica e dellAmerica Latina... Davvero, al termine di questo secondo millennio la Chiesa diventata nuovamente Chiesa di martiri (TMA n. 37). Essa dunque continua ad essere pi che mai segno di contraddizione, e tuttavia lunico segno levato fra le Nazioni che offra allumanit confusa e stressata una Verit certa e una salvezza vera. 5

Verit e salvezza hanno un Nome che di origine divina perch stato imposto dallalto: Lo chiamerai Ges, cio Dio-che-salva. E dunque un nome costitutivo della persona e della sua missione. La persona il Figlio di Dio, la missione la salvezza degli uomini. Luna e laltra non possono venire meno, ma riempiono il Tempo e la Storia. Incontrare Cristo, vivo e vivente nella Chiesa, la grande sfida del terzo millennio alla quale sono chiamati tutti i popoli della terra, tutte le Nazioni, tutte le culture e le civilt. E questo il grido profetico lanciato al mondo dal Pietro del 2000: Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo! Alla sua salvatrice potest aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civilt, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa cosa dentro luomo. Solo lui lo sa. Oggi cos spesso luomo non sa cosa si porta dentro, nel profondo del suo animo, del suo cuore, cos spesso incerto del senso della sua vita su questa terra. E invaso dal dubbio che si tramuta in disperazione. Permettete, quindi, - vi prego, vi imploro con umilt e con fiducia - permettete a Cristo di parlare alluomo. Lui solo ha parole di vita, si! di Vita Eterna. Anche noi, guardando a Cristo lungo le pagine di questo libro, terremo in mano la nostra clessidra, ricordandoci che il tempo un tesoro che Dio ci ha consegnato. Ci che scorre nella clessidra non pi sabbia e nemmeno oro o brillanti, un tesoro molto pi prezioso: la Vita, quella umana e quella divina che Cristo ci ha portato e che lAmore trasformer in Eternit.

LAutore

Verona, 14 settembre 1998 Festa dellesaltazione della Santa Croce

IL TEMPO

1 - Una leggenda
Alfonso il Savio, re di Castiglia e di Len, una delle personalit pi rappresentative del Medio Evo europeo, ha raccolto in una delle sue "Cantigas de Santa Maria" un'antica leggenda mariana che nella sua graziosa ingenuit pu farci sorridere e tuttavia possiede la forza delle cose vere, delle verit che fanno pensare. La leggenda narra che un pio monaco, la cui semplicit potrebbe degnamente figurare nei fioretti di S.Francesco, fu preso da un vivo desiderio di conoscere il Paradiso. Teneramente devoto com'era della Vergine Santa, si rivolse a Lei pregandola di ottenergli il privilegio di vedere il cielo, anche solo per un momento. La Madonna accolse il desiderio di quel monaco e lo fece portare in Paradiso, ma quando fece ritorno nel suo monastero, egli si trov completamente smarrito; non riusciva a riconoscere nessuno dei suoi compagni. In realt, la sua permanenza in Cielo nella contemplazione della gloria di Dio, permanenza che gli era sembrata brevissima, era durata tre secoli. Il Beato Josemara Escriv, che cita questa stessa leggenda in una delle sue omelie 1 (la applica al mistero della Santissima Eucarestia, dove Ges Cristo da venti secoli ci attende, ci ama e ci cerca), fa osservare che per un cuore innamorato venti secoli sono come un soffio. Ma la singolare vicenda di quel monaco potrebbe suggerirci un'altra riflessione, su una verit anch'essa importante per ogni cristiano, anzi per ogni uomo: esiste un nesso essenziale tra la nostra vita sulla terra e la nostra vita nel cielo, fra il tempo e l'eternit. In sostanza, l'esperienza vissuta dal pio monaco della leggenda stata questa: un solo istante di gloria nel cielo ha riempito tre secoli della sua vita sulla terra; come dire che il valore del tempo sta nel suo peso di eternit. Tutta la nostra vita sulla terra, quella pi breve e quella pi longeva, come anche la stessa vicenda umana con tutti i millenni della sua storia, ricevono valore e significato dall'Istante Eterno, cio da Dio che chiama tutte le creature a partecipare della sua gloria.

2 - Il mistero del tempo


Il mistero del tempo ha sempre affascinato e tormentato l'intelligenza umana; pensatori e filosofi, scienziati e poeti, hanno inseguito le ragioni profonde di questo mistero e si sono cimentati con i pi raffinati strumenti del sapere filosofico, scientifico e poetico, in risposte che fossero luce per la precaria condizione terrena dell'uomo e ne appagassero l'inquieto bisogno di immortalit. La stessa coscienza dell'uomo comune, l'uomo di tutti i tempi, stata fortemente toccata da questo fascino, e tutti conosciamo gli innumerevoli riferimenti al mistero del tempo che in ogni cultura e civilt hanno caratterizzato tradizioni popolari, riti religiosi,
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Beato Escriv, E' Ges che passa, n. 151

consuetudini sociali e rappresentazioni mitiche, e che hanno influenzato letteratura e folclore. Tutto questo la conferma che il mistero del tempo coinvolge intimamente il senso stesso della vita umana, chiama in causa il significato della nostra esistenza sulla terra; in definitiva, pone il problema del nostro destino, il destino di creature che sentono di avere qualcosa che non si pu ridurre al semplice divenire, al puro fluire della vita e delle cose. Ci che scorre sotto i nostri occhi e dentro di noi, accendendo desideri e progetti ma insieme consumando energie, risorse e prospettive non tutta la realt; c' qualcosa di immutabile e di eterno nella parte pi intima del nostro essere. Il desiderio stesso che spinge l'uomo verso i grandi valori della vita non sarebbe possibile se questi valori non fossero in qualche modo gi present i nell'uomo, se non a livello di esperienza, certamente come intuizione profonda del suo essere razionale; cos l'aspirazione insonne alla felicit, all'amore, alla pace, cos il bisogno stesso di Dio. Anche il desiderio di eternit che dentro di noi e che nessuna negazione o scetticismo possono eliminare, un sintomo di questa presenza che corre lungo tutto il filo della storia umana. In altre parole, la nostra vita terrena assetata di vita eterna, l'esistenza temporale dell'uomo suppone l'eternit come sua misura e suo valore. D'altra parte Dio non poteva lasciare inappagato l'essere che Egli ha creato a sua immagine e somiglianza, e dentro gli smarrimenti e le amare sconfitte della vicenda umana, l'eternit rimane la coordinata del tempo e della storia; tutto ci che temporale trova il suo fondamento nell'eterno, e tutte le creature hanno perci la loro traiettoria in Dio. E' questo il punto focale del mistero del tempo e dell'eternit, il luogo della loro analogia e perci della loro eventuale commensurabilit; e pertanto di qui bisogna passare per una vera comprensione di tutto ci che esiste. C', dunque, nell'essere umano un bisogno naturale di eternit, bisogno che conferma la trascendenza spirituale del nostro essere.

3 - Tempo ed eternit
Lo scopo di queste pagine non quello di percorrere ci che gli uomini hanno detto o pensato su questi argomenti, n di ascoltare la voce delle cose nel loro inarrestabile fluire. All'intelletto umano, sorretto dalle sole forze naturali, il mistero del tempo non ha mai svelato pienamente il suo volto, n ha aperto le profondit del suo abisso. Davanti al mistero del tempo, la mente umana stata dominata da un senso di smarrimento come davanti a una cosa troppo opaca e immanente per essere penetrata e insieme troppo irriducibile e trascendente per essere dominata. L'autore del Qoelet, il noto libro sapienziale dell'Antico Testamento, tutto pervaso da un senso di angoscia davanti alla precariet del mondo, ricorda l'impotenza dell'intelletto umano di fronte al mistero del tempo: "Ho considerato l'occupazione che Dio ha dato agli uomini... Egli ha fatto bella ogni cosa a suo tempo, ma egli ha messo la nozione dell'Eternit nel loro cuore, senza per che gli uomini possano capire l'opera compiuta da Dio dal principio alla fine".2 Solo la Rivelazione ha svelato pienamente il significato del tempo, lo ha illuminato e reso trasparente, ha aperto un varco attraverso il quale l'eternit ha fatto irruzione nel mondo. C' un passo stupendamente solenne che leggiamo nella liturgia del Natale: "Dum medium silentium tenerent omnia, omnipotens Sermo tuus, Domine, a regalibus sedibus venit", 3 che possiamo liberamente tradurre: "Il tuo Verbo onnipotente, o Padre, dalle sedi eterne del cielo ha rotto il silenzio del tempo e delle cose ed entrato nel mondo". Cristo, la sua Umanit Santissima, ecco l'immensa
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Qo. 3,10-11 Sap. 18,14-15

finestra spalancata sul tempo: attraverso essa l'eternit ha inondato di luce la storia del mondo. Seguiremo, dunque, la strada della Parola di Dio; essa non esclude l'intelligenza e la riflessione degli uomini, ma vi aggiunge la luce della fede. Attraverso questa luce scopriremo che l'eternit non solo la coordinata del tempo, ma anche la sua "pienezza" e il suo significato, e costituisce la garanzia del suo compimento.

4 -

O cara Eternit

La Parola, il Verbo di Dio, che nella "pienezza dei tempi" si fatta Carne, costituisce il punto di riferimento per ogni evento del pensiero e della vita dell'umanit. L'Incarnazione del Figlio di Dio nel grembo verginale di Maria, evento che non ci meraviglia pi, tanto vi siamo abituati, resta il fatto determinante nella storia dell'umanit e nell'intera creazione; esso divide il tempo in due, dando alla vicenda umana il senso di un "ritorno al Padre", che diventa il senso ultimo e finale della storia. Alla luce di Cristo, Luce vera che illumina ogni uomo, il tempo e l'eternit svelano il loro volto e il loro mistero: il tempo appare cos il luogo della fede, l'eternit il luogo della visione; al tempo appartiene la speranza, all'eternit appartiene il possesso; nel tempo ferve il desiderio, nell'eternit esplode l'amore. Fede, speranza, desiderio: il tempo; visione, possesso, amore: l'eternit. E tuttavia, in Cristo, la fede gi contiene la visione, la speranza contiene il possesso, il desiderio contiene l'amore. Tutto per in modo imperfetto. Infatti, finch siamo sulla terra non possibile "vedere" se non per speculum et in aenigmate, di riflesso come in uno specchio, nell'oscurit della fede; non possiamo amare se non nella speranza, perch quaggi nessun vero possesso possibile. L'eternit misura il tempo e, in un certo senso, rivela l'atteggiamento del cuore umano. Ci sono "anime di eternit" che vivono profondamente immerse nella luce della fede cos da non avere quasi cognizione del tempo; per loro il fluire degli avvenimenti un fatto accidentale perch la realt vera, quella che scorre sotto il loro sguardo contemplativo, ci che Dio compie in quegli avvenimenti. Ci sono poi "anime del tempo", che appartengono solo al tempo, che sono come naufragate nel fiume delle cose e degli avvenimenti, dove tutto viene divorato dalla precariet. Sono anime che non sanno vedere un futuro oltre le cose, e rischiano di perdere tutto il loro passato. Ma ci sono anche anime che soggiornano nella mediocrit perch vivono il tempo con una fede senza rischi, con una speranza senza pazzie, col cuore precluso all'estasi dell'amore. Il cristiano che vive nel mondo chiamato a coniugare insieme, nella sua vita, tempo ed eternit, a percorrere cio la strada della santit nelle situazioni ordinarie della sua esistenza. Non c' altra strada per essere felici. I cammini della fede, della speranza, del desiderio portano a Cristo, "Via, Verit e Vita". Ges Cristo: il Tempo e l'Eternit; Lui la pienezza del tempo, Lui sostanza dell'eternit. Cos il tempo cessa di essere un mistero e diventa un tesoro. Non un "tesoro nascosto" ma un tesoro che nasconde la stupenda ed esaltante avventura dell'uomo che cerca, incontra e incessantemente desidera il suo Dio. Dopo aver sperimentato l'incontro con la misericordia di Dio, in un crescendo splendidamente irresistibile, S. Agostino esclama:"O aeterna Veritas, et Vera Caritas, et cara Aeternitas! O eterna Verit, o vera Carit, o cara Eternit! Tu sei il mio Dio, a Te sospiro giorno e notte (...) Tardi ti ho amato, Bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato! Ed ecco che tu stavi dentro di me e io ero fuori e l ti cercavo. Mi avventavo, io deforme, sulle cose belle da te create, che, se 9

non fossero in te, neppure esisterebbero."4 Quel "tardi", cos pieno di nostalgia e di rimpianto, contiene tutto il tempo che abbiamo perduto lontani da Dio, ad inseguire i fuochi fatui della superbia o a giocare con i fantasmi dell'amor proprio, ad ingannarci con le menzogne del piacere. O cara Aeternitas! O Tesoro nascosto nel tempo! Luminoso Mistero che non ti dischiudi "ai sapienti e agli intelligenti ma ti riveli ai piccoli. A Te convergono i cammini della fede, i sentieri della speranza, tutti i desideri dell'Amore!

L'ESSERE NEL TEMPO 5 - Lessere e il tempo


Si dice che il tempo non una realt sussistente, un'entit a s, ma una categoria delle cose, un modo di essere della realt creata. In effetti, il tempo in s non esiste. Ci che invece esiste l'essere: l'Essere per eccellenza, Dio, Colui-che-, infinitamente; e gli esseri finiti, le creature. Gli esseri finiti sono tali perch limitati, sono quindi misurabili. Lo spazio e il tempo sono misure, misurano appunto gli esseri creati. Dio la pienezza dell'Essere, non ha limiti, non soggiace quindi a nessuna misura. Dio non n spazio n tempo, l'Essere di Dio l'Eternit. L'essere delle creature tempo e spazio, e nel tempo e nello spazio misurato il loro movimento. Il moto fondamentale delle creature quello iniziale, il passaggio dal non-essere all'essere, dal nulla di s stesse all'esistenza. E' un moto possibile solo se l'esistenza viene partecipata da Colui che l'Essere da sempre, l'Essere-da-s e per-s. Il tempo dunque misura dei rapporti tra gli esseri finiti e misura del loro moto, ma anche rivelazione del legame profondo che gli esseri finiti hanno con l'eternit. L'essere creato infatti partecipazione all'Essere di Dio, e questo ci ricorda una verit fondamentale che tocca l'aspetto esistenziale del nostro essere: la creaturalit. Il nostro "essere-creature" fonda la vincolazione esistenziale che abbiamo con Dio. Una delle carenze che pi incide sulla cultura moderna e che ha indebolito paurosamente il pensiero dell'uomo contemporaneo la perdita della consapevolezza di essere creatura. L'uomo ha cos falsato la realt di s stesso, ha smarrito la propria identit e ha compromesso radicalmente i suoi rapporti con la verit delle cose. L'angoscia esistenziale che caratterizza le ideologie moderne di ogni colore, non dimentichiamo che l'ottimismo marxista, cos come quello scientista o laicista mascherano un profondo pessimismo sull'uomo - pu essere superata solo ricuperando la dimensione creaturale dell'essere, una creaturalit che rimanda alla Sorgente, a Colui che Fonte di ogni realt, a quell'Essere divino che libera l'uomo dalla caducit esistenziale, dalla perdita della propria identit.

6 - Lessere della creatura


La perdita del senso creaturale conseguenza della negazione e del rifiuto di Dio. L'uomo, rifiutando il suo riferimento ontologico a Dio, e quindi la sua creaturalit, crede di celebrare la propria libert e la propria autonomia, crede di diventare il demiurgo della propria vita e del proprio destino; in realt si ritrova travolto dal tempo senza appigli per le sue aspirazioni pi profonde e per i suoi desideri pi
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S. Agostino, Confessioni, 1.7,27

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sublimi, chiuso nel suo essere contingente, senza prospettive e senza futuro. In fondo, l'angoscia dell'uomo che ha perduto Dio e ha rifiutato la fede non che una claustrofobia dello spirito. Il suo pensiero ripiegato su s stesso ha perduto il respiro dell'eternit, l'apertura agli orizzonti di Dio. Il termine stesso "esistenza", ex-sistere, indica che il mio essere viene da un Altro; io "in-sisto" su un fondamento che non sono io, mi appoggio, mi radico fuori di me stesso. Il mio rapporto esistenziale con Dio ci che mi definisce, mi fa essere, mi rende intelligibile. Senza Dio, io non sono nemmeno pensabile. Del resto, se l'uomo non creatura di Dio, chi ?...Forse un prodotto della Natura, cio di una matrigna che non ha nome, non ha volto, non ha identit? Forse il frutto di una forza cieca, anonima, indefinibile? L'uomo, cos, non sa pi da chi viene e perch esiste. Un senso acuto di smarrimento lo pervade, lo minaccia una sensazione di paura davanti a ci che egli non sa prevedere o non sa dominare, lo avvolge una insicurezza di fondo che si scatena nel bisogno di appropriarsi di s stesso, di trovare certezze nelle proprie risorse, spesso in atteggiamenti di aggressivit intellettuale, di violenza edonistica e di presuntuoso pragmatismo. In realt queste reazioni tentano di coprire una profonda tristezza, una nostalgia, un malessere esistenziale che insegue implacabilmente l'uomo che ha perduto Dio. E' la "sindrome dell'orfanello", di chi non sa chi suo padre, di chi ignora la sua appartenenza e la sua famiglia.

7 - Luomo e la sua identit


Abbandonato Dio, l'uomo cerca disperatamente di sostituirlo; ma avendo perduto il senso del suo essere-creatura non trova che idoli, fantocci di cartapesta che lo beffano, lo deridono e lo deludono, e infine, avendo smarrito le sue "radici" e la sua identit, si trova spaesato nella scena del mondo, come un attore che ha perso il filo e non sa pi ricordare il suo personaggio. Dire che siamo sulla terra per recitare una parte, pu sembrare offensivo, certamente genera fastidio o irritazione. Eppure, ognuno di noi inserito in un dramma colossale, cosmico, il cui copione scritto eternamente dalla sapienza di Dio, nostro Autore. In questo dramma, che l'umanit chiamata a "recitare" sullo scenario della creazione, ognuno di noi un personaggio e deve recitare la sua parte, parte che pu sembrare importante o secondaria ma che comunque la nostra parte, la realizzazione di noi stessi secondo il disegno di Dio. Quando ci allontaniamo da Dio, perdiamo il filo della nostra esistenza, non rispondiamo pi al disegno del nostro Autore. E quando un uomo perde il filo della vita, disorienta totalmente la sua coscienza e finisce per sopravvivere senza sapere cosa deve fare sulla terra; se poi non ricorda pi il suo personaggio, andr vagando smarrito nella scena di questo mondo, oppure diventer una maschera del proprio orgoglio, del desiderio carnale, della propria sete di potere e di successo, la maschera di uno o dell'altro degli innumerevoli idoli creati dal Maligno. Noi uomini siamo "personaggi in cerca del proprio autore", e quando vogliamo fare a meno dell'autore, trasformiamo quella che dovrebbe essere una recita corale stupenda, un'immensa sinfonia di voci e di personaggi, nella rissa scomposta, stupida e crudele, che va insanguinando la scena di questo mondo, il palcoscenico della nostra storia terrena. Senza Dio, noi siamo esseri anonimi, che sorgono e tramontano senza motivo, la nostra vita si riduce a una "inutile passione" (Sartre), un'assurda commedia, un incubo insopportabile.

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8 - Ritrovare le origini
Dobbiamo tornare a Dio; dobbiamo ritrovare la strada che conduce a Lui perch abbiamo bisogno di ritrovare noi stessi, di riscoprire il nostro nome e la nostra "immagine", perch si illumini dentro di noi la nostra identit e il nostro destino. Dobbiamo ritornare al nostro posto di creature docilmente vincolate a Dio, all'Autore di tutto: del nostro essere, del nostro vivere, della nostra sorte futura. "In manu tua tempora mea" 5, nelle tue mani sono i tempi e le stagioni della mia esistenza. Dobbiamo tornare a Dio come creature sue per riassaporare il gusto della libert, per uscire dall'inganno di altre appartenenze, per rompere dentro di noi il cerchio della solitudine. Nessuno pu cacciare Dio, nessuno pu evitare la sua presenza, eludere la sua luce. Non c' buio, non c' nascondiglio che possano accogliere le nostre fughe da Dio. Victor Hugo ha messo in versi struggenti il disperato tentativo di Caino di proteggersi dall'Occhio di Dio che lo inseguiva ovunque. Ma Dio non ha bisogno di inseguirci; Egli con noi sempre, nel profondo del nostro essere. Egli, scrive S. Agostino, "intimius meo", nelle pi inaccessibili profondit di me stesso. L dove nessuno pu raggiungermi, Egli presente. Chi pu raccontare l'onda di gioia che sgorga dal profondo del nostro cuore quando ci apriamo a Dio affidandoci a Lui, quando ci lasciamo prendere dalle sue mani, mani grandi, potenti, tenere, come grembo dolcissimo, che scioglie con la forza del suo calore il freddo di una solitudine senza riparo, di una vicenda senza nome! Chi pu tradurre in parole umane il fremito di giubilo, l'estasi di felicit che percorre ogni fibra del nostro essere quando arriva al cuore, dal fondo dell'eternit, la Voce che invade di stupore il silenzio dell'anima: "Filius meus es tu, ego hodie genui te". 6 Sei mio figlio! oggi, adesso, ti genero alla mia vita? Filius meus! non un prodotto della Natura, imprevisto e fatalmente programmato; Filius meus! non un oggetto smarrito da recapitare al Monte di piet delle strutture umane; Filius meus! e non una "res nullius", cosa di nessuno, da contrassegnare con un numero o una sigla in attesa di un proprietario. Filius meus! Filius meus! Filius meus! Quale sapore di miele queste parole lasciano nell'anima quando il nostro essere si schiude alla voce di Dio, alla sua potenza di Creatore e Signore della nostra vita!

9 - Il nostro posto di creature


L'uomo un capolavoro firmato. Non possiamo togliere quella firma; non possiamo distruggere quell'Immagine che in noi. Lasciarsi dipingere da Dio con le inesauribili invenzioni della sua tavolozza come lasciargli realizzare un sogno. Narra la Bibbia che Dio, prima di creare l'uomo, stette un attimo in silenzio, come fa un grande artista che si concentra in s stesso, chiude gli occhi e contempla sull'orizzonte sconfinato della sua immaginazione l'opera alla quale vuol dare esistenza e vita: "E Dio disse: Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza". 7 Ognuno di noi un sogno di Dio; egli ci ha contemplati nelle profondit della sua sapienza da tutta l'eternit. Abbandonarsi a lui e accettare di essere "creature" accettare che si compia in noi la sua opera divina. Cos, vivendo la nostra assoluta dipendenza da Dio, potremo realizzare la nostra umanit in tutta la
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Eb. 31,16 Salmo 2, 7 Gn, 1, 26

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sua ricchezza e verit. Questo rapporto di creatura pu aprirsi a un dialogo divino, a un colloquio intimo, o anche a un silenzio d'amore dove le parole sono intensi moti dell'anima che guarda a Colui che l'ha creata e contempla le meraviglie della sua sapienza e della sua onnipotenza. "Dominus, Dominus noster, quam admirabile est nomen tuum", Signore, nostro Dio, quanto grande il tuo nome su tutta la terra.8 In noi cristiani questo atteggiamento contemplativo si fa orazione, che diventa canto di lode, di adorazione, di gratitudine. La gloria di Dio, che lo splendore delle perfezioni divine, si dispiega davanti agli occhi stupiti dell'anima che non trattiene il suo grido di ammirazione e di esultanza: Laudamus Te! Benedicimus Te! Adoramus Te! Glorificamus Te! Lode a Te! Adorazione a Te! Grazia e benedizione per la tua gloria immensa, o Dio, mio Dio! Stare con verit al nostro posto di creature stare davanti a Dio avendo deposta ogni sufficienza, ogni pretesa, ogni malumore, ogni diffidenza, ogni aggressivit. E' libert, libert vera, piena; capacit di muoversi in mezzo a tutte le creature senza legami, perch quando si contempla il volto di Dio ogni altro volto svanisce, ogni creatura rivela la sua analogia che rimanda totalmente a Lui, alla sua onnipotenza, al suo splendore, alla sua grazia. Tutte le creature, anche le pi perfette, le pi seducenti, le pi affascinanti, hanno un'unica risposta alla inquietudine dell'animo umano: quaere super nos! cerca sopra di noi. (S.Agostino) Cos il massimo di dipendenza - quella di creatura che tutta da Dio e che tutta per Iddio, a Lui totalmente votata - anche il massimo di libert. E' la vera "devozione" cristiana. Il latino "de-vovere" significa appunto libert da ogni legame per diventare decisione interiore di servire Dio e la sua causa. Tutte le creature sono allora voci amiche che non ci distraggono da Dio ma ci raccontano invece la sua gloria esplosa nella creazione. "I cieli narrano la gloria di Dio, e l'opera delle sue mani annuncia il firmamento". 9 Il cristiano sa essere contemplativo in mezzo al coro delle cose create e anche nel frastuono delle realt terrene: il lavoro, le attivit della vita quotidiana, gli affetti nobili e puliti, le vicende che accadono nella vita della societ e dei popoli. Dobbiamo metterci al nostro posto di creature e guardare a Dio per vivere in profondit. La profondit della vita, anzi la profondit di tutte le cose consiste nel loro rapporto con Dio; solo allora le cose diventano una strada per arrivare a Lui. Perci lo strepito di tutto ci che pu accadere intorno a noi non impedir il nostro raccoglimento interiore, n ci toglier la pace che propria di chi sa di vivere sicuro nelle mani di Dio. Chi non sa pensare s stesso come creatura amorosamente vincolata al suo creatore non sar mai un contemplativo, n di Dio n del creato, e finir sepolto nel chiasso di avvenimenti che non hanno storia n significato. Non c' solitudine pi opprimente e insieme pi assordante di quella in cui precipita un'anima quando ha perduto Dio o rifiuta il proprio rapporto con Lui. Il tempo diventa un baratro se gli togli l'eternit! E tu non sei fatto per il baratro o per la disperazione. Non ingannarti: quando l'uomo smarrisce o semplicemente dimentica Dio, dimentica l'Eternit, e diventa un vagabondo nel tempo, un errante nella propria storia, un barbone senza fissa dimora, sperduto tra le cose, una sorta di ubriaco che gira su s stesso, intorno a s stesso...; la sua esistenza terrena sar un cammino doloroso e difficile, diventer un viaggio agitato, in tutte le direzioni senza direzione, e alla fine si concluder in un naufragio, senza certezze e senza speranza. Se ritrovi Dio, le sue braccia forti, sicure, dolcissime, hai ritrovato il filo della tua vita, hai ritrovato te stesso, la tua eternit, la tua pace. Camminerai verso la vita, la verit, la gioia. "Ci che il nostro tempo chiede tempo e solo tempo, mentre ci di cui ha bisogno Eternit". (Kierkegaard).
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Salmo, 8, 2 Salmo 18, 1-2

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IL TEMPO: ITINERARIO DELLA FEDE

Quale Fede?

10 - Fede e Vita Eterna


"Questa la vita eterna: che conoscano Te, l'unico vero Dio e Colui che tu hai mandato, Ges Cristo". 10 Con queste parole Ges si rivolge al Padre nella preghiera sacerdotale al termine dell'ultima Cena. La "Vita eterna" nell'insegnamento di Ges il fine supremo dell'uomo; si identifica con la gloria di Dio, che il fine ultimo di tutte le cose. Ges ci presenta la vita eterna come una realt definitiva, perfetta, permanente, rispetto a tutto il resto che transitorio, imperfetto, caduco; le sue parole dal tono paradossale sono categoriche: "Se il tuo occhio ti occasione di scandalo, cvalo e gettalo via da te; meglio per te entrare nella vita (eterna) con un occhio solo che avere due occhi ed essere gettato nella Geenna del fuoco" 11. Come dire: l'unica cosa necessaria per l'uomo, la sola che valga la pena, la Vita Eterna, e perci conoscere l'unico vero Dio e Colui che Egli ha mandato, Ges Cristo, l'unica conoscenza veramente importante. Affermare queste cose in un mondo come l'attuale, che d importanza a tutto, anche alle cose pi effimere e insignificanti, a tutto fuorch a Dio, pu sembrare un linguaggio provocatorio, incomprensibile. Lo certamente per la mentalit di questo mondo, ma il linguaggio della verit perch Parola di Dio, parola che non inganna. Questa conoscenza del vero Dio, - di Colui che ha creato tutte le cose, che si rivelato in Ges Cristo, Figlio suo e Redentore dell'uomo - questa conoscenza commisura il tempo e l'eternit: il tempo perch qui sulla terra essa oggetto della nostra fede, l'eternit perch in cielo sar causa della nostra beatitudine. In cielo, infatti, la conoscenza di Dio sar immediata e diretta, infusa e trascendente. Immediata, perch non avverr attraverso i nostri concetti ma attraverso l'essenza stessa di Dio; diretta, perch non conosceremo Dio attraverso sue opere ma in s stesso; infusa, perch non sar frutto della nostra attivit intellettuale ma di un intervento esclusivo di Dio; e infine sar trascendente, perch superer ogni capacit creata. In altre parole, conosceremo Dio "come Egli ". 12 Questa conoscenza chiamata "visione" - "vedremo" Dio -; visione che richiede in noi una facolt soprannaturale che i teologi chiamano "lumen gloriae", la luce della Gloria; ed chiamata visione "beatifica" perch, proprio nel "vedere Dio come Egli " consister la nostra beatitudine eterna. La "visione beatifica" non interesser soltanto la nostra facolt conoscitiva ma coinvolger interamente il nostro essere; sar una conoscenza di comunione intima e piena con l'Essere stesso di Dio. Nessuna esperienza umana, per quanto esaltante, pu paragonarsi, anche lontanamente, alla beatitudine della Vita Eterna, n pu esserci sulla terra un termine di confronto che possa esprimere la nostra comunione con Dio nel cielo.
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Gv. 17,3 Mt. 18,9 1 Gv. 3,2

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Intanto, "finch abitiamo nel corpo, in esilio lontano dal Signore, camminiamo nella fede e non nella visione". 13 "La Chiesa, scrive S.Agostino, conosce due vite: una nella fede, l'altra nella visione; una nel tempo del pellegrinaggio, l'altra nell'eternit della dimora; una nella fatica, l'altra nel riposo; una lungo la via, l'altra nella patria; una nell'attivit, l'altra nel premio della contemplazione". 14 Qui sulla terra, la nostra conoscenza del vero Dio, del Dio Uno e Trino rivelato da Ges Cristo, non pu essere che velata e mediata. Velata perch ha bisogno di segni, mediata perch passa attraverso i concetti e i simboli intellettuali. E' comunque una conoscenza che esige, anch'essa, una luce soprannaturale, il "lumen fidei", la luce della fede. "Nessun uomo in verit ha mai visto Dio n lo ha fatto conoscere, ma Egli stesso si rivelato. E si rivelato nella fede, alla quale soltanto concesso di vedere Dio". 15

11 - Fede umana
La fede - il "lumen fidei" - dunque una conoscenza soprannaturale. Ci viene infusa nell'anima col Battesimo e ci porta ad accogliere la Rivelazione di Dio. Non dobbiamo perci confondere la fede cristiana con altre manifestazioni analoghe. Esiste infatti una fede umana che consiste nell'accogliere la parola di un uomo, e ha per fondamento la testimonianza umana. Cos il bambino crede ai genitori, l'alunno crede all'insegnante, l'amico crede all'amico. La fede umana vale quanto vale la parola dell'uomo. Ora l'uomo pu ingannarsi a volte, e pu anche ingannare e tradire. Eppure molto spesso crediamo ciecamente al giornale, al dossier televisivo, ai testi scolastici, alle affermazioni degli "esperti", e cos via. Possiamo affermare che un'alta percentuale delle cose che sappiamo le conosciamo per fede umana. Ora, giusto avere fiducia nell'uomo, anzi doveroso; ma i gradi di certezza di questa fede variano enormemente e dipendono dal grado di credibilit offerto dalla testimonianza umana. Questa fede umana ancora una fede pre-religiosa, appartiene cio ai preamboli della Fede. E' una fede estremamente importante, indispensabile sul piano umano, perch senza di essa non si possono stabilire rapporti umani validi quali occorrono per una vera convivenza sociale e famigliare; non si d nemmeno vera cultura n scienza credibile. Vedremo la sua importanza anche come presupposto della Fede cristiana.

12 - Una fede falsa: le stte.


Esiste invece una fede umana che si presenta come fede religiosa ed invece la grande "Scimmia", quella che nell'Apocalisse chiamata la Bestia, la quale, operando grandi prodigi, "seduce gli abitanti della terra". 16 Questa "fede", che ha la pretesa di essere "religiosa", di esprimere cio il nostro rapporto con Dio ed invece una diabolica falsificazione della religiosit, si regge su una forma corrotta di fede umana, da cui prolifera il fanatismo, l'irrazionalit, spesso la perversione degli stessi rapporti umani: la "fede" delle stte e di altri movimenti pseudoreligiosi. Gli uni e le altre utilizzano elementi della religiosit umana e perfino element i della fede cristiana (riti liturgici, passi della Bibbia, formule della dottrina
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2 Cor. 5,6 S.Agostino, Tratt. 124,5-7 Lettera a Diogneto Ap. 13,14

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cristiana...) per "scimmiottare", adulterandolo e deformandolo, il senso religioso insito nella coscienza dell'uomo, riuscendo spesso a farsi annoverare tra le espressioni della religiosit ufficiale. Se le ideologie rappresentavano una forma di razionalismo rigido ed esasperato, una pazzia pi o meno lucida dell'intelligenza, le stte e i moviment i pseudo-religiosi hanno le caratteristiche dell'irrazionalit, della negazione dell'intelligenza; sono espressioni, a livelli pi o meno intensi, di una emotivit esasperata e confusa che cerca la sua sicurezza nel fanatismo di massa o nella figura di un leader religioso, un santone, un "predicatore" illuminato, un guru, un qualsiasi "fondatore" purch carismatico, la cui personalit sappia incarnare gli ideali di forza, di successo e di potenza che si nascondono nel "super-uomo" mancato, presente in tante psicologie deboli, o che almeno costituisca, tale leader, una garanzia contro le proprie frustrazioni, contro la carenza di senso esistenziale, o la perdita di consenso nel proprio ambiente di vita: la famiglia, la professione, il ruolo sociale, sia esso civile o religioso. Si tratta dunque di una "fede" umana ma adulterata, fondata cio tutta su una testimonianza umana assolutamente inaffidabile perch sganciata da ogni riferimento con la realt, da ogni supporto storico legato a fatti o ad avvenimenti, farcita di principi astratti pseudo-scientifici e pseudo-mistici che hanno impatto sull'emotivit e scatenano atteggiamenti acritici, istintuali. Da qui il loro facile aggancio al mondo dello spiritismo, della magia, della stregoneria, con rituali iniziatici e occulti. A questa fede umana falsificata e corrotta pienamente applicabile il noto anatema di Geremia: "Maledetto l'uomo che confida nell'uomo, che pone nella carne il suo sostegno e il cui cuore si allontana dal Signore". 17

13 - Dignit e importanza delle religioni.


Noi cristiani abbiamo una testimonianza maggiore di quella degli uomini; la testimonianza di Dio. 18 La prima testimonianza che egli ci ha lasciato la troviamo nella nostra coscienza. La coscienza la voce della natura, cio della nostra stessa ragione umana, che dentro di noi parla di Dio e ci spinge verso di Lui. Nasce da qui l'autentica fede religiosa. Tuttavia, questa fede, gi in s altamente importante, non ancora la fede cristiana, la fede soprannaturale infusa da Dio. Infatti, nascendo dalla nostra coscienza di creature razionali che spontaneamente si aprono alla conoscenza e al culto di Dio, la fede religiosa ancora una fede naturale, una fede che si manifesta nelle pi diverse espressioni religiose come quelle che troviamo nelle grandi religioni storiche; e tuttavia, pur nobili e degne di rispetto e pur contenendo element i che richiamano la Rivelazione, esse sono essenzialmente un'espressione del senso religioso naturale insito nello spirito umano. Ora, appunto perch procedono dalla religiosit naturale, le religioni non salvano, non hanno la forza di redimere; non sono salvifiche come non lo tutto ci che nasce dall'uomo, dalle sue forze naturali. Tuttavia, anche se non sono causa di salvezza, esse possono essere condizione per ricevere la salvezza. La religiosit naturale, infatti, unita alla buona fede e sostenuta dalla retta coscienza, tale da costituire un valido presupposto affinch la grazia, scaturita dal sacrificio della Croce, possa operare nell'uomo non cristiano la salvezza di Cristo. In questo consiste la grande dignit delle religioni e la loro importanza. Perci, i veri nemici della fede cristiana sono l'indifferenza religiosa, lo scetticismo razionalista e l'ateismo, atteggiamenti presenti finora nella nostra civilt occidentale ma che vanno
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Ger. 17,15 cfr. 1 Gv. 5,9

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diffondendosi nel mondo sotto la spinta di una "civilt dell'uomo" sempre pi secolarizzata. Tuttavia le religioni naturali possono costituire un ostacolo alla fede cristiana quando esse si identificano con la cultura, la storia, la vita di un popolo e a volte con la sua politica; il pericolo del nazionalismo religioso. In questo caso le religioni "somatizzano", perdono in profondit spirituale e sfociano nel fondamentalismo fanatico e intollerante. Al contrario, la salvezza offerta dalla fede cristiana destinata, per volont di Cristo, a tutti i popoli, di tutte le razze e di tutte le culture. Di di esse e di ogni altra civilt, la Chiesa pu e deve salvare, valorizzare e utilizzare tutto ci che si presenta umanamente valido, nobile e compatibile con la verit rivelataci da Dio. Infine, la fede cristiana non va confusa con il vago teismo di chi dice di credere in "Qualcuno" che al di sopra di noi, non importa con quale nome venga chiamato dai vari popoli, il nome non ha importanza, l'importante sapere che Qualcuno c'. Sotto queste affermazioni, del resto molto superficiali, si nasconde un atteggiamento scettico e offensivo che prescinde da qualsiasi conoscenza di Dio e da qualsiasi culto verso di Lui. Sono affermazioni prive di contenuto religioso; esprimono solo un teismo vago e teorico, assolutamente ininfluente, che non costa nulla e lascia in noi le cose come sono, senza minimamente influire sulla vita. Eppure, a questo livello scaduta la "fede" in molti cristiani, diventata una religiosit rozza ed elementare che non ha niente in comune con la vera fede.

14 - La fede del cristiano: incontro con Dio in Ges Cristo.


Ma Dio non ha lasciato gli uomini nell'ignoranza e nemmeno nella confusione e nell'incertezza riguardo alla verit primaria e fondamentale per la loro vita e anche per la loro intelligenza. La stessa conoscenza naturale di Dio, quella raggiungibile con la sola ragione creata, non appagherebbe pienamente il desiderio di felicit radicato nel cuore dell'uomo, anzi, per le conseguenze negative del peccato originale, resterebbe una conoscenza estremamente povera, imperfetta ed esposta a insuperabili errori e deformazioni. Dio ha voluto andare oltre la natura e con la Rivelazione ci ha aperto gli orizzonti sconfinati della sua realt divina e le meraviglie compiute dal suo amore. Noi siamo soliti condensare questa Rivelazione nelle due verit fondamentali della nostra fede: l'Unit e la Trinit di Dio; l'Incarnazione, la Passione, la Morte e la Risurrezione di nostro Signore Ges Cristo. E' questa la "fede cristiana"; una fede che non solo illumina, completa e perfeziona sommamente la nostra conoscenza naturale di Dio, ma stabilisce tra noi e lui un rapporto nuovo, soprannaturale, divino. Occorre infatti ricordare che queste verit della fede non sono teorie o astrazioni intellettuali, sono realt vive e presenti. Questo passaggio fondamentale; senza di esso la fede rischierebbe di trasformarsi in uno schema mentale o peggio in una ideologia, senza diventare vita e cammino. Il conoscere della fede non si limita alla penetrazione intellettuale puramente scientifica delle verit intorno a Dio; una conoscenza vitale. E' l'incontro personale con Colui che non solo conduce con sapienza e amore tutte le cose, ma fonte della mia stessa esistenza, tiene nelle sue mani paterne tutta la mia vita e mi ha amato a tal punto da darmi il suo Figlio Unigenito. La fede, dunque, l'incontro con Dio rivelatosi in Ges Cristo, incontro che me lo fa "vedere" presente nella mia vita, con una presenza personale e viva, creatrice e salvifica. Avviene nella fede ci che avvenne per Paolo sulla via di Damasco: 19 il Ges, che era per Saulo un personaggio del passato, un uomo giustamente sepolto nel suo inganno, soltanto un nome da dimenticare, stava invece l davanti a lui, vivo e
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cfr. Atti, 9,3-6

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presente nella sua realt di Signore e di Salvatore. La conseguenza di questo incontro folgorante con la persona di Cristo, vivo e presente, stata immediata: "Che devo fare, Signore?". 20 La fede diventa la nuova coordinata della sua vita, il nuovo criterio di valutazione di ogni cosa, la presenza determinante di Cristo che d'ora in avanti decider di tutta la sua esistenza. Anche in noi, questo atteggiamento di assoluta e totale apertura a Dio presupposto indispensabile per la vera fede. "Fede cristiana" - lo ripetiamo - precisamente questo: l'incontro personale con Dio in Ges Cristo, al quale rispondiamo con una adesione piena e totale.

I CAMMINI DELLA FEDE


15 - Lepopea della Salvezza.
Ma apriamo la Bibbia: nel libro dell'Esodo descritto un famoso viaggio che tutti abbiamo sentito raccontare fin da bambini, e che pu servirci per meditare sul nostro viaggio nel tempo perch simbolo, anzi, vera figura profetica della vicenda umana sulla terra e pu essere applicata non solo alla storia dell'umanit ma anche alla storia di ognuno di noi. Si tratta del viaggio che port gli Ebrei dall'Egitto, dove erano vissuti in condizioni di schiavit, alla terra di Canaan, indicata da Dio come "Terra Promessa". Il viaggio potrebbe intitolarsi: Epopea della Salvezza. Noi ce ne serviremo per la nostra meditazione sulla fede; ci convinceremo che la fede l'unica strada sicura per il nostro viaggio nel tempo. L'epopea dell'Esodo prende inizio da un evento che possiamo ritenere fondamentale per la storia dell'umanit: la Teofania sull'Oreb, cio la manifestazione di Dio a Mos nel roveto ardente. 21 In quella teofania, Dio rivela a Mos il suo nome: IO SONO. E' una dichiarazione solenne e misteriosa che ci rivela l'Essere di Dio e illumina la nostra conoscenza naturale di Lui; ma anche la rivelazione che apre definitivamente il cammino della fede sulla terra, quella fede che Dio aveva suscitato un giorno nel cuore di Abramo. Davanti a questa strada della fede, aperta dalla teofania del Roveto, Mos si turba e si spaventa. Egli si rende conto di trovarsi a tu per tu con Dio, davanti a una manifestazione divina che implica un disegno su di lui e sul suo popolo. Dio entra nella sua vita, la sconvolge e la cambia radicalmente, per realizzare un progetto di salvezza. "IO SONO" non indica soltanto l'Essere di Dio nella sua infinita trascendenza, cio nella sua eternit, ma anche la presenza di Dio nel tempo, presenza che diventa un intervento di salvezza: "Io sono qui, per salvarvi". Infatti Dio spiega a Mos: "Ho visto la miseria del mio popolo...e ho udito il suo grido. Sono sceso per liberarlo dalla mano dell'Egitto e per farlo uscire da questo paese verso un paese dove scorre latte e miele". 22 Mos capisce che da quel momento la sua vita non potr prescindere da questa presenza: "Io sar con te", insiste la voce dal roveto. Quella presenza guider la sua vita per cammini non facili, non sempre umanamente spiegabili o comprensibili, anzi spesso duri e difficili, segnati dalla persecuzione e dalla contraddizione, ma saranno comunque sempre cammini di salvezza, i cammini tracciati dalla potenza salvifica di Dio. Dal giorno di quella teofania, Dio veglier amorosamente sulla vita del suo servo Mos, ma anche guider la storia del suo popolo e preparer la salvezza di tutti gli uomini.

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Atti, 22,10 cfr. Es. 3,1-15 Es. 3,7-8

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16 - Ges: il Roveto ardente.


Ora l'umanit pu conoscere che il vero Dio, Colui che l'ha creata e l'ha predestinata da tutta l'eternit, non un Dio lontano, inaccessibile, che dall'alto della sua trascendenza contempla impassibile la storia degli uomini. Il Dio del cielo e della terra, il Creatore di tutte le cose, pur restando un Dio "nascosto", perch trascendente ad ogni conoscenza, si fatto vicino agli uomini, si fatto presente con la sua potenza di creatore e soprattutto con la sua misericordia di Redentore: "Ho visto la miseria del mio popolo e sono sceso per liberarlo". Diventare consapevoli della presenza di Dio nella nostra vita, "vederlo" come colui che ci salva, questa la fede. Mos viene interpretato dalla tradizione patristica come figura profetica di Ges Cristo; ma potrebbe essere anche il prototipo di ogni credente. Anche noi abbiamo la possibilit di udire la voce di Dio che ci parla: il nostro roveto ardente l'Umanit Santissima di Ges. L il Padre presente, l ci rivolge la sua parola, l rivela s stesso e attua il suo disegno di salvezza. Ges stesso lo afferma esplicitamente: "Filippo, come puoi dire: mostraci il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre in me?". 23 Allo stesso modo del roveto ardente dell'Oreb, che "bruciava nel fuoco e non si consumava", l'Umanit Santissima di Ges rester ormai per sempre in mezzo agli uomini come il "luogo" della presenza salvifica di Dio, evento determinante nella storia umana, fonte di verit e di salvezza per tutti coloro che nella fede si avvicineranno a Lui. Ma occorre imitare Mos, che si lasciato attirare dal roveto ardente; anche noi dobbiamo lasciarci attirare da Cristo, senza ingannarci con gli idoli falsi del mondo, anche noi dobbiamo "toglierci i sandali", rinunciando alle nostre presunzioni, all'orgoglio dell'intelligenza e del cuore; anche noi dobbiamo ascoltare la sua voce e non opporre resistenza agli inviti di Dio. Il tempo ormai dominato da ci che accaduto a Betlemme, a Nazareth, a Gerusalemme. Senza quel "Roveto ardente" gli uomini sarebbero rimasti, come Mos nella terra di Madiam, errabondi e smarriti nel deserto della loro esistenza, a pascolare il gregge delle proprie dottrine e delle proprie vane realizzazioni, senza nemmeno sapere che sono fatti per una "Terra promessa", per un "paese grande e spazioso dove scorre latte e miele". 24 La fede un dono grande di Dio. E' un dono che eleva la nostra intelligenza e la rende capace di conoscere e penetrare le verit che Dio ci ha rivelato. Alla luce di queste verit la nostra mente pu cogliere il senso soprannaturale del nostro cammino sulla terra e le profondit eterne del tempo presente. Il dono della fede associato al grande dono della grazia. E' come un dono nel dono. La fede, infatti, ci viene infusa con la grazia santificante nel Battesimo e cresce in noi col crescere della grazia. Dio non si limita a farci conoscere il suo disegno di amore; con la Rivelazione Egli ci fa anche dono di s stesso, ci chiama a una conoscenza che implica la partecipazione vitale alle verit che Egli ci ha rivelato.

17 - In Ges il compimento delle Scritture.


Tornando all'esperienza di Mos e del popolo ebreo, sappiamo che Dio si manifestato sempre pi apertamente attraverso segni prodigiosi da lui compiuti "con braccio forte e con mano potente", e che vengono ricordati nella Bibbia come le "meraviglie di Dio" - Magnalia Dei -. Egli infatti, mediante il sangue dell'agnello, ha liberato dalla schiavit il popolo eletto, lo ha fatto passare illeso attraverso il Mar
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Gv. 14,10 Es. 3,8

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Rosso, lo ha condotto nel deserto guidandolo con la nube luminosa e la colonna di fuoco, lo ha nutrito con la manna e dissetato con l'acqua fatta zampillare dalla roccia, lo ha salvato dalla morte con il segno del serpente di rame innalzato sopra gli accampamenti, infine lo ha reso vittorioso sui nemici con la preghiera di Mos. Con questi "segni" della sua potenza, Dio mostrava di essere in mezzo al suo popolo e di accompagnarlo nel suo cammino; si trattava dunque di una presenza salvifica che avrebbe portato a una libert nuova in una terra nuova. Ma tutto questo era anche una figura che anticipava profeticamente la vera salvezza. Quei "segni" infatti, diventeranno realt in Cristo; in Lui si compir la salvezza vera, la salvezza dal peccato e dalla morte. E' Lui infatti la salvezza di tutto il genere umano; la sua Umanit Santissima il "segno efficace" della presenza salvifica di Dio nel mondo. Ges stesso si richiama a quei segni quando spiega alle folle e ai suoi apostoli come in lui si sono compiute le Scritture. Quei segni compiuti da Dio per mezzo di Mos, erano puramente "indicativi" e operavano solo una salvezza temporale; in Cristo i segni della salvezza diventeranno "efficaci", cio opereranno realmente la salvezza eterna per ogni credente. Cos, l'agnello sacrificato, il cui sangue ha scampato gli Ebrei dallo sterminio e li ha liberati dalla schiavit, figura di Cristo sacrificato sulla croce: il suo sangue fa dell'intera umanit un "popolo redento", e il suo sacrificio verr perpetuato ogni giorno sugli altari nella Santa Messa; le acque del Mar Rosso, che seppellirono il Faraone e salvarono la vita a Mos e al suo popolo, diventeranno le acque del battesimo che seppelliscono "l'uomo vecchio", schiavo del peccato, e lo rigenerano alla Vita; la manna, che ha nutrito il popolo nel deserto, sar per noi l'Eucaristia, "pane vivo disceso dal cielo" che ci nutre e ci sostenta nel nostro cammino sulla terra; il serpente di rame che guariva dai morsi dei serpenti, figura di Cristo crocifisso che perdona e ci guarisce dai morsi letali delle nostre colpe quando a lui "guardiamo" attraverso il sacramento della Confessione; l'acqua viva scaturita dalla roccia percossa dalla verga di Aronne lo Spirito Santo che sgorga dal cuore trafitto di Cristo Crocifisso; infine, nella colonna di fuoco che guidava il popolo e nella nube luminosa che lo proteggeva nel deserto, possiamo vedere l'opera dello Spirito che, con la sua presenza nella Chiesa, guida e custodisce nel cammino coloro che Cristo ha liberato. La fede, dunque, ci conduce a Cristo presente nella Chiesa e operante nei suoi Sacramenti. Cos il "Dio-che-salva" ormai definitivamente presente in mezzo agli uomini. Perci: Fede e Grazia. La fede da sola non basta, occorre la grazia, e Dio ha voluto che "la verit e la grazia venissero a noi per mezzo di Ges Cristo". 25 Ges poi continua ad essere presente e ad operare nel mondo attraverso la Chiesa che, per mezzo del vangelo e dei sacramenti, fa arrivare la verit e la grazia a tutti gli uomini. Dio ha voluto che questi fossero i mezzi normali per raggiungere la salvezza. Non c' dunque vita cristiana senza sacramenti, e la fede stessa senza la grazia morta.

18 - Fede: alleanza tra Dio e il suo popolo.


La Teofania del Roveto ardente e i segni prodigiosi nei quali Dio si rivelava al suo popolo, culminarono in un'altra grande manifestazione: la Teofania del Sinai. Dio chiama Mos sulla montagna e lo fa mediatore di una solenne alleanza con il suo popolo. 26 Come pegno e documento di questa alleanza gli consegna le tavole della Legge: "Mos convoc tutto Israele e disse loro: Il Signore nostro Dio ha stabilito con noi un'alleanza sull'Oreb (...), Egli disse: Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho
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Gv. 1,17 Es. 19,16 seg.

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fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla condizione servile (...). Non ti farai idolo n immagine alcuna di ci che lass nel cielo n di ci che quaggi sulla terra (...) non ti prostrerai davanti a quelle cose e non le servirai. Perch io, il Signore tuo Dio, sono un Dio geloso (...) Non pronunciare invano il nome del Signore tuo Dio (...) Osserva il giorno del Sabato per santificarlo, come il Signore tuo Dio ti ha comandato (...) onora tuo padre e tua madre, perch la tua vita sia lunga e tu sii felice nel paese che il Signore tuo Dio ti dar. Non uccidere. Non commettere adulterio. Non rubare. Non pronunciare testimonianza falsa contro il tuo prossimo. Non desiderare la moglie del tuo prossimo. Non desiderare la casa del tuo prossimo, n il suo campo, n il suo bue (...)". Queste parole pronunci il Signore parlando a tutta la vostra assemblea sul monte, dal fuoco, dalla nube e dalla oscurit, con voce poderosa, e non aggiunse altro. Le scrisse su due tavole di pietra e me le diede". 27 I Comandamenti diventano cos agli occhi degli Ebrei uno dei segni pi evidenti e insieme pi commoventi della presenza di Dio in mezzo a loro; una garanzia che Dio non li aveva abbandonati e che si prendeva cura di loro. Tutta la storia dIsraele sotto il segno di questa alleanza, e la Legge, che sar considerata da tutto Israele come un dono di predilezione, rimarr il termine di confronto nel rapporto tutto singolare del Popolo eletto con il suo Dio. Ora, la fede ci fa vedere in Cristo il nuovo e definitivo legislatore dell'umanit, il nuovo e unico Mediatore della nuova Alleanza tra Dio e gli uomini, Colui che ha portato la grazia all'interno della Legge e ha dato ad essa una nuova dimensione: la dimensione della libert e dell'amore. Perci la Legge diventa, in Cristo, vocazione ad essere perfetti secondo le Beatitudini del Vangelo, cio secondo la nuova dignit di figli di Dio. Se viene meno la fede, anche la coscienza, come testimone della legge, si oscura, e se manca la grazia, non solo rimane incomprensibile la morale delle Beatitudini, ma gli stessi Comandament i dell'Alleanza risultano gravosi e spesso impraticabili.

19 - Fede e morale laica.


Possiamo renderci conto di tutto questo guardando la nostra societ attuale. La cultura moderna ha rifiutato la fede e si allontanata da Dio. Lungi dal riconoscere nei Comandamenti la voce premurosa del Creatore, l'uomo moderno ha voluto affermare la propria libert inventando la "morale laica"; una morale senza Comandamenti perch senza Dio. Si rivelata cos una morale tragica, perch quando l'uomo pretende di erigersi a norma di s stesso, instaura inevitabilmente la peggiore delle tirannie, quella dell'egoismo, e sancisce la legge del pi forte. Quando ci lasciamo ingannare da questa morale laica seguendo i suoi roboant i principi, avvertiamo una profonda solitudine dentro di noi! Sentiamo che manca un vero interlocutore per la nostra coscienza: l'interlocutore divino, che magari ci disapprova e ci condanna, ma anche ci indica la strada giusta, quella della verit e del bene, che anche quella della libert, quella che ricompone l'ordine e la pace nel nostro mondo interiore. Non c' deserto tanto arido e tanto duro quanto la morale laica, dove l'unica strada quella disegnata dal vento dell'orgoglio, gli unici riferimenti sono i miraggi fatui delle passioni, l'unica voce l'eco del proprio io che recita a s stesso la farsa dell'autonomia. Invece, quando il cuore si apre alla fede, allora il nostro deserto fiorisce, si apre davanti a noi la strada sicura dei Comandamenti che diventano "luce ai nostri passi e lampada per il nostro cammino". 28 Non c' pi solitudine dentro di noi; sperimentiamo la verit e la dolcezza di quelle parole di Ges: "Se uno mi ama,
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Deut. 5,1..22 Salmo n. 118

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osserver la mia parola, e il Padre mio lo amer e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui".29 Scopriremo anche che proprio i Comandamenti di Dio e la legge morale che egli ci ha dato sono garanzia e difesa dell'essere umano e della sua dignit, sono il pi autorevole baluardo contro ogni sopruso ed ogni violenza, e infine sono il fondamento pi solido alla retta convivenza tra gli uomini. Con ragione Israele considerava la Legge un dono immensamente prezioso, segno della predilezione di Dio. Il Signore tuttavia dovette rimproverare frequentemente il popolo ebreo per la "durezza del suo cuore", perch non seppe leggere con la fede quei "segni" e non si fid della parola del Signore: "Mi misero alla prova pur avendo visto le mie opere (...) e io dissi: sono un popolo dal cuore traviato, non conoscono le mie vie". 30 Quando Mos scese dal Sinai, trov il popolo "che sedeva a mangiare e a bere e si alzava per divertirsi" e danzava davanti al vitello d'oro cantando: "Ecco il tuo dio, o Israele, colui che t'ha fatto uscire dal paese d'Egitto!". 31 Non c' dubbio che il consumismo sfrenato dell'uomo contemporaneo uno dei sintomi pi evidenti dell'abbandono della fede, e si presenta come la somma di tutte le innumerevoli idolatrie che hanno contagiato il cuore dell'uomo. Proprio nel Deuteronomio, Mos mette in guardia il popolo dall'uomo consumistico che, dimentico di Dio, tutto intento ad adorare il suo vitello d'oro. "Guardati bene dal dimenticare il Signore tuo Dio, cos da non osservare i suoi comandi, le sue norme e le sue leggi (...) quando avrai mangiato e ti sarai saziato, quando avrai costruito belle case e vi avrai abitato, quando avrai visto il tuo bestiame grosso e minuto moltiplicarsi, accrescersi il tuo argento e il tuo oro e abbondare ogni tua cosa, il tuo cuore non si inorgoglisca in modo da dimenticare il tuo Dio che ti ha fatto uscire dal paese di Egitto, dalla condizione servile; che ti ha condotto in questo deserto grande e spaventoso (...) per farti felice nel tuo avvenire (...) guardati dunque dal pensare: la mia forza e la potenza delle mie mani mi hanno acquistato queste ricchezze (...)".32

20 - La Chiesa. Arca dellAlleanza.


Affinch il popolo non dimenticasse i prodigi compiuti da Dio per la sua liberazione e non venisse meno all'alleanza, Dio stesso fece costruire come richiamo perenne alle generazioni future un'Arca detta appunto dell'Alleanza. 33 Era, questa, uno scrigno d'oro dove venivano conservati i "segni" della potenza salvifica di Dio, segni che indicavano la sua presenza vicino a Israele: erano le tavole della Legge, la manna e la verga di Aronne. Come gli altri "segni" anche l'Arca and distrutta, ma Dio costru un'altra Arca, definitiva, perenne, per mezzo della quale ha stipulato un'Alleanza nuova che per tutta l'umanit e per sempre: Ges Cristo. L'Umanit di Ges non solo il Roveto ardente dal quale Dio parla all'umanit, anche lo Scrigno d'oro che contiene tutta la potenza, tutta la grazia, tutto l'amore misericordioso di Dio. Compiuta l'opera della salvezza e prima di salire al cielo con la sua Umanit glorificata, Ges ha voluto istituire la Chiesa perch continuasse la sua presenza visibile sulla terra. La Chiesa, come Corpo Mistico di Cristo, vera Arca della Nuova Alleanza e contiene i "segni efficaci" della salvezza. Alla Chiesa, infatti,
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Gv. 14,23 Salmo 94,10 Es. 32,4-6 Deut. 8,11... Es. 25,10...

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Cristo ha affidato non tanto le tavole della legge ma il suo Vangelo e tutta la ricchezza del suo insegnamento, non la manna ma i Sacramenti che comunicano la grazia e la Vita, non la verga di Aronne ma il suo sacerdozio con cui pasce e conduce il gregge del Padre. La Chiesa diventa cos il "segno levato sulle Nazioni", perch gli uomini non dimentichino, perch sappiano che c' Dio in mezzo a loro, perch comprendano finalmente che possono ottenere salvezza e redenzione, e che li attende una "terra promessa" costituita da "cieli nuovi e terra nuova" dove "Dio sar tutto in tutti".

21 - Camminare senza la fede perdere il tempo.


Il nostro cammino sulla terra, il nostro viaggio nel tempo , dunque, un viaggio nella fede. E' anche un viaggio che non ha i confini del tempo: cominciato in Dio dall'eternit, e terminer in Dio quando, usciti dalla scena di questo mondo, approderemo nelle sue braccia. Dall'eternit all'eternit, attraverso il tempo. Questa nostra vicenda terrena ha per un'importanza decisiva: in essa siamo chiamati a decidere di noi stessi in ordine al disegno di Dio. E' una vicenda terrena precaria, finita, segnata dal male e dal dolore ma che vale tutta l'eternit, conta quanto conta la gloria di Dio, pesa tutto il peso di felicit che pu essere portato da una creatura. Il popolo ebraico non era nato in Egitto, n in condizioni di schiavit, era nato dalla fede di Abramo per abitare una terra "dove scorre latte e miele"; ma a nulla serv essere figli di Abramo senza avere la fede di Abramo, essere liberati dall'Egitto e condotti nel deserto senza aver capito il senso e il significato di quel viaggio nel quale "videro le opere di Dio...ma non hanno conosciuto le sue vie...e perci non entreranno nel luogo del suo riposo". 34 A nulla serve essere nati da Dio se non viviamo questo tempo come figli di Dio; a nulla serve il nostro viaggio nel tempo se non un viaggio nella fede. Ascoltare la voce di Dio e non indurire il cuore, saper vedere le opere di Dio e camminare nelle sue vie: solo cos il nostro viaggio nel tempo un viaggio verso la libert e verso la vita; senza la fede invece il nostro cammino terreno una corsa verso la morte. E' orribile e tragico finire nella morte quando invece siamo stati creati per la vita e proprio da Colui che la Vita. Non possiamo dimenticare le parole di Ges: "In verita, in verit vi dico: chi crede ha la vita eterna"... "Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me anche se muore vivr; chiunque vive e crede in me non morr in eterno". 35 Dio il Vivente, il Dio della Vita; Egli ci ha chiamati ad "abitare nella terra dei viventi" dove non avremo pi bisogno di teofanie, non di salire sul monte Oreb, n sul monte Sinai, perch conosceremo Dio non pi nella nube e nel fuoco ma nella luce e nello splendore: "in lumine tuo videbimus lumen", e Dio toglier il velo che copre la sua faccia, e vedremo il suo Volto in una contemplazione senza fine. La fede avr lasciato il posto alla visione! Dall'Eternit all'Eternit! lungo il filo del tempo; per noi, sulla terra, il tempo il luogo della fede. Perdere la fede perdere il tempo.

22 - Il viaggio dei Magi.


Abbiamo paragonato la nostra vita sulla terra al viaggio degli Ebrei nel deserto, un viaggio di speranza che ha avuto come strada la fede. Ma c' un altro viaggio nel quale possiamo ritrovare esplicite analogie con quell'avventura umana e divina che il nostro cammino sulla terra: il viaggio dei Magi sulla strada per
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Sal. 94,11 Gv. 11,25

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Betlemme. Anche per loro c' stato un "roveto ardente" dal quale il Signore li ha chiamati e si loro manifestato come in una teofania: "Abbiamo visto sorgere la sua stella e siamo venuti per adorarlo". 36 Quella stella stata per loro una rivelazione, il segno di una chiamata, di un invito a cercare il "Dio-che--venuto-a-salvarci". Per loro, pagani e uomini di mondo, la salvezza aveva il significato della regalit, il "Redentore" avrebbe ristabilito la signoria di Dio su tutte le cose, avrebbe riunito tutti i popoli della terra in un unico regno, governato con giustizia e nella pace. Quei Magi risposero alla chiamata e si misero in cammino alla ricerca di Cristo "per adorarlo", disposti cio a riconoscerlo come Re e Salvatore, a sottomettersi a Lui e a servirlo. Commuove innanzitutto la prontezza con la quale questi uomini saggi e potenti rispondono alla chiamata di Dio; si lasciano condurre con fiducia e senza incertezze dalla fede e non temono di affrontare un viaggio di cui non conoscono il percorso, la durata, le difficolt, un viaggio che offriva una sola certezza: li avrebbe portati a incontrare il Re dei Giudei, il grande Atteso da tutti i popoli. E difficolt ne hanno certamente incontrate prima di arrivare a Gerusalemme: fatiche, stanchezza, sacrifici. Ma la certezza che veniva loro dalla fede stata pi forte di tutti i timori e di tutti i dubbi che venivano dalle situazioni difficili di un viaggio pieno di incognite e, umanamente parlando, molto simile a una pazzia. Arrivati poi a Gerusalemme, la prova della loro fede tocc il momento pi duro e cruciale. Si aspettavano di trovare la citt in festa, tutta un tripudio per la nascita del Gran Re; trovarono invece una citt indifferente, dominata dal sospetto e dalla paura. Per di pi quella che era stata la loro certezza e la loro guida, la stella apparsa in Oriente, scompare dal loro cammino. Le stesse informazioni, pur esatte e sicure dei sacerdoti e degli Scribi, celavano una strana freddezza e un inspiegabile disinteresse. Infine l'ignoranza di Erode, pur cammuffata da un ostentato entusiasmo, come poteva accordarsi con l'importanza di un fatto cos grande e atteso? Ebbene, nonostante tutto questo i Magi continuano a "credere"; non dubitano, non desistono, non si lasciano scoraggiare o fermare. Avevano visto la stella e non potevano dubitare. Gli uomini possono anche ingannarsi o ingannare, e possono anche tradire, ma il Cielo no! Il loro viaggio non era finito e la strada intrapresa, anche se per un momento nascondeva la sue tracce, non poteva esaurirsi nel nulla, come nella sabbia del deserto. Bisognava continuare, insistere, cercare; la meta era certa, il cammino sicuro, la direzione era giusta. Fu allora che la stella riapparve, e con la stella la luce e la gioia: il cielo confermava il suo messaggio. Giunsero cos a Betlemme, e quella stessa fede che li aveva guidati li fece cadere in ginocchio senza esitazioni e senza scandalo anche se il grande Re, l'Atteso delle genti, si presentava a loro in un alloggio umile e disadorno, nella debolezza e nella semplicit di un Bambino che non aveva nulla di regale, in un luogo lontano dai centri della potenza mondana. Videro il Bambino e adorarono il Re, videro l'uomo e credettero in Dio.

23 - Perseverare nella fede.


Il nostro viaggio sulla terra conosce le stesse esperienze e gli stessi moment i del viaggio compiuto dai Magi: incontreremo il dubbio, la stanchezza, la tentazione e tante altre difficolt; anche la stella della fede sembrer eclissarsi sul nostro cammino e a volte ci potr apparire come un'illusione o un inganno. Incontreremo la freddezza e l'ostilit di un ambiente dominato dallo scetticismo e dalla miscredenza; troveremo folle che vanno in senso contrario al nostro cammino perch stanno allontanandosi da Dio; potranno assalirci il timore del ridicolo e la paura della
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Mt. 2,2

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emarginazione, o anche lo sconcerto per il silenzio di Dio davanti alla violenza delle passioni umane....; ma non dobbiamo fermarci, non possiamo dubitare. Abbiamo visto anche solo una volta, magari da bambini, la stella della fede nel cielo della nostra anima? Abbiamo udito, sia pure tra mille voci assordanti, la voce della Chiesa che ci indicava la strada? Ebbene, non dubitiamo, non lasciamoci intimorire o fermare da nulla e da nessuno. La meta non potr essere che la grotta di Betlemme con il Bambino e sua Madre. L, in quella grotta, si incontrano la verit di Dio e la verit dell'uomo, l la vita prepara la sua rivincita sulla morte, l la nostra offuscata dignit di creature trova lo splendore della nuova dignit di figli di Dio.

24 - Il cammino dei discepoli di Emmaus.


Sulle orme dell'Esodo, abbiamo seguito il viaggio degli Ebrei nel deserto, un viaggio epico verso la salvezza. Lo abbiamo chiamato "Epopea della Salvezza" e l'abbiamo paragonato al viaggio che l'intera umanit chiamata a percorrere sulla terra attraverso il cammino della fede. Abbiamo poi calcato le orme dei Magi perch anche ci che sapiente, nobile e potente sulla terra deve trovare la strada che porta a Betlemme e scoprire nell'umilt di un Bambino la sapienza di Dio e la potenza di Dio. Ma c' nel Vangelo il racconto di un altro viaggio, un viaggio meno grandioso e imponente, un viaggio quasi in incognito, senza rumore, ma non meno drammatico, che pu suggerirci alcune riflessioni sulla fede utili a ciascuno di noi e ad ogni anima che voglia incontrare il Signore. In quel viaggio, non un popolo che si muove verso una terra promessa, non sono dei nobili e dei sapienti che vanno a Gerusalemme per cercare il Re di tutta la terra, ma sono due viandanti, uno anonimo e l'altro di nome Cleopa, che viaggiano proprio nel giorno in cui si compiuta la salvezza: il giorno della Risurrezione, il giorno della Fede; ma camminano non sulla strada della fede bens su quella del dubbio, dello scetticismo, della tristezza. Infatti si allontanano da Gerusalemme, la citt di Dio, citt della pace, la meta cui deve tendere ogni anima. Narra dunque San Luca 37 che nel giorno stesso di Pasqua, due discepoli erano in cammino verso Emmaus, un villaggio a quindici chilometri da Gerusalemme; erano tristi e delusi, convinti di essersi ingannati sul conto di Ges, sulla sua persona e sulla sua missione: "Noi speravamo che fosse Lui a liberare Israele!". Frattanto Ges in persona si accost e si fece viandante con loro, "Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo". Allora Egli cominci a spiegare loro le Scritture, partendo da Mos e dai Profeti, su tutto "ci che si riferiva a Lui".

25 - Resta con noi, Signore!


Ci vengono qui richiamati due aspetti fondamentali che caratterizzano la fede cristiana: capire le cose di Dio e saper vedere accanto a noi la presenza del Signore risorto come Redentore. I due discepoli non avevano capito le Scritture e non avevano compreso il disegno di Dio su Ges, perci non riuscivano a riconoscerlo accanto a loro lungo la strada. E' questa la condizione di chi cammina nella vita senza la fede; e anche di chi tiene la fede sepolta sotto un velo di tristezza perch ha permesso al dubbio, alla delusione, allo scetticismo di invadere il suo cuore. Se non comprendiamo le cose di Dio non capiremo il valore di tutto ci che esiste, n il senso di ci che accade intorno a noi e nel mondo. Cos pure, se non sappiamo riconoscere Cristo che ci accompagna nel nostro cammino sulla terra, nessun'altra presenza potr sottrarci alla solitudine e alla tristezza di chi ha perso
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Lc. 24,13-35

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speranza e amore; una solitudine che rimane anche nel chiasso delle ambizioni e dei piaceri mondani, e ancor pi rimane nel vuoto alienante delle discoteche e degli stadi. Tuttavia dobbiamo mantenerci fermamente convinti che Ges non si stacca da noi mai, che continua ad accompagnarci soprattutto nei momenti pi duri e difficili del nostro cammino. Qualunque cosa succeda, qualunque situazione interiore possa verificarsi, non dobbiamo mai allontanarci dal Signore. I due discepoli, pur senza riconoscerlo e pur appesantiti dallo scoraggiamento, trattennero Ges durante il viaggio e lo forzarono a fermarsi con loro come ospite. Se lo avessero lasciato andare e proseguire oltre non sarebbe successo nulla; forse avrebbero smarrito definitivamente la fede e sarebbero naufragati nello scetticismo, delusi per sempre. Dobbiamo continuare a frequentare Cristo nel Vangelo, nella preghiera e nei Sacramenti, anche se tutto ci sembra inutile e falso, anche se non avvertiamo pi in modo sensibile la sua presenza, anche se tutte le nostre speranze e le nostre certezze sembrano crollate. Non ci pu essere dentro di noi una notte cos buia che non possa essere illuminata dalla Parola di Dio; non ci pu essere nel nostro cuore una tristezza tanto cupa e tanto fredda che non possa essere riscaldata dalla presenza dolce e amorosa di Cristo. Dobbiamo "volere" fermamente la fede; cio, dobbiamo anche noi, come i due discepoli di Emmaus, saper "trattenere" Ges, quasi costringerlo a continuare il suo cammino con noi. Si scioglieranno nella nostra anima le durezze, le oscurit, le tristi freddezze; arriveremo anche noi a dire, per averlo provato direttamente: "Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, mentre ci spiegava le scritture?". 38 Non stacchiamoci da Cristo, mai! Egli vincer i nostri dubbi, le nostre angosce, le nostre delusioni. Ritorner la luce, fiorir la speranza, rinascer la gioia." Non si turbi il vostro cuore e non abbia timore, non vi lascer orfani, ritorner a voi (...) Ora siete nella tristezza; ma vi vedr di nuovo, (e anche voi mi vedrete) e il vostro cuore si rallegrer e nessuno vi potr togliere la vostra gioia". 39 Comprendere le cose di Dio, riconoscere Cristo accanto a noi anche quando avvenimenti difficili e dolorosi lo nascondono ai nostri occhi: ecco il cammino della fede, il nostro itinerario che deve portarci sulla strada di Gerusalemme. E la nostra gioia dovr essere cos contagiosa da trascinare con noi verso il Signore tant i discepoli scoraggiati e delusi che hanno smarrito la strada della fede, la strada della pace. Dobbiamo avere in noi tanta fede, tanta certezza da essere un altro Ges per quanti incontriamo nella vita, e per quanti incrociano la nostra strada.

FEDE E VITA CRISTIANA

26 - La fede nella vita cristiana.


Ogni creatura vive nel tempo e si muove nel tempo, ma l'uomo fatto a immagine e somiglianza di Dio vive e si muove nel tempo in modo unico e singolare: a lui dato di vivere con dimensione di eternit. In questo viaggio nel tempo noi cristiani abbiamo come strada la fede. Su questa strada possiamo muoverci con passo deciso e sollecito ma anche con passo lento e faticoso, magari con scivoloni e cadute, come pure possiamo muoverci speditamente e senza fatica con l'aiuto di
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Lc. 24,32 Gv. 16,20

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mezzi comodi e veloci che il Padrone della strada - il Signore - ci mette a disposizione. Sul nostro cammino della fede, infatti, il Signore presente con la luce della sua verit - il suo vangelo - e con la grazia dei suoi sacramenti. Inoltre la Chiesa ci guida e ci accompagna lungo il percorso con l'attenzione e la cura proprie della sua missione materna. Talvolta succede anche che il Signore ci fa "volare" nella fede con interventi particolari della sua grazia e con i doni dello Spirito Santo. Da parte nostra i passi che muoviamo su questa strada corrispondono ai singoli atti di fede che esprimiamo nella nostra vita aderendo di volta in volta al Signore. Ora, ci sono cristiani che non compiono mai atti di fede; sono coloro che hanno dimenticato Dio nella loro vita e hanno abbandonato la preghiera e i sacramenti. In loro la fede morta e la loro vita non molto diversa da quella dei pagani che non conoscono Dio. Senza la fede, il loro cammino sulla terra molto simile a un viaggio nel buio, nella nebbia pi fitta, e non sanno da dove viene e dove conduce il loro sentiero. Il lungo silenzio che li separa da Dio e che dura da anni, conosce solo il vociare assordante dei ragionamenti umani; essi continuano nella vita accontentandosi delle provvisorie certezze del sapere umano, della buona salute, del successo economico ma in realt portandosi dentro un immenso bisogno di Dio.

27 - La virt della fede.


Ci sono poi cristiani che compiono solo raramente atti di fede; la loro vita infatti si svolge quasi abitualmente secondo i criteri di questo mondo. Sono anche persone perbene, si comportano onestamente, ma non sanno vedere la loro esistenza in riferimento a Dio. Ogni tanto pregano, ma per motivi molto umani e, "quando se la sentono", vanno anche in chiesa, soprattutto nelle occasioni tradizionalmente sentite dalla massa dei credenti. Per loro le cose che veramente contano sono il lavoro, la buona salute, la carriera, i conforts della vita e la posizione sociale. La fede rimasta come rattrappita dentro il loro cuore, quasi soffocata da un materialismo pratico dove il Signore appare raramente e con fatica. Fanno ricordare il terreno occupato dalle spine nella parabola evangelica del seminatore. Ci sono ancora cristiani che compiono frequentemente e anche abitualmente atti di fede. Ricorrono a Dio nella preghiera ogni giorno, compiono i doveri quotidiani con rettitudine sapendo di dover rendere conto a Dio, sanno compiere sacrifici per aiutare gli altri, santificano abitualmente le feste e ricorrono con frequenza ai sacramenti, sanno prendere dalle mani di Dio quanto accade nella loro vita. Gli atti di fede sono in loro frequenti, la fede diventata pressoch abituale, un "abito" appunto: hanno la virt della fede. Come ogni creatura umana, hanno limiti e difetti, debolezze e cedimenti, ma lottano con umilt e perseveranza appoggiandosi all'aiuto e alla misericordia di Dio. In essi si pu vedere realizzata l'espressione biblica: justus autem meus ex fide vivet. 40 Nell'uomo che cerca la santit la fede diventata vita. Infine, ci sono cristiani che vivono la fede eroicamente; in essi questa virt diventata non solo cos abituale da dare senso soprannaturale a tutte le cose piccole e grandi della loro vita, ma ha portato la loro anima all'unione intima, quasi abituale, con Dio. Nulla li turba pi: non le tribolazioni della vita, non la malattia, non il disonore, non la fatica..., Tutto hanno abbandonato nelle mani di Dio. Avvertono quasi istintivamente quello che Dio chiede a loro e si lasciano guidare, quasi portare da Lui, con assoluta docilit. Vivono talmente uniti a Dio che si lascerebbero uccidere piuttosto che dispiacergli in qualche cosa. La fede per loro criterio e misura di tutto, ed arrivata a permeare profondamente tutte le altre virt cosicch
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Ebr. 10,38

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non si nota pi distinzione tra fede e amore; tutto nella loro vita illuminato dalla fede, tutto mosso dall'amore.

28 - Fede e preghiera.
Possiamo dire che il grado di fede raggiunto dalla nostra anima pu darci la misura della nostra vita cristiana. Vediamolo in alcuni aspetti particolari della vita spirituale dove la fede ha un ruolo insostituibile. Innanzitutto il rapporto tra fede e preghiera. E' un rapporto reciproco: senza la fede non si d preghiera cristiana e senza la preghiera la fede manca del suo respiro e si spegne. Abbiamo detto "preghiera cristiana", cio la preghiera di Cristo, quella che lui ha praticato e che lui ci ha insegnato. La preghiera di Ges si differenzia da tutte le altre forme di preghiera che troviamo nella religiosit umana. Nelle varie religioni la preghiera nasce dall'uomo; suppone un naturale bisogno del divino che spinge la mente e l'animo dell'uomo a cercare Dio. La preghiera assume cos la forma di invocazioni propiziatorie, di riti e pratiche cultuali che hanno forte incidenza sulla emotivit e che a volte si esprimono con formule elaborate e di effetto, oppure si sviluppano in forme pi interiori come meditazioni intellettuali, esercizi spesso impegnativi di ascesi e di purificazione, tecniche psicologiche per approppriarsi del proprio corpo e del proprio mondo interiore. Esprimono comunque la nostalgia dell'animo umano che ha sempre desiderato Dio e lo ha affannosamente cercato. Tuttavia l'unione con Dio una realt che trascende l'uomo e ogni sua iniziativa, una realt della quale non ci si pu impossessare con nessuno sforzo naturale e con nessuna tecnica umana per quanto raffinata. La preghiera l'elevazione dell'anima a Dio. Noi cristiani sappiamo di non poter appoggiarci su alcuna forza nostra per arrivare al trono di Dio, e sappiamo anche di non avere titoli per essere da Lui ascoltati: non abbiamo meriti, non abbiamo virt, non abbiamo opere proporzionate. L'unico titolo che abbiamo quello conferitoci da Ges: siamo figli. Lui stesso ce lo ha ricordato: "Quando pregate dite cos: Padre..." Gi questo, di rivolgerci a Dio e di chiamarlo Padre, un grande atto di fede; ma poi ogni preghiera, da quella pi semplice a quella pi sublime deve nascere dalla fede nella paternit di Dio. Quanto pi viva questa fede tanto pi la nostra preghiera si trasforma nel colloquio intimo di un figlio con suo padre. La strada dell'orazione si identifica dunque con quella della fede. Una fede vera, autentica, genera in noi un senso vivo e gioioso della nostra filiazione divina, ci mette subito al nostro posto, non solo di creature ma di figli che Dio ha chiamato alla sua intimit, alla partecipazione della sua stessa vita. E' una prospettiva cos bella e affascinante che dovrebbe rendere la preghiera facile e spontanea, invece la nostra superbia, la nostra paura, il demonio stesso, ce la rendono cos difficile e faticosa che il Signore ha dovuto rimproverarci: "Se voi che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto pi il Padre vostro celeste dar lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono". 41

29 - Preghiera cristiana: preghiera di Cristo.


La filiazione divina diventa cos il fondamento del nostro rapporto con Dio, e perci il fondamento di ogni nostra preghiera. Tale stata la preghiera di Ges. Chi mai potr penetrare il mistero sublime di tante notti passate da Ges in intimo colloquio col Padre? Quella preghiera, che ha impressionato cos profondamente gli apostoli, diventata per ogni cristiano, discepolo del Signore, il modo nuovo e
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Lc. 11,13

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assolutamente esemplare di stare con Dio e di parlare con lui. Per questo una preghiera che nasca dalla filiazione divina sempre efficace perch Dio non vuole rifiutare nulla a un figlio che crede in lui e si abbandona al suo amore paterno. Anzi, sappiamo che Dio ascolta anche i peccatori quando la loro preghiera scaturisce da un cuore umile e contrito, quando si riconoscono bisognosi della sua misericordia e si affidano alla sua bont di Padre. Il vero impedimento alla preghiera la superbia; essa ci fa stare davanti a Dio con l'atteggiamento della pretesa, come se avessimo dei diritti o potessimo contare sui nostri meriti. La nostra condizione davanti a Dio quella di debitori insolventi che non hanno di che pagare. 42 Anche le nostre opere buone pi preziose non sono che poveri spiccioli che valgono ben poco agli occhi di Dio. Gli unici meriti che possiamo vantare sono quelli che ci ha guadagnato Ges sulla croce. Il suo sacrificio ha accumulato per noi un tesoro infinito, e solo attingendo a questo tesoro noi possiamo pagare i nostri debiti con Dio e riparare il male fatto con i nostri peccati. Ges porta ancora nella sua carne i segni della passione, e con essi sta davanti al Padre nella gloria del cielo come nostro Grande Intercessore. Perci la Chiesa, nella sua liturgia conclude tutte le preghiere rivolgendosi al Padre "per i meriti di nostro Signore Ges Cristo.". Questa umilt caratteristica esclusiva della preghiera cristiana; anche l'atteggiamento che garantisce autenticit e gioia al nostro rapporto con Dio. Possiamo infatti stare davanti a Lui e dirgli con assoluta fiducia: "Padre, sono tuo figlio, peccatore e pieno di miserie, ma tuo figlio. Tu hai chiesto a Ges, il tuo figlio prediletto, di dare la sua vita per me; io te lo offro, e insieme con lui ti offro me stesso, la mia vita, tutte le cose che porto nel mio cuore. Ti offro anche tutto ci che mi appartiene, non esclusi i miei peccati, le mie miserie, la mia debolezza". Noi saremo ascoltati da Dio non per la nostra preghiera, ma per la nostra fede; quella fede che ci porta ad essere fermamente convinti che Dio ci ama, e ci ama non per i nostri meriti, per le nostre virt o qualit che spesso non ci sono, ci ama solo in forza della sua paternit divina. Dubitare di Lui il torto pi grave che possiamo fare a Dio, perch mettere in dubbio quello che lui ha fatto per noi: ci ha fatti suoi figli e ci ha dato Ges come Redentore. Sono questi i due punti di forza della nostra preghiera. Questa fede umile ma fermamente convinta ci libera dalla pretesa e ci riempie invece di audacia santa, secondo quelle parole di Ges: "In verit, in verit vi dico: se chiederete qualche cosa al Padre nel mio nome, Egli ve la dar. Finora non avete chiesto nulla nel mio nome. Chiedete ed otterrete, perch la Vostra gioia sia piena". 43 Chiedere nel suo nome vuol dire appoggiare la nostra preghiera su Cristo crocifisso, ma vuol dire anche che dobbiamo pregare come ha pregato Ges: Egli si sempre fidato e affidato alla volont del Padre. Dal primo momento, da quando entrato nel mondo - "Vengo, o Padre, a compiere la Tua volont" - fino al momento estremo della passione - "Padre, non sia fatta la mia ma la tua volont" - tutta la vita di Cristo stata una preghiera di obbedienza al Padre. Anche noi, quando andiamo a pregare, andiamo a consegnarci con assoluta fiducia nelle mani di Dio; Egli sa pi di noi, e ci ama.

30 - La fede e la croce.
Il riferimento a Cristo crocifisso ci porta a considerare un secondo aspetto della preghiera, quello del suo rapporto con la Croce. Innanzitutto, la croce del Signore essa stessa una preghiera: la pi grande, la pi sublime preghiera in tutta la storia umana. Da allora, da quando il Figlio di Dio ha preso su di s il dolore e la
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Mt. 18,25 Gv. 16,23-24

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morte, ogni sofferenza umana pu diventare preghiera. Saper vedere nel Cristo sofferente disteso sulla croce, con le braccia aperte verso il cielo, la preghiera vivente, la preghiera che sgorgata dal cuore del Sommo ed Eterno Sacerdote, penetra nei cieli e sale fino al Padre ottenendo la salvezza per tutta l'umanit, questo uno dei frutti pi consolanti della fede. Questa stessa fede aiuta poi ognuno di noi ad unire al dolore di Cristo le proprie sofferenze, piccole o grandi che siano, soprattutto le sofferenze che non riusciamo a capire, come la sofferenza innocente, quella ingiusta, quella provocata da cattiveria gratuita e crudele o da calamit che fanno pensare ad una natura matrigna e impietosa, in una parola le sofferenze che sembrano senza senso, assurde per la ragione e per il cuore. Saper unire queste sofferenze al dolore dell'unico Innocente, di Colui che "nei giorni della sua vita terrena offr preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da morte e fu esaudito per la sua piet... e divenne causa di salvezza eterna per coloro che gli obbediscono" 44, un frutto prezioso della nostra fede. La croce di Ges santifica il dolore, lo riscatta dalla maledizione, impedisce che diventi bestemmia, trasformandolo invece in preghiera, in espiazione, in salvezza. Anche in questo trova valore e significato la nostra partecipazione al sacrificio della Messa. Sul Calvario accanto a Ges Crocifisso e Innocente c'erano due colpevoli condannati alla stessa pena. Uno di loro si contorceva nella ribellione e trasformava il suo dolore in bestemmia, l'altro, consapevole che il dolore nasce dal peccato o comunque sempre segno del peccato, seppe trasformare la sua sofferenza in preghiera: "Ges, ricordati di me nel tuo regno!". In quel momento il dolore dell'uomo diventa dolore di Cristo, l'unico dolore veramente innocente, che salva e che redime. "In verit ti dico, oggi sarai con me in Paradiso". 45 Talvolta la sofferenza arriva improvvisa e violenta, come un urto, mette alla prova la solidit della nostra fede, rivela quali sono i veri atteggiamenti della nostra anima, e mostra fino a che punto sia abituale in noi la preghiera e quanto sia filiale il nostro rapporto con Dio. La sofferenza pu portare allora a quella forma squisitamente cristiana di preghiera che chiamiamo "preghiera di abbandono"; Ges l'ha vissuta in modo sublime nel momento supremo della sua vita: "Padre, nelle tue mani abbandono il mio spirito". 46

31 - Guardare oltre la croce.


Quando il dolore ci sembra ingiusto e crudele, disumano e ingiustificabile, l'unica risposta la preghiera di abbandono; cio l'atteggiamento di una creatura piccola che non comprende ma che si consegna nelle braccia di suo Padre. E', questo, l'atteggiamento degli umili e dei semplici, di chi convinto che Dio non un Signore lontano, che assiste indifferente e impassibile al dolore degli uomini, ma un Padre "ricco di misericordia" che, come racconta la parabola del buon samaritano, ha inviato suo figlio a raccoglierci "percossi e feriti" su questa strada di Gerico che il nostro cammino sulla terra, a fasciare le nostre ferite, versandovi "l'olio e il vino" della sua piet e della sua consolazione. Se la fede la virt di chi cammina nel tempo, essa particolarmente preziosa quando il cammino si fa aspro e dolente, quando le lacrime della sofferenza si mescolano al sudore della fatica, e diventa indispensabile quando il dolore tocca il suo vertice nel momento del sacrificio supremo, quello che conclude la nostra
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Ebr. 5,7 Lc. 23,42-43 Lc. 23,46

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vicenda terrena; la morte l'ultima nostra preghiera, il nostro definitivo abbandono al Dio della vita. L'itinerario della fede non facile, deve superare lo scandalo della Croce, deve passare attraverso il Venerd Santo, e saper anche accettare che la luminosa certezza di Cristo Risorto rimanga un mistero; esso attende la sua piena rivelazione nella "Parusia", cio al ritorno del Signore. Solo allora comprenderemo il significato di tutte le cose. Intanto la fede rimane una continua provocazione ad "andare oltre": oltre il sentire, oltre il conoscere, oltre il comprendere. La fede ci permette di rompere la crosta delle cose, di andare oltre il mondo delle apparenze; ci permette di vedere ci che sta "dietro" gli avvenimenti, dietro la storia e le vicende umane. La fede vedere Dio presente e nascosto; Dio che tiene in mano i fili di ogni esistenza e va tessendo l'arazzo della nostra vita in un misterioso e commovente dialogo tra la sua grazia e la nostra libert. L'arazzo pi prezioso e stupendo fatto di tanti fili di lana che, presi uno per uno, non dicono nulla; potresti sfilarli uno dopo l'altro e distruggere l'arazzo. Solo vedendoli nel loro insieme, cio nel loro rapporto col disegno dell'Artista, puoi capire il senso di ogni filo. Anche una cattedrale romanica fatta di mattoni; potresti levarli uno per uno e la Cattedrale non esisterebbe pi, e dove prima ogni mattone aveva il suo posto, il suo significato, ora non ci sarebbe che un mucchio di pietre senza senso. Qui sulla terra, solo la fede pu farci intravedere il disegno di Dio; ma non possiamo scorgerlo con chiarezza e completamente perch il tempo non basta per spiegarlo e il nostro sguardo incapace di abbracciarlo per intero. Anche ogni avvenimento della tua vita un filo di lana che, preso da solo, pu apparirti insignificante e a volte assurdo. Anche inserito nell'insieme pu sembrarti, visto in questa vita, come un groviglio inestricabile. Devi attendere - la fede anche attesa - di passare "dall'altra parte", dalla parte dell'eternit. Solo allora vedrai ogni cosa con chiarezza; allora non solo l'arazzo della tua vita, ma tutta la storia e la vicenda umana riveleranno il loro volto, la loro bellezza, il loro splendore. E capirai che la fede non ti ha ingannato, che la sua oscurit stata l'unica certezza che abbia veramente illuminato il tuo cammino sulla terra.

L'ATTO DI FEDE
32 - Latto pi nobile.
Abbiamo visto qual l'oggetto della nostra fede: Dio che rivela s stesso e realizza, per mezzo di Cristo, il suo progetto di salvezza, la redenzione dell'uomo, chiamandolo alla perfetta comunione con Lui. Ma al fine di fortificarci nella fede e di comprendere pi chiaramente la nobilt e la preziosit di questo dono, giova ora esaminare l'atto di fede in s stesso, cos come si compie in noi. Sulla terra non c' atto pi nobile di quello di aderire a Dio attraverso la fede; questo, infatti, l'atto pi sublime dello spirito umano. Ogni atto di fede impegna profondamente tutto l'uomo, la sua facolt intellettiva, la sua volont, il suo cuore; un atto profondamente umano e tuttavia un atto totalmente soprannaturale perch esige l'azione di Dio nella nostra anima; ogni atto di fede un mistero di libert e di grazia. Dall'analisi sul ruolo che ciascuna facolt del nostro spirito svolge nellatto di fede, comprenderemo anche la necessit di una sempre pi generosa purificazione interiore perch la fede si liberi pienamente e pervada tutta la nostra vita. 31

Vediamo innanzitutto il ruolo dell'intelletto. Ci riferiamo, ovviamente, a un intelletto normale, cio sano nel suo modo naturale di conoscere, libero quindi dalle ideologie, quelle malattie dell'intelligenza che rendono l'uomo incapace di formulare il bench minimo atto di fede. Il ruolo dell'intelletto fondamentale, non solo perch la fede implica un'attivit conoscitiva, ma anche perch l'intelligenza chiamata a svolgere un triplice lavoro nell'atto di fede: 1) ci documenta l'esistenza di verit rivelate da Dio; 2) ci mostra che queste verit sono credibili, perch vengono da Dio e sono accompagnate dalla sua testimonianza; 3) ci ricorda, infine, il dovere di assentire a queste verit perch Dio il Signore, e ha diritto all'omaggio anche intellettuale della sua creatura.

33 - Lintelletto nellatto di fede.


La prima attivit dell'intelligenza dunque documentativa, ha cio lo scopo di dimostrarci l'esistenza della Rivelazione come ci viene documentata nella Sacra Scrittura e in particolare nei Vangeli. E' infatti dai Vangeli che emerge la verit fondamentale della nostra fede: Ges Figlio di Dio, Salvatore delluomo. Viene dunque chiamata in causa l'attendibilit dei Vangeli, cio la loro storicit e il loro valore come documenti. I Vangeli come documenti storici non erano mai stati messi in discussione da nessuno; vennero impugnati per la prima volta dall'Illuminismo settecentesco, e poi dai suoi eredi naturali: il Razionalismo positivista del secolo scorso e la cultura immanentista e atea del nostro secolo. Precedentemente i Vangeli furono disattesi, combattuti, anche rifiutati ma non furono mai accusati di falso o di mistificazione. Il pensiero moderno lo ha fatto; e lo ha fatto non come conclusione di un serio esame di critica storica, ma come conseguenza di un presupposto aprioristico: l'impossibilit del soprannaturale e la negazione della trascendenza. Poich, dicono, il soprannaturale non possibile o non esiste, i documenti che pretendono di affermarlo sono falsi, spuri, o mitici, comunque non sono storici. La conseguenza di questo atteggiamento la miscredenza, anche quella che si presenta sotto forma di fideismo. Infatti queste posizioni, che all'epoca del razionalismo ufficiale erano drastiche e categoriche, sono oggi riciclate sotto forma di morbide affermazioni fideiste che, col pretesto degli enormi progressi compiut i dalle scienze umane, vorrebbero demitizzare la storia per salvare la fede. L'importante - si dice in questi ambienti - non sapere ci che Ges ha detto o ha fatto, se cio i fatti narrati dai Vangeli corrispondano veramente alla realt storica, ci che interessa sapere qual stata la fede delle prime comunit cristiane. In altre parole, i Vangeli non sarebbero una testimonianza su Ges di Nazareth, sulla sua vita e le sue opere, ma documenterebbero la fede delle prime comunit cristiane, come se gli apostoli non avessero conosciuto Cristo. Ora San Giovanni, che ultimo fra gli apostoli scrive con lucidit assoluta la sua esperienza vissuta con Ges - ricorda con chiarezza perfino l'ora esatta del suo primo incontro con lui - ha parole durissime contro coloro che dubitavano della realt storica di Cristo: "Molti sono i seduttori che sono apparsi nel mondo i quali non riconoscono Ges venuto nella carne. Ecco il seduttore e l'Anticristo!". 47 Sappiamo dunque dalla fede che i Vangeli sono stati ispirati da Dio, ma sappiamo anche dalla scienza critica che sono documenti storicamente affidabili. Essi riportano la testimonianza esplicita di coloro che furono testimoni diretti, in prima persona, degli avvenimenti che narrano. Testimoni, gli apostoli, che furono perseguitati, imprigionati, uccisi, ma che nessuno ha mai potuto accusare di falso o
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2 Gv. 7

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di menzogna. San Luca, all'inizio del suo Vangelo, dice apertamente di essere andato a consultare coloro che furono testimoni fin da principio, e di aver fatto ricerche accurate su ogni circostanza fin dagli inizi, per poter farne un resoconto ordinato; e questo proprio perch la nostra fede fosse solida, cio fondata. A conferma della nostra convinzione su questi presupposti della fede, ricordiamo le parole del Concilio Vaticano II: "La Santa Madre Chiesa ha ritenuto e ritiene con fermezza e costanza massime, che i quattro Vangeli, di cui afferma senza esitazione la storicit, trasmettono fedelmente quanto Ges, Figlio di Dio, durante la sua vita tra gli uomini, effettivamente oper e insegn per la loro eterna salvezza fino al giorno in cui fu assunto in cielo". 48

34 - Purificare lintelligenza.
A questo punto diventa necessaria una purificazione dell'intelligenza, che consiste nel liberarla dal dubbio gratuito, dal pregiudizio intellettuale e dall'ignoranza. Il dubbio gratuito non un dubbio vero e serio; spesso un atteggiamento da adolescenti che negano tutto per partito preso, un atteggiamento superficiale e sciocco; pi frequentemente si tratta di una tentazione, e la tentazione si vince cacciandola mediante un atto esplicito di fede che diventa preghiera. Il pregiudizio intellettuale nasce da lacune o deformazioni nella propria preparazione culturale; spesso vuol coprire altre motivazioni dove non estraneo l'amor proprio o l'attaccamento a opinioni personali, attaccamento che arriva fino a difendere come verit scientifiche quelle che sono pure ipotesi tutte da dimostrare. L'ignoranza infine non soltanto la non conoscenza dei Vangeli e della Rivelazione; questa purtroppo un'ignoranza molto diffusa e costituisce uno dei peggiori nemici della fede. Sul vuoto prodotto da questa ignoranza prende posto la cultura del dubbio e del sospetto cos largamente distribuita nelle scuole e dai massmedia. E' tuttavia un'ignoranza che si pu vincere facilmente con lo studio, con la lettura del Vangelo e attraverso l'insegnamento della Chiesa. Ma c' un'altra ignoranza pi pericolosa, e che potremo definire ignoranza saccente: l'ignoranza di chi, appoggiandosi a pregiudizi pseudo-scientifici, magari paludati da sfoggio di erudizione, ignorano il serio lavoro della critica storica che ha fatto dei Vangeli i libri pi studiati, analizzati e documentati di tutta l'antichit, arrivando a conclusioni che confermano la plurisecolare tradizione della Chiesa; tradizione che ha sempre proposto i Vangeli come documenti non solo ispirati ma anche autentici, e legati fedelmente alla testimonianza storica degli apostoli. Da questa ignoranza presuntuosa viene l'uomo della "modernit", cos tipico della nostra civilt occidentale: scettico, diffidente, che crede solo a s stesso e a chi gli d ragione, che non si fida della Chiesa e del Vangelo, e che guarda con sospetto a Ges Cristo. Eppure, con quale fermezza e rigore gli Apostoli si appellavano alla propria testimonianza! Scrive San Giovanni: "Ci che noi abbiamo udito, ci che noi abbiamo veduto coi nostri occhi, ci che noi abbiamo contemplato e ci che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita, noi lo annunciamo anche a voi". 49 In nome di questa testimonianza obiettiva e verace egli invita alla fede affinch possiamo anche noi aver parte con i credenti alla conoscenza di Ges Cristo.

35 - Credibilit delle verit di fede.


La seconda attivit dell'intelletto persuasiva. Con essa l'intelletto ci mostra che le verit rivelate da Dio e testimoniate dagli Apostoli, anche se non sono evident i
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Dei Verbum n. 19 1 Gv. 1,1

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in s stesse, sono tuttavia credibili. Il ragionamento di Nicodemo, uomo saggio e sincero, uomo di scienza, vale per tutti: "Rabbi, sappiamo che sei un maestro venuto da Dio; nessuno infatti pu fare i segni che fai tu se Dio non con lui" 50. Proprio perch Ges viene da Dio un testimone degno di fede. Del resto il Padre stesso gli ha reso testimonianza: "Le opere che io sto facendo testimoniano di me che il Padre mi ha mandato". 51 Non dunque l'evidenza delle cose che muove la nostra intelligenza alla fede, - non sarebbe pi fede ma scienza - il fatto che Ges testimone di Dio. "Dio nessuno mai l'ha visto: proprio il Figlio Unigenito che nel seno del Padre, Lui lo ha rivelato". 52 Inoltre, le verit che Ges ci ha rivelato sono spesso oscure e impenetrabili alla nostra mente. "E' duro questo discorso; chi pu intenderlo?" mormorava la folla davanti alle parole di Ges sul Pane vivo. Ma proprio allora l'intelligenza chiamata a dire con Pietro: "Signore, tu solo hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio.". 53 A questo punto la purificazione dell'intelligenza richiede il rifiuto della pretesa razionalistica. Pretendere di capire tutto, significa pretendere che Dio sia a misura dell'uomo. La ragione stessa invece comprende che la verit pi grande di noi perch Dio trascende infinitamente l'uomo. L'orgoglio intellettuale, che non ammette limiti alla ragione umana e che rifiuta tutto ci che non umanamente comprensibile, cio contenibile nelle categorie della ragione, considera la fede come umiliazione dell'intelligenza. Questa pretesa trova oggi consensi soprattutto negli ambienti delle scienze. Il potere della scienza non avrebbe limiti e il suo progresso sarebbe inarrestabile. Nulla dunque pu esserci oltre i confini della scienza se non il mito e la superstizione. La fede, secondo il pregiudizio illuminista, equivarrebbe ad un'aperta dichiarazione di impotenza intellettuale, di ignoranza, e continuerebbe a mantenere l'uomo in una umiliante condizione di inferiorit e di oscurantismo; tutt'al pi si potrebbe accettare la fede come stadio transitorio, una sorta di immaturit intellettuale da superare e abbandonare quanto prima. Ora, questi intelligenti secondo il mondo, questi luminari del sapere scientista, sono in realt degli stolti, vittime di un orgoglio che riduttivo dell'intelligenza, oltre che del sapere. Senza dubbio le parole di Pietro: "Signore, tu solo hai parole di Vita Eterna; e noi abbiamo creduto che tu sei il Figlio di Dio", sono una confessione di ignoranza che spinge ad affidarsi ad un altro; ma Pietro aveva una chiara consapevolezza che nella fede egli si affidava a "Colui che sa" e che degno della pi assoluta fiducia. La fede partecipazione al sapere di Dio, e contiene l'affidabilit propria della santit di Dio. "Se accettiamo la testimonianza degli uomini, la testimonianza di Dio pi grande; e la testimonianza di Dio quella che ha dato al suo Figlio". 54 Per questo, la fede non soltanto potenziamento dell'intelligenza umana, ma anche segno di grande saggezza. E' la sapienza che fa grande lo spirito dell'uomo. 55

36 - Il dovere di credere.
La terza attivit dell'intelletto, nell'atto di fede, di natura morale: ci ricorda il nostro dovere di creature verso l'autorit di Dio. Nella Rivelazione, Colui che ci parla Dio e non un uomo; Colui dal quale tutte le cose hanno principio nel cielo e
Gv. 3,2 Gv. 5,36 52 Gv. 1,18 53 Gv. 6,68-69 54 1 Gv. 5,9 55 Proprio in questi giorni, Giovanni Paolo II nella sua Enciclica Fides et Ratio, al capitolo secondo, tratta della fede come sapienza.
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sulla terra; a Lui noi tutti siamo vincolati nella nostra stessa esistenza di creature. Quando colui che ci parla Dio, noi abbiamo il dovere di prestargli attenzione e di dargli il nostro assenso, tanto pi che nella sua Rivelazione non ci comunica opinioni umane, ma la sua Verit. E la Verit vincolante non solo dell'intelligenza ma di tutta la nostra persona: necessario attuare nella vita la verit in cui crediamo. "Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminer nelle tenebre ma avr la luce della vita". 56 Non si respinge impunemente la Rivelazione di Dio, perch in essa Dio impegna la sua autorit. "Chi non crede a Dio fa di lui un bugiardo perch non crede alla testimonianza che Dio ha reso a Suo Figlio. E la testimonianza questa: Dio ci ha dato la Vita eterna e questa vita nel Suo Figlio". 57 L'intelligenza dunque ci ricorda il nostro posto di creature davanti a Dio e il dovere fondamentale che abbiamo di ascoltarlo quando egli ci parla. Ricordiamo Mos davanti al roveto ardente. Per questo S.Paolo parla della fede come di un "ossequio" della nostra persona, e S.Giovanni la chiama "un comandamento". Istintivamente l'uomo non si fida di ci che non capisce; se lo accetta, perch si fida di un altro "che sa", e che attesta onestamente quello che sa. E' un atteggiamento senza dubbio valido e ragionevole, e lo in sommo grado quando chi sa e chi attesta Dio stesso. Ma quando si pensa che la fede non offre le stesse garanzie della scienza o la stessa sicurezza offerta dalla propria esperienza, dalle proprie convinzioni, o dalle stesse evidenze razionali, allora la fede guardata con sospetto e con diffidenza, come se fosse un tranello, oppure come un palliativo per mascherare la propria ignoranza. Quando poi la fede sembra contrastare le proprie decisioni personali o le proprie scelte di vita, allora viene istintivamente rifiutata come una limitazione alla libert interiore e un impedimento alla propria maturit. Se infine si arriva, come nelle moderne ideologie, a trasformare il sapere in potere, la conoscenza in dominio, la libert di pensiero in volont di potenza, allora l'autorit respinta come una minaccia e l'ossequio della fede rifiutato fino alla ribellione in nome della propria coscienza, considerata fonte della libert. Il libero pensatore e l'anarchico sono sempre andati a braccetto sulle strade di tutte le ribellioni.

37 - Intelletto cristiano
Ma il compito dellintelletto nei riguardi della fede non si limita a rendere possibile latto di fede e a giustificarlo razionalmente, compito che in certo senso previo alla fede, ma va anche oltre: cio lintelletto ha un proprio ruolo allinterno della fede stessa. Del resto, non potrebbe essere diversamente dal momento che la fede una conoscenza, e noi non abbiamo altra facolt conoscitiva che lintelletto. Perci, anche il contenuto della fede non pu prescindere dalla ragione. Qual dunque questo compito o servizio che lintelligenza svolge allinterno della fede? Per comprendere meglio, ricordiamo il mistero dellIncarnazione: il Figlio di Dio si fa uomo e assume la nostra natura umana nella sua limitatezza; dal canto suo la nostra natura mette a disposizione della seconda Persona della Santissima Trinit le proprie facolt umane per mezzo delle quali il Dio-Figlio agisce come uomo e pu compiere la missione ricevuta dal Padre: la Redenzione. Analogamente, le verit che Dio ci ha fatto conoscere nella Rivelazione e che sono oggetto e insieme contenuto della fede, sono proposte allintelletto umano il quale, a sua volta, mette a servizio della Rivelazione le categorie razionali che, sia pure nella loro limitatezza, servono ad esprimere rettamente quelle verit; esprimere rettamente, servono cio non a spiegare ma a formulare senza deformarle le verit
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Gv. 8,12 1 Gv. 5,10

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rivelate da Dio. In altre parole la fede, sia per il contenuto come anche per la sua origine e per il suo fondamento, trascende lintelletto umano ma nello stesso tempo non pu farne a meno perch ha bisogno delle sue categorie razionali per esprimersi. In un certo senso la Rivelazione si incarna nellintelletto umano, lo eleva ma anche ne utilizza i mezzi per rendersi conoscibile. Daltra parte questo servizio che la ragione rende alla fede ben ripagato perch la fede virt teologale infusa con la grazia nel Battesimo eleva la ragione e la rende capace di conoscenze che prima le erano totalmente sconosciute, e di altre che le erano molto oscure e difficili. Cos, ad esempio, la conoscenza intorno a Dio e al suo mistero, la conoscenza intorno alluomo: la sua identit naturale, la sua origine, il suo destino, concetti come quelli di persona, natura, grazia, ecc. sono conquiste che la ragione umana ha realizzato nella luce della fede. Mediante la rivelazione divina, la fede potenzia la ragione, la rende pi penetrante, capace di raggiungere quella Verit di cui lintelletto umano sente un insopprimibile e mai appagato desiderio. Lapprofondimento razionale dei contenuti della fede compito di una scienza, che possiamo chiamare la regina di tutte le scienze umane: la scienza teologica. Il lavoro della teologia proprio quello di offrire alla fede le categorie razionali pi adeguate ed efficaci per penetrare sempre pi profondamente le verit rivelate e illuminare il loro rapporto con la vita delluomo e con il suo destino; inoltre, anche se tali categorie sono inadeguate a spiegarci il mistero, possono tuttavia indicarci dove sta il mistero davanti al quale al nostro intelletto non resta che inginocchiarsi e adorare. Ora, non tutte le categorie razionali sono adatte ad esprimere rettamente, senza deformarli, i contenuti della fede. Ed ecco che in aiuto allintelletto umano, Dio ha provveduto istituendo la Chiesa che, col suo Magistero, garantito dallazione dello Spirito Santo, pu discernere fra le categorie razionali elaborate dalla teologia, quelle che sono pi idonee ad esprimere correttamente le verit rivelate. La fede, dunque, non ha nulla da temere dalla ragione e la ragione non ha nulla da temere dalla fede; luna e laltra fanno parte di quella strada della luce che conduce luomo verso la Verit, strada garantita dallazione dello Spirito Santo attraverso il Magistero della Chiesa. Esiste perci una continuit tra ragione e fede, continuit che garantisce quella unit profonda della vita cristiana che qualifica la nostra identit di cristiani nel mondo. La fede fa del nostro intelletto un intelletto cristiano; questo leffetto specifico assolutamente originale e fondamentale che la fede opera sulla ragione umana. Infatti la fede eleva il nostro intelletto nel senso che non solo lo rende capace di pi alte conoscenze (le Verit rivelate) per le quali spinto ad elaborare categorie razionali adeguate restando tuttavia un intelletto puramente umano, potremmo dire mondano, ma anche lo eleva nel senso che lo trasforma in un intelletto cristiano, capace di pensare cristiano, di vedere cio lesistenza, la storia e tutte le realt create in modo cristiano, e di muoversi costantemente nella luce soprannaturale della Rivelazione. E appunto questo uno degli aspetti essenziali di quellunit di vita che ci identifica come cristiani. Ed ecco perch pu verificarsi il paradosso di un teologo non credente, che non si muove allinterno della fede, contrariamente a quanto afferma la S. Scrittura: iustus meus ex fide vivit, il giusto vive di fede e per la fede.

38 - Lomaggio della volont nellatto di fede


Il compito decisivo nell'atto di fede spetta allora alla volont. E' lei in definitiva che si piega in adorazione davanti all'autorit di Dio, e mette la nostra 36

ragione in ginocchio davanti a Cristo, "Credi tu nel Figlio dell'uomo? - chiese Ges al cieco nato - ed egli disse: "Io credo, o Signore!" e gli si prostr dinnanzi". 58 . In altre parole l'intelligenza indica alla coscienza dell'uomo e alla sua libert, a chi e che cosa deve credere e perch deve credere, ma poi l'atto di fede dipende dalla volont. L'uomo crede se vuole credere, e se non vuole non crede, quali che siano i ragionamenti e anche le evidenze razionali che gli vengano presentate. E' cos che l'atto di fede diventa un atto di adorazione all'autorit di Dio. A questo punto la purificazione dell'intelligenza strettamente legata alla rettitudine della volont in quella che la virt pi difficile per il nostro spirito: l'obbedienza. E' una virt che viene considerata, come abbiamo visto, indegna dell'uomo perch ritenuta lesiva della sua libert, di quella libert soprattutto che si ritiene costitutiva dell'uomo adulto e autonomo: la libert di pensiero. Non c' dubbio che l'ossequio intellettuale sia la forma pi profonda e pi impegnativa di obbedienza e costituisca un vero "omaggio", cio sottomissione della nostra persona in ci che gli appartiene di pi nobile e prezioso: l'intelligenza; la fede come obbedienza oboedientia fidei - perci una vera e propria oblazione della nostra persona all'autorit di Dio. Ma la nostra intelligenza dovrebbe allora ricordarsi che abbracciare la Verit diventare profondamente liberi, che "servire Dio regnare". Tra verit e libert c' un rapporto assoluto, quasi univoco. Nella menzogna non c' libert. La forma di menzogna oggi pi diffusa il mancato rispetto della verit delle cose, verit che viene sostituita dal pensiero inteso come criterio ultimo di verit, e dalla coscienza soggettiva eretta a norma suprema di comportamento. Il principio evangelico: "La Verit vi far liberi" 59 ha enorme importanza riguardo ai problemi della conoscenza, come vedremo. Qui interessa ricordare il peso morale che ha la coscienza ai fini di un atto di fede che sia omaggio della nostra libert all'autorit di Dio. Solo una coscienza integra pu combattere con successo una battaglia che esige lealt, umilt, sincerit e fortezza per arrivare alla oboedientia fidei, obbedienza che la pi alta espressione di libert e insieme l'atto di adorazione pi nobile che possiamo compiere verso Dio. Talvolta questa decisione della volont di consegnarsi a Dio nell'atto di fede comporta unintensa sofferenza, accompagnata da una lotta interiore che fa gemere la coscienza. Ma una decisione estremamente liberante, e fa sperimentare la verit delle parole di Ges che possiamo cos parafrasare: "Chi vorr salvare la propria libert, la perder, ma chi perder la propria libert per me, la salver". Infine questo omaggio della nostra libert, questo chinarsi della volont all'autorit di Dio, costituisce il valore meritorio dell'atto di fede, come avvenne ad Abramo, che credette a Dio contro ogni speranza, e Dio glielo accredit come giustizia. 60 La Chiesa nella sua liturgia definisce Abramo: "nostro padre nella fede"; egli obbed a Dio fidandosi totalmente ed eroicamente di lui anche quando ci che Dio gli chiedeva - come il sacrificio del figlio Isacco 61 - appariva incomprensibile e umanamente assurdo, anzi crudele e inaccettabile. Credere aprire un credito con Dio, il quale ripaga restituendo il cento per uno.

39 - Limportanza del cuore nellatto di fede


In tutto questo, importanza non trascurabile ha il cuore. Dicendo "cuore" non intendiamo semplicemente il luogo dei sentimenti, almeno nel loro significato
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Gv. 9,35 Gv. 8,32 60 Gen. 15,6 61 Gen. 22,1-18

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puramente emotivo. Le emozioni rappresentano spesso un fatto piuttosto superficiale. E nemmeno vogliamo riferirci a qualcosa che presiede agli stati d'animo; anche gli stati d'animo interessano prevalentemente la parte periferica della nostra personalit. Troppo spesso si parla della fede come di un sentimento, con tutte le conseguenze di volubilit, di fragilit, di superficialit che sono proprie dei sentimenti e degli stati d'animo. La fede qualcosa di ben diverso e coinvolge un centro ben pi profondo della nostra persona. In questo senso il cuore come la camera nuziale dell'intelletto e della volont; dal loro incontro scaturiscono e si accumulano dentro di noi le esperienze vissute: le vittorie e le sconfitte, le decisioni e le fughe, le virt e le vergogne...., tutte quelle vicende interiori che hanno delineato la fisionomia profonda della nostra persona. Il cuore appunto la nostra fisionomia interiore, la radice profonda dei nostri atteggiamenti, il centro delle disposizioni dell'anima. Si parla perci di un cuore buono o malvagio, di un cuore docile o ribelle, di un cuore freddo o generoso. Potremmo definirlo il centro vitale che presiede all'orientamento profondo della nostra anima. "Dove c' il tuo tesoro, l c' pure il tuo cuore". 62 E' anche vero che il cuore il luogo di risonanza delle situazioni emotive; l si accumulano i dati delle nostre sensazioni e delle nostre esperienze. E quando queste sono state negative, hanno cio provocato dolore, lacerazioni o ferite, possono diventare determinanti nell'orientare in senso negativo il nostro cuore. In persone di natura particolarmente sensibile, certe umiliazioni subite nell'adolescenza, i vuoti affettivi dell'infanzia, le ingiustizie patite, gli insuccessi nella vita professionale o sentimentale, possono provocare atteggiamenti di protesta, di rifiuto e anche di chiusura alla fede e al rapporto personale con Dio. Ancora peggiore la situazione di un cuore corrotto, un cuore che si sia abbandonato ad amori illeciti o ignobili, ai piaceri dei sensi o alle comodit della vita, all'avidit delle ricchezze o alle soddisfazioni di questo mondo, al disordine di una vita senza ideali e senza scrupoli. Tutte queste cose contribuiscono a legare l'uomo alla terra, a gettarlo nel disordine di una vita senza valori. E' il caso dell'uomo carnale che non comprende le cose di Dio. A un cuore corrotto Dio risponde con il silenzio; tale fu il comportamento di Ges davanti ad Erode. Possiamo perci comprendere facilmente l'importanza della purificazione del cuore in ordine all'atto di fede. "Beati i puri di cuore, perch vedranno Dio". 63 La fede non possibile quando il cuore non retto e pulito. La purificazione del cuore comincia dalla sincerit interiore alla quale corrisponde la sincerit della vita e della condotta. Molti non credono "..perch le loro opere sono malvage. Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perch non siano svelate le sue opere". 64 Il rifiuto della fede spesso conseguenza di una vita bugiarda: "Voi avete per padre il diavolo... egli non ha perseverato nella verit perch in lui non c' verit. Quando dice il falso, parla del suo, perch menzognero e padre della menzogna. A me invece voi non credete, perch dico la verit". 65 Un secondo aspetto della purificazione del cuore consiste nella lotta interiore contro le passioni. Sono soprattutto due le passioni che appesantiscono il cuore: l'impurit e la cupidigia delle ricchezze. L'una come fango appiccicoso e malsano che toglie ali alla fede, l'altra una sorta di pinguedine spirituale che soffoca il respiro dell'anima. Sono come catene che imprigionano il cuore e gli impediscono di muoversi verso Dio.

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Mt. 6,21 Mt. 5,8 Gv. 3,19 Gv. 8,44-45

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40 - La grazia nellatto di fede


In tutto questo sforzo di purificazione per liberare la fede dentro di noi, assolutamente necessaria la grazia che viene da Dio. L'atto di fede, per il fatto di essere un atto squisitamente soprannaturale, ha bisogno della Grazia. Nessuno raggiunge Dio con le proprie forze; la fede un moto verso l'alto, anzi verso l'Altissimo, ed un viaggio che trova le risorse umane assolutamente inadeguate. Se l'uomo pu raggiungere Dio perch Dio venuto fino a noi. Ci stato "dato" di diventare figli di Dio. Ges non soltanto l'oggetto della nostra fede, anche la strada della fede. "Io sono la via... Nessuno viene al Padre, se non per mezzo di me". 66 Rimane un mistero profondissimo l'intervento di Dio in ogni nostro atto di fede; Egli precede e accompagna ogni nostra decisione con la sua grazia. E' Dio che illumina la nostra intelligenza, sostiene la nostra volont, risana la coscienza e purifica il cuore. Perci chiunque vuole avvicinarsi alla fede deve anzitutto chiederlo con umilt e perseveranza al Signore, e poi ricorrere alla forza dei Sacramenti. Quanti dubbi sono svaniti dopo un'umile e sincera confessione dei propri peccati! E quante difficolt nella fede sono crollate ai piedi di un sacerdote che alzava la propria mano su una coscienza ferita di dolore e di contrizione. Intelligenza, volont, cuore, libert e grazia: tutto questo presente nell'atto di fede e fa di esso un momento di grande intensit spirituale che giustifica la preziosit della fede nella nostra esistenza sulla terra. Certamente, per la profonda unit dell'essere umano, che coinvolge anche l'organismo soprannaturale creato in noi dal battesimo, non possibile comprendere l'atto di fede isolandolo dalle altre virt teologali, soprattutto dall'amore. Non si crede "veramente" se non si ama, e d'altra parte non si ama ci che non si conosce. La conoscenza della fede non mai un atto puramente conoscitivo, intellettuale. La fede "vera" apre all'amore ma anche suppone l'amore ed condotta dall'amore per strade d'amore. La grande fede, nelle anime grandi, sempre sposata ad un grande amore. I grandi credenti furono sempre grandi innamorati, perch solo un'anima innamorata pu penetrare profondamente nella conoscenza di Dio. Ancora una volta Teresa d'Avila ci fa da maestro: 67 Con ali di purissimo amore volare agli stupori di conoscere Dio!

41 - La fede di Maria
Con Santa Teresa d'Avila interminabile il corteo di anime che, come Abramo, Mos, i Profeti, gli Apostoli e i Martiri, hanno percorso la strada della fede nel loro cammino sulla terra, e potremmo anche dare spazio a pi profonde e ampie riflessioni sul dono e sulla virt della fede, ma tutto sarebbe insufficiente e incompleto se, alla fine, non fermassimo lo sguardo e il cuore davanti a Colei che, come nessun'altra creatura si pone a modello e ad esempio di fede, e che sulla strada
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Gv. 14,6 S.Teresa D'Avila, Castello Interiore, 5 M.2

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della fede precede ogni credente. E' lei, la Vergine credente, che nella fede ha accolto il disegno di Dio per la salvezza degli uomini - "Sono la serva del Signore; avvenga di me quello che tu hai detto" 68 - lei, la Vergine madre, che attraverso l'obbedienza della fede ha concepito e partorito il Figlio di Dio fatto uomo; lei, la Vergine corredentrice che, unita alla morte del Figlio, ha accettato che fosse piantata la croce anche nel suo cuore - "Una spada ti trapasser l'anima" - lei, la Vergine Sposa, che nel Cenacolo ha atteso nella fede lo Spirito Santo diventando madre della Chiesa pellegrinante nel tempo. Questa fede di Maria costituisce la sua beatitudine sulla terra - "Beata Colei che ha creduto" 69 - ed questa la beatitudine riservata ad ogni credente, ad ogni cristiano che voglia imitare Maria e seguirla nel cammino della fede. "Beati gli occhi che vedono quello che voi vedete" 70, e "Beati coloro che pur non avendo visto, crederanno". 71 La sera del Venerd Santo, la fede si era spenta sulla terra; Lei, la Vergine Maria, ha perseverato nella fede quando pi nessuno credeva, ha conservato la speranza quando pi nessuno sperava, rimasta fedele quando tutti erano fuggiti. Credere "vedere" Dio: vedere Dio nel mistero dell'Universo che mi circonda; vedere Dio nell'uomo-Ges, Figlio di Dio-Padre, il quale ha posto in Ges la pienezza della divinit; vedere Dio nel Crocifisso, che ha dato s stesso per la salvezza dell'umanit; vedere Dio negli uomini che Egli ha posto come fondamento della sua Chiesa e li ha mandati nel mondo per annunciare il Vangelo ad ogni creatura; credere vedere Dio "nascosto" nei segni sacramentali: nell'acqua del battesimo che mi fa figlio di Dio, nel pane e nel vino che nell'Eucarestia diventano il Corpo e il Sangue di Cristo sacrificato per me, nell'accusa umile e contrita dei miei peccati sui quali, nel sacramento del perdono, scende la misericordia di Dio per mano del sacerdote, nel dono casto e fecondo del proprio corpo nell'amore coniugale per servire la vita; credere vedere Dio nel futuro della mia esistenza, oltre la morte, quando, dopo avermi accolto nelle sue braccia, Dio chiamer il mio corpo alla risurrezione e mi render partecipe della sua vita eterna. Su questa traiettoria dell'esistenza umana, lungo questo cammino della fede, Maria ci precede, ci apre la strada, ci fortifica e ci ottiene di perseverare con fedelt e tenacia. Il suo fiat, un s pieno e totale a Dio che la interpella, che la chiama, che si impossessa di lei per farla madre della nostra salvezza, un fiat che esprime la sua fede umile e innamorata la radice della sua beatitudine: "Beata colei che ha creduto". In un mondo secolarizzato che ha voltato le spalle a Dio, lo ha emarginato dalla propria vita e lo ha dichiarato inutile se non ingombrante ed oppressivo, vivere la fede in lui andare contro mano, contro la cultura ufficiale che ha forgiato la mentalit scettica e mondana oggi dominante. Maria sta davanti all'umanit come colei che "indica la strada" - la Odigitria - e gli uomini devono convincersi che la vera felicit, la "beatitudine" non conosce altre strade se non la strada della fede che porta a Ges Cristo e, attraverso di lui, al Padre. Beata colei che ha creduto, ma anche Beato chiunque accoglie la parola di Dio e la osserva. 72

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Lc. 1,38 Lc. 1,45 Lc. 10,23 Gv. 20,29 Lc. 11,28

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IL TEMPO: CAMMINO DELLA SPERANZA


QUALE SPERANZA?
42 - Il pane della Speranza.
La fede la strada. Vivere nel tempo senza la fede vivere senza una direzione, senza una meta che ci orienti. E' come vagare in un deserto senza orme, smarriti sotto un cielo senza stelle, chiusi da un orizzonte tutto uguale. E' vagare inutilmente intorno a s stessi, intorno alle proprie orme. E si finisce col morire di sete. Ma aver trovato la strada non basta, n basta conoscere la meta. Occorre la convinzione che la meta possibile e che la strada non tradisce: occorre la Speranza. E' un errore di prospettiva pensare che l'eternit cominci dove finisce il tempo e che la meta sia al di l della strada. La meta invece a portata di mano perch l'eternit non ha una durata, tutta "presente", in ogni attimo del tempo. La meta dunque possibile e la strada non delude. Nella vita non possiamo camminare senza il pane della speranza. Per no i cristiani questo pane la fiducia in Dio, e la meta la perfetta comunione con Lui nel cielo. Il pane della speranza forza e sostegno per la nostra anima perch genera in noi la certezza che Dio non inganna. Per chi cammina senza speranza la strada non finisce mai, e la meta non ha nome. La speranza come una rugiada mattutina per l'anima, come la manna che aliment quotidianamente gli Ebrei nel deserto. Senza il pane della speranza ogni strada si fa deserto e nessuna meta possibile. Esiste un pane mondano da cui dobbiamo guardarci, un pane fraudolento, che delude la fame del cuore umano e tende a surrogare la speranza cristiana: l'ottimismo mondano. A questo pane allude Ges quando raccomanda agli Apostoli: "...guardatevi dal lievito dei Farisei e dal lievito di Erode". 73 I Farisei ed Erode sono i falsi fornai di questo mondo: i Farisei si preoccupano che la speranza abbia la forma del pane anche se non pane vero, perch mettono la loro fiducia non in Dio ma nella legge; Erode, che nega la legge, pone la sua fiducia nella libert e non nell'Amore. La forma di ottimismo mondano pi diffusa nella nostra epoca e in tutta la cultura moderna l'ottimismo ideologico. Nasce dalla Ragione considerata fonte unica di ogni progresso e si esprime in una fede assoluta nelle risorse dell'intelligenza umana: le certezze del pensiero scientifico, le realizzazioni della tecnica, il potere della politica e dell'economia. In questo ottimismo terreno l'unica preoccupazione l'efficienza, il successo nella soluzione dei problemi economici e sociali, prescindendo totalmente dalla valenza morale dei mezzi e delle realizzazioni. In un simile contesto culturale, nel quale manca ogni riferimento alla dignit dell'uomo e alla sua dimensione religiosa, non ci sono alternative all'efficienza ottimistica se non il caso, con le sue leggi cieche e deterministiche. Perci, o l'ottimismo o la rassegnazione.

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Mc. 8,15

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43 - La speranza mondana.
In questo modo di pensare, la speranza cristiana del tutto assente, anzi sconosciuta; il termine stesso speranza ha perduto il suo contenuto religioso e soprannaturale. L'ottimismo mondano prescinde da Dio e ha per oggetto quella "societ perfetta" che l'utopia di tutte le ideologie moderne. Una societ perfetta che non riguarda solo le strutture e le infrastrutture sociali e politiche dalle quali rimarrebbero per sempre eliminate ingiustizie, emarginazioni, violenze, e ogni altro male incompatibile con l'utopia vagheggiata dalla Ragione, ma riguarda anche il singolo individuo che verrebbe liberato dalle varie schiavit: il lavoro, l'ignoranza, la precariet fisica e tutti i condizionamenti che pregiudicano la qualit della vita; in una parola, l'ideale dell'ottimismo mondano una societ felice dove ognuno vive felice. La strada di questo ottimismo il Progresso, uno sviluppo indefinito e ininterrotto, di conquista in conquista, che viene considerato legge fondamentale della storia. L'errore fatale dell'ottimismo mondano quello di identificare l'eternit col tempo, il Regno di Dio con la Storia. Scrive il card. Ratzinger: "L'ottimismo ideologico in realt pura facciata di un mondo senza speranza, di un mondo che, con questa illusoria facciata, vuole nascondere la propria disperazione. (.....) A questo punto si colloca anche il problema della morte. L'ottimismo ideologico un tentativo di dimenticare la morte con il continuo discorrere di una storia protesa alla societ perfetta. Qui si dimentica di parlare di qualche cosa di autentico e l'uomo viene calmato con una bugia; lo si vede sempre quando la morte stessa si avvicina. Invece la speranza della fede apre su un vero futuro oltre la morte e solo cos i veri progressi che ci sono diventano un futuro anche per noi, per me, per tutti". 74 Questo non vuol dire che il desiderio e l'impegno per un mondo migliore siano estranei alla speranza cristiana, quasi che essa si collochi oltre o al di fuori della storia. Ogni sforzo e ogni iniziativa che tendano a rendere il mondo presente pi giusto, pi pulito, pi degno dell'uomo, non solo entrano pienamente nella speranza cristiana ma ne sono, in certo senso, il necessario presupposto e insieme la prima conseguenza. I "cieli nuovi e la terra nuova" che sono oggetto della nostra speranza di cristiani, non sono una entit completamente nuova, diversa dal mondo attuale, come se essi dovessero uscire dall'annientamento totale dell'universo presente; essi saranno gli stessi cieli e la stessa terra che Dio ha creato e che ora giaciono sotto il potere del maligno, ma liberati dal peccato e fatti partecipi della gloria di Cristo risorto. E' questa una delle tesi fondamentali dell'ottimismo cristiano: " La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa infatti stata sottomessa alla caducit - non per suo volere, ma per volere di colui che l'ha sottomessa - e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavit della corruzione, per entrare nella libert della gloria dei figli di Dio. Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nella doglie del parto; essa non la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Poich nella speranza noi siamo stati salvati". 75 La fede ci ricorda che il mondo attuale non risponde pi al disegno di Dio e che esso, per quanto purificato e reso pi vivibile dallo sforzo umano, pu diventare solo una figura, l'ombra, del mondo futuro. Perci la lotta contro il peccato e le sue conseguenze - l'ingiustizia, la violenza, il dolore, la malattia, la morte stessa (ultimo nemico che Cristo abbatter) - un elemento costitutivo della speranza cristiana, che nell'impegno di umanizzare questo mondo, anzi di santificarlo, tende a renderlo pi
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J. Ratzinger, Guardare Cristo. (Jaka Book-MI 1989) Rom. 8,19-24

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conforme al progetto di Dio, come figura di quel mondo nuovo che appartiene alla resurrezione e alla vita eterna, dove "non ci sar pi la morte, n lutto, n lamento, n affanno, perch le cose di prima sono passate". 76

44 - La speranza teologale.
Accanto all'ottimismo ideologico esiste un ottimismo mondano pi comune che frutto di speranza puramente umana, e che emerge in espressioni frequenti sulle labbra di molti, come: "speriamo che tutto vada bene" o "auguriamoci che le cose si mettano su una buona strada" ecc.. Sono espressioni che indicano l'atteggiamento di chi si affida prima alle risorse della scienza e dell'esperienza e poi alla buona sorte. E' un ottimismo che spesso si allea al felice temperamento di un'indole naturalmente ottimista e positiva, ma che ha ben poco in comune con la virt della speranza; tutt'al pi un suo buon alleato, ma resta sempre un ottimismo intra-mondano. Ben diverso l'augurio dellApostolo Paolo a Timoteo: "Paolo, apostolo di Ges Cristo, per comando di Dio nostro Salvatore e di Cristo Ges, nostra speranza: grazia, misericordia e pace da Dio Padre e da Cristo Ges nostro Signore". 77 Noi cristiani siamo chiamati a percorrere il tempo della nostra vita sostenuti dalla virt teologale della speranza. Virt teologale perch ha come oggetto Dio o meglio la comunione perfetta con Lui nel cielo. La meta della speranza cristiana, la speranza dei figli di Dio, dunque altissima; il Sommo Bene, conosciuto, desiderato e amato da noi come l'unico bene veramente prezioso e importante. Conosciuto e amato: la speranza infatti sta tra la fede e l'amore. E' virt tipicamente transitoria, legata esclusivamente al tempo, alla nostra vita sulla terra. Nell'eternit la fede cambier il suo modo di conoscere e l'amore cesser da ogni desiderio. Dalla fede, che qui sulla terra ci d una conoscenza di Dio "per speciem", cio attraverso i concetti umani, passeremo a una conoscenza di Dio "faccia a faccia", attraverso Dio stesso, cio attraverso la sua essenza divina; cos l'amore: da desiderio insonne e inappagato di incontrare Dio si trasformer in una comunione piena e stabile con lui, sar un possesso e un essere posseduto dell'amato nell'Amante in un'estasi senza fine. In queste condizioni la speranza non ha pi senso, non pi possibile. Per davvero: finito il tempo, finita la speranza. Quaggi la speranza sta tra la fede e l'amore, e dalla fede e dall'amore dipende, anzi partecipa dell'una e dell'altro. Per questo, se finisce la speranza anche il nostro viaggio si ferma. Inoltre, il nostro cammino sulla terra conosce ostacoli e difficolt ed contrassegnato da momenti di stanchezza, di tentazione e di oscurit. Sono i moment i in cui avvertiamo pi intensamente la necessit della speranza. In quei momenti il desiderio di superare gli ostacoli e di vincere le difficolt contrasta con il senso vivo della nostra debolezza e della nostra impotenza, e forse siamo assaliti dallo sconforto e dall'angoscia. Parlavamo del pane della speranza; di speranza, infatti, si nutre non solo il nostro desiderio di Dio, desiderio di vederlo e desiderio di possederlo, ma anche il nostro vivere quotidiano, fatto di vicende e di situazioni che mettono alla prova la nostra perseveranza, la nostra continuit, in una parola, la nostra volont di continuare la strada, di servire Dio e di piacergli in ogni cosa.

45 - Speranza e santit.
Dire che l'oggetto ultimo della speranza Dio stesso in una perfetta ed eterna comunione con lui, come dire che siamo chiamati alla santit. E' una meta che va
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Ap. 21,4 1 Tim.1,1

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oltre ogni possibilit umana e nessuno potrebbe aspirare a tanto se non sapesse che ci corrisponde ad una precisa volont di Dio; questo infatti il suo progetto su di noi dall'eternit: "In lui (in Cristo) ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto". 78 La meta tanto alta che pochi cristiani sono veramente convinti di essere chiamati alla santit. Sono invece molti che giudicano perfino poco praticabili i Comandamenti di Dio e vogliono adattarsi ad una vita cristiana pi "normale". La loro speranza non va oltre le esigenze della mediocrit, si accomodano su un livello di vita onesto, da galantuomini, limitandosi a non fare del male a nessuno e a rispettare tutti. Tarpano cos le ali della speranza cristiana che in tal modo non conosce pi le divine audacie della santit evangelica, le pazzie di un amore che non si appaga di mediocri desideri. Dicevamo che la speranza sta tra la fede e l'amore, e partecipa dell'una e dell'altro. Ora, se la fede " fondamento delle cose che si sperano", 79 poco spera chi poco crede. E poich sulla terra il nostro modo di amare il desiderio e non si pu sperare ci che non si desidera, poco spera chi poco ama. Pi grande la fede, pi profondo l'amore e pi audace diventa la nostra speranza. "Non volare come le galline quando puoi elevarti come le aquile". 80 I Vangeli si concludono con l'Ascensione, e tutto il Nuovo Testamento si chiude con l'invocazione dell'Apocalisse: "Vieni, o Signore Ges". Tra i Vangeli e l'Apocalisse ci sono in mezzo gli Atti degli Apostoli, come dire che tra la salita di Ges al cielo e il suo ritorno nella gloria c' in mezzo il cammino della Chiesa nei secoli. E' il cammino della speranza. Una speranza, questa della Chiesa, assoluta, piena, tanto intensa da essere traboccante. E' fondata sulla certezza che si sta realizzando il disegno di Dio e si vanno compiendo le sue promesse. Questo atteggiamento traspare evidente da tutto il comportamento degli Apostoli, e da ogni parola dei loro discorsi e delle loro lettere. Tanto che Pietro ricorda ai primi cristiani di essere stati "rigenerati per una speranza viva, per una eredit che non si corrompe, non si macchia e non marcisce". 81 I cristiani perci devono essere testimoni sempre pronti a "rendere ragione della speranza che in loro". Il martirio infatti stato sempre, agli occhi dei primi cristiani, la prova della loro speranza.

46 - Santit per tutti.


In tutto il Vangelo non troveremo una sola frase di Ges che sappia di mediocrit. Egli non dubita di additarci la perfezione pi alta, la santit di Dio: siate perfetti com' perfetto il Padre vostro. Possiamo capire meglio queste espressioni di Ges, espressioni che ci sembrano paradossali, assolutamente improponibili, lontane da qualsiasi possibilit e aspirazione, se teniamo presente che l'essenza della santit Dio stesso e che "Dio amore". La perfezione cristiana consiste dunque nell'amore di Dio - un amore che prende tutto il cuore, tutta l'anima, tutta la mente e tutte le forze -, e nell'amarci fra noi "come Dio ci ha amati". Quel "come" vuole ricordarci le esigenze senza limiti dell'amore cristiano e il modo divino di esercitarlo. Certamente esso colloca la meta della perfezione cristiana ad un livello immensamente lontano dalle nostre possibilit, e tuttavia nessuno al mondo pensa di non sapere amare. Tutti siamo convinti di avere un'inesauribile capacit d'amore, e perci tutti possiamo essere santi, tutti possiamo e dobbiamo tendere alla pienezza dell'amore. Non dimentichiamo che Ges proponeva la strada e la meta della santit come
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Ef. 1,4 Ebrei, 11,1 Cammino, n. 7 1 Pt. 1,4

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volont di Dio alle folle della Galilea, prescindendo totalmente dalle loro circostanze e dalla loro situazione. Erano infatti persone di ogni et e condizione: vecchi, bambini. malati, pescatori, madri di famiglia, piccoli artigiani, autorit, perfino pubblici peccatori come i pubblicani, i profittatori, le prostitute. Di una di esse ha affermato: "Le sono perdonati i suoi molti peccati, perch molto ha amato". 82 Dunque tutti, perch tutti possiamo amare, possiamo tendere alla santit. Possiamo amare nelle poche cose grandi che ci dato di fare nella vita, ma soprattutto possiamo molto amare nelle tante cose piccole della vita quotidiana, nei piccoli doveri di ogni momento. E' questa la strada "ordinaria" della santit, quella che il beato Escriv chiamava l'eroismo di fare con perfezione - per Amore - le piccole cose di ogni giorno. E' cos che la nostra comunione con Dio, meta ultima della nostra speranza, diventa una realt meravigliosa che illumina ogni momento della nostra giornata. Il "pane della speranza", un pane quotidiano; non deve venir meno nella nostra bisaccia di viandanti, perch deve sostentarci in ogni passo del nostro cammino sulla terra.

LE "ALI" DELLA SPERANZA

47 - La Croce: potenza di Dio.


Nessuna creatura pu raggiungere Dio ed entrare in comunione con Lui con le sole possibilit della natura. La speranza di arrivare ad una meta cos alta, ad un bene cos grande, non pu avere altro fondamento che Dio stesso. Solo Dio pu fare in modo che lo possiamo raggiungere, e lo ha fatto abbassandosi fino a noi: "per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo" (Credo). Dio, infatti, "ha tanto amato il mondo da dare il suo figlio unigenito, perch chiunque crede in Lui abbia la Vita eterna". 83 E' Ges Cristo, dunque, la nostra speranza; in Lui c' la potenza di Dio e la fedelt di Dio Riflettiamo per un momento su questi due attributi di Ges: potenza di Dio e fedelt di Dio. Nel Credo noi proclamiamo l'onnipotenza di Dio Creatore: egli ha dato l'esistenza a tutte le cose e tutto sussiste per mezzo di lui. Ma egli anche intervenuto, soprattutto nella storia degli uomini, molte volte e "con mano forte e braccio potente". Gi nell'Eden il serpente maligno aveva ingannato i progenitori ma il Signore aveva promesso la rivincita su di lui: "Io porr inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccer la testa". 84 Questa rivincita fu realizzata da Ges con la sua vittoria sul maligno. I miracoli da Lui compiuti sulle malattie, sugli spiriti immondi, sulle leggi della natura, su tutte le forze del male, per cui le folle e gli Apostoli stessi esclamavano meravigliati: "donde vengono a costui questa sapienza e questi miracoli?", 85 sono segni e insieme prove che "il principe di questo mondo sar cacciato fuori". Ma la vera vittoria di Cristo, l dove si rivelata tutta la potenza di Dio, stata la Risurrezione. Quel sepolcro vuoto vale quanto il "fiat" della creazione. Anzi vale di pi; la creazione la vittoria della potenza di Dio sul nulla delle creature, la Risurrezione di Cristo la vittoria di Dio sulla "corruzione" delle
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Lc. 7,47 Gv. 3,16 Gen. 3,15 Mt. 13,54

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creature. La Risurrezione infatti inseparabile dalla croce e la presuppone. Ges crocifisso appare come la sconfitta di Dio e vittoria del Maligno; ma fu vittoria apparente, perch sulla croce stato crocifisso "l'uomo vecchio", l'uomo del peccato. Il Crocifisso infatti rivela la nostra condizione: la condizione dell'uomo "mortale", sconfitto, ripudiato da Dio, l'uomo fatto maledizione, devastato dal peccato e dalla morte. Cristo crocifisso ha preso su di s la sconfitta dell'uomo. Gli Apostoli, invece, e tutti noi, siamo tentati di vedere nella croce la sconfitta di Dio e perci la fine di ogni speranza. Per tutti noi, come per gli Apostoli, la croce rimane uno "scandalo", una incomprensibile assurdit, e comprendiamo perfettamente l'atteggiamento di Pietro che tenta di distogliere Cristo dalla decisione di "salire a Gerusalemme". Nella prospettiva della croce, la vicenda di Ges appariva sconcertante, contraddittoria. Ges era sempre stato signore delle situazioni e degli avvenimenti, aveva mostrato di conoscere i pensieri e le intenzioni di tutti e non era mai caduto nei tranelli e nelle insidie dei suoi nemici. La sua potenza soprannaturale, - "Dio era con Lui", diceva la gente - e la sua forza morale erano sotto gli occhi di tutti. Come spiegare allora la sconfitta della croce? Dove era finita tutta quella "forza che usciva da Lui e sanava tutti?". 86 Ges nella passione appariva irriconoscibile e inspiegabile. Il suo contegno di assoluta remissivit, la sua impotenza di fronte agli avvenimenti, la sua debolezza davanti a tante accuse ridicole e ingiuste, il suo abbandono totale in bala dei suoi nemici...., tutto questo era incomprensibile. La morte di Ges appariva perci come la sconfitta totale, la catastrofe che travolgeva ogni attesa e ogni speranza. "Noi speravamo che fosse lui!...." dicevano tristi i due discepoli di Emmaus. N il fatto impensabile della risurrezione, n le spiegazioni, pur cos chiare e persuasive di Ges, servirono a illuminare il mistero della sua morte. Per gli Apostoli come per tutti noi, capire la croce, saper vedere in essa non la sconfitta di Dio, ma la sua vittoria, non la fine di ogni speranza, ma l'inizio della vita e della redenzione, sar un dono dello Spirito Santo. Lo troviamo come uno dei temi fondamentali nella predicazione di San Paolo. Egli vedeva nella morte di Ges non la debolezza di Dio ma il trionfo della sua potenza. "Noi predichiamo Cristo Crocifisso, ... potenza di Dio e sapienza di Dio. Perch ci che stoltezza di Dio pi sapiente degli uomini, e ci che debolezza di Dio pi forte degli uomini". 87

48 - La croce e la speranza cristiana.


La Risurrezione esige la croce, ma dalla croce scaturita la vittoria della Risurrezione. Su quel legno stato inchiodato il decreto di condanna e di morte che pesava su di noi. Senza la croce di Cristo non esisterebbe per noi alcuna speranza. Quel Crocifisso la nostra forza davanti a Dio, perch la debolezza di Dio davanti alla nostra preghiera. Con Cristo crocifisso fra le mani possiamo presentarci con fiducia davanti al Padre e chiedergli ogni cosa; se Egli ci ha dato suo Figlio, non potr negarci pi nulla. Cristo crocifisso la "preghiera vivente" che noi possiamo offrire a Dio. La croce e la preghiera sono perci le armi della nostra speranza, e sono la conferma che la speranza cristiana totalmente soprannaturale anche nei mezzi. Del resto la Croce il fondamento di ogni realt soprannaturale: dalla Croce, infatti, vengono la remissione dei peccati, il dono della grazia, il pegno per la vita eterna, e dalla croce anche la preghiera trae tutta la sua efficacia. La Croce di Ges sigillo di garanzia. Il Signore lo imprime non solo su quegli avvenimenti straordinari che per il loro peso di sofferenza e di responsabilit
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Lc. 6,19 1 Cor, 1,24-25

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costituiscono le prove della nostra vita, ma anche lo imprime sulle circostanze ordinarie della vita quotidiana: ecco la fatica che accompagna il nostro lavoro, lo sforzo nella lotta interiore di ogni giorno, ecco l'impegno nei piccoli doveri della vita famigliare, il sacrificio gioioso di s stessi per rendere felici gli altri, ecco l'umile pazienza nelle contrariet della giornata, la fedelt mille volte rinnovata agli invit i della grazia, il ricominciare con ottimismo e fiducia dopo ogni insuccesso compreso quello dovuto alle nostre debolezze e alle nostre miserie che tanto ci umiliano. E' la croce di ogni giorno. A questo si riferiva Ges con le parole: "Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda ogni giorno la sua croce e mi segua". 88 Perci: "Quando vedi una povera Croce di legno, sola, senza importanza e senza valore... e senza Crocifisso, non dimenticare che quella Croce la tua Croce: quella di ogni giorno, quella nascosta, senza splendore e senza consolazione..., che sta aspettando il Crocifisso che le manca: e quel Crocifisso devi essere tu".89 Ma dobbiamo imparare a stare accanto a Ges e a seguirlo da vicino. "E' meglio per me, Signore, subire la tribolazione avendoti accanto, che regnare senza di te, godere senza di te, gloriarmi senza di te". 90 Solo cos non saremo pi soli e impauriti di fronte al dolore, ma sperimenteremo tutta la forza che ci viene da lui. Egli ci precede, traccia la strada e la percorre con noi, una strada che non finisce sul calvario perch si apre alla luce e alla gioia della Risurrezione. Cos la croce non sar pi un peso, ma sar il segno e la garanzia di tante vittorie. Sperimenteremo che dalla croce nasce la gioia perch fonte di Salvezza, e uniremo la nostra voce a quella della Chiesa che non teme di cantare nella sua liturgia: "Ave, Crux spes unica!" Ti salutiamo, o Croce, nostra unica speranza!

49 - Cristo, la fedelt di Dio.


Ma Ges la nostra speranza anche perch in Lui si manifestata la fedelt di Dio. "Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perch fedele colui che ha promesso". 91 Nella Bibbia, infatti, la fedelt appare come attributo principale di Jav, ed messo in risalto soprattutto in riferimento all'alleanza col suo popolo: Dio fedele alla sua Alleanza e non viene meno alle sue promesse. Ora, la grande promessa che Dio ha fatto all'umanit Ges stesso; in lui Dio ha mantenuto e realizzato l'impegno di salvezza che si era preso con noi. Ges, infatti, il "Servo fedele"; Egli ha compiuto la volont del Padre che lo voleva Salvatore e Redentore di tutti gli uomini. La certezza che Dio non viene meno nella sua fedelt e porta a compimento l'opera che ha intrapreso per noi, anche fondamento della nostra fedelt. Infatti Dio non si pente dei suoi doni, non ha stanchezze o debolezze, e anche se noi manchiamo di fedelt verso di Lui, "Egli rimane fedele, perch non pu rinnegare s stesso". 92 Il Signore dunque la nostra roccia, la nostra perseveranza; "Beato l'uomo che in lui si rifugia!" Ma Dio fedele non solo perch immutabile e non pu rinnegare s stesso, ma anche perch misericordioso. Tutta la Bibbia un inno alla misericordia di Dio che ha avuto piet di noi e non si fermato davanti all'infedelt dell'uomo; al nostro peccato egli ha risposto con la sua misericordia inviando suo Figlio a prendere su di s le nostre colpe. Cristo la misericordia del Padre verso gli uomini. Perci, qualunque cosa succeda nella nostra vita, non possiamo mai
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Lc. 9,23 Cammino, n. 178 S. Bernardo, Sermone 17 Ebrei 10,23 2 Tim. 2,13

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dubitare di Dio, non possiamo abbandonarci alla sfiducia o al pessimismo. Dubitare della sua misericordia e della sua magnanimit l'offesa pi brutta che possiamo fare al Signore ed anche l'ostacolo pi pericoloso sulla strada della speranza, perch ci tiene lontani da Dio e ci paralizza in una vita cristiana mediocre e triste. Infatti, dubitare della fedelt di Dio dubitare della sua misericordia e non avremo pi argomenti per la nostra speranza. Nei momenti difficili, come quelli segnati dalla fatica, dal dolore, dall'insuccesso, o quelli che testimoniano le nostre sconfitte personali, le cadute, le oscurit o i cedimenti, e cos in tutte le altre tribolazioni, il nemico pi pericoloso per la speranza lo scoraggiamento e la tristezza. Noi cristiani non possiamo permettere a questi "alleati del nemico" di insinuarsi in noi e di prendere posto nel nostro cuore. In quei momenti potremo attingere molto aiuto e molto conforto dalle parole che Ges rivolse agli apostoli nell'ultima Cena. Il Signore sapeva che i suoi stavano per passare attraverso la grande tribolazione del venerd santo, che avrebbe messo alla prova soprattutto la loro speranza; perci s'intrattenne con loro, in una lunga, intensa e affettuosissima conversazione, con lo scopo di sostenerli e di fortificarli nella speranza. Possiamo riassumere le sue parole in quella affermazione che Egli ripet pi volte e con la quale concluse quella sua conversazione: "Non sia turbato il vostro cuore e non abbiate timore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me (....) nel mondo avrete tribolazioni, ma abbiate fiducia: io ho vinto il mondo!". 93 Come se avesse detto: Non lasciatevi prendere dalla tristezza e dal timore, ma fidatevi di Dio, della sua forza e della sua fedelt.

50 - Speranza e filiazione divina.


Questo, che l'aspetto "passivo" della speranza, dovrebbe in teoria facilitarci l'esercizio di questa virt; invece, particolarmente in certe stagioni della vita, quando siamo consapevoli delle nostre possibilit umane ed essendo nel pieno possesso dei nostri mezzi ci sentiamo portati a un'assoluta fiducia in noi stessi, questo filiale e totale abbandono nelle mani di Dio, pur sapendo che sono mani forti e paterne, ci risulta difficile, quasi fosse una umiliante dichiarazione di debolezza e di impotenza. La speranza diventa allora una questione di umilt e di fede. La superbia sempre cattiva consigliera, ci porta non solo a confidare esclusivamente nelle nostre forze, oppure nella "fortuna", ma spesso ci spinge a ricorrere all'astuzia, alla scaltrezza mondana, agli appoggi dei potenti. Il senso vivo della filiazione divina ci porta invece a considerare la nostra condizione di creature piccole, amate da Dio, che si affidano a Lui con la certezza che nulla di male potr loro accadere, perch le braccia di Dio sono il luogo pi sicuro e anche il pi amabile dove una creatura pu vivere. "La filiazione divina una verit lieta, un mistero di consolazione. Riempie tutta la nostra vita spirituale perch ci insegna a trattare, conoscere, amare il nostro Padre del cielo, e colma di speranza la nostra lotta interiore, dandoci la semplicit fiduciosa propria dei figli pi piccoli. Pi ancora: dal momento che siamo figli di Dio, questa realt ci porta anche a contemplare con amore e ammirazione tutte le cose che sono uscite dalle mani di Dio, Padre e Creatore. In tal modo amando il mondo che diventiamo contemplativi in mezzo al mondo.". 94

93 94

Gv. 14,27 Beato J. Escriv, E' Ges che passa, n. 65

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I FRUTTI DELLA SPERANZA


51 - La Speranza, madre della pazienza.
Nella lettera ai Glati San Paolo ricorda tra i frutti dello Spirito una virt che Ges stesso raccomanda a quanti attendono la sua venuta: la pazienza. E' una virt che nasce dalla speranza ed strettamente legata al tempo. La pazienza, infatti, la perseverante e operosa sopportazione delle sofferenze che si incontrano per raggiungere ci che si spera. La speranza diventa allora attesa fiduciosa, un'attesa sempre docile, docile al tempo e docile alla vita; sa infatti che il cammino della speranza, come tutte le cose, appartiene al tempo e alla vita, e il tempo e la vita sono galantuomini, non deludono. Perci la speranza sa attendere e sa accettare senza inquietudine le difficolt che incontra, e diventa cos fonte di serenit e di pace. C' una pazienza per cos dire spicciola, quella legata alle situazioni ordinarie della vita quotidiana: una persona molesta, un contrattempo inopportuno, un imprevisto fuori orario, una difficolt nel lavoro, un piccolo malanno di salute ecc. Per essere legata a tante piccole circostanze della giornata, non significa che questa pazienza abbia poca importanza. Non c' di peggio che muoversi tra le cose della vita quotidiana con inquietudine, con affanno o con insofferenza. Il Signore vuole che conduciamo una vita serena, che sappiamo prendere le contrariet con spirito positivo e con buon umore, sapendo dare a ogni cosa il "suo" tempo: il suo e non il "nostro", che spesso non coincide col "passo di Dio". Questo modo di vivere la pazienza molto umano e molto soprannaturale. Molto umano perch tale pazienza va forgiando a poco a poco il nostro carattere, lo semplifica, lo rende pi amabile e disponibile, e insieme molto soprannaturale perch tale pazienza nasce da una visione di fede che ci fa considerare le cose secondo la loro giusta misura, in riferimento a Dio e al nostro profitto spirituale. I frutti di questa pazienza sono tutti preziosi; essa ci aiuta a raggiungere un sempre maggior dominio di noi stessi, contribuisce ad una maggiore stabilit d'animo, permette di vivere meglio la presenza di Dio e ci fa seminatori di pace e di allegria in famiglia, sul lavoro e dovunque svolgiamo le nostre attivit.

52 - Pazienza e fortezza.
Ma c' anche una pazienza che gli autori spirituali mettono in relazione pi direttamente con la virt della fortezza: la pazienza necessaria per testimoniare la nostra fede o per portare a compimento i nostri doveri e la nostra missione nonostante gli ostacoli e le difficolt che si possono incontrare. Questa pazienza vista come virt dei forti, di quelle anime che sopportano le tribolazioni e le persecuzioni a causa della loro fede, per amore di Dio e di Ges Cristo, restando a lui fedeli fino al sacrificio supremo. Molti servi di Dio furono mirabili esempi di questa pazienza, ad esempio: Abramo, Mos, Giobbe..., per non parlare dei martiri che portarono all'eroismo questa virt. Ma l'ideale supremo di pazienza rimane il "Servo di Jahv": Ges; egli, nella sua passione, ci ha lasciato di questa virt il documento pi commovente: "Maltrattato, si lasci umiliare e non apr la sua bocca; era come agnello condotto

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al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori". 95 Ma anche per noi, e per ogni cristiano, la pazienza come fortezza riveste un'importanza a volte decisiva se pensiamo che nella nostra vita non mancheranno le tribolazioni e le avversit, e che la fedelt al nostro cammino di cristiani deve essere frequentemente pagata con le persecuzioni. Perci Ges avvertiva: "Sarete odiati da tutti per causa del mio nome. (...) Con la vostra perseveranza - fedelt paziente salverete le vostre anime". 96 La mentalit del mondo portata a considerare la pazienza nelle prove non come fortezza bens come debolezza. E' forte - si dice- chi si ribella, chi protesta e magari reagisce alle avversit con la violenza. Si guarda perci con sospetto all'ascetica cristiana. E' vero che a volte si rischia di confondere la pazienza con la rassegnazione inerte e passiva; dobbiamo allora ricordarci che grava su di noi il dovere di difendere la verit, la giustizia e la pace fra gli uomini, e che il compito arduo ed esige sempre molta paziente fortezza. Anche qui il nostro modello supremo Ges; Egli, che "non spezzer la canna incrinata e non spegner il lucignolo fumigante" 97 e si proporr a noi come esempio di mansuetudine - "imparate da me che sono mite e umile di cuore" 98 - ha, tuttavia, agito con divina fermezza nel difendere la verit e la giustizia a favore di tutti, specialmente dei piccoli, dei poveri e perfino dei peccatori. Del resto, in tutta la Bibbia ci viene frequentemente ricordata la lunga pazienza di Dio con gli uomini: Egli non vuole la morte del peccatore ma che si converta e viva. Egli stesso si dato il titolo di "Paziente" riferendosi alle continue infedelt del suo popolo.

53 - Speranza e pazienza: attesa di Dio.


Questa pazienza di Dio, espressione non tanto della sua fortezza quanto piuttosto della sua misericordia, ci conduce a considerare l'altra forma della pazienza, cui abbiamo accennato, e che in noi pi direttamente legata alla virt della speranza: l'attesa. Si tratta di una pazienza pi profonda, molto interiore; la pazienza dello spirito. Sperare, in questo senso, saper attendere; ma di un'attesa non suggerita dalla neghittosit o dalla paura, motivi che non hanno nulla in comune con la speranza, bens di una "at-tesa", cio di una tensione viva e al tempo stesso serena verso il compimento di ci che Dio ha promesso. In questo senso la pazienza "camminare al passo di Dio". E' una pazienza squisitamente soprannaturale perch figlia della speranza teologale; la certezza che Dio compir la sua opera; come e quando non lo sappiamo, ma sappiamo che il "passo di Dio" non conosce stanchezze e anzi suppone perfino la debolezza e la miseria umana e ha previsto anche gli ostacoli che il male suscita continuamente sul percorso della Grazia divina. Perci non sono gli ostacoli, le persecuzioni, le umane resistenze che possono fermare le opere di Dio, ma la nostra mancanza di fede, la nostra carenza di umilt, le nostre impazienze mondane. L'impazienza diventa allora presunzione di abbattere gli ostacoli subito e con le nostre forze, tentativo di saltare i tempi e forzare la natura delle cose, pretesa di sostituirsi a Dio nel governo del mondo e delle stesse vicende della nostra vita. La speranza paziente conosce invece l'orazione, un'orazione "lunga", perseverante e fiduciosa; si appoggia a un lavoro silenzioso e sacrificato che non risparmia nessun mezzo umano; non rifugge dallo sforzo di costruire situazioni
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Isaia 53,7 Lc, 21,12 Mt. 12,20 Mt. 11,29

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terrene che formino il presupposto per il "momento della grazia"; in altre parole, rispetta e collabora con il misterioso dialogo tra l'umano e il divino, tra il tempo e l'eternit, tra la storia degli uomini e il progetto di Dio. Esempio mirabile di questa speranza paziente stata l'attesa dei Profeti che per secoli hanno aspettato e invocato Colui che doveva venire, l'Atteso da tutta l'umanit. Dio non ha mai forzato i ritmi della natura o degli eventi; dall'eternit Egli ha preparato la "pienezza dei tempi" per l'Incarnazione del Verbo. Ges stesso ha camminato decisamente verso la "sua ora", quella del sacrificio supremo, ma ha atteso il "momento" segnato dal Padre. Cos pure gli Apostoli hanno atteso con Maria, ma nella preghiera, "l'adempimento della promessa del Padre", 99 l'effusione dello Spirito Santo. Del resto Ges aveva avvertito i suoi discepoli: la cosa importante non conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta, quello che conta mantenersi fedeli ed essere suoi testimoni nel mondo "fino alla fine dei tempi e fino agli estremi confini della terra". 100

54 - Un male oscuro: la fretta.


Fra i vari atteggiamenti che sono in contrasto con la pazienza cristiana ne troviamo uno oggi particolarmente diffuso: la fretta. E' un atteggiamento alquanto superficiale ma assai pericoloso perch finisce col soffocare la speranza cristiana nelle speranze terrene. Per molti il tempo fretta, soltanto fretta. Non sanno nemmeno loro perch, ma la fretta li ha contagiati come un morbo; anzi ne siamo contagiati un po' tutti. Tutti ci sentiamo come incalzati dalle cose, dagli avvenimenti, dalle persone, senza possibilit di difesa, tanto che ormai ci siamo convinti che dobbiamo andare di fretta tutti per non sentirci in colpa verso una societ cos dinamica, cos rapida, cos efficiente. E cos la fretta ci ha messi tutti in fila, in fila all'ufficio postale, al mercato, alla fermata dell'autobus, in file lunghissime sulle autostrade. Si dice che la fretta conseguenza della societ industriale, organizzata, competitiva, dove il ritmo non d respiro e ci lega l'uno all'altro come un convoglio che non ha fermate. Sembrerebbe fretta di produrre, ma in realt fretta di consumare. Si consuma tutto e rapidamente. Non solo i prodotti propriamente consumistici, futili, banali, fatti per il capriccio, per i quali si creano bisogni fittizi e condizionamenti, - segno di questo consumismo forsennato sono le montagne di rifiuti che vanno ormai accumulandosi inquinando ogni ambiente vitale - ma si consumano anche i prodotti meno commerciabili, quelli che per loro natura dovrebbero sfuggire alla fretta perch esigono riflessione, meditazione, impegno interiore. Cos si diventati voraci consumatori di cultura, di sentimenti, e anche del dolore e della piet altrui, di drammi segreti di tante coscienze; valori che sono degni del pi profondo rispetto e che esigono attenta e delicata riflessione interiore. Inoltre, spesso si impegnano le energie pi nobili e pi alte, come l'intelligenza e il pensiero, per creare prodotti ignobili e avvilenti, (e qui l'inquinamento diventa ancora pi grave, perch le immondizie ideologiche e culturali che derivano da questo consumismo sono senza confronti pi tossiche e deleterie). Il tempo allora diventa solo una insana fretta di godere. La ressa scomposta di coloro che si accalcano attorno al tavolo di questo mondo imbandito di piaceri e di interessi egoistici per contendersi qualche fetta della loro misera torta, non ha bisogno di descrizioni. Tutti sentiamo intorno a noi il chiasso, le urla, le baruffe di tanti poveri animali in cravatta o in jeans che si azzuffano non risparmiandosi colpi, per un guadagno, per una poltrona, per un piacere o per una
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Atti, 1,4 Atti, 1,8

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soddisfazione in pi. La fretta di consumare piaceri un desiderio mai sazio.

55 - La fretta: un modo sbagliato di vivere.


Ebbene, dobbiamo guardarci dall'essere uomini della fretta consumistica, anzi dobbiamo salvarci semplicemente dalla fretta, perch la fretta uccide il tempo e uccide la vita. La fretta non nelle cose. Da millenni il sole, gli astri, gli esseri viventi seguono ritmi e tempi che non conoscono fretta, che non vengono mai scavalcati; davvero "natura non facit saltus" come dice un antico proverbio. La fretta un male oscuro che dentro di noi, una dimensione sbagliata del nostro spirito, un modo falso perch sfasato di metterci di fronte al mondo, e soprattutto di fronte a noi stessi e alla nostra vita. In definitiva, un modo sbagliato di stare con Dio. Perci la fretta sterile, porta con s la tristezza della infecondit. La fecondit della pazienza esige invece il saper stare nelle cose con perseveranza e portarle con il loro peso, esige di sapersi dedicare al proprio compito e al proprio dovere fino in fondo, di saper stare nel lavoro portandolo a compimento fino all'ultima pietra. Il Signore non conosce la fretta fin da quando ha creato il cielo e la terra. Conosce invece la pazienza: "Davanti a lui mille anni sono come il giorno di ieri che passato". 101 L'uomo ha dovuto attendere miliardi di anni per apparire sulla terra. Fa pensare molto questo lungo tempo dell'universo senza l'uomo, che pure era predestinato ad esserne il re, perch l'universo senza l'uomo appare come qualcosa di afono e anche di opaco: una pura vibrazione senza suono, come si esprimono i miti dei popoli antichi, un buio senza luce. L'uomo infatti la voce delle cose e la sua intelligenza illumina il creato. Perci un solo attimo di coscienza umana, un solo istante di vita spirituale vale pi di tutti i cicli delle ere geologiche, di tutti gli accadimenti della natura. In un solo istante dello spirito c' tutto il tempo dell'universo: l'uomo , nel tempo, una densit trascendente. L'universo dunque conosce la lunga pazienza di Dio creatore, una pazienza operosa che rimane mistero ma che riempie tutti i millenni delle re del mondo. Ma anche la vita cristiana, la nostra crescita spirituale, ha i suoi tempi e i suoi ritmi; essa cresce ora lentamente e ora pi rapidamente lungo tutta la nostra vita terrena. E' Dio che ha l'iniziativa e bisogna lasciare a Lui "i tempi e i momenti". La fretta un modo sbagliato di collaborare con la grazia di Dio; spesso contiene l'orgoglio dell'autosufficienza che vuole prescindere dal lavoro dello Spirito Santo nell'anima per puntare solo sulle proprie forze e sulla propria iniziativa. Cos la fretta uccide la speranza ed apre la strada allo scoraggiamento e alla sfiducia. Non dimentichiamo che il Battesimo ha messo la grazia e la fede nella nostra anima come un seme. Il suo sviluppo conosce il "passo di Dio" e la pazienza del tempo. Scriveva San Giacomo ai primi cristiani: "Siate dunque pazienti, fratelli...Guardate l'agricoltore: egli aspetta pazientemente il prezioso frutto della terra finch abbia ricevuto le piogge d'autunno e le piogge di primavera. Siate pazienti anche voi". 102 E' la stessa pazienza che devono avere i sacerdoti con le anime, i genitori con i figli, gli insegnanti e gli educatori con gli alunni, e tutti coloro che lavorano nella vigna del Signore e collaborano a qualsiasi attivit apostolica. Spesso, come per il seme dentro la terra, anche la crescita della grazia dentro le anime non ci dato di avvertirla e siamo tentati di pensare che Dio non agisca. Ma Ges ci assicura: "Il Padre continua ad operare" Dio opera incessantemente, ma anche paziente. La pazienza dunque sempre operosa perch frutto della speranza. Nel Padre nostro chiediamo che si affretti il Regno di Dio sulla terra;
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Salmo n. 90, 4 Gc. 5,7

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perci la pazienza non ha niente a che vedere con la sterile rassegnazione e tanto meno con la neghittosit; si esprime invece nella fedelt piena alla missione, al compito e alla responsabilit, anche piccola, di ciascuno; una fedelt senza inquietudini, senza abdicazioni e precipitazioni, ma anche senza lentezze, senza rinvii, senza approssimazioni.

56 - Fedelt e operosit.
Nella Chiesa e nella societ occorrono uomini capaci di pazienza, che sappiano stare nella propria vita con la stessa fedelt di Dio. Spesso la fretta nasconde le nostre infedelt: vogliamo scavalcare i disegni di Dio e deviamo per altri cammini che non sono quelli voluti da lui, o pi spesso, restiamo indietro sulle sue attese. Se pensiamo che il tempo il luogo della nostra fedelt a Dio ci torna alla memoria un episodio del Vangelo narrato da San Marco. Un giorno di primavera, uscendo di buon mattino, Ges ebbe fame. Lungo la strada che esce da Betania, ecco un albero di fico che sembra messo l apposta per la fame del Signore, un albero rigoglioso con una chioma florida e invitante. Ma sotto tutta quell'abbondanza Ges non vi trova un solo frutto. E subito si abbatte su quell'albero la maledizione del Signore: "Nessuno possa mai pi mangiare i tuoi frutti" 103; una maledizione che ci sembra eccessiva e quasi ingiusta. Cos sembr anche ai discepoli che, presi dallo stupore, gli fecero notare che era primavera, non era dunque il tempo dei frutti! Ges certamente lo sapeva e tuttavia maledisse quell'albero; ci che egli non sopport fu l'apparente vitalit di quel fico e la sua reale infecondit. Abbiamo a disposizione molti modi per ingannarci, per condurre una vita apparentemente laboriosa ma in realt sterile e inefficace. Una madre di famiglia pu agitarsi in mille cose lungo la giornata, un uomo d'affari pu correre molto nelle ventiquattro ore, un operaio pu sudare abbondantemente alla macchina o al suo strumento di lavoro, ed un politico impegnarsi in molte battaglie sociali, come pure il sacerdote nelle sue "battaglie pastorali", ma tutto questo pu portare in s l'inganno, la tristezza dell'infecondit. Possiamo fare molto rumore e "lavorare" pochissimo, correre molto ma invano, senza frutti. Non una critica a chi fa molte cose nella sua giornata; tutti dobbiamo avere mani cos operose che non ci avanzi un solo minuto del nostro tempo. Ci che dobbiamo temere l'inganno della presunzione, credere nella sola efficienza umana dei nostri mezzi, accecarsi con l'orgoglio di chi vede solo s stesso in quello che fa; voler edificare sul vuoto della vita interiore, pretendere di misurarsi solo sul volume e sulla risonanza del proprio lavoro; insomma, lavorare molto ma col cuore lontano da Dio. La fretta diventa cos la chioma frondosa della nostra vanit. Dobbiamo convincerci che ogni istante della nostra vita "tempo dei frutti". L'unica fretta che possiamo avere che in ogni istante si compia in noi la Volont di Dio.

57 - Speranza e povert.
Ges, nel Vangelo, ci parla insistentemente e con forza delle virt della fede e dell'amore; non parla mai esplicitamente della speranza. Il Signore non intende certo ignorare o negare l'importanza di questa virt, ma la considera cos intimamente unita alla fede e all'amore che diventa superfluo parlarne. In realt, tutto il Vangelo resterebbe incomprensibile se si prescindesse dalla speranza. Ges stesso, il Figlio di David, appariva agli occhi degli apostoli e delle folle di Palestina come la realizzazione delle promesse di Dio; era dunque una speranza fatta certezza. Ma
103

Mc. 11,14

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vediamo alcuni insegnamenti del Signore che contengono un implicito riferimento alla speranza. Particolarmente importante il suo insegnamento circa il nostro rapporto con le cose e con i beni della terra: speranza e povert. Nel Discorso della montagna, il Signore ci mette in guardia ripetutamente dal pericolo di attaccare il nostro cuore ai beni della terra. Gi nelle Beatitudini, che possiamo definire "il cammino della speranza", il Signore afferma: "Beati i poveri in spirito, perch di essi il Regno dei Cieli". 104 Vale a dire che il Regno dei Cieli non pu essere retaggio di chi ha messo il cuore nei beni della terra, perch non si pu "servire a Dio e a Mammona". E' una scelta che non ammette alternative; infatti, "difficilmente un ricco entrer nel regno dei cieli". Perci Ges conclude: "Non accumulatevi tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano e dove i ladri scassinano e rubano; accumulatevi invece tesori nel cielo dove n tignola n ruggine consumano e dove ladri non scassinano e non rubano. Perch, l dove il tuo tesoro, sar anche il tuo cuore". 105 San Luca nel capitolo dodicesimo del suo Vangelo ha raccolto una parabola del Signore che ci mette in guardia dalla cupidigia come da uno degli ostacoli pi temibili per la speranza cristiana. "La campagna di un uomo ricco aveva dato un buon raccolto. Egli ragionava tra s: Che far? perch non ho ove riporre i miei raccolti, e disse: Far cos: demolir i miei magazzini e ne costruir di pi grandi e vi raccoglier tutto il grano e i miei beni, poi dir a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni per molti anni; riposati, mangia, bevi e datti alla gioia. Ma Dio gli disse: Stolto, questa notte stessa ti sar richiesta la tua vita e quello che hai preparato di chi sar? Cos di chi accumula tesori per s, e non arricchisce davanti a Dio". 106 L'uomo di questa parabola il tipico uomo d'affari che la gente di mondo giudica fortunato e previdente: sa utilizzare la sua fortuna e sa programmare con intelligenza e realismo il suo futuro. Ma Ges condanna quest'uomo; lo condanna non per la sua intraprendenza e per la sua intelligente concretezza, ma per la sua miopia e mancanza di prospettiva. La sua speranza si esauriva nelle certezze offerte dai beni della terra, e tutto finiva nella felicit dell'effimero. Quest'uomo fortunato e intelligente agli occhi del mondo era, in realt, un idiota agli occhi di Dio. Aveva dato pi peso e pi importanza alla felicit del benessere che alla dignit della propria persona, soffocando nella quantit di beni terreni la sete incolmabile della sua anima, e aveva commisurato l'eternit, che configura il futuro della vita umana, alla durata effimera delle cose che passano. Sono gli stolti che costruiscono sulla sabbia; tutte le cose della terra, infatti, le ricchezze e i tesori di questo mondo sono sabbia mobile che non pu offrire alcun fondamento al desiderio di felicit che urge nel nostro cuore.

58 - Speranza e povert operosa.


Si dice che tutte le cose passano, ed vero. Ma Ges, nella parabola del ricco stolto, sembra dirci anche che siamo noi a passare perch abbiamo un'altra dimensione, mentre le cose in qualche modo restano: "Stolto! questa notte stessa ti sar chiesta la tua anima; e tutto quello che hai preparato di chi sar?" Come dire che le cose hanno per misura il tempo, noi abbiamo per misura l'eternit. Ci ricordiamo delle parole della Scrittura: "Non abbiamo quaggi una cittadinanza permanente, sed futuram inquirimus , ma andiamo verso la patria futura". 107
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Mt. 5,3 Mt. 6,19-20 Lc. 12,16-21 Ebr,. 13,14

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C' dunque un legame profondo tra speranza e povert, tra speranza cristiana e la libert interiore di chi si sforza di viaggiare nella vita "senza valigie". Quelli, infatti, che mettono il cuore nei beni della terra sono per definizione "coloro che non hanno speranza". 108 C' tuttavia un modo per usare le cose della terra e camminare in mezzo ad esse senza che diventino un ostacolo per il nostro cammino o un peso per la nostra speranza: orientarle a Dio perch proclamino la sua gloria, e impiegarle per il bene di tutti gli uomini. Infatti tutte le cose dell'universo sono state create perch manifestino la gloria di Dio, e rivelino la misericordia divina verso l'uomo, il quale nella variet, abbondanza e ricchezza delle creature, pu contemplare la magnanimit di Dio, rendergli grazie, e utilizzare ogni cosa per elevare non solo la qualit della sua vita terrena, ma soprattutto per affinare lo spirito e promuovere la generosit nel servizio di Dio. L'uomo chiamato cos a dare voce a tutte le creature, e a diventare interprete del loro valore e del loro significato. E' questo l'aspetto positivo della povert cristiana, che fa di essa una virt non rinunciataria bens fortemente operativa. Il cristiano poi chiamato a glorificare Dio nel lavoro, nella professione, negli affetti nobili e onesti della vita, nelle responsabilit sociali e politiche, e quindi ha bisogno di mettere in opera tutti i talenti che il Signore gli ha dato e di utilizzare tutti i mezzi umani che servono per la maggiore efficacia della sua attivit. La speranza cristiana genera una povert operosa, che si adopera generosamente a promuovere il progresso umano in tutte le sue espressioni. Il male, dunque, non st nelle ricchezze ma nellegoismo del cuore. Le ricchezze vanno collocate, perci, al loro posto: sono mezzi, strumenti che devono servire perch si realizzi il progetto di Dio nell'uomo e nel mondo. Farle diventare il fine della vita significa falsare la loro identit, e soprattutto ingannare miseramente noi stessi. Dobbiamo dunque fissare il cuore l dove deve tendere la nostra speranza; realizzeremo cos quella libert interiore che necessaria per mettere mano ai beni e alle ricchezze della terra senza timore e senza timidezza, con l'audace iniziativa e con la coraggiosa intraprendenza di chi sente la responsabilit di operare per un mondo pi giusto e pi degno dell'uomo. E' vigliaccheria lasciare alla merc dei figli delle tenebre che operano al servizio dell'egoismo umano le risorse e i beni della terra che Dio ha destinato al bene di tutta l'umanit.

59 - Speranza e libert.
Questo distacco non facile e non mai scontato. Il denaro si sposa facilmente a tutte le altre inclinazioni disordinate: alla superbia, alla sete di dominio, alla ricerca del piacere come fine a s stesso, alla vanit, alla prepotenza. "L'attaccamento al denaro, infatti, la radice di tutti i mali; per il suo sfrenato desiderio alcuni hanno deviato dalla fede, e si sono da s stessi tormentati in molti dolori". 109 Invece il distacco cristiano, frutto della speranza, ci libera dalla schiavit delle cose e ci permette cos di esercitare su di esse il nostro dominio, quello giusto, quello voluto da Dio quando disse: "Riempite la terra e soggiogatela". 110 La prima espressione di questo dominio il rispetto delle cose, riconoscendole come creature di Dio. Lo spreco, la noncuranza degli oggetti, il degrado a cui lasciamo andare gli strumenti che usiamo, e ogni altra forma di abbandono delle cose, disprezzo di Dio e offesa verso l'uomo.
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1 Tess. 4,13 1 Tim. 6,9 Gen. 1,28

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Il pi grande innamorato della povert, Francesco D'Assisi, fu anche il pi grande innamorato delle creature. Egli ci ha insegnato che la sete di possesso, il desiderio di "appropriarsi" delle cose, per motivi di egoismo, di prestigio o di potere, la forma pi brutale di violenza che possiamo esercitare sulle creature, perch in tal modo esse vengono deviate dal loro fine. Si capisce allora perch la mentalit consumistica dei nostri giorni la negazione della povert e della speranza cristiana: perch anch'essa una forma di violenza sulle cose, vuole asservirle al capriccio, alla vanit, alla comodit egoistica. Altra espressione di un giusto dominio sulle cose la capacit di "sacrificarle", offrirle in dono, staccandosi effettivamente da esse. Pensiamo con quanta facilit accumuliamo cose, per cui finiamo col possedere molto pi di quanto ci serve per vivere decorosamente, per assolvere i nostri doveri, per realizzare le giuste aspirazioni della nostra personalit. "Sacrificarle" significa, allora, metterle a disposizione del bene comune, cominciando da quello della propria famiglia, ma anche al servizio di iniziative sociali o di attivit apostoliche. L'alternativa a questo distacco praticato volontariamente durante la vita il distacco forzato in punto di morte, dopo aver accumulato beni sui quali forse litigheranno eredi e parenti. Ben diverso l'avvertimento del Signore; Egli ci invita a procurarci amici con il bene compiuto attraverso le ricchezze di questo mondo, amici che verranno ad accoglierci quando arriveremo alla vita eterna. Infatti, ci porteremo via da questo mondo non quello che abbiamo accumulato ma solo quello che abbiamo donato. Possiamo chiedere a Dio questa libert che nasce dalla speranza con la preghiera della liturgia della Chiesa: "O Dio, nostra forza e nostra speranza, senza di te nulla esiste di valido e di santo; effondi su di noi la tua misericordia perch, da te sorretti e guidati, usiamo saggiamente dei beni terreni nella continua ricerca dei beni eterni." (Domenica XVII Tempo ord. )

60 - Inno alla speranza.


L'operosit insita nella speranza cristiana si rivela particolarmente importante nella lotta interiore, nella testimonianza che dobbiamo rendere a Cristo e nell'impegno dell'apostolato. La speranza cristiana tende a un bene futuro e difficile, ma non rimanda mai al futuro, n si affida solamente alle circostanze facili e favorevoli; non dice mai "domani", o "la prossima volta"; non si rassegna all'impotenza. Chi animato dalla speranza prova e riprova, studia, esamina, riflette, si consiglia, cerca nuovi mezzi, insiste; sa che una vittoria pu venire dopo numerose sconfitte, che un primato arriva dopo tanti tentativi falliti. La speranza non si arrende nemmeno all'impossibile, perch sa che "nulla impossibile a Dio". Perci gli ostacoli, le apparenti sconfitte, le eventuali umiliazioni, come anche le resistenze dell'ambiente e delle persone non hanno importanza. "Cristo non fallito: la Sua dottrina e la Sua vita stanno fecondando il mondo incessantemente" Perci la "cosa pi importante da scorgere nella chiesa (e nel mondo) non il modo con cui rispondono gli uomini, ma l'azione di Dio". 111 Un cristiano che crede e che ama, impossibile che non abbia speranza. Monica ha inseguito per anni il figlio Agostino, con le sole armi della preghiera e delle lagrime, sapendo che la luce vince le tenebre, che la verit pi forte
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Beato J. Escriv, E' Cristo che passa n. 129,131

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dell'errore, e che l'amore pu sciogliere ogni durezza e ogni ribellione; sapeva che Dio non ha indebolito la sua forza di fronte alle resistenze dell'uomo, e non poteva deluderla. La speranza non si ferma mai; come le acque dei torrenti, sa aprire strade tra le montagne, nelle gole e nei deserti, inter medium montium pertransibunt acquae. Pensiamo all'emorroissa nel Vangelo di Marco: la sua perseveranza nel tentare ogni mezzo, la sua fatica ad aprirsi un varco tra la folla che seguiva Ges, i disagi per superare la calca con le inevitabili spinte, insulti, umiliazioni, l'ansia per non sapere quali reazioni avrebbe incontrato da parte di Ges....; ma la speranza di non restare delusa ha prevalso, l'ha sostenuta nei suoi sforzi e nella sua perseveranza. 112 Infine, la speranza sempre accompagnata da una santa inquietudine interiore; un'inquietudine che non significa la perdita della pace ma l'insonne, gioiosa, dolcissima ricerca di Colui che l'oggetto di un intimo desiderio d'amore. Vengono alla memoria le parole del Cantico: "...lungo la notte, ho cercato l'amato del mio cuore; l'ho cercato ma non l'ho trovato. "Mi alzer e far il giro della citt; per le strade e per le piazze; voglio cercare l'amato del mio cuore". L'ho cercato ma non l'ho trovato. Mi hanno incontrato le guardie che fanno la ronda: "Avete visto l'amato del mio cuore?". Da poco le avevo oltrepassate, quando trovai l'amato del mio cuore". 113 E' questa speranza propria degli innamorati la vera speranza cristiana. Se la fede sposata alla speranza genera la fiducia, la speranza sposata all'amore genera la fedelt e la perseveranza. Un innamorato non cessa mai di sperare; in lui la speranza una forza incontenibile, che lo spinge su tutte le strade della vita interiore finch non trova "l'Amato del suo cuore"; una speranza laboriosa, anche sofferta, ma che gi contiene la gioia della vittoria, la felicit dell'abbraccio con l'Amato del suo cuore. Un tempo il pane veniva preparato e distribuito dalla madre di famiglia: impastava la farina, la faceva riposare, la ripartiva in pani e la cuoceva riempiendo la casa di fragranza. Per noi, figli di Dio, il pane della speranza ce lo prepara e ce lo dona Colei che Madre nella Chiesa e della Chiesa, Colei che ha confezionato il Pane con le mani verginali del suo grembo, e ce lo dona spezzato dal dolore e dall'amore sulla tavola della Croce, perch ognuno di noi lo porti con s nella sua bisaccia lungo il viaggio della vita, lungo i cammini della terra. "Cristo, nostra Speranza". Maria, fiducia dell'umanit, "vita, dolcezza, speranza nostra", prega per noi!

112 113

Mc. 5,25-34 Ct. 3,1-4

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IL TEMPO: LUOGO DEL DESIDERIO


QUALE AMORE?

61 - Dio amore.
La nostra vita di figli di Dio sulla terra un viaggio nella fede, nella speranza, nell'amore. La fede la luce, la speranza il pane, l'amore la vita. L'uomo, si dice, non pu vivere senza amare e senza essere amato. Dove non c' amore, non c' vita. La vita dono, sete d'amore, capacit d'amore. Dove non c' amore, non c' nemmeno vera convivenza umana. Infatti percorriamo il nostro viaggio sulla terra non da soli; siamo una moltitudine, un fiume, e non possiamo stare insieme senza amarci. E tuttavia l'amore non di questa terra. "Dio Amore!", afferma S. Giovanni in una delle espressioni pi folgoranti di tutta la Bibbia. L'amore, infatti, appartiene a Dio, all'essenza stessa dell'Essere divino. Se nelle creature c' capacit d'amore perch Dio si fatto presente nel tempo, si fatto dono alle sue creature. L'Amore fluisce da Dio alle creature, le unisce a s e tra di loro; l'amore congiunge il tempo e l'eternit. Tutta la creazione e tutta la storia degli uomini costituiscono un poema splendido e grandioso, un inno immenso all'Amore di Dio e all'Amore di Colui che, fattosi uomo, ha voluto chiamarsi lo Sposo. Tutto nel tempo stato acceso da un atto d'amore: Dio crea perch ama; la creazione Amore. La storia del mondo tutta percorsa dall'amore: Dio custodisce le cose che ha creato e le conduce con forza e con grazia perch ama; la Provvidenza Amore. Ma la creatura che pi di tutte le altre rivela al mondo l'amore di Dio l'essere umano. Nell'uomo, Dio-Amore ha impresso il sigillo della sua immagine e ha comunicato il dono della sua somiglianza. L'uomo "immagine" di Dio per lo spirito ed "somiglianza" di Dio per la Grazia. Lo spirito tende al bene e vuole il bene: ama; la Grazia fa l'uomo partecipe della vita divina e perci dell'amore. L'amore dunque costitutivo della nostra natura di persone: possediamo una duplice conformit, naturale e soprannaturale, all'Essere di Dio, al suo Essere-Amore. Ma l'immagine di Dio in noi non soltanto per la nostra natura di persone, ma anche per la natura relazionale del nostro essere. Dio, infatti, nel creare l'uomo a sua immagine e somiglianza, "maschio e femmina li cre", fissando cos la forma pi profonda di relazione interpersonale, quella dell'uomo e della donna nell'amore nuziale. 114 Infatti Dio disse: "Non bene che l'uomo sia solo". 115 Il Signore aveva posto Adamo nell'Eden, nel Grande Giardino del mondo, di fronte allo splendore del creato. I suoi occhi potevano riempirsi di ogni bellezza: il verde intenso e tenero delle foreste, l'azzurro del cielo, il bianco luminoso delle nubi, il turchino del mare,
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G.iovanni Paolo II, Catechesi (febbraio 1979) Gen. 2,18

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il rosso vivo delle rocce, e i fiori...; non c'era bellezza che non fosse presente in quella immensa sinfonia di fogge e di colori. Tutta la tavolozza con cui Dio aveva dipinto il mondo era l, davanti ai suoi occhi, in tutto il suo splendore... Ma il cuore di Adamo era triste. Allora Dio fece sfilare sotto lo sguardo di Adamo, come in una grande parata, tutti gli esseri viventi nelle loro perfezioni: la forza del leone, l'agile potenza della tigre, la solennit dell'elefante, la tenera mansuetudine dell'agnello, la raffinata eleganza dell'antilope,... e tutti gli uccelli del cielo con il loro canto e nella splendida variet del loro piumaggio... Ma il cuore di Adamo era triste: "...non trov un aiuto che gli fosse simile". "Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull'uomo che si addorment; gli tolse una delle costole... e plasm con la costola, che aveva tolta all'uomo, una donna, e la condusse all'uomo". Adamo, svegliatosi dal sonno, vide accanto a s Eva e un grido gli usc dalla bocca e dal cuore: Ecco! questa s " carne dalla mia carne e osso dalle mia ossa!" 116 e la tristezza se ne and dal suo cuore. In quel momento nacque l'amore sulla terra, e l'uomo, gi "immagine" di Dio come persona, divenne immagine della Trinit del cielo, come "due in una sola carne". L'amore sponsale infatti fondamento di tutte le altre dimensioni dell'amore umano: l'amore paterno e materno, l'amore filiale, l'amore fraterno, lo stesso amore coniugale, e anche l'amore famigliare in tutte le sue diramazioni: la parentela, la nazione, la razza, fino all'immensa e unica famiglia costituita dal genere umano; infine, l'amore verginale, che realizza la forma pi sublime della sponsalit.

62 - La benevolenza.
Tutte le espressioni dell'amore hanno una radice comune: la benevolenza, ossia la naturale tendenza a scambiarsi il bene, a volere il bene per noi stessi e per gli altri; o, pi profondamente, benevolenza l'apertura al dono di s, alla comunione con gli altri. Questa benevolenza il fondamento dell'amicizia e raggiunge la sua espressione pi alta quando dal semplice "volere il bene" per la persona amata, passa a "volere la persona" stessa; una specie di intima felicit perch quella persona esiste. Lo stesso amore coniugale si fonda sulla benevolenza: se due coniugi non diventano sinceramente amici tra di loro, cos da essere profondamente felici l'uno dell'altro, rischiano di far naufragare il loro amore. Volere una persona, volere che esista ed esserne felici, la forma d'amore che fa l'uomo pi somigliante a Dio. Infatti, l'amore che Dio porta alle sue creature sola e infinita benevolenza. Per ora consideriamo che Dio l'Essere per definizione e perci Egli la vetta pi alta per ogni amore creato. Nasce di qui la profonda inquietudine del cuore umano, un'inquietudine che definisce la nostra condizione nel tempo: viandanti. E' un viaggio, il nostro, che non pu essere percorso in solitudine e che non ha quaggi il suo approdo ultimo. L'amore, nel tempo, desiderio; desiderio di eternit, desiderio di Dio. "L'amore non pu trattenersi dal vedere ci che ama; per questo tutti i sant i stimarono ben poco ci che avevano ottenuto, se non arrivavano a vedere Dio. Perci l'amore che brama vedere Dio, bench non abbia discrezione, ha tuttavia ardore di piet". 117 Ma questa tendenza verso il bene, in particolare verso il Bene Sommo, cos profondamente radicata nel nostro essere, ha un nemico mortale: il peccato. Dio infatti aveva partecipato il suo amore all'uomo in modo ineffabile e trascendente con il dono soprannaturale della Grazia. Nel Paradiso terrestre Adamo conversava familiarmente con Dio. Era come un rapporto "alla pari", un'amicizia divina, una
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Gen. 2,20-23 S. Pietro Crisologo

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partecipazione intima all'amore increato. Ma Adamo non si fid di Dio e gli oppose un rifiuto. Non appena i nostri progenitori si sono ribellati a Dio hanno cominciato ad accusarsi reciprocamente; l'amore era finito. Il peccato infatti la negazione dell'amore, il rifiuto di lasciarsi amare; quasi un tentativo di distruggere l'amore. Il nostro allontanamento da Dio ha lasciato via libera all'egoismo, che si introdotto nel nostro cuore portando un duro colpo alla nostra capacit di amare. La volont, facolt spirituale propria dell'amore, rimasta profondamente ferita e debilitata, viene facilmente portata fuori strada da un intelletto non pi capace di vedere il bene e di indicarlo con chiarezza e con verit. Cos l'odio ha cacciato l'amore, e il desiderio diventato disperazione.

63 - LAmore in Dio: lo Spirito Santo.


Ma Dio, che solo Amore e non cessa mai di amare, entrato nella storia umana come Misericordia: "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perch chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna". 118 Ges Cristo: ecco la risposta dell'Amore divino alla miseria dell'uomo. Con Ges inizia cos il tempo della misericordia, il tempo della Salvezza. E' il tempo della Chiesa chiamata a portare il dono dello Spirito a tutti gli uomini. Scrive Sant'Agostino: "Amare Dio esclusivamente un dono di Dio. E' lui che, amandoci quando noi non lo amavamo, ci ha concesso di amarlo. Siamo stati amati quando ancora gli eravamo sgraditi, affinch ci fosse in noi qualche cosa per piacergli. Infatti lo Spirito del Padre e del Figlio, che amiamo unitamente al Padre e al Figlio, riversa la carit nei nostri cuori". Dunque, lo Spirito Santo. E' lui, anima della Chiesa, che accende nei nostri cuori il fuoco dell'amore di Dio e la fiamma del desiderio. "Charitas Dei diffusa est in cordibus nostris", l'amore di Dio stato effuso nel mondo per mezzo dello Spirito Santo che abita nei nostri cuori. L'amore dunque nell'uomo, ma non viene dall'uomo; un dono che trascende completamente le possibilit della creatura. L'amore viene da Dio. Viene dal Padre, che ha creato per amore e conduce ogni cosa con sapienza e amore; viene dal Figlio, che si fatto uomo per amore e ha dato s stesso sulla croce per amore; viene dallo Spirito Santo che, dono increato ed eterno, si fatto vita dell'anima e vita della Chiesa. L'amore la Trinit Santissima. Possiamo dire che il dono dell'Amore divino analogo al dono della filiazione divina. L'unico figlio di Dio il Figlio, la seconda persona della Trinit Beatissima; noi diventiamo figli per partecipazione, figli nel Figlio. Cos l'Amore; l'unico Amore lo Spirito Santo che sussiste in Dio come ineffabile Dono reciproco del Padre e del Figlio, Dono sussistente nella terza Persona della Santissima Trinit: a noi dato di amare per partecipazione, amanti nell'Amante. Questo Amante, "ospite dolce dell'anima", accende in noi il fuoco dell'Amore, e se ci lasciamo condurre da Lui, la fiamma del desiderio divamper nella nostra anima con "gemiti inenarrabili". Infatti, come per la partecipazione alla vita divina "noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ci che saremo non ancora stato rivelato" 119, per cui "la creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio" 120, cos anche per l'amore. Esso gi effuso nei nostri cuori, poich "possediamo le primizie dello Spirito", ma ancora non possediamo ci che amiamo, per cui "gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli".121 Sulla terra nessun vero possesso possibile, perci quaggi non possiamo amare che desiderando. "Il tuo volto, o Signore, io cerco il tuo volto!"
118 119 120 121

Gv. 3,16 1 Gv. 3,2 Rom. 8,19 S. Paolo, Lettera ai Romani, 8, (passim)

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64 - Ferita damore.
Molte anime grandi, le anime innamorate come quelle dei santi, hanno sperimentato sulla terra il dolore dolcissimo del desiderio di Dio, un desiderio insaziabile di comunione con Lui e di contemplazione del suo volto. Perci molti mistici definiscono questo desiderio: "una ferita d'amore". Ferita dolorosa e insieme dolcissima che guarisce solo nella vita eterna. Pensiamo alle pagine ardenti e alle espressioni infuocate uscite dalla penna di S.Agostino, di S. Bonaventura, di Teresa d'Avila, di Caterina da Siena, di Bernardo di Chiaravalle, di Sant'Alfonso de' Liguori, e di tanti altri che hanno sperimentato quale peso di felicit e di dolore comporti, sulla terra, l'effusione dell'amore di Dio nell'anima. Sono giustamente famosi questi versi di Santa Teresa: 122 L'alto fuoco d'amore mio Prigioniero, Dio! da cui vivo afferrata ma a pensarmi signora don libert di Colui che voglio e adoro al mio spirito felice; muoio perch non muoio. In queste condizioni l'anima non ha altro desiderio che di identificarsi pienamente con il suo Dio. E' un desiderio insito nell'amore fin dal suo inizio. In tutto il Nuovo Testamento quando si parla di amore lo si attribuisce sempre all'iniziativa di Dio: "non siamo stati noi ad amare Dio, ma Lui che ha amato noi". 123 Il nostro atteggiamento non pu essere allora che la docilit, l'obbedienza del Figlio; una obbedienza intensamente attiva perch esige un continuo "si" alla volont amabilissima di Dio. E' quanto diciamo nel Padre Nostro: Venga il tuo regno, sia fatta la tua volont; in altre parole, il nostro amore verso Dio consiste nel lasciarci amare da Lui e rimanere nel suo amore. "Come il Padre ha amato me, cos anch'io ho amato voi, rimanete nel mio amore". 124 Lasciarci amare e rimanere nell'amore significa aderire intimamente a Dio e alla sua volont. Questa infatti l'attivit propria dell'amore: volere la persona amata. Fare la volont di Dio volere ci che Lui vuole; in definitiva, volere Lui stesso. Ma la nostra volont impotente riguardo all'essere di una persona; non in nostro potere fare in modo che una persona esista. Possiamo per contemplarla ed essere felici che esista. Questo vale in senso assoluto riguardo a Dio. Non in nostro potere volere la sua esistenza, accade invece esattamente il contrario: Lui che ha voluto e vuole continuamente la nostra; infatti Lui che ci ama. Possiamo invece essere sommamente felici che Egli esista. E' una felicit che si alimenta incessantemente nella contemplazione di Dio e nell'adesione intima a Lui. Essere in Dio e rimanere nel suo amore: questa la radice della nostra felicit. Concludeva infatti il Signore: "Vi ho detto questo - di rimanere nel mio amore - perch la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena". 125

65 - Culto pagano e amore cristiano.


Che l'amore venga da Dio e che sia stato effuso sulla terra con lo Spirito Santo, lo dimostra anche il fatto che l'amore soprannaturale non lo troviamo in nessun'altra espressione cultuale umana, in nessun'altra religione. In tutte le epoche gli uomini hanno praticato verso la divinit un culto di adorazione, di
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S.Teresa D'Avila, 1 Gv. 4,10 Gv. 15,9 Gv. 15,11

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propiziazione, di invocazione, mai di amore. La stessa "pietas" pagana verso gli di era l'esercizio dei doveri di culto, la cui fedelt rendeva l'uomo religioso un "uomo pio", ma il culto restava sempre l'espressione di sentimenti che rimanevano estranei all'amore. Gli di erano onorati, temuti, propiziati, mai amati. E d'altra parte la divinit era considerata qualcosa di lontano, al di sopra dei sentimenti umani. Tra gli di e gli uomini esisteva una sorta di incommensurabilit. La divinit poteva essere verso l'uomo benevola, non ostile, benigna e protettrice, mai avrebbe potuto avere sentimenti d'amore. L'amore suppone ed esige una certa "proporzione" fra le persone che si amano; ma nessuna proporzione era pensabile tra l'uomo e Dio Inoltre, nella religiosit cosmico-naturalista che troviamo nelle religioni primitive, nelle varie religioni orientali e che arriva ad infiltrarsi anche nel pensiero filosofico occidentale (vedi il panteismo di Spinoza, lo Spirito eterno di Hegel, il vago teismo massonico-razionalistico che rivive in certe frange del laicismo contemporaneo, ecc.), la divinit concepita come una realt impersonale, indistinta dal mondo, nella quale l'uomo pu venire assorbito perdendosi come un frammento nel tutto. (Nirvana). Evidentemente ogni rapporto tra Dio e l'uomo rimane radicalmente cancellato, in particolare diventa impossibile ogni rapporto d'amore. Anche l'amore che esisteva tra le persone, era sempre un amore "profano"; non nasceva da Dio ma si fondava sulla affinit, una specie di convergenza di forze istintuali, affettive, culturali, etniche o semplicemente di simpatia, che portavano a rapporti interpersonali poveri di contenuto, limitati, nei casi migliori, all'amicizia e alla solidariet. Il paganesimo, poi, aveva portato a un indurimento dell'animo umano, a una atonia dei sentimenti. Un autore antico scrive che i Romani erano "sine affectione", privi di sentimento, incapaci di affetto e di commozione. Lo testimoniano la durezza delle consuetudini, la condizione degli schiavi, il trattamento dei bambini e della donna, la crudelt delle punizioni, la brutalit disumana nei giochi gladiatori. Nelle lettere scritte dagli Apostoli alle prime comunit cristiane troviamo molte descrizioni della condotta perversa presente nella societ pagana di allora, societ che non conosceva n l'amore di Dio n l'amore del prossimo, e alla quale appartenevano anche i cristiani prima della loro conversione. Valga per tutti questo passo della lettera di S.Paolo a Tito: "Anche noi un tempo eravamo (come loro) insensati, ribelli, traviati, schiavi di ogni sorta di passioni e di piaceri, vivendo nella malvagit e nell'invidia, degni di odio e odiandoci a vicenda". 126 Purtroppo, lungo i secoli, sono molti i paganesimi che hanno conosciuto analoghe malvagit di uomini senza sentimento. Ai nostri giorni le ideologie della miscredenza hanno inventato i lager, le camere a gas, le torture spietate e crudeli, le deportazioni forzate, i gulag, la tratta e il commercio dei bambini e innumerevoli atrocit che hanno del diabolico, dove l'odio verso Dio diventa odio verso l'uomo. Si comprende perci la gioia che pervade il cuore di S.Paolo e che traspare nel brano immediatamente successivo: "Quando per apparve la bont di Dio, salvatore nostro e il suo amore per gli uomini, - benignitas et humanitas salvatoris nostri Dei - Egli ci ha salvati.... per sua misericordia mediante un lavacro di rigenerazione nello Spirito Santo effuso da Lui su di noi abbondantemente per mezzo di Ges Cristo nostro Salvatore". 127

66 - Amore cristiano: connaturali con Dio.


Il tempo della Chiesa dunque il tempo dello Spirito Santo, il tempo della
126 127

Tito, 3,3 Tito, 3,3-6

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vocazione all'Amore. Gli uomini devono capire che non possibile costruire nessuna "civilt dell'amore" se non in Dio, creatore e padre di tutti; in Cristo che ci ha amato e ha dato s stesso per noi; nello Spirito Santo che, effuso nei nostri cuori, vi accende il fuoco del desiderio e della contemplazione di Dio. Lo Spirito Santo ha reso possibile l'amore tra l'uomo e Dio, perch la sua azione nell'anima ha prodotto una sorta di "proporzione" fra noi e il Padre. Siamo diventati "connaturali" con Dio per il dono della Grazia. Perci non siamo pi "stranieri n ospiti, ma famigliari di Dio".128 Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio. E, se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo 129. E' questo il fondamento della nostra amicizia col Signore. Vivere come amici di Dio, amici che non hanno segreti, che si parlano cuore a cuore, che si trattano con intimit e fiducia; questo, a pensarci bene, pu apparire impossibile, quasi inaudito. Eppure, in Ges, Dio ha voluto farsi amico degli uomini: "Non vi chiamo servi, ma amici." Dobbiamo dunque perdere la paura, dobbiamo non trattare il Signore a distanza, dobbiamo avvicinarci a Lui fino a vedere il colore dei suoi occhi, il sorriso delle sue labbra, ascoltare i battiti del suo cuore. Come Giovanni, come gli Apostoli. Dobbiamo arrivare all'audacia santa di volergli bene, di chiamarlo per nome, di dirgli: Ges, mi succede questo e questo..., ma tu sei la mia forza, la mia certezza, la mia luce; tienimi vicino a te, perch voglio esserti fedele, voglio lavorare con te e per te, voglio che i miei amici diventino tuoi amici, che ti conoscano e ti amino." Volergli bene e insieme sapere che egli mi vuol bene, il cuore della vita spirituale, l'antidoto pi efficace contro la mediocrit, il segreto della fedelt e della pace. Molti cristiani si sono allontanati dalla fede, sono caduti nella tiepidezza o non hanno desideri di santit perch non sono convinti che Dio li ama e che possono avvicinarsi a Lui sicuri di essere accolti, capiti, perdonati, amati. Quando un'anima non crede all'amore di Dio, quando non si sente amata ma solo giudicata da Lui, condannata a vivere un cristianesimo triste, angosciato e mediocre, perch si affanner a cercare in s stessa titoli e motivi per essere amata, per meritarsi l'amore di Dio, ma non trovandoli, diventer facile preda dello scoraggiamento e della tristezza. Dobbiamo lasciarci attirare dall'amore di Cristo, un amore divino e umano perch ci arriva attraverso un cuore di carne come il nostro, che conosce l'affetto umano e il calore dell'amicizia. Egli ci chiede il cuore - praebe mihi cor tuum -, ma noi pensiamo che ci domandi cose: un po' di tempo, di lavoro, opere buone, prestazioni.... L'amore non dare le nostre cose, anche tutte, preziose o meno, ma dare il cuore, dare noi stessi, perch questo ha fatto il Signore. "Dilexit me et tradidit semetipsum pro me" 130, esclamava in un impeto di commozione l'Apostolo Paolo - mi ha amato, fino a dare s stesso per me! - E' davvero sconvolgente il pensiero che Dio si fatto uno di noi, e donandosi a noi come Figlio e come Spirito Santo ci ha resi partecipi dell'intimit del suo Essere divino e del suo Amore.

FARSI DONO
67 - Lamore dono.
Dio amore e l'amore, in Dio, dono; dono del Padre al Figlio e del Figlio al
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Ef. 2,19 Rm. 8,16 Gal. 2,20

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Padre: lo Spirito Santo, Donum Dei. L'Amore non pu essere che dono; ogni amore porta al dono e si fa dono. Perci l'amore la vita, perch la vita dono, tutta e soltanto dono. Dono che si riceve e dono che si offre. Ricevere e donare, sono come le pulsazioni della vita; come il battito del nostro essere. Ricevere e donare: come i movimenti del cuore; se viene meno uno dei due momenti la vita si spegne. Anche l'esistenza umana senza il battito dell'amore si spegne; anch'essa scandita dal ritmo dell'amore. In Dio troviamo solo il donare. Egli la pienezza dell'essere, ed totalmente sufficiente a s stesso, non vincolato, non necessitato, assolutamente esaustivo. Dio, quindi, pu agire solo donando, anzi possiamo dire che solo Lui pu donare. Tutto quello che Egli ha creato puro dono, puro amore. Da questo amore viene ciascuno di noi. La nostra esistenza creaturale pura ricettivit, piena apertura all'essere, al dono che ci viene dall'Alto. Dono assolutamente gratuito perch dal nulla veniamo. Tutto in noi dono. Siamo dono e continuiamo ad esserlo in ogni istante della nostra vita: siamo dono a noi stessi, e siamo chiamati a diventare dono di noi stessi. E' questa la struttura intima della nostra creaturalit. E' questa la libert; libert di ricevere, libert di donare. Libert dell'amore. Questo ritmo dell'esistenza ha un senso: va dal ricevere al donare, non viceversa. Si riceve per donare. Perci ogni egoismo, ogni ripiegamento su noi stessi, ogni chiusura al dono perdita di libert, perdita di essere. Tutto ci che abbiamo ricevuto per essere donato. Dobbiamo farci dono totale, pieno, incondizionato, a immagine e somiglianza di Dio. Ogni persona si realizza se si apre alla vita; si apre alla vita se ama, ama se si dona. Tutte le malattie dell'esistenza, molti malesseri spirituali e molti disturbi psichici della personalit nascono dal fatto che non ci siamo realizzati come dono, non abbiamo saputo trovare un modo oblativo di stare nella nostra vita e nel mondo.

68 - La vita: una corsa verso il dono.


Tutto il nostro viaggio nel tempo deve cos diventare un anelito verso il dono di s. La stessa maturit umana coincide con la perfetta capacit di farsi dono. Perci l'egoista un immaturo, e l'egocentrico incapace di unautentica vita intellettuale e affettiva, di vita sociale. Gi l'atto di nascere dono, anzi lo stesso concepimento e, prima ancora, l'incontro coniugale sono dono. Durante un rapporto d'amore, che sia vero e autentico, la donna sa e sente di essere recettiva, tanto che in quel momento il suo modo di essere quello dell'abbandono totale di s all'uomo, apertura piena al dono, e avverte con un'esperienza intimamente esaltante e inesprimibile che il seme che riceve il dono che l'uomo fa di s stesso al suo essere donna. Dopo quell'incontro, l'atteggiamento di abbandono recettivo diventa in lei trepida attesa di un altro dono: il concepimento, l'intervento misterioso della natura del Creatore - che trasforma il dono ricevuto dall'uomo in un dono pi grande. E quando la donna si accorge di aver concepito sente di essere stata profondamente gratificata; tutto avvenuto in lei senza di lei; un grido di gioia, che gratitudine verso Colui che ha dato al suo grembo il dono della fecondit, risuona nel suo intimo come se venisse liberata da un incubo: la paura della sterilit, la paura di restare esclusa dal grande mistero della vita. Anche il suo modo di essere cambia, da recettivo diventa sempre pi consapevolmente attivo; essa avverte che sta misteriosamente trasformando il dono ricevuto in un dono da offrire, e nell'atto del parto, nonostante il dolore e l'angoscia, essa sente che quella creatura un dono immenso che lei fa non solo all'uomo ma a tutta l'umanit, e insieme, quella creatura anche il dono che lei fa a s stessa nel contempo che lo riceve dall'Alto. Tutta la dinamica dell'incontro coniugale governata dal significato del 64

dono e quindi dalla legge dell'amore. Ecco perch la contraccezione un controsenso; essa distrugge il dono nell'atto stesso di farlo; uccide l'amore trasformandolo in egoismo e umilia la dignit della donna nella sua vocazione ad essere dono per il dono: la maternit. C' di pi: quando la donna concepisce nel suo grembo, avverte istintivamente che quello che avvenuto in lei non un puro fenomeno naturale, un intervento divino "sempre"; sempre un dono di Dio prima ancora di essere un dono dell'uomo. Perci un figlio sempre da accettare come un dono, anche quando fosse frutto di violenza. In tal caso quel figlio non un dono dell'uomo, un dono tutto e solo di Dio. Perci va amato ancora di pi. La violenza dell'uomo, la vita e l'amore sono di Dio. Parimenti, contrasta profondamente con la realt e la natura del dono l'atteggiamento della "pretesa". Un figlio non mai un diritto, sempre un dono. Il volere un figlio a tutti i costi, con qualsiasi mezzo, non nasce dall'amore perch la pretesa figlia dell'egoismo. La scienza biologica pu manipolare le leggi della vita e pu anche "fabbricare" un figlio, ma un figlio "artificiale" rischia di restare figlio della scienza, cio figlio di nessuno. Il desiderio della maternit senza dubbio l'aspirazione pi nobile e profonda nascosta nell'essere della donna, anzi la sua vocazione, ma se il desiderio diventa pretesa, quella vocazione si trasforma in arbitrio, e il figlio "preteso" difficilmente sar amato come un dono perch posseduto come una propriet. Esiste la violenza dell'uomo sulla donna, ma esiste anche la violenza della donna sulla natura; il femminismo ha molte facce, questa certamente una delle pi brutte. La donna, brutalmente aggredita dalla nostra cultura edonistica e derubata dei valori pi preziosi della sua femminilit, deve trovare il senso autentico del suo essere donna, soprattutto la sua profonda capacit di amare che si esprime nel servizio gioioso e nel sommo rispetto verso l'essere umano che le viene affidato come un dono, e infine deve riscoprire la dimensione trascendente della maternit. Sappiamo infatti che la fecondit naturale, biologica, come la maternit fisica non sono le uniche e nemmeno le pi alte e gratificanti forme del dono che l'uomo e la donna possono ricevere e possono scambiarsi. Esiste una maternit (e una paternit) spirituale che va oltre e pu anche prescindere dalla maternit fisica, e anzi ne costituisce il contenuto profondo; come l'anima stessa della maternit. Nessuna donna pu dimenticare questa vocazione e questa missione di farsi dono, missione che costituisce il volto autentico della sua femminilit, perch a lei Dio ha affidato l'essere umano, ogni essere umano. E' una maternit, quella spirituale, che quando associata al dono della verginit, intesa come amore sponsale che lega a Dio interamente, raggiunge le vette pi alte e pi gratificanti del dono perch partecipa all' Essere divino, all'Amore, in modo pi trascendente e soprannaturale. Chi pu dire che Caterina da Siena, Teresa d'Avila e mille altre donne fino a Madre Teresa di Calcutta siano state meno madri, perch vergini, di tutte le altre donne che hanno concepito e partorito figli? La fecondit secondo lo spirito un dono assai pi grande della fecondit secondo la carne, ed un privilegio che diventa insieme un dovere per ogni donna. Anche il bambino, appena uscito dal grembo materno, nel suo essere spinto verso la vita, nell'incominciare in quel momento la sua magica avventura nel mondo, la sua progressiva apertura verso l'esistenza, avverte inconsciamente quasi biologicamente che deve farsi dono. E subito il suo aggrapparsi ai seni materni, la ricerca del contatto fisico col corpo della madre, il sussulto nel sentire risuonare la voce paterna, non rispondono soltanto a un bisogno di sicurezza, ma anche esprimono il suo modo, tutto istintivo e affettivo, di sentirsi dono per i suoi genitori. Le esperienze negative nel primo periodo dell'infanzia, quando il bambino non si sente accolto e amato, creano nodi affettivi e blocchi istintuali che possono gravare pesantemente sullo sviluppo della personalit; sviluppo che deve esprimersi 65

come apertura verso il dono di s, sempre pi profondamente e compiutamente nelle successive stagioni della vita.

69 - La conoscenza: moto damore.


Ma torniamo ora a riflettere, per un momento, su quella risposta del catechismo: Dio ci ha creati per conoscerlo, amarlo e servirlo sulla terra. Essa ci ricorda che non solo il nostro essere ma anche le facolt fondamentali della nostra natura spirituale (intelletto, volont, capacit operativa) sono un dono e si realizzano soltanto facendosi dono. L'atto di conoscere l'aprirsi dell'intelligenza alle cose in s stesse; dunque un atto oblativo dell'intelletto alla verit delle cose. E' vero che l'atto intellettuale un ap-prendimento, un prendere la realt e portarla dentro di me, ma prima c' un moto che mi porta fuori di me, verso la realt, c' l'at-tenzione, una tensione verso l'oggetto da conoscere al quale faccio dono della mia intelligenza. Non a caso il verbo "conoscere" nel linguaggio biblico assume il significato dell'amore coniugale. L'attivit pi nobile e sublime della nostra intelligenza quella che la porta verso Dio. Quando l'intelletto si dona a Dio aprendosi senza timori e riserve alla verit, realizza il massimo della sua potenzialit e della sua libert, ma quando l'intelletto si chiude alla verit e si ripiega su s stesso, si aliena dalla realt, finisce prigioniero della propria coscienza soggettiva e rimane totalmente soggiogato da un "io" ingombrante ed egoista. Non per niente la santit esige l'oblio totale di s stessi secondo le parole di Ges: "Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi s stesso...",131 cio tolga di mezzo il proprio io, perch solo cos l'anima pu dirigersi, concentrarsi e perdersi in Dio e nella sua verit. Conoscere, dunque, una persona amarla con l'intelligenza. Cos', infatti, l'amore contemplativo se non un moto irresistibile dell'anima che supera s stessa e sale alle altezze di un intelletto abbagliato dalla presenza della persona amata? Cos, una madre che guarda in silenzio la sua creatura, l'ama con gli occhi e la contempla con l'anima; cos un innamorato che fissa lo sguardo sulla persona amata, la contempla illuminandola e a volte trasfigurandola con la luce del cuore; cos un'anima mistica che inondata dalla luce della fede avverte intensamente la presenza di Dio, si sente rapita in una contemplazione d'amore che pu salire fino alla pi ineffabile estasi dello spirito.

70 - Dono di s: conoscere, amare, servire.


Queste forme, naturali e soprannaturali, di amore contemplativo ci fanno capire l'importanza dell'intelligenza nel moto d'amore. L'amore ha bisogno dell'intelligenza non solo per essere ordinato, ma anche perch deve difendersi dai condizionamenti dei sensi e degli istinti. I sensi cercano il piacere e gli istinti il proprio appagamento, e quando sono essi a dominare in noi impediscono la libert dell'amore, il suo itinerario oblativo verso la pienezza del dono. Allora si ama ci che piace, perch piace, finch piace. Molti slogan firmati "I love" sono l'espressione generalizzata di questa falsificazione dell'amore. Sensazioni, stati d'animo, emozioni, sono il substrato bio-psichico di una attivit che in s stessa squisitamente spirituale. Come l'intelletto passa attraverso i sensi ma si emancipa da essi per sciogliere le vele alla libert dell'intuizione, cos la volont nel tendere all'oggetto del suo amore produce necessariamente una risonanza di sentimenti e di moti istintuali, ma anche li trascende nell'esaltante alienazione di
131

Mc. 8,34

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s per perdersi nella gratuit del dono all'amato. Molte anime di orazione conoscono la sofferta fatica di questa gratuit dell'amore, quando il loro cammino attraversa la "notte oscura dei sensi". E' l'amore nudo, spoglio di ogni consolazione, privo di qualsiasi gratificazione sensibile, muto e arido come un deserto; un amore che non pi avvertito come amore, e tuttavia accompagnato dal senso vivo di Dio, della sua amorosa presenza, e dalla ferma intenzione di non abbandonarlo per nessuna cosa al mondo. L'amore tanto pi vero, quanto pi conosce la purificazione del dolore, del distacco, della contrizione del cuore. L'amore perfetto va dunque verso la perfetta libert, verso l'assoluta gratuit. L'amore che vuol essere dono si trasforma, allora, in opere d'amore. Come Dio, che ci ha amato con opere. La creazione amore; la Provvidenza amore; la Rivelazione amore; la Salvezza amore. Ges Cristo il dono dell'amore assoluto e totale. "Dio infatti ha tanto amato il mondo da darci il suo Figlio Unigenito...., il quale ci ha amati e ha dato s stesso per noi... perch chiunque crede in lui non muoia ma abbia la vita eterna". 132 Sono queste sono le grandi opere dell'amore di Dio per noi. Anche in noi, l'amore deve esprimersi in opere. Le nostre opere d'amore sono: l'osservanza dei comandamenti di Dio, l'adempimento fedele dei nostri doveri e il servizio gioioso e generoso dei nostri fratelli. "Non c' amore pi grande di questo: dare la vita per i propri amici". 133 Dare la vita significa servire, saper sacrificarsi per gli altri, specialmente per i pi poveri, i pi deboli e per quelli che sono lontani da Dio. Servire vuol dire dare la vita, non solo la nostra nel dono di noi stessi vissuto quotidianamente in famiglia, sul lavoro, nelle responsabilit civili e sociali, ma soprattutto dare "la Vita", quella divina, quella eterna, quella che Cristo ci ha guadagnato col suo sacrificio sulla croce. Servire Dio farci strumenti di grazia per i nostri fratelli. "Se ami il Signore, devi "necessariamente" sentire il peso benedetto delle anime, per condurle a Dio". 134 Conoscere, amare, servire. E' questo il senso oblativo della nostra vita sulla terra. Conoscere: dono dell'anima alla verit di Dio; amare: dono della libert alla libert di Dio; servire: dono del nostro lavoro e delle nostre fatiche al lavoro di Dio, un lavoro di salvezza verso tutti gli uomini. E' cos che l'amore ha aperto sulla terra le vie della pace e della gioia. Avvenne a Nazareth; lo Spirito Santo ha fatto di un'umile Donna il luogo del Dono; dono dell'umanit a Dio: ecce Ancilla Domini, e dono di Dio all'umanit: et Verbum caro factum est. Ma ognuno di noi pu essere, deve essere, il luogo di questa pace e di questa gioia. Il luogo dell'Amore!

AMORE E PERFEZIONE MORALE .


71 - Bont di Dio e bont delle creature.
"E Dio vide quanto aveva fatto; ed ecco era cosa molto buona". 135 Tutte le cose create possiedono una caratteristica fondamentale: la bont. Ogni essere in quanto tale un bene; un bene che, secondo il grado di perfezione della sua natura, si inserisce nella bont globale dell'universo come una nota in un immenso poema. Il
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Gv. 3,16 Gv. 15,13 Forgia, n. 63 Gen. 1,31

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mondo creato un ventaglio grandioso e stupendo che dispiega i mille volti dell'unica bont divina. E tuttavia Ges, rispondendo allo Scriba, affermava: "Perch mi chiami buono? Nessuno buono se non Dio solo". 136 Ges vuole ricordarci che solo Dio la fonte di ogni bene e di tutto il bene. Tutta la bont presente nelle creature una partecipazione alla bont di Dio, ed misurata dalle perfezioni distribuite in vario grado e forma nelle creature; esse appaiono cos ordinate al Creatore secondo un suo sapientissimo disegno. Perci gli esseri creati manifestano l'infinita bont di Dio non solo come causa prima ma anche come fine ultimo di ogni bont. Tutto da Dio procede e tutto a Lui si ordina. In questa sinfonia di voci che proclamano la bont divina, l'uomo occupa un posto e un ruolo unico; egli partecipa alla bont di Dio innanzitutto come sua immagine per lo spirito, e ancor pi come sua somiglianza per la filiazione divina. Ma a questa bont creaturale, "discendente", che procede da Dio, deve corrispondere una bont morale, "ascendente", che ordina l'uomo a Dio. Questa bont morale, che mobilita le nostre facolt spirituali e impegna quindi la nostra responsabilit, consiste nell'orientare a Dio la nostra vita e il nostro agire, rispondendo alla chiamata divina di collaborare alla edificazione del regno di Dio, al suo disegno di salvezza. Ora, accaduto che l'uomo, buono per creazione, si fatto cattivo per sua decisione, disorientandosi da Dio e allontanandosi dalla sua bont.

72 - Amore e santit cristiana.


Ci si ripete ogni volta che la nostra libert di creature, che ci stata data per poter amare, si ritorce invece su s stessa spegnendosi nell'egoismo, o simpenna nella superbia e nella ribellione autodistruggendosi nel male. Ora, il nostro agire deve porsi come perfettivo del nostro essere; ma lo sar solo se realizzer in noi la bont di Dio, se risponder all'amore con cui Dio ci ha amato prima della creazione del mondo. La nostra bont morale di creature, fatte a immagine di Dio, dovr dunque avere essenzialmente la dimensione dell'amore. Abbiamo gi visto che il nostro cammino di figli di Dio sulla terra un viaggio nella fede, nella speranza, nella carit, virt teologali infuse da Dio nel Battesimo. Di esse S. Paolo scrive: "Sono le tre cose che contano, ma di tutte la pi grande la carit". 137 Infatti se manca l'amore la fede morta, la speranza inefficace, la vit a cristiana si spegne. Ci significa che la carit non semplicemente una virt, ma l'essenza stessa della vita cristiana. Se "Dio Amore", allora cristiano solo colui che accoglie l'amore di Dio, si lascia trasformare da questo amore e lo espande intorno a s. E' la carit, col suo dinamismo interiore, che rende possibile in noi la crescita della vita soprannaturale; la carit fonda la nostra "bont teologale", la sola bont che corrisponde alla nostra dignit di figli di Dio. Ma la vita teologale del cristiano ha anche un aspetto morale; chiamata a percorrere la via dei Comandamenti, delle Virt e delle Beatitudini. I Comandamenti sono come la base, il fondamento della vita morale, le virt sono il suo sviluppo, le Beatitudini sono la sua perfezione. Ebbene, anche nella via dei comandamenti, delle virt e delle Beatitudini, la legge fondamentale del cristiano rimane l'amore, e solo l'amore pu dare la misura della perfezione morale dell'uomo. Infatti, la legge dell'amore include innanzitutto la legge dei comandamenti: "Se mi amate, osserverete i miei comandamenti". 138 Questa affermazione di Ges, che troviamo ripetuta pi volte durante le affettuose conversazioni dell'ultima Cena, si
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Mc. 10.18 1 Cor, 13,13 Gv. 14,15

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presta a una duplice interpretazione; la prima la pi ovvia: l'osservanza dei comandamenti la prova della sincerit dell'amore. "Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrer nel regno dei cieli, ma colui che fa la volont del Padre mio" 139; l'altra interpretazione, ribaltando il significato della frase, vede affermata nell'amore la vera osservanza dei comandamenti; in altre parole, l'osservanza dei comandament i autentica e sincera solo se nasce dall'amore. Per quanto possa sembrare assurdo, ci pu accadere di osservare i comandamenti di Dio, anche i pi piccoli, e non amare. Lo possiamo constatare a proposito del fratello maggiore del "figliol prodigo" nella ben nota parabola di San Luca. 140 Quel fratello maggiore, che non si era rattristato quando il fratello pi piccolo se n'era andato malamente da casa (anzi, forse aveva pensato in cuor suo, come traspare dalle parole del padre, che gli sarebbe rimasta tutta l'eredit paterna), e si rattrista invece quando il fratello pentito viene accolto con gioia festosa dal padre, quel fratello fa notare a suo padre di essergli sempre rimasto fedele. Infatti da tanti anni lo serviva senza aver "mai trasgredito un suo comando". Ma gli mancava l'amore, era vissuto pi da servo che obbediva anzich da figlio che amava. Perci, osserva davvero i comandamenti solo colui che mosso dallamore.

73 - Amore e morale laica.


Gi abbiamo ricordato la sottile ipocrisia nascosta nella "morale laica". In essa i Comandamenti, arbitrariamente mutilati e ridotti, sono assimilati a un codice di comportamento, a una regola di vita per persone civili. Ma anche molti cristiani considerano i Comandamenti di Dio semplicemente una legge, e rischiano di limitarsi alla pura osservanza di essa. Atteggiamento facilitato dal fatto che i Comandament i sono l'espressione della legge naturale scritta nella nostra coscienza, e induce in chi li osserva un certo "benessere morale", proprio di chi "si sente a posto" con i propri doveri. Da questo atteggiamento moralistico facile finire nel moralismo puramente legale, astratto e impersonale, il quale dimentica che l'essere naturale dell'uomo definito dal suo rapporto personale e amoroso con Dio, e non dal rapporto con un codice o una legge. Diventa cos pi comprensibile l'altro significato delle parole di Ges: solo chi ama, osserva veramente i Comandamenti di Dio. Ma l'osservanza amorosa dei Comandamenti non pu essere sporadica, non pu fermarsi a qualche atto isolato, compiuto saltuariamente. Esso deve trasformarsi in una disposizione abituale della nostra volont, che ci porta ad agire costantemente in conformit ai valori affermati dai Comandamenti. Questa disposizione stabile, attiva, che porta a compiere abitualmente atti buoni ci che chiamiamo "virt morale"; essa diventa forza interiore, energia spirituale che ci orienta decisamente verso il bene e tende a radicarci fermamente e stabilmente nei valori che contribuiscono alla perfezione morale della nostra persona. La statura morale di un uomo data dalle virt che egli possiede e dal grado di perfezione che in esse egli ha raggiunto. Non solo: anche il bene comune, il progresso autentico e ordinato di una societ, di un popolo, di una qualsiasi comunit hanno il loro fondamento nelle virt morali dei cittadini, e non soltanto nelle leggi sagge e giuste del loro ordinamento giuridico. Non basta una Costituzione di alto e nobile contenuto legislativo, non bastano perfette strutture sociali o un elevato progresso tecnico-economico per garantire il bene comune e il vero progresso umano di un popolo se non si promuovono e non si favoriscono nel contempo le virt morali e civili dei singoli cittadini.
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Mt. 7,21 Lc. 15,11-22

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Perci, se vero che si attenta al bene comune emanando leggi ingiuste o inique, ed evadendo dalle leggi giuste costituite, ancor pi si attenta al bene della comunit e alla sua ordinata convivenza quando si provoca o si coopera al degrado morale dei cittadini demolendo i principi e i valori che sono fondamento delle virt morali. In questo campo, enorme la responsabilit dei movimenti politici e culturali, dei potentati che detengono i mass-media, i quali spesso uniscono l'agire delittuoso alla vilt di mascherarsi dietro presunti diritti all'informazione e alla libert di espressione per avallare invece il libertinaggio morale. L'aver separato il progresso tecnico-scientifico, l'organizzazione politica e sociale dall'etica e dalle virt morali una delle falsificazioni pi rovinose operate dalla ideologia laicista. Fondamento di ogni societ la persona umana con i valori morali che essa incarna; e se vero che non tutti possono essere buoni architetti, buoni poeti, filosofi, scienziati, buoni tecnici, ognuno pu essere per buon cittadino, o semplicemente un uomo buono. Non dunque la scienza, la politica, l'arte o qualsiasi attivit professionale sono alla base del valore di una persona, ma il suo essere morale, le sue virt, che costituiscono anche il fondamento di ogni retta convivenza sociale. E tuttavia non basta un uomo virtuoso per fare un cristiano. Il cristiano tale per il Battesimo che ha ricevuto, cio per la grazia che lo ha fatto partecipe della natura divina come figlio di Dio. Perci, se le virt morali sono ordinate a perfezionare l'uomo naturale come immagine di Dio, per noi cristiani necessaria la Carit, cio l'amore soprannaturale, che forgia e promuove in noi la filiazione divina, ci configura sempre pi a Cristo e ci fa entrare per mezzo di lui in una pi profonda intimit con Dio. Nel cristiano, dunque, le virt morali che gi costituiscono la base della bont naturale, devono aprirsi ad una bont pi alta, soprannaturale, alla santit, che la pienezza dell'amore di Dio, Amore che trova la sua perfezione nelle Beatitudini.

74 - Un nemico: lipocrisia.
Sappiamo che tutto questo opera di Dio che agisce in noi per mezzo dello Spirito, ma sappiamo anche che c' in noi un nemico mortale che si oppone all'amore di Dio: la superbia. E' cos che si possono praticare le virt ma cercando esclusivamente la propria perfezione, cio per amore di s stessi. Si pu cadere in una sorta di narcisismo spirituale che porta il nostro io a girare intorno alla propria immagine e a considerarsi superiore agli altri per le virt di cui si vede adorno. Oppure ci si pu appoggiare alle proprie virt per sentirsi meritevoli davanti a Dio e graditi ai suoi occhi. In altre parole si possono cercare e anche praticare le virt e non amare. Se manca l'amore mancher alle virt il valore soprannaturale, l'impronta divina che le fa essere virt cristiane, veramente perfettive del nostro essere figli di Dio. Quante persone si angustiano per la propria perfezione morale e perdono la pace! Esse inaridiscono intorno ad un ideale astratto di perfezione, misurata sul corredo di virt che sono riuscite a indossare. E' fin troppo nota la figura del fariseo salito al tempio per esporre davanti a Dio le proprie virt e i propri meriti vantando la propria superiorit sugli altri considerati invece peccatori. Certo noi difficilmente indosseremo la sfrontatezza e la presunzione del fariseo, ma il desiderio di apparire giusti davanti a Dio, non mescolati alla folla dei peccatori, tutti puliti e in ordine per sfilare senza timore davanti - si pensa- al giudizio di Dio e degli uomini, in realt davanti al proprio giudizio, questo pericolo sempre in agguato in ognuno di noi. Anche arrivassimo ad avere il guardaroba pi ricco e ridondante, il pi completo di ogni virt, ma ci mancasse la veste nuziale, la carit soprannaturale, la 70

veste fiammante dell'amore di Dio e del prossimo, il nostro guardaroba servirebbe a coprire una scimmia, un pupazzo inconsistente, che risulta ridicolo agli occhi di Dio. San Paolo, nel suo "Inno alla carit", ha affermazioni che non possono lasciarci indifferenti: "Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carit, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna. E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede cos da trasportare le montagne ma non avessi la carit, non sono nulla. E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per essere bruciato, ma non avessi la carit, niente mi giova". 141 L'amore dunque deve essere come l'anima di tutta la vita morale dell'uomo, nella sua dimensione naturale e soprannaturale, "cos che ogni esercizio di perfetta virt cristiana non pu scaturire se non dall'amore e nell'amore ha il suo ultimo fine". 142

75 - Amore e lotta ascetica.


Tutto questo ci fa anche comprendere che le virt morali non sono spontanee; sono chiamate virt acquisite, proprio perch richiedono un esercizio a volte lungo e faticoso. La nostra vita di cristiani tutta in salita. E non pu essere altrimenti dal momento che siamo chiamati a una perfezione che partecipazione alla santit di Dio. E' vero che le virt sono opera della grazia, ma Dio concede la sua grazia quando noi mettiamo il nostro sforzo personale, la nostra lotta interiore. E' uno sforzo e una lotta che durano tutta la vita, e costituiscono un capitolo importante dell'ascetica cristiana. Anche nelle cose importanti di questo mondo nulla si realizza o si conquista senza sforzo. Perfino nel mondo dello sport, quanti allenamenti (esercizi atletici lunghi, pazienti, faticosi) sono necessari prima di raggiungere certi primati sportivi! Non si diventa campioni, si dice, se non si impara a "soffrire", a "lottare", a "sacrificarsi", in una parola a esigersi e a superarsi costantemente. Tutti questi termini, che ormai sono entrati abitualmente nel lessico del giornalismo sportivo, in realt sono stati presi dal vocabolario dell'ascetica cristiana. Se dunque gli atleti, scriveva S.Paolo ai Corinti, fanno tutto questo per una corona corruttibile, quanto pi dovremo farlo noi per una corona incorruttibile ed eterna! Perci, continuava l'Apostolo, "corro, ma non come chi senza meta: faccio il pugilato, ma non come chi batte l'aria, anzi tratto duramente il mio corpo e lo trascino in schiavit". 143 L'ascetica cristiana ha appunto due aspetti che le derivano direttamente dalla realt battesimale: il battesimo ha cancellato in noi il peccato originale ma ci ha lasciato le inclinazioni al male; perci compito della lotta ascetica togliere da noi ci che ci allontana da Dio e sanare le ferite lasciate in noi dal peccato, ferite spesso aggravate da abitudini viziose. Il battesimo ci ha poi conferito la grazia che ha divinizzato la nostra anima e ha dato valore soprannaturale alle virt umane che sono fondamento della perfezione cristiana. Siamo perci chiamati a perfezionare sempre pi in noi, attraverso l'esercizio della lotta ascetica, gli abiti delle virt per vivere secondo la nuova dignit di figli di Dio. Il sacerdote infatti, imponendoci la veste bianca, ci ricordava che dobbiamo rivestirci di Cristo. "La vita del cristiano milizia, guerra, guerra bellissima di pace che non assomiglia per nulla alle imprese belliche degli uomini, perch queste si ispirano alla divisione e all'odio, mentre la guerra che i figli di Dio combattono contro il proprio egoismo si fonda sull'unit e sull'amore". 144
141 142 143 144

1 Cor. 13,1-3 Catechismo Romano, Prefazione 1 Cor. 9,24 Beato J. Escriv, E' Ges che passa n. 76

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E' dunque l'amore che deve ispirare e sostenere la lotta ascetica, l'amore di Dio e non il desiderio di meritarci un certificato di buona condotta. Cos non ci lasceremo prendere dallo scoraggiamento se la nostra lotta personale conoscer i momenti di stanchezza, di debolezza e anche di sconfitta, perch l'amore ci porter a ricominciare mille volte. Ges caduto sotto la croce - sotto il peso dei nostri peccati non rimasto a terra; e a farlo rialzare non sono stati i calci e le frustate dei soldati ma l'amore, l'amore per il Padre e l'amore per gli uomini; e fu l'amore a trascinarlo fino sul calvario, fino sulla croce. La lotta ascetica, che esige spesso il sacrificio e la penitenza, precisamente una partecipazione alla croce di Cristo, ma anche partecipazione alla sua vittoria, al suo trionfo, alla sua libert, alla sua gloria. Il beato J. Escriv mettendo l'ultima pietra all'ultima delle sue opere, vi lasci scritte queste parole, che suonano come un testamento: Questo il nostro destino sulla terra: lottare, per amore, fino all'ultimo istante. Deo Gratias!. Per amore! Dove c' amore, la lotta interiore diventa gioiosa, perseverante, efficace, e d'altra parte, la lotta ascetica conferisce all'amore la garanzia della sincerit e della verit.

76 - Amore e Beatitudini.
Infine, le virt trovano il loro coronamento nelle Beatitudini del Vangelo. Le Beatitudini, infatti, costituiscono la vera caratteristica del cristiano perfetto: esse esprimono il programma essenziale della santit cristiana e conducono alla pienezza della carit. Perci senza la carit esse non sono n praticabili e nemmeno pensabili. Presentano due caratteristiche: proclamano le virt evangeliche nella loro perfezione pi alta, cammino del perfetto discepolo di Cristo; e hanno poi significato escatologico, fanno cio riferimento alla vita eterna e alla condizione che le propria: la beatitudine. In altre parole, il perfetto discepolo di Cristo, seguendo le Beatitudini, vive tali disposizioni interiori da anticipare qui sulla terra le condizioni proprie della vita eterna. Non deve apparire strano che nelle Beatitudini non si parli della carit; ci viene infatti presentata la sua conseguenza pi alta, la beatitudine appunto. E' beatitudine il possesso pieno e perfetto di ci che si ama, l'appagamento completo e duraturo di tutte le aspirazioni del cuore e dell'anima, aspirazioni che non hanno limite perch aperte verso il Bene sommo. Solo la contemplazione di Dio e la partecipazione piena alla sua intimit possono appagare il nostro essere e inondarlo dell'Amore beatifico. A questa beatitudine dell'amore fanno riferimento le beatitudini del Vangelo. "L'amore di Dio, diffuso nel nostro cuore per mezzo dello Spirito Santo che ci stato dato, rende capaci i laici di esprimere realmente nella loro vita lo spirito delle Beatitudini." 145 Il guaio che non ci crediamo, o non ne siamo seriamente convinti. L'umilt perfetta, il distacco perfetto, la castit perfetta, la mansuetudine, l'amore ai nemici, il perdono delle offese, la fedelt fino al martirio...., ci spaventano. Pensiamo che in queste cose non ci possa essere la felicit e tanto meno la beatitudine. E' che non sappiamo vedere in esse l'Amore. Siamo talmente inclinati a vivere sotto la schiavit della legge, che non ci sfiora nemmeno il desiderio di assaporare la libert dell'amore. Vero che sulla terra la nostra libert di creature soffre i limiti della condizione umana segnata dalla debolezza e dal peccato, e perci ha bisogno della legge; ma non per questo si sono chiuse le strade dell'amore, perch Dio per mezzo del Suo Figlio fatto uomo ha riaperto sulla terra i "cammini divini" dell'Amore. Bisogna diventare anime assetate di Dio per dilatare i confini della libert. E quando
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Concilio Vaticano II n. 927 - Ap.Act.n.4

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la sete di Dio diventa desiderio incontenibile, la legge lascia il posto allo Spirito e la libert scioglie le vele verso l'amore che diventa un mare senza confini, una luce inebriante che alimenta fuochi nuovi di desiderio. "Come la cerva anela alle sorgenti delle acque, cos l'anima mia anela a te, o Dio. L'anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente: quando verr e vedr il volto di Dio?". 146 A questo punto anche la preghiera non ha pi parole; un lungo anelito dell'anima, come un grido. S.Agostino cos commenta le parole del salmo 37: "Signore, davanti a te ogni mio desiderio e il mio gemito a te non nascosto". 147 C' un gemito segreto del cuore che non avvertito da alcuno; (...) la voce del desiderio (...) Il tuo desiderio la tua preghiera: se continua il tuo desiderio continua pure la tua preghiera.... Qualunque cosa tu faccia, se desideri quel sabato (che il riposo di Dio), non smetti mai di pregare. Se non vuoi interrompere di pregare, non cessare di desiderare. Il tuo desiderio continuo, continua la tua voce. Tacerai, se smetterai di amare. La freddezza dell'amore il silenzio del cuore, l'ardore dell'amore il grido del cuore. Se resta sempre vivo l'amore, tu gridi sempre; se gridi sempre, desideri sempre; se desideri, hai il pensiero rivolto alla pace". 148

IL COMANDAMENTO DELL'AMORE

77 - Amore e libert.
Parlando dell'amore abbiamo accennato alla libert come condizione e presupposto indispensabile per poter amare. Libert e amore: quale rapporto? Queste due parole sono forse quelle che, oggi soprattutto, ricorrono pi frequentemente nel vocabolario degli uomini. Non solo nel vocabolario delle scienze umane e della cultura in genere ma anche in quello corrente, nel linguaggio dell'uomo comune. Tutto si decide in nome della libert, tutto si misura in termini di libert. Soprattutto l'amore - si dice - non pu essere che "libero"; libert e amore non conoscono leggi, non possono avere limitazioni; l'amore nell'uomo il sentimento pi spontaneo, pi libero, e non pu soffrire inibizioni. Si pu intuire facilmente a quali equivoci si prestino queste espressioni e come proprio in queste parole si nasconda la piaga del nominalismo moderno. Un nominalismo che svuota le parole del loro significato, le priva del loro valore originario, e poi le utilizza per rivestire concetti pre-costituiti, secondo ideologie che spesso sono tra loro contraddittorie. Si arriva fino alla falsificazione dei significati con la inevitabile conseguenza della confusione della lingue. Si confonde cos la libert con l'istinto, la libert col capriccio, la libert col libertinaggio, la libert con "le libert". Ora, l'istinto una forza cieca che nell'uomo non ordinata razionalmente, il capriccio l'immaturit di chi non ha ancora realizzato il dominio di s stesso, il libertinaggio disprezzo delle persone e delle leggi, "le libert" sono le possibili applicazioni della libert, i campi dove essa pu esprimersi ed esercitarsi. Ma tutto questo non ancora la libert. Uno dei passi pi noti di tutta la Bibbia, un passo che viene citato da Ges nel Vangelo, esprime i valori della libert e dell'amore nel loro rapporto pi profondo, e proprio in riferimento alla nostra condizione umana: il famoso "Shem Israel", la
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Salmo n. 41,2-3 Salmo n. 37,10 S.Agostino, Commento sui Salmi: Sermone 37,13-14

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preghiera che ogni buon ebreo recita ogni giorno. Essa dice: "Ascolta Israele: il Signore il nostro Dio, il Signore uno solo. Tu amerai il Signore Dio tuo, con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze". 149 E' il comandamento dell'amore, il primo comandamento della Legge, ma anche il compendio di tutti i comandamenti e di tutta la legge.

78 - Quale libert?
Nasce allora una domanda: com' possibile "imporre" l'amore con un precetto? Non forse contraddittorio un simile comandamento? Se l'amore viene imposto gli si toglie il suo requisito fondamentale: la libert; lo si priva perci di autenticit e di valore. Per rispondere a queste domande, occorre restituire alle parole il loro significato proprio, occorre cio uscire da quel nominalismo intellettuale che ha rovinato tanta parte del pensiero moderno e condiziona tuttora la cultura contemporanea. Che cos' veramente l'amore? E la libert, cos' essa veramente? Di quale libert si parla quando si discute sulla libert dell'amore? Dovremo necessariamente limitarci a semplici considerazioni dettate dal senso comune, un senso comune che, almeno per noi cristiani, gode dell'aiuto inestimabile della fede. Di solito quando parliamo di libert pensiamo alle varie espressioni di essa nella vita corrente: libert di opinione, libert di movimento, libert di espressione, libert di scelte professionali, politiche, artistiche, libert di rapporti umani, di amicizie ecc. In tutti questi campi ha senso e va rispettata la "libert di scelta". Di fatto, nella vita quotidiana, noi esercitiamo continuamente la libert di scelta. Scegliamo le scarpe, la cravatta, il rossetto, il men di mezzogiorno o, pi seriamente, abbiamo possibilit di scegliere la professione, l'ambiente di vita, le amicizie, i candidati di un partito..., e cos si possono scegliere infinite altre cose, ma tutte relative; relative non solo in s stesse perch la loro natura limitata, ma anche perch contingenti, non necessarie, legate al tempo e alla nostra condizione di creature. Ci sono invece cose che non si scelgono, che sfuggono totalmente alla nostra volont e alle nostre decisioni, e per le quali la "libert di scelta" non ha senso. Cos la vita: non si sceglie ma si riceve; cos la verit: non si sceglie, ci viene data; cos il bene: non si sceglie, lo si accoglie. La nostra stessa identit personale con le caratteristiche di natura, di carattere, di personalit non l'abbiamo scelta noi, ci stata data; e ancor pi ci viene data la grazia, la vocazione, il nostro destino. Cos l'amore. Tutte queste cose si possono accogliere o rifiutare, non scegliere. In definitiva si tratta della nostra realt di creature, creature che sono state "scelte", volute da Dio per amore. "(Egli) ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carit, predestinandoci ad essere suoi figli adottivi per opera di Cristo", 150 il quale ricorda ai suoi apostoli: "Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi". In ultima analisi, Dio non pu essere oggetto di scelta, n Dio n il suo disegno su di noi. La libert vera, nella sua identit profonda e radicale, non sta dunque nella possibilit di scelta, ma nella capacit di aderire pienamente e totalmente a Dio. E' un atto proprio dell'essere spirituale: lo chiamiamo "responsabilit"; essa suppone in noi il dominio delle nostre azioni e delle nostre decisioni. Senza libert non possibile amare. Ci stata data la libert per poter rispondere all'Amore con l'amore. Ecco perch il rifiuto di obbedire a Dio e alle sue "chiamate" non espressione di libert, ma autodistruzione della libert.
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Det. 6,4-5 Ef, 1,4

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79 - Libert e verit.
Perci la libert fine a s stessa, la libert per la libert, diventa un idolo, un feticcio, un tragico inganno che genera la morte, perch contiene la pretesa dellautonomia ontologica ed esistenziale, cio il tentativo di emancipazione da quel rapporto con Dio che costitutivo del nostro essere. Si intuisce allora il profondo legame che esiste tra libert e verit. Rispettare e aderire alla verit, alla verit del nostro essere e di ogni essere, alla verit che esiste nella realt delle cose, in una parola alla verit di Dio, significa tracciare la strada alla libert, renderla possibile, significa garantirla nel suo esercizio. Fuori della verit, la libert si paralizza o impazzisce; mortifica le pi vitali energie dello spirito, o genera distruzioni irreparabili e tragiche. Tutti conosciamo, e molti di noi ne siamo stati testimoni, di quali orribili crimini e rovinose catastrofi si sia fatta responsabile, nel nostro secolo, una libert impazzita nell'errore e nella menzogna. E' triste constatare come noi uomini non sappiamo imparare mai abbastanza dalla storia. Fin da principio, infatti, i nostri progenitori hanno preteso di affermare la loro libert rifiutando il disegno di Dio, e hanno considerato il suo comando "...Dell'albero della conoscenza del bene e del male non dovete mangiarne, perch certamente morirete" 151 come un inganno, (oggi lo diremmo un atto di terrorismo psicologico); sono cos usciti dalla verit e dalla grazia, rimanendo confusi e smarriti, nudi di ogni dono di Dio, coperti solo dalla propria vergogna e dalla paura. Da allora cominci per l'umanit una lunga storia di oscurit e di miseria, di oppressione e di violenza, finendo di volta in volta sotto le varie tirannie della superbia e dell'odio. Ma noi continuiamo a celebrare le nostre liturgie libertarie non fidandoci di Dio, diffidando di Cristo, rifiutando la Chiesa, per seguire la "libert di pensiero", la "libert di coscienza", la "libert di scelta", e tutti i dogmi del laicismo mondano.

80 - La libert dellamore.
Tornando dunque al nostro ragionamento, ci sono "le libert", che riguardano tutto ci che relativo, opinabile, eleggibile, e c' poi "la libert" che, invece, riguarda il fine ultimo, assoluto: il Bene, il Giusto, cio Dio stesso e ci che a Lui si riferisce. Le libert si perdono con la coazione e con la violenza, la libert si perde solo con il peccato. Ora la nostra condizione sulla terra quella di peccatori. Il peccato entrato nel mondo e si insediato nel cuore dell'uomo. La nostra libert ha perci bisogno della legge, cos come la nostra responsabilit e la nostra fedelt hanno bisogno della grazia. Ecco giustificato il "Comandamento dell'amore". Peccatori, soggetti alla tirannia del peccato, abbiamo perduto la "libert dell'amore", abbiamo dimenticato e disimparato ad amare. Ci rimasto, s, il desiderio, la tendenza, il bisogno dell'amore, perch il peccato non ha distrutto la natura, non l'ha soppressa e non le ha tolto l'immagine di Dio, l'ha per ferita mortalmente, l'ha resa "dissimile" da Dio, e perci incapace, senza l'intervento divino, di vivere nella libert dell'amore. Dicendo "intervento di Dio" non intendiamo qualcosa di esterno, un aiuto saltuario e momentaneo, una mano che Dio ci offre per superare i momenti difficili della vita; abbiamo bisogno certamente anche di questi aiuti, che la teologia chiama "grazie attuali" perch legate a momenti e circostanze particolari, e che vanno chieste
151

Gen. 2,17

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continuamente a Dio nella preghiera, ma qui, nella nostra condizione di peccatori, necessario un intervento di Dio radicale e profondo: la Redenzione. Si tratta di una "creazione rinnovata", una ri-creazione dell'uomo a partire dal suo essere profondo, dalla sua natura, perch diventi conforme al progetto di Dio, e riacquisti la sua "somiglianza" con Lui, capace di quel destino di eternit al quale l'amore di Dio lo ha chiamato. Questo intervento soprannaturale, divino, immensamente commovente, si compiuto in Ges. Egli, Figlio di Dio, facendosi uomo ha ricuperato la nostra natura umana, morendo sulla croce ci ha liberati dal peccato, e nella sua risurrezione, ci ha restituito la nostra dignit di figli di Dio, eredi del Cielo. Ecco dunque da chi viene la "libert dell'amore", ecco qual la vera libert dell'amore, ed ecco anche perch sulla terra abbiamo bisogno del comandamento dell'amore, della "legge dell'amore". Cristo infatti ci ha liberati dal peccato e perci ci ha liberati dalla legge del peccato: "Siete liberi di quella libert di cui Cristo vi ha liberati"; "Quando infatti eravate sotto la schiavit del peccato, eravate liberi nei riguardi della giustizia ma quale frutto raccoglievate allora da cose di cui ora vi vergognate? Infatti il loro destino la morte. Ora, invece, liberati dal peccato e fatti servi di Dio...avete come destino la vita eterna. Perch il salario del peccato la morte. Ma il dono di Dio la vita eterna in Cristo Ges...o forse ignorate, fratelli, che la legge ha potere sull'uomo solo per il tempo in cui egli vive?". 152 Nella vita eterna, infatti, non avremo pi bisogno n della legge n della grazia, entreremo nella libert della gloria, la gloria dei figli di Dio. Ci sar dunque solo l'amore, la pienezza dell'amore, la piena libert dellamore.

81 - Il Comandamento dellamore.
La misura della nostra libert data dalla capacit di amare, la capacit di rispondere all'amore. Senza libert non possibile amare, ma senza l'amore la libert si perde. Ben venga dunque il comandamento della Legge: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente, con tutte le tue forze". Il Signore dovuto arrivare fino a questo punto: comandarci di amarlo. Esaminiamo dunque pi a fondo questa legge dell'amore. Dobbiamo "amare Dio sopra ogni cosa, con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la mente, con tutte le forze". Questo comandamento afferma innanzitutto la supremazia dell'amore di Dio su ogni altro amore. Amare Dio sopra ogni cosa infatti significa professare non solo che Dio pi importante di ogni altra realt, ma anche che ogni cosa deriva la sua importanza da Lui. E', in fondo, il contenuto del primo comandamento: Io sono il Signore, Dio tuo, l'Unico; non avrai altro Dio che me; per cui Ges poteva dire: "Chi ama il padre e la madre pi di me non degno di me".153 Purtroppo la nostra condizione sulla terra ci impedisce di vedere Dio, di riconoscerlo con evidenza come il Sommo Bene. Perci spesso i beni parziali di questo mondo ci attirano pi di Lui e ci portano a mettere Dio non al primo posto ma dopo altri interessi, se non addirittura ad eclissarlo nella nostra vita. Il Comandamento nel quale Dio ci chiede di amarlo sopra ogni cosa viene cos incontro alla nostra debolezza, ci fortifica nei momenti di incertezza e di oscurit, e contribuisce a rendere pi convinta e sincera la lotta contro ci che pu allontanarci da lui. Dio il Primo e dobbiamo perci metterlo al primo posto; prima della salute, prima del lavoro, prima della carriera, prima degli interessi materiali, anche prima dei figli e perfino dei genitori. Questo non significa che l'amore di Dio debba competere o addirittura entrare in alternativa con gli amori nobili e belli della
152 153

Romani, 6,20 Mt. 10,37

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nostra vita; anzi, amare Dio sopra ogni cosa ci porta ad amare ogni cosa con amore giusto e ordinato perch amare le creature come Dio le ama. Diversamente ci allontaniamo dalla verit, non la pratichiamo e lasciamo entrare il disordine nella nostra vita.

82 - Amare con tutta lanima, con tutta la mente.


Di qui la seconda cosa affermata da questo comandamento: l'amore esige tutto ed esige lotta. Amare con tutta l'anima, con tutta la mente, con tutto il cuore, con tutte le forze significa che tutto il nostro essere coinvolto nell'amore di Dio e che nulla di noi e in noi pu restare estraneo a questo comandamento. Anche l'elenco delle facolt - tutta l'anima, tutta la mente, tutto il cuore, tutte le forze - che dobbiamo impegnare nell'amore di Dio ha un suo significato, perch non sempre la nostra persona risponde completamente e simultaneamente alla domanda d'amore. Si ama con tutta l'anima quando Dio riempie tutto il nostro mondo interiore: la memoria, la fantasia, soprattutto la nostra intenzionalit. Per anima s'intende qui il centro operativo della nostra persona, da cui nasce tutta la nostra attivit spirituale, le aspirazioni, le decisioni intime, i desideri profondi. A questo livello l'amore sostenuto dal dono soprannaturale della Sapienza che ci apre alla contemplazione; diventa amore contemplativo che muove l'anima e la accompagna in tutte le sue operazioni, anche nei momenti pi impensati della vita. Ma solo dopo lungo tempo la nostra anima arriva a godere di questa luce e ad assaporare questo amore; normalmente combattuta fra l'amore di Dio e il desiderio delle creature, le quali continuano a esercitare la loro attrattiva sulla fantasia, sui ricordi, sui nostri moti interiori. Ma pu anche verificarsi una situazione di pesantezza e di smarrimento che avvolge l'anima come in una nebbia. E' allora il momento di ricorrere alla nostra intelligenza sostenuta e illuminata dalla fede: cio, amare con "tutta la mente". La mente come la punta dell'anima con la quale essa pu emergere dall'incertezza e dall'esitazione. Amare Dio con l'intelligenza significa stimarlo per quello che egli : il Bene Assoluto, Signore e Creatore di ogni cosa, e aderire a lui in forza della sua parola. L'amore allora sostenuto dal dono soprannaturale dell'Intelletto e alimenta l'orazione di fede. In questa situazione necessario ripetere frequentemente atti espliciti di fede per sostenere il nostro amore di fedelt; occorre ripetere adagio, quasi facendole echeggiare nella nostra anima, le parole dell'apostolo Pietro: "Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna" 154 e io ho creduto alla tua parola e al tuo amore.

83 - Amare con tutto il cuore, con tutte le forze.


Ma pu accadere che la nebbia dell'incertezza raggiunga anche la punta della nostra anima, la nostra mente, e che la fede non ci dica pi una chiara parola di certezza. Sembra che l'intelligenza non ci segua pi, anzi non nemmeno capace di fermarsi sulle verit della fede, incespica, balbetta, si perde nei ragionamenti. E' il momento del cuore. Amare con "tutto il cuore", inteso proprio come centro dei sentimenti pi intimi, delle emozioni rette e sincere, significa orientare al Signore tutto l'affetto di cui siamo capaci. Non si tratta di pura emotivit o di sensibilit superficiale; , questo, un amore che esige una profonda semplicit interiore, la semplicit di chi si sa figlio di Dio, amato teneramente da suo Padre. E' l'amore affettivo che ha la sua forza e il suo fondamento nel dono della Piet.
154

Gv. 6,70

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Non dobbiamo aver paura di amare Dio con il nostro cuore di carne perch Dio stesso ha voluto amarci cos, con l'affetto umano proprio di un cuore che sa vibrare e commuoversi, gioire e intenerirsi, che sa comprendere, perdonare, soffrire. Tale fu il cuore di Cristo, un cuore che non la lancia del soldato ma l'amore verso gli uomini ha squarciato e aperto perch potessimo vedere l'abisso dell'Amore divino e trovassimo in lui il nostro riposo e la nostra pace. "Sono venuto a portare il fuoco sulla terra e come vorrei che fosse gi acceso!". 155 Quando la nostra mente torpida e stanca, la nostra anima confusa e sonnolenta, facciamo agire il cuore; mettiamolo accanto al fuoco portato da Cristo perch si riscaldi e si apra a sentimenti di lode, di gratitudine, di gioia, di amicizia, di contrizione, di fiducia, di serenit; e tutto questo senza bisogno di parole, senza faticosi ragionamenti. E' l'orazione affettiva, la "contemplatio ad amorem". Infine pu capitare che anche il cuore entri in uno stato di apatia e di indifferenza. Non solo l'anima tace, non solo i pensieri balbettano, ma anche il cuore rimane freddo, insensibile, e ci che prima lo infiammava, lo inteneriva, lo faceva vibrare, ora sembra cenere spenta. E' allora il momento della volont, il momento di amare con "tutte le forze". Tutte, a cominciare da quelle fisiche impedendo al corpo di lasciarsi andare a pigrizie o a pesantezze che spesso conseguono alla aridit interiore; e pi ancora con le forze psichiche, non cedendo agli stati d'animo, alla malavoglia o alla ripugnanza di fronte ai propri doveri e al proprio lavoro, reagendo pazientemente ma inflessibilmente a quella astenia interiore che minaccia di paralizzare le energie dello spirito; infine smascherando l'inganno che pu nascondersi in vari pensieri di scoraggiamento e di diserzione, come ad esempio giudicare inutile tutto quello che facciamo, pensare che quella preghiera senza fervore e senza entusiasmo non valga nulla, credere alla sensazione di essere tornati indietro e di lavorare senza frutto, per cui non vale la pena di lottare, di continuare a impegnarci. Ma soprattutto sono le forze spirituali che dobbiamo mobilitare, le energie che fanno capo alla volont. In queste condizioni interiori lei, una volont forte e tenace che deve prendere in mano la situazione, collocarsi al centro del nostro mondo interiore ed esercitare con fermezza il suo ruolo di facolt operativa. Allora, amare "con tutte le forze" significa amare con opere: portare a compimento il proprio dovere anche il pi piccolo, anche se ci costa, con voglia o contro voglia, con gusto o con ripugnanza; essere fedeli ai compiti, agli incarichi, al lavoro affidatoci; dedicarci agli altri in mille gesti, piccoli o grandi, di carit e di apostolato, con generosit, con perseveranza, senza attendere compensi. Tutto questo amare con opere, volere ci che gradito a Dio e perch gradito a Dio. Anche l'orazione richiede, allora, sforzo e pazienza; simile al lavoro faticoso di chi cava acqua dal pozzo con la forza delle braccia, secchio dopo secchio, con la sensazione di raccogliere ben poco con tanto sudore. Fare le cose per pura volont e andare avanti nel cammino per pura fedelt, , allora, l'unico modo per dire al Signore che gli vogliamo bene. E' certo un amore faticoso, arido, poco gratificante, ma amore autentico, amore squisitamente soprannaturale, che Dio premia con grazie abbondanti e con doni di sapienza.

84 - Il Comandamento nuovo
Ma il precetto divino che ci comanda di amare diventa particolarmente urgente e impegnativo, data la nostra condizione di peccatori, quando si tratta dell'amore del prossimo. Abbiamo gi detto che il nostro viaggio sulla terra non lo percorriamo da soli; siamo una moltitudine, un fiume e non possiamo stare insieme senza amarci.
155

Lc. 12.46

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Eppure il peccato ha reso cos difficile l'amore reciproco che Ges, nel lasciarci come testamento l'imperativo dell'amore fraterno, ha dovuto chiamarlo "il comandamento nuovo". E nuovo davvero questo Comandamento del Signore non solo perch gli uomini ne avevano perduto il ricordo, e con esso la capacit e la volont di praticarlo, ma anche perch il contenuto, le motivazioni e il modo di viverlo indicati da Ges ne fanno una novit assoluta. Nell'Antico Testamento l'amore del prossimo era commisurato esclusivamente sulla giustizia: "Amerai il prossimo tuo come te stesso", per cui "tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro". Il Comandamento nuovo portato dal Signore esige invece che l'amore al prossimo sia una partecipazione dell'amore stesso di Dio. Se amiamo Dio, ameremo anche col suo amore e ameremo tutto ci che egli ama. L'uomo l'unica creatura che egli ama per s stessa e perci non possibile amare Dio senza amare ogni uomo. In definitiva, non esiste che un solo comandamento, come esiste un solo amore: l'amore verso Dio; un amore che da Lui si espande sulle creature a cominciare dal nostro prossimo. L'ideologia della secolarizzazione e la morale laica che ne deriva hanno compiuto una delle operazioni pi deleterie e immorali di tutta la storia della cultura occidentale: quella di separare l'amore del prossimo dall'amore di Dio. Operazione che rientra nell'antica e assurda pretesa autonomistica della creatura che rifiuta il suo creatore, dell'uomo che respinge Dio. Cancellato l'amore di Dio cancellato anche l'amore per l'uomo, amore che si tenta di far sopravvivere con surrogati che spesso finiscono nella ipocrisia o addirittura nella menzogna. Cos, cancellato l'amore cristiano, rimasta la "solidariet", una solidariet tuttofare, onnicomprensiva, buona per tutte le operazioni, che pu significare tutto e anche niente. Nella variante ecologica del laicismo, poi, la solidariet per gli uomini, l'amore per gli animali. E' inevitabile! Emarginato Dio, cancellato anche l'amore, perch l'amore Dio stesso. L'amore di Dio rimane fondamento dell'amore per l'uomo e per tutte le altre creature.

85 - Amore e misericordia.
L'amore cristiano partecipa cos alle caratteristiche dell'amore che Dio nutre verso gli uomini. In Dio l'amore innanzitutto misericordia. "Siate misericordiosi come misericordioso il Padre vostro". 156 E' misericordia la capacit che l'amore ha di aprirsi al dolore e alle necessit del prossimo, al suo bisogno e alla sua povert corporale, ma soprattutto alla miseria morale e spirituale in cui esso pu trovarsi. E' una disponibilit che spinge ad intervenire con gesti concreti di aiuto e di dedizione, quali sono le "opere di misericordia". La pi grande lezione e l'esempio pi commovente di misericordia Ges stesso. E' lui il buon Samaritano che "misericordia motus", spinto dall'amore misericordioso, si curva sull'uomo che si trova in condizioni di miseria perch lontano da Dio e mortalmente ferito dal peccato, lo raccoglie, gli fascia le ferite "versandovi l'olio e il vino" della sua passione e del suo sangue redentore, lo affida alla Chiesa -"lo port a una locanda" - alla quale consegna i due denari (il Vangelo e i Sacramenti), con l'incarico di prendersi cura di lui. Ma, anche fuori di parabola, Ges sent compassione della folla che da tre giorni lo seguiva e "si commosse per loro, perch erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose", 157 dopo aver guarito molti malati e provvedendo poi con la moltiplicazione dei pani alla loro necessit materiale. In questo comportamento di Ges, ci vengono indicate le opere di misericordia, quelle spirituali e quelle corporali. Ges si commuove alla vista della fame e del dolore, ma
156 157

Lc. 6,36 Mc. 6,34

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soprattutto si commuove alla vista dell'ignoranza. (Escriv) E non c' ignoranza peggiore di quella di chi ignora la salvezza che viene da Dio. La verit pi consolante che Ges ci ha rivelato che il Padre "ricco di misericordia verso quanti lo invocano" 158; perci il nostro amore verso il prossimo trova la sua pi alta espressione nella partecipazione alla misericordia di Dio il quale "vuole che tutti gli uomini siano salvati" 159. Ora, un amore fraterno che sia impregnato di misericordia e cerchi la salvezza dei fratelli, esige sacrificio, dimenticanza di s stessi e donazione. La strada della misericordia percorsa da Ges quella della croce, espressione suprema del dono di s; e proprio sulla croce Ges ha compiuto il gesto di misericordia pi commovente quando, dopo aver chiesto al Padre di perdonare i suoi crocifissori, ha Lui stesso donato la salvezza al ladrone pentito: "In verit ti dico, oggi sarai con me nel Paradiso". 160

86 - Amore e perdono.
Altro contenuto nuovo portato da Ges al comandamento dell'amore il perdono. Prima di Ges il perdono era considerato debolezza, vigliaccheria, mancanza di virilit. Ges ci ha rivelato che l'onnipotenza di Dio, pi ancora che nella creazione dell'universo, si manifesta nella misericordia e nel perdono. 161 Se c' una cosa che pi ci fa simili a Dio il perdono. Anzi perdonare, il vero perdono, proprio solo di Dio. Il nostro perdono, infatti, rimane esterno alla persona che ci ha offeso; essa rimane nella sua colpa. Dio, invece, quando perdona raggiunge l'intimo della nostra coscienza e ci rinnova interiormente. Il perdono di Dio cancella le nostre colpe e rinnova, "rende nuovo", il nostro cuore. "Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo". 162 Perci il perdono un intervento dell'onnipotenza del Padre, un atto creativo in cui la potenza di Dio si mette al servizio della sua misericordia. Ecco perch un Dio che perdona commuove pi profondamente di un Dio che crea (Escriv). Il nostro perdono, esigenza dell'amore cristiano, anche se non ha efficacia sulla coscienza della persona, tuttavia importante per lei e per noi: per lei, perch col perdono possiamo guadagnare il nostro fratello; per noi, perch nel perdono no i rinneghiamo il male e giudicando noi stessi peccatori possiamo ottenere il perdono dei nostri peccati. E' quanto diciamo nel Padre Nostro: "Rimetti a noi i nostri debit i come noi li rimettiamo ai nostri debitori". Il nostro perdono deve quindi ispirarsi al perdono di Dio; perci dobbiamo perdonare sempre, dobbiamo perdonare di cuore, dobbiamo perdonare sinceramente e totalmente. Siamo infatti tentati di perdonare alcune volte - "fino a sette?" domand Pietro - e perdonare solo alcune offese; siamo portati a perdonare col cuore stretto, con qualche rivincita, magari lamentandoci vittimisticamente e perdendo la pace; siamo infine disposti a perdonare ma a certe condizioni, con clausole di risarcimento al proprio orgoglio ferito, tenendo sempre pronto in tasca il conto dei torti e dei danni. Non questo il perdono di Dio. Se poi ci sforziamo di amare come ci ha amati Cristo, quel Ges che appunto dalla croce ha pregato per i suoi crocifissori, allora il nostro amore fraterno includer, anzi anticiper il perdono. Diceva il Beato Escriv che egli non aveva mai avuto bisogno di perdonare perch il Signore gli aveva insegnato ad amare. Questa espressione ci ricorda un aspetto rivoluzionario dell'amore cristiano:
158 159

Sal. 86,5 1 Tim. 2,4 160 Lc. 23,43 161 Deus, qui omnipotentiam tuam parcendo maxime et miserando manifestas..." Orazione della 26.ma Domenica T.O. 162 Salmo n. 50,12

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l'amore verso i nemici. Ges stato esplicito: "Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori perch siate figli del Padre vostro celeste che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti". 163 Tuttavia, la carit fraterna e il perdono non escludono la giustizia, ci aiutano invece a coniugarla nel modo pi nobile e retto. La giustizia ispirata dalla carit e dal perdono esclude innanzitutto la vendetta, mira poi ad impedire al malfattore di compiere il male, lo induce a riconoscere lealmente il male compiuto e a pentirsene per ottenere la salvezza, e gli esige infine il ripararne, nella misura del possibile, le ingiuste conseguenze. Tale la giustizia di Dio, il quale "non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva", e tuttavia ha chiesto riparazione per l'ingiustizia del peccato attraverso la passione e la morte di Ges, suo Figlio, offrendo cos a tutti noi la possibilit di pagare i nostri debiti. Davanti a Ges crocifisso possiamo ben dire: "Giustizia fatta!", ma nella misericordia e nel perdono.

87 - Amore e servizio.
Una terza novit di contenuto nel comandamento dellamore fraterno lasciatoci da Ges la gratuit del dono di s che si esprime nel servizio. Dopo che ebbe lavato i piedi ai suoi, Ges sedette di nuovo e disse loro: "Sapete ci che vi ho fatto? Voi mi chiamate maestro e Signore e dite bene perch lo sono. Se dunque io, il Signore e Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l'esempio, perch come ho fatto io, facciate anche voi". 164 Servire, secondo l'insegnamento di Ges, significa sapersi sacrificare - "dare la vita" - per gli altri, sapersi sacrificare generosamente e senza desiderare compensi, "...appunto come il Figlio dell'uomo che venuto non per essere servito ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti". 165 Il sacrificio di s stessi finalizzato al servizio, come dimensione dell'amore cristiano, esige una profonda umilt, un distacco generoso da s stessi, dalle proprie comodit, da interessi ed ambizioni personali. Ai due discepoli che ambivano i primi posti nel regno messianico Ges ricorda: "Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra voi per non cos; ma chi vuol essere grande tra voi si far vostro servitore e chi vuol essere il primo tra voi sar il servo di tutti". 166. Servire, dunque, l'esatto contrario di dominare, di prevalere sugli altri, di sottometterli al proprio criterio personale. Le parole di Ges infatti non escludono n l'autorit n il prestigio umano e professionale, anzi, esigono proprio l'esercizio fedele e responsabile dell'autorit per il bene comune, e spingono al prestigio umano e professionale onde poter servire meglio e con pi efficacia i propri fratelli. Le applicazioni pratiche di questo atteggiamento sono, nella vita di ogni giorno, innumerevoli e continue. Nell'ambiente di lavoro, nella vita di famiglia, nelle responsabilit civili e sociali, le occasioni di sacrificarsi, di servire, di dedicarsi al bene spirituale e corporale dei nostri fratelli, soprattutto dei pi bisognosi, dei pi deboli e indifesi, devono diventare appannaggio di ogni cristiano, un vanto, una santa ambizione per ogni discepolo di Ges.
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Mt. 5,43-45 Gv. 13,13 Mt. 20,28 Mc. 10,42

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86 - Amare per amore.


Ma il comandamento nuovo tale non solo per il contenuto nuovo che Ges vi ha portato ma anche per le motivazioni e per il modo di viverlo. Nel mondo l'amore al prossimo ha di solito motivazioni puramente umane. Si ama per simpatia fondata su un'attrattiva esteriore della persona, o su una comunanza di gusti, di interessi, di opinioni, o anche per ammirazione verso le doti e le caratteristiche naturali della persona. Frequentemente si "ama" per interesse; interesse economico, interesse politico o anche semplicemente per interesse affettivo. In modo pi generico si ama per "solidariet": apparteniamo alla stessa stirpe, alla stessa comunit umana, siamo legati ai nostri simili con vincoli di parentela, di istituzioni, di popolo, di cultura. E' una solidariet che pu portare alla filantropia, all'umanitarismo, alla condivisione, non ancora all'amore. Infine, pi raramente, si arriva ad amare per riconoscenza: se siamo stati oggetto di attenzione, di aiuto, di gratificazione. Invece l'amore cristiano raggiunge la persona in s stessa: il cristiano ama "per amore", un amore che nasce ed sostenuto da motivazioni soprannaturali. La prima di esse fondamentale: ogni uomo "immagine e somiglianza di Dio". Ogni essere umano, per quanto abbietto e vile, porta in s il sigillo di Dio, e amare l'uomo amare in lui il Creatore di tutti. Anche l'amore per i genitori, gi ampiamente giustificato sul piano umano, per il cristiano un amore verso coloro che sono stati collaboratori di Dio nel dargli la vita; la paternit umana infatti partecipazione alla paternit di Dio. C' poi l'amore verso i propri fratelli nella fede; esso motivato dal fatto che ogni cristiano immagine di Cristo. E' unimmagine reale, vera, anche se soprannaturale e mistica; realizzata in noi dai sacramenti. E' infatti nel Battesimo che diventiamo fratelli di Cristo, partecipi della sua filiazione divina. Nella Cresima, poi, veniamo configurati a Cristo come suoi testimoni, nell'Eucarestia siamo fatti partecipi dell'unico Pane e dell'unico Calice, uniti allo stesso sacrificio di Ges che ci fa adoratori del Padre; nel matrimonio gli sposi vengono configurati a CristoSposo, che nella Incarnazione e nella morte sulla croce ha celebrato il suo amore sponsale verso l'umanit e verso la sua Chiesa; perci ogni sposo e ogni sposa cristiana dovrebbero vedere nel coniuge Cristo stesso che santifica il loro amore coniugale. Infine, con l'Ordine Sacro, il Sacerdozio di Cristo si comunica al sacerdote che diventa "Ipse Christus - lo stesso Cristo"; e quando esercita il suo ufficio ministeriale, soprattutto nel confessionale e sull'altare, egli agisce nella persona stessa di Ges. Ogni cristiano quindi nostro fratello nella fede, ma soprattutto membro di Cristo, del suo Corpo Mistico che la Chiesa, a Lui configurato e in Lui radicato, da essere un altro Cristo, alter Christus. Questi legami che abbiamo con Cristo e che fondano i motivi soprannaturali dell'amore fraterno ci danno anche la misura della carit a cui dobbiamo ispirarci noi, discepoli di Ges. Proprio ai suoi apostoli Ges ricordava: "Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati". 167 L'amore di Ges per noi diventa dunque la nuova misura dell'amore fraterno. Del resto, amare il prossimo come s stessi pu essere spesso un criterio inattendibile perch noi per primi non sappiamo amare in modo giusto noi stessi. Spesso non riusciamo a discernere il nostro vero bene e non cerchiamo la nostra vera felicit. Ges ci ha amati e ha dato s stesso per noi, per la nostra salvezza. Egli ha guarito molti malati ma non venuto per guarire le malattie, ha sfamato le folle moltiplicando il pane ma non venuto per risolvere i nostri problemi economici, ha dominato le forze della natura ma non venuto per offrirci soluzioni ai problemi
167

Gv. 15,12

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dell'agricoltura o dell'ecologia, cos come ha insegnato le vie della giustizia e della pace ma non venuto per risolvere con formule politiche i rapporti sociali, giuridici o istituzionali dei popoli. "Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo" e ha dato la sua vita sulla croce. Se dunque dobbiamo vivere il comandamento nuovo che ci chiede di amarci con l'amore stesso di Cristo, saremo aperti generosamente alle necessit, alle sofferenze, alle attese dei nostri fratelli e ci dedicheremo con impegno e responsabilit alla soluzione dei problemi sociali, economici e politici per dare a questo mondo un volto sempre pi umano e sempre pi conforme alla nostra dignit di figli di Dio. Ma in tutto questo e al di sopra di tutto questo cercheremo per noi e per i nostri fratelli la Salvezza, cio la Vita Eterna. Non dimentichiamo che, se non arriviamo in cielo, abbiamo miseramente fallito la nostra vita.

89 - Il quadrilatero dellamore fraterno.


In varie occasioni, il Beato Escriv suggeriva che per vivere l'amore fraterno i discepoli di Cristo devono sforzarsi di convivere, comprendere, discolpare e sorridere. Convivere non significa vivere gli uni accanto agli altri sopportandoci a vicenda ma restando intimamente estranei; la convivenza cristiana va molto pi a fondo della pura convivenza umana che si limita al rispetto dei diritti altrui. Per noi cristiani, convivere vuol dire ospitare il nostro fratello dentro di noi, aprirgli il nostro cuore, i nostri sentimenti; fargli posto nella nostra vita. Ci forse capitato qualche volta di vedere in sequenze televisive le vie delle grandi metropoli: una marea di persone che camminano in tutte le direzioni ma in perfetta solitudine; scivolano l'una accanto all'altra come mondi chiusi, estranei, indifferenti. Per il cristiano, convivere invece condividere la vita, e non restare indifferente al dolore, alla fatica, alle sofferenze degli altri, secondo le parole di S. Paolo: "Rallegratevi con quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pianto, abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri". 168 Ma non basta ospitare il fratello dentro di noi, occorre anche sforzarci di entrare dentro di lui e capirlo. E' necessario capire per aiutare. Per capire una persona bisogna conoscerla. E' quanto accade a una madre: essa conosce il figlio, la sua storia, le sue pi intime reazioni come nessun altro; nessuno perci capisce e comprende come capisce una madre. La comprensione materna ha per un limite, perch una madre troppo coinvolta in prima persona con la vita del figlio e perci la sua comprensione pu diventare debolezza o anche complicit. Noi dobbiamo essere profondamente umili per conoscere e per capire, e dobbiamo essere sufficientemente liberi per non essere complici. Anche qui, solo la vera libert rende possibile il vero amore. Per conoscere poi una persona in profondit occorre saper ascoltare e saper dimenticarci di noi stessi. Siamo infatti portati ad ascoltare pochissimo gli altri, siamo invece portati a giudicarli. Perci: conoscere per comprendere, comprendere per discolpare. Per discolpare una persona occorre innanzitutto che ci rifiutiamo di giudicarla. E' un comando esplicito del Signore: "Non giudicate", e se dobbiamo farlo per ufficio, giudichiamo l'operato ma non le intenzioni, ricordando che "col giudizio con cui giudichiamo, saremo giudicati, e con la misura con la quale misuriamo, saremo misurati". 169 Nulla mortifica, inibisce l'iniziativa e condiziona la nostra sicurezza quanto il saperci continuamente giudicati dagli altri. Solo il giudizio di Dio stimolante e liberante, perch solo Dio conosce profondamente il nostro cuore e solo lui sa
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Rom. 13,15 Mt. 7,1

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distinguere il male dalla persona che lo compie; e mentre respinge il male con assoluta giustizia, paziente, benigno e misericordioso con colui che lo compie. Perci, discolpare significa anche non condannare. E' ancora Ges a ricordarcelo: "Non condannate e non sarete condannati, perdonate e vi sar perdonato". 170 Tutti noi abbiamo in cuor nostro un tribunale permanente, davanti al quale facciamo sfilare le persone sulle quali lasciamo cadere giudizi e condanne, spesso impietosi, che non ammettono n dubbi, n attenuanti. Dobbiamo demolire dentro di noi ogni tribunale negativo, e se dobbiamo decidere interventi o prendere misure di giustizia verso i nostri fratelli, non sar mai giustizia vendicativa o esclusivamente punitiva, lascer aperta la strada alla speranza, al desiderio di conversione, alla possibilit di riparazione.

90 - Lamore perfetto sa sorridere.


Questo amore che non giudica, che tanto meno condanna, che anzi dice stima e fiducia nel proprio fratello, trova la sua espressione pi preziosa nella "correzione fraterna". Essa realizza quel detto della Scrittura: Frater qui adiuvatur a fratre, quasi civitas firma. Il fratello aiutato dal fratello come una citt fortificata.171 Vivere cos il "Comandamento nuovo" del Signore, non facile, richiede l'esercizio di tante virt "minori" che sono come il corteo della carit. S. Paolo le ricorda in varie lettere, soprattutto nella lettera ai Corinti, in quello che chiamato l'Inno alla Carit. Noi potremmo riassumerle in una parola che ci ricorda un gesto tanto semplice quanto dimenticato: sorridere. La nostra epoca un'epoca scettica, arida, dura, violenta e conosce pi il ghigno, lo sberleffo, la risata, non il sorriso. Sorridere un atto squisitamente umano; solo l'uomo capace di sorridere. Il sorriso come il cielo della nostra anima quando azzurro, pulito, luminoso. Sorridere a una persona come offrirle un mazzo di fiori, splendidi, profumati; come dirle: sono felice che tu esista, e che tu sia qui, davanti a me. Essere felici che una persona esista come partecipare all'atto creativo di Dio, all'Amore che le ha dato l'essere, l'esistenza, la vita. Il sorriso gratitudine, riconoscenza a Dio e al prossimo. Sorridere avere il cuore semplice, libero da invidie, da gelosie, da tristezze, da egoismi; magnanimit della fantasia, che immagina quel fratello come un piccolo grande universo dove luci e ombre si compongono in profondit inesauribili che nascondono meraviglie divine; il sorriso stupore dell'anima davanti a un mistero dove libert e grazia vanno scrivendo un poema inedito e recondito, mai uguale, che sar letto nell'eternit. Il sorriso ha dunque qualcosa della contemplazione; amore contemplativo che gioisce del fratello, che vede in lui un dono offerto da Dio. Il sorriso la versione terrena della gioia dei Santi, un lembo di Cielo che anticipa la beatitudine. Il sorriso Donna; la Donna umile e stupenda, dolcissima e verginale, che apparsa come Sorriso di Dio su ogni essere creato: Maria.

170 171

Lc, 6,37 Prov. 18,19

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IL TEMPO E L'UOMO

L'UOMO NELLA CREAZIONE

91 - Luomo: gloria di Dio.


Ireneo di Lione, genio del pensiero cristiano, l'autore pi rappresentativo dei primi secoli della Chiesa, riassume tutto il mistero dell'uomo in alcune espressioni che sono tra le pi profonde che mai siano state scritte: "Gloria di Dio l'uomo vivente; vita dell'uomo la visione di Dio "; e ancora: "Dio, e tutte le opere di Dio sono gloria dell'uomo; e l'uomo la sede in cui si raccoglie tutta la sapienza e la potenza di Dio". 172 Dunque: l'uomo vivente. Nel Salmo XVIII leggiamo che "I cieli narrano la gloria di Dio e il firmamento annunzia l'opera delle sue mani". 173 Tutti infatti restiamo come abbagliati di fronte allo splendore e all'immensit del creato. Non sempre, invece, cos davanti all'uomo, soprattutto quando egli si presenta nella sua precariet, nella sua povert e miseria, nella sua fatiscenza fisica e morale. Ci sono situazioni umane nelle quali tutti i motivi di fascino e di stupore, tutti i segni di grandezza e di bellezza che ricordino un capolavoro sono scomparsi. Anche l'autore del salmo VIII esclama: "Che cosa mai l'uomo perch te ne ricordi?". Tuttavia lo stesso autore subito aggiunge: "Eppure l'hai fatto poco meno degli Angeli, l'hai coronato di gloria e di onore, l'hai costituito sopra l'opera delle tue mani". 174 Nonostante tutto, l'uomo il capolavoro della creazione, "il luogo - ripetiamo con S.Ireneo - in cui si raccoglie tutta la sapienza e la potenza di Dio". Infatti, se i cieli "narrano" la gloria di Dio, l'uomo "" la gloria di Dio, vanto della sua eterna sapienza e della sua infinita potenza. Del resto, a chi mai se non all'uomo i cieli narrano la gloria di Dio? A chi se non all'uomo il firmamento annuncia l'opera dell'Onnipotente? L'uomo il destinatario del creato perci egli chiamato a diventare interlocutore e voce di tutte le cose, interprete dell'universo. Senza l'uomo, il creato resterebbe muto, o sarebbe come una sinfonia immensa e stupenda ma senza ascoltatori, e non avrebbe senso. Anche il tempo, possiamo dire, ha avuto il suo vero inizio con l'uomo. Prima, e senza l'uomo, esisteva solo il moto, il susseguirsi delle cose, il mutevole rapporto spaziale tra le parti del tutto; solo lo spirito pu percepire e misurare nelle cose un passato, un presente, e un futuro. Il tempo una grandezza mediante la quale lo spirito umano intercetta lo spazio e tutto ci che nello spazio si muove. Lo spirito tutto abbraccia e tutto misura. E' dunque l'uomo che d senso ai millenni, a tutte le
172 173 174

S. Ireneo, Adversus haereses, 3,20 Salmo n. 18,1 Salmo n. 8,5-6

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re del mondo, a tutto ci che accaduto, accade, e accadr.

92 - Luomo chi ?
Da un certo punto di vista, non sono in errore quei filosofi e pensatori che hanno posto l'uomo al centro di tutte le cose; una visione antropocentrica del mondo ha una sua giustificazione. Occorre perci conoscere l'uomo, sapere chi . C' chi lo ha definito un essere di frontiera, una cerniera tra due mondi: il mondo della materia e il mondo dello spirito; un essere che respira il tempo e l'eternit. L'uomo - disse Giovanni Paolo II - "come l'orizzonte del creato, nel quale si configurano il cielo e la terra; come vincolo del tempo e dell'eternit; come sintesi del creato". 175 Questa duplice estensione fa dell'uomo la sintesi vivente di tutta la realt creata. Ma proprio in questa estensione, in questo esistere proteso tra due universi sta l'essenza del mistero dell'uomo, la sua natura abissale. Pochi temi hanno tanto appassionato la mente umana. L'uomo l'unico essere "composto", o meglio, "coestensivo". Nella natura troviamo esseri che sono pura materia, pura molteplicit; nel mondo angelico troviamo gli Angeli che sono puro spirito, pura semplicit. L'essere dell'uomo invece una "unit duale". Qui sta la radice del mistero dell'uomo, ma qui sta anche la linea di conflitto, il confine dove si scontrano le diverse concezioni dell'uomo nella storia del pensiero. C' chi nega l'unit dell'essere umano, cadendo in un dualismo che spezza l'uomo e lacera irrimediabilmente la sua natura; e c' chi nega la sua dualit cadendo in una concezione riduttiva dell'uomo impoverendone la natura o falsandone l'identit. In questi errori si nasconde il desiderio o il tentativo di semplificare il mistero dell'uomo, di spiegarlo o almeno di capirlo. Ma il mistero rimane. E rimane proprio qui, nella "coestensione" di materia e spirito, nell'essere, l'uomo, simultaneamente presente e partecipe a due universi che appaiono tra loro incompatibili e incommensurabili.

93 - Interpretazioni riduttive
Abbiamo cos da un lato le varie concezioni dualistiche che dividono l'essere dell'uomo, e vedono da una parte il corpo, cio la materia che viene considerata come principio del male, e dall'altra lo spirito considerato principio del bene, il quale per tenuto prigioniero nel corpo. Condividono questa dottrina il dualismo manicheo, il dualismo cartesiano e il dualismo delle religioni orientali; per queste ultime un male che l'anima sia unita al corpo e dal corpo deve liberarsi per realizzare la propria perfezione in Dio. Dall'altra parte abbiamo il lungo elenco di concezioni riduttive dell'uomo. La maggior parte di esse sono riduttive in basso, cio in senso materialistico. Abbiamo cos i vari materialismi: quello marxista che riduce l'uomo alle sole istanze economiche, quello freudiano che limita tutto l'uomo alla pura pulsione sessuale, quello scientista che vede l'uomo come il risultato della sola evoluzione biologica, quello edonista che vede l'uomo come un fascio di forze istintuali che si appagano nel piacere sensibile. Altre concezioni, meno materialistiche ma ugualmente riduttive dell'uomo, sono quella esistenzialista: l'uomo solo problema, senza soluzione e senza risposta; quella laicista: l'uomo sola e assoluta libert (uomo autonomo); quella esistenziale per cui l'uomo nella sua esistenza pura angoscia del limite; quella faustiana per cui l'uomo esclusivamente dominato dalla sete di potenza (Nietzsche); infine la concezione sociologica che dissolve l'uomo nella societ o
175

Giovanni Paolo II, Catechesi, (13.9.80)

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nello Stato, riducendolo a puri rapporti comunitari. Molto spesso queste concezioni si sposano tra loro dando origine a immagini dell'uomo ancor pi deformate e distorte. Esprimono, tutte, il tentativo della ragione di spiegare il mistero dell'uomo, e invece lo distruggono. Non ci fermeremo ad analizzare queste concezioni dell'uomo, che del resto appaiono gi da s stesse insufficienti ed erronee. Torniamo invece alla espressione di S.Ireneo: "Gloria di Dio l'uomo vivente".

94 - Visione biblica delluomo


La valenza biblica di questa affermazione, in armonia del resto con tutta la speculazione teologica del grande dottore, si ricollega a quelle parole della Genesi: "Il Signore Dio plasm l'uomo con la polvere del suolo e soffi nelle sue narici un alito di vita e l'uomo divenne un essere vivente". 176 Nella Bibbia l'aggettivo "vivente" indica un attributo proprio di Dio, tanto che ne accompagna frequentemente il nome: Dio-il Vivente. D'altra parte l'uomo chiamato nella Genesi "Adam", cio creta, polvere del suolo. Perci, dicendo "uomo vivente" S.Ireneo ha voluto ricordare la dualit dell'essere umano: il suo corpo materiale e la sua anima spirituale. La Genesi specifica, poi, quale sia il legame che unisce "l'uomo vivente" al "Dio Vivente"; un rapporto di immagine-somiglianza: "Dio cre l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo cre". 177 La Bibbia, infatti, non parla mai dell'uomo isolato, dell'uomo in s stesso, come pu fare la filosofia; l'uomo sempre visto di fronte a Dio, nella sua dimensione creaturale e dialogica che costitutiva del suo essere, e nella sua vocazione soprannaturale che costituisce il fine della sua esistenza. Come appunto ricorda S. Ireneo: "Vita dell'uomo la visione di Dio". Questo rapporto anche il fondamento e la ragione della dignit e della grandezza dell'uomo, per cui egli " il luogo in cui si raccoglie tutta la sapienza e la potenza di Dio". Vedremo, poi, come in Cristo, Uomo-nuovo, questa dignit e questa grandezza si riveleranno pienamente. Intanto possiamo renderci conto di quanto le concezioni dualistiche e materialistiche sopra descritte siano non soltanto riduttive ma anche lontane dall'immagine biblica dell'uomo, cos che appaiono una negazione, che anche tradimento, della sua stessa identit e della sua realt. Chi non si ispira all'immagine biblica dell'uomo non ha perci diritto di parlare in nome della sua dignit. Infine, quella scintilla divina, lo spirito, che fa l'uomo-vivente immagine del Dio-vivente conferisce anche al corpo una dignit nuova e trascendente. Non dimentichiamo che l'anima umana uno spirito "incompleto", ha un'intrinseca esigenza di un elemento corporeo, materiale, che luogo e con-principio del suo agire. L'anima "informa", d forma, cio sostanza di corpo umano al corpo, e costituisce con lui una unit profonda, sostanziale: l'essere umano concreto, che si attua nella identit personale di ciascuno di noi. Una unit cos profonda da rendere ingiustificabile, perch errata, l'espressione: la nostra anima possiede un corpo. Non possiamo dire: "Io ho, possiedo, un corpo", ma "Io sono il mio corpo". Molte sono le conseguenze di tutto questo, e vale la pena di vederle brevemente.

95 - La trascendenza naturale delluomo


Innanzitutto, il corpo umano non un puro organismo biologico, sia pure altamente evoluto cos da collocarsi al vertice dell'evoluzione naturale. E' vero che
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Gen. 2,7 Gen. 1,27

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per il corpo l'uomo appartiene alla natura, soggiace alle sue leggi, mette profonde radici nel mondo della natura, radici diciamo pure profonde quanto lunga la sua filogenesi naturale, ma nello stesso tempo esso, in ogni sua parte e in ogni momento del suo sviluppo, trascende la natura. La convinzione che l'uomo costituisce una "discontinuit" nel mondo della natura sempre stata presente nella coscienza umana; un dato elementare nel senso comune dell'umanit. Del resto questa discontinuit solennemente affermata dalla Bibbia nel passo gi citato, un passo fondamentale per qualsiasi antropologia. Nel primo capitolo della Genesi si dice che Dio cre il cielo e la terra, fece poi germogliare dalla terra le piante e fece uscire dalle acque gli animali; il libro sacro presenta cio una specie di "creazione progressiva" che costituisce il "continuum" della natura. Ma arrivato all'uomo, Dio in certo qual modo si ferma, parla con s stesso, si consiglia quasi dovesse prendere una decisione importante e solenne. "E Dio disse: facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame e su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra. E Dio cre l'uomo a sua immagine, a immagine di Dio li cre, maschio e femmina li cre". 178 Ecco qui affermata una discontinuit nella successione naturale delle creature, un salto oltre la natura: l'Uomo. Non un prodotto della terra, non uscito dalle acque, non frutto di pure forze naturali, ma voluto direttamente da Dio, frutto di un suo intervento creativo. Inoltre la superiorit dell'uomo, qui affermata, su tutti gli altri esseri creati non soltanto una superiorit di dominio, ma anche una superiorit di trascendenza. L'uomo, cio, che pure appartiene alla natura, e ne l'espressione pi perfetta, tuttavia emerge dalla natura, la trascende, la supera; si sottrae alle eventuali leggi dell'evoluzione biologica, quasi la interrompe, o meglio introduce nel mondo una dimensione nuova, diversa, la dimensione dello spirito che costituisce la trascendenza naturale dell'essere umano.

LA CORPOREIT
96 - Trascendenza del corpo
Per questo, il corpo stesso dell'uomo non riducibile ad un corpo animale. Dobbiamo riscattare il corpo umano dalla collocazione in cui l'animalismo naturalistico, oggi cos in voga, l'ha situato. L'ideologia scientista del nostro secolo ha indotto nella mentalit corrente la convinzione che tra gli animali e l'uomo c' una differenza puramente quantitativa: la quantit di materia cerebrale o del numero dei neuroni con la conseguente complessificazione delle strutture e delle funzioni. E cos, non potendo abbassare l'uomo a livello degli animali, - operazione troppo impopolare e controproducente -, si sono innalzati gli animali a livello dell'uomo. Si parla perci di "diritti" dell'animale, di un trattamento "alla pari", di una "uguaglianza giuridica tra l'uomo e l'animale". In realt si tratta di una animalizzazione dell'uomo, ormai dilagante non solo in ambienti scientifici (etologia, scienze mediche, scienze umane), ma in molte correnti culturali e politiche condizionate dal materialismo ateo o laicista. In realt il corpo dell'uomo un corpo "umano", e non un corpo puramente animale, anche dal punto di vista strettamente biologico. C' infatti pi "informazione" genetica in una sola cellula del corpo umano che non in tutte le cellule animali messe insieme.
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Gen. 1,26

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Ma soprattutto il corpo dell'uomo umano perch gi per sua natura preforgiato e predisposto per una sostanza spirituale: l'anima. Il corpo umano, infatti, tutto e sempre profondamente penetrato dall'anima. Quando io tocco la mano di una persona, sento che quella mano viva di una vita non soltanto biologica, ma trascendente; non la zampa fredda di un'animale, quella mano ha un'anima; essa parla, esprime cose e nello stesso tempo nasconde un mistero; c' "qualcuno" in quella mano; e cos per il volto, per i piedi ecc....Il corpo umano non mai solo un organismo: qualcuno! Anche quando la vita abbandona quel corpo, quando esso diventa cadavere, continua a conservare la "memoria" di quel qualcuno; lo stesso disfacimento nel sepolcro, la decomposizione materiale di quel corpo, non un fatto puramente biochimico, la fase conclusiva di un ciclo vitale, come per gli animali, ma un fatto che appartiene a "qualcuno" che sta subendo l'umiliazione del sepolcro, il disfacimento del suo essere corporeo come fatto esistenziale che appartiene alla sua vicenda personale. Questo spiega perch la Chiesa tratti con sommo rispetto il corpo umano senza vita, lo asperge con l'acqua benedetta, lo incensa, ne cura la sepoltura con onore, ne difende la dignit. Perci non possiamo non pensare con tristezza a certi riti funebri "laici" in cui si ignora ogni riferimento alla trascendenza di quel corpo, come se esso fosse la camicia vuota di un nome che non esiste pi. La fede ci dice che la corruzione del sepolcro non l'ultima parola per il nostro corpo, perch Dio lo far risorgere dalla terra cos come dalla terra lo aveva plasmato. La risurrezione della carne, affermata esplicitamente da Cristo e testimoniata dalla sua stessa risurrezione, la verit luminosa che ci fa guardare al nostro corpo con il rispetto e con l'amore che si deve a una creatura chiamata a partecipare alla gloria di Dio.

97 - Il corpo: epifania dellanima


Altro aspetto che caratterizza il corpo umano il suo valore epifanico, "segno": indica e rivela la nostra anima. E' un segno la cui ampiezza di modulazione varia da soggetto a soggetto anche in funzione delle circostanze esteriori (l'ambiente naturale, l'ambiente sociale, l'educazione...), ma le sue possibilit di sintonia con il nostro mondo interiore sono pur sempre immense. Tutto il corpo segno e rivelazione dell'anima: il sorriso, lo sguardo, i gesti, il portamento. La voce, poi, con l'infinita gamma delle sue modulazioni, lo strumento pi perfetto perch l'anima si liberi nell'espressione di s e della sua attivit. Infatti, solo per il corpo e nel corpo che la nostra anima vive e si muove nel tempo. Separata dal corpo essa si ferma, resta immobile, impotente; per lei il tempo non scorre pi, ed essa non ha pi possibilit di esprimersi se non in Dio. Il corpo la parola dell'anima, e ci ricorda il grande mistero dell'Incarnazione. "Il Verbo (la Parola) si fatto Carne (Corpo) e venne in mezzo a noi". Quella Parola dunque, si fatta Rivelazione di Dio, Verit e Salvezza degli uomini. Nel rapporto anima-corpo, il ruolo epifanico del corpo uno dei pi delicati e critici; un ruolo fragile e drammatico perch pone il problema della verit e della sincerit. Da vetrina o da specchio dell'anima, il corpo pu diventare maschera, sfinge, alibi. In molti modi possiamo alterare la consonanza tra i moti dell'anima e le vibrazioni del corpo, tra ci che abbiamo nella mente o nel cuore e ci che abbiamo sulle labbra. Possiamo mascherare i reali sentimenti dell'animo, fingere atteggiamenti inesistenti nel nostro mondo interiore, sviare altrove le indicazioni della coscienza, e soprattutto impedire la sintonia tra il pensiero e la parola: tutto questo non solo offesa di Dio, che la Verit, e falsificazione del nostro rapporto con lui, ma anche una lacerazione nella nostra natura, una violenza al nostro essere, cio una ferita profonda all'intimo rapporto anima-corpo. In definitiva, la menzogna un attentato all'unit del nostro essere personale. Tant' che quando si vuol 89

rimarcare la coerenza e la sincerit di una persona, si dice che "un uomo tutto d'un pezzo". Del resto, la nostra stessa natura alla fine si ribella. L'insincerit, la doppiezza, l'incoerenza creano un malessere esistenziale che, prima o poi, porta ad una profonda crisi interiore, alla rottura dell'equilibrio psicologico o, comunque, a una dolorosa deformazione della coscienza. L'insegnamento di Ges: "Il vostro parlare sia si quando si, no quando no". 179 anche una preziosa regola di sanit mentale. Il corpo, dunque, segno e specchio dell'anima. Ma esso conserva scritta anche la nostra storia personale, le vicende della nostra vita interiore. Il corpo , in certo qual modo, l'archivio storico della nostra esistenza; un archivio dove vengono registrate le nostre vicissitudini spirituali, il "curriculum" della nostra anima nel suo agire e nel suo sentire. Il corpo non possiede n virt, n vizi, che sono invece propri del nostro spirito; ha per sensazioni, impulsi e istinti. Questi nell'uomo, a causa del peccato originale, non sono pi ordinati in s stessi, e inoltre possiedono una memoria biologica che registra le conseguenze delle decisioni e del comportamento della nostra anima, secondo i suoi abiti di virt o di vizio. In altre parole, il nostro corpo, pur essendo soggetto alle leggi naturali della biologia, soggiace all'influsso della nostra anima che lo plasma in sintonia col suo proprio modo di essere. L'anima trascina il corpo nella direzione verso cui essa orientata. Cos il corpo di un santo, ormai sottomesso interamente allo spirito, si illumina di serenit, di forza, di dolcezza; il corpo di un vizioso trasuda disordine, durezza, a volte ripugnanza. Ci voleva la psicologia attuale per inquadrare l'origine spirituale e morale di molte anomalie e disturbi psico-somatici. Tanto che molte volte potremmo dire che l'uomo non muore, l'uomo si uccide. Non si fa violenza impunemente alla natura; essa non perdona mai. Abbandonarsi al vizio sempre fare violenza al proprio corpo. Quante malattie sono la paga per il peccato: intemperanza nel cibo, ubriachezza, fumo, droga, l'omosessualit, ecc. Oggi il mondo spaventato per l'AIDS, e tuttavia continua a spingere verso il libertinaggio sessuale, verso la frenesia del piacere, l'idiozia della discoteca, il fanatismo divistico o sportivo...., cose che per un verso coprono il vuoto esistenziale, il malessere delle frustrazioni e la povert morale delle attuali generazioni, e dall'altro sono il terreno di cultura ideale per tanti virus; e a farne le spese sono spesso esseri innocenti come i bambini, personale sanitario, i tanti malati incolpevoli delle loro infermit.

98 - Il corpo: inno alla bellezza


L'anima dunque forgia il suo corpo, lo organizza e lo plasma. Dicendo anima intendiamo qui lo spirito in quanto principio vitale del nostro corpo. Ci significa che Dio crea la nostra anima all'atto del concepimento di modo che essa esercita la sua azione sul corpo fin dal primo momento. Del resto, la fede ci dice che nel mistero dell'Incarnazione il Verbo si fece "Carne" e quindi ebbe un'anima umana fin dal primo istante del concepimento. L'anima, cos, inizia subito la sua attivit organizzatrice del corpo; essa lo va forgiando come "suo" corpo fin dal primo momento del suo sviluppo. Attraverso il corpo, il nostro spirito non solo si colloca nel tempo e ne percepisce il fluire, ma anche lo "anima", lo feconda, lo assume in proprio iniettandogli il flusso della vita, e domina la materia corporea ordinandola in senso funzionale alle sue esigenze operative, alla sua attivit propriamente spirituale. E' in un corpo da lui animato che lo spirito umano fa l'esperienza vissuta e consapevole del mistero della vita; possiamo dire che la vita veramente tale solo nell'uomo; egli "il vivente". Se poi pensiamo che, nellespressione biblica, l'alito di
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Mt. 5,37

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vita il soffio di Dio, immagine e somiglianza dello spirito di Dio, comprendiamo la sacralit della vita umana, la grandezza e il valore trascendente della vita dell'uomo. Perci ogni violenza, ogni attentato alla vita umana un attentato contro Dio. Se poi la violenza contro la vita che si sta forgiando nel grembo materno, cio nella fase in cui la vita pi debole, la violenza allora un crimine indegno e vile. Quell'uomo in miniatura che una donna si porta nel grembo non pu essere soffocato o seviziato impunemente. Non sappiamo in che modo Dio riparer a questa ingiustizia degli uomini, ma certo il grido di un'anima che reclama il "suo" corpo che le stato negato e strappato violentemente, rimane vivo e implacabile davanti a Dio. Ma il corpo non soltanto segno e specchio dell'anima, archivio che ne conserva la storia, non soltanto il luogo dove lo spirito vive e si muove nel tempo, esso anche richiamo alla bellezza e alle perfezioni divine. Dio, creando l'uomo, ha voluto che anche nel corpo fosse in certo qual modo sua immagine. "Dio cre l'uomo a sua immagine: maschio e femmina li cre." Anche per il corpo valgono dunque le parole di S.Ireneo: "L'uomo la sede in cui si raccoglie tutta la sapienza e la potenza di Dio". Il corpo umano un inno alla bellezza, all'armonia, alla vita; un inno all'amore. Chi non conosce i capolavori che l'arte, la poesia, la musica hanno creato per cantare le perfezioni del corpo umano? Tutto questo, Dio l'aveva gi realizzato nel suo progetto originario. Infatti nell'Eden non c'era bisogno di nascondere il proprio corpo; tutto era armonia, bellezza, dono luminoso di vita. "Adamo e sua moglie erano tutti e due nudi e non ne provavano vergogna". 180 Nell'Eden la nudit del corpo era segno dell'integrit morale e spirituale dell'uomo, del suo rapporto di totale conformit al disegno di Dio. Fuori dell'Eden quella nudit diventata il segno della miseria dell'uomo. Il peccato passato come un ciclone sull'essere umano, ha spogliato l'anima ribelle al suo Dio di tutti i doni dei quali era stata adornata, e ha spogliato il corpo ribelle alla sua anima della sua integrit e docilit. Con il peccato, nell'anima dell'uomo scesa la notte e nel corpo calata la fatica, il dolore, la morte. Di qui la necessit del pudore; esso un'autodifesa della propria dignit ferita e oltraggiata, dignit che l'uomo sente il bisogno di ricuperare e di proteggere; e insieme esso esprime la piet divina, rivela la misericordia di Dio contenuta in quel gesto cos umano e cos divino narrato dalla Genesi: "E il Signore Dio fece all'uomo e alla donna tuniche di pelli e li vest". 181 Vestire il corpo appartiene in certo qual modo al mistero della redenzione, fa riferimento al disegno di Dio di restaurare la dignit dell'uomo. Il Figlio di Dio si rivestito del nostro corpo mortale e lo ha fatto diventare il luogo della nostra salvezza.

99 - Il culto del corpo


Sono questi riferimenti al mistero di Cristo che gettano luce di speranza e offrono la soluzione a problemi angosciosi e impervi alla nostra mente, problemi che sul piano umano non hanno risposta: il dolore, la malattia, l'handicap, la morte. L'attuale modo di essere dei corpi quello proprio della condizione di peccato. In un'epoca che ignora ogni riferimento al disegno di Dio e ha perduto totalmente il senso e la nozione di peccato, tale condizione diventa incomprensibile, ingiusta, maledetta. Quando il materialismo scientista prende il posto della fede, l'edonismo si sostituisce alla speranza e l'egoismo soppianta la carit, allora il corpo diventa l'unica realt della vita, l'unico valore che meriti l'attenzione dei legislatori e la preoccupazione della gente. In questo clima pagano si instaura un vero e proprio "culto del corpo". Una
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Gen. 2,25 Gen. 3,21

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idolatria futile i cui idoli si chiamano: bellezza, prestanza fisica, efficienza atletica, o peggio, ricerca sfrenata del piacere da quello della tavola a quello dei sensi, a quello deleterio dell'alcool e della droga. E' perci una idolatria che divora i suoi idoli e quelli che li adorano. San Paolo bollava questo paganesimo come una idolatria il cui dio il ventre. Del resto, quando si nega l'anima con la sua vita spirituale e trascendente e con il suo anelito soprannaturale, non resta che il corpo, disordinato nei suoi appetiti, tirannico nei suoi bisogni, insaziabile nella sue brame. Esso diventa cos la tomba dell'anima che rimane come spenta nell'animalit.

100 - Il corpo e il suo destino di gloria


Inoltre, secondo questa mentalit pagana, tipica dell'uomo animale, come direbbe S.Paolo, un corpo che non risponde pi ad un ideale di bellezza, di integrit, di salute, un corpo non solo deforme o mutilato, ma semplicemente diverso per colore della pelle, per proporzioni delle membra, per capacit di lavoro, diventa motivo di discriminazione, di emarginazione o di rifiuto. Cos, un corpo non appariscente come quello in gestazione nel grembo materno o in demolizione per la vecchiaia o per una malattia terminale, non ha alcun valore, non merita di essere protetto e considerato. Chi di noi passato anche una sola volta o solo un momento in un ospizio teratologico, come gli ospedali del Cottolengo, oppure ha assistito all'agonia di una persona dove si rivela tutta l'impotenza della nostra natura di fronte alla forza implacabile del male, una forza a volte brutale che costringe la natura a cedere lentamente ma inesorabilmente fino alla resa finale, costui ha visto in quei corpi deformi o disfatti quanto la potenza del peccato pesi sulla nostra condizione attuale. Una condizione che, tuttavia, non originaria e nemmeno definitiva, e che non ha cancellato n la nostalgia n il desiderio dell'immortalit e della felicit eterna. Ne sono testimonianza le credenze erronee della trasmigrazione delle anime e della reincarnazione che troviamo nelle religioni dualistiche orientali e pagane. La risposta vera a questa nostalgia dell'uomo viene, invece, da Dio. Egli ce l'ha data in Cristo, con la sua Risurrezione. Proprio la nostra attuale condizione di debolezza ci aiuta a capire la forza e la grandezza della redenzione operata da Cristo. Non c' corpo umano, per quanto deforme, per quanto devastato dalla violenza del male, che un giorno non esca dal sepolcro e dalla terra in cui stato disperso, integro e perfetto, splendido di bellezza, di armonia e di vita, non pi soggetto all'umiliazione e alla morte. La Risurrezione della carne, una carne che non sar pi debole n passibile, ma trasfigurata dalla gloria, una verit stupenda della nostra fede, un dato che esula dalle categorie della scienza e da ogni altra categoria, anche religiosa, del sapere umano, ma una verit indubitabile che ha il suo fondamento nella potenza di Dio, che creatore e padre. Egli il Dio della vita, il Dio che non sopporta sconfitte, il Dio che non si pente di ci che ha creato ma che conduce irresistibilmente ogni cosa al suo fine. E lo ha fatto in Ges. Ai Sadducei che non credevano alla risurrezione Egli dir: "Voi non conoscete Dio, che il Dio dei vivi, e non capite la sua potenza". E aggiungeva: "Chiunque vede il Figlio e crede in Lui ha la vita eterna; e io lo risusciter nell'ultimo giorno". 182 Poich verr l'ora in cui coloro che sono nei sepolcri udranno la voce del Figlio, e ne usciranno; quanti fecero il bene per una risurrezione di vita, quanti fecero il male per una risurrezione di condanna". 183 A queste parole di Ges fanno eco passi stupendi di S.Paolo:"Sappiamo bene infatti, che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi le doglie del parto; essa non
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Gv. 6,40 Gv. 5,28

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la sola, ma anche noi... gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. 184 E' la redenzione che risplende nella risurrezione di Cristo, "il quale trasformer il nostro corpo mortale a immagine del suo corpo glorioso". "E' necessario infatti che questo corpo corruttibile si vesta di incorruttibilit e questo corpo mortale di immortalit. Quando poi questo corpo corruttibile si sar vestito di incorruttibilit e questo corpo mortale di immortalit si compir la parola della Scrittura: "La morte stata ingoiata per la vittoria: dov' o morte la tua vittoria? Dov', o morte, il tuo pungiglione?". 185

101 - Il corpo nellamore coniugale


Infine, il corpo chiamato a servire quell'attivit dello spirito che trova nel sensibile la sua pi intensa risonanza: l'amore. Si ama con l'anima, ma essa comunica al corpo le vibrazioni dell'amore, anzi ha bisogno del corpo per esprimersi e donarsi nell'amore. Per questo Dio ha creato l'uomo maschio e femmina, uomo e donna. In mille modi il corpo si presta per esprimere l'amore: la fiamma viva di uno sguardo innamorato, la carezza tenera e delicata di una mano, il sorriso luminoso di due labbra innocenti, un bacio affettuoso, un canto, la melodia di una voce appassionata, la intensa stretta di un abbraccio forte, e tanti altri modi, anche sobri e semplici, che possono recare ugualmente un intenso messaggio d'amore. Ma non c' dubbio che l'espressione dell'amore che ha pi bisogno del corpo l'amore coniugale, anzi esso si esprime proprio nell'unit di "una sola carne" e realizza cos la forma umanamente pi intima ed esaltante del dono; dono per eccellenza perch la somma di due amori che celebrano la vita. Ma anche vero che l'amore coniugale l'amore pi esposto alle ferite della carne, per cui "l'uomo carnale" pu smarrirsi nell'egoismo degli istinti. Nell'amore coniugale infatti si dona il corpo ma anche lo si riceve; e quando il ricevere prevale sul donare si imbocca la strada dell'egoismo e l'amore passa di crisi in crisi fino a spegnersi nei sensi. Il corpo allora non pi espressione e luogo dell'amore, ma strumento e oggetto di piacere. Quel corpo non pi il "segno" di una persona che si ama, ma il pretesto per un momento di passione che appaga solo i sensi. Mantenere l'amore coniugale all'altezza della sua dignit non facile in una cultura come la nostra dove l'esaltazione pagana del sesso ha brutalizzato il rapporto uomo-donna, ma il cristiano pu contare sulla forza di un Sacramento che ha messo Cristo-Sposo nell'amore umano, quell'amore nobile e generoso che, pur dovendo passare attraverso il sacrificio e il dolore, sa approdare alla gioia della fedelt, e in Cristo diventa fonte di Grazia e di santit. Il corpo di due coniugi cristiani e l'amore coniugale che li unisce richiamano dunque il mistero di Cristo e della sua umanit nei suoi due momenti sponsali: l'Incarnazione e il Sacrificio della Croce.

102 - Il corpo nellamore sponsale


Nel mistero dell'Incarnazione, la verginit della Madre significa innanzitutto che la Salvezza viene totalmente ed esclusivamente da Dio, non dall'uomo. Il Figlio di Dio infatti si fa carne non per opera di uomo ma per la potenza dello Spirito Santo. L'Incarnazione anche un inno alla femminilit, una sublime esaltazione della maternit verginale della Donna: "Ave, o piena di Grazia, il Signore con te... Lo Spirito Santo scender su di te, su te stender la sua ombra la potenza
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Rom. 8,22 1 Cor. 15,53-55

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dell'altissimo... ecco, concepirai un Figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Ges... sar Santo e chiamato figlio di Dio... e il Verbo si fatto carne ed abit fra noi". 186 Cos, un Corpo Verginale di donna il luogo dove il Figlio di Dio ha celebrato le nozze con l'umanit; il grembo intatto di Maria diventato "architriclinium totius Trinitatis", la stanza nuziale della Santissima Trinit. Cos, lIncarnazione, come mistero sponsale del Figlio del Re, intimamente legata alla verginit di Maria. Attraverso di lei, l'eternit entrata nel tempo, lo ha percorso da cima a fondo abbracciandolo interamente, e ha dato a tutta la storia umana una dimensione divina. Analogamente, il Sacrificio della Croce un inno alla "virilit", alla sua forza soprannaturale per cui ha sconfitto il peccato e la morte. Quel Corpo immolato e quel Sangue versato stato il prezzo del nostro riscatto e della nostra pace. "Ges disse: Tutto compiuto e, chinato il capo, spir... vennero dunque i soldati e vedendo che era gi morto non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli colp il costato con la lancia e subito ne usc sangue ed acqua... questo avvenne perch si adempisse la Scrittura: non gli sar spezzato nessun osso. E...volgeranno lo sguardo a Colui che hanno trafitto". 187 Un Corpo integro e verginale di Uomo appeso alla croce stato il luogo dove il Figlio di Dio ha celebrato le nozze con la sua Chiesa. La contemplazione di quel Corpo che, nonostante la violenza brutale ha conservato un' immensa dignit e un fascino sovrumano, ha dato origine a una delle sequenze pi commoventi nella Liturgia della Chiesa: Ave, verum Corpus natum de Maria Virgine! Vere passum, immolatum in cruce pro homine. Cuius latus perforatum fluxit aqua et sanguine; esto nobis praegustatum mortis in exanime. o Jesu dulcis, o Jesu pie! Jesu, fili Mariae! Salve, o vero Corpo nato da Maria Vergine umiliato e immolato sulla croce per gli uomini. Dal tuo fianco perforato sgorg sangue ed acqua; sii per me, in vita e in morte cibo amabile e desiderato. O Ges dolce, o Ges pio, O Ges, Figlio di Maria!

Cos, il corpo umano, riportato ad una perfezione ancora pi alta di quanto non fosse il corpo di Adamo nella sua integrit originale - Ges il nuovo Adamo, e Maria la nuova Eva -, entrato in un pi grande disegno di Dio; la femminilit e la virilit nella loro collaborazione verginale al mistero della salvezza sono diventate l'espressione pi sublime dell'Amore sponsale.

103 - La triplice corporeit in Cristo


Se l'uomo, per la sua natura corporea e spirituale, coestensivo di due universi, quello della materia e quello dello spirito, nell'Incarnazione Cristo ha reso l'uomo "coestensivo" con la natura divina; la sua Umanit Santissima il luogo dove "abita corporalmente tutta la pienezza della divinit", 188 la vetta sublime attraverso la quale l'uomo penetrato nella vita intima di Dio, nella vita trinitaria. Cristo, perfetto Dio e perfetto uomo, ha ricondotto ogni cosa al suo Principio, ha ricapitolato" in s tutto ci che esiste di spirituale e di corporeo, e ha reso l'uomo
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Lc. 1,28... Gv. 19,33 Col. 2,9

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capace di una comunione con Dio assolutamente unica e indicibile. L'incarnazione del Figlio di Dio ha inaugurato un nuovo ordine di cose, un nuovo modo di esistere delle creature nel tempo, un modo salvifico: l'ordine sacramentale. Esso anticipa e prelude la novit definitiva: l'ordine della Gloria. L'umanit di Ges sulla terra chiamata "Sacramento della comunione dell'uomo con Dio", e la Chiesa "Sacramento universale di salvezza". La morte di Cristo sulla croce ha chiuso il tempo, - "Tutto si compiuto" - La Risurrezione di Ges ha inaugurato l'eternit. L'umanit di Cristo risorto dunque il Corpo nuovo, per una Umanit nuova, per un universo nuovo. Possiamo dire che la corporeit si presenta in Cristo con una triplice dimensione: temporale, sacramentale, mistica. La dimensione temporale data dal Corpo fisico di Ges, quello cantato dall'Ave Verum, un vero Corpo, nato da Maria Vergine, immolato sulla croce e risorto nella gloria. La dimensione sacramentale data dal Corpo eucaristico di Cristo, quello cantato dalla Liturgia nell'"Adoro Te devote": Panis vivus vitam praestans homini, un Corpo "velato" sotto i segni sacramentali del pane e del vino per attuare la nostra comunione con Dio. La dimensione mistica data dal Corpo mistico di Cristo, cio la Chiesa, che realizza l'unit del genere umano, l'umanit nuova che ha il suo compimento ultimo nella "Citt di Dio", la Gerusalemme del cielo. Cos, il Corpo fisico, il Corpo eucaristico e il Corpo mistico di Cristo hanno fatto del corpo umano "un'Ostia vivente, santa, gradita a Dio; questo il nostro culto spirituale". 189 Perch anche il corpo coinvolto nel culto a Dio. Lo nel sacrificio di lode e lo nella preghiera.

104 - Il corpo sacrificato


Quando l'anima si apre alla preghiera e sale verso Dio, anche il corpo ne viene coinvolto. A volte esso viene indicato come un peso, una specie di zavorra che rende faticoso e difficile il decollo dell'anima. In questo senso il corpo ha bisogno di "alleggerirsi" da abitudini e inclinazioni che appesantiscono il suo ruolo e la sua possibilit di partner dello spirito. E' il lavoro svolto dalla mortificazione. Questa parola dal suono stridente e dal sapore amaro stata talmente caricata di senso negativo che ormai irreperibile nel vocabolario della societ opulenta. Si reclamizza, s, la leggerezza del corpo, ma una leggerezza puramente fisica, per motivi di futile vanit, ispirata non al dominio del corpo ma al culto del corpo. La preghiera esige, invece, una leggerezza etica del corpo che si esprime come duttilit e prontezza agli inviti dell'anima. Un fisico impigrito, sonnolento, crapulone, un corpo sistematicamente "accontentato" nelle sue richieste non servir molto alle spinte di un'anima orante. "Se non ti mortifichi non sarai mai anima d'orazione". 190 La mortificazione ha dunque un versante negativo, quello di negare al corpo tanti accontentamenti che ne farebbero un corpo "viziato", riottoso e capriccioso: "Al corpo bisogna dare un po' meno del giusto. Altrimenti tradisce". 191 Ma la mortificazione ha anche e soprattutto un versante positivo, pi importante e utile alla preghiera: quello di chiedere al corpo, esigere la sua collaborazione educandolo al sacrificio, al dono di s. I frutti di questa mortificazione saranno: laboriosit e intensit nel lavoro, fortezza nella fatica, pazienza nella stanchezza,
189 190 191

Rom. 12,1 Cammino n. 172 Cammino n. 196

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disciplina dei moti istintivi e degli impulsi, affinamento della sensibilit, del tratto e del comportamento, cadenza nei ritmi (orario), freschezza nelle abitudini, e tutta una serie di esercizi che rendono il corpo disponibile all'anima. Questo lavoro compete proprio all'anima che va cos acquistando un sempre maggior dominio sul proprio corpo. La mortificazione diventa cos "l'orazione dei sensi".

105 - Il corpo orante


Ma tutto il corpo concorre all'attivit orante dell'anima: l'atteggiamento delle mani, la genuflessione, il segno della croce, e soprattutto le varie posizioni del corpo che esprimono e facilitano i diversi atteggiamenti interiori di preghiera. Cos, lo stare in ginocchio esprime adorazione, umilt, contrizione e se poi vi si aggiunge la posizione delle braccia distese o delle mani congiunte, esso esprime la supplica, l'invocazione, la petizione; lo stare in piedi esprime la lode e la gioia soprattutto quando si accompagna al canto, ma anche esprime l'attenzione dell'anima pronta al dono di s, la fede nell'ascolto della parola di Dio, il moto della preghiera verso l'alto, l'apertura dello sguardo verso il cielo; infine, lo stare seduti vuol indicare il raccoglimento, la preghiera di meditazione, di conversazione familiare e intima con Dio, quasi un moto dell'anima che rientra in s stessa per trovare Dio in profondit, nell'intimo di s stessa, quasi a cercare un'orazione di riposo accanto al Signore. Esiste anche una posizione particolare, non frequente: quella del corpo disteso bocconi per terra. E' la posizione di Ges nell'Orto del Getsemani. Esprime dolore, sofferenza, ma esprime anche la nostra realt di creature che riconoscono il proprio nulla davanti a Dio. Generalmente, per, non conviene tenere posizioni scomode durante la preghiera, potrebbero infatti essere di ostacolo all'attivit orante dell'anima. Quando poi il nostro corpo segnato dal dolore, dalla sofferenza, dalla malattia, allora diventa esso stesso preghiera fino a sostituire l'anima che pu restare inerme, incapace di parlare, di esprimersi, e che altro non pu fare se non offrire a Dio in silenzio il proprio corpo dolorante, magari in disfacimento, come sacrificio di adorazione, di lode e di espiazione. Ci soccorre l'immagine di Ges Crocifisso: quel Corpo, "un quadro di dolori", lacerato e immolato, innalzato tra cielo e terra, stato e continua ad essere la preghiera pi straziante ma anche la pi potente e gradita agli occhi di Dio che mai sia salita fino a lui dalla faccia della terra. Ma esiste anche la situazione completamente opposta, quella del corpo completamente passivo nei confronti dell'anima assorta nella preghiera. Raggiunge il suo culmine nell'estasi orante. Allora l'anima stessa assorbita totalmente in Dio, rapita dalla sua grandezza, completamente pervasa dalla sua presenza. In quelle condizioni anche il corpo tace completamente, sospende ogni sua attivit, i sensi non rispondono pi al alcuna sollecitazione; scende nel nostro essere il silenzio pi assoluto della natura; anche l'anima rimane immobile, dolcissimamente impotente di fronte alla forza irresistibile dell'amore di Dio che la pervade e la unisce a s. L'estasi fa pensare all'umanit di Ges trasfigurata sul Tabor: "....Prese con s Pietro, Giovanni e Giacomo e sal sul monte a pregare. E mentre pregava il suo volto cambi di aspetto". 192 Pi l'anima rapita dalla preghiera e pi il corpo si "trasfigura", quasi si illumina. E' una luce misteriosa ma ancora terrena. E' solo preludio alla grande luce che trasfigurer il nostro corpo nel Cielo, quando la Gloria di Dio lo colpir con la sua potenza facendolo riverberare di eternit. Allora tutto il nostro essere sar proiettato nell'estasi dell'unica preghiera possibile in cielo: Santo, Santo, Santo il Signore, Dio dell'universo. A Lui la gloria, la potenza e l'onore nei secoli dei secoli. Amen. Amen. Amen!
192

Lc. 9,28

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LA DIMENSIONE SPIRITUALE DELL'UOMO

106 - Lanima
Abbiamo fin qui descritto il corpo dell'uomo, ma in realt abbiamo parlato quasi sempre dell'anima. In effetti non possibile descrivere realisticamente il corpo umano senza vederlo nella sua identit di co-principio, con l'anima, della persona umana. Abbiamo gi detto che il corpo umano "umano" proprio perch tutto e in ogni sua parte penetrato e vivificato dall'anima. Perci tutte le volte che si parlato dell'anima se n' parlato di riflesso, nelle sue relazioni col corpo. Ci significa che non possibile pensare l'anima, e di conseguenza l'uomo, senza il suo corpo. Ma viene ora spontaneo domandarci: "Cos' l'anima umana in s stessa?" Una prima cosa che possiamo dire che pensando all'anima pensiamo a qualcosa di sottile, di invisibile, di assolutamente leggero, che esiste in s stesso e per s stesso. Ci significa che l'anima, rispetto al corpo, presenta due caratteristiche: spirito, non appartiene cio al mondo della materia, dove troviamo il peso, il colore, la figura e tutti gli altri aspetti visibili e misurabili ad essi collegati; secondo, una sostanza sussistente, vale a dire che, mentre ha bisogno del corpo per manifestarsi e per agire, non ha bisogno del corpo per esistere. In altre parole l'anima ha in s stessa (anche se non "da" s stessa) la "forza" di esistere, forza che chiamiamo "atto di essere" (di cui ci occuperemo ai nn. 172-175) e che essa possiede in proprio, per cui sopravvive al suo corpo. L'anima umana dunque una sostanza sussistente, principio esistenziale di tutto l'uomo. Ci comporta due conseguenze: che l'anima il principio dell'unit sostanziale dell'essere umano, essere che - l'abbiamo visto - si presenta come "unit duale", e inoltre che la sorte a cui essa andr incontro la sorte che toccher a tutto l'uomo, compreso il corpo. Da tutto questo derivano alcune conseguenze che gi sono emerse in tutto quello che abbiamo detto sui rapporti corpo-anima. Innanzitutto, che l'anima nella sua essenza di natura spirituale. La spiritualit dell'anima gi stata ricordata nella descrizione che abbiamo fatto del corpo e delle sue manifestazioni, ma pi ancora appare, come vedremo nei capitoli seguenti, dal fatto che l'anima possiede le facolt proprie e tipiche dello spirito: l'intelletto, il quale a sua volta conta su una facolt operativa: la volont, dotata di una prerogativa fondamentale: la libert. L'intelletto rende l'anima "sottile", cio capace di raggiungere l'essere delle cose; la volont rende l'anima padrona dei propri atti per cui essa diventa il soggetto di attribuzione di tutto ci che l'uomo compie; la libert fa l'uomo responsabile di tutto il suo agire, e perci lo fa un essere morale. Ma qual la spiritualit propria dell'anima? Pur essendo una sostanza sussistente, con un suo proprio "atto di essere" di natura intellettuale, l'anima dell'uomo presenta dei limiti che sono inerenti alla sua propria natura, natura di anima "umana", titolare cio di una spiritualit "incarnata" che dice esigenza ad un corpo materiale. Ci significa che l'anima umana non pre-esiste al suo corpo ma viene creata da Dio con il suo corpo, al momento del concepimento (cfr. n.171); inoltre pur potendo continuare nell'esistenza senza il suo corpo, l'anima in tale condizione verrebbe a trovarsi come in uno stato innaturale, uno stato che le fa desiderare fortemente e quasi "invocare" il suo corpo. Questa "incompletezza" dell'anima pu considerarsi il presupposto naturale della risurrezione corporea alla 97

fine dei tempi, risurrezione che resta un dono gratuito della bont e dell'onnipotenza di Dio. Sono considerazioni che possono aiutarci a capire anche il dono preternaturale dell'immortalit con cui Dio aveva perfezionato la nostra natura nella sua condizione originaria, e possono anche illuminarci sull'esplicita affermazione di Ges riguardo alla risurrezione dei morti, risurrezione che sar per tutti gli uomini: buoni e cattivi.

107 - Preziosit dellanima


La duplice forma di risurrezione affermata da Ges - una risurrezione gloriosa per i buoni, e una risurrezione di condanna per i malvagi - ci porta a riflettere sulla seconda conseguenza che abbiamo sopra ricordato, che cio la sorte alla quale va incontro l'anima umana la sorte che toccher a tutto l'uomo, compreso il corpo. Nella risurrezione, il nostro corpo parteciper alla condizione dell'anima. Perci un'anima pervasa dalla gloria di Dio e dalla beatitudine comunicher al proprio corpo la beatitudine della sua condizione gloriosa; al contrario un'anima "immersa nelle tenebre e nello stridore di denti" avr un corpo tenebroso al quale comunicher la propria disperazione. Inoltre il corpo sar partecipe anche del "grado" di gloria dell'anima. "Altro lo splendore del sole, altro lo splendore della luna e altro lo splendore delle stelle; ogni stella infatti differisce da un'altra nello splendore. Cos anche la risurrezione dei morti". 193 Un solo "grado" di gloria nel Cielo vale per la nostra felicit immensamente di pi di tutte le gioie e le soddisfazioni che possiamo avere in questo mondo. Il grado di gloria che inonder la nostra anima con il suo corpo sar proporzionato al grado di amore di Dio che essa avr raggiunto nel suo cammino di santit sulla terra. L'anima, dunque, comunicher al suo corpo la propria "immortalit", cio il corpo non sar pi soggetto alle attuali leggi fisico-chimiche e biologiche - "si semina corruttibile e risorge incorruttibile" - perci avr leggerezza, sottigliezza, agilit, in una parola: "Si semina un corpo animale, risorge un corpo spirituale". 194 Questa condizione dell'uomo trasfigurato, corpo e anima, dalla gloria divina nella vita eterna, ci richiama alla condizione nostra sulla terra: una condizione di "redenti", con un corpo tuttora passibile ma un'anima divinizzata dalla grazia con il dono della filiazione divina. Nella Redenzione ogni anima costata tutto il sangue di Cristo e perci ha assunto un valore enorme davanti a Dio. La Grazia e la Gloria ci dicono tutta la preziosit della nostra anima, e ci aiutano a comprendere pi profondamente le parole del Signore:"Che cosa l'uomo potr dare in cambio della propria anima?". Infatti, "qual vantaggio avr l'uomo se guadagner il mondo intero, e poi perder la propria anima?". 195 Agli occhi di Dio, una sola anima vale di pi di tutti i tesori della terra, anzi pi dell'intero universo. E' per questo che il Buon Pastore lascia le novantanove pecore al sicuro e va in cerca dell'unica smarrita finch non la trova e non la porta a casa; e si capisce anche perch si faccia tanta festa in cielo per un solo peccatore che si converte. 196 Ma il mondo non la pensa cos; e anche molti cristiani maltrattano la propria anima e la espongono stoltamente a tanti pericoli. Hanno magari una cura attenta, perfino nevrotica, della propria salute e sostengono per essa enormi sacrifici, si preoccupano del benessere materiale e della qualit della vita senza risparmio, ma
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1 Cor. 15,41 1 Cor. 15,41 Mt. 16,26 Lc. 15,10

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non hanno alcuna preoccupazione per la propria anima; la lasciano in bala delle proprie miserie e debolezze, impoverita dall'ignoranza nella fede, inaridita e indurita da sentimenti di rancore, di superbia, di egoismo, spesso la infangano con cose ignobili e vergognose, la lasciano intristire senza il conforto della preghiera, o addirittura languire lontano da Dio senza la veste nuziale della grazia col pericolo di perdere per sempre la gioia del cielo. E' una pazzia quella che ha portato gli uomini a dimenticarsi della propria anima e a disinteressarsi della sua salvezza. Nel pianto di Ges su Gerusalemme, la sua citt, c' tutta l'amarezza del suo cuore divino per ogni anima che non ha saputo accoglierlo, rendendo vano cos il suo sacrificio sulla croce.

108 - Fine soprannaturale delluomo


Quanto abbiamo considerato intorno all'essere umano - la trascendenza del corpo, la natura e la preziosit dell'anima, il mistero dell'unit profonda del corpo e dello spirito, la nobilt dell'agire umano, infine la trascendenza del suo destino tutto questo rende ragione delle parole di S. Ireneo che sono state ricordate all'inizio: "Gloria di Dio l'uomo vivente". Possiamo ora riassumere la grandezza dell'uomo in un'altra espressione che il pensiero cristiano and sempre pi approfondendo con lo sviluppo della riflessione teologica: "L'uomo persona, chiamata alla comunione con Dio". Questa definizione dell'uomo dice due cose: 1) la sua grandezza e la sua dignit naturale ( persona); 2) la grandezza e dignit soprannaturale del suo destino (la comunione con Dio). Ci significa che l'uomo non pu essere sufficientemente definito, e perci adeguatamente compreso, se non si tiene conto del suo destino di eternit, del suo "fine ultimo". Perci la risposta alla domanda: "Chi l'uomo?" deve includere il fine al quale l'uomo chiamato; senza questo riferimento, qualsiasi definizione dell'uomo sarebbe incompleta o insufficiente, e l'uomo resterebbe incomprensibile. Una conseguenza importante di questa verit sull'uomo la troviamo, sul piano temporale, nell'ambito socio-politico: il rapporto tra la societ civile e la societ religiosa. In senso pi specifico, Stato e Chiesa non possono ignorarsi e tanto meno escludersi. Fu la posizione agnostica del pensiero a sostenere il contrario, e cos cominciato il laicismo che ha portato poi alla secolarizzazione. Lo Stato deve occuparsi del bene temporale dei cittadini ma non pu ignorare il destino trascendente a cui gli uomini sono chiamati. Perci l'autorit civile deve emanare una legislazione che sia rispettosa dell'uomo non solo nella sua dignit di persona ma anche nella sua vocazione alla vita eterna. Una legislazione che non rispettasse i Comandamenti, perch ad esempio li ritiene una legge della Chiesa e non l'espressione di assoluti morali che sanciscono la dignit della persona umana e rendono possibile il raggiungimento del suo fine, sarebbe una legislazione non rispettosa del bene comune e della dignit dell'uomo. Cos una legge che legalizzasse l'adulterio - il caso del "matrimonio" di divorziati - non consona al bene dell'uomo n al bene della comunit, perch non rispetta la dignit della persona e il fine al quale essa chiamata. E' questo il significato ultimo dell'espressione di S. Ireneo: "Gloria di Dio l'uomo vivente; ma la vita dell'uomo la visione di Dio": espressione che contiene la definizione pi completa delluomo. In essa infatti viene definita sia la natura umana: Gloria di Dio luomo vivente, sia il suo fine ultimo: Vita delluomo la visione di Dio. Luomo dunque lunica creatura che include nella sua definizione il suo fine ultimo. In altre parole, luomo non definibile e nemmeno intelligibile se non si tiene conto del fine al quale stato chiamato: la visione di Dio e lintima comunione con Lui. D'altra parte anche la Chiesa, che si occupa del bene soprannaturale dell'uomo, cio della sua elevazione alla vita divina che termina nella visione-comunione eterna con Dio, non pu ignorare i valori temporali di cui l'uomo portatore, valori legati 99

alla sua condizione di creatura posta nel mondo e che del mondo utilizza i beni e ne porta le responsabilit. Scrive San Paolo: "Tutto quello che vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che virt e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri". 197 Il fine soprannaturale al quale l'uomo chiamato non esclude la natura ma la suppone e la perfeziona. Cos, la Rivelazione non elimina la ragione, la fede non umilia l'intelligenza, la legge di Dio non impedisce la libert, la grazia non vanifica l'impegno, la storia della Salvezza non ignora la storia umana. L'Incarnazione valorizza pienamente tutto il positivo della natura umana: Dio che si fa uomo ci dice quanto l'uomo sia "capace" di Dio. Davvero, l'uomo - anima e corpo - non solo la sintesi del creato ma anche il luogo dove natura e grazia si sposano. La natura con i suoi valori: la ragione, la cultura, la libert, la scienza, la storia, la base per il soprannaturale, il terreno sul quale interviene l'opera divinizzante della grazia. Ripetendo ancora una volta le parole di S. Ireneo, davvero "l'uomo la sede in cui si raccoglie tutta la sapienza e la potenza di Dio."

109 - La persona umana


Ma torniamo alla definizione dell'uomo che abbiamo sopra ricordato; nella prima parte essa contiene un termine che esprime uno dei concetti pi intensi del pensiero umano: l'uomo "Persona". Il concetto di persona tutto cristiano; nasce da una comprensione sempre pi profonda del mistero di Dio rivelatosi in Ges Cristo. Il mistero di Dio non sta soltanto nelle infinite perfezioni della sua natura divina, sta soprattutto nella Trinit delle Persone divine. L'Essere Tripersonale di Dio, ci illumina sull'essere persona nell'uomo. La natura umana, considerata in astratto, possiamo definirla come un principio operativo in un determinato grado di esistenza, quello appunto che proprio dell'essere uomo; ma in concreto la natura umana esiste come "persona", cio ogni singolo individuo che appartiene alla specie umana qualcosa di unico, irrepetibile, sussistente in s stesso e per s stesso e porta l'impronta divina in un'anima razionale. La persona umana dunque una "modalit dell'essere", una modalit perfetta, completa, eminente. Da ci derivano alcune conseguenze che abbiamo ricordato pi volte, ma che giova ripetere perch l'umanesimo ateo e laicista della nostra cultura occidentale ci ha contagiati profondamente e su ampia scala. L'uomo, abbiamo detto, per la sua natura appartiene alla Natura, ma come persona la trascende e la domina. Come individuo l'uomo un piccolo essere, debole, precario, sperduto nell'immensa vastit del creato; ma come persona un solo uomo pi "grande" e vale pi dell'intero universo. Perci l'uomo non potr mai essere oggetto di esperimento come altri esseri naturali. N la scienza n il progresso dell'umanit possono giustificare la strumentalizzazione o la manipolazione dell'essere umano, qualunque sia la sua condizione. Ancora, l'uomo per la sua natura appartiene alla specie umana, e come individuo una "particella" dell'umanit; ma come persona non subordinato ad alcuna societ, e pur avendo dei doveri verso la comunit, appartiene solo a s stesso e a Dio. La societ, infatti, trova nella persona umana la sua ragion d'essere ed finalizzata alla persona per la sua piena realizzazione. Perci, ogni massificazione degli individui va contro la dignit dell'uomo, ogni struttura statale che riduce gli uomini a numeri o li opprime nella loro libert una violenza contro la persona e la sua dignit. La natura "principio di operazioni" ed comune a tutti gli individui che,
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Fil. 4,8

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come tali, non hanno un nome; la natura "anonima". La persona, invece, "soggetto di operazioni" , autocosciente, autotrasparente, autodeterminantesi, e perci unica e ha un nome; un nome che le appartiene in esclusiva fra i miliardi di tutti gli esseri umani. Ogni persona irrepetibile; e davanti a Dio ha un valore assoluto. Il concetto di Persona una delle pi grandi conquiste del pensiero umanocristiano, e possiamo dire che essa ha operato la pi profonda rivoluzione culturale, civile e religiosa della storia. Ci spiega perch l'umanesimo cristiano e tutto l'insegnamento della Chiesa sull'uomo gravitino intorno al valore e alla dignit della persona umana.

110 - Miseria e grandezza della condizione umana


Tuttavia, il mistero circa la condizione umana rimane. Dio ci ha dato un'anima immortale in un corpo mortale. Con il volgere del tempo l'anima spinta a cercare sempre pi la verit, ad andare verso la luce, a salire incontro alla felicit che brama sempre pi intensamente: tende sempre pi all'immortalit. Il corpo, col volgere del tempo, si ripiega sempre pi su s stesso, cede alla precariet, alla stanchezza, al disfacimento; scende sempre pi verso la "mortalit". E' la situazione drammatica dell'uomo, pesantemente gravata dal segno del peccato, situazione che provocava in San Paolo quel grido che un'invocazione: "Me sventurato! Chi mi liberer da questo corpo votato alla morte?". 198 Abbiamo gi detto che Dio non voleva l'uomo in questa condizione, anzi aveva perfezionato la sua natura con doni che lo liberavano da alcuni limiti propri della sua condizione terrena. Ma abbiamo anche detto che Dio non pu essere sconfitto da nessuno; il suo disegno di amore si compir comunque, anzi sar portato ad una perfezione pi alta. Dio ha impresso nell'uomo il suo sigillo; la Trinit Santissima, l'unico Dio in tre Persone, ha fatto l'uomo a sua immagine, a sua somiglianza: lo ha fatto "Persona". Ogni uomo, per quanto depravato o deforme, porta in s questo sigillo, che fondamento della sua dignit. Il suo essere-persona fa l'uomo partecipe di Dio-Trinit. Il Dio immortale, fonte della vita, non poteva sopportare che andasse perduta e rimanesse per sempre vittima della morte la creatura che porta in s l'immagine divina. Il sigillo di Dio garanzia per l'uomo. Dio custode dell'uomo, lo difende da s stesso, lo custodisce dal maligno, gli riserva la sua eternit. "Io pongo sempre innanzi a me il Signore, sta alla mia destra, non posso vacillare - canta David in uno dei suoi Salmi - Di questo gioisce il mio cuore, esulta la mia anima; anche il mio corpo riposa al sicuro, perch non abbandonerai la mia vita nel sepolcro, n lascerai che il tuo santo veda la corruzione". 199 Ci detto soprattutto di Cristo, ma in Lui detto di ogni uomo, perch ogni uomo partecipa allo stesso destino di Cristo, alla sua stessa dignit di figlio di Dio. L'uomo l'unico essere che Dio ama per s stesso, perch in certo qual modo amando l'uomo egli ama s stesso. Perci ogni violenza contro l'uomo violenza contro Dio, ogni aggressione all'essere umano un attentato contro Dio. Ne consegue che la persona soggetto primario di diritto. La sua dignit non dipende dalle istituzioni umane, da convenzioni sociali per quanto universalmente riconosciute, n dipende da codici o da carte costituzionali elaborate da autorit umana. La persona precede ogni cosa, ogni altra realt creata; come una epifania di Dio nel tempo. Ges ha detto: "Chi vede me, vede il Padre"; per analogia possiamo dire: nella persona umana si intravvede Dio.
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Rom. 7, 24 Salmo 15, 8-10

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E' unaffermazione che vale sia riguardo all'essere che al divenire della persona. In altre parole, l'uomo non solo porta l'immagine di Dio nella sua struttura naturale (ontologica), ma ha Dio come traguardo e come ultimo fine anche nel suo dinamismo esistenziale, cio nella spinta interiore che lo porta a superarsi continuamente, ad autotrascendersi senza soste e senza limiti. Come dire che, in tutto l'universo creato, l'uomo il massimo di densit ontologica e insieme il massimo di espansione esistenziale. La persona umana un cosmo, completo nella sua unicit, impartecipabile nella sua solitudine, luminoso nella sua autocoscienza e che si autopossiede nella sua pienezza; ma insieme un cosmo che si espande in tutte le direzioni e confluisce poi, nel suo ineffabile rapporto con Dio, in un'unica dimensione: l'eternit.

111 - Una nuova civilt delluomo


Perci la grande sventura dell'uomo perdere Dio. Senza Dio l'uomo si ritrova smarrito, non riconosce pi s stesso n il suo destino: la sua unicit di persona diventa un'abisso senza nome; la sua solitudine, disperazione; la sua luminosit, tenebre fitte; la sua spinta espansiva, alienazione. In una parola, la vera morte dell'uomo il peccato. Ed per causa del peccato che l'uomo non sa pi riconoscere la sua grandezza e l'immensa preziosit della sua persona. Il valore-uomo ha perduto ogni peso nel listino dei prezzi; viene barattato per pochi soldi, spesso per un piatto di lenticchie, quando non viene valutato un nulla di nulla. E cos lo si uccide come se fosse un insetto, lo si umilia, lo si giudica e lo si condanna, gli si usa violenza e brutali aggressioni, disprezzo e indifferenza e ogni sorta di schiavit e di oppressione; non si fa pi nessun calcolo n della sua vita n della sua morte. Agli occhi degli uomini l'uomo vale ben poco; soltanto agli occhi di Dio che l'uomo vale pi dell'universo. Solo Dio conosce il valore dell'uomo; solo Dio lo ama, lo rispetta, lo custodisce, lo difende da s stesso; non lo rifiuta, non lo abbandona, non lo giudica per condannarlo, non lo fa schiavo, n gli toglie la libert anche quando luomo la usa contro di Lui, non si arrende davanti alla sua ribellione o al suo rifiuto; ha saputo invece inventare per la sua creatura le pi grandi pazzie che solo un Amore infinito pu inventare. Ed ecco, un giorno, nell'abisso che il peccato ha scavato dentro l'uomo, scendere il Figlio di Dio: "E il Verbo si fece carne...spogli s stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umili s stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce". 200 Questo il prezzo di ogni uomo, questo il suo valore. Ogni persona vale tutto il sangue di Cristo, tutta la sua vita, tutto il suo sacrificio. Chi calpesta l'uomo, calpesta Ges Cristo. E' Lui, l'Uomo! E' Lui ormai la misura della nostra grandezza, della nostra dignit, del nostro valore. "Renditi conto, o cristiano, della tua dignit!" esclamava il grande Papa Leone Magno davanti al Figlio di Dio fatto uomo! E' una dignit la cui grandezza rimane per ora nascosta in un involucro di povert e di debolezza, ma destinata ad esplodere un giorno, quando la potenza di Dio ci liberer dal nostro involucro di morte, e la gloria di Cristo si riveler in noi. Nel frattempo, Dio ha affidato alla sua Chiesa il compito di proclamare davanti al mondo la grande dignit dell'uomo, il valore assoluto, non commerciabile, della persona umana. Oggi, la Chiesa l'unica voce nel mondo a difendere la dignit dell'uomo e la grandezza del suo destino. Un nuovo "umanesimo cristiano" non pu che ripartire dalla Persona mettendola al disopra e prima di ogni altro valore: prima della scienza, prima della politica, prima dell'economia e di qualsiasi progresso materiale della societ.
200

Fil, 2,7-8

102

Dalle ceneri dell'umanesimo iconoclasta degli ultimi secoli che ha distrutto l'uomo e i suoi valori, occorre far rinascere una nuova civilt dell'uomo che metta al centro del suo umanesimo la Persona umana come "Icona di Dio", l'Icona che riflette l'immagine del suo creatore, l'icona dell'uomo redento da Cristo e chiamato alla comunione eterna con Dio. Solo cos l'uomo riacquista la sua giusta posizione di fronte a s stesso e di fronte a tutte le cose create, e si realizza in lui quello che fu, fin da principio, il sogno di Dio. Ognuno di noi chiamato a diventare ci che Dio vuole. O realizziamo in noi il suo disegno di amore o abbiamo miseramente fallito tutta la nostra esistenza.

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IL TEMPO E L'INTELLIGENZA DELL'UOMO

INTELLETTO E CONOSCENZA

112 - La Luce e la Verit


"In principio Dio cre il cielo e la terra". Ma tutte le cose dell'universo erano buie, senza luce. E senza luce era come se non esistessero. Perci "Dio disse: Sia la luce!" e la luce fu... e fu sera e mattina, primo giorno". 201 La luce divenne, cos, la prima qualit dell'essere. In un certo senso, l'essere luminoso, emana una luce che lo rivela e lo rende intelligibile: una luce che coincide con la verit: la verit delle cose. "Dio infatti luce e in Lui non ci sono tenebre". 202 Dio soltanto luce perch la pienezza dell'Essere. Perci egli la Verit, la pienezza della Verit. Quando l'apostolo Giovanni scrive che dobbiamo "camminare nella luce" vuol dirci che dobbiamo camminare nella verit di Dio. Camminare nella Verit la pi esaltante avventura dell'intelletto umano, l'altissima vicenda che l'uomo chiamato a vivere nella sua esistenza terrena; il suo stupendo viaggio nel tempo. Dio cre il cielo e la terra, l'universo visibile e quello invisibile, gli esseri spirituali e gli esseri corporei, e pose l'uomo che Egli aveva creato a sua immagine e somiglianza davanti a tutte le creature perch esercitasse su di loro il suo dominio."Il Signore Dio condusse (gli esseri creati) all'uomo per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l'uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome". 203 "Chiamare per nome" , nell'uomo, un atto trascendente dello spirito, l'atto conoscitivo, cio l'atto dell'intelletto che "intuslegit", penetra dentro le cose, legge la loro identit profonda, si appropria quasi del loro essere. Diversamente, in Dio, il "chiamare per nome" indica l'atto creativo dell'intelletto divino. Dio, nell'atto di conoscere, comunica l'essere alle cose, le "chiama" fuori dal loro nulla; perci causa della loro esistenza: "Egli conta il numero delle stelle, e chiama ciascuna per nome". 204

201 202 203 204

Gen. 1,1 1 Gv. 1,5 Gen. 2,19 Salmo 147, 4

104

113 - La Luce e lIntelletto


Dicevamo che l'essere delle cose create emette una luce, una luce che la loro identit, la loro verit, la loro intelligibilit. Ma questa luce promana dalle cose quando esse sono colpite da un'altra luce, che le fa riverberare interiormente facendole vibrare in risonanze di varia intensit, come un gigantesco arcobaleno: la luce dell'intelletto umano. Senza questa luce, con la quale l'uomo illumina tutto l'universo, il creato resterebbe opaco e spento. "La terra era informe e deserta, e le tenebre coprivano l'abisso". 205 E' l'intelletto umano che legge il tempo e ne possiede la misura; nelle cose il tempo solo moto. Possiamo dire che il tempo, come misura, cominciato con l'uomo, con la coscienza umana. L'intelletto la prerogativa pi alta dell'essere umano, ed costitutivo della persona. Si soliti chiamarlo, con una immagine geometrica, la punta dell'anima; come un vertice che penetra nella luce di Dio e permette all'uomo di dominare da quella altezza tutte le cose: gli permette di misurare la loro estensione, la loro vastit, la loro profondit, in una parola le loro dimensioni metafisiche, cio la loro partecipazione all'Essere Divino. Questa grande dignit dell'intelletto umano, quale partecipazione all'intelletto divino, merita qualche riflessione che ci aiuti a conservare integro e pulito questo dono di Dio, perch il degrado dell'uomo in gran parte causato dal degrado della sua intelligenza. E poich a determinare la dignit dell'intelletto la verit come suo oggetto proprio, la prima riflessione che ci si propone intorno alla verit dell'intelletto stesso: qual il valore e la natura dell'intelletto umano? Quale il meccanismo della sua attivit, del suo conoscere? Non c' dubbio che le teorie sulla conoscenza hanno avuto e hanno tuttora un peso determinante nella storia del pensiero ed esercitano il loro influsso su tutta l'esistenza umana; perci indispensabile un richiamo sia pure elementare e descrittivo del nostro intelletto e della sua verit.

114 - Litinerario dellintelletto.


Il tempo - l'abbiamo ricordato pi volte - una dimensione esistenziale della natura umana; noi viviamo nel tempo. Ci significa due cose: noi siamo nel tempo e ci muoviamo nel tempo: l'essere e il divenire hanno in noi la misura del tempo. Anche l'intelletto umano soggiace a questa legge; esso agisce nel tempo, e anche sussiste nel tempo. Ne deriva perci che il nostro intelletto non intuitivo ma discorsivo; ha bisogno di percorrere un cammino per arrivare alla verit. Anche come facolt conoscitiva, esso si attua progressivamente. Inoltre l'atto conoscitivo umano si attua in una natura che insieme spirituale e corporea; ne deriva che lintelligenza umana per attingere il suo oggetto ha bisogno di passare attraverso i sensi; in noi la conoscenza necessariamente sensitivointellettiva, e perci mediata e discorsiva. Usando una terminologia descrittiva, si potrebbe dire che l'itinerario della conoscenza va dalle cose all'intelletto e viceversa: infatti dai sensi esterni vengono colte le apparenze esteriori delle cose, cio i dati particolari e concreti della loro realt fisica; gli stimoli raccolti dai sensi esterni vengono interiormente unificati e trasformati in percezioni interne dalle quali si formano i "fantasmi", le immagini; queste, sintetizzate ed elaborate dalla nostra esperienza interiore in una sintesi pre-intellettuale, approdano infine all'intelletto che, in questo caso, viene chiamato "intelletto passivo" perch ricevendo questi
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Gen. 1,2

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messaggi rimane, in un certo senso, modificato dai loro contenuti; viceversa, anche l'intelletto si muove verso le cose, e in tal caso viene chiamato "intelletto attivo" perch compie un lavoro di penetrazione nelle cose, presenti e quasi possedute nei loro "fantasmi", fino a formulare un giudizio sul loro essere, sulla loro identit, cio sulla loro verit. Questo percorso dell'intelligenza umana chiamato dalla filosofia "astrazione" ed il percorso che permette al nostro intelletto, anzi al nostro spirito nella pienezza di tutte le sue facolt, di passare di creatura in creatura, da un essere creato ad altri esseri creati, fino all'Essere per eccellenza, increato ed eterno, all'Essere che "", assolutamente ed esaustivamente: Dio. Finisce appunto in Lui questa esaltante avventura dell'intelletto umano, il suo stupendo viaggio nel tempo. Questa esposizione sommaria, semplice, in un linguaggio non strettamente filosofico, meriterebbe una ben diversa trattazione, pi profonda e pi rigorosa, per arrivare ad un efficace recupero dell'intelligenza umana. Varie infatti sono, oggi, le malattie che affliggono l'intelligenza ma due tormentano da sempre l'uomo, manifestandosi in varie forme e sotto aspetti diversi ma identiche nella sostanza: la presunzione razionalistica e l'astenia intellettuale. La prima ritiene che la ragione umana sia tutto, e tutto sia misurato dalla ragione. Perci ogni conoscenza che non sia puramente razionale-scientifica, quindi anche la conoscenza della Fede, va esclusa e rifiutata: il Razionalismo. La seconda ritiene invece che la ragione umana sia impotente, cio incapace di conoscere la verit: la verit su Dio, la verit sull'uomo e la verit delle cose: lo scetticismo. Razionalismo e scetticismo sono sempre un fallimento dello spirito, una sconfitta dell'intelligenza: sono la perdita della verit, in definitiva sono la perdita di Dio. E' questa la disgrazia pi grande in cui precipitata la nostra civilt occidentale; la sua vera povert, la sua vera debolezza.

115 - La conoscenza sensibile.


Abbiamo detto che la conoscenza umana necessariamente sensitivointellettiva; ci significa che deve esserci armonia e collaborazione tra sensi e intelletto, tra sensibilit e razionalit. Dobbiamo stare in guardia da ogni materialismo che nega la trascendenza dell'intelletto, e da ogni spiritualismo disincarnato che guarda con sospetto i sensi e la sensibilit. L'armonia interiore si realizza in noi quando ogni facolt del nostro essere sta al proprio posto, rispetta cio il proprio ruolo e dialoga positivamente con le altre facolt. Sappiamo che il peccato ha rovinato questa armonia, e ha portato il disordine dentro di noi, un disordine che non solo morale, ma anche psicologico e spirituale. Quando i sensi la fanno da padrone, oppure sono disprezzati e viene fatta loro violenza, le conseguenze sono imprevedibili, perch la natura non sopporta a lungo, oltre i limiti delle sue leggi, il peso del disordine. Quante sterili atonie negli affetti e dure aridit nei sentimenti, che poi hanno portato a spietate e lucide violenze, sono nate da questo disordine. Giova pertanto analizzare pi dettagliatamente il ruolo della conoscenza sensibile. Essa si avvale di sensi esterni e di sensi interni. I primi sono dislocati alla periferia del nostro corpo e sono come finestre aperte sul mondo. Hanno la struttura e la funzione di centri ricettivi che forniscono notizie sulla realt materiale che fuori di noi, percepita nei suoi aspetti esteriori e particolari. I secondi, i sensi interni, costituiscono come centri nevralgici del nostro mondo interiore e sono in continuo dialogo con le forze istintuali ed emotive, con tutta la nostra struttura psicologica. I sensi dunque stanno alla base di quel mondo estremamente complesso e polivalente che il mondo della sensibilit. Essa, raccogliendo gli stimoli esterni e le percezioni interne, va convogliando dentro di noi una quantit enorme di 106

materiale: dati, sensazioni, stati emotivi; su di esso si proiettano, come su un magma incandescente, la fantasia e la memoria. Sono le due ali dell'intelligenza che elaborano una pi alta forma di conoscenza sensibile, quella immaginativa, ormai intimamente connessa con l'attivit intellettuale. Senza addentrarci in un'analisi scientifica e filosofica della vita sensitiva, ci rendiamo conto del ruolo essenziale che essa svolge nella vita e nell'attivit dell'uomo. Sensi e intelletto: il loro rapporto analogo a quello che intercorre tra corpo e anima, e rientra nel mistero della natura umana. Il discorso sar ripreso pi avanti: qui vogliamo ricordare queste cose per metterci in guardia dall'uso improprio che viene fatto dell'intelligenza nella cultura attuale. Un uso improprio e, come spesso accade, contraddittorio. Infatti, se da una parte viene esaltata l'esperienza sensibile nella ricerca scientifica sperimentale fino a considerarla criterio unico di verit (la conoscenza viene limitata al verificabile), dall'altra parte, nelle ideologie, l'esperienza sensibile viene disattesa e derisa nella sua testimonianza sulla realt oggettiva, fino ad escluderla come fonte di conoscenza, oppure viene separata dalla conoscenza intellettiva. Come vedremo, c' invece continuit tra conoscenza sensibile e conoscenza intellettiva. L'occhio vede e l'intelletto conosce, ma ci che l'intelletto conosce la stessa cosa che l'occhio vede. Separare l'intelletto dai sensi e quindi la conoscenza intellettuale dalla conoscenza sensibile si commette lo stesso errore del dualismo che separa l'anima dal corpo e condanna l'intelletto all'incapacit di conoscere veramente le cose. Il pensiero prende cos il posto della realt e si pone come fonte e creatore della verit. E' il trionfo del soggettivismo ideologico.

LA CONOSCENZA E I SENSI
116 - I sensi e il tatto
Ma oltre a questo significato importante per la filosofia della conoscenza, i sensi hanno una valenza umana e ascetica che giova ricordare per l'influsso che essa esercita nella vita spirituale. In noi infatti la conoscenza sensitiva non mai una conoscenza puramente sensibile, sempre conoscenza umana; ha perci un valore trascendente che dato dalla presenza dell'anima in ogni attivit del corpo. Partiamo dall'organo di senso pi "corporeo": il tatto. Distribuito, ancorch in modo e intensit disuguali, su tutta la superficie del nostro corpo, il tatto ci fornisce i dati della nostra corporeit e ci fa percepire i confini del nostro essere nello spazio. Nell'atto stesso di cogliere gli oggetti del mondo esterno, il tatto ci d la percezione dei limiti del nostro io corporeo e insieme ci rimanda al nostro ambiente interno fino a quel mondo, possiamo ben dire "abissale", che la nostra persona. E' dunque il senso che ci aiuta a percepire la nostra individualit e la nostra intimit. Per questo il tatto collegato con l'istinto di difesa dell'io e insieme coinvolto intensamente nella manifestazione e nella partecipazione della propria intimit personale. . Quando una madre stringe a s guancia a guancia la sua creatura, l'esperienza tattile di quell'incontro esprime l'intimit profonda che lega i due esseri tra loro; la madre sente il figlio come la pelle della sua pelle, lo vede come una dilatazione della sua persona, una estensione della sua individualit; quando poi quella creatura si attacca ai suoi seni, l'intensit della percezione tattile esprime il grado di intimit che si stabilisce fra lei e il figlio, anche se lei, la madre, sente che in quel momento molto pi quello che riceve dalla sua creatura in termini di 107

gratificazione, di quello che lei d in termini di alimentazione nutritiva e anche affettiva. Ma l'espressione pi intima di comunione interpersonale che coinvolge il senso del tatto certamente l'intimit coniugale. L la conoscenza sensibile massima; l'uomo e la donna si "conoscono" nel dono della propria intimit che coinvolge tutto il corpo, e si realizza, possiamo dire alla lettera, l'espressione biblica: "e saranno, i due, una sola carne". 206 Tralasciando altri segni che sono espressione tattile della nostra interiorit, come la carezza, il bacio, l'abbraccio, che esprimono l'affetto fraterno, l'amicizia, la partecipazione al dolore e alla gioia degli altri, ci limitiamo a richiamare l'importanza che pu avere questo senso riguardo alla vita interiore. Proprio per essere il senso pi corporeo, che coinvolge la nostra intimit personale, il tatto un senso estremamente delicato, e va perci custodito con finezza e con delicata prudenza. D'altra parte, per la sensazione intensa di benessere e di piacere fisico che esso fornisce, il tatto diventa un senso pieno di insidie per la vita dello spirito. Pu infatti trasformare il dono della propria intimit come espressione d'amore, in ricerca egoistica del proprio piacere e arrivare all'ignobile strumentalizzazione della persona altrui per interessi edonistici. Naturalmente la custodia del tatto ha bisogno del dominio dei moti interiori dell'animo e poggia sulla rettitudine delle intenzioni e del cuore soprattutto l dove il servizio alla vita e alla persona esige l'integrit degli affetti e dei sentimenti. E' un lavoro di ascetica delicato e paziente ma indispensabile per la vita dello spirito. Infine, propria del tatto la percezione del caldo e del freddo, percezione che portata sul piano spirituale ci richiama la fisionomia che pu avere l'ambiente umano che ci circonda. La stima, la comprensione, l'affetto di chi vive intorno a noi ci danno quasi la sensazione tattile del calore di cui abbiamo bisogno. Non si pu vivere senza calore; c' una temperatura limite, come per la nostra pelle cos per la nostra persona, e dobbiamo ricordarci che la freddezza e l'indifferenza una delle sensazioni pi crudeli a cui possiamo sottoporre un essere umano. Il bacio fraterno che esprime il perdono, la carezza dolce su un corpo malato e mille altri gesti di tenerezza su membra umiliate o trafitte dal dolore sono segni preziosi che rompono la durezza di un mondo gelido e disumano. L'abbraccio materno con cui Caterina da Siena accompagna il condannato a morte fino al patibolo commovendolo fino alle lagrime, le braccia verginali e materne di madre Teresa che raccoglie i moribondi sui marciapiedi di Calcutta perch possano morire avvolti da un calore che non hanno mai conosciuto, e tante altre espressioni dell'eroismo cristiano, riscaldano l'umanit e innalzano la temperatura del cuore umano molto di pi di tutte le scoperte del sapere scientifico. Il tatto pu servire l'amore o pu servire l'egoismo; dipende dal cuore, se l'abbiamo puro, nobile, innamorato.

117 - Lolfatto
L'olfatto il senso che percepisce presenze invisibili. Si tratta di presenze gradevoli che ispirano fiducia, segnalate dal profumo, o di presenze sgradevoli che ingenerano sospetto, segnalate da cattivo odore. Il profumo d un tono piacevole e fresco all'ambiente rendendolo godibile; si ricollega alla sensazione della bellezza - i fiori profumano - e segnala una presenza amabile o amata che stimola alla gioia. Queste sensazioni legate all'olfatto hanno suggerito a San Paolo l'immagine del cristiano come il buon profumo di Cristo. Dove vive un cristiano, l deve sentirsi la presenza invisibile di Cristo: invisibile per la naturalezza con cui il cristiano vive la sua vita, al pari di tutti gli uomini onesti, ma
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Gen. 2,24

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presenza vera per le virt che profumano la condotta di un discepolo del Signore. Un cristiano disonesto infetta l'aria, corrompe l'ambiente, rende ingodibile la convivenza umana. Il profumo delle virt fa invece pensare alla bellezza dell'anima e d fascino alla vita cristiana. Il profumo stimola anche l'attrattiva sessuale. Pu diventare perci un'arma, soprattutto femminile, per sedurre e adescare. Occorre perci andare premuniti per non lasciarsi ingannare. Ma anche pu servire per facilitare l'approccio affettivo e l'amore nuziale. Comunque esprime sempre una presenza amata. La libbra di nardo purissimo, di gran pregio, che Maria ha versato sui piedi di Ges servita ad esprimere il profumo dell'amore che pu attirare le anime a Cristo. Infatti la seduzione esercitata dal profumo suggerisce l'idea del fascino che la vita del cristiano e la figura stessa di Cristo possono esercitare su tante anime, soprattutto di giovani, per attirarle alla sequela e ad una dedizione incondizionata al Signore. Nel Cantico dei Cantici si descrive l'attrattiva che esercita il profumo della persona amata: "Post te curremus in odorem unguentorum tuorum," - ti seguiamo correndo dietro la scia del tuo profumo. 207

118 - Il gusto
Il gusto, invece, ha una funzione critica ed ordinato alla conservazione dell'individuo attraverso il cibo; infatti localizzato all'inizio dell'apparato digerente. La funzione critica sta nel distinguere l'alimento utile da quello dannoso e, gustando il sapore dei cibi, stimola il desiderio di nutrirsi. E' un senso legato esclusivamente al corpo e quindi porta con s il suo pericolo: pu sponsorizzare una visione materialistica della vita ridotta ai suo i bisogni primari. Il culto del cibo, infatti, una specie di idolatria, e San Paolo attribuisce a questi idolatri il titolo di pagani "il cui dio il ventre". Questo non vuol essere un giudizio di condanna della tavola, che invece rimane un'occasione di condivisione fraterna e simbolo di abbondanza; anche nel Vangelo essere commensali a una tavola imbandita simbolo di partecipazione ai beni eterni del Regno messianico. Del resto, il possedere un raffinato senso del gusto ha creato una categoria di persone molto apprezzata e riconosciuta: i buongustai. Cos questo senso, un senso legato alla materialit della vita, ha assunto un significato traslato pi nobile, addirittura spirituale; tanto che, non solo auspicabile essere persone di "buon gusto", che hanno il senso delle cose belle, del comportamento appropriato, della finezza nel discernimento, ma diventa anche un dono dello Spirito Santo: "il gusto delle cose di Dio", la sapienza, appunto. Dobbiamo considerare perci una grande disgrazia "perdere il palato" nelle cose della fede, sentire quasi disgusto delle cose che riguardano Dio. Ancora San Paolo scriveva che questa insensibilit una caratteristica "dell'uomo animale". "Quanto sono dolci al mio palato le tue parole esclama invece l'autore dei salmi - pi del miele per la mia bocca". 208 Da sempre nella Chiesa, il digiuno, la mortificazione del gusto e della tavola hanno avuto il significato di una affermazione dello spirito sulla materia, una sorta di difesa della "leggerezza", della vitalit dello spirito, una libert dell'intelligenza sul torpore del corpo. In definitiva, avere buon olfatto e buon gusto sinonimo di "conoscenza critica"; conoscenza sensibile, certamente, ma che rimanda a una capacit di discernimento intellettuale e spirituale che fondamentale e a volte determinante nella nostra vita. Poco importa essere buoni conoscitori degli aromi e dei sapori delle vivande se poi non sappiamo discernere il cattivo odore del
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Ct. 1,3 Salmo 118,103

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peccato dal profumo delle virt, il sapore vano delle cose del mondo dalla dolcezza delle cose di Dio, la felicit illusoria dei beni terreni dalla beatitudine senza fine dei beni eterni.

119 - Ludito.
Tra i sensi, i pi nobili, i pi spirituali appaiono senza dubbio l'udito e la vista. Essi hanno un'importanza enorme nel rapporto interpersonale, perch soprattutto attraverso loro che possiamo comunicare gli uni con gli altri. Hanno infatti la capacit di ricevere dagli altri e di elaborare per gli altri i segni che sono specificamente destinati alla comunicazione: basta pensare al suono che diventa parola e alla parola che diventa suono. Senza questi segni ognuno di noi resterebbe un atomo isolato, chiuso, incapace di una vera crescita come persona. Sappiamo infatti come la mancanza dell'udito e della vista possa influire sulla personalit stessa e condizionare o accentuare certi lati del nostro carattere che incidono sul rapporto interpersonale. Proprio quando essi vengono meno ci rendiamo conto di quanto sono doni preziosi di cui ringraziare grandemente Dio con l'impegno di usarli per il bene. L'udito, lo sappiamo, il senso che avverte i suoni. Enorme la variet di suoni che arriva a noi dal mondo che ci circonda, ma tra tutti c' un suono unico, prezioso, immenso nelle sue espressioni: la voce umana. Non c' in tutto il creato un suono pi melodioso, pi amato, pi desiderato, pi espressivo. La voce la persona, e proprio dalla voce la riconosciamo perch ogni persona ha una "sua" voce. In quella voce ci sono i suoi sentimenti, il suo atteggiamento interiore, i suoi stati d'animo, le sue passioni: gioia, dolore, tristezza, amore, felicit, rabbia, tenerezza, c' il calore o la freddezza del suo cuore. Parliamo della voce, non ancora della parola; la parola esprime il pensiero, la voce esprime l'animo. Udire la voce della persona amata motivo di gioia profonda e di commozione. "Appena la voce del tuo saluto giunta ai miei orecchi - esclam Elisabetta davanti alla Madonna - il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo". 209 E' la stessa gioia che fece trasalire Maddalena quando ud la voce inconfondibile del Maestro che la chiamava per nome: "Maria!". Quando poi il nostro animo assalito da sentimenti pi intensi, la nostra voce si fa canto, melodia. La musica infatti dilata le possibilit della voce, la espande in dimensioni di profondit e di intensit che accendono bagliori nuovi, irrepetibili, nella nostra anima. Il canto due volte preghiera. L'udito e la parola - la voce - sono intimamente collegati: quando manca l'udito manca anche la parola; ambedue sono un dono prezioso. Tra i prodigi compiuti da Ges, uno dei pi applauditi dall'entusiasmo della folla fu la guarigione del sordomuto: "Ha fatto bene ogni cosa; fa udire i sordi e parlare i muti". 210 e la Chiesa, dopo il rito del Battesimo, ripetendo il gesto di Ges, ci fa l'augurio "di ascoltare presto la Parola (di Dio) e di professare la nostra fede". Ascoltare la Parola: l'uso pi nobile e pi importante che possiamo fare dell'udito. Per: ascoltare per capire. "Chi ha orecchi, intenda!" ripeteva frequentemente il Signore. C' un ascolto interiore senza il quale l'udire non serve. Ascoltare la parola e accoglierla nel cuore indispensabile per saper discernere le voci. Ci sono voci amiche per le quali dobbiamo avere orecchi aperti: la voce del Sacerdote nella confessione, la voce della Chiesa nel suo insegnamento, la voce di un amico che ci invita ad avvicinarci a Dio; come pure dobbiamo avere orecchi aperti alla voce del dolore, alla voce dell'innocenza, alla voce della povert o dell'indigenza..; ci sono poi voci nemiche alle quali dobbiamo chiudere gli orecchi:
209 210

Lc. 1,44 Mc. 7,37

110

sono le voci del mondo con le sue lusinghe e le sue menzogne, le voci che parlano contro Dio e contro la fede, le voci dell'odio, della ribellione, della violenza; le voci che urlano canzoni indegne, che inquinano l'amore o che parlano contro il prossimo ; le voci che invitano all'infedelt, al dubbio, alla vilt. "Volta le spalle all'infame che ti sussurra all'orecchio: "Perch complicarti la vita?". 211 . Per tutte queste voci non abbiamo orecchi e non vogliamo ascoltare. Ma la voce pi amica, la voce che parla al cuore con forza e dolcezza, la voce di Dio. E' una voce senza suono, senza rumore di parole, ma irresistibile; una forza divina. E' la presenza viva di Qualcuno che ti chiama, dal quale non puoi fuggire perch ti insegue sempre e ti raggiunge dovunque, perch non ti abbandona mai, perch dentro di te. E non avrai pace finch non gli avrai detto "Si". "Se ascolti, oggi, la sua voce, non indurire il tuo cuore". 212 Ascoltare la Parola per professare la Fede. Vivere la Fede perch risuoni nel mondo la Parola. E' il compito affidato agli Apostoli, ed anche il compito di ogni cristiano: "Per tutta la terra si diffonde la loro voce e ai confini del mondo la loro parola". 213 Un cristiano che non parla una voce spenta nella Chiesa, un muto che ha bisogno di sentirsi dire dal Signore "Effet" - Apriti! E se siamo balbuzienti perch timidi, insicuri, impreparati, dobbiamo almeno far parlare la nostra vita; perch la fede non pu tacere, non pu rimanere soffocata. Il comando di Ges chiaro: "Quello che avete ascoltato all'orecchio, predicatelo sui tetti". 214

120 - La vista
Ma il senso che pi si avvicina all'intelletto la vista. Oggetto della vista la luce, oggetto dell'intelletto la verit. Luce e verit sono quasi sinonimi; la loro analogia corre sul filo di una stretta corrispondenza di significati. Significati le cui proporzioni non vanno dimenticate: la verit infatti una luce ben pi importante della vista, cos come l'errore una tenebra ben pi temibile e tragica che non la cecit. Vivere nella verit vivere nella luce, e per essere figli della luce occorre farci discepoli di Cristo. Perch Cristo " la Verit". Noi non saremo mai abbastanza grati a Dio per averci donato Ges Cristo, "luce del mondo". Senza di Lui, senza la sua verit - la verit che viene da Dio - non ci rimangono che i lumi fumiganti del nostro intelletto, povere lanterne che non valgono a illuminarci il cammino. Deve starci a cuore la strada della luce: non solo la luce della vista, ma anche la luce dell'intelletto e ancor pi la luce della fede. Nella luce della vista riverberano le forme, le figure, i colori delle cose; nella luce dell'intelletto riverberano le sostanze, le essenze, l'essere delle cose, la loro verit; nella luce della fede riverberano il volto di Dio e le sue meraviglie. "Vedere" perci un termine che si applica sia alla vista che all'intelletto, alla Fede come alla Gloria (quella Gloria che "visione" beatifica: "in lumine tuo videbimus lumen, nella tua luce vedremo la luce)". 215 Dunque, la "strada della luce": dalla luce degli occhi, alla luce dell'intelletto, alla luce della fede, alla luce della gloria; l'ineffabile, inebriante itinerario dell'uomo. Inutile dire che se non raggiungiamo la meta: la Luce trinitaria, sorgente di ogni luce, il nostro itinerario resterebbe incompiuto, e sarebbe il fallimento. Abbiamo accennato alla gloria del cielo, abbiamo anche parlato della fede
211 212 213 214 215

Cammino n. 6 Salmo n. 94,8 Salmo 18,4 Mt. 10,27 Salmo n. 35,10

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come itinerario della nostra vita terrena, e ci fermeremo tra poco sulla conoscenza intellettuale. Rimane la conoscenza visiva, che la forma pi elementare di approccio al mondo sensibile; essa coglie del mondo la figura e il colore, e perci il suo un mondo notevolmente ridotto e limitato; sfuggono le profondit di mistero e la valenza trascendente in esso nascoste, che si rivelano soltanto alla luce della fede. Quando manca questa luce si rimane prigionieri di un mondo povero di significati, il mondo di tanti ecologisti che hanno solo la luce della vista e per i quali il mondo semplicemente l'ambiente di vita e di benessere per l'uomo e tutt'al pi stimolo per emozioni scientifiche o turistiche. Rimane invece vero che la bellezza del creato apre davanti agli uomini il ventaglio dei suoi splendori che riempiono gli occhi e deliziano la vista e si presenta come un meraviglioso codice dove Dio ha scritto a caratteri d'oro e con miniature splendide il suo Nome, la sua potenza, la sua sapienza, il suo splendore. Gli occhi sono come finestre, possiamo dilatarle con lo stupore e far entrare dentro di noi la luce del creato perch inondi la nostra mente e la nostra anima. Ma pu accadere anche che a queste finestre si affacci la nostra vana curiosit, le nostre voglie malsane, la nostra triste avidit e il nostro io con le sue vampate di gelosia, di rabbia, di arida indifferenza. Gli occhi sono allora brecce per le nostre fughe, passaggi segreti per le nostre complicit. David passato attraverso di loro per i suoi appuntamenti con il tradimento e con l'omicidio. Del resto Ges ci ha ammoniti: "Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha gi commesso adulterio con lei nel suo cuore". 216 Dobbiamo trasformare i nostri occhi in sentinelle che proteggano il nostro cuore e ne custodiscano la fedelt. Gli occhi non servono solo per vedere, essi anche rivelano. Mai un luogo comune stato cos vero: "gli occhi sono lo specchio dell'anima". Il nostro comportamento pu mentire ma gli occhi non mentono. Lo sguardo un testimone diretto dell'anima; ha il suo stesso linguaggio. Degli occhi si soliti dire che piangono, ridono, sono tristi, brillano, sono tenebrosi o limpidi, pieni di stupore, di attesa, di terrore, di dolcezza, di tenerezza, di rabbia, ecc., esattamente come si parla dell'animo. Quando una persona semplice, pulita, sincera, i suoi occhi sono trasparenti, luminosi, accoglienti; lo sguardo di un animo contorto difficilmente regge a lungo alla finzione. Gli "occhi di sfinge", impenetrabili, enigmatici, appartengono alla leggenda, difficilmente alla realt, mentre gli occhi di ghiaccio, che non lasciano trapelare alcuna emozione sono occhi disumani, nascondono la morte. Cos, occhi ambigui sono gli occhi sfuggenti, che temono l'incontro degli sguardi, occhi da temere quando nascondono ipocrisia o doppiezza, ma occhi che chiedono rispetto quando esprimono pudore e nascondono l'intimo disarmo della propria fragilit. Ancora: una meraviglia dal fascino incontenibile sono gli occhi dei bambini, un meriggio ardente, pieno di sole gli occhi degli innamorati, un grido di piet gli occhi velati di un morente, occhi spenti dai quali la vita sta fuggendo e viene la notte. Ma un dono prezioso, una grazia, sono gli occhi che sanno piangere; gli occhi capaci di lagrime sono gli occhi pi umani, perch capaci di gioia, di dolore, di pentimento, di contrizione; capaci d'amore. E finalmente una vera beatitudine sono gli occhi che sanno "vedere" Dio e cercare le sue orme: "Beati gli occhi che vedono quello che voi vedete" (...) E' un vedere ancora velato perch le orme di Dio nella natura e nella storia non sono ancora il volto di Dio, sono "specchio e mistero" - speculum et aenigma - , e lo stesso volto di Ges, il volto pi amabile tra tutti i figli dell'uomo, il volto "che molti re e profeti desiderarono di vedere", il volto che, trasfigurato sul Tabor, ha inebriato di luce gli occhi di Pietro e di Giovanni, il volto che, sfigurato dal dolore e dall'offesa, mani dolenti e innamorate hanno accarezzato di piet e di tenerezza, quel volto
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Mt. 5,29

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ancora il volto umano dell'Unigenito, "che nel seno del Padre" e che nessuno ha mai visto, ma anche il volto che accende in noi il desiderio e tiene viva l'attesa per il giorno della sua rivelazione, "quando i nostri occhi vedranno il suo volto, e noi saremo simili a lui, e canteremo per sempre la sua gloria". 217

121 - La sensibilit interiore.


Accanto ai sensi esterni e alla loro attivit che fornisce notizie e innumerevo li dati conoscitivi sul mondo esterno, abbiamo accennato all'esistenza di una sensibilit interiore dove si accumula un'enorme quantit di dati e di esperienze che vanno dalla percezione particolare e globale della nostra corporeit, alla percezione degli stimoli istintuali ed emotivi, fino alla percezione degli stati o modi di essere dell'io sotto forma di sentimenti, di stati d'animo e di affezioni psichiche superiori. E' un mondo estremamente complesso, difficile da definire e nel quale sensi, fantasia e memoria hanno ciascuno un ruolo di fondamentale importanza; il mondo che intelletto e volont hanno a disposizione per elaborare la loro attivit conoscitiva. La strada della conoscenza, che parte dal mondo esterno attraverso i sensi, passa necessariamente attraverso questo mondo interiore che filosofi e psicologi hanno analizzato e studiato sempre pi profondamente. Del resto, facile comprendere quale importanza assumono la ricchezza, la vastit e l'intensit dei dati sensibili e delle corrispondenti sensazioni, quale substrato necessario all'attivit dell'intelletto. Una natura corporea ricca di sensibilit, cio capace di cogliere gli infiniti particolari presenti nell'aspetto esteriore del mondo, dotata di una fantasia fertile, duttile e vivace, che sappia elaborare la pi ampia variet di fantasmi, fortemente emotiva in grado di far vibrare intensamente tutta la gamma di sentimenti, sostenuta da una memoria ferrea che coglie prontamente e trattiene tenacemente il ricordo delle sensazioni e delle immagini, una natura siffatta un con-principio ideale per una attivit intellettuale ampia e feconda. Essa va curata, dominata e affinata come si conviene ai doni di Dio, dei quali dobbiamo rendere conto sapendo che non dobbiamo sprecarli inutilmente o malamente. Quanto alla fantasia, essa merita un discorso a parte. Qui basti ricordare la sua caratteristica specifica: la creativit. Collocata tra i sensi e l'intelletto e a loro collegata, la fantasia si muove con straordinaria libert dialogando a tutto campo con ciascuna delle nostre facolt. Cosa sarebbe il mondo dell'arte - si pensi alla musica, alla poesia, alle arti figurative - senza la fantasia e l'immaginazione? Tutta l'attivit estetica, il mondo dell'immaginario, del fantastico, del meraviglioso, il mondo dei sogni sparirebbe nel buio dell'immobilit e dell'afonia. Quando poi l'attivit della fantasia si coniuga con l'emotivit, le risorse del nostro mondo sensibile possono diventare enormi, esplosive, e possono offrire all'intelletto un mondo senza confini, sempre in espansione, mai esaurito nella sua profondit. I Santi, come i poeti, hanno avuto grandi intuizioni e viva immaginazione.

122 - Sensibilit e responsabilit.


Tuttavia a noi importa, qui, l'aspetto di connessione tra la sensibilit e la vita interiore, e come abbiamo fatto con i sensi esterni vediamo ora l'impatto che possono avere, soprattutto le espressioni superiori della sensibilit, nella vita dello spirito. Non c' dubbio che la conquista del nostro mondo interiore e il dominio su di esso configura la nostra maturit umana; quanto pi l'intelletto guadagna in chiarezza e
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Preghiera Eucaristica III

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quanto pi la volont estende la sua presenza nel mondo della sensibilit, tanto pi lo spirito afferma la propria trascendenza, la propria perfezione intellettuale, morale e spirituale. Tutto il materiale psichico del nostro mondo interiore, che costituisce gran parte di quello che normalmente chiamiamo "il nostro animo", - si parla di stati d'animo, di moti dell'animo, di sensibilit d'animo, di sentimenti dell'animo ecc. - il luogo immediato nel quale si muovono le nostre facolt spirituali, le quali per hanno su di esso un dominio limitato e relativo. Si dice infatti che noi possiamo esercitare un controllo soltanto "politico" sul nostro mondo interiore. Ci significa innanzitutto che noi non possiamo impedire il sorgere dei moti della sensibilit. Posso "sentire" antipatia o simpatia senza volerlo, posso "sentire" invidia, avversione o attrattiva per una persona senza volerlo, cos come, senza volerlo, posso "sentirmi" arido, svogliato, irritato, gioioso o depresso, felice o scontento, e ancora senza volerlo, posso provare entusiasmo, malanimo, piacere, affetto (innamorarmi) ecc. Tutti questi moti della sensibilit, in s stessi, non hanno ancora un significato morale, non sono passibili di responsabilit - si dice infatti "sentire non acconsentire" - e perci non sono ancora n virt n peccato. Abbiamo detto "in s stessi", perch la responsabilit pu esserci nella loro causa, quando cio abbiamo provocato o lasciato che vengano provocati questi moti. Oggi, ad esempio, il mondo della nostra sensibilit , come non mai, sotto un pesante influsso dei mezzi di comunicazione sociale, sui quali siamo chiamati ad esercitare un controllo sia di filtraggio che di critica. Conosciamo bene il potere e la forza che, attraverso tecniche sempre pi sofisticate, questi mezzi esercitano sui sensi, sulla fantasia e sulle emozioni di innumerevoli folle di spettatori, cos da diventare la fonte pi importante e insieme pi efficace di messaggi e di stimoli. Da ci la tremenda responsabilit connessa all'uso dei mezzi di comunicazione sociale: dal linguaggio, agli scritti, agli audiovisivi. Quando si dimentica che sono mezzi, e che dovrebbero servire la verit, la crescita civile e morale della societ, e invece si usano come fine a s stessi, o peggio, come strumenti a servizio della menzogna, degli interessi ideologici o di parte, del guadagno ad ogni costo, e tutto in nome di un presunto "diritto di informazione", allora i mezzi di comunicazione diventano uno dei peggiori nemici dell'intelligenza, una delle maggiori cause del degrado intellettuale e culturale della societ. Quanti delitti contro la giustizia, l'onore, la verit, commessi da giornali, riviste, servizi televisi, e dagli altri mezzi di comunicazione, delitti rimasti impuniti, vergognosamente protetti da coperture politiche o da omert professionale, e ipocritamente giustificati come servizio alla societ! Di fronte ad essi dobbiamo esercitare la libert di non usarli o di filtrare i loro messaggi non solo per proteggere la nostra serenit interiore ma anche per non cadere nel pericolo di colpevoli complicit. Altrettanto importante, per guadagnare spazio alla coscienza, sviluppare di fronte al mondo della sensibilit l'intervento critico della nostra ragione; occorre razionalizzare i nostri stati psichici per non restarne condizionati o peggio per non rimanere vittime della loro oscura irrazionalit con le conseguenze di confusione, di inquietudine, di ansia o di paura che ne derivano e che sono spesso strada alla nevrosi. Dobbiamo mantenere il pi possibile luminoso il nostro mondo interiore con una sana intelligenza coadiuvata dalla luce soprannaturale della fede. Non si tratta dunque di sopprimere la sensibilit, di spegnere i moti interiori e le passioni, come vorrebbero certe dottrine mistiche delle religioni orientali; le nostre energie psichiche, soprattutto le passioni, sono forze importanti per la nostra vita, sono una vera ricchezza per la nostra personalit. I grandi uomini, anche i santi, ebbero grandi passioni. Anzi possiamo dire che gran parte del nostro impegno morale sta nel dominare le passioni e trasformarle in virt. E' il cammino dell'ascetica cristiana. 114

123 - Finezza danimo


Questo lavoro ascetico ci porta ad affinare la sensibilit, soprattutto a curare il mondo dei sentimenti e degli affetti nel rapporto con gli altri. A volte la finezza d'animo frutto di doti naturali, legate al carattere oppure ad un senso spontaneo di altruismo, ma non c' dubbio che la finezza dell'animo tanto pi autentica quanto pi nasce dalla purificazione dei sentimenti da ogni forma di egoismo. La preoccupazione di s stessi impedisce l'attenzione verso gli altri e indurisce la sensibilit. C' poi una virt che pi di ogni altra affina i moti dell'anima, la virt della mansuetudine. La mansuetudine infatti, da una parte purifica i nostri sentimenti da ogni aggressivit e da ogni asprezza, e dall'altra ci rende capaci di avvertire i messaggi che ci giungono dal mondo interiore degli altri e di cogliere il loro linguaggio personale. Spesso si tratta di segni di piccola entit: il tono della voce, i gesti, l'espressione del volto e tutte le forme del linguaggio sonoro-visivo di una persona il cui significato e la cui profondit sono percepibili solo l dove c' finezza di attenzione. Sta di fatto che una delle accuse che nessuno vorrebbe sentirsi dire quella di essere una persona insensibile, chiusa alle vicende altrui, incapace di avvertire le situazioni delle persone e di partecipare alle loro sofferenze, alle loro difficolt e alle loro gioie. Mancare di sensibilit, avere un animo arido o duro sinonimo di disumano. Se pensiamo all'ampiezza della nostra vita di relazione, la famiglia, gli ambienti di lavoro, le attivit pubbliche e sociali, le amicizie ecc., ci rendiamo conto di quale importanza abbia la sensibilit d'animo per la nostra capacit di dialogo e di convivenza. Prendiamo l'ambiente della famiglia: la sensibilit d'animo ci render capaci di tanti gesti di servizio, di attenzione a tante piccole cose che hanno il segno della gratuit e che rendono gradevole la vita agli altri: il sorriso amabile, il comportamento allegro e ottimista, dettagli di pazienza, di ordine, di delicatezza. Anche nella convivenza coniugale i coniugi cristiani, mentre non devono temere di dirsi con gesti di tenerezza e con espressioni di affettuosa intimit che si vogliono bene, devono anche affinare la loro sensibilit, devono curare quella nobilt d'animo e finezza di sentimenti che impediscono al loro amore di degenerare in volgarit, dove non hanno pi senso n il valore della persona, n la gratuit del dono.

IL SENSIBILE NELLA LITURGIA


124 - Il rito sacramentale.
Ma c', nell'esperienza sensibile un aspetto che riveste una fondamentale importanza: la sua dimensione simbolica. Il simbolismo fa parte del linguaggio delle cose, e fa parte anche del linguaggio umano. La parola, infatti, segno del pensiero. Del resto non dobbiamo dimenticare che tutto il mondo materiale ha il carattere di "segno". Le cose hanno una loro verit "letterale", una consistenza ontologica che va rispettata e alla quale l'intelletto accede attraverso il dato sensibile, ma anche hanno una loro verit "simbolica", verit-mistero, hanno cio una valenza trascendente che rimanda ad altre verit, in ultima analisi rimanda al mistero di Dio; di quelle verit 115

Dio stesso si serve per rivelarsi all'uomo. Il capitolo sul simbolismo che caratterizza tutta la realt visibile e trova nel linguaggio umano la sua espressione pi alta e originale, costituisce uno dei capitoli fondamentali dell'antropologia attuale. Ma un campo dove il linguaggio simbolico assume particolare importanza il campo della religiosit umana che, per noi cristiani, ha nei Sacramenti e nella Liturgia della Chiesa la sua espressione pi importante. La Liturgia, infatti, si serve di riti fortemente simbolici; essi attraverso lo splendore del loro linguaggio sensibile parlano all'intelligenza e con l'efficacia della loro azione soprannaturale operano nell'anima. Non c' dubbio che nella Liturgia della Chiesa, soprattutto nella liturgia sacramentale, il linguaggio simbolico raggiunge l'apice dello splendore e della completezza. Basterebbe scorrere la terminologia usata nei testi liturgici per rendersi conto della ricchezza e variet di significati simbolici che essa contiene. Ma soprattutto nella struttura del rito sacramentale che il linguaggio dei segni assume un ruolo fondamentale. Infatti, gi come segno "sensibile" il rito sacramentale si presenta costituito da materia, forma e ministro. La "materia" del Sacramento sono le cose materiali che si usano nel rito; esse sono significative degli effetti spirituali operati dal Sacramento. Cos, il pane e il vino sono "materia" dell'Eucaristia e sono significativi del Corpo e del Sangue di Cristo; in quei segni sacramentali egli si render presente realmente e sostanzialmente. Cos l'acqua battesimale, che segno della purificazione dal peccato e della nascita alla vita divina, costituisce la materia del Sacramento del Battesimo, e proprio mediante l'acqua il Battesimo produce realmente i suoi effetti spirituali. E la stessa cosa si potrebbe dire degli altri Sacramenti. Ma necessario che la materia diventi sacramento per produrre realmente quello che significa; per questo occorre l'intervento di Cristo. Per opera dello Spirito Santo e a mezzo del ministro, Cristo d forza soprannaturale alle parole che il ministro pronuncia. Sono le parole che chiamiamo "forma" del Sacramento perch trasformano la materia, che prima era solo segno significante, in segno efficace della Grazia. I Sacramenti sono dunque interventi di Dio nella nostra anima, sono azioni di Cristo che, attraverso il rito sensibile, ci comunica la salvezza. Essi sono stati affidati da Cristo alla sua Chiesa, e perci soltanto lei pu intervenire sul rito, sia per conservare la significanza originaria dei gesti e dei segni, sia per impedire che esso fossilizzi nella sua struttura e diventi illeggibile nel mutevole linguaggio simbolico dei vari popoli e delle varie culture. Dunque: cose materiali, gesti, parole pronunciate dal ministro, costituiscono l'aspetto fortemente sensibile della liturgia, la quale, attraverso il rito, ha lo scopo di muovere l'intelligenza alla fede e di disporre l'anima a ricevere la grazia. In nessun altro campo della vita umana, la conoscenza sensibile chiamata ad un ruolo cos alto e importante come questo che riguarda il culto di Dio e la salvezza dell'uomo. Tutto questo giustifica l'atteggiamento della Chiesa che sempre stato di grande rispetto e di gelosa attenzione verso i segni e i riti della Liturgia. Essa, con grande sensibilit, finezza umana e soprannaturale, ha sempre coniugato la solennit e la preziosit di quanto concerne la liturgia con la semplicit e il rigore, senza mai cedere alla sciatteria, al cattivo gusto o alla volgarit. Esiste un linguaggio liturgico che va rispettato e non pu essere aggiornato col politichese o con il gergo giornalistico; cos come esiste un canto liturgico ben definito come genere musicale e che non pu essere mutuato dai cantautori o scambiato con i repertori da discoteca. Esiste infine una suppellettile liturgica e un abbigliamento liturgico la cui semplicit e linearit non deve impedire la solennit e la preziosit decorativa.

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125 - Liturgia e fede.


La liturgia deve parlare ai sensi, ma con un linguaggio che raggiunge il cuore e l'intelligenza per aprirli alla fede e all'incontro con Dio. La Liturgia ha sempre svolto in questo senso un importante ed efficacissimo lavoro di catechesi. Anche qui: fides ex auditu, la fede dipende dalla predicazione e perci passa attraverso i sensi. Ges stesso stato, sotto questo aspetto, un finissimo pedagogo. Le parabole del suo Vangelo, le immagini, i simboli, i riferimenti a cose concrete che sono abitualmente sotto gli occhi di tutti e che appartengono alla vita reale di tutti i giorni, sono l'ingrediente didattico costante nella sua predicazione. Questo criterio seguito da Ges nel suo insegnamento, stato da lui adottato in modo ancor pi evidente nella istituzione dei Sacramenti: in essi, come abbiamo visto, la struttura rituale rispetta e si armonizza con la nostra natura di esseri umani, spirituali e corporei insieme, e inoltre i segni, le cose, i gesti usati nel rito sacramentale sono cos semplici e naturali da essere universali; hanno cio un linguaggio accessibile agli uomini di tutti i tempi e di tutte le culture. La Liturgia non dunque un insieme di cerimonie esclusivamente commemorative alla maniera delle ricorrenze umane. Essa celebra e attualizza i gesti compiuti da Dio stesso nella storia della salvezza, dall'Antico Testamento fino all'evento salvifico culminante: Ges Cristo. Si continua cos nel tempo in un modo assolutamente nuovo e unico, in un modo appunto sacramentale, la Storia Sacra coniugata con la storia profana, la storia di Dio e la storia degli uomini; esse sintrecciano fino a costituire il grande poema dei "magnalia Dei", le meraviglie di Dio. Per questo la Liturgia non pu mai essere alla merc di celebrant i improvvisatori o di assemblee che si ritengono ispirate, non dovr mai scadere nella banalit di certe iniziative individuali; al contrario, si ispirer alla solennit, alla intensit poetica e alla drammaticit degli eventi compiuti da Dio per la salvezza degli uomini. Non facile capire fino in fondo il significato della Liturgia e il valore dei Sacramenti, ma se non arriviamo a questa comprensione difficilmente potremo capire il mistero di Cristo e della Chiesa, e comunque, non sar possibile la vita cristiana. Come la fede passa attraverso i sensi con la predicazione - fides ex auditu - cos la Grazia passa attraverso segni materiali e sensibili con i Sacramenti. E' facile trovare in persone "intellettuali" una certa ritrosia, una difficolt psicologica a partecipare ai Sacramenti. Considerano il rapporto con Dio un fatto di pura ragione, unattivit riservata soltanto allo spirito, e relegano i Sacramenti, e in genere tutte le forme rituali, tra le espressioni di una religiosit immatura ed elementare, adatta al popolo. Sono coloro che, nell'antichit, si scandalizzavano dell'Incarnazione e ritenevano indecoroso per il Figlio di Dio prendere un corpo materiale nel grembo di una donna, cos come i "segni" compiuti da Dio nell'Antico Testamento per indicare la salvezza da Lui operata, sono giudicati come forme popolari di intendere ed esprimere la potenza di Dio. Invece, "Beati gli occhi che vedono ci che voi vedete" - dir il Signore. 218 Senza dubbio Ges allude qui alla beatitudine dell'anima, e gli "occhi" sono le facolt spirituali mediante le quali "vediamo" il mistero divino che presente e che opera in Cristo, quel mistero che Re e Profeti hanno atteso per secoli e per il quale Abramo "esult di gioia nel vederlo" realizzato.

218

Lc. 10,23

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126 - La conoscenza sensibile nella Vita Eterna.


Tuttavia, l'espressione di Ges che stata citata troppo concreta e troppo materiale per non vederci anche un significato corporeo e sensibile. Circola un detto popolare che "Anche l'occhio vuole la sua parte". E' perci lecito e anche coerente pensare ad una felicit propria dei sensi quando essi percepiscono l'aspetto sensibile delle persone e delle cose amate, le loro qualit fisiche ed estetiche. Pensiamo alla gioia fisica di chi, vittima di un sequestro, dopo mesi di prigionia nel buio di una cella esce alla luce; non solo i suoi occhi, ma anche la sua pelle, i suoi muscoli, tutto il suo corpo vibra come se esultasse immergendosi nella luce, nella brezza, nel sole. E' una gioia fisica che sarebbe pi giusto chiamare "piacere", perch uno stato di benessere sensibile, diffuso, che, in certo modo, possiamo definire, gioia. Quante volte stato detto che il volto della persona amata delizia dei nostri occhi, cos come la carezza, l'abbraccio, il profumo della persona che si ama, d un senso di appagamento sensibile, come se un fremito di gioia percorresse il nostro corpo. Del resto, tutti conosciamo le struggenti invocazioni dei salmi: vultum tuum, Domine! Il tuo volto, o Signore, io cerco , il tuo volto! Non c' dubbio che nella vita eterna anche i sensi parteciperanno alla felicit dell'anima. Una luce e una bellezza nuove inonderanno l'universo, il volto divenuto splendido delle persone amate e le loro sembianze trasfigurate dalla gloria contribuiranno alla nostra felicit sostanziale, quella cio data dalla contemplazione del volto di Dio e dall'essere immersi nella luce della sua vita divina. Conosceremo la vera "estasi dei sensi" i quali saranno capaci di percepire la nuove qualit dei corpi glorificati. I colori, le melodie, le forme dell'universo glorificato si dispiegheranno ai nostri sensi in unesaltante sinfonia di felicit. Cesseranno, si, i piaceri sensibili legati alla nostra condizione terrena: quelli della sessualit, essendo essa finalizzata alla riproduzione per la conservazione della specie, e quelli della tavola, essendo il cibo legato alla nutrizione secondo il ciclo biologico del nostro organismo. "Alla risurrezione, .- disse Ges - non si prende n moglie n marito, ma si come angeli nel cielo". 219 Ci saranno invece sensazioni nuove, sublimi, indescrivibili, proprie di una sensibilit trasfigurata, che non conosce pi la precariet, i condizionamenti, le innumerevoli limitatezze della attuale condizione terrena. San Paolo ci ricorda: "quelle cose che occhio non vide, n orecchio ud, n mai entrarono in cuore d'uomo, queste Dio ha preparato per coloro che lo amano". 220

SENSI E INTELLETTO

127 - Conoscenza sensibile e conoscenza intellettiva.


Ma torniamo alla nostra condizione attuale. Dopo aver visto il ruolo e l'importanza della conoscenza sensibile, giova ora vederne i limiti che possono diventare un pericolo alla vita dello spirito. La conoscenza sensitiva comune agli uomini e agli animali, ma negli uni e negli altri essa possiede una struttura e un
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Mt. 22,30 1 Cor. 2,9

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significato diversi. Nell'animale la conoscenza sensibile ha una struttura chiusa, cio fine a s stessa, legata agli istinti della conservazione dell'individuo e della specie. Essa raggiunge le cose nella loro materialit, nella loro forma esteriore e nel loro aspetto particolare. Nell'uomo la conoscenza sensibile ha una struttura aperta, finalizzata alla forma pi alta di conoscenza, quella intellettiva. La conoscenza sensibile dunque una via di passaggio; attraverso di essa le cose del mondo materiale entrano in noi e trasformate nelle rispettive immagini, vengono offerte all'intelletto. Esso le "legge" in profondit, (intus-legit) e raggiunge ci che di universale ed essenziale esse contengono. Dire che la nostra conoscenza sensitivo-intellettiva significa dunque affermare che c' continuit fra la conoscenza sensibile e la conoscenza intellettuale ma non identit. La conoscenza sensibile una conoscenza materiale, quella intellettuale una conoscenza immateriale. E', questa, una conseguenza e perci anche una prova che l'anima dell'uomo una sostanza non materiale di natura intellettuale. Perci dicevamo che l'intelletto umano una "scintilla" divina, una luce interiore che rende l'essere umano autotrasparente. Al contrario, la conoscenza dei sensi , per sua natura, limitata e superficiale, e la nostra stessa sensibilit interiore, cio il mondo dei sentimenti e degli stati d'animo, rappresenta la zona periferica della nostra persona. Queste caratteristiche possono nascondere qualche insidia per la nostra vita interiore. Se, ad esempio, la conoscenza sensibile non si apre alla intenzionalit oppure se la nostra sensibilit si chiude e si ripiega su s stessa, allora il livello della nostra vita spirituale va progressivamente abbassandosi, fino ad immiserirsi in una vita "animale". Chi poi possiede una sensibilit esuberante, una istintivit prepotente, ha bisogno pi degli altri di esercitare l'intelligenza, di curarla e di fortificarla. Il prevalere degli istinti e dell'emotivit si verifica pi facilmente l dove l'intelligenza povera, o si fatta debole. Spetta certamente alla volont dominare la sensibilit e le forze istintuali, ma la volont la facolt operativa propria dell'intelligenza (i filosofi la chiamano "appetito razionale"); per cui non esistono volont "deboli" o "forti", ma volont debolmente o fortemente illuminate e orientate dalla "forza" spirituale dell'intelletto.

128 - Il sub-cosciente e la vita dello spirito.


Nel mondo animale gli istinti e gli appetiti naturali sono fondamentalmente ordinati in s stessi e autoregolati. La natura animale, infatti, ha le sue leggi con s e l'animale ne condizionato, le segue deterministicamente e ciecamente. Nell'uomo, invece, il complesso mondo dove agiscono i sensi e gli istinti, un mondo acefalo, non ha in s stesso le leggi per autoregolarsi e comporsi nell'ordine suo proprio. La sensibilit infatti e le forze che da essa dipendono, vengono ordinate dall'intelletto, hanno nella ragione il loro principio ordinatore. Perci in noi il mondo della sensibilit con le sue spinte quello che maggiormente risente del disordine introdotto nel mondo dal peccato. Inoltre se pensiamo che non tutte le sensazioni, non tutti i moti della istintivit e nemmeno tutte le esperienze emotive arrivano al livello della coscienza e perci sfuggono al controllo diretto delle nostre facolt spirituali - intelletto e volont -, ci rendiamo conto a quale spessore pu arrivare il nostro subcosciente dove vanno accumulandosi le cose pi disparate, spesso conflittuali, dai contorni sempre inafferrabili ed oscuri. Si va formando cos, una specie di "cantina" dell'anima, abitata, come tutte le cantine, dagli esseri pi strani: spettri, fantasmi, ragni, topi, pipistrelli... E quando questi abitatori della nostra cantina interiore si muovono, litigano o si scatenano, il loro rumore pu arrivare a disturbare tremendamente i piani superiori della nostra personalit dove gi pu essere problematico e faticoso il 119

dialogo tra le facolt spirituali e i vari contenuti della coscienza. Nei casi patologici, che qui non ci riguardano, indispensabile il lavoro del medico-psicologo. Ma anche nella condizione normale necessario un paziente e deciso lavoro spirituale affinch tutto il nostro mondo sensitivo-emotivo sia illuminato da una retta intelligenza e dominato da una sana volont. Non quindi lecito abbandonare a s stessi i sensi e gli istinti perch sarebbe condannarli al disordine e al caos. Razionalizzare il nostro mondo sensitivo-emotivo - lo abbiamo gi ricordato - non signfica spegnerlo, neutralizzarlo o peggio sopprimerlo come avviene in certe filosofie pagane, come lo stoicismo, o in certe correnti asceticomistiche delle religioni orientali. Le "passioni", dicevamo, sono una forza della nostra natura e costituiscono una ricchezza della nostra personalit. S.Giovanni, S.Paolo, S.Agostino, Francesco D'Assisi, Teresa D'Avila, Ignazio di Loyola, Caterina da Siena e tanti altri sono state anime grandi anche perch sostenute e pervase da grandi passioni. Le forze vanno dominate, incanalate e orientate, non soppresse. Pensiamo alla regina di tutte le passioni: l'amore. Intendiamo qui l'aspetto sensibile ed emotivo dell'amore; l'amore infatti una virt dello spirito: si ama con l'anima, ma essa coinvolge profondamente e a volte tempestosamente il mondo della sensibilit, fa cio risuonare pi o meno intensamente il cuore. "Ora, il nostro cuore nato per amare, e quando non gli viene dato un affetto puro, limpido e nobile, si vendica e si riempie di miseria. (...) E' una pena non avere cuore. Sono infelici quelli che non hanno mai appreso ad amare con tenerezza. Noi cristiani siamo innamorati dell'Amore: il Signore non ci vuole freddi, rigidi, come materia insensibile. Ci vuole impregnati del suo affetto".221

129 - Sensibilit e libert.


Quando l'intelletto debole perch povero o perch non coltivato, gli viene a mancare la forza di seguire la sua natura trascendente e finisce inevitabilmente prigioniero dei sensi e degli stati d'animo o addirittura viene imbrigliato dagli istint i bruti; e la sua condizione diventa miserevole. Narra il Beato Josemaria Escriv di aver visto un giorno "un'aquila chiusa in una gabbia di ferro. Era sporca e spennacchiata; aveva tra gli artigli un pezzo di carne putrida... Sentii pena per quell'animale solitario e prigioniero che pure era nato per volare in alto e guardare faccia a faccia il sole". 222 Egli applica questa immagine alla nostra anima quando resta prigioniera della mediocrit, quando restringe i suoi orizzonti a prospettive puramente terrene, banali, mondane. Ma potremmo anche pensare alla condizione della nostra intelligenza quando rimane prigioniera dei sensi, ingabbiata dagli istinti, insabbiata nella sensibilit. L'intelligenza in queste condizioni "un'aquila spennacchiata" incapace di formulare il minimo slancio verso le vette del pensiero e verso le altezze dello spirito; si ciba di carni putride: errori, menzogne, ideologie mondane che proliferano i germi della violenza e della rivoluzione; si riduce torpida, con le pupille inferme e velate, incapaci di fissare il sole della verit, di penetrare la luce della contemplazione. E' questa, purtroppo, la condizione intellettuale di tanta gente del nostro tempo, di tanti "intellettuali" che hanno perduto la vera libert di pensiero, irretiti dentro una visione puramente materialistica della vita, o condizionati dalla mentalit edonistica e consumistica. I sensi sono buoni testimoni della realt delle cose, ma non della loro verit. E quando l'intelligenza si lascia condizionare dalla sensibilit e domanda ad
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Beato J. Escriv, Amici di Dio, n. 183 Beato J. Escriv, E' Ges che passa, n. 11

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essa il giudizio di verit, abdica alla sua funzione e apre la strada al soggettivismo pi banale. Tanti slogans che corrono nel linguaggio della cultura attuale, (esaltante!.. sensazionale! ...eccitante!...ecc.) sono espressioni di questo atteggiamento. E' importante - si dice - non che una cosa sia vera, ma che sia "sentita". Spesso si usano i due termini: "vera" e "sentita" come sinonimi; una cosa vera quando sentita. Ha qui la sua radice il fanatismo collettivo, (vedi i concerti rock), ed questo il criterio di tanti falsi giudizi di valore che dominano la mentalit corrente.

130 - Sensibilit e giudizio morale.


A questa situazione di condizionamento intellettuale che mortifica la nostra intelligenza corrisponde una situazione di schiavit morale che condiziona la nostra coscienza. Compito della coscienza giudicare in concreto sul bene e sul male, cio applicare al nostro comportamento il criterio della legge morale. Ora il giudizio un atto proprio dell'intelletto e quando l'intelletto perde la sua libert originaria, il suo giudizio rester condizionato da criteri estranei alla legge morale. La legge morale emanazione della verit delle cose (legge naturale), e non pu essere sostituita dal criterio soggettivo della sensibilit. In tal caso, la coscienza scade dal suo ruolo di luce interiore, di guida sicura e affidabile nella vita morale, subisce la violenza delle forze inferiori, cieche e disordinate, o viene sostituita dagli stati emotivi e dalla sensibilit. Ci ricordiamo delle parole di Ges: "Se la luce che in te tenebra, quanto grande sar la tenebra!" 223 Perci, presupposto necessario perch la nostra intelligenza attinga la verit e la nostra coscienza colga il bene morale, la convizione che la verit e il bene sono categorie che trascendono l'esperienza sensibile e non sono riducibili a stati d'animo pi o meno intensi, legati alla nostra sensibilit. Le conseguenze di questo disordine le vediamo, ad esempio, nel campo del comportamento sessuale. E' convinzione diffusa, soprattutto nel mondo giovanile, che un rapporto sessuale non va giudicato in base a una legge morale ma in base alla sincerit dei sentimenti. Perci si pensa che un rapporto sessuale, quando sia un "atto d'amore" e fatto "per amore", va giudicato sempre lecito, anzi giusto, non importa se compiuto prima del matrimonio o fuori del matrimonio, e nemmeno ha importanza che quell'atto sia o no aperto alla vita, purch in quel momento ci sia la "sincerit" dell'amore. Questo un grave errore morale; e insieme un falso ideologico perch confonde la "sincerit dell'amore", che appartiene ai sentiment i soggettivi, con la "verit dell'amore" che appartiene alla natura delle cose. Da qui all'anarchia sessuale dei nostri giorni la strada aperta. Analogamente viene giudicato un atto mostruoso ed orribile torturare o strozzare un bambino in tenera et, (colpisce infatti intensamente la nostra emotivit) ma dilaniare un bambino nel seno materno con l'aborto, poich tutto avviene nel silenzio e nel buio del grembo materno per cui non viene offesa la nostra sensibilit (i medici si guardano bene dal mostrare alla madre i "resti" della sua creatura), viene giudicato un atto di libert e a volte un atto umanitario. Allo stesso modo, la preghiera, la partecipazione alla Messa, la Comunione eucaristica, quando non siano "sentite", cio accompagnate dal fervore sensibile e dal trasporto emotivo, vengono giudicate come una ipocrisia. E cos molte altre cose; esse appaiono pi o meno importanti secondo l'incidenza che hanno sulla nostra sensibilit.

131 - Sensibilit e religiosit.


223

Mt. 6,23

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Un pericolo analogo si pu verificare nella vita liturgica. Abbiamo ricordato quanta importanza abbia il rito sacramentale come segno sensibile; esso deve parlare ai sensi ma deve al tempo stesso raggiungere l'anima. Ogni sacramento costituito da un suo particolare rito liturgico, ma in quel rito si fa presente l'azione salvifica di Cristo che agisce nella nostra anima. Quando la nostra intelligenza poco formata nella dottrina o non sostenuta dalla luce della fede, facilmente perder di vista il mistero che si compie nel Sacramento e dar importanza esclusivamente al rito. Allora, una Messa che non sia "animata", "partecipata", "coinvolgente", pu lasciare indifferenti o perder molto del suo interesse. Il rito, pi che dirigersi all'anima per facilitare l'incontro con Dio, servir soprattutto per suscitare emozioni, provocare entusiasmi, appagare vanit. Allora si corre il rischio di non saper vedere ci che fa Cristo nella Messa, - Lui la Vittima, Lui il Sacerdote, Lui che fa di noi una "Chiesa che celebra" - ma di fermarsi esclusivamente a ci che fa l'assemblea, con i suoi strumenti, i suoi gesti, le sue azioni. Abbiamo gi detto che la Chiesa ha sempre dato molta importanza al rito liturgico ed ha avuto molta cura per il suo svolgimento, ora splendido e ora austero, ma sempre solenne; tuttavia, ci ricorda continuamente che nessun rito, per quanto intenso e commovente nella sua solennit, pu sostituire la nostra fede, e che l'efficacia e i frutti di un rito liturgico-sacramentale dipendono dalle disposizioni interiori di umilt, di fede, di purezza di coscienza e di amore di Dio che muovono colui che vi partecipa. Non dimentichiamo che nell'azione liturgica il rito un mezzo, e il mistero che vi si compie il fine. E quando il mezzo prende il posto del fine, non viene pi rispettata la verit delle cose e si apre la strada all'inganno e alla magia. La magia, infatti, attribuisce al rito ci che proprio di Dio, il suo intervento soprannaturale di salvezza. Allo stesso modo nascono la superstizione e il bigottismo, espressioni in cui il sensibile condiziona e soffoca la dimensione spirituale e soprannaturale della religiosit. E' necessario ridare forza all'anima, restituire ruolo all'intelligenza, sostenerla e illuminarla con la fede. E' necessario che la coscienza, integra e forte, riprenda il suo posto di garante della legge morale, di "voce di Dio" che si pone come guida nel nostro cammino, di luce che veglia sul nostro comportamento di esseri liberi, chiamati a realizzare la verit nel bene. Senza una intelligenza forte e una fede luminosa, senza una coscienza "libera", la visione materialistica della vita, che caratterizza la nostra cultura contemporanea, continuer ad imporre la tirannia dei sensi, il disordine delle passioni, la cieca violenza dell'edonismo. La liberazione dell'uomo comincia dalla liberazione della sua intelligenza, liberazione dall'ignoranza e dall'errore ma anche liberazione dalle ideologie e dal caos informe della sensitivit. Senza questa libert impossibile ricomporre l'ordine e l'armonia interiore dell'uomo.

132 - Verit delle cose e Verit dellintelletto.


Abbiamo visto che l'intelletto come il sigillo di Dio nell'uomo. E' una luce interiore con cui l'uomo illumina le cose e le pu cogliere nel loro essere e nella loro natura profonda, nella loro identit. Abbiamo anche visto che l'essere delle cose si identifica con la loro verit e perci la verit l'oggetto proprio dell'intelletto umano. Di conseguenza l'incontro reale della nostra intelligenza con la verit delle cose rende partecipe della verit stessa il nostro intelletto. C' dunque una verit nelle cose e una verit nell'intelletto. Quest'ultima per noi fondamentale perch riguarda la validit dell'itinerario conoscitivo della nostra intelligenza. La verit delle cose non dipende da noi, dipende invece da noi la verit dell'intelletto. L'adesione dell'intelletto alla verit delle cose un atto di assoluta importanza; da 122

esso dipende non solo la validit del nostro pensiero ma anche il senso che assumer la nostra vita e tutto il nostro comportamento su questa terra. Non la stessa cosa che la nostra esistenza scorra nella verit oppure nell'errore, nella luce o nella menzogna. Aderire intellettualmente alla verit delle cose non solo rende vera la nostra conoscenza ma permette l'itinerario della nostra mente verso Dio. E' percorrendo la strada degli esseri finiti che essa giunge all'Essere-senza limiti, a Colui che , senza principio e senza fine, Eterno, Onnipotente, Assoluto. Non solo, ma diventa anche possibile incontrare Dio in Colui che l'ha rivelato nel tempo e nella storia, il Signore Ges. Egli ha potuto affermare: "Io sono la luce del mondo, chi segue me non camminer nelle tenebre, ma avr la luce della vita". 224 Queste parole di Cristo sono la conferma che la verit dell'intelletto dipende da noi. Aderire alla Verit non un atto puramente conoscitivo, solamente intellettuale; esso coinvolge tutta la nostra persona, perci un atto morale. Si parla infatti di "culto della Verit". Il culto implica l'offerta della nostra libert a ci che le superiore, in definitiva l'omaggio della nostra persona a Colui che la Verit, la Verit somma e assoluta. Dicevamo, infatti, che Dio la pienezza della verit perch la pienezza dell'essere. Perci conoscere Dio e servirlo per l'uomo il massimo dell'onore e della grandezza, ed anche decisivo per il suo destino e per la sua felicit.

IL "TRIPLICE" INTELLETTO
A) INTELLETTO SPECULATIVO

133 - Che cos lIntelletto speculativo


Non c' dubbio che oggi, nella nostra cultura occidentale, la grande malata l'intelligenza. In tutte le epoche storiche, anche per le civilt come per l'individuo umano, l'oscurarsi dell'intelligenza sintomo di vecchiaia. Ormai da pi parti si sta invocando e pensando a una nuova civilt per il terzo millennio: dovr essere la "Civilt della Verit". E' ormai il momento di chiudere la nostra epoca, l'epoca triste della vecchia Europa: l'Europa delle ideologie, delle verit impazzite, del pensiero debole; l'Europa delle menzogne. Nel pensiero dell'apostolo S.Giovanni, l'apostolo della verit e dell'amore, ci che si contrappone alla verit non l'errore ma la menzogna. Perci, una rinascita della cultura occidentale non pu cominciare che dalla rinascita dell'intelligenza: occorre ricuperarla a s stessa e alla verit, occorre liberarla dalla sua condizione penosa e triste di "aquila spennacchiata", prigioniera tra le sbarre della falsit e della menzogna, e restituirla al suo ruolo primario nella vita della persona e della societ. La diagnosi clinica di questa illustre malata richiede una anamnesi di secoli che peraltro vari specialisti hanno gi fatto con ampiezza di ricerche e con rigore di competenza. Noi fermiamo l'attenzione su noi stessi, allo scopo di individuare eventuali contagi del male e adottare opportune terapie, perch conservare sana la nostra mente vale pi di ogni altro bene materiale o corporale. Per facilitare la nostra riflessione possiamo distinguere tre aspetti
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Gv. 8,12

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dell'intelletto umano secondo la triplice attivit che esso svolge, attivit che possiamo collegare, sul piano soprannaturale, alle tre virt teologali. Parleremo, dunque, di un intelletto ascendente per la sua attivit speculativa (intelletto speculativo): la sua forza la virt della fede; di un intelletto discendente per la sua attivit pratica (intelletto pratico): la sua forza la virt della speranza; di un intelletto "immobile" per la sua attivit contemplativa (intelletto contemplativo): la sua forza l'Amore. a) Intelletto speculativo. E' l'intelletto che svolge la sua attivit in ordine soprattutto alla conoscenza teorica. Nascono da questa attivit: le scienze, la filosofia speculativa e la teologia. E' l'attivit primaria dell'intelletto, che in questo caso abbiamo chiamato intelletto ascendente. Dicevamo che l'oggetto di questa conoscenza speculativa la verit, e la verit non ha limiti perch anche l'essere pi semplice, il pi limitato nella sostanza partecipa all'infinit dell'Essere, a Dio. Perci l'intelletto speculativo pu penetrare sempre pi profondamente nella natura delle cose e salendo la scala degli esseri arriva a perdersi nel mistero di Dio, nell'infinita grandezza della Verit. Ecco perch la caratteristica fondamentale dell'intelletto speculativo l'insaziabilit. Un desiderio insaziabile di conoscere, una sete mai spenta di indagare spinge l'intelletto umano a sempre pi luminose conquiste. L'insaziabilit speculativa, insieme al desiderio di felicit, una delle inquietudini pi nobili dell'animo umano, una insonnia invincibile dello spirito; perci una prova di tipo esistenziale ma validissima dell'esistenza di Dio e della spiritualit dell'anima. Questa nostalgia di sapere, questo bisogno di verit, l'uomo se lo porta dentro da sempre e se lo trascina dietro per tutta la vita. Ecco perch la carenza colpevole di intelligenza, intesa come rifiuto di usare l'intelletto, uno dei mali pi tristi e purtroppo pi diffusi del nostro tempo. Troppa gente non usa affatto l'intelligenza perch condizionata quasi totalmente dal consumismo conformista e dall'edonismo imperante che trovano i loro adepti pi sprovveduti e incolpevoli nelle masse giovanili, mentre contano i loro adepti pi tristi in larghi strati di adulti. Il vuoto interiore e la carenza di senso esistenziale sono prima di tutto un fallimento dell'intelligenza che, rinunciando alla nobile avventura della verit, ha portato, come conseguenza, ad una pusillanimit morale di fronte alla vita.

134 - Un nemico della fede: lignoranza


Il non uso dell'intelligenza ha la sua forma pi grave e pericolosa nella trascuratezza o peggio nel rifiuto di coltivare la propria formazione dottrinale attraverso lo studio e gli altri mezzi appropriati e idonei. E' grave perch porta all'ignoranza colpevole della verit. L'ignoranza il peggior nemico della Fede; sul vuoto creato dall'ignoranza proliferano gli errori, i pregiudizi, le superstizioni, le presunzioni. Abbiamo detto ignoranza colpevole. Nell'uomo la conoscenza non n infusa, n intuitiva; acquisita. Abbiamo perci bisogno dello studio, dell'istruzione. Trascurare i mezzi che abbiamo a disposizione, o quelli che potremmo avere anche con sacrificio per la nostra formazione dottrinale, sia nella professione e ancor pi nella fede, diventa una colpa gi duramente condannata da Ges nella parabola dei talenti. Alcuni mezzi non costano niente: la catechesi, lezioni e conferenze, l'ascolto della Parola di Dio e del Magistero della Chiesa; altri richiedono qualche sacrificio: libri, testi, corsi programmati... E tuttavia, molti cristiani che spendono somme notevoli in cose futili, consumistiche o di capriccio, considerano sprecato il denaro impiegato per la propria formazione religiosa. La fede una virt, e come tale comporta un atteggiamento interiore dell'uomo di fronte a Dio, un atteggiamento - abbiamo visto - obbedienziale 124

(l'obbedienza della fede), ma la fede ha anche un contenuto. Dio nel rivelare s stesso ci ha detto anche delle cose che lo riguardano e che ci riguardano, ci ha parlato di s stesso e del suo disegno di amore su di noi. A questo contenuto della fede - contenuto fatto di verit fondamentali per l'esistenza umana - Dio ha dato una veste concettuale appropriata per la nostra intelligenza. Ci significa, in altre parole, che esiste una "Dottrina della Fede" che ogni cristiano ha l'obbligo grave di conoscere e di assimilare nella propria vita. E' una dottrina che ha per maestro Ges stesso. Egli "percorreva i villaggi insegnando" e si commuoveva davanti alle folle che non avevano n maestri, n pastori, e "si mise a insegnare loro molte cose". 225 Questo insegnamento Ges lo ha consegnato come un prezioso deposito alla sua Chiesa per mezzo degli Apostoli; ad essi diede il preciso comando: "Andate e ammaestrate tutte le nazioni... insegnando loro...".226 La Chiesa ha dunque in custodia il "deposito della Fede" con la missione di annunciarlo e di insegnarlo. Annunciarlo significa proclamarlo con la forza dello Spirito, insegnarlo significa proporlo come dottrina. Insegnare, infatti, vuol dire esporre una dottrina in modo ordinato, sistematico e completo. La Chiesa fa questo incessantemente con il suo Magistero, il quale pu anche avvalersi della scienza teologica e della riflessione di autori ecclesiastici e dei Santi. Lo fa normalmente attraverso la catechesi, elaborando anche importanti strumenti dottrinali come i catechismi. L'ignoranza delle verit della fede dunque inescusabile; lo soprattutto nelle persone di cultura, tra le quali spesso maggiormente diffusa l'ignoranza religiosa, frequentemente accompagnata dalla presunzione, dalla deformazione dottrinale e dall'orgoglio intellettuale.

135 - Studiositas e curiositas


Nella massa della gente, invece, il non uso dell'intelligenza si esprime pi frequentemente nella superficialit intellettuale. Molti cristiani sono rimasti con la conoscenza elementare, incompleta, quasi favolistica, ricevuta da bambini e mai approfondita e assimilata. L'unico aggiornamento l'hanno fatto sui giornali, o peggio, sui rotocalchi, o attraverso dibattiti televisivi. Una formazione superficiale intorno alla dottrina della fede porta a vivere una vita cristiana mediocre, facile al compromesso, condizionata da rispetti umani, e soprattutto povera di amore. Infatti si ama poco ci che si conosce poco. E quando si ama poco, si stima poco ci che si possiede, e perci viene a mancare il desiderio efficace di trasmettere ad altri ci che crediamo. Il cristiano mediocre, dalla fede superficiale, non sar mai un apostolo, anzi, non sapr rendere ragione della speranza che in lui" e difendere la dottrina di Cristo dagli attacchi che vengono oggi da tanti ambienti e con tutti i mezzi. Un ostacolo all'esercizio dell'intelligenza nell'approfondimento della dottrina viene dalla pigrizia mentale e dall'inerzia intellettuale. La conoscenza esige studio, e lo studio un lavoro, un lavoro intellettuale che impegna tutta la persona quando essa ama, cerca e affronta la gioiosa e gustosa fatica della verit. Dovrebbe perci diventare quell'atteggiamento interiore abituale che San Tommaso chiama: studiositas . Unintelligenza pigra che rifugge dallo sforzo e ripiega nella superficialit del conoscere portata invece a sostituire la studiositas con la curiositas. E' una curiosit negativa che farfalleggia sulle cose, scivola sui problemi, "pizzica" appena i contenuti anche fondamentali della dottrina, vaga disordinatamente tra i libri e le varie discipline senza prenderne sul serio nessuna. Unintelligenza siffatta sar un'intelligenza debole, timida, incerta, che rifugge dallo
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Mc. 6,34 Mt. 28,19

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"scontro frontale", dalla santa intransigenza della verit per timore di essere giudicata intollerante, massimalista, oppure retrogada. Lintelligenza si fortifica se viene esercitata al pensiero, alla riflessione, all'applicazione tenace, perseverante, condotta con ordine e con metodo.

136 - La sana dottrina.


E' dunque di fondamentale importanza che l'intelligenza impegnata nello studio venga nutrita con la "sana dottrina". Tra le pi forti raccomandazioni che San Paolo rivolge ripetutamente al discepolo Timoteo (e le ripete, poi, al discepolo Tito) c' quella di rimanere saldo in ci che ha imparato, e aggiunge: "Ti scongiuro davanti a Dio e a Ges Cristo... : annuncia la parola... esorta con ogni magnanimit e dottrina. Verr giorno, infatti, in cui non si sopporter pi la sana dottrina, ma per prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verit per rivolgersi alle favole".227 Una dottrina sana innanzitutto quando secondo la retta ragione e la retta coscienza, quella rettitudine del cuore che, in definitiva, consonanza con i Comandamenti di Dio, da Lui inscritti nella stessa natura dell'uomo. E tuttavia questa rettitudine spesso assente nelle dottrine degli uomini, come ad esempio, nel laicismo agnostico cos imperante nella cultura attuale. Esso esclude ogni riferimento a Dio e ai valori trascendenti dell'uomo nelle leggi che vengono emanate, nella giustizia che viene amministrata, nelle concezioni della vita che vengono proposte attraverso i mass-media dalla letteratura, dalla politica, dalle scienze umane. In secondo luogo sana dottrina l'insegnamento di Cristo come ci viene trasmesso e proposto dal Magistero della Chiesa. E' un insegnamento che risana, rettifica ed eleva anche il sapere umano che non ha nulla da temere dalla luce della fede e dalla scienza di Dio. Il magistero della Chiesa non frena gli slanci n inibisce la libert dell'intelligenza; la sorregge invece e l'aiuta perch non finisca nelle secche stagnanti di un tradizionalismo mortificante e non urti contro gli scogli delle eresie e dei progressismi negativi. E' un servizio all'intelligenza non solo dei fedeli, ma anche dei teologi e di tutti gli uomini che cercano sinceramente la verit. Unintelligenza cos formata acquista una dote estremamente importante: il discernimento. Si tratta di una capacit critica di fronte a ci che si ascolta e a ci che si legge, cos da saper discernere la sana dottrina dalle "favole" del mondo. Si tratta anche di una capacit di scelta che, con l'aiuto di persone prudenti ed esperte, sappia scegliere testi, libri e vari strumenti di cultura che contengano la sana dottrina e non tradiscano la verit. Oggi si stampa una quantit enorme di libri, ma una gran parte di essi sono inutili e spesso sono stupidit riciclata; altri, tra i quali molti che vengono reclamizzati dalla critica ufficiale, sono autentica porcheria che infanga l'intelligenza, la umilia e la corrompe; altri sono fatiche che non valgono quello che costano; altri sono veri amici che dilettano l'intelligenza, fanno bene al cuore e sono di consolazione all'anima; infine, ma sono pochi, ci sono i grandi maestri che aprono le grandi strade del pensiero e sono fari luminosi per l'intelligenza e per la coscienza degli uomini. La necessit di acquisire la sana dottrina va unita, in noi cristiani, al dovere grave che abbiamo di diffondere la sana dottrina. "Voi siete la luce del mondo - ammonisce Ges - voi siete il sale della terra". Ed una grave responsabilit non dare luce ai nostri amici, colleghi, alle persone che incontriamo nella vita, perch ci manca l'olio della sana dottrina. Sarebbe, perci, triste e dolorosa infedelt la nostra se lasciassimo che il sale della buona dottrina si corrompesse per le nostre complicit con le dottrine del mondo.
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2 Timoteo, 4,3-4

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Un terzo pericolo per l'intelligenza quello di "intasarla" con l'eccesso di erudizione. Non si pu confondere la dottrina con l'erudizione. Nell'epoca dei dizionari, delle enciclopedie, delle innumerevoli pubblicazioni a fascicoli settiminali, e soprattutto nell'epoca del "usa e getta" giornalistico e televisivo, la quantit di nozioni, di notizie, di immagini che viene versata ogni giorno nella nostra mente tale che non ci resta pi spazio per "pensare", n spazio n tempo perch l'ansia di smaltire quello che abbiamo visto e udito ci ruba in evasioni da relax il poco tempo che sopravanza al vivere quotidiano. Anche l'intelligenza ha bisogno di una dieta appropriata che le assicuri il vero nutrimento e la vera sostanza. Spesso ci comportiamo con la nostra intelligenza come ragazzini che si impinguano di pasticcini e perdono il fragrante sapore del pane. L'intelletto ha bisogno di "pensare", di poter andare in profondit nelle cose, di penetrare la ricchezza della verit che non mai esaurita fino in fondo; ha bisogno soprattutto di contemplazione, di "perdere tempo" a guardare ci che non passa, ci che non invecchia, ci che vale oggi, domani e sempre; ci che eterno. "Non multa, sed multum", dicevano gli antichi: "Non la quantit, ma la qualit", diremo noi oggi. L'erudizione non dottrina. L'intelletto intasato si paralizza, e quando l'intelletto non pensa, impazzisce. Infine, un altro modo di non usare l'intelligenza quello di applicarla alle cose frivole, a ci che effimero, futile e vano. Se questo un atteggiamento fisiologico nell'et dell'adolescenza, diventa una vera malattia nei giovani e negli adulti; una malattia che porta il nome di stupidit, che ha in certi salotti-bene il suo reparto dozzinanti, e ha nelle discoteche i suoi templi pi affollati.

137 - Il tarlo delle ideologie.


Ma il morbo pi grave che ha afflitto l'intelligenza speculativa della nostra cultura occidentale negli ultimi due secoli sono state le ideologie. L'ideologia uno schema mentale aprioristico e rigido che pretende di interpretare validamente la realt, ma di fatto la uccide, la nega. Perci l'ideologia paralizza l'intelletto, lo limita paurosamente, e lo rende impotente al dialogo speculativo. Il pensiero moderno dall'Illuminismo francese in poi stato un terreno di cultura fecondissimo per le ideologie, che sono state una vera pestilenza non solo per l'Europa ma per il mondo intero. Sponsorizzate da forze sociali, le ideologie hanno portato a sistemi politici disastrosi e all'impoverimento spirituale e morale di intere nazioni. Pensiamo alle ideologie nazista, comunista, radical-socialista, liberal-massonica. I sistemi politici, vero, sono crollati o si sono addomesticati in strutture socio-politiche pi accettabili; ma l'intelligenza di ingenti masse umane ben lontana dalla guarigione e da un vero risanamento. Le ideologie sono ancora presenti come atteggiamento interiore; sono rimaste, sia nella cultura di massa sia nella cultura di lite, come categorie mentali che condizionano pesantemente l'intelligenza nell'approccio alla verit. Nella loro forma pi benigna, le ideologie sono una nevrosi dell'intelligenza, nevrosi che ha gettato l'uomo contemporaneo in un profondo e acuto malessere; lo dimostrano i vari esistenzialismi, le filosofie dell'angoscia, e una mentalit di paura e di disperazione che ha fatto scoppiare la violenza in tutte le sue forme. Il limite pi grave, che anche offensivo dell'intelligenza ed comune a tutte le ideologie, la chiusura alla trascendenza, il rifiuto di aprirsi alla dimensione trascendente della realt, cio alla sua dimensione metafisica che fa riferimento a Dio. Questo immanentismo delle cose conseguenza dell'immanentismo dell'intelletto, che uno dei principi basilari di tutto il pensiero moderno. Secondo tale principio il nostro intelletto in grado di conoscere null'altro che s stesso, la nostra intelligenza chiusa ad ogni altro oggetto fuorch a s stessa. 127

Sembra un atteggiamento astratto che interessa solo persone strane chiamate filosofi; invece un atteggiamento profondamente deleterio che entrato nella mentalit corrente, nel modo di pensare comune. Affermare che la nostra intelligenza tutto, negare che ci possa essere qualcosa fuori di essa o sopra di essa; tutto si riduce al Pensiero, con la pretesa della sua autonomia assoluta. L'uomo non dipende da alcunch nella sua attivit conoscitiva, n deve rendere conto a nessuno di ci che pensa; il Pensiero umano prende cos il posto di Dio e si sostituisce alla realt stessa delle cose. Unaffermazione di Kant - che pure era religiosissimo - estremamente significativa al riguardo: "Dio non pu essere conosciuto, ma pu essere pensato." E' come dire: Non possiamo affermare che Dio esiste, perch l'idea che abbiamo di Lui una creazione del nostro pensiero. Ora, vero esattamente il contrario: Dio possiamo conoscerlo perch "", anzi, "Io Sono", - "pienezza dell'essere" - perci l'oggetto pi sublime della conoscenza umana. Non possiamo invece "pensarlo" perch trascende infinitamente il nostro pensiero. L'affermazione di Kant la pi esplicita dichiarazione che il Pensiero deve sostituirsi alle cose, le quali no n avrebbero una loro consistenza propria, un loro valore, una loro verit: l'intelletto umano che fa tutto.

138 - Un tragico inganno: limmanentismo.


Vedremo fra poco le conseguenze di questo immanentismo della Ragione che ha partorito i suoi idoli, ma intanto possiamo subito rilevarne gli effetti in tre atteggiamenti dell'attuale mentalit dominante, che hanno inciso in modo drammaticamente negativo sulla vita individuale e sulla vita sociale in tutto il nostro Occidente "cristiano". Il primo atteggiamento, nato dal distacco dell'intelligenza dalla verit, si esprime come agnosticismo intellettuale; nella mentalit corrente esso significa: "Ognuno la pensa come vuole, e per lui vero ci che pensa". Non esiste perci una verit oggettiva, valida per tutti, ma ognuno ha la "sua" verit, la cui forza data dalla capacit di coagulare intorno a s il consenso della maggioranza. Un secondo atteggiamento, nato dal distacco della coscienza dalla legge naturale, si presenta come relativismo morale; nella mentalit corrente esso significa: "Ognuno si comporta come meglio crede, e per lui bene ci che le sue convinzioni gli suggeriscono". Non esiste perci una legge morale oggettiva, valida per tutti, ma ognuno ha la "sua" morale personale la cui validit, semmai, pu essere misurata sul consenso delle opinioni della gente o sulle convinzioni della maggioranza. E' il trionfo del soggettivismo morale a livello individuale, per cui l'unico criterio di moralit la coscienza del singolo. Essa ignora o addirittura esclude ogni norma oggettiva di riferimento, anche la legge scritta nella natura stessa dell'uomo (legge naturale), e perfino la legge positiva esplicitata da Dio nei Dieci Comandamenti. Il terzo atteggiamento la logica applicazione del precedente su scala istituzionale e sociale:; esprime il distacco della legge positiva dal Diritto naturale, distacco che ha portato all'agnosticismo giuridico. Nella mentalit corrente esso significa che i poteri dello Stato sono fonte del diritto e hanno autonomia assoluta di esercizio, facendo tutt'al pi riferimento a una Costituzione che essi stessi si sono data. Le stesse leggi istituzionali e ancor pi le leggi camerali (Parlamento e Senato) sono frutto di convergenze ideologiche e di alleanze partitiche, sono cio "leggi convenzionali" dove spesso manca ogni riferimento ai principi fondamentali del Diritto naturale, cio del diritto che si fonda sulla natura stessa dell'uomo come persona. Sono perci leggi estremamente povere di contenuto etico, spesso addirittura immorali, o comunque irresponsabilmente permissive dove la libert 128

viene usata per giustificare la pi sfacciata trasgressivit. Dalla crisi del Diritto nasce inevitabilmente la crisi della legalit, con una progressiva sfiducia dei cittadini verso le leggi dello Stato. Lo Stato laico, nella sua versione agnostico-laicista di qualsiasi tendenza politica, a dispetto dei suoi sforzi per salvaguardare la sua figura di Stato etico, rivela alla fine tutta la sua debolezza; nei casi migliori, ridurr la sua efficacia al campo dei problemi sociali strettamente economici e amministrativi, ma si mostrer incapace di tutelare e difendere i veri diritti dell'uomo, favorendo cos un degrado culturale e morale che inevitabilmente aprir la strada a una societ selvaggia e violenta.

139 - Gli idoli della Ragione.


L'immanentismo intellettuale, i cui frutti amari abbiamo appena descritto, con la sua pretesa di ridurre tutto al Pensiero e di sostituirlo alla realt delle cose, ha portato l'uomo non solo a negare Dio o a rifiutarlo come realt oggettiva e trascendente, ma ha aperto la via ad ogni sorta di violenza sulla natura e sull'uomo. Il "libero pensiero" ha cos partorito gli idoli e i miti dell'uomo moderno, davanti ai quali la nostra cultura occidentale ha bruciato innumerevoli bracieri d'incenso. Il primo idolo fu appunto la Ragione stessa. Quando i Giacobini della rivoluzione francese intronizzarono sull'altare di Notre Dame a Parigi una ballerina intendendo affermare che la Dea Ragione soppiantava finalmente la Fede, compirono un gesto che fu, s, stupido nella sua volgarit, ma anche emblematico: la "libera Ragione" quando abbandona il suo Autore, che anche il sublime Oggetto della sua attivit conoscitiva, cade in bala di s stessa e non diventa che questo: una stupida ballerina, un ridicolo burattino o, pi seriamente, diventa quella triste "aquila spennacchiata" che non conosce pi le altezze della speculazione vera, la luce abbagliante della Verit, ed costretta a nutrirsi della carne putrida dei propri sofismi e della propria persuasione. Pensiamo al prezzo che abbiamo sborsato, prezzo che ancora stiamo pagando - i lager, i gulag, le camere a gas, le pulizie etniche, le guerre di sterminio... - a causa dell'autonomia della Ragione e della supremazia del Pensiero sulla Verit. Gli altri idoli sono un po' figli della Ragione. Innanzitutto la Scienza. Non c' dubbio che il prodotto pi significativo e insieme ammirevole dell'intelletto umano nell'epoca moderna la Scienza e le sue stupende realizzazioni attraverso la tecnica. E' un edificio colossale e affascinante che d quasi le vertigini perch sembra non avere limiti nel suo sviluppo e nelle sue possibilit. E' vero che la scienza ha aperto problemi di enorme portata e che lo sviluppo tecnico ha provocato situazioni di estrema gravit per l'intero pianeta e per i suoi abitatori, ma c' la ferma convinzione che tutti i problemi posti dalla scienza, anche i pi ardui e apparentemente insuperabili, la scienza stessa ha i mezzi e le possibilit di risolverli. Perci i lati negativi che possono accompagnare lo sviluppo della scienza e della tecnica - la crisi energetica, il problema ecologico, gli insuccessi sperimentali, ecc. - non sono che momenti transitori, fasi fisiologiche del Progresso umano, destinati a scomparire col progressivo affermarsi della piena maturit del pensiero scientifico. Ma i trionfi della Scienza hanno prodotto una sorta di ubriacatura dell'intelligenza, una fiducia illimitata nelle possibilit della Ragione scientifica, la convinzione che la Scienza la strada del vero progresso e della vera liberazione dell'uomo. Con la scienza l'uomo si impossessato della "pietra filosofale", la chiave per dare soluzione a tutti i problemi dell'esistenza e per realizzare pienamente il proprio dominio sul mondo. L'uomo diventa cos arbitro del proprio destino, padrone della natura; la Scienza tutto e pu tutto. E' vero che gli ingenui entusiasmi per le conquiste della scienza e della 129

tecnica si sono oggi notevolmente sgonfiati e che i fumi della ubricatura stanno smaltendo il loro effetto sulla mentalit contemporanea; oggi non ci stupiamo pi di nulla e siamo molto pi disincantati anche di fronte alle realizzazioni pi sensazionali della tecnica. Ma non dobbiamo illuderci, perch sono rimasti fortemente presenti nella cultura contemporanea proprio gli aspetti pi deleteri della Scienza come ideologia. Ne ricordiamo particolarmente due, che sono tra i postulati fondamentali della cultura secolarizzata; primo: il sapere scientifico l'unica forma valida e accettabile di conoscenza; la conoscenza scientifica presa come unico criterio di verit. Il secondo l'affermazione della Scienza come criterio etico: la Scienza non pu essere soggetta a norme esterne a s stessa; la Scienza essa stessa criterio di moralit. Il primo postulato afferma che vero solo ci che "scientifico", reale (esiste) solo ci che sperimentabile, constatabile scientificamente. Esso porta alla negazione delle realt spirituali: l'anima, lo spirito, Dio stesso, oppure alla riduzione delle sostanze spirituali a fenomeni "naturali", pure manifestazioni della realt materiale. Cos, il pensiero sarebbe un'attivit del cervello, anzi una sua facolt, e l'anima una forza, un fluido vitale di natura biologica, corruttibile, che si spegne col corpo. Questa tesi favorita dalla visione materialistica della realt, visione che nega ogni trascendenza anche naturale nell'uomo, e riduce tutto a materia. Il sapere scientifico sarebbe, perci, incompatibile con qualsiasi atteggiamento di fede, e preclude ogni apertura al soprannaturale. Tuttavia la tesi scientista non ha valore scientifico; unaffermazione aprioristica di carattere ideologico; perci lo scienziato che la sostiene cade in contraddizione, e rischia di rendersi poco credibile come scienziato. In realt, la conoscenza della verit un problema che ha anche una dimensione morale; esige il superamento dell'orgoglio intellettuale che ritiene la verit immanente alla nostra intelligenza, e pretende di ridurla a misura della ragione umana: l'uomo che crea la verit.

140 - Scienza e morale.


Da questo nominalismo intellettuale - distacco dell'intelligenza dalla Realt oggettiva, dalla verit delle cose - facile il passaggio all'altro postulato del secolarismo scientista: la Scienza unico criterio etico; vale a dire, il distacco della Scienza, cio dell'intelligenza come sapere scientifico, dalla legge morale. La scienza non sarebbe soggetta ad altra norma morale che a s stessa, non avrebbe altro criterio morale che la fattibilit dei suoi progetti. La Scienza cio non pu tollerare limiti al suo sviluppo e a tutto ci che concorre al suo sviluppo. La sperimentazione, l'indagine scientifica, le realizzazioni della tecnica, la ricerca, ecc. sarebbero campi esclusi ad ogni ingerenza estranea ai criteri esclusivamente scientifici, e i mezzi e i metodi che rispondono a questa finalit di progresso sarebbero leciti e giusti. Ci significa che il fine della Scienza non il bene dell'uomo, o lo solo secondariamente, in realt il fine ultimo della Scienza il suo Progresso. Cos Macchiavelli pienamente soddisfatto e l'uomo pu celebrare i trionfi della sua signoria sulla natura e autoproclamarsi provvidenza a s stesso. I nemici dell'uomo la fame, l'ignoranza, la malattia, le calamit, la fatica stessa - saranno uno dopo l'altro sconfitti, e con l'ingegneria genetica l'uomo si autoprogetter. Ci sar una umanit nuova, perfetta, vincente. Tutto questo non proclamato ufficialmente, ma fa parte ormai di una convinzione fin troppo cara alle ambizioni della Ragione che si ribella all'idea che tutto questo sia un'utopia. La realt che, in tutto questo, non hanno pi senso le verit della fede, la redenzione, la salvezza, la grazia, il peccato, la vita eterna..., e non ha pi posto l'idea stessa di Dio. Dio, nemmeno viene dichiarato inesistente, 130

semplicemente inutile. In definitiva, il criterio del bene e del male non ha valore scientifico e perci viene sostituito dal criterio dell'efficacia o inefficacia di ci che si sperimenta ai fini del successo.

141 - Lumilt intellettuale.


A questo punto, la terapia per guarire l'intelligenza dell'uomo moderno e recuperarla a s stessa consiste nell'umilt; l'umilt intellettuale non solo guarisce l'intelligenza restituendole il suo ruolo naturale di facolt conoscitiva e non creativa della realt, ma anche rende possibile la vera scienza. Una intelligenza umile rispetta la realt; il che significa innanzitutto accettare che la realt esista, abbia una sua consistenza e una sua identit, che non dipendono dal mio pensiero, non sono il frutto della mia attivit intellettuale; e in secondo luogo significa accettare che la realt contenga un mistero, un messaggio che disvela le profondit dell'essere; perci non va manipolata, strumentalizzata, deviata. Del resto, quando uno scienziato si mette davanti al mistero della natura con umilt, cio con intelligenza sana e con animo retto, immediatamente convinto di trovarsi di fronte a una realt che lo trascende, a fenomeni e a leggi che non dipendono da lui e nello stesso tempo non sono in grado di dare ragione di s stessi. Diventa perci quasi connaturale in lui un atteggiamento di rispetto che gli consente una conoscenza della realt pi profonda e veritiera, e alla fine non pu non interrogarsi sull'origine e sul destino delle cose, e perci su Dio. Se la scienza vera scienza non impedisce la fede ma la facilita perch l'una e l'altra vengono da Dio e conducono a Dio. Alla luce di queste constatazioni, l'ideologia scientista appare un falso in atto pubblico: "hanno cambiato la gloria dell'incorruttibile Dio con l'immagine e la figura dell'uomo corruttibile", e diventa un atto di violenza: "soffocano la verit nell'ingiustizia" - perci la superbia acceca l'intelligenza: "hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si ottenebrata la loro mente ottusa". 228 Questo discorso sull'umilt intellettuale indispensabile come terapia per guarire l'intelligenza anche dall'altro postulato scientista: la scienza come principio etico. Infatti per liberare la Scienza dal soggettivismo anarchico della Ragione, e recuperare l'intelligenza al rispetto del bene morale e delle sue esigenze ancora necessaria l'umilt come verit, la verit del nostro essere creature. Su questo tema della verit come fondamento del criterio morale e quindi come riferimento per la nostra coscienza, Giovanni Paolo II ci ha fatto dono di una fondamentale Enciclica, la "Veritatis splendor". Fuori della Verit non c' n libert, n vera conoscenza del bene e del male. Ora la Verit incommensurabilmente pi ampia del sapere scientifico, e il bene morale incomparabilmente pi importante del progresso scientifico. L'umilt intellettuale porta lo scienziato, divenuto consapevole di essere creatura, a servire la Verit e a promuovere il bene morale dell'uomo. Del resto, pensiamo alle caratteristiche fondamentali con cui tutta la realt si presenta alla conoscenza scientifica: la misurabilit (la sua finitezza) e la relativit. Nulla in natura illimitato e assoluto; una legge fondamentale della natura proprio la Relativit generale. Anche l'intelligenza dell'uomo soggiace alle stesse caratteristiche di limitatezza e di relativit; sono queste le coordinate che troviamo in ogni essere creato in quanto tale. La verit vincolante per la nostra intelligenza e il bene vincolante per la nostra libert, per la nostra coscienza. Scoprire e accettare la propria creaturalit perci un atto di saggezza, collocarci nella realt, al nostro posto. Del resto accettare la nostra realt di creature non umiliante, anzi
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Rom. 1,18-23

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liberante, soprattutto libera dall'angoscia esistenziale; infatti, se non siamo creature, chi siamo? Riscoprirci creature riscoprire le nostre radici, le nostre origini e il nostro destino; origini non semplicemente temporali e destino che non un destino qualunque. Inoltre riscoprire il senso profondo di quel viaggio infinitamente esaltante che abbiamo gi ricordato pi volte e che costituisce il tema fondamentale di tutto il nostro discorso sul tempo: l'itinerarium mentis in Deum, il viaggio che, iniziato in Dio, a Dio ritorna attraverso le strade del tempo: le strade della fede, della speranza, dell'amore, le strade della santit. Se il sapere scientifico accettasse il riferimento ai valori morali non solo risanerebbe l'intelligenza ma si risparmierebbe le amare conseguenze di una Ragione tirannica che non vuole rendere conto a nessun altro che a s stessa. Mai la nostra intelligenza ha avuto tanto bisogno di libert, perch mai stata tanto povera di Verit. Le conquiste delle scienze umane - la politica, l'economia, la sociologia, la medicina... ecc. - quando sono vere, sono sempre verit parziali, che rispondono ai bisogni contingenti, quelli legati al tempo, ai problemi del nostro vivere terreno, del nostro essere-nel-tempo. Ma la nostra intelligenza ha bisogno della verit trascendente, della Verit Totale, della risposta risolutiva e definitiva al bisogno insaziabile di significato che la tormenta. Ha bisogno, insomma, di non vagare continuamente tra "verit" che sono a loro volta interrogativi, rimandi, isole inospitali di un arcipelago fatto di attracchi provvisori, per qualche soggiorno temporaneo; ha bisogno di ci che definitivo, esaustivo, totale. Ha bisogno di Eternit.

142 - Un idolo tirannico: la Democrazia.


Infine, l'orgoglio intellettuale rende l'intelligenza incapace di verit e la lascia in bala di una Ragione dispotica che tutto sancisce con un unico riferimento: s stessa. Il vuoto di verit viene allora occupato dalle opinioni. E' vero che il terreno dell'opinabile vastissimo; nelle cose umane - nella politica, nell'economia, nell'arte, nel costume - tutto opinabile, tutto soggetto a continua evoluzione, ma i valori, i principi fondamentali della natura umana e dell'essere delle cose non sono opinabili, non dipendono dal nostro parere soggettivo, o dalle nostre convinzioni personali. Il culto dell'opinione ha cos partorito un altro idolo dell'epoca moderna: la democrazia. Il criterio democratico pu fornire il sistema pi giusto e pi efficace applicato al campo dell'opinabile - il campo politico, economico, artistico ecc. - ma diventa illegittimo e anche immorale quando viene applicato ai valori; essi non vengono decisi per alzata di mano o in nome di una maggioranza. Mille opinioni non fanno una verit. Ora, la nostra epoca, caratterizzata dal trionfo dell'opinabile: i giornali sono di opinione, i cinema sono anch'essi di opinione, i rotocalchi, i servizi televisivi, i libri stessi portano le opinioni dei loro autori, ma tutto affermato con la convinzione che quelle opinioni sono la verit. Questo ci fa capire l'impressionante povert spirituale della nostra epoca, quanto essa abbia smarrito il riferimento con l'eternit e sia naufragata nei flutti del tempo. Le opinioni infatti appartengono al tempo, i valori all'Eternit. Vale la pena di ascoltare le parole con le quali uno dei maggiori "esperti" di totalitarismo, perch l'ha vissuto e sofferto nella sua esperienza personale, il papa Giovanni Paolo II, ha messo in guardia dal "totalitarismo" delle democrazie. Nella sede dell'Universit di Vilnius, in Lituania, ebbe a dire: "... le stesse democrazie, organizzate secondo la formula dello Stato di diritto, hanno registrato e ancora oggi presentano vistose contraddizioni tra il formale riconoscimento della libert e dei diritti umani e le tante ingiustizie e discriminazioni sociali che tollerano nel proprio seno (...). Il rischio dei regimi democratici di risolversi in un sistema di regole non 132

sufficientemente radicate in quei valori irrinunciabili, perch fondati sull'essenza dell'uomo, che debbono essere alla base di ogni convivenza, e che nessuna maggioranza pu rinnegare, senza provocare funeste conseguenze per l'uomo e per la societ (...) Totalitarismi di opposto segno e democrazie malate hanno sconvolto la storia del nostro secolo". E concludeva: " I sistemi che in Europa si sono avvicendati e contrapposti hanno ciascuno la propria inconfondibile fisionomia, ma non credo che ci si sbagli considerandoli tutti figli di quella cultura dell'immanenza che si largamente affermata in Europa negli ultimi secoli, inducendo a progetti di esistenza personale e collettiva ignari di Dio e irrispettosi del suo disegno sull'uomo". La democrazia - affermava ancora il Papa - "non implica che tutto si possa votare, che il sistema giuridico dipenda soltanto dalla volont della maggioranza e che non si possa pretendere la verit nella politica. Al contrario, bisogna rifiutare con fermezza la tesi secondo la quale il relativismo e l'agnosticismo sarebbero la migliore base filosofica per una democrazia (...) Una tale democrazia rischierebbe di trasformarsi nella peggiore delle tirannie". 229

143 - La Ragione tra Verit e Libert.


Infine il virus dell'immanentismo ideologico e scientista responsabile di un altro atteggiamento intellettuale che pesa negativamente sulla cultura e su tutto il modo di pensare attuale: la mentalit storicista ed evoluzionista. E' la mentalit tipica di unintelligenza che ha perduto il senso dell'eternit, ha perduto quindi la sua capacit di giudizio, la sua libert critica. Unintelligenza incapace di eternit vede tutto attraverso presunte leggi ineluttabili: tutto viene trascinato dalla Storia, dal Progresso, tutto governato dall'evoluzione, cio da forze che tendono verso l'utopia della Societ perfetta. L'intelligenza crede di affermare cos la propria autonomia. Ma l'orgoglio intellettuale sempre stato, fin da principio, il peggiore inganno dell'uomo. Invece, l'umilt verit e la verit libert. Libert volo della nostra intelligenza, della nostra anima, verso il sole della verit, non quella o quelle verit sancite o fabbricate dall'uomo, dalla sua dea Ragione, ma la verit che viene da Dio, dalla sua creazione e dalla sua Rivelazione. C' dunque, oggi, l'urgente bisogno di una intensa crociata per riscattare l'intelligenza, per rieducarla a pensare rettamente, per addestrarla di nuovo al volo verso la luce della intuizione e della contemplazione. Dobbiamo liberarla dalla prigione dello spirito mondano, secolarizzato e laicista, dalle sue maglie false e illusorie: la visione materialistica del mondo, la fiducia cieca e assoluta nella Ragione autonoma che rifiuta ogni riferimento alla Verit trascendente, il rifiuto storicistico della tradizione e proclamazione del "popolo" quale presunta fonte di autorit, il sapere scientifico e tecnico come unico strumento efficace di salvezza per l'uomo, la politica come luogo originario di ogni etica e di ogni valore morale, la sostituzione della filantropia all'amore, e infine la chiusura immanentistica del nostro avvenire che non ha alcun futuro oltre la morte. Sono queste le sbarre che tengono prigioniera la nostra intelligenza riducendola a quella povera "aquila spennacchiata" triste e debole che ha dimenticato le altezze inebrianti del sapere metafisico e della fede. Tutto questo lo vediamo nei pensatori e negli autori pi significativi nel campo dell'arte, delle scienze, della letteratura del nostro tempo: la loro incapacit di alzarsi al di sopra di una visione orizzontale e terrena della vita, la loro fatica ad aprirsi anche per poco alla luce della fede, il loro pensiero debole, fuligginoso, zoppicante, scettico che ricicla poveramente le vecchie utopie di sempre. E' arrivato il momento di una nuova epoca culturale, di una nuova
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Giovanni Paolo II, Discorso nell'Universit di Vilnius, 29.11.92

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stagione del pensiero umano, un ringiovanimento, quasi una rinascita dell'intelligenza, che aprendosi alla verit e alla fede, lascia entrare tutta la luce trascendente di Dio e della sua Rivelazione nell'universo grandioso e stupendo edificato dalla scienza, dalla tecnica e da tutto il sapere dell'umanit di questi secoli, un universo che ancora nel buio, nella tristezza, e manca della sua anima. Ancora una volta le parole profetiche di Giovanni Paolo II appena eletto Pontefice: "Aprite le porte a Cristo..." sono le parole di cui ha bisogno prima di tutto l'intelligenza dell'uomo di oggi. La grande strada maestra, o, se vogliamo, le ali possenti dell'intelletto speculativo, di quest'aquila chiamata alle altezze della verit, sono le ali della Fede. Di essa abbiamo gi parlato, qui vogliamo ricordare ancora una volta, il profondo legame tra scienza e fede, tra l'intelletto speculativo e la teologia; credo ut intelligam... rationabile obsequium vestrum: cio, la fede aiuta e potenzia l'intelletto, e l'intelletto si fa umile servitore della fede attraverso la riflessione teologica. Non a caso l'evangelista Giovanni, che pi potentemente e solennemente ha proclamato la Verit e l'Amore, ha come simbolo l'aquila. La Verit e l'Amore sono le ali della libert che possono spingere l'aquila del nostro intelletto verso il Sole di Dio, alle altezze inebrianti della contemplazione.

B)

INTELLETTO PRATICO

144 - Che cos lIntelletto pratico


L'attivit speculativa l'attivit basilare dell'intelletto umano, perch la conoscenza teorica appronta le idee-forza, le idee-madri che muovono il mondo e orientano la vita e il comportamento degli uomini. Non per niente l'oggetto proprio e supremo dell'intelletto speculativo la Verit. Ma a questa attivit "ascendente", speculativa, dell'intelletto, corrisponde unattivit "discendente" propria dell'intelletto pratico, che rivolto all'azione, al fare, all'applicazione pratica del vero conosciuto e studiato. L'intelletto pratico fa l'uomo partecipe dell'opera creatrice di Dio; lo fa partecipe sotto l'aspetto della sapienza, perch orientato ad attuare nel mondo il disegno sapiente e meraviglioso di Dio a favore degli uomini. Parliamo qui di intelletto, la cui azione rimane dunque nel campo intenzionale; per diventare esecutiva deve avvalersi delle facolt operative: la volont e gli organi corporei che attuano nella realt quello che stato concepito intenzionalmente. Questa intenzionalit dell'intelletto pratico non significa che la nostra intelligenza orientata alla realizzazione di un progetto proprio, creato dalla ragione umana, ma di un progetto divino, concepito dalla sapienza di Dio. L'intelletto umano, infatti, avendo appunto il suo oggetto proprio nella verit chiamato a inserirsi nel disegno sapiente di Dio perch si faccia nel mondo quel regno di Dio che regno di giustizia, di amore e di pace. Questa partecipazione all'intelletto creatore di Dio - Dio "conosce" le cose come causa del loro essere - ci fa scoprire un altro aspetto della nostra dignit di persone e della grande nobilt della nostra intelligenza. Ma ci ricorda anche la delicata responsabilit che abbiamo di essere facitori della verit e quindi la necessit e l'importanza di avere un'intelligenza sana, integra, intenzionalmente retta. La tecnica, che oggi ormai presente in tutti i campi dell'agire umano e che rivolta verso l'attuazione di progetti sempre pi ambiziosi ed arrivata a splendide realizzazioni tanto da dare il nome alla nostra civilt, che chiamata la "Civilt della Tecnica", ha perci pi grandi responsabilit ed espone l'uomo a maggiori tentazioni. 134

Uno dei pericoli maggiori della tecnica come sapere pratico quello della sua strumentalizzazione mondana. Sappiamo l'esaltazione della prassi nel pensiero marxista; secondo Marx l'uomo deve essere tutto teso a cambiare la Storia, a realizzare la societ perfetta. La caratteristica principale dell'uomo perci "l'impegno", che dovr essere rivoluzionario quando lo richiede la necessit, politico nel governo dello stato laico, possibilista dove lo richiede la convenienza. Dio vuole che l'uomo collabori al proprio destino, alla propria storia terrena, al suo realizzarsi nel tempo; lo vuole collaboratore non passivo, puramente servile, ma consapevole e responsabile, attivo; per il progetto di Dio, viene dalla sua infinita sapienza e ha come fine la sua gloria, la quale, come sappiamo, coincide con la felicit dell'uomo. Ma, anche qui, il peccato originale continua il suo inganno e l'uomo vuole collocarsi al posto di Dio, vuole essere lui il progettista; si autopropone, si autoprogetta, si autorealizza.

145 - La Torre di Babele.


Un'espressione dell'intelletto pratico in chiave mondana stata la Torre di Babele, la realizzazione di un progetto che doveva esprimere la potenza dell'uomo considerata fine a s stessa, la creazione di un'opera che proclamasse la forza dell'ingegno umano nella sua autosufficienza; ma era un'opera che non aveva nulla a che fare con i disegni di Dio e con la sua sapienza, anzi era stata concepita senza Dio e in certo senso contro di lui. Perci, le conseguenze non potevano essere che la confusione e il disordine. Ma la torre di Babele, come espressione di autosufficienza nei confronti di Dio, non la troviamo solamente nella storia dei popoli o nella storia delle civilt umane. Ognuno di noi ha nel cassetto una sua Torre di Babele che prima o poi vorrebbe realizzare: un progetto sulla propria vita che risponda alle varie ambizioni, anche oneste, del proprio cuore ma che non corrisponde al disegno di Dio. Quanti di noi nel programmare la propria vita si sono preoccupati di conoscere la volont di Dio o di confrontarsi con essa? Quante decisioni abbiamo preso nella vita prescindendo da Lui, decisioni che poi si sono rivelate colossali errori e hanno gravato pesantemente con le loro conseguenze sulla nostra vita! Senza dire che sbagliare progetto pu mettere in pericolo il nostro stesso destino eterno. I santi chiedevano luce al Signore quando sentivano il richiamo della sua grazia. Il Beato Escriv usava l'invocazione che Bartimeo, il cieco di Gerico, rivolse a Ges: "Domine, ut videam!" 230 - Signore, che io veda! E' la preghiera che pu servire anche a tutti noi: Signore, che io veda quello che tu vuoi, quello che tu ti aspetti da me e che io non conosco! Ma in fondo ogni cristiano dovrebbe incessantemente rivolgersi al Signore per conoscere la sua volont quando non la conosce, e per attuarla pienamente quando l'ha conosciuta. San Paolo scrive che ognuno di noi come un "edificio di Dio" - Dei aedificatio estis, 231 Dio il progettista e Dio anche il costruttore; il nostro impegno collaborare con l'azione dello Spirito Santo. E' questo il significato dell'espressione: corrispondere alla Grazia. Dio ci dona tante grazie che sono come pietre da utilizzare per la costruzione del nostro edificio spirituale. Dio ci costruisce grazia su grazia finch non abbia portato a termine l'opera in noi cominciata. Nella vita spirituale del cristiano l'intelletto pratico si esprime, perci come lotta ascetica, come impegno nel corrispondere efficacemente al lavoro della grazia. Ora, se la virt che sostiene e potenzia l'intelletto speculativo la fede, l'intelletto pratico trova il suo sostegno e la sua forza nella virt della speranza. La
230 231

Lc. 18,41 1 Cor. 3,9

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speranza infatti virt operativa; ci spinge a mettere mano a progetti che sono sproporzionati alle nostre forze ma che sono proporzionati alla grazia di Dio. Tale il progetto divino della nostra santificazione. La santit ci che Dio vuole per ognuno di noi, secondo un disegno che personale, quasi "su misura" per ciascuno. La speranza di essere santi secondo la grazia di Dio la forza che deve sostenere il nostro impegno ascetico al di sopra di ogni ostacolo e difficolt, compresi gli insuccessi e i fallimenti.

146 - Intelletto pratico e attivismo.


L'intelletto pratico non deve essere proteso a realizzare solo le grandi linee del progetto divino. Una costruzione non fatta soltanto delle strutture portanti, dei muri; ha tutto un arredo, una serie di cose, anche piccole e semplici, che rendono la costruzione abitabile e fruibile, anzi ospitale e gradevole. Il nostro impegno ascetico, dunque, sar spesso su cose piccole e umili, ma servir a corredare l'edificio della nostra anima di tante piccole virt che rendono gradevole a Dio la sua dimora in noi. I grandi santi lo sono stati soprattutto nell'eroismo delle piccole virt della vita quotidiana. La concretezza dei propositi una caratteristica proprio dell'intelletto pratico. C' infine una forma di intelletto pratico che possiamo chiamare patologica e nasce da una ossessiva ambizione personale di cercare la propria realizzazione in un lavoro senza soste, in un'attivit senza respiro, in imprese sempre pi impegnative e assorbenti. E' la malattia dell'attivismo; una specie di morbo di Parkinson che prende l'intelligenza e la pervade di una febbre attivistica senza spazio e senza alternative, ingoiata dal vortice dell'azione, sempre pi incapace di uscirne e di fermarsi. Ecco allora l'homo faber, l'uomo-produzione, l'uomo-manager, l'uomomacchina, l'uomo tutta tensione, tutto crampi e volont di realizzazione, che spesso diventa volont di potenza, volont di autoaffermazione, aggressivit e sfoggio di s. Il lavoro ossessivo e insonne per l'intelletto pratico ci che l'orgoglio scientifico per l'intelletto speculativo: una droga, unalienazione dell'intelligenza stessa che finisce col non "pensare" pi. Si ha cos un attivismo senz'anima, un lavoro senza pensiero; un lavorare che non pi "collaborazione con Dio", senza pi spazio per la preghiera, per la famiglia, per l'amicizia, per la propria crescita interiore. Cos l'azione e la realizzazione delle proprie imprese diventano il monumento funebre alla vita interiore, alla vita dello spirito e alla vera gioia dell'anima. A questo parossismo attivistico professionale corrisponde, su un piano pi domestico l'agitazione femminile. L'intelletto pratico cos preponderante nella donna pu degenerare in una nevrosi per arrivare a tutto. La donna sempre inseguita dalle cose, assillata dai propri "doveri", costantemente perseguitata da complessi di colpa per le proprie presunte inadempienze, inquieta per le molte cose da fare in mezzo alle quali si dibatte come un naufrago in cerca di salvezza..., una delle forme spesso inconsapevoli di attivismo narcisistico che pu diventare alibi alla vera attivit, quella che ha le dimensioni della vita interiore, della libert e dell'amore. Il rimprovero del Signore rivolto a Marta che si agitava perch tutta presa nei "molt i servizi" un richiamo per quanti hanno fatto della prassi il loro unico sistema di vita, il luogo di espressione della loro intelligenza, dimenticando quell'unicum necessarium "che non ci sar mai tolto", perch fa parte non del tempo ma dell'eternit; l'unum necessarium l'aveva scelto Maria, la quale pendeva dalle labbra del Signore. Ma l'espressione pi importante dell'intelletto pratico la coscienza morale. Essa si esprime nel giudizio pratico della ragione sul bene e sul male, o meglio il giudizio sul nostro comportamento e sul nostro agire in riferimento al bene e al male. Se il ruolo dell'intelletto speculativo conoscere la verit, compito 136

dell'intelletto pratico "fare" la verit. Fare non nel senso che sia l'intelletto a creare la verit, ma nel senso che lui, lintelletto, a indicarci come tradurla nella vita pratica, come conformare cio il proprio agire alla verit che emana dall'ordine creato e soprattutto alla verit che ci stata data in dono nella Rivelazione di Dio. La coscienza il ruolo fondamentale dell'intelletto pratico, la sua funzione pi importante; da essa dipende tutto il valore morale della persona, come vedremo parlando della maturit dell'uomo adulto.

C)

INTELLETTO CONTEMPLATIVO

147 - Che cos lIntelletto contemplativo.


La scena evangelica di Marta e Maria pu introdurci alla considerazione della terza attivit della mente umana, quella dell'intelletto contemplativo. Se l'intelletto speculativo, come abbiamo detto, svolge unattivit "ascendente", un moto verso la verit, e la sua forza la fede, e se l'intelletto pratico si esprime in una attivit "discendente", un moto verso le cose da realizzare, e la sua forza la speranza, l'intelletto contemplativo immobile, la sua attivit senza moto, un atto semplice che si esprime nella "visione". E' la forma pi alta di conoscenza, la pi ricca e pi intensa, la sua forza l'amore. Perci dire che l'intelletto contemplativo immobile non significa dire che inerte, vuoto, senza contenuto. Al contrario, esso d una pi profonda intuizione della verit, una pi ampia e completa visione della realt, una fruizione gustosa ed estatica dell'Essere infinito, della sua bellezza, della sua trascendenza, della sua bont e, in Lui, una fruizione profondamente appagante di tutta la creazione. E' unattivit interiore che troviamo nei poeti, in molti filosofi, ma soprattutto nei santi. Propriamente parlando, l'unica vera conoscenza dell'essere la conoscenza contemplativa, perch l'essere, quello creato e ancor pi quello increato ed eterno, non pu essere n dimostrato con l'intelletto speculativo, n tanto meno causato dall'intelletto pratico. L'essere "", e davanti ad esso l'intelletto costretto a fermarsi e a guardare, lo coglie per astrazione intuitiva, con un atto semplicissimo di penetrazione, potremmo dire che spinto a mettersi in ginocchio, consapevole dell'assoluta trascendenza dell'essere che lo anticipa, lo precede, gli viene "dato". La conoscenza dell'essere una specie di stupore intellettuale che sfugge ad ogni definizione, che sperimentato quando davanti ad un oggetto riusciamo a gridare: C'! Esiste! E' qualcosa di simile, sul piano psicologico, all'innamoramento. Tutti nella nostra vita abbiamo sognato una persona che realizzasse il nostro ideale d'amore: un principe azzurro per una ragazza, una donna affascinante per un giovane, un bambino ideale per una madre... abbiamo dato corpo ai nostri fantasmi, e abbiamo forgiato queste persone dentro di noi, modellandole secondo le esigenze dei nostri desideri. Le abbiamo anche amate appassionatamente ma era un amore platonico. Quelle persone erano solo nella nostra mente, dipendevano dalla nostra immaginazione, erano fantasmi soggettivi. Potremmo dire che erano frutto dell'intelletto speculativo, appartenevano al mondo delle idee astratte, o meglio dei sogni. Ma il sogno non contemplazione. Il sogno rimane all'interno del nostro io e ne esprime il moto spesso insonne e vorticoso. La contemplazione invece ci porta fuori di noi e lascia il nostro io immobile davanti alla persona amata. Accade quando questa persona cessa di appartenere al mondo dei sogni e appare l davanti a me, viva. Magari non corrisponde al mio sogno, al mio ideale, ma possiede una caratteristica incommensurabile che ha qualcosa dell'infinito: esiste. Una madre appena "vede" il bambino che ha partorito dimentica 137

immediatamente tutti i suoi sogni e rimane come stregata. "Contempla" quella creatura quasi incredula, senza parole, solo qualche esclamazione che esprime stupore, meraviglia, gioia inesprimibile, molto simile alla felicit. Cos il ragazzo, quando ha visto inaspettatamente la ragazza che lo ha innamorato, rimasto a guardarla, a "contemplarla". Quella persona non era un fantasma, un'idea che gli appartenesse e che avrebbe potuto modellare o manipolare a piacimento, era un essere vivo, reale, una persona in carne ed ossa con una sua identit, una sua storia personale, magari tutta da scoprire, una persona con le sue doti e i suoi limiti, con le sue caratteristiche individuali, con la sua esistenza indistruttibile. E quella persona viva, entrata in lui, ha preso il posto di tutti gli altri fantasmi, e ha cancellato ogni senso di solitudine. Prima egli viveva in compagnia di s stesso, dei suoi ideali, delle sue aspirazioni, dei suoi fantasmi, ma solo. Da quando entrata in lui la persona che lo ha innamorato, cambiato tutto. Sente che quella presenza ha influito sulla sua vita, ha cambiato il suo mondo interiore; una presenza non cercata, non voluta, non fabbricata, perch quella persona, che apparteneva solo a s stessa, gli stata data, era un dono.

148 - La contemplazione mistica


Analogamente, il giorno in cui la nostra mente riuscir a passare dalla propria idea di Dio e dalle proprie opinioni o sensazioni su di lui alla realt di Dio, quando cio il nostro intelletto arriver non a "pensare Dio" ma a cogliere la sua presenza, quasi a gridare: Eccolo! "Signore, sei tu!... sei qui: mi vedi, mi guardi, mi ascolti!", quello sar il giorno della illuminazione contemplativa, il giorno della verit, della libert, dello stupore; il giorno in cui Dio non sar pi una pura conoscenza razionale, una pura possibilit astratta del mio intelletto speculativo e nemmeno una semplice seppur forte motivazione per il mio intelletto pratico, ma una realt viva, un Essere personale che mi sta dinanzi, mi tiene nelle sue mani, mi "vuole" con un atto d'amore ineffabile, un amore che genera amore, provoca amore, libera dentro di me la forza dell'amore. Solo l'amore, l'amore vero, rende contemplativi. Infatti attraverso l'intelletto contemplativo si realizza, fra l'anima e il suo oggetto contemplato, una profonda intimit, una identificazione spirituale che opera dell'amore. Vale la pena di citare l'espressione originale di S. Tommaso D'Aquino che definisce la contemplazione: simplex intuitus veritatis ex caritate consecutus (Summa II-II,q.180,a3,6), un atto semplice di intuizione della verit provocato dall'amore. "Atto semplice" significa che la contemplazione non avviene attraverso quel moto dell'intelletto che la ricerca, la dimostrazione, il ragionamento; l'intelletto rimane come abbagliato dalla luce, appagato dal possesso o meglio dalla presenza intima e immediata dell'oggetto amato, abbandonato in una quiete dolcissima che riposo nell'intimit dell'amore. E' questa la contemplazione mistica; essa porta l'anima a uno stato che il pi vicino alla condizione ultraterrena, alla vita eterna; ha infatti qualcosa che la fa simile alla beatitudine. In cielo non ci saranno pi l'attivit speculativa e l'attivit pratica dell'intelletto; cesseranno infatti la fede e la speranza. Rester la contemplazione, la pura e semplice "visione" di Dio, la comunione d'amore totale e definitiva con lui. Quaggi la contemplazione laboriosa, esige una "fatica", la purificazione interiore. L'immaginazione, la memoria, l'intelletto stesso devono liberarsi dai condizionamenti della sensibilit, delle passioni, delle abitudini; deve farsi "notte" dentro di noi, il silenzio di tutto ci che pu impedire all'anima di raccogliere tutte le energie della persona sull'oggetto amato e contemplarlo. Nella contemplazione mistica questo "oggetto" l'Essere divino in s stesso e nel suo agire, quando compie la sua opera in noi e per noi. Perci improprio chiamare Dio oggetto della 138

contemplazione; in realt l'anima oggetto dell'azione divina; l'anima avverte una dolcissima impotenza, accompagnata da una percezione chiarissima del suo nulla come creatura; in cambio la pervade un senso vivissimo della presenza di Dio che la tiene fra le sue mani, l'avvolge con la sua misericordia, la unisce intimamente alla sua amabilissima volont. Non dunque solo l'intelletto bens l'anima tutta con le sue facolt ad essere coinvolta nel rapporto contemplativo con Dio. Quando la contemplazione opera di Dio, infusa dall'azione dello Spirito Santo, puro dono, assoluto privilegio dovuto alla sovrana e imperscrutabile predilezione divina.

149 - Le vie alla contemplazione.


Normalmente per, la contemplazione esige lo studio amoroso e l'assidua meditazione (intelletto speculativo) della Verit e delle realt della fede, e insieme un generoso impegno ascetico (intelletto pratico) con un paziente esercizio delle virt cristiane, soprattutto della carit e della corrispondenza alla Grazia di Dio. In altre parole, la vita contemplativa il normale sbocco al quale approda la vita d'orazione e l'impegno ascetico di purificazione della nostra anima. Del resto, la fede e la speranza sono le ali dell'amore, e sono esse che trascinano il nostro essere verso Dio che si impossessa della nostra anima e la riempie totalmente di s. Cos lo stupore contemplativo si alterna a un dolcissimo riposo nelle braccia di Dio e riempie l'anima del gaudium cum pace; una gioia e una pace che non hanno nulla in comune con i risultati delle tecniche spirituali praticate dalle varie religioni, n con nessun'altra esperienza di questo mondo. L'intelletto contemplativo l'espressione pi alta della conoscenza umana e rivela la preziosa dignit della nostra intelligenza. La contemplazione, infatti, potenzia e perfeziona una delle doti pi preziose dell'intelligenza: la magnanimit. E' una dote che l'uomo contemporaneo ha perduto; la concezione immanentista della realt, la visione materialistica della vita che sfocia nell'edonismo, nel consumismo, nell'anarchia morale, hanno rattrappito l'intelligenza delle generazioni attuali. Il vuoto spirituale di tanti intellettuali e della stessa cultura ufficiale impressionante; lo documentano la povert di pensiero, la banalit e la volgarit dei sentimenti, il noioso riciclaggio dei contenuti, l'angustia delle prospettive. E tanta tristezza. E tanto squallore. La magnanimit intellettuale la capacit di pensare cose grandi, di spaziare sugli orizzonti senza confini della verit, di penetrare le dimensioni soprannaturali dell'esistenza umana; la capacit di scoprire anche nei piccoli spazi della vita quotidiana le dimensioni dell'eternit, di dare senso divino alle vicende umane pi nascoste ed oscure, la capacit di cantare il magnificat nei giorni del dolore e della tribolazione. In altri termini, magnanimit intellettuale la capacit di pensare la santit. Vita contemplativa, dunque. Portare in noi un intelletto aperto allo stupore del mistero di Dio e della sua vita intima, contemplazione del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo; contemplazione del Verbo fatto carne, Ges Cristo: Bambino nel Presepe, fanciullo e uomo nella bottega di Nazareth, Maestro tra le folle di Galilea, uomo di dolori nella Passione, Sacerdote eterno immolato sulla croce, Re vittorioso nella Risurrezione, Prigioniero d'amore nei Tabernacoli; contemplare il volto di Dio nel volto di ogni fratello, contemplare la mano di Dio in ogni avvenimento della nostra vita, contemplare la magnificenza, la bellezza, la sapienza e la potenza di Dio disseminate nelle creature..., e contemplare i "cammini divini della terra" dove ogni fatica, ogni sorriso, ogni lagrima, ogni dolore possono diventare grazia, luce e amore di Dio.

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IL TEMPO NEL TEMPO: PASSATO, PRESENTE, FUTURO.

IL PASSATO: TEMPO DELLA MEMORIA

150 - Il tempo delle cose e il tempo delluomo.


Dicevamo che lo spirito umano la vera misura del tempo; in certo qual modo il tempo cominciato con l'uomo. Ci significa che esiste un tempo nel tempo: il tempo dell'uomo nel tempo delle cose, o meglio il tempo delle cose nel tempo dell'uomo. Se chiudo gli occhi e guardo nel mio intimo vedo scorrere il tempo dentro di me; io stesso posso rapidamente andare e venire dal passato al futuro; anzi, senza lasciare il passato e senza aspettare il futuro, avverto che tutto "presente" dentro di me. Mi vedo "contemporaneo" a tutto ci che stato e a tutto ci che sar. I cicli cosmici, le re geologiche, i millenni della storia umana e tutto il divenire dell'umanit sono dentro il mio pensiero che tutto abbraccia. Tutto ha una durata, ma lo spirito che la misura. Il moto nelle cose, il tempo nell'uomo. Ma anche nell'uomo il tempo non senza moto. Il nostro io una realt distesa nel tempo, e la durata del tempo viene percepita nel nostro vissuto. Tuttavia la durata del tempo e la durata del vissuto non hanno la stessa misura, non sempre coincidono. Il tempo del nostro vissuto non dato dal numero degli anni ma dal numero delle nostre "decisioni". Esistono decisioni di fondo, quelle determinanti, che decidono il senso del nostro cammino, l'orientamento del nostro essere interiore. Ed esistono decisioni "operative", quelle che danno consistenza al nostro vissuto quotidiano, e si attuano nel concreto della nostra vita. Santa Teresa le chiamava "determinacioncillas", piccole decisioni che tendono ad attuare con pienezza e senza ritardi la nostra vita secondo il disegno di Dio. Perci, possono esserci vite lunghe, che durano molti anni, ma che realizzano un vissuto corto; vite mai arrivate a compimento, rimaste nel tempo come un progetto incompiuto. Possono esserci invece vite brevi, di pochi anni, ma dal vissuto intenso, ricco, profondo che ha dato ampiezza di durata e di contenuto al breve corso degli anni. Hanno realizzato il detto dell'antica Sapienza: "Consummatus in brevi, explevit tempora multa": vissuto per pochi anni, ma ha riempito molto tempo. 232 Inoltre il tempo del nostro vissuto interiore e il tempo delle cose non hanno lo
232

Sap. 4,13

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stesso ritmo. Il moto nelle cose sempre uguale; possiamo calcolarlo e misurarlo con unit di misura precise e sempre uguali. Il nostro tempo interiore segue il ritmo della libert e della grazia. Il suo moto imprevedibile e non sai le sue scadenze: "il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va: cos di chiunque nato dallo Spirito". 233 Perci S.Agostino diceva di temere il Signore che passa, perch non sai quando passa, e lasciarlo passare senza seguirlo rischiare, a volte il proprio destino, a volte la santit, sempre rischiare di "perdere il tempo", perdere un'occasione per amare. Libert e grazia: misurano la vera densit del nostro vissuto. Il nostro tempo interiore corre su due semirette: il passato e il futuro, che si uniscono in un punto comune: l'istante presente. Sono, - il passato, il presente, il futuro, - le tre dimensioni del nostro io e del nostro tempo interiore.

151 - La memoria: archivio del tempo.


Potremmo pensare la memoria come lo specchio retrovisore della nostra anima. Lo specchio retrovisore ci aiuta a muoverci sulla strada con pi sicurezza evitando manovre pericolose. La memoria, utilizzando esperienze passate, pu servirci per camminare nella vita con pi intelligenza e con maggiore saggezza. Da giovani, avendo percorso poca strada, abbiamo una memoria corta, ed essendo poco disposti a utilizzare le esperienze altrui, siamo esposti ai rischi dell'imprudenza o della presunzione. Potremmo anche pensare la memoria come un video che registra il nostro vissuto e lo custodisce. E' infatti la facolt che conserva in noi il tempo, ne misura le dimensioni, e lo proietta come in un abisso. Il tempo scorre ma le esperienze restano, si accumulano, si addensano, acquistano spessore e costituiscono il vissuto del nostro io; diventano il regno privilegiato della memoria e anche il suo trampolino, perch dal vissuto personale la memoria pu fare un balzo nel tempo. La memoria una facolt ampia; ampia per il suo oggetto, perch pu penetrare a ritroso nel tempo fino a incontrare il muro delle origini: l'inizio delle cose; anzi, con la forza del pensiero pu attraversare quel muro per espandersi nel mistero insondabile del nulla dell'Universo: "prima che il mondo fosse"; ma ampia anche nel soggetto, essa spazia dalla plasticit biochimica del nostro organismo (memoria biologica) alla densit intellettuale della nostra mente (memoria intellettiva) passando attraverso il subconscio psicologico (memoria psichica) e l'archivio della nostra sensibilit interiore (memoria sensitiva). In altre parole, come abbiamo visto, tutto il nostro essere dotato di memoria, anche se, nel suo significato pi rigoroso, essa viene definita come "capacit di fissare, conservare e richiamare fatti di esperienza vissuti precedentemente e di riconoscerli con la loro localizzazione nel passato". Enorme l'importanza di questa facolt nella vita personale e sociale; necessario perci esercitarla, curarla e affinarla. La memoria come lo spessore dell'intelligenza. Un uomo superficiale, atono, con una memoria corta e povera condurr una vita senza profondit e non conoscer il valore del tempo. E' il caso delle ideologie rivoluzionarie che respingono ogni legame col passato e rifiutano la memoria. Ma un'intelligenza senza memoria rimane senza radici e finisce nella pazzia. E' necessario per, quale presupposto per l'armonia della nostra vita interiore, che usiamo rettamente di questa facolt. Il buon uso della memoria porta ad una selezione e ad una purificazione dei ricordi e insieme esige la loro correlazione ordinata in riferimento ai valori, e infine suppone, in noi, un certo distacco interiore.
233

Gv. 3,8

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L'esercizio positivo della memoria, infatti, non possibile senza una sufficiente libert di fronte ai propri ricordi. La memoria una facolt "passiva", incapace di presiedere alla propria attivit; infatti mossa e governata dalla volont. La volont agisce nel presente ed per lei che il passato della nostra memoria diventa attuale. Ora pu accadere che questa presenza del passato pesi negativamente sul nostro presente. E' necessario perci che la memoria non diventi un peso morto e mortificante, ma rimanga saldamente ancorata all'intelligenza e governata dalla volont perch sia stimolo alla nostra vitalit interiore. Le radici devono alimentare l'albero, non mortificarlo.

152 - La memoria del cuore.


La memoria ci permette di utilizzare il tempo anche quando non l'abbiamo pi a disposizione. Il tempo passato pu essere stato positivo o negativo, speso bene o speso male; pu essere stato anche un passato senza peso, vuoto, un "tempo perduto", perch dissipato in cose effimere, apparenti, inutili, oppure pu essere stato un tempo segnato dal dolore e dalla tribolazione, come anche gratificato dal successo e ricolmo di gioie. Ma il passato certamente pi importante e pi prezioso resta quello contrassegnato dalla grazia e dai doni di Dio. Di tutto il nostro passato, non tutti i ricordi vanno richiamati o accettati; ci sono ricordi che vanno seppelliti e, se fosse possibile, cancellati dalla memoria. E' il caso dei torti ricevuti, delle offese e delle ingiustizie patite; tener vive queste cose nella memoria come dire che non abbiamo ancora perdonato. Se poi ci turbano e ci tolgono la pace, il loro ricordo include una forma di vendetta. La memoria, dunque, serve per ricordare e serve per dimenticare: necessario, perci, filtrare i ricordi. I vocaboli "ri-cordo, ri-cordare " fanno riferimento al cuore, e nel cuore gli antichi collocavano la sede della memoria. Come dire che noi siamo inclini a ricordare o a dimenticare una cosa secondo che essa ci sta a cuore o non ci sta a cuore. Perci, per filtrare i ricordi in modo retto e saggio, occorre un "cuore buono". Infatti, un cuore buono sapr dimenticare le offese, le ingiustizie e le umiliazioni patite, mentre conserver il ricordo del bene che ha ricevuto e dei doni che ha goduto; un cuore buono rifugge dal ricordo degli atti cattivi del passato perch ha rotto con loro e non vuole che diventino un pericolo per l'anima; semmai ricorda i peccati passati per rinnovare la contrizione interiore e cancellare con l'amore il disamore della vita passata. Un cuore buono accoglie i ricordi che gli danno pace e gioia perch gli ricordano la misericordia di Dio, dimentica invece i dubbi, le tristezze, i sentiment i negativi perch gli danno inquietudine e gli tolgono la pace. Insomma, un cuore buono ha memoria del bene e di ci che porta al bene e dimentica il male e ci che produce il male. Un cuore buono lo si riconosce cos anche dai suoi ricordi.

153 - Memoria e contemplazione.


Ma la selezione dei ricordi non risponde soltanto a un bisogno di igiene interiore, sia essa di carattere psicologico o di carattere religioso-morale; essa necessaria anche per leggere e ricostruire il vero volto della nostra storia personale e leggerla, dentro il grande fiume della storia umana, alla luce della storia della Salvezza. La memoria non un ripostiglio dove finiscono accumulate l'una sull'altra le esperienze personali e i vari avvenimenti della vita, e nemmeno una specie di cassonetto dove si raccolgono alla rinfusa il bene e il male, e nel quale possiamo rovistare ogni tanto per tirar fuori cose passate che non hanno altro significato che 143

quello di essere passate. Non si pu giocare con i ricordi o servirsene per le nostre nostalgie. La memoria vita, conserva cose che appartengono alla nostra vita, e richiamarle secondo un ordine, secondo un criterio di storia "leggere la nostra vita", scoprirne il senso, la traiettoria; rivisitare i luoghi della nostra libert dove passato il Signore con la sua grazia e con la sua misericordia. In questo senso la memoria un luogo privilegiato per l'intelletto contemplativo. S. Luca ci narra ripetutamente che la Madonna "conservava tutte queste cose meditandole nel suo cuore". 234 Quando la nostra memoria conserva il ricordo di quello che il Signore ha fatto per noi, essa diventa uno scrigno prezioso dal quale possibile far uscire lentamente il lungo filo dei ricordi; su quel filo dorato, come su una strada che attraversa le stagioni e i paesaggi della nostra vita, possiamo contemplare con intelletto d'amore le orme lasciate da Dio nella nostra anima, le ore di grazia lasciate cadere sulla nostra vicenda di creature, l'ombra silenziosa di un Padre che stava accanto ai nostri passi quando ci sembravano pesanti, smarriti e senza speranza. Tutto questo non pu che riempirci di commozione e di intima gioia, e soprattutto di gratitudine. A volte ci viene da pensare che la nostra vita passata assomigli, come si dice, ad un romanzo, e agli occhi della psicologia e della valutazione umana delle cose pu essere cos; ma, per noi cristiani, la nostra vita passata una "storia sacra", un intreccio originale e unico, tessuto dalle dita di Dio che tante volte ha giocato con la nostra libert. Quanto pi la fede illumina la nostra memoria, tanto pi i ricordi raccontano la storia profonda della nostra esistenza, la storia scritta da Dio, che ci verr pienamente rivelata nel cielo.

154 - Memoria e sincerit.


Ma per poter percorrere con atteggiamento contemplativo di gratitudine gioiosa e di consapevolezza soprannaturale il nostro passato sul filo della "memoria storica" personale, occorre conservare una certa "distanza" dai ricordi e dai loro fantasmi. Quando lasciamo che il passato ci pesi addosso come se fosse presente e lo rivestiamo con le emozioni e gli stati d'animo del presente, esso diventa un pericolo per la nostra libert interiore, pu caricarci di complessi di colpa e di frustrazioni spesso accompagnate da un senso angoscioso d'impotenza. Essere persone libere significa anche saper assumersi la responsabilit della propria vita, tutta intera, con gli errori e le miserie che l'hanno accompagnata. Questo significa che dobbiamo accettare noi stessi come siamo e come siamo stati; cio accettare il nostro presente e il nostro passato, anche quello che vorremmo non ci fosse stato e che inconsciamente vorremmo rimuovere dalla nostra memoria per farlo sparire dalla nostra coscienza. E' questione di sincerit con se stessi, di lealt verso la vita e di umilt davant i a Dio. Virt che dovremmo trovare in ogni persona libera, capace di responsabilit, ma che sono doverose in un cristiano. Anche qui, come sempre, la superbia che viene a complicare le cose, e alla fine ci porta a vivere in modo sbagliato con noi stessi e in modo ancora sbagliato ci fa stare nella nostra vita. La conseguenza, quando non la nevrosi, un profondo malessere interiore, una specie di insonnia come se il passato continuasse a rumoreggiare dentro di noi, a inseguirci come un nemico. L'umilt invece mette pace nella nostra anima, ci porta ad accettare il nostro passato perch nostro, perch fa parte della nostra vita; e ci porta anche a valutarlo con responsabilit e obiettivit alla luce del bene e del male, ma lasciando a Dio il giudizio, e abbandonando alla sua dolcissima misericordia gli errori e le colpe, dalle quali tuttavia sapremo ricavare esperienza, desiderio di espiazione,
234

Lc. 2,19

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spinta per un amore pi grande. Senza umilt non possibile la pace nella nostra anima; non possibile vivere in pace con s stessi e con la propria vita.

155 - Memoria e dimenticanza di Dio.


Ma se ci sono cose che non dobbiamo ricordare, ci sono anche cose che non dobbiamo dimenticare. Dobbiamo selezionare e filtrare i nostri ricordi, ma anche abbiamo il dovere di fissare nella memoria ci che non dovrebbe mai mancare nei nostri pensieri. C' un rimprovero che i Profeti nell'Antico Testamento rivolgevano frequentemente al Popolo eletto: la dimenticanza di Dio. Geremia la stigmatizza con un paragone carico di ironia e insieme pieno di dolore: una donna non riesce a dimenticarsi dei suoi ninnoli, degli ornamenti futili della sua vanit, Israele invece arriva a dimenticarsi per anni del suo Dio. "Si dimentica forse una vergine dei suoi ornamenti, una sposa della sua cintura? Eppure il mio popolo mi ha dimenticato per giorni innumerevoli". 235 La dimenticanza di Dio alla base di una visione materialistica della vita e di una condotta totalmente secolarizzata. Ha perci il sapore di una apostasia, di un tradimento; abbandonare Dio per seguire altri idoli che ci siamo fabbricati noi. L'uomo infatti non pu stare senza Dio, e quando si dimentica del suo creatore rincorre divinit fittizie che sono un sosia grottesco del suo "io". E dimenticarsi di Dio vuol dire dimenticare i suoi comandamenti, i suoi doni, le sue misericordie, le meraviglie compiute per noi dal suo amore. Quando la nostra memoria priva di questi riferimenti, il nostro modo di stare nel presente disorientato e insicuro. Diventiamo un albero sradicato in preda alle acque torrenziali degli avvenimenti, una barca alla deriva in bala di venti che soffiano da ogni parte. Perci il Signore con insistenza raccomanda al popolo di Israele di non dimenticare: "Guardati dal dimenticare il Signore che ti ha fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla condizione di schiavit. 236...guardati e guardati bene dal dimenticare le cose che i tuoi occhi hanno visto: non ti sfuggano dal cuore, per tutto il tempo della tua vita. Le insegnerai anche ai tuoi figli e ai figli dei tuoi figli".237 La memoria personale dovr cos diventare una memoria collettiva, "la memoria storica" di tutto un popolo. E perch non cadessero in dimenticanza i suoi precetti, la sua Alleanza e i prodigi da Lui compiuti per liberare Israele, Dio, per bocca di Mos, dir a tutto il popolo: "Questi precetti che oggi ti do, ti siano fissi nel cuore (la memoria) ... te li legherai alla mano come un segno, ti saranno come un pendaglio tra gli occhi, e li scriverai sugli stipiti delle tue case e delle tue porte". 238 Far, poi, costruire un'arca per conservarvi il "memoriale" dell'Alleanza, cio le Tavole della Legge, la Manna, la Verga di Aronne; infine dar ordine di ripetere ogni anno la Cena pasquale, e "cos per tutto il tempo della tua vita tu ti ricorderai il giorno in cui sei uscito dal paese d'Egitto". E quando Israele si allontaner da Dio dimenticando i suoi precetti e la sua Alleanza, Dio stesso gli mander i suoi profeti e permetter dure esperienze per richiamarlo alla fedelt, e indurlo a non dimenticare. Anche nei Salmi troviamo continui richiami a non dimenticare. Il pi noto il Salmo 136, il canto dell'esilio: "Sui fiumi di Babilonia, l sedevamo piangendo al ricordo di Sion (...) come cantare i canti del Signore in terra straniera? Se ti dimentico, Gerusalemme, si paralizzi la mia destra; mi si attacchi la lingua al palato se lascio cadere il tuo ricordo, se non metto Gerusalemme al di sopra di ogni mia
235 236 237 238

Ger. 2,32 Deut. 6,12 Deut. 4,9 Deut. 6,6-8

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gioia". 239

156 - Il Memoriale di Cristo.


Ma con Ges Cristo la "memoria storica" di un popolo, codificata nei segni liturgici, diventa, nei segni sacramentali, un "Memoriale vivente" per tutta l'umanit. "Nella notte in cui veniva tradito, prese il pane e, dopo aver reso grazie, lo spezz e disse: Questo il mio corpo che per voi; fate questo in memoria di me. Allo stesso modo, prese il calice, dicendo: questo calice la nuova Alleanza nel mio sangue; fate questo ogni volta che ne bevete, in memoria di me". 240 Non c' in tutto l'universo un luogo dove l'eternit abbia infranto tutte le leggi del tempo e dello spazio come qui nella Santissima Eucaristia: in un istante, vengono superati duemila anni di tempo e annullata la distanza di migliaia di chilometri. Ci che si compie sull'altare lo stesso mistero che si compiuto in quella notte a Gerusalemme. Non solo le leggi della natura sono state superate ma anche le leggi dello spirito umano; l'intelletto non ha categorie che possano esprimere il mistero, e la memoria non pi la facolt del passato. La "memoria", in Dio, un presente eterno e i prodigi da lui compiuti non appartengono solo al passato. Le opere di Dio, pur compiute nel tempo, rimangono in eterno; non finiscono come le vicende umane sepolte in un passato dal quale necessario richiamarle ricorrendo alla memoria. Ges non dice: rinnovate, ricordate, ripetete questo in memoria di me; dice: Fate questo..., vale a dire: questo che io ho fatto, voi lo rendete presente in tutta la sua realt ogni volta che anche voi lo fate. Perci, concludeva S. Paolo: "ogni volta che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate (non "commemorate", "ricordate") la morte del Signore finch egli venga". 241 Noi cristiani cattolici, per incontrare Cristo e la sua redenzione, non abbiamo bisogno di passare attraverso la memoria, come avviene per i cristiani-protestanti che avendo perduto la sacramentalit del gesto salvifico di Cristo ne conservano solo la ritualit commemorativa; a noi dato di trovare Cristo, realmente e veramente oggi, adesso - nei Sacramenti e soprattutto nell'Eucaristia, "Memoriale vivente" della sua Passione sino alla fine del mondo. Abbiamo semmai bisogno della fantasia per vestire con le immagini una Realt che presente nel Mistero. Cos la nostra memoria del passato diventa attenzione al presente, un presente che stimola la fede e che non lascia inerte l'amore. Un presente che compimento e caparra delle promesse divine per cui la memoria lascia il posto alla contemplazione che illumina di gioiosa speranza e d'incrollabile certezza tutto il futuro del nostro cammino. Quanto pi la nostra unione con Cristo per mezzo della fede, della speranza e della carit diventa attuale e profonda, tanto pi le categorie del tempo - il passato, il presente, il futuro - si annullano, l'anima anela ad abitare l'eternit e finisce col vivere di desiderio. Un desiderio inesprimibile che trova nei ricordi del passato e nelle immagini del futuro un doloroso ostacolo alla sua felicit; memoria e fantasia - passato e futuro - sono allora causa di sofferenza e di dolore perch impediscono all'anima l'attenzione piena e totale a Colui che l'eterno Presente, a Colui che, non avendo n spazio n tempo, rimasto l'unico Amore che ci attende nell'eternit.

239 240 241

Salmo n. 136,1-4 1 Cor. 11,24-25 1 Cor. 11,26

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IL PRESENTE: TEMPO DELLA VOLONTA

157 - Volont e Intelletto.


La volont la facolt del presente. Essa svolge un ruolo fondamentale; infatti la facolt operativa che si colloca al centro della nostra persona, e presiede a tutti gli atti che promanano dalle altre facolt nel momento in cui questi atti si pongono. Il tempo presente perci il luogo del suo agire, e gli atti delle altre facolt sono il luogo del suo manifestarsi: gli occhi guardano se voglio guardare, la fantasia immagina se voglio fantasticare, l'intelletto conosce se voglio che si muova verso la verit ecc.; la volont dunque il centro etico della persona. L'uomo infatti si qualifica come buono o cattivo secondo che possiede una volont buona o una volont cattiva. La volont umana presenta due caratteristiche: intenzionale, cio legata all'intelletto come appetito intellettuale, ed libera, pu cio autodeterminarsi. Essa perci sta alla base della nostra responsabilit. Proprio perch abbiamo una volont che ha il dominio dei propri atti, noi abbiamo la capacit e il dovere di rispondere di essi. Tutto questo ci da la misura della nostra grandezza, della nostra dignit di esseri umani formati a immagine di Dio. Questa immagine gi presente in noi ma anche tutta da realizzare; siamo come attirati da Dio, chiamati a diventare sempre pi "simili a Lui", realizzando in noi una immagine sempre pi perfetta di Lui: "Siate figli del Padre vostro celeste". 242 Ci significa che la nostra volont deve essere orientata, anzi "fortemente" orientata verso Dio, cos da trascinare verso di Lui tutto il nostro essere. Si potrebbe dire che una volont forte sa spingere verso l'alto la nostra natura con le sue facolt: quelle inferiori (i sensi e gli istinti) che vanno sottomesse alle facolt superiori (l'intelletto e la ragione) e queste che a loro volta vanno sottomesse a Dio. Del resto sappiamo che anche il mondo infraumano, il mondo della Natura, doveva rimanere soggetto all'uomo. Era infatti questo l'ordine nel quale Dio aveva creato tutte le cose; Egli aveva distribuito le creature secondo un orientamento che rispettava la scala dei valori. Ogni cosa aveva il suo posto. Era la pace, la tranquillitas ordinis.

158 - Debolezza della volont.


Finch la volont dell'uomo rimase pienamente soggetta alla volont di Dio rispettando l'ordine da lui voluto, regn la pace e l'uomo poteva vivere nell'Eden, il Paradiso piantato dal Signore. Ma quando l'uomo, dissociandosi dalla volont di Dio, si allontan da lui pretendendo la conoscenza del bene e del male e volle porre se stesso come criterio di verit e come norma morale, tutto l'ordine predisposto da Dio venne sconvolto; si scaten la guerra dentro l'uomo e in tutto il creato. La volont perse cos la sua forza e il suo potere; si trov a subire il ricatto dei sensi, la
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Mt. 5,45

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ribellione degli istinti, la debolezza di un intelletto che non era pi in grado di illuminarla; perci il disordine, la paura, l'anarchia. A questa disobbedienza dell'uomo, Dio rispose con l'obbedienza del Figlio, obbedienza che non solo ha riparato il peccato della nostra ribellione, ottenendoci il perdono della colpa, ma ci ha anche meritato la grazia che salva. Nell'agonia del Getsemani, nella notte che precedette la sua passione, Ges si consegn nelle mani del Padre con un atto di obbedienza totale:"Padre, si faccia non la mia ma la tua volont", 243 obbedienza che poi lo port sulla croce. Ora, per trovare misericordia davanti a Dio e ricevere la grazia della salvezza, necessario che entriamo anche no i nell'obbedienza del Figlio; occorre che anche la nostra volont si unisca alla volont di Cristo per compiere con Lui la volont del Padre. Cristo avrebbe potuto portare a compimento la nostra salvezza distruggendo in noi tutte le conseguenze del peccato: il disordine delle passioni e le inclinazioni al male, ristabilendo cos, in noi e nel mondo intero, l'armonia originale. Egli invece ha voluto che anche l'uomo collaborasse, con libera decisione, alla propria salvezza in modo da completare nella propria carne quello che manca ai patimenti di Cristo". 244 Non basta perci che la nostra volont si riordini a Dio, torni ad orientarsi verso di lui con l'obbedienza, ma occorre che riprenda il suo posto all'interno dell'uomo, occorre che restauri il suo dominio sulle altre facolt per ripristinare l'unit interiore, l'ordine e la pace all'interno della nostra natura. E' un lavoro che chiamiamo "ascetico", di ascesi, in quanto la volont chiamata a spingere tutto il nostro essere verso l'alto, appunto verso Dio. Perci chiamata, la volont, a riprendere il dominio sui sensi, a ordinare verso il bene la forza delle passioni, a spingere l'intelletto ad accogliere la Rivelazione di Dio e anche ad esigere da se stessa di disporsi sulla strada dei Comandamenti.

159 - La forza della volont.


Tuttavia la nostra volont non ha pi la forza per assolvere il suo compito. Ogni giorno facciamo l'esperienza della sua debolezza: incertezza nelle decisioni, fragilit nei propositi, incostanza nello sforzo, indecisione nell'agire per cui vogliamo e non vogliamo nello stesso tempo. Abbiamo detto che la grande malata dei nostri giorni l'intelligenza, ma le conseguenze sulla volont sono mortali. In molt i la volont come morta, paralizzata; alcuni si lasciano portare dagli avveniment i incapaci di decisioni e di scelte; altri hanno una volont sclerotica, indurita da vecchie abitudini, pesantemente condizionata dall'ambiente, dalla moda o dalla mentalit dominante; altri ancora hanno lasciato che le passioni sostituiscano la volont, per cui agiscono sotto la spinta dell'avidit, del rancore, della vanit, della sensualit, dell'odio. Alla luce di questa situazione umana, molti hanno concluso che l'uomo non affatto libero e che la nostra volont irrimediabilmente corrotta, incapace di operare il bene, perch anche nel bene l'uomo cerca il proprio interesse o la propria gratificazione. In realt questa condizione, che a volte appare tragica, significa due cose: che il peccato stato una vera catastrofe per il genere umano, e che riprendere il controllo sul nostro io e il dominio sulle passioni da parte della volont risulta di fatto impossibile senza la Grazia. Questa convinzione, fondata del resto sull'esperienza, dovrebbe liberarci da ogni tentazione di volontarismo, di contare cio esclusivamente sui nostri sforzi, di credere ad un titanico "volli, sempre volli, fortissimamente volli".
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Lc. 22,42 Col. 1,24

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Ges ci ha meritato la grazia santificante che divinizza la nostra anima, ma ci ha ottenuto anche la "grazia sanante", la grazia che risana le nostre facolt soprattutto la volont, fortificandola perch riprenda il dominio sulle passioni, e accompagnandola (grazia cooperante) nel suo impegno di esercitare le virt teologali e di acquisire le virt cardinali. Del resto, Ges ce l'ha detto apertamente: "Senza di me, non potete far nulla". Non qualche cosa, non un po' di bene: nulla. E questo non deve risultare umiliante per noi, quasi una dichiarazione di resa totale, di sconfitta; l'umilt della creatura che sa di essere stata salvata da Dio con una salvezza che viene tutta e solamente da lui. Abbiamo gi detto che Dio ci comunica la sua grazia attraverso i sacramenti, che tuttavia suppongono sempre e comunque la nostra preghiera, una preghiera umile, perseverante, fiduciosa. Questo tanto vero che un santo ha potuto dire:chi non prega non si salva.

160 - Educare la volont.


La seconda cosa che emerge dalla nostra condizione umana debilitata che la volont ha bisogno di essere "educata". E' indispensabile una terapia della volont, rimasta indebolita dal peccato, cos come necessaria una terapia dell'intelligenza. Come ogni altra facolt anche la volont va allenata, va esercitata negli atti buoni, cos da essere efficacemente fortificata nel bene. Questa verit deve premunirci contro ogni naturalismo ottimistico, che considera l'uomo naturalmente e integralmente buono; ignora cio il disordine delle passioni, l'oscuramento della coscienza, l'inclinazione all'egoismo. Un naturalismo siffatto ha conseguenze deleterie nel campo della pedagogia. Impedire al bambino, al ragazzo, agli alunni di fare quello che vogliono , secondo la pedagogia naturalistica, non solo un abuso di potere ma anche una mortificazione della loro personalit, una violenza alla loro natura. E' cos che l'uomo diventa cattivo: lo fa tale la societ. Ora tra il pessimismo negativo o rassegnato che ignora il dono della Grazia, e l'ottimismo trionfante, naturalistico, che ignora il disordine del peccato e delle passioni, ecco l'uomo storico, reale, vero, l'uomo secondo la Rivelazione: creatura di Dio, forgiato a sua immagine e somiglianza, ferito e corrotto dal peccato ma anche redento da Cristo e chiamato, nella Chiesa, alla comunione con Dio e alla Vita Eterna. L'uomo, dunque, pur avendo perduto la sua integrit originale e i doni che avevano perfezionato la sua natura, non ha perduto la sua capacit di intendere e di volere responsabilmente. Questa capacit, pur indebolita e condizionata, a volte pesantemente, dalle pulsioni interne (le passioni) o da pressioni esterne (l'ambiente mondano), non viene soppressa o annullata, salvo nei casi patologici; essa, invece, con l'esercizio paziente e perseverante delle virt pu ricomporre l'ordine interiore dell'uomo nella sua identit e dignit di figlio di Dio fino all'eroismo della santit. Sant'Agostino ricorda tutto questo con un'espressione estremamente vigorosa: "Colui che ha creato te senza di te, non salver te senza di te". C', qui, tutto il mistero della Grazia e tutto il mistero della nostra responsabilit personale.

161 - Volont e amore.


La dote pi importante della volont - si dice - la fortezza. A volte si qualifica una persona come forte perch cocciuta, caparbia, puntigliosa. Per s questi atteggiamenti non sono espressione di fortezza, possono anzi diventare difetti, frutto della superbia o legati pi al carattere che alla volont e perci vanno semmai 149

corretti. La fortezza una virt pi profonda, pi spirituale. Possiamo dire che la forza con cui la nostra volont aderisce intimamente alla volont di Dio, una forza che non pu essere superata da nessun'altra, perch la forza dell'amore. Perci San Paolo esclamava: "Chi dunque ci separer dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudit, il pericolo, la spada?... Ma in tutte queste cose noi siamo pi che vincitori per virt di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che n morte n vita, n angeli n principati, n presente n avvenire, n potenze, n altezza n profondit, n alcun'altra creatura potr mai separarci dall'amore di Dio, in Cristo Ges, nostro Signore". 245 Una volont forte una volont lungamente esercitata e intensamente innamorata. Ogni "si" detto a Dio per amore fortifica la volont, la rende sempre pi ferma nell'adesione alla volont divina e sempre pi efficace nel dominio sulle altre facolt; esse verranno orientate sempre pi fortemente verso il nostro fine ultimo e sottomesse alla legge dell'amore. Perci una volont forte e innamorata si vede nel comportamento quotidiano, in ogni istante e in ogni circostanza; essa vince il timore e la paura, non si preoccupa del giudizio altrui n teme il ridicolo, non subisce i condizionamenti dell'ambiente o della mentalit dominante, non fugge davanti al sacrificio o alla fatica per lo sforzo, perseverante nel lavoro incominciato e lo porta a termine fino al dettaglio, paziente nelle avversit e sopporta con garbo le contrariet della vita, domina il desiderio di vendetta e sa spingere il nostro animo al perdono, non si lascia trascinare dallo zelo amaro che aggredisce le persone ma anche sa soffrire per difendere la verit, aborrisce la vigliaccheria e il rispetto umano e respinge l'anonimato che un rifiuto alla propria responsabilit, infine perseverante nella testimonianza fino al sacrificio di s; il martirio la sua espressione suprema. L'elenco potrebbe allungarsi ma non arriverebbe ad esaurire tutte le possibili applicazioni di questa virt perch la fortezza abbraccia tutto il campo dell'agire umano. Importante, invece, convincersi che il campo privilegiato in cui possiamo fortificare la volont quello delle piccole cose, nelle circostanze ordinarie della vita quotidiana. Scrive il Beato Josemaria Escriv: "Volont. E' una caratteristica molto importante. Non disprezzare le piccole cose, perch nel continuo esercizio di negare e di negarti in esse - che non sono mai futili, n di poco conto - fortificherai, darai virilit, con la grazia di Dio, alla tua volont, per essere molto padrone di te stesso, innanzitutto. E poi, guida, capo, leader!..., per impegnare, spingere, trascinare, col tuo esempio e con la tua parola e con la tua scienza e con la tua autorit". 246

162 - Volont e Grazia.


"Educare" la volont significa dunque "trarre fuori" dalla volont tutta la potenzialit di decisione e di fermezza che essa contiene. Ed essendo essa un "appetito intellettivo" avranno un ruolo determinante i valori e le motivazioni che l'intelligenza sapr proporre alla volont. Di qui l'importanza di una intelligenza sana, nutrita di valori autentici, veri, e di qui anche la responsabilit degli educatori, genitori in particolare, di proporre ai figli con l'esempio prima - non possiamo barare! - e poi con la parola e con l'insegnamento, gli ideali in cui si realizzano la verit e il bene. Soltanto valori nobili, forti, duraturi, possono muovere la volont verso ideali di vita degni dell'uomo; ma soprattutto sar la conoscenza sempre pi profonda di Dio, Bene sommo, Valore di tutti i valori, che potr attirare irresistibilmente la volont - innamorarla! - verso gli orizzonti senza confini della
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Rom. 8,35-39 Cammino n. 19

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santit e della perfezione cristiana. C' un ritornello, - possiamo anche chiamarlo slogan - che dovrebbe echeggiare continuamente dentro il nostro animo come una preghiera: "Vale la pena! Vale la pena! Vale la pena!". Tuttavia, la necessit della Grazia nell'educazione della volont - grazia che, come abbiamo visto, viene da Cristo e opera in noi come dono dello Spirito - fa si che la nostra fortezza sia tutta "prestata"; una fortezza non nostra, che non viene da noi perch un dono: "..la nostra capacit viene da Dio", scrive San Paolo ai Corinti, facendo eco alle parole di Ges:"Senza di me non potete far nulla". 247 Perci la Grazia fa della nostra fortezza una virt "cristiana", radicalmente diversa da ogni tecnica umana, venga essa dalla psicologia o dall'ascesi praticata nelle filosofie orientali. Esse infatti hanno come fine il miglioramento della vita psichico-spirituale dell'uomo e nascono dallesercizio e dalle risorse esclusivamente umane; la fortezza cristiana, invece, va oltre, perch nasce dallamore di Dio e sostiene la nostra fedelt a Cristo fino alleroismo. L'amore di s stessi pu prendere forme e motivazioni anche nobili e spirituali, ma rimane sempre una risorsa puramente umana. Ora, proprio l'amore disordinato di s stessi, amore che genera in noi l'egoismo, la malattia pi pericolosa della volont, il suo nemico pi temibile. L'egoismo ha mosso e muove continuamente l'uomo, ogni uomo, e quindi ognuno di noi, sulle strade della vanit e dell'orgoglio, della ricerca del proprio interesse, del solo benessere personale, del successo ad ogni costo, dell'attaccamento ai beni della terra e ai piaceri della vita. L'egoismo uccide la volont nella sua naturale tendenza verso il Sommo Bene, verso Dio. Sant'Agostino cos esprime le conseguenze di una volont divisa fra l'amore di s e l'amore di Dio: "Due amori hanno eretto due citt: l'amore di s fino al disprezzo di Dio, la citt della terra; l'amore di Dio fino al disprezzo di s, la citt di Dio. L'una si gloria in s stessa, l'altra nel Signore". 248 Non ci sono dunque volont deboli o volont forti, ma volont innamorate, trascinate dall'amore, o volont chiuse nell'egoismo, refrattarie all'amore. Dicevamo dell'intelletto "debole", quando manca della Verit; possiamo parlare di volont "debole" quando manca l'Amore. La Verit Cristo, l'Amore Cristo. E' lui la luce che illumina l'uomo, lui la forza che vince il mondo. "Il fiume delle cose temporali ti trascina, ma sulla sponda di questo fiume nato un albero... Ti senti rapire verso il precipizio? Tienti forte all'albero. Ti travolge l'amore del mondo? Tienti forte a Cristo. Per te egli entrato nel tempo, perch tu diventassi eterno!". 249

163 - Oggi, adesso!


La fortezza della volont si vede nel momento in cui essa agisce, cio nel presente, in quello che stiamo facendo adesso e non in quello che faremo domani. Questo ci aiuta a capire l'importanza del tempo presente e la necessit di agire con volontariet attuale. "Vuoi essere santo? Compi il piccolo dovere di ogni momento: fa quello che devi e sta in quello che fai". 250 Il tempo presente l'unico tempo che abbiamo a disposizione: il passato passato e appartiene alla misericordia di Dio; il futuro, se verr, ancora nelle mani di Dio. Nelle nostre mani abbiamo solo il presente, e compiere il dovere di ogni momento, - fare quello che devo - l'unico modo di vivere veramente il tempo. San Paolo esortava i cristiani di Efeso a comportarsi da "uomini saggi, profittando del

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Gv. 15,5 S. Agostino, De civitate Dei S. Agostino. Commento alla Lettera di S.Giovanni. Tratt.2,10 Cammino n. 815

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tempo presente". 251 Stare al presente stare nella realt, ed segno di saggezza saper riconoscere e utilizzare pienamente tutte le possibilit umane e divine che la realt nasconde. C' infatti "qualcosa di divino nascosto in ogni circostanza che tocca a noi scoprire". 252 Il segreto sta nell'aver presenza di Dio e nel cercare il senso soprannaturale di ogni cosa. La presenza di Dio ci aiuta a portare davanti al Signore le cose che abbiamo tra le mani, cio ad offrire a Lui il lavoro che stiamo facendo, mettendo quella rettitudine e diligenza che rendono gradita a Dio la nostra offerta. Cos la saggezza diventa un realismo sereno e operoso che sa vivere l'"hodie, nunc" - oggi, adesso - con pienezza di impegno e di fedelt. "Dopo... domani..." sono gli avverbi dei pigri, alibi meschini di chi inganna s stesso per non compiere il dovere del momento. Eppure c' sempre in tutti noi la tentazione di scappare dal tempo presente. Il pi delle volte si tratta di fughe in avanti: facciamo le cose ma con l'assillo di ci che ci attende dopo e gi pensiamo a quello che faremo, come lo faremo, con chi lo faremo; ci carichiamo di timori per quello che accadr (che spesso non accadr), e ci lasciamo prendere dall'ansia e dalla preoccupazione per l'incertezza di come andranno le cose e per il peso, spesso immaginario, che esse comportano. E' una fuga in avanti che crea malessere e mette a nudo la nostra poca fede, la carenza di fiducia e di filiazione divina che impoverisce la nostra vita cristiana. Siamo tutti esposti a questa tentazione, tanto che Ges stesso, dopo aver ribadito con termini commovent i la paterna provvidenza di Dio, conclude: "Non affannatevi dunque per il domani, perch il domani avr gi le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena". 253 Ci sono poi fughe in avanti provocate non dalla preoccupazione di ci che si teme ma dall'attesa di ci che si desidera: mossi dall'impazienza, anticipiamo nel desiderio ci che ci attira e che piace. Rischiamo cos di essere completamente assenti da ci che facciamo e facilmente delusi da ci che aspettiamo. Ci sono infine le fughe nei sogni e nelle fantasie impossibili, non ispirate dalla magnanimit o da nobili ambizioni, perch sono futili romanzi per la nostra vanit, sterili progetti del nostro io megalomane, ipotesi irreali per quella che il Beato Escriv chiamava la "mistica del magari". E' l'atteggiamento di chi, insofferente della propria realt, sogna situazioni diverse e inattuabili: un lavoro diverso, una salute diversa, una famiglia diversa, figli diversi ...! Cos si vive di fughe; la nostra volont rifiuta di stare al presente e di vivere con pienezza la realt attuale. Quante ansie, paure e inquietudini potremmo evitare se avessimo la saggezza di vivere con fedelt il tempo presente e di compiere con gioiosa dedizione il dovere del momento. "Comportati bene, "adesso", senza ricordarti di "ieri" che gi passato, e senza preoccuparti di "domani", che non sai se per te arriver". 254

164 - Volontariet attuale.


Per questo dobbiamo non solo "fare quello che dobbiamo", ma anche "stare in quello che facciamo". Vale a dire che dobbiamo metterci con volontariet attuale nel lavoro che stiamo facendo. In altre parole, dobbiamo fare le cose perch "vogliamo" farle. Troppo spesso ci lasciamo trascinare dagli avvenimenti o dalle circostanze; abbiamo l'atteggiamento di chi subisce la vita, non di chi la vive, anche se sono situazioni che non dipendono da noi, che non abbiamo noi disposto o previsto.
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Ef. 5,16 Beato J. Escriv, Amare il mondo appassionatamente. Mt. 6,34 Cammino n. 253

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Facciamo le cose perch ci tocca farle, perch rientrano in un orario, in un programma stabilito da altri, perch ci troviamo inseriti in un contesto famigliare o sociale che prevede determinate prestazioni e servizi ai quali non possibile sottrarci senza compromettere una ordinata convivenza tra le persone. Sembra un paradosso, ma non sempre dove c' libert c' anche volontariet, come vorrebbe un ben noto luogo comune: io faccio quello che "voglio". Troppe volte, invece, ci lasciamo condurre non dalla volont ma dal capriccio, dallo stato d'animo, dalla malavoglia e dalla pigrizia, troppe volte sul nostro agire hanno peso la moda, la mentalit dominante, i modelli della pubblicit e, ancor pi, troppo spesso sprofondiamo nel sonno dell'abitudine. Agire con volontariet attuale garantire al nostro operato la forza dell'amore. Il piacere, infatti, pu renderci egoisti; il successo, superbi; la bellezza, vanitosi; le ricchezze, prepotenti; solo il sacrificio pu educare la volont e renderla capace di amare. Non possiamo dire che le generazioni della nostra epoca abbiano una volont allenata, fortemente motivata. Se pensiamo alla titubanza nelle decisioni, alla paura dello sforzo o dell'impegno soprattutto se deve durare nel tempo o magari per tutta la vita, se pensiamo a tanta instabilit emotiva, alla fragilit psicologica, alla scarsa fermezza d'animo che caratterizzano le generazioni del nostro tempo, ci rendiamo conto del perch sia cos difficile oggi trovare lealt, fedelt, coerenza; e anche perch la fede sia diventata cos incerta, cos traballante. Noi cristiani siamo chiamati ad essere nel mondo la forza di Dio, perch la potenza dello Spirito ci ha liberati dalla schiavit del peccato e ci ha resi capaci di amare con l'amore di Cristo. Dobbiamo comunicare fortezza intorno a noi e nel mondo; dobbiamo trasmettere certezze, diffondere sicurezza e fiducia. Ma dobbiamo anche ricordarci che "il regno dei cieli soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono". 255 Perci dobbiamo essere forti nella fede - fortes in fide fiduciosi nella speranza, "saldi e irremovibili nella fatica", 256 perseveranti nella preghiera, virili nel comportamento - viriliter agite - capaci di un amore pi forte della morte - fortis ut mors dilectio-. Tutto questo, Dio lo ha fatto risplendere in Colei che, pur essendo la pi dolce, la pi tenera, la pi amabile delle creature, sta in mezzo all'umanit come "Torre di fortezza" - Turris fortitudinis - e sta davanti al Maligno come "un esercito schierato a battaglia". La Vergine Maria, schiacciando la testa al serpente, ha riparato la debolezza di Eva e ha cancellato la sua sconfitta; il suo "fiat" deve insegnarci a stare nella volont di Dio con la dedizione, la fedelt e l'amore di un "si" che diventa vittoria di Dio, un canto di gioia e di pace.

IL FUTURO: TEMPO DELLA FANTASIA.

165 - La pazza di casa?


La fantasia la facolt dei poeti e dei profeti. E' l'occhio puntato sul futuro. La sua attivit preferita progettare, "sognare", comporre la realt del domani. Ma la fantasia una facolt senza confini e pu spaziare anche sul passato e sul presente; pu elaborare, ridisegnare, trascolorare tutto ci che stato e che , tutto ci che
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Mt. 11,12 1 Cor. 15,51

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scorre nel tempo. Nel tragitto conoscitivo, la fantasia sta tra i sensi e l'intelletto, e partecipa di tutti e due. Come senso interno veste di fantasmi i dati della sensibilit; come strumento intellettuale spazia nel mondo delle idee con la libert dello spirito. La fantasia come la tavolozza dell'intelligenza. In questo senso la fantasia umana diversa da quella degli animali, avendo una attivit "poietica", cio creativa e non soltanto riproduttiva delle immagini. La fantasia si sposa felicemente con l'emotivit e con l'intuizione; rende perci la nostra mente mobile, versatile, rapida, imprevedibile: la fantasia donna. Per questo, forse, se n' talvolta parlato male, come di un ostacolo alla razionalit. E tuttavia, pur dipendendo dai sensi e dall'affettivit, la fantasia li supera e va oltre; con la fantasia che la nostra mente progetta, forgia e costruisce il futuro. Se nella perfezione delle sue leggi, la natura ci rivela l'infinita sapienza di Dio, nella ricchezza, variet e bellezza dei suoi elementi essa ci rivela l'inarrivabile "fantasia" di Dio. Senza fantasia non c' arte, non c' poesia, non c' genio. Non c' nemmeno gran parte della scienza che proprio dalla fantasia si avvale per formulare le sue ipotesi. Molte delle scoperte scientifiche pi importanti sono nate da lampi intuitivi della fantasia. A creare una cattiva fama intorno alla fantasia sono stati alcuni filosofi e alcuni teorici della mistica. I Platonici e tutti coloro che hanno una concezione negativa della materia e del mondo, vedono la fantasia come un castigo dell'anima, la quale si troverebbe a dover lottare contro una forma di conoscenza non realistica, in perenne contrasto col realismo della ragione. Anche molti intellettuali e politici diffidano della fantasia, ma non sanno che i peggiori politici si trovano proprio tra coloro che non hanno fantasia. Alcuni teorici della mistica mettono in guardia dalla fantasia da quando santa Teresa D'Avila la chiam "la pazza di casa", e la colpevolizzano per tante difficolt, distrazioni, difetti che affliggono la vita spirituale.

166 - Fantasia e anarchia.


Non c' dubbio che il peccato, che ha ferito mortalmente la nostra natura e tutte le sue facolt, non ha risparmiato nemmeno la fantasia. Anch'essa diventata "disordinata"; le sue malattie possiamo riassumerle nell'anarchia, nel compiacimento onirico, nelle utopie. Una fantasia anarchica appunto una fantasia senza leggi, senza disciplina, una fantasia senza riferimenti, lasciata in bala di s stessa. I riferimenti che tengono la fantasia al servizio dell'intelligenza sono i valori: la verit, la giustizia, la bellezza, l'amore, la dignit; in definitiva, Dio, l'uomo, la natura. La fantasia non l'intelletto ma al servizio dell'intelletto, perci non pensa i valori ma li rappresenta, d "corpo" ai valori, li colloca nello spazio e nel tempo. Li toglie dal regno astratto della teoria e li porta nella concretezza della vita; crea modelli di giustizia, di bellezza, di amore..., incarna i valori in esempi vissuti ai quali pu conferire forza ed efficacia. Dipende dalla fantasia che i valori abbiano un loro fascino, una loro suggestione, un'attrattiva pi o meno efficace su di noi, e perci esercitino un peso sulla nostra emotivit e anche sulla nostra coscienza morale: un ruolo di notevole importanza. Importante perci la disciplina della fantasia, che sia cio rettamente orientata. Non possiamo lasciare che diventi "la pazza di casa".

167 - La fabbrica dei sogni.


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Una seconda malattia che pu affliggere la fantasia il compiacimento onirico. La fantasia, lo sappiamo, la fabbrica dei sogni. L'attivit onirica perci connaturale alla fantasia, e sarebbe segno di una grave menomazione se tale attivit mancasse. Gi conosciamo il ruolo importante che svolgono nella vita psichica i sogni notturni, quelli legati al sonno; ma qui ci riferiamo ai sogni "diurni", i sogni ad occhi aperti. Quando la fantasia "sbrigliata", abbandonata a s stessa, anzich mettersi al servizio dell'intelletto, rischia di cadere nel territorio dominato dal nostro "io". E il nostro io non trova nulla di meglio che cavalcare una fantasia al servizio della propria vanit, e inanellare su di essa narcisistici caroselli, interminabili, e sempre pi larghi, infarciti da assurde e inverosimili imprese, dove esso, il nostro io, re e dominatore assoluto. Una fantasia manipolata dalla vanit diventa stupida e sterile. Quando il nostro io dimentica di essere un pupazzo ridicolo e si gonfia di vanit, diventa mastodontico e ingombrante fino a occupare tutto il nostro mondo interiore e a chiudere cos ogni altro orizzonte al nostro spirito. Una fantasia che non abbia davanti a s orizzonti aperti morta. Dobbiamo invece liberare la nostra fantasia, svegliarla perch sogni in grande, aprirla agli orizzonti sconfinati di tutto ci che vero, bello, amabile, santo. I santi sono stati tutti dei grandi sognatori; i loro sogni erano sulla misura della potenza di Dio e della sua grazia. Perci furono spesso giudicati come pazzi e temerari; la loro fantasia obbediva invece all'audacia del cuore e alla magnanimit della mente: un cuore capace di amare e una mente capace di pensare cose grandi per la gloria di Dio. Tuttavia la vanit e il compiacimento ludico sono per la fantasia un pericolo meno grave dell'aridit e della sonnolenza dello spirito. Guai a togliere alla fantasia la libert di sognare! Il mondo invecchierebbe improvvisamente, sparirebbero i poeti e i bambini e la santit diventerebbe estremamente noiosa. Il mondo ha certamente bisogno di scienziati e di filosofi, ma non basta. Lo scienziato descrive i fenomeni della natura, ne studia le leggi e le misura: egli si interessa della "grammatica" delle cose; il filosofo penetra le ragioni profonde, i rapporti logici e metafisici tra gli esseri: egli si occupa della "sintassi" delle cose; solo il poeta, il mistico, e a suo modo il bambino, sanno leggere il "mistero" delle cose, il loro canto, il loro splendore, la loro analogia, il profumo di trascendenza che esse emanano: nel mistico, nel poeta e nel bambino la fantasia ha sciolto le vele, ha messo le ali, le ali dell'amore e dell'intuizione.

168 - Fantasia e Profezia.


La scienza e la tecnica misurano l'universo e lo utilizzano, solo la fantasia lo percorre e lo contempla: lo percorre in profondit e ne contempla l'arcano splendore. Ma c' una fantasia che fa immensamente di pi: percorre non solo in profondit ma anche in prospettiva la storia del mondo e le vicende degli uomini: la fantasia dei profeti. Percossa dalla luce della Rivelazione, essa riverbera le immagini pi audaci e abbaglianti sul futuro del mondo e dell'uomo, un futuro indicibile alle parole, nascosto nelle profondit di Dio, dove tempo ed eternit hanno lo stesso linguaggio e sono lo stesso mistero. Chi non ricorda le pagine affascinanti e drammatiche di Isaia e di Daniele? E che dire delle pagine immense, sconfinate, della pi esaltante tra le profezie: l'Apocalisse? E' la fantasia al servizio della fede, dove le immagini non vestono concetti o prospettive umane, razionali, ma l'imperscrutabile disegno di Dio, il "sogno" ineffabile della Sapienza eterna. Questo sogno di Dio, descritto dall'Apocalisse, si riveler "dopo" (Apocalisse significa, appunto, "Rivelazione") ma esso gi cominciato "ora": il sogno di Dio Ges Cristo. In lui Dio ha voluto rinnovare, ricapitolare, ricondurre a perfetta unit 155

tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra. Soprattutto in lui Dio "ci ha scelti prima della crezione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carit". 257 Immaginare il nostro futuro o, in altre parole, progettare la nostra vita senza Cristo, prescindendo da Lui, pensare la nostra vita fuori dal disegno di Dio. Ogni ragazzo, ma in fondo ognuno di noi, dovrebbe domandarsi: "Io, che cosa vedo nel mio futuro?" Potrei immaginarmi un lavoro, una professione, quell'impresa o quell'altra, il matrimonio, una famiglia, una sistemazione sociale, ecc. Ma se non vedessi in tutto questo Ges Cristo, la mia immaginazione non avrebbe nulla di diverso da quella di un onesto pagano. Un cristiano invece, nel progettare il proprio futuro si chiede: "Come posso immaginare Cristo nella mia vita? Cristo nel mio lavoro, Cristo nella mia professione, Cristo nel mio matrimonio, nella mia famiglia, nei miei impegni sociali, Cristo in tutte le mie imprese?" E' questa la fantasia profetica, che cerca di immaginare la "rivelazione" del disegno di Dio nel tempo durante la mia vita terrena, perch si compia un giorno, perfettamente, nella vita eterna. I Santi sono stati anche fervidi profeti; essi hanno saputo inventare, con la complicit dello Spirito Santo, le forme pi varie perch si riveli al mondo il disegno di Dio, il disegno cio di rinnovare in Cristo tutte le cose. E' infatti lo Spirito Santo la vera "fantasia dei Profeti".

169 - La fantasia di Lucifero: le utopie.


Infine un morbo estremamente pernicioso per la fantasia sono le utopie. Non parliamo qui delle utopie come genere letterario o come ideali che, pur essendo possibili, in teoria non sono realizzabili nelle concrete circostanze della nostra condizione umana. Parliamo qui di utopie deliranti. In questo senso utopia un futuro disegnato e costruito dalla fantasia in contrasto con la retta ragione e con la fede. Normalmente tali utopie nascono da una fantasia malata cio condizionata da ideologie. Quando la fantasia anzich servire l'intelletto o la sana ragione, o la fede, si mette al servizio delle ideologie, prima o poi finisce vittima del delirio utopistico. Ne sono prova tutte le rivoluzioni degli ultimi secoli, dall'utopia giacobina della rivoluzione francese, all'utopia naturalistica della rivoluzione scientista, all'utopia marxista della rivoluzione di ottobre, alla tragica utopia hitleriana della rivoluzione nazista, fino alle recenti ridicole utopie del Sessantotto europeo. Ci sono anche le utopie silenziose, che non sono circondate dal chiasso rivoluzionario, ma non per questo meno pericolose, perch tutte alla fine generano tirannide e violenza. Di esse la meno temuta, ma in realt la pi temibile, l'utopia dello "Stato laico". Intendiamo qui lo Stato laico come lo intendono i "laicisti" delle varie ideologie: uno Stato che prescinde da Dio o nega alla Chiesa di Cristo ogni diritto e ogni possibilit di influire, in forza della sua missione salvifica e attraverso la sua dottrina sociale, sulla vita pubblica nei suoi vari aspetti. La Chiesa ha proclamato solennemente l'autonomia delle realt temporali, la loro "laicit" insita nella loro natura, come pure ha affermato il pieno diritto e dovere dello Stato di occuparsi del bene comune temporale dei cittadini, ma anche ha ribadito il carattere relativo delle realt temporali e quindi il dovere dell'autorit pubblica di riconoscere, rispettare e proteggere il valore trascendente della persona umana, la sua dimensione spirituale e religiosa; in altri termini, il dovere di promuovere i valori morali come fondamento della vita pubblica, valori morali che rimandano alla dignit dell'uomo come creatura di Dio chiamato a un destino eterno. Lo "Stato laico" come autonomo da Dio e fonte del diritto st alla radice delle
257

Ef. 1,4

156

peggiori tirannie di questo secolo, e ha portato al degrado morale e culturale della nostra civilt occidentale. In definitiva alla base di ogni utopia terrena si trova la delirante utopia di Lucifero: essere "come" Dio. Al disegno stupendamente amoroso di Dio che ci voleva "simili" a Lui, gli angeli ribelli e noi uomini abbiamo preteso di sostituire l'assurda utopia di essere "uguali" a Dio. E' l'utopia che ci prende col suo inganno ogni volta che sognamo la nostra vita in contrasto con il progetto di Dio, in un mondo governato dall'uomo, in un futuro che realizzi il sogno tanto bramato del paradiso terrestre. In definitiva, ogni volta che voltiamo le spalle a Dio col peccato. A questo punto, l'unica medicina efficace per guarire la fantasia dalle utopie mondane , ancora una volta, la fede. La "fantasia" di Dio supera ogni immaginazione, per cui "le cose che occhio non vide, n orecchio ud, n mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano". 258 Possiamo sciogliere la nostra fantasia e sognare, sognare, sognare..., ma tutti i sogni umani resteranno immensamente indietro rispetto alla realt "sognata" da Dio; la fede la nostra pi grande "utopia", ma il suo sogno la pi certa e pi sicura delle realt: l'immenso, ineffabile, inesauribile mistero di Dio che inonder la nostra anima per sempre!

258

1 Cor. 2,9

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IL TEMPO E LA VITA

LA VITA IN NATURA E NELL'UOMO

170 - Un fenomeno impressionante: la vita.


La vita il fenomeno pi impressionante che esista nella natura. E' anche il pi denso di mistero cos da sfuggire ad ogni adeguata definizione. I biologi stessi possono solo descrivere le manifestazioni che caratterizzano la vita ed esprimerne le leggi ma che cosa sia la vita in s stessa nessuno ha saputo dirlo. I progressi enormi delle tecniche sperimentali hanno portato la biologia sempre pi in profondit nella conoscenza dei fenomeni vitali e pi volte si avuto l'impressione di essere arrivati ai confini della vita cos da poterla afferrare nella sua essenza; ma proprio quando si pensava di averla a portata di mano e poterne dare una formulazione, sia pure elementare, essa sfuggiva immancabilmente ad ogni tentativo sgusciando da qualsiasi maglia concettuale, cos da trovarci improvvisamente al punto di partenza. Ci ha dato sempre molto fastidio agli ideologi scientisti i quali, accettando solo ci che sperimentabile e quantificabile, non ammettono ci possa essere in natura qualcosa di irriducibile alle categorie delle scienze positive. L'idea che un giorno o l'altro l'uomo "creer" la vita nei suoi laboratori troppo affascinante per non suscitare nel cuore di ogni scienziato un'istintiva resistenza all'ipotesi che la vita sia qualcosa che trascende le possibilit della scienza, o possa venire da "fuori", da qualcun altro. In effetti, non stato ancora possibile documentare la continuit tra la nonvita e la vita. Molti ricercatori, soprattutto di estrazione positivista, erano convinti, e alcuni lo sono tuttora, che spingendosi in profondit, a livello ultramicroscopico e sub-molecolare, si potesse arrivare ai confini della vita, si potesse sorprendere la vita nel suo sorgere, nel suo apparire, o per lo meno si potesse scoprire il meccanismo, le possibili leggi che sollevassero almeno un poco il velo su questo affascinante mistero. In realt, quello che hanno potuto osservare soltanto una certa continuit puramente materiale tra i due mondi, vivente e non-vivente. Il vivente, cio, costituito della stessa materia che troviamo nel non-vivente: gli stessi atomi, gli stessi materiali costitutivi, con la sola differenza di una maggiore complessit molecolare. Ma a questa continuit materiale non corrisponde una continuit di struttura, di "forma". 158

La struttura di un non-vivente rigida, esterna ed estrinseca; molto simile a un manufatto, venga esso dalla natura (un cristallo, una roccia...) o venga dall'uomo (un utensile, una macchina...). La struttura di un vivente invece aperta, dinamica, sussistente e persistente, che si auto-mantiene e si auto-rinnova nei materiali. Il vivente un "turbine metabolico" nel quale l'incessante e totale rinnovamento degli elementi materiali non incide sulla struttura che, invece, si auto-conserva. Ecco perch il "meccanicismo" proprio della filosofia cartesiana, il considerare cio un vivente alla stregua di una macchina, l'errore pi grossolano al quale possono andare incontro e la scienza e la filosofia. L'uomo dunque potr arrivare anche a sintetizzare chimicamente e manipolare la "materia" vivente, ma non a fabbricare "un" vivente: un essere cio che non solo ha una struttura propria, permanente e individua, ma anche una struttura attiva, di unattivit di cui esso il "soggetto". Non dobbiamo confondere l'organizzazione della materia con la vita. Il vivente un essere capace di attivit propria ed il "soggetto" dei propri atti vitali: capace di selezionare gli elementi materiali e di assimilarli, cio farli propri, rendendoli biologicamente compatibili con quelli gi posseduti e rifiutando tutto ci che non compatibile; capace di adattarsi, di crescere, di presiedere alle proprie sintesi e alle proprie funzioni vitali, di riprodursi, rigenerarsi ecc. E questo a tutti i livelli, dai macrorganismi ai microrganismi.

171 - La vita: teofania di Dio Creatore.


Ancora una volta, la vita si presenta in natura come un fenomeno strabiliante, una novit assoluta nel mondo degli esseri materiali. Nessuna legge fisica o chimica, e nemmeno le stesse leggi biologiche sono in grado di spiegare un vivente. Insomma, la vita nel tempo ma non del tempo. Nella Bibbia leggiamo che Dio ha rivendicato soltanto per s il titolo di "vivente": Jaweh il Vivente. E in realt, la vita sulla faccia della terra una "teofania", una testimonianza della presenza di Dio, una sua rivelazione, una manifestazione della sua potenza, del suo stesso Essere divino. Il mistero della vita un aspetto del mistero della creazione. Dio infatti origine di ogni essere e di "tutto" l'essere, di tutto ci che una cosa "": la sua forma, la sua materia, la sua energia con l'attivit, il movimento, il divenire e tutto ci che costitutivo di quella cosa. Anche la vita, come forza, come principio operativo, come energia vitale che caratterizza un vivente, ha dunque origine da Dio, fa parte della sua creazione, rientra cio in quell'atto creativo di Dio che si estende a tutto ci che esiste nel tempo, che si muove, che diviene, che si manifesta nel tempo. Dio continua la sua presenza nelle cose create; esse continuano a dipendere dalla sua potenza, dalla sua sapienza, dalla sua forza vitale; ed una presenza che non conosce stanchezze, ripensamenti, usure, che agisce incessantemente all'interno dell'essere creato. Egli attua cos progressivamente un disegno di cui conosciamo l'esistenza ma che si compir alla fine del tempo. Intanto, "in Ipso vivimus, et movemur et sumus - in Lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo". 259 Ci che sfugge completamente il "come" Dio sia presente e "come" Egli agisca. La pretesa di "sorprendere" Dio nel suo agire, nel momento in cui crea o interviene in qualsiasi forma, sempre stata una tentazione per l'uomo, una specie di curiosit malsana, legata alla pretesa mai sopita di essere come Dio. Ma Dio, nessuno mai l'ha visto, nessuno mai ha potuto osservare il lavoro delle sue mani. E' sorprendente il silenzio con cui Dio agisce; fa esplodere la vita senza rumore, cammina dentro le cose senza farsi sentire, conduce la sinfonia di tutti gli esseri
259

Atti, 17,29

159

creati senza colpi di bacchetta. Ogni "inizio" protetto dal silenzio di Dio: l'inizio dell'universo, l'inizio della vita, l'inizio del genere umano e della sua storia, cos come l'inizio di ogni uomo. Ogni uomo persona, e l'inizio della persona coincide con l'inizio della sua anima. Ci riferiamo non al quando di questo inizio ma al come. Dio infatti autore della vita non solo nel suo inizio, ma anche nel suo divenire; perci attualmente e continuamente presente come creatore nel fenomeno della vita e delle sue leggi. Perci Egli crea l'anima umana ogni volta che le leggi della vita fanno germogliare la prima cellula di un nuovo essere umano. Ci significa che l'anima non una sostanza preesistente che poi viene unita - infusa - da Dio ad una cellulauovo fecondata; il prodotto di un intervento peculiare ma normale di Dio che agisce all'interno delle leggi stesse della vita; si tratta di un atto creativo che trasforma la prima cellula dell'organismo umano in una "persona", con il suo principio esistenziale proprio e personale di natura spirituale. Il "come" tutto questo avvenga vero mistero, silenzio di Dio, la cui onnipotenza non fa rumore anche quando irrompe nel tempo per far scoppiare quel miracolo impressionante che la persona umana. Del resto tutto ci che Dio compie insieme straordinario e normale, miracoloso e "naturale".

172 - Una discontinuit biologica: luomo.


Esiste una continuit nelle leggi che in natura presiedono al fenomeno della vita, ma questa continuit viene trascesa nell'istante in cui ha inizio l'essere umano. Infatti il fenomeno-vita nella sua globalit si sviluppa in maniera omogenea nelle sue leggi e nelle sue manifestazioni. Dalle forme di vita pi elementari a quelle pi evolute, dallo stadio biologico sub-cellulare a quello pluri-cellulare pi differenziato e complessificato, il mondo degli esseri viventi si presenta omogeneo nei suoi fenomeni vitali; in altre parole, la natura animata, dal livello protocellulare a quello vegetale e a quello animale pi elevato, si rif a principi biologici univoci che appaiono fondamentalmente uguali. Solo nell'uomo questa omogeneit s'interrompe, e la vita umana presenta fenomeni e principi che sono irriducibili alle leggi biologiche e rimandano a qualcosa che trascende la natura materiale. Gi abbiamo visto come l'essere umano si contraddistingue tra tutti gli altri esseri, compresi gli animali, per la ricchezza e straordinariet dei fenomeni che non sono riscontrabili in nessun altro luogo dell'universo: il pensiero, la libert, l'arte, il linguaggio, il lavoro, la stessa attivit ludica, cio il gioco... fino all'amore e alla religiosit. E anche se queste attivit hanno qualche riscontro, ad esempio negli animali, si tratta di un riscontro solo analogico, perch tali attivit rimangono, nella loro natura, essenzialmente trascendenti. In certi ambienti animalisti si interpretano queste affermazioni non come dat i oggettivi che emergono dalla natura delle cose, ma come un abuso arbitrario dell'uomo che approfitta della sua presunta superiorit per sottomettere ad ingiusta schiavit o ad egoistico sfruttamento gli animali. Maltrattare gli animali, come degradare la natura, un gesto che va contro la nostra dignit di esseri fatti "a immagine e somiglianza di Dio" e chiamati a collaborare con Lui alla sua creazione, ma questo non giustifica il processo di animalizzazione dell'uomo in atto in vari ambienti scientisti o in movimenti pseudo-culturali pi o meno politicizzati. Perci quando parliamo di vita "umana" ne parliamo in senso proprio e peculiare perch essa, pur avendo le sue radici nelle leggi della natura, ha il suo "principio" fuori della natura, superiore ad essa e da essa indipendente.

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173 - Actus essendi Latto di essere.


Il cominciamento di una persona umana avviene nel momento in cui si accende il suo "atto di essere"; atto che pu venire solo da Dio come partecipazione al suo Essere infinito. Dio lo comunica all'essere umano come principio esistenziale e vitale di natura spirituale. Queste affermazioni che stiamo facendo sono di capitale importanza. Di solito noi ci limitiamo a constatare l'esistenza delle cose; il fatto che le cose esistono. Ora, il fatto di esistere non sufficiente per rendere ragione della realt delle cose, per spiegare la loro esistenza. Non basta nemmeno per provare l'esistenza di Dio e la nostra dipendenza da lui. Infatti la semplice esistenza del mondo e delle creature pu essere accettata prescindendo da Dio; atei di questo tipo ne ha prodotti a folle la cultura immanentista del nostro secolo. Scientisti di tutto il mondo si interrogano continuamente sulle "origini dell'universo", ma i cosmologi del pensiero immanentista, gli scienziati neopositivisti e marxisti, in una parola i non credenti, si guardano bene dall'andare oltre la semplice esistenza dell'universo. Per loro indagare sull'origine del cosmo significa arrivare a conoscere lo stato iniziale della materia e scoprire il come si arrivati allo stato e alla struttura attuali, cio attraverso quali leggi l'universo si evoluto a partire dal suo stadio iniziale lungo i miliardi di anni della sua esistenza. Essi partono dal fatto che l'universo esiste, appunto dal "fatto" della sua esistenza: "L'universo c' e basta, - dicono -, noi non vogliamo sapere altro", e si chiudono nel loro agnosticismo o nella loro negazione atea. Ma noi dobbiamo domandarci: cosa c' sotto il fatto dell'esistenza di una cosa? cos' che pone un essere nella sua esistenza e fa si che quell'essere sia reale? La domanda sembra astrusa e difficile solo perch l'oggetto di questa domanda il dato pi semplice e immediato che si possa immaginare. Una cosa che esiste in s stessa, e non solo nel nostro pensiero, reale perch "": ecco l'aspetto primo e pi profondo che una cosa manifesta di s stessa. Ora questo "", che si realizza in una cosa dentro i limiti della sua propria natura (roccia, pianta, animale, uomo, angelo ecc.), lo indichiamo appunto come atto di essere: "actus essendi"; cos lo chiama una delle pi grandi intelligenze dell'umanit, San Tommaso d'Aquino, genio del pensiero e della santit. Questo "" pu venire solo da Uno che gi possiede l'essere e lo possiede da s stesso, cio Dio. La scoperta, sul piano razionale, dell'actus essendi - atto di essere - una conquista fondamentale del pensiero umano. E' un dato semplicissimo, elementare, e appartiene al senso comune di ogni uomo, appartiene cio alle esperienze elementari della nostra intelligenza nel suo esercizio spontaneo e immediato. E' perci indimostrabile e sfugge ad ogni discussione; lo si coglie con il semplice sguardo dell'intelletto, per contemplazione. E' una realt sommamente intelligibile e insieme piena di mistero; costringe in certo qual modo la nostra intelligenza a mettersi in ginocchio, come davanti alla presenza di Dio.

174 - La vita umana.


L'inizio di un uomo , nella sua normalit, un vero prodigio, una novit assoluta carica di mistero, che ha dell'infinito, dell'eterno. La vita umana non soltanto una vita, cos come c' una vita vegetale o una vita animale. Un uomo non qualcosa che vive, ma "qualcuno" che vive. Non la stessa cosa che un uomo ci sia o non ci sia. In natura, animale pi o animale meno, non cambia nulla; e cos vegetale pi o vegetale meno, la natura non viene sostanzialmente alterata. Non cos per l'uomo. 161

Si dice talvolta: "Io potrei non esserci e nulla cambierebbe nell'universo". Ma non vero. Se io non ci fossi ci sarebbe un "buco" nel tempo, anzi mancherebbe un filo nell'ordito della vicenda umana. Il "filo" di un essere umano pu avere lunghezze diverse: ci sono esistenze pi o meno lunghe e ci sono esistenze che vengono spezzate appena concepite: sono esistenze "puntiformi"; eppure anche un punto ha un suo ruolo e un suo significato. In un tessuto, poniamo in un tappeto, ogni punto non inutile, ha un suo colore e una sua posizione che concorrono all'insieme del disegno e della trama. Ogni vita umana ha valore perch un valore; lo in s stessa e per s stessa. Non siamo noi che dobbiamo dare significato alla vita, essa gi lo possiede. A noi spetta scoprirlo, entrarci dentro con la nostra responsabilit. La vita si riceve ma non dobbiamo subirla; il significato e il valore che essa porta con s viene affidato alla nostra libert e responsabilit di creature intelligenti, "chiamate" da Dio a gestire, in continuo dialogo con Lui, con il suo disegno e con la sua grazia, l'esaltante avventura di esistere e di vivere. La vita, prima ancora di essere una responsabilit, un dono; se ci limitiamo a vederla esclusivamente o anche prevalentemente come responsabilit, come qualcosa che dobbiamo noi inventare, progettare, pensarne il senso e il significato, essa ci peser addosso, e le conseguenze potranno essere la paura, l'angoscia, la frustrazione oppure il protagonismo titanico o l'utopia. Ma la vita innanzitutto e soprattutto un dono; tutta "data", tutta ricevuta. Quando non sappiamo vederla come un dono non ci resta che subirla come una fatalit. Succede cos quando ci si allontana da Dio, quando lo si rinnega o lo si emargina. L'uomo nasce per caso, ha scritto Sartre; ed un modo per dire che la vita non ha senso, non ha significato perch non ha nessun riferimento, nessuna radice, nessuna spiegazione; pura fatalit. Il senso della vita non lo danno nemmeno le creature; fossero anche le pi preziose o pi gratificanti. E' quanto succede, ad esempio, nell'amore possessivo: quando due sposi stanno insieme perch "hanno bisogno l'uno dell'altro per vivere", l'uno diventa schiavo dell'altro e se viene a mancare l'uno, l'altro non sa pi vivere; lo stesso avviene quando una ragazza ha bisogno di un ragazzo per vivere o per sentirsi qualcuno, diventa schiava di quel ragazzo e se le viene a mancare le sembra che la vita non abbia pi scopo; cos perfino per una madre che ha bisogno di un figlio per vivere... Nessuna creatura pu essere il fine della vita; sarebbe un idolo che genera schiavit.

175 - Esperienza interiore del proprio Io.


Ora, se sapremo raggiungere la nostra persona nella sua profondit, alle sue radici, cio a quell'atto di essere unico e personale che sta all'origine del nostro "io", inevitabilmente ci sentiremo rimandati a "Colui che ", a Dio, fonte dell'essere e della nostra esistenza; comprenderemo con lucida consapevolezza che la vita dono e arriveremo a una delle esperienze pi esaltanti dell'intelletto contemplativo: la percezione dell'essere, e gusteremo anche la gioia pi naturale e spontanea: la gioia di vivere, la felicit di esistere. Infatti il salto dal nulla all'essere ha qualcosa di infinito, che d i brividi. Se ci penso bene, mi riempio di stupore come davanti al mistero. Lo posso intuire guardando dentro di me: mi fermo, penetro nell'intimo del mio "io", e penso: "Potrei non esistere..., e invece esisto!". Retrocedo nel mio tempo interiore fino all'orlo della mia esistenza e mi sporgo a guardare l'abisso del nulla da cui improvvisamente emergo...; in quel momento un brivido indicibile mi pervade, una forte sensazione di vertigine che mi spaventa e insieme mi esalta. Il nulla solo nulla, nient'altro che nulla, e rimane nulla per sempre; ora, se improvvisamente io esisto, sento che solo 162

una mano onnipotente pu averlo fatto. In quel momento percepisco nettamente che i miei genitori non c'entrano, sono stati soltanto strumenti per una cosa enormemente pi grande di loro. E' lo stesso sentimento che anch'essi hanno provato quando mi hanno visto per la prima volta, mi hanno contemplato: prima non c'ero, poi, come d'incanto, ero l nelle loro mani, vivo, in carne ed ossa, con una intelligenza, un'anima, una promessa carica di mistero..., e mi hanno visto come un miracolo, qualcosa di enormemente pi grande di ogni loro possibilit; si sono scambiati un sorriso pieno di stupore e d'incredulit come se si dicessero: non possibile! Hanno avvertito di essere stati soltanto strumenti di Qualcuno infinitamente pi potente che ha fatto tutto. Perci un figlio sempre una creatura che ci viene "data", sempre un dono che ci viene consegnato. Ma la conseguenza pi importante che pu venire dalla scoperta del nostro atto di essere la possibilit di percepire consapevolmente la nostra identit di creature. Spingersi fino a quel primo momento della nostra esistenza quasi fare l'esperienza diretta dell'esistenza di Dio; certamente percepire in modo vivo la nostra creaturalit. E' facile cos passare dall'amore verso i genitori all'amore verso Dio. Comprendiamo che i nostri genitori sono stati il luogo dove Dio ci venuto incontro dall'eternit e ci ha "voluto". Ognuno di noi viene dall'amore, sempre, indipendentemente dall'intenzione dei propri genitori. Perci non esistono figli "indesiderati" perch sempre, anche quando i genitori non lo desiderano, un figlio comunque desiderato, amato e voluto da Dio. Penetrare dunque nel nostro intimo e contemplare con stupore il nostro atto di essere ci d la possibilit di intravedere l'infinita fecondit del nome che Dio ha dato a s stesso: "IO SONO". "L'atto di essere" che Dio ci comunica partecipazione al suo nome, a quel "IO SONO" che fondante di ogni esistenza, soprattutto di ogni essere fatto a "sua immagine e somiglianza". Il Signore diceva a Santa Caterina da Siena: "Tu sei colei che non "", io sono "Colui-che-sono". E se Caterina, come ognuno di noi, pu dire: "Io sono", perch esiste "Colui che ". Il nostro "Io sono" partecipazione al "IO SONO" di Dio.

176 - Atto di essere e immortalit.


Il momento iniziale del nostro essere dunque segnato dall'actus essendi che Dio stesso ci comunica. Questo atto esistenziale, in noi, ha una caratteristica fondamentale: di natura spirituale. Gi abbiamo riflettuto sulla spiritualit dell'anima; qui vogliamo ricordarne una conseguenza: il suo "atto di essere" incomincia nel tempo ma non finisce col tempo; in altre parole, l'essere umano immortale. La convinzione della propria immortalit, di qualcosa di s che non finisce col tempo, ha accompagnato l'uomo fin dall'inizio della sua storia. L'uomo di tutti i tempi, di tutte le culture, di tutte le civilt ha conosciuto il culto dei morti come espressione di questo sentimento insito nell'animo umano: non tutto di no i muore. Ora, l'immortalit della nostra anima ha il suo fondamento nella incorruttibilit del suo "atto di essere". Durante la vita terrena l'anima percepisce s stessa indirettamente attraverso il corpo e le relazioni che in esso stabilisce con lo spazio e nel tempo. Scissa dal corpo, l'anima percepisce s stessa solo attraverso il suo "atto di essere" e quindi nella sua vincolazione esistenziale con Dio, con l'Essere infinito, al quale partecipa per una quasi connaturalit. Ci spiega perch l'anima, in questa condizione di "nudit" assoluta, avverte l'attrazione di Dio in maniera prepotente e si lancia verso di lui con moto incontenibile. Sar un'esperienza esaltante e indescrivibile per chi passer alla vita eterna nella fede, mentre si trasformer in tragedia e disperazione per un'anima che si trovi lontana da Dio e da Lui separata. 163

Qui sulla terra, possiamo trovare analogie nell'esperienza mistica di molt i santi. In essi, ma in fondo in ognuno di noi quando ci lasciamo condurre da Dio, l'esperienza creaturale, cio il senso vivo della nostra dipendenza esistenziale da Dio, unita all'esperienza morale, cio al senso vivo della nostra libera e cosciente vincolazione alla sua legge divina, si aprono inevitabilmente all'esperienza mistica nella quale la nostra vincolazione creaturale diventa esperienza globale di tutta la persona e occupa tutto lo spazio anche psichico del nostro essere: i sentimenti, l'immaginazione, i pensieri, gli affetti, i desideri... E' come se questi spazi non ci appartenessero pi; sono fatti propri da Dio e da lui abitati. Alcuni autori spirituali parlano di tre vie della vita spirituale: una ascetica, una illuminativa e una unitiva. Qualcosa di simile avviene nella nostra esperienza creaturale. Essa ha bisogno di una ascesi interiore; esige che la nostra anima si liberi dall'esperienza dell'effimero, di ci che apparente, che si liberi dalla superficialit e diventi un'anima profonda, che raggiunga le cose nella loro profondit, cio nel loro rapporto con Dio. Questo allenamento ascetico, che in definitiva un'ascesa verso la verit, rende l'anima capace di cogliere "l'essere", e la sua esperienza creaturale diventa allora simile a una "illuminazione". L'actus essendi come un lampo della nostra persona e lo si coglie non per ragionamento ma per intuizione. Infine, quando questa "illuminazione" si trasforma in contemplazione intima, quasi un'esperienza immediata ed intensa dell'anima che avverte nel proprio essere finito la presenza intima dell'Essere infinito, allora l'esperienza creaturale tocca il vertice delle sue possibilit: l'esperienza unitiva. L'anima si vede creatura, solamente creatura e totalmente creatura, unita al suo Creatore; si sente da lui presa e come soggiogata, talmente a lui unita da non avvertire pi una volont propria, un pensiero proprio, una vita propria. Tutto lo compie Dio. E nel vedersi creatura, con una consapevolezza immediata, abissale e luminosa, si riempie di una felicit indicibile che le toglie ogni interesse verso s stessa e verso tutto ci che riguarda la vita terrena.

LA VITA E IL CICLO VITALE NELL'UOMO


177 - Il ciclo vitale.
L'atto di essere, costitutivo della realt della nostra persona, non finisce col tempo; tuttavia, nella fase terrena della vita esso misurato dal tempo. Esiste cio un "ciclo vitale" che scandisce la temporalit della nostra vita. E' una legge; forse la legge pi specifica che caratterizza il fenomeno della vita sulla terra e ne esprime la dinamicit. Il ciclo vitale una necessit perch la vita come una forza che, per esprimere s stessa in tutte le sue potenzialit, ha bisogno del tempo; il tempo viene cos scandito dal ritmo della vita. Il ritmo vitale non ha la stessa durata nei vari organismi viventi ma in tutti ha le stesse fasi, le stesse stagioni. Nell'uomo le fasi fondamentali della vita vengono comunemente cos sintetizzate: nascita, crescita, maturit, senescenza, morte. Tuttavia la vita ha una sua continuit che possiamo chiamare in un certo senso immortalit. C' per una differenza essenziale tra la vita nell'uomo e la vita negli altri esseri viventi: nel regno animale e vegetale la continuit della vita ma non dell'individuo; i singoli esseri viventi muoiono definitivamente mentre la vita 164

continua in altri esseri viventi. Nell'uomo invece la continuit non solo della vita ma anche del singolo uomo che sopravvive a s stesso, nel suo spirito. Inoltre la continuit della vita animale e vegetale una continuit intra-temporale, si esaurisce nel tempo; nell'essere umano, invece, la continuit supera il tempo, sconfina nell'eternit; dunque una vera immortalit. Da quanto abbiamo detto, ne segue che il ciclo vitale non ha, nell'uomo, lo stesso significato che esso ha negli altri esseri viventi. In questi il ciclo vitale ha un significato strettamente biologico ed "chiuso", si spegne cio nel tempo; nell'uomo, invece, la dimensione immateriale propria dello spirito fa si che il ciclo vitale, pur soggetto alle leggi biologiche, le supera, dal suo inizio e lungo tutto il suo corso, conferendogli un significato e un valore trascendenti che perdurano oltre la sua fine. Dio aveva risparmiato ai nostri progenitori, nell'Eden, questo condizionamento biologico perfezionando la natura umana col dono dell'impassibilit e dell'immortalit. L'uomo cio non avrebbe conosciuto la negativit biologica della senescenza e della morte ma sarebbe entrato nella vita eterna senza passare attraverso la decomposizione del suo essere corporeo. Sappiamo che l'uomo, non solo perse questi doni ma rimasto profondamente ferito nella sua natura, per cui la percezione della propria identit spirituale diventata assai difficile e nebulosa, e la tensione verso Dio rimane pesantemente ostacolata dal disordine interiore. Perci la vita umana nella sua condizione attuale non come Dio l'aveva voluta, n come Egli l'aveva effettivamente creata. In tutte le fasi del suo ciclo vitale, la vita umana presenter i segni di questa condizione, razionalmente inspiegabile, di miseria e di grandezza. Ma Dio ha rifiutato tale condizione; Ges, Figlio di Dio fatto uomo, l'ha distrutta con la sua morte e risurrezione restituendo alla vita umana il suo destino di immortalit e di eternit.

178 - Unit della persona.


Abbiamo visto che la vita umana non riducibile al suo ciclo biologico. Il nostro essere "persona" conserva la sua identit e la sua unicit pur attraversando le fasi del ciclo vitale. Questo significa che la vita umana non solo ha una sua unit e una sua continuit lungo tutto l'arco del tempo, ma significa anche che le singole et della vita sono fasi di un'unica esperienza vissuta da un unico soggetto: vale a dire che l'infanzia e la fanciullezza entrano nell'adolescenza e la influenzano, e l'adolescenza con tutte le sue interazioni passa attraverso la giovinezza ed entra nella maturit forgiando quel tipo di personalit che si esprimer in un particolare modulo di et adulta e di vecchiaia. In altre parole, la vita umana, pur segnata da sequenze e da ritmi che definiscono le sue stagioni, un processo lineare dove le esperienze vitali e spirituali si accumulano e si integrano; in ogni stagione c' la presenza di tutte le altre che l'hanno preceduta. Ma questa unit psicologica e biografica pu avere come filo conduttore l'esperienza interiore, fondamentale e profonda, di ci che abbiamo sopra ricordato: la nostra identit di creature. (cfr. nn. 5, 174, 175). La consapevolezza creaturale, data dalla percezione del nostro "atto di essere" che unico e tutto ricevuto e segna l'inizio della nostra esistenza temporale, fonda anche lesperienza della nostra continuit esistenziale nell'unicit dello stesso soggetto. Ricuperare la consapevolezza della nostra creaturalit una delle operazioni culturali pi urgenti della nostra epoca. Il pensiero moderno l'ha da tempo rifiutata e la mentalit corrente, gestita dalle convinzioni oggi dominanti, l'ha completamente dimenticata. Riscoprire questa verit e vederne tutte le conseguenze nella vita personale e sociale rappresenta un'autentica "rivoluzione culturale". Nel cristianesimo tutta l'esperienza religiosa si fonda essenzialmente sul senso vivo della nostra filiazione divina che ci unisce a Cristo, e che discende da quella 165

verit stupenda e consolante che la Paternit di Dio. Ma questa esperienza non immediata e diretta perch del tutto soprannaturale ed esige la fede. L'esperienza creaturale, invece, pu essere immediata e diretta perch si tratta di una realt costitutiva del nostro essere e senza di essa non possibile nemmeno una vera religiosit puramente naturale. Su questa verit possiamo impostare la descrizione delle stagioni della vita umana e sul filo di questa esperienza percorreremo tutto il vissuto della nostra esistenza.

179 - La fase notturna del ciclo vitale.


La prima fase del ciclo vitale va dal concepimento alla nascita. Sono moment i che non appartengono alla nostra esperienza cosciente. Rappresentano la fase notturna che precede il mattino della nostra vita; appartengono al momento buio della nostra memoria. Abbiamo visto tuttavia che possiamo recuperare questa fase della nostra vita attraverso l'esperienza dell'atto di essere, l'atto che segna l'inizio della nostra esistenza. Se io mi spingo oltre il momento iniziale della mia esistenza, mi incontro con Dio, puro "Atto di essere", dalla cui onnipotenza io emergo come creatura, creatura che ormai non si staccher pi da lui perch egli la tiene nelle sue mani, mani grandi di creatore onnipotente e fedele. Dal profondo del mio io sgorgano allora come un grido le parole del salmo: In manibus tuis, sortes meae - nelle tue mani, Signore, tutta la mia esistenza, tutti i momenti della mia vita con tutte le sue stagioni! 260 - Tu sei la mia Sorgente, la mia Onnipotenza, tu sei per me l'essere e l'esistere, il mio vivere, il mio tutto! Noi non assaporiamo abbastanza questa esperienza creaturale, esperienza esaltante e indicibile. Nell'ateismo questa esperienza creaturale completamente assente, ed questa la causa non ultima del degrado spirituale e intellettuale della nostra cultura occidentale. Senza questo riferimento esistenziale, la nostra vita solo storia, puro scorrere di un divenire senza l'essere, una vicenda che affonda e affoga nel tempo. E' ancora l'esperienza creaturale che ci fa comprendere il senso della nostra crescita come persone. Il termine stesso "creatura" - un femminile al futuro passivo indica una crescita che in noi non si limita al puro farsi di un essere vivente, ma implica l'emergere di una persona con lo sviluppo dei primi presupposti della personalit. Questa fase della "crescita" si soliti racchiuderla in tre momenti successivi che rivestono fondamentale importanza nella nostra vita: l'infanzia, l'adolescenza, la giovinezza. Nella fanciullezza avviene la scoperta del mondo che ci circonda, nell'adolescenza avviene la scoperta dell'"io" personale, nella giovinezza la scoperta dell'"altro" o dell'io relazionale. La descrizione che ne seguir non avr n carattere psicologico n finalit pedagogiche, e pur contenendo inevitabili riferimenti a questi aspetti che interessano la crescita dell'uomo, cercheremo soprattutto di riflettere sul come pu essere vissuta l'esperienza creaturale nelle diverse fasi della nostra vita terrena.

260

Sal. 30,16

166

L'infanzia

180 - Let dei perch.


Ci che pi colpisce nei bambini sono gli occhi; gli occhi di un bambino sono qualcosa di affascinante. Il bambino "guarda": tipico dell'et dell'infanzia. Non lo sguardo contemplativo dell'uomo interiore, lo sguardo interrogativo di chi vuol leggere il mondo che lo circonda, un mondo che si presenta come tutto da scoprire, tutto da percorrere ma anche tutto da fruire. Perci tra le caratteristiche del bambino troviamo la curiosit innocente e il gioco. L'infanzia l'et dei perch; il bambino vuol soprattutto conoscere. Ma la sua conoscenza non critica, fiduciosa. Accetta facilmente e con pace le risposte o le spiegazioni di "chi ne sa di pi". Perci il termine di confronto del bambino l'adulto, identificato nei genitori; il padre e la madre sono per lui garanzia di credibilit perch "sanno" e gli vogliono bene. Di qui la fede "fiduciosa", cio motivata dalla fiducia, atteggiamento profondamente razionale fondato sul senso comune gi presente nel bambino. L'esperienza creaturale del bambino si identifica cos con il senso della sua filiazione. Possiamo dire che tutte le esperienze del bambino si riconducono alla sua consapevolezza di essere figlio. E' per questo che il bambino non ha problemi esistenziali. Basta guardare un bambino che dorme, magari in braccio a sua madre: un sonno profondo, sereno, totalmente abbandonato. Anche in questo sta il fascino dell'infanzia. Anche di fronte alla realt che ci circonda, lo sguardo del bambino ben diverso dallo sguardo dell'adulto: un prato fiorito a primavera ha un significato profondamente diverso se viene guardato da un bambino o dal padrone; lo sguardo del bambino "libero", quello del padrone interessato. Il bambino vede il prato come un dono da fruire insieme ad altri bambini, il padrone lo vede come un bene da sfruttare per s. E' responsabilit dell'adulto, soprattutto dei genitori, non derubare il bambino di questi contenuti dell'infanzia. Il corretto e autentico rapporto col padre e con la madre deve garantire nella misura pi ricca possibile quel senso della filiazione che dovr accompagnarlo per tutta la vita. Per noi cristiani questo senso di filiazione quale componente della nostra esperienza creaturale di bambini, diventa un aiuto estremamente importante per acquisire quella consapevolezza della nostra filiazione divina che il fondamento della vita cristiana. Ges, per descrivere in modo chiaro ed evidente il rapporto con Dio che devono vivere i suoi discepoli: "..chiam a s un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: "In verit vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli". 261

181 - Vita dinfanzia.


Questa esperienza creaturale vissuta nello spirito e nella consapevolezza consolantissima di essere figli di Dio, chiamata dagli autori spirituali "Vita d'infanzia". Ges nel compiere quel gesto si rivolse a degli adulti e us il verbo
261

Mt. 18,3

167

"convertirsi". Questo per dire che la vita d'infanzia un atteggiamento interiore non facile e trova le sue maggiori difficolt nella mentalit "adulta". Questa resistenza naturale ha una sua ovvia e comprensibile spiegazione sul piano umano, e si capisce perci il termine "conversione" usato da Ges, cio la necessit di cambiare modo di pensare per convertirsi alla logica di Dio. Ges stesso, essendo Figlio di Dio si fece "figlio dell'uomo", in tutto simile a noi, per insegnarci a vivere da figli di Dio, figli piccoli. filiazione Infatti nella vita spirituale del cristiano accade esattamente il contrario di quanto avviene nella vita naturale dell'uomo. La maturit umana si manifesta nel progressivo distacco dai genitori fino alla piena indipendenza da loro, in una completa autonomia delle proprie scelte e delle proprie decisioni. Nella vita cristiana, invece, la maturit spirituale frutto di un progressivo abbandono a Dio, di una vincolazione a Lui sempre pi piena e pi profonda fino a lasciarsi portare esclusivamente dalla sua volont divina. E' un abbandono che si esprime nella docilit sempre pi fine e delicata alla grazia che agisce continuamente in noi, e alla Chiesa che ci guida con il suo insegnamento. Questa vita d'infanzia costituisce il modo vero e autentico di essere adulti nella fede e diventa cos un correttivo fondamentale per la mentalit "adulta" che, soprattutto nell'et matura, vorremmo applicare alla vita spirituale. Sappiamo che questo insegnamento di Ges, questa conversione alla vita dinfanzia come atto fondamentale nella vita del cristiano, stato ripresentato con straordinaria semplicit ed efficacia dalla piccola Teresa di Lisieux, Santa Teresa di Ges Bambino, che ha chiamato piccola via questo modo di vivere abbandono filiale con Dio. Dal canto suo, il Beato Josemaria Escriv esprimeva questo legame tra la vita d'infanzia e la maturit umana con una frase molto incisiva: noi cristiani diceva - dobbiamo essere "por dentro muy ninos, por fuera muy fuertes"; "dentro", cio nella vita interiore, nel rapporto con Dio, dobbiamo essere "molto bambini", "fuori" cio nel rapporto con gli uomini, nelle nostre responsabilit e nei nostri doveri terreni "molto forti", molto maturi e responsabili. E spiegava: "Farsi bambini significa rinunciare alla superbia, alla sufficienza, riconoscere che, per imparare a camminare e perseverare nel cammino, da soli non possiamo nulla, ma abbiamo bisogno della grazia, del potere di Dio nostro Padre. Essere piccoli significa abbandonarsi come sanno abbandonarsi i bambini, credere come credono i bambini, pregare come pregano i bambini". 262 Questa infanzia spirituale - lo ripetiamo - tutt'altro che facile e spontanea, "anzi, richiede una volont forte, una maturit ben temprata, un carattere fermo e aperto" 263; dunque la meta di un impegnativo itinerario ascetico. Dobbiamo ricuperare i nostri occhi di bambini, gli occhi semplici, puliti o almeno purificati di chi sa guardare con stupore le meraviglie di Dio e col desiderio di conoscere i suoi disegni, occhi che lasciano trasparire la docilit di chi si fida di Dio, suo padre e da lui si lascia condurre per cammini di umilt, di donazione, di semplicit e di abbandono. Per cammini, appunto, d'infanzia.

262 263

Beato J. Escriv, E' Cristo che passa n. 143 Idem

168

L'adolescenza

182 - Let critica.


All'infanzia, considerata con la fanciullezza l'et felice della vita, segue il momento critico dell'adolescenza. Di essa si dice che l'et difficile, l'et in cui non si vuol essere pi bambini e non si ancora adulti. In effetti, l'adolescenza l'et dell'indeterminatezza, dell'insicurezza, dell'indecisione, della fragilit emotiva, l'et dei timori e delle ribellioni. E' chiamata anche l'et evolutiva, studiata da psicologi e pedagogisti, e sulla quale esiste una letteratura sconfinata. Queste riflessioni che facciamo sull'adolescenza sono rivolte e servono soprattutto agli adulti; primo: perch l'adolescente mal sopporta che si parli di lui, in quanto ogni approccio ai suoi problemi e ogni tentativo di descrivere la sua situazione per capirlo e aiutarlo sentito come un ulteriore invadenza dell'adulto e conseguente manipolazione sulla sua personalit; secondo: perch compito dell'adulto, in primo luogo dei genitori, essere presenti in maniera positiva nel travaglio maturativo proprio di questa et. Il fatto fondamentale dell'adolescenza la scoperta della propria soggettivit, la percezione di un "io" proprio, con proprie caratteristiche, che va delineandosi a tutti i livelli: fisico, sessuale, emotivo, psicologico, intellettuale. E' un "io" che va emergendo a poco a poco, dapprima in forma nebulosa e imprecisa, poi in maniera prepotente e anche violenta, dai caratteri pi marcati anche se ancora informi e disarmonici. L'io dell'adolescente sotto la spinta evolutiva va cercando le strade per affermarsi e le trova su due fronti: uno interno, quello della famiglia, in particolare nel confronto con i genitori, e l'altro esterno, quello del gruppo, nell'ambiente degli amici. Per affermare e insieme per scoprire la propria identit, l'adolescente prende le distanze dai genitori, cerca di differenziarsi da loro, spesso li contesta, anche ribellandosi e giudicandoli. Nel gruppo, l'adolescente cerca il supporto dell'amicizia e mira a crearsi un suo spazio di consensi. Di qui l'importanza determinante che riveste l'amicizia per l'adolescente. Anche nel rapporto con i genitori, egli li contesta come genitori e li cerca come amici. In fondo ci che l'adolescente vuole essere "qualcuno", e tale si sente quando i genitori, dei quali ormai rifiuta di essere un'appendice, lo trattano con amicizia, lo ascoltano, prendono sul serio quello che dice, gli credono in quello che afferma e gli dimostrano fiducia; e tale si sente anche quando nel gruppo viene accolto e realizza i primi successi con gli amici.

183 - Amici di Dio.


Ora proprio su questa categoria dell'amicizia, categoria cos umana e cos divina, pu svilupparsi l'esperienza creaturale dell'adolescente. L'amicizia rappresenta uno dei valori pi nobili ed elevati della vita umana. Dio ha voluto che fossimo creature "dialogiche", capaci di amicizia, e ci ha offerto, pur essendo noi creature a Lui totalmente subordinate, la possibilit di trattarlo da amico, di conversare con lui familiarmente; in un certo senso ha voluto che ognuno di noi si sentisse "Qualcuno" davanti a Lui, con la possibilit di intrattenersi con lui 169

amichevolmente e di aprirgli la propria intimit. E' un enorme privilegio che la creatura ha ricevuto dal suo creatore. Ogni volta che Dio si manifestato all'uomo e ha parlato, ad esempio, a tu per tu, gli ha fatto sentire la sua amicizia e lo ha chiamato amico. E' accaduto con Abramo, che Dio stesso chiama "mio amico" 264; accaduto con Mos, che parlava con Dio "faccia a faccia", come un amico; accaduto con molti profeti. Ma soprattutto in Ges che Dio ha rivelato il mistero della sua intimit; in Lui, Dio si fatto amico degli uomini. Egli - il Figlio - venne ad abitare tra noi, pass sulla terra "et conversatus est cum hominibus" e s'intrattenne amichevolmente con gli uomini. 265 Pensiamo all'amicizia intima di Ges con gli apostoli, con tanti discepoli: Lazzaro, Nicodemo, Zaccheo... e, sia pure con toni e modi diversi, con ogni persona che si avvicinava a Lui. Una delle sue affermazioni pi commoventi, che l'apostolo Giovanni - il pi intimo confidente di Ges, l'apostolo quasi adolescente - ci ha tramandato, riguarda proprio l' amicizia: "Voi siete miei amici... Non vi chiamo pi servi, perch il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perch tutto ci che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a Voi". 266 Nel vivere l'amicizia con Cristo, la difficolt tutta nostra; per quanto egli sia apparso in mezzo a noi come vero uomo, tuttavia egli ora non pi visibilmente sulla terra e dobbiamo perci lavorare di fantasia. Ma, in compenso, ci ha dato la possibilit di incontrarlo personalmente attraverso due doni preziosi che esprimono il suo amore e il suo desiderio di incontrare ciascuno di noi nellintimit dellamicizia: il Vangelo e l'Eucaristia. Sappiamo come l'adolescente, man mano che prende coscienza del suo io, va scoprendo la propria interiorit; un mondo nuovo dove si alternano sentimenti, stati d'animo, pulsioni e fantasmi a cui non era abituato, e pur essendone estremamente geloso non riesce tuttavia a portarne il peso da solo e sente un impellente bisogno di aprirsi, di confidarsi con qualcuno che gli ispiri fiducia, un amico, appunto; spesso finisce col consegnare la propria intimit alle pagine di un diario personale, che diventa il suo confidente. L'adolescente che scopre Ges, - la sua persona, la sua figura, la sua vita cos come Egli si rivela nel Vangelo, e incomincia a vivere una personale amicizia con Lui, ha certamente imboccato la strada sicura non solo per la sua crescita umana ma anche per la sua formazione cristiana; infatti la vita cristiana non altro che la sequela di Cristo. Alla scuola di Ges, l'unico vero amico e maestro, l'adolescente pu trovare il modo pi efficace per conoscere s stesso e far emergere la propria identit personale. Sappiamo infatti quale importanza hanno nell'adolescente i modelli, i leaders, come ideali di vita nei quali portato a specchiarsi per imitarli nel suo comportamento. Conoscere Ges Cristo, osservare con amorosa curiosit la sua vita e camminare con Lui, dovrebbe diventare l'ideale per ogni cristiano fino al punto di entrare in quella amicizia divina capace di aprire al nostro cuore gli orizzonti della donazione e del servizio.

184 - Le impazienze delladolescenza.


L'adolescente avverte il bisogno dell'amicizia ma non ne ancora capace veramente. Si dice: chi trova un amico, trova un tesoro. Ora, quando un ragazzo trova un amico che abbia imparato a vivere la propria esperienza creaturale come
264 265 266

Is. 41,8 Bar. 3,33 Gv. 15,15

170

amicizia con Dio - pu essere un coetaneo, o un adulto o un sacerdote - e lo aiuti a vivere la propria adolescenza come amicizia con Cristo, ha trovato un vero tesoro, che pu essere determinante nella sua vita. Infatti l'adolescenza l'et dei facili entusiasmi e delle improvvise depressioni, delle decisioni impulsive e delle incertezze, della instabilit e del bisogno di sicurezza. Ora, aiutare un ragazzo a scoprire l'amicizia con Cristo, un Amico che lo capisce, che lo ama, che gli sempre vicino e che gli fedele nonostante tutto e al di sopra di tutto, e che conta su di lui sempre, significa salvarlo dai pericoli che insidiano l'et pi esaltante ma anche pi ingrata nella vita dell'uomo. Il primo pericolo cui esposto l'adolescente la fretta; la fretta di essere adulto. Sono soprattutto due le impazienze che lo assillano: l'impazienza della libert e l'impazienza dell'amore. La fretta della libert la pi sofferta e combattuta. L'adolescente rivendica un'autonomia che mal sopporta le limitazioni, ed essendo priva di un sufficiente supporto di esperienza e responsabilit, rischia il disordine, l'anarchia, il non rispetto delle persone e delle istituzioni. Un dato che l'adolescente difficilmente riesce a cogliere la differenza tra la libert esteriore poter "fare" quello che si "vuole" - e la libert interiore che esige disciplina e dominio di s. Prevale, naturalmente, la rivendicazione della libert esteriore che ha i suoi simboli: tenere le chiavi di casa, non rendere i conti a nessuno, rientrare a qualsiasi ora, possedere cose o strumenti che lo qualificano come emancipato di fronte agli amici. Questa incapacit critica del tutto naturale in lui ma a farne le spese sono in primo luogo i genitori. Essi incarnano agli occhi dell'adolescente l'autorit intesa come ostacolo all'affermazione di s e come limitazione ingiustificata alla propria libert. Per i genitori - e per gli educatori - questo il momento pi delicato e pi laborioso. Anche per loro il pericolo l'impazienza. Impazienza "perch il ragazzo non matura, non capisce, non ragiona, non finisce di assestarsi, una buona volta!"; un' impazienza che li pu portare a rotture pericolose o ad interventi inopportuni. Occorre invece la lunga pazienza del dialogo, unita all'esercizio flessibile ma deciso dell'autorit. L'adolescente contesta l'autorit e spesso vi si ribella ma ne ha un assoluto bisogno. Guai se gli mancasse, perch l'unico riferimento concreto in mezzo alla sua insicurezza e alla sua confusione. Quello che i genitori devono tener presente che l'esercizio della loro autorit deve mirare a far sentire al ragazzo la responsabilit delle proprie azioni e delle proprie decisioni. E' un comportamento indispensabile, l'unico modo giusto per educarlo alla libert e condurlo al dominio di s stesso.

185 - Limpazienza del cuore.


Altro atteggiamento pericoloso nell'adolescente l'impazienza dell'amore. Parliamo dell'amore tipicamente immaturo, proprio di questa et. Il prorompere dell'affettivit accompagnato dallo sviluppo sessuale il fatto che maggiormente contribuisce a far scoprire all'adolescente la propria soggettivit e la propria intimit. E' anche il fatto davanti al quale l'adolescente si trova maggiormente indifeso per cui viene facilmente esposto alle aggressioni esterne della mentalit edonistica e permissiva propria della societ attuale. Sono infatti tali e tanti gli stimoli provocatori che il mondo di oggi esibisce nel campo della sessualit, che l'adolescente ne rimane frastornato e soggiogato non avendo il tempo non solo di razionalizzare criticamente il problema, ma nemmeno di intravvederne il significato per la propria personalit. Vi si aggiunge, poi, una educazione sessuale irresponsabile e galeotta che porta alla desensibilizzazione dell'adolescente non solo riguardo al valore morale ma anche riguardo alla valenza semplicemente psicologica della sessualit. 171

L'adolescente non fa in tempo, oggi, a scoprire la propria intimit personale e sessuale che ne viene immediatamente derubato da una societ sfacciatamente qualunquista e amorale. In questa societ, il gioco affettivo e le esperienze sessuali sono ormai considerate una norma, qualcosa di naturale nei giovani e anche negli adolescenti. Cos i ragazzi e le ragazze che riescono a sopravvivere, a salvaguardare la loro dignit personale in campo sessuale, sono sempre meno numerosi. Addirittura sono molti ormai i genitori che ritengono praticamente inevitabili le esperienze sessuali nei loro figli, anche adolescenti, per cui l'importante, a questo punto, salvaguardarli dai rischi. E i rischi sono la gravidanza e l'AIDS. E' l'inganno pi sporco e ipocrita che la societ attuale, la societ politica e culturale dei nostri giorni, abbia consumato sulla pelle delle giovani generazioni. A questo punto la vera educazione sessuale consiste nell'aiutare l'adolescente a ribellarsi di fronte a questa mentalit dominante, cos anonima e sfrontatamente ipocrita, nella quale la permissivit sessuale pari al pi ritardato infantilismo della personalit, al vuoto di valori e alla carenza del dominio di s. La vera educazione sessuale mira ad una maturit umana che non si identifica per niente con la maturit sessuale, perci deve portare l'adolescente a saper dire di no alla propria impazienza sessuale ed affettiva, un no che significa libert interiore, consapevolezza critica della preziosit e dell'importanza che ha il dono della sua persona, coscienza sempre pi chiara del proprio io che non si lascia gestire supinamente dal modo di pensare diffuso, dal "tutti la pensano cos" o "tutti fanno cos". La vera educazione sessuale deve far scoprire all'adolescente che esiste la virt della purezza, una virt taciuta, disprezzata e derisa, ma che esige invece virilit, fortezza, rispetto di s stessi e degli altri, una virt che diventa custode della propria integrit sessuale e morale, cos da permettere, a suo tempo, il dono integro di s stessi alla persona che sar chiamata a condividere un amore pieno e gioioso, per tutta la vita, al servizio della vita, o, se Dio vuole, al servizio del Regno dei Cieli. Virt dunque, e non ignoranza, non paura del sesso, non inibizione psicologica; virt che promozionale della personalit, della nobilt dei sentimenti, in definitiva della vera capacit di amare.

186 - Educazione allamore.


Questa educazione alla sessualit, alla purezza, all'amore, opera affidata prima di tutti ai genitori che non possono delegarla a terzi, compresa la scuola, senza venir meno alla loro responsabilit. L'amore vero, l'amore puro, nobile, maturo, l'adolescente lo scopre innanzitutto nel comportamento dei genitori: quando il padre e la madre si vogliono veramente bene, si arricchiscono reciprocamente in una convivenza serena e armoniosa, fatta di stima, di rispetto, di delicatezza, alimentata da gesti semplici ma sinceri, di affetto, di attenzione, di comprensione e anche di perdono, l'adolescente vede di fatto che cosa comporti l'amore di un uomo e di una donna, e quale ricchezza di contenuti affettivi, morali e spirituali tale amore presuppone. Il figlio deve scoprire che i suoi genitori, prima di essere padre e madre, sono marito e moglie, sposo e sposa, e che prima di appartenere a lui essi appartengono a s stessi reciprocamente. Questo comportamento oltre a garantire stabilit affettiva al nucleo familiare, permette ai genitori di gestire il proprio ruolo di padre e di madre con chiarezza, con libert ed efficacia, e di veicolare nella coscienza dei figli le leggi morali che regolano il retto comportamento sessuale e difendono la verit dell'amore. Accanto a queste coordinate umane della sua maturazione sessuale, l'adolescente ha bisogno delle coordinate spirituali, soprannaturali; cos l'amicizia sempre pi intima con Ges e una filiale, tenera devozione alla Madonna possono 172

aiutare l'adolescente a scoprire nella purezza non solo la virt che lo matura umanamente ma anche il clima spirituale che lo rende capace del vero dono di s, sia a una creatura per la famiglia, sia a Cristo per la sua Chiesa.

La giovinezza
187 - Let dei progetti.
L'esperienza creaturale, con la corrispondente consapevolezza della propria vincolazione a Dio, esperienza cos problematica e faticosa nell'et dell'adolescenza, diventa ancor meno facile e spontanea nell'et giovanile. La giovinezza si caratterizza per una proiezione dell'io, gi sufficientemente emerso nell'adolescenza, verso l'esterno, verso la vita con le sue promesse e con le sue incognite. E' la scoperta dell'io relazionale. La giovinezza si presenta soprattutto come l'et dei programmi, dei progetti, delle aspirazioni, viste non tanto sul piano ideale e teorico ma sul piano concreto della loro realizzazione. Il giovane matura delle scelte e tende a realizzarle in un progetto di vita. Normalmente le scelte riguardano la professione e la famiglia, concretamente il campo di lavoro e la compagna della propria vita. La giovinezza impegna dunque su due fronti particolarmente importanti: quello dell'inserimento professionale e quello del fidanzamento. L'inserimento professionale ha per il giovane il significato di realizzare un proprio posto nella societ che corrisponda il pi possibile alla sua personalit. Il conflitto si sposta perci dall'ambito interiore della persona all'ambito esterno, quello delle situazioni concrete della vita. Queste situazioni sono di due tipi: il primo di carattere istituzionale; esso riguarda le strutture sociali e politiche gi definite e dentro le quali si muovono i membri di una comunit. Sono strutture regolate da leggi, e sono espressione di determinati valori che a loro volta sono costitutivi di una determinata cultura. Il giovane che vuole aprirsi una strada nella societ combattuto tra la necessit di adeguarsi al sistema" conformandosi allo stato delle cose, e la volont di rinnovamento che mira alla realizzazione di un nuovo ordine sociale. L'impazienza, che ancora viva nell'et giovanile, pu spingere il giovane ai due estremi di questa alternativa. Nel primo caso, il pericolo il conformismo. Esso pu portare all'appiattimento, alla sfiducia che spegne gli entusiasmi, all'imborghesimento che soffoca le aspirazioni e fa crollare gli ideali. Le energie vitali che la giovinezza porta in s trovano allora sfogo nel consumismo disordinato che diventa evasione, e nella sete insaziabile di godimento che diventa compensazione. Nel secondo caso la spinta innovatrice pu diventare rivoluzionaria ed esprimersi in clamorose contestazioni e violente rotture, fino alla radicale opposizione verso le strutture a tutti i livelli: familiare, sociale, politico, e perfino al rifiuto dei valori della pi autentica tradizione.

188 - La vera rivoluzione: la santit.


A questo punto un'esperienza creaturale viva, personale, autentica, che sviluppi nel giovane la coscienza della propria dipendenza da Dio, sapientissimo creatore, e che sproni ad una profonda amicizia con Cristo, Maestro e Redentore 173

dell'uomo, pu diventare per lui un fattore determinante nello sviluppo della sua personalit umana e cristiana. Sapersi creatura di un Dio sapientissimo pu aiutare il giovane a comprendere che noi non siamo entrati in un mondo sbagliato, tutto da rifare, ma in un universo gi ordinato, con leggi buone, stabilite dalla sapienza di Dio. Purtroppo il Maligno e il peccato dell'uomo hanno introdotto nel mondo il disordine e il male che, tuttavia, sono stati vinti da Cristo. Perci, vivere la nostra esperienza di creature deve portarci a ricevere dalle mani di Dio il mondo da lui creato, per rinnovarlo attraverso Cristo e condurlo sempre di pi verso il modello voluto da Dio, nella verit, nella giustizia e nella pace. Non si tratta quindi di distruggere, ma di purificare, di rettificare e semmai di edificare. La vera rivoluzione l'ha operata Cristo perch ha cambiato il cuore dell'uomo. Dobbiamo certamente mettere mano anche alle strutture temporali della societ perch siano pi giuste e pi umane, ma non possiamo illuderci che, cambiate le strutture, venga cambiata la situazione del mondo. Le rivoluzioni che distruggono, sostituiscono violenza a violenza, disordine a disordine, ingiustizia a ingiustizia; alla fine "buttano il bambino e si tengono l'acqua sporca". La ghigliottina non sar mai uno strumento di giustizia e di pace, n mai servir a cambiare il mondo. N conformismo borghese, quindi, n violenza rivoluzionaria, ma santit. Santit con opere. I veri rivoluzionari che hanno cambiato il mondo furono i santi. Essi hanno testimoniato nel mondo i veri valori di cui l'umanit ha bisogno. Non sempre ci che nuovo anche pi giusto, pi vero, pi perfetto, come vorrebbe uno dei principi fondamentali del Progressismo mondano. Spesso accade che una societ ha bisogno di rinnovarsi non perch priva di valori, ma perch non attua e non vive fino in fondo i valori che ha gi ricevuto e gi possiede. Se un giovane sapr prepararsi pazientemente ma intensamente al lavoro professionale, con competenza e rigore ma anche con le virt umane e cristiane che la vocazione professionale richiede, non solo trover posto nella societ, ma svolger anche una presenza estremamente positiva e costruttiva, veramente innovatrice, cos come avviene in ogni creatura vivente, la quale non si rinnova autodistruggendosi ma sviluppandosi dal di dentro, promuovendo le potenzialit che ha in s stessa, dalla natura.

189 - Fidanzamento e matrimonio.


Altre situazioni che il giovane deve affrontare e che riguardano pi direttamente la sua vita privata sono i rapporti umani: le amicizie, le scelte sentimentali con le relative decisioni. Non c' dubbio che quest'ultimo problema costituisce la preoccupazione pi importante nell'et giovanile. Il fidanzamento e la preparazione alla famiglia occupano un posto importante nei programmi dei giovani. E' un impegno che assorbe molte energie fisiche, psichiche e spirituali. Avere una chiara consapevolezza di essere creature significa assumere di fronte al matrimonio un atteggiamento di rispetto verso la verit, e di docilit a valori che non dipendono da noi. La verit sul matrimonio implica due principi fondamentali: primo, il matrimonio viene da Dio e non dall'uomo. In altre parole, il matrimonio un istituto naturale voluto dal creatore il quale ne ha stabilito il fine e le leggi. Il matrimonio quindi precede la volont dei singoli e anche i poteri dello Stato e della societ stessa; nessuno pu intervenire arbitrariamente sulla natura e sulle leggi del matrimonio. Il secondo principio deriva dal primo: il matrimonio non un affare privato tra due persone, come pensa chi riduce il matrimonio al solo amore. Ora, per essere marito e moglie non basta volersi bene, sia pure con un amore sincero, intenso 174

ed esclusivo, occorre che questo amore diventi "coniugale" attraverso un vincolo esplicito, unico e stabile, attraverso il "patto coniugale". Il matrimonio dunque un atto pubblico che ha valore giuridico vincolante a norma di giustizia e si configura carico di socialit. Con ci non si vuol togliere importanza all'amore che, pur non essendo costitutivo del matrimonio ne rimane l'anima e la garanzia, si vuole invece ribadire che l'amore tra l'uomo e la donna per essere "amore coniugale" ha bisogno del "patto coniugale" come suo intrinseco elemento costitutivo. Ci aiuta a capire che ogni espressione "coniugale" durante il fidanzamento va contro la "verit" dell'amore e non rispetta la realt delle cose. Diventa un "amore" abusivo, non autentico. Del resto, tutto il lavoro del fidanzamento consiste nell'imparare ad amare e nel prepararsi ad amare veramente, con un amore che non sar mai scontato, ma che sapr rinnovarsi giorno dopo giorno, con sacrificio e con lotta, per non cadere nella routine e per diventare invece pi profondo e pi vero nella maturit e nel dono totale di s stessi. Davanti a questi impegni, il giovane di oggi rischia di impaurirsi; lo assale un senso di incertezza e di insicurezza che durante il fidanzamento rimane mascherato dall'innamoramento. Un ragazzo e soprattutto una ragazza innamorati non hanno dubbi sulla sincerit del loro amore, e pensano che questo pu dare una sufficiente garanzia alla solidit e alla durata del loro legame coniugale. E invece l'entusiamo dell'amore non basta. Dopo qualche tempo l'entusiasmo si acquieta e resta l'amore, quello vero, quello fatto di stima, di comprensione, di sacrificio, di ottimismo, di dono totale di s stessi... fatto di perdono. Il giovane di oggi deve sapere che la cultura dominante non riconosce questo tipo di amore, piuttosto lo deride e lo rifiuta. Deve anche tener presente che la legislazione stessa degli Stati moderni non difende e non tutela sufficientemente il matrimonio e la famiglia. Le leggi civili danno importanza esclusivamente all'amore e alla volont soggettiva di vivere insieme; non danno quasi alcuna importanza al patto coniugale, il patto che lega con vincoli di giustizia i due coniugi, e li rende responsabili di fronte al diritto dei figli e del bene comune. Sono leggi che spesso finiscono col premiare il colpevole e condannare l'innocente. Tutto questo, non per aggravare ulteriormente l'incertezza e la paura nei giovani di oggi, ma semmai perch sappiano trovare innanzitutto nella certezza delle loro convinzioni e nella determinatezza delle loro decisioni la forza che li far camminare con fiducia in una societ che non li garantisce. Ma soprattutto perch sappiano trovare nel sacramento con il quale Ges ha voluto elevare il patto d'amore tra l'uomo e la donna a segno e strumento di grazia, la pi sicura garanzia del loro cammino coniugale. Se i giovani sapranno mettere Cristo-Sposo nel loro amore umano sperimenteranno che cosa significa amare fino a dare la vita per la persona amata. Su questa strada dell'amore, dell'amore umano e cristiano, la vera risorsa viene dal rapporto sempre pi profondo e personale con Cristo. L'amicizia con Ges, scoperta e iniziata nell'et dell'adolescenza, pu aprire nella coscienza giovanile cammini di generosit e di dedizione al Signore, visto come Colui che ha veramente rinnovato il mondo e ha insegnato agli uomini la verit dell'amore. Cristo impegnato nelle strade della Galilea, e ora impegnato nelle strade del mondo, pu suggerire all'animo giovanile l'idea, - che pu diventare progetto e decisione - di farsi strumento a servizio di Dio e della Chiesa per gli uomini del proprio tempo; strumento affinch Cristo sia "innalzato" su ogni attivit umana e si realizzi la pace di Cristo nel regno di Cristo.267 E' questo, anche, un modo di vivere intensamente la consapevolezza di essere creature inserite in un progetto di Dio che conta su di noi per realizzarlo nel mondo. E' un modo diverso di scoprire il senso vocazionale della vita; senso che in noi
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Cammino, n. 301

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cristiani diventa vocazione divina nel Battesimo, per esprimersi poi come vocazione professionale nel lavoro, vocazione sponsale nel matrimonio e nella famiglia, e anche come vocazione verginale nella dedizione piena a Cristo con cuore gioioso e indiviso, e con pienezza di servizio.

190 - Verginit per il Regno dei Cieli.


Questo, della vocazione alla verginit, oggi un argomento non solo taciuto ma totalmente incompreso. Parliamo della verginit come vocazione, perch come virt, cio come castit prima e fuori del matrimonio, non solo incompresa ma anche derisa e disprezzata, e da pi parti considerata come segno di immaturit e di anormalit psicologica. La chiamata alla verginit "per il Regno dei Cieli" stata inaugurata da Ges. E' Lui il "Vergine" per essenza, quasi per costituzione ontologica, una verginit che lo costituisce "Sposo", sposo della Chiesa e sposo di ogni anima che lo segua da vicino e totalmente, che segua "l'Agnello dovunque va". 268 Questo significa che nella verginit cristiana si stabilisce con Cristo un rapporto essenzialmente diverso da quello che si realizza nel matrimonio. Il Sacramento nuziale una partecipazione solo simbolica al mistero sponsale di Cristo e della sua Chiesa, ed transitoria perch legata alla condizione terrena; la verginit, invece, una partecipazione in certo qual modo diretta e perci reale con il mistero di Cristo-Sposo e non si interrompe con il tempo ma riveler la sua pienezza nella Vita eterna. E' vero che una persona sposata pu amare Cristo pi di una persona vergine, e pu quindi arrivare a una santit pi alta, tuttavia l'amore verginale resta sempre un amore diverso, perch diverso il rapporto con la persona di Cristo. E' infatti un rapporto sovraeminente per natura, per significato, per grazia, che qui non possiamo analizzare e approfondire ma che rimane nella tradizione della Chiesa come un fatto di radicale importanza. Ges stesso allude esplicitamente alla vocazione verginale quando dice "Non tutti possono capirlo, ma solo coloro ai quali stato concesso". 269 Questa vocazione alla verginit per il Regno dei Cieli un dono prezioso che lo Spirito Santo ha fatto alla Chiesa di Cristo, e la Chiesa, nei venti secoli della sua storia, ha conosciuto l'immensa fecondit di questo dono che mai potr venir meno. Oggi, nella nostra societ occidentale sembra che queste vocazioni siano diminuite fino quasi a scomparire. In realt "non est abbreviata manus Domini" - non si indebolita la mano del Signore" - non sono venute meno le vocazioni, sono venute meno invece le risposte alla chiamata del Signore. L'ambiente fortemente secolarizzato e la visione consumistica della vita impediscono a tante ragazze e ragazzi non solo di rispondere positivamente alla chiamata di Dio ma semplicemente di avvertire la sua voce, che spesso riesce con fatica a farsi strada tra le mille seduzioni della mondanit, e arriva al cuore senza la forza necessaria per attirarlo. Ma nella mentalit edonistica e stoltamente permissiva della societ attuale la verginit risulta assolutamente incomprensibile. Scalzati i valori morali, si lascia il posto ad assurde convinzioni che servono solo a ignobili speculatori del sesso per alimentare un turpe mercato ormai non pi sommerso ma sfacciatamente esibito. Cos la castit prima del matrimonio viene presentata come un peso e le esperienze sessuali tra giovani sono considerate inevitabili, anzi, vengono presentate come normali e psicologicamente utili. Semmai occorre premunirsi contro i rischi. La verginit non sarebbe pi una virt, ma un sintomo di immaturit o addirittura di anormalit. Sono gravi errori morali che non hanno nulla in comune con l'amore, l'amore vero, nobile, autentico dei nostri genitori e offendono violentemente la
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Ap. 14,4 Mt. 9,11

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dignit dell'uomo e ancor pi la grande dignit della donna. Contrastare questa ondata di sensualit fondata sulla menzogna compito di noi cristiani. L'affermazione gioiosa della castit e della verginit come esigenza della nostra dignit di uomo e donna stato un aspetto importante della rivoluzione culturale operata dal cristianesimo nel mondo pagano, e sar certamente un elemento essenziale anche per quella rivoluzione culturale che la nuova evangelizzazione dell'Europa. Se il mondo giovanile e la cultura attuale non sapranno ricuperare il valore della castit e della verginit, cio il valore positivo della sessualit secondo il disegno di Dio, difficilmente arriveranno ad una fede vera e autentica. La sensualit lo smog dell'anima; intristisce il nostro paesaggio interiore e impedisce l'azzurro del cuore. Se una ragazza (come pure un ragazzo) non sa difendere e non ama la propria verginit, non solo non capir la vocazione a servire Dio con dedizione totale per il Regno dei cieli, ma rischia di non comprendere nemmeno il valore della maternit. I due valori si corrispondono intimamente e non a caso la mentalit secolarizzata disprezza l'uno e l'altro, gettando cos la donna in una profonda crisi di identit. Rifiutare la verginit e temere la maternit un tradimento dei valori pi nobili della femminilit. Purtroppo la responsabilit di questa aggressione ricade in parte preponderante sulla visione maschilista e corrotta di tanti "uomini di cultura" che i padroni dei mass-media hanno sponsorizzato. L'incontro di Ges con Erode estremamente eloquente; ma soprattutto lo la figura amabilissima di Colei che, essendo "Vergine e Madre", ha meritato di essere "figlia del suo Figlio".

L'et adulta

191 - Quale maturit?


Le stagioni della nostra vita non hanno n durata n confini precisi, e nemmeno sono misurate dagli anni. C' una continuit profonda che attraversa e unisce tra loro le stagioni della vita umana: l'unit e l'identit della "persona". Il vissuto interiore di ciascuno caratterizza poi in modo personale la fisionomia delle singole stagioni per cui si rende problematica la loro descrizione. Ma c' un'et di cui pi difficile definire la fisionomia per la variet degli aspetti soggettivi e la diversit delle vicende personali attraversate: l'et adulta. La presenza di molteplici e complesse componenti che definiscono l'et adulta comporta un'ampiezza descrittiva di questa stagione della vita quale non si ha nelle altre et e costringe a farne pi descrizioni, tutte variamente incomplete. Normalmente per indicare l'et adulta si usa un termine che sembrerebbe sufficientemente sintetico per definirla: il termine "maturit". Ma che cosa significa veramente una "persona matura"? Basta pensare, ad esempio, alla differenziazione sessuale, che raggiunge nell'adulto l'espressione massima soprattutto sul piano psicologico; una differenziazione estremamente profonda, tanto che si dovrebbe parlare di una et adulta maschile e di una et adulta femminile. Ne abbiamo una prova nell'interrogativo che l'uomo e la donna adulti si pongono di fronte al significato della vita; l'uomo si chiede: "per che cosa vivo?", domanda che rivela la 177

tensione maschile verso il fare, verso un'impresa da compiere, un lavoro da realizzare; diversamente, istintivo nella donna domandarsi: "per chi vivo?" , domanda che dice molto sull'atteggiamento femminile, e rivela la tensione interiore della donna verso l'essere umano, verso la persona concreta, sia essa il marito, o il figlio, o una creatura che si trova nel bisogno. Occuparsi dell'essere umano sentito dalla donna come la missione che le stata affidata dalla natura. Il solo lavoro professionale, un'impresa da portare avanti, per quanto gratificante, non bastano perch la donna si senta pienamente realizzata. La riflessione su questo argomento potrebbe dilungarsi molto e la psicologia differenziale avrebbe molto da insegnarci, ma qui basta questo semplice accenno per capire quanto il concetto di maturit sia tutt'altro che facile da definire. Tuttavia possibile enucleare alcuni elementi che chiameremo "sintomi" di maturit e che possono aiutarci a vivere l'esperienza creaturale nell'et adulta.

192 - I sintomi della maturit.


Il primo sintomo potremmo vederlo nella consapevolezza sempre pi chiara della propria temporalit. L'uomo adulto si rende conto che la vita critica; cio caratterizzata da un equilibrio mai raggiunto e sempre aperto alla ricerca di una stabilit che non mai fissa, bens continuamente dinamica. Se l'anziano l'uomo rivolto al passato e il giovane l'uomo rivolto verso il futuro, l'adulto l'uomo del presente. Ma il suo presente ben diverso da quello del bambino e dell'adolescente nei quali il presente limitato al presente, chiuso e si esaurisce in s stesso. E' un presente, quello dell'adulto, completamente fluido, indelimitato, una tensione tra un passato che utilizza come esperienza e un futuro inteso come speranza. In altre parole la tensione tra l'essere e il "dover essere"; un modo esistenziale di percepire la propria temporalit come situazione in fieri, la situazione di un essere imperfetto non ancora "compiuto" e che tende alla compiutezza. Nasce perci una nuova percezione di s stessi, pi oggettiva, pi critica. Proprio questa percezione pu aiutare l'adulto a vivere la propria esperienza di creatura con pi consapevolezza. "Creatura" al femminile e al futuro, indica appunto qualcosa che "in fieri", che si sta formando. La consapevolezza della propria creaturalit unita all'impegno morale della propria perfettibilit - il "dover essere" aiuter l'adulto a non sentirsi autonomo da Dio in tutto ci che riguarda la progettualit della propria vita e insieme a sentire pi fortemente la propria responsabilit. E' sintomo di maturit capire che tutto viene da Dio e insieme tutto viene da noi stessi. Creaturalit e perfettibilit; da questa consapevolezza l'adulto pu anche derivare un atteggiamento maggiormente obiettivo e insieme maggiormente paziente, cio un atteggiamento di pi viva responsabilit di fronte alla vita e agli impegni che essa comporta; pu liberarsi dalle impazienze giovanili e insieme rendersi pi tenace, pi costruttivo, pi efficace, nel lavoro, nella famiglia e nelle responsabilit sociali.

193 - Maturit e coscienza.


Il campo pi importante in cui l'adulto manifesta la sua maturit in quanto chiamato a giudicare con obiettivit, il campo dei valori. Si tratta del criterio morale, cio della capacit di valutare la moralit dei comportamenti prescindendo dall'emotivit, dagli stati d'animo, dalle apparenze sensibili. Un adulto tanto pi maturo quanto pi obiettivo il suo criterio morale; in definitiva si tratta della maturit della coscienza. 178

Ora, proprio a livello della coscienza ha enorme importanza la consapevolezza della propria creaturalit. Comprendere e accettare di essere creature porta a capire che la fonte dei valori Dio e non la nostra coscienza. Un'etica dei valori che prescinda da Dio diventa inevitabilmente un'etica soggettiva e perci relativa; relativa alle situazioni, alle circostanze, agli interessi e alle ambizioni personali. Questo della coscienza un aspetto fondamentale nella maturit dell'adulto, tanto da poter dire che il valore di una persona sta nel valore della sua coscienza. Se pensiamo che la coscienza il luogo pi intimo della nostra persona, l dove, soli con noi stessi e avendo come unico interlocutore Dio, maturiamo le nostre decisioni, ci rendiamo conto del perch essa sia la parte pi delicata del nostro io personale. Possiamo dire che tutta la nostra maturit si forgia nell'ambito della coscienza: non solo la maturit umana (coscienza psicologica) ma anche e soprattutto la maturit morale e spirituale (coscienza religioso-morale). Se volessimo indicare le caratteristiche di una coscienza matura potremmo definirla: sensibile, viva, integra. Una coscienza sensibile quando sa percepire i valori e li percepisce come vincolanti. E' come l'occhio dell'anima. Richiede quindi, pulizia, luminosit, educazione. E' la "luce" di cui parla Ges: "La luce che in te". E bisogna cercare con ogni cura che questa luce non si oscuri o non si spenga, perch se "la luce che in te tenebra, quanto grande sar la tenebra!". 270 La luce che illumina la coscienza e la rende sensibile ed affinata la verit. Ora, mentre la menzogna accieca e distorce la coscienza, l'ignoranza e l'errore la rendono incerta, grossolana, confusa. Perci, mentre dobbiamo difendere la nostra coscienza dalla menzogna, dobbiamo d'altro canto farle guadagnare uno spazio sempre pi ampio e profondo alla conoscenza e alla verit. Si capisce allora quale importanza abbia per una maturit della coscienza la formazione dottrinale; beninteso deve essere formazione e non deformazione. Occorre cio la sana dottrina, la dottrina che ci viene dal Magistero della Chiesa, perch la Chiesa che, nel suo insegnamento, ci interpreta autenticamente l'insegnamento di Cristo. Un cristiano veramente adulto, maturo, non dunque colui che arbitrariamente forgia la propria coscienza su criteri personali o su criteri desunti da una mentalit dominante a modo di maggioranza democratica, (la crisi della coscienza collettiva) e nemmeno su criteri sanciti da "esperti" in scienze teologiche e morali. Ancora una volta alla Chiesa, edificata sul fondamento degli Apostoli, che Ges ha detto: "Mi stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni (...) insegnando loro a osservare tutto ci che vi ho comandato". 271 L'obiettivit porta un cristiano adulto a conformare la propria coscienza ai valori proclamati da Cristo e testimoniati dalla Chiesa.

194 - Coscienza viva.


Questo ossequio consapevole alla dottrina autoritativa non mortifica la coscienza adulta e matura, non le impedisce di essere una coscienza responsabile, cio viva. Essere e mantenersi "viva" fa si che la coscienza sia una facolt attiva, promozionale del bene nella nostra condotta, operativa anche sul piano decisionale. E' una caratteristica legata ad un'altra funzione importante della coscienza, quella di giudicare. Una coscienza adulta non solo percepisce obiettivamente i valori ma anche giudica le nostre decisioni e il nostro comportamento rispetto a quei valori. La coscienza perci promuove decisioni, suggerisce iniziative, in una parola simile alla vita che fonte inesauribile di
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Mt. 6,23 Mt. 28,18

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attivit. Nell'adulto, dunque, la coscienza non una facolt esclusivamente teorica ma, attraverso un giudizio che precede e accompagna il nostro agire, diventa forza promozionale di una condotta attiva nel bene. La sua dote la fermezza. Una coscienza matura una coscienza ferma nel bene, nel servizio alla verit, nella coerenza con i valori. Vive in continuo dialogo col dono e con la virt della prudenza. Ci si riferisce a una coscienza viva quando si usa l'espressione: "prendere coscienza"; come la "presa di possesso" di un valore che, appena conquistato, pone i suoi ultimatum. Questa presa di possesso non mai pacifica, un combattimento; esige una lotta costante contro il sonno dello spirito. E' un brutto sonno questo dello spirito: una coscienza smorta, sonnolenta, temibile perch rischia di tramutarsi in una atonia interiore di fronte non solo ai valori ma alla realt tutta. Le cose e le persone scorrono allora intorno a noi senza sentirne n il calore, n la poesia, n il mistero; non esercitano alcun richiamo, alcuna provocazione. Qui non ha pi senso parlare di maturit di una persona: la morte. Una coscienza che non reagisce pi si manifesta nel giovane come rassegnazione, conseguenza di tante battaglie morali perdute, e nell'adulto si manifesta come indifferenza totale, conseguenza di aver maltrattato lungamente la coscienza con l'inganno, il rifiuto, la falsit intellettuale, la violenza delle passioni. L'unica compensazione a questa povert sar il denaro, la carriera, o l'appagamento dei sensi, pi spesso sono tutte queste cose insieme: il pi cupo egoismo. L'immagine evangelica di una coscienza ridotta in queste condizioni Lazzaro nel sepolcro: inerte, legato dalla testa ai piedi, gi maleodorante. Una coscienza ridotta in questo stato una grande disgrazia. Per uscire da questo sepolcro occorre l'intervento onnipotente della grazia, occorre che la voce di Cristo risuoni nelle profondit dell'anima. Si tratta di una conversione radicale; un miracolo pi grande che resuscitare un morto. Ripetiamo, un adulto tanto pi maturo quanto pi viva la sua coscienza, quanto pi essa tiene efficacemente la sua posizione di centro decisionale della persona.

195 - Coscienza integra.


Alla coscienza viva, che precede e accompagna l'agire maturo, segue la coscienza integra che ha il compito di giudicare le azioni compiute, un giudizio che approva o disapprova, con sincerit e senza cedimenti, le intenzioni e le opere. E' il pi comune e pi antico significato di coscienza; viene talvolta confuso col rimorso, che invece legato al senso di colpa. Una coscienza integra la si vede nell'ora dell'esame di coscienza. Al momento dell'esame, infatti, una coscienza integra non si lascia intimidire, ricattare o zittire n dall'orgoglio, n dall'interesse, n dalla vergogna. Una coscienza integra non scende a compromessi, a sconti, a ipocrisie; ma anche non si lascia turbare da inutili rimorsi che non risanano la coscienza ferita, da scrupoli irragionevoli che vedono il male dove non c', o da complessi di colpa che hanno come causa disturbi della sensibilit. Una coscienza integra inesorabile nel giudizio e nello stesso tempo indica la strada della guarigione e conduce alla conversione. La minaccia pi grave all'integrit della coscienza la disobbedienza abituale e consapevole alle esigenze del bene, i peccati non detestati, il pentimento non sincero e non seriamente vissuto. Una coscienza integra, se lacerata dal peccato, duole, fa male, ed questo il segno sicuro che essa ancora sana. Anche dal suo esame di coscienza si pu misurare la maturit di un adulto. E' l, infatti, che emerge una coscienza sana, forte, delicata, sincera. E' 180

l, anche, dove si intravvede la profondit di vita di una persona adulta: la profondit delle sue motivazioni. Si arriva cos alla vera maturit di una coscienza cristiana: la coscienza che prende per criterio di giudizio e di comportamento non pi semplicemente una legge o una gerarchia di valori ma l'Amore, le attese di Dio e le esigenze della santit. Una coscienza innamorata il distintivo dei santi.

196 - Maturit e libert.


Il riferimento all'amore ci suggerisce un terzo sintomo della maturit dell'adulto, sintomo che possiamo ricondurre alla libert, meglio alla capacit di essere libero. Questa capacit costituisce l'aspirazione pi profonda dell'essere umano perch la libert sembra contenere tutti i valori fondamentali dell'uomo. La sua estensione ampia come la vita, come l'amore, come la felicit. Sappiamo tuttavia quali significati diversi, anche contrastanti, questa parola assume nel linguaggio corrente: perfino nelle varie et della vita essa percepita con significat i diversi. Come allora percepisce la libert una persona adulta che abbia raggiunto la sua maturit? Possiamo dire che la capacit di essere libero, in un adulto, coincide con la capacit di occupare pienamente tutta la propria vita, cio accettare interamente la propria vicenda umana e di muoversi in essa con autonomia. L'autonomia di un adulto suppone innanzitutto il possesso sereno di s stesso. La battaglia pi difficile e faticosa quella che ciascuno di noi combatte dentro di s per la conquista del proprio io. Conquistare s stessi impossessarsi delle proprie facolt collocando ognuna di esse al proprio posto, educandole ad accettare e a gestire ciascuna il proprio ruolo; uscire dalla confusione interiore, dal caos delle passioni, stabilire dentro di noi la tranquillitas ordinis: la chiarezza del conoscere e la consapevolezza dell'agire. Cos, per usare un esempio, una persona matura non una persona che non si arrabbia mai, che non alza mai la voce, bens una persona che non si arrabbia fuori tempo, per cose di poco conto, per motivi banali o semplicemente per impulsivit o intemperanza di carattere. Un adulto che possiede s stesso e sa stare con padronanza nelle situazioni, sa arrabbiarsi a ragion veduta, consapevolmente e volutamente, l, dove e quando necessario od opportuno arrabbiarsi. Non si lascia governare n dal cattivo carattere n dalla paura. Questo significa autonomia interiore, questo il dominio di s. L'autonomia interiore, dunque, non significa rifiuto di ogni legame, indipendenza da ogni principio, incapacit di rapporti positivi e costruttivi con gli altri; invece consapevolezza della propria libert, consapevolezza che porta a due conseguenze: a rispettare la libert degli altri e a saper rispondere delle proprie azioni. Il rispetto della libert altrui una spia molto importante per misurare la maturit di un adulto; la consapevolezza della propria libert unita al rispetto della libert altrui un presupposto indispensabile per stabilire rapporti interpersonali maturi, positivi e validi con le persone dell'ambiente di lavoro, dell'ambiente sociale, non escluso, anzi a cominciare proprio dall'ambiente familiare. Rispettare la libert degli altri non significa soltanto rispettare i loro diritti, i loro valori e la loro dignit, ma significa anche capacit di dialogo e di collaborazione, accettazione dei limiti e degli errori senza emarginare o squalificare nessuno, attenzione e ascolto delle ragioni degli altri e magari dei loro bisogni e delle loro necessit, significa saper mantenere la fiducia pur smascherando gli inganni e le inadempienze, significa infine, capacit di comprendere e di valutare con serenit di giudizio l'operato altrui astenendosi da ogni animosit o intolleranza. Si diceva dell'ambiente familiare: infatti nel suo modo di stare nell'ambiente familiare, nella capacit di gestire in modo responsabile e positivo i rapporti con le 181

persone della propria famiglia, dove soprattutto si manifesta la maturit di un adulto. All'interno della famiglia ognuno chiamato a ricoprire un ruolo legato ad un compito, ad una responsabilit - padre, madre, coniuge, figlio - compito e responsabilit in cui ha peso soprattutto la maturit dell'adulto. Cos non basta che un uomo adulto rispetti la libert della moglie, la libert dei figli, occorre anche che sappia promuovere la libert della moglie ed educare alla libert i figli. Altrettanto pu dirsi per l'educazione alla fede, l'educazione all'amore e alla sessualit, per la promozione del dialogo coniugale, per una presenza rispettosa e insieme promozionale nella vocazione dei figli. Dalla maturit con cui l'adulto sa gestire queste responsabilit dipende l'immagine che egli sa dare al proprio ruolo di fronte a tutta la famiglia. Lo stesso dicasi per l'ambiente di lavoro e per tutti gli ambient i della vita sociale. Rispettare la libert degli altri non dunque un fatto meramente negativo ma, nascendo da una conquista - che laboriosa e difficile - di s stessi, spinge a intrattenere con gli altri un atteggiamento di servizio promozionale e, per un cristiano, di servizio apostolico. L'altra conseguenza che deriva dalla capacit di essere liberi, come conquista della propria libert interiore, la responsabilit delle proprie azioni. La responsabilit riguarda innanzitutto la volontariet e la consapevolezza. Saper agire con responsabilit significa agire al netto della nostra libert, e quindi fare una cosa perch vogliamo farla. Troppo spesso facciamo le cose senza volerlo: obbediamo a stati d'animo, a condizionamenti esteriori dovuti a circostanze ambientali, a correnti di opinione, alla propaganda e alla pubblicit con i loro modelli di vita...; inoltre siamo spesso condotti dalla routine, dall'inerzia dell'abitudine. Il vero agire umano, l'agire maturo, espressione di forza interiore, di vitalit dello spirito, di chiarezza di coscienza; mobilita le energie dell'anima con la forza della convinzione e della decisione. Non si tratta di volontarismo presuntuoso, espressione di autosufficienza mondana, ma semmai di forza obbedienziale, cio capacit di rispondere ad una chiamata (responsabilit), obbedienza libera - perch lo voglio - alla volont di Dio, che si manifesta nel piccolo o grande dovere di ogni momento, nei valori che da lui promanano, nella sua legge provvidenziale come nelle circostanze ordinarie della vita. Non c' espressione di libert pi vera e pi nobile dell'obbedienza a Dio; anzi la vera obbedienza non quella del bambino o dell'adolescente ma quella dell'uomo maturo, perch occorre una volont forte e libera per saper obbedire con responsabilit. "Volont - Energia - Esempio.- Ci che si deve fare si fa... senza tentennare... senza riguardi". 272 Guadagnare spazio alla libert interiore guadagnare spazio alla maturit. Pi l'uomo adulto libero - di libert interiore - e meno sente il bisogno di libert (libert esteriore). I veri condizionamenti sono quelli interiori, quelli di una coscienza immatura e di uno spirito infermo.

197 - Ladulto ha nome e cognome.


Altro aspetto nel quale l'adulto esprime la propria responsabilit nell'agire il rifiuto dell'anonimato. L'anonimato ha due facce: quella di non firmare le proprie azioni attribuendone la responsabilit all'ambiente, alla societ, alle circostanze, e quella di firmarle con un nome falso, un nome per che ha due cognomi: inganno e ipocrisia. L'uomo maturo nel suo agire e nel suo parlare non usa mai n l'impersonale n lo pseudonimo; e nemmeno usa il doppio nome secondo le circostanze. Non alludiamo qui all'espediente dello pseudonimo letterario o al nome d'arte; ci
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riferiamo a quel tipo di vigliaccheria che consiste nel voler uscire sempre e comunque indenni dalle responsabilit del proprio comportamento, qualunque esso sia. Non c' dubbio che la categoria pi esposta a questo tipo di irresponsabilit quella degli operatori nelle pubbliche relazioni e nei mezzi della comunicazione sociale: giornali, televisione, ambienti dello spettacolo e della cultura. Enorme il bene che questi operatori possono fare e molti lo fanno, ma anche sono molti coloro che cedono alla tentazione della vigliaccheria: tirano il sasso e nascondono la mano, danno veri e propri giudizi di condanna e si coprono con l'anonimato del "si dice... corre voce... sembra che...", fanno rientrare nel "diritto all'informazione" indegne aggressioni all'intimit altrui, distruggono la buona fama e l'onore delle persone con l'espediente del sospetto, del dubbio, dell'indagine arbitraria o camuffata per offrire ipocritamente elementi di giudizio a lettori e telespettatori. Ma tutti possiamo avere complicit con la vigliaccheria dell'anonimato; ognuno di noi ha qualche momento di immaturit o si trascina dietro qualche residuo di timidezza infantile che lo porta a nascondersi, a sparire nel gruppo, a far credere che le cose sono avvenute fatalmente, per colpa di tutti. L'uomo maturo ha il coraggio delle proprie azioni, non agisce nell'oscurit, o dietro le quinte, non fa il mandante di nessuno, non approfitta dell'omert delle strutture sociali o politiche; tanto pi maturo quanto pi ampio spazio del suo agire egli sa coprire con la sua responsabilit. Questo rifiuto dell'anonimato si collega con un terzo aspetto della responsabilit: l'accettazione leale delle conseguenze delle proprie azioni, anzi di pi: l'accettazione virile e paziente di tutto ci che, volutamente o no, pu essere accaduto nella vita. Il bene e il male commessi non sono mai senza conseguenze. Ogni avvenimento incide sulla vita e sulla storia degli altri e nostra. Le nostre azioni possono essere frutto di scelte e di decisioni ponderate, sagge e prudenti ma anche possono derivare in certi momenti da impulsivit, leggerezza, imprudenza, se non anche da volont non buona. Le conseguenze possono essere pi o meno gravi, a volte sono drammatiche; in ogni caso lealt vuole che ci facciamo carico di tali conseguenze, che ce ne assumiamo la responsabilit e anche l'onere con l'impegno della riparazione. L'adulto non pu considerarsi un minorenne che fa ricadere sui genitori o su altri, o sulla societ, le conseguenze delle proprie azioni. La vera maturit non si limita ad una rassegnata sopportazione delle conseguenze, quasi fossero un'ingiustizia, ma riconoscendole come proprie, cerca una sincera riparazione secondo giustizia. Il cristiano, poi, sa che la vera riparazione suppone un reale pentimento del male commesso e del male arrecato, un pentimento di coscienza, davanti a Dio, e non soltanto davanti alla legge umana come il pentimento di chi si arrende alle strette della giustizia e collabora con essa in vista di vantaggi personali. Il pentitismo mondano non ha i caratteri della vera responsabilit. L'accettazione responsabile delle conseguenze del nostro agire diventa nobile comportamento quando si tratta di conseguenze dovute non a colpe ma ad errori involontari, nostri o degli altri. Nella vita tutti siamo soggetti ad errori che possono portare anche a conseguenze irreparabili fino a condizionare negativamente tutta la nostra vita. L'accettazione diventa allora espressione di quei "valori di comportamento" - fortezza, ottimismo, coraggio, serenit...- che conferiscono nobilt umana e, nel cristiano, valore soprannaturale a una esistenza penosamente condizionata e apparentemente inutile. Non dimentichiamo che proprio le conseguenze negative del peccato - la sofferenza, il dolore, la morte - sono servite al Signore Ges per riparare il peccato e redimere l'umanit.

198 - Maturit e prudenza.


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Si potrebbero concludere le riflessioni sull'et adulta ricordando la virt che pi di tutte caratterizza l'uomo maturo: la prudenza. "Auriga virtutum", - la chiama San Tommaso, - guida di tutte le virt; infatti le coordina e le armonizza. E' quindi collegata con la sapienza, che virt dell'intelletto speculativo. Non a caso per indicare la maturit dell'uomo adulto si dice di lui che "saggio e prudente". Purtroppo, la prudenza non una virt demagogica e perci non se ne parla mai; mentre si parla molto di giustizia, si parla di fortezza, magari come forza rivendicativa o contrattuale e si parla anche di temperanza come moderazione nei comportamenti civici o sportivi; invece taciuta quasi completamente la prudenza. Eppure la prudenza che orienta l'agire dell'uomo maturo secondo giustizia, nella fortezza e nella temperanza. La prudenza infatti porta la persona matura ad agire con rettitudine, con coerenza e con responsabilit nel compimento dei propri doveri, senza tentennamenti, senza ipocrisie o compromessi, con forte impegno per essere presente in modo positivo nella vita degli altri e nella vita della societ, sempre disposto a pagare di persona le proprie scelte e le proprie decisioni. La prudenza unita alla saggezza fa dell'et matura la stagione pi feconda e produttiva di tutta la vita umana. Perci l'esperienza creaturale vissuta, nell'et adulta, soprattutto come paternit. La paternit un attributo fondamentale di Dio. E' anche un nome personale che designa la prima Persona della Santissima Trinit; ma frequente in tutto il nuovo Testamento il richiamo alla paternit divina come atteggiamento di Dio verso le sue creature, delle quali Egli si prende cura con amorevole e paterna provvidenza. San Matteo, nel Discorso della montagna, e San Luca nel capitolo XII del suo Vangelo, riportano la descrizione che Ges fa della paternit di Dio; una descrizione commovente di quanto e come Dio vegli sulle sue creature, dai fiori del campo agli uccelli del cielo, e soprattutto sull'uomo, sua immagine e somiglianza, da lui tanto amato e custodito che perfino i capelli del suo capo sono contati. Ora, la paternit di Dio fonte e principio di ogni paternit e perci il cristiano nella sua esperienza di uomo adulto e maturo pu non solo capire la bellezza e la fecondit della paternit di Dio, ma in certo qual modo parteciparvi con sempre maggiore consapevolezza attraverso quella maturit umana e spirituale che lo fa sentire strumento e collaboratore della paternit di Dio nel servizio alla vita, quella fisica o quella spirituale. A questa maturit cristiana esortava S. Paolo: " Io piego le ginocchia davanti al Padre, dal quale ogni paternit nei cieli e sulla terra prende nome, perch vi conceda,... di essere potentemente rafforzati dal suo Spirito nell'uomo interiore. Che Cristo abiti per la fede nei vostri cuori e cos, radicati e fondati nella carit, siate in grado di comprendere con tutti i santi, quale sia l'ampiezza, la lunghezza, l'altezza, e la profondit, e conoscere l'amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perch siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio". 273

273

Ef. 3,14-19

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La vecchiaia

199 - Il carico del tempo.


Tra le parole che provocano fastidio, irritazione, timore, perfino umiliazione e sofferenza, una delle pi temute certamente la parola vecchiaia. Tant' che essa finita nel vocabolario degli insulti, mentre nel vocabolario del linguaggio ufficiale, burocratico, e ormai anche nel linguaggio popolare stata sostituita da eufemismi come: la terza et, l'anzianit, l'et della pensione, ecc. Tutte le stagioni della vita hanno una loro componente di crisi e non c' dubbio che la vecchiaia sia un'et critica, come, e per certi aspetti, anche pi delle altre. E' frequente imbattersi in persone, non pi giovani anagraficamente ma ancora valide, che entrano in crisi, anche depressiva, quando vanno in pensione: non sanno pi cosa fare, come occupare il tempo, e vengono prese da un senso di angoscia come se, uscite dal lavoro, fossero uscite dalla societ. Sono infatti questi i due aspetti critici della "vecchiaia": la perdita di significato che sembra avere la condizione di anziano, e il pericolo dell'emarginazione. L'uno e l'altro concorrono a generare nell'anziano la triste sensazione della solitudine, aggravata a poco a poco dall'apparire degli acciacchi fisici, dal calo di vitalit, e dalle complicazioni psicologiche che ne derivano. Tutto questo chiamato "il peso" degli anni o il carico del tempo. In realt gli anni non sono un peso ma una ricchezza e il tempo ha un suo carico di esperienza per il bene ed il male che abbiamo compiuto. Un bene ed un male che ci appartiene anche nelle sue conseguenze perch tutto pu avere un valore. "L'anzianit un coronamento delle tappe della vita. Essa porta il raccolto di ci che si appreso e vissuto, il raccolto di quanto si operato e raggiunto, il raccolto di quanto si sofferto e sopportato".274 E' un carico, quello del tempo, che fa parte della nostra vita e perci della nostra persona. Abbiamo ricordato tante volte che viviamo nel tempo e che il tempo misura la nostra vita ma non misura la nostra persona; al contrario, la nostra persona, con i suoi valori e le sue virt, che misura il tempo e d contenuto alla vita; tutto ci che appartiene alla nostra persona nostro, ed un atto di lealt verso noi stessi e verso la vita assumere ci che nostro col suo carico di bene e di male. Se non accettiamo responsabilmente ci che appartiene alla nostra vita non possiamo offrirlo a Dio, accompagnandolo con l'umilt della contrizione per il male commesso e con la gioia della gratitudine per il bene ricevuto. L'alternativa vivere in contrasto con noi stessi e con la nostra vita; contrasto che sta alla radice di tante tristezze, di tante inquietudini, di tante insoddisfazioni.

200 - Sguardo di eternit.


La vecchiaia non un problema di anni. Certamente essa anche accompagnata dal degrado fisico di tutto l'organismo che va condizionando progressivamente la vita psichica e intellettuale: scomparsa di migliaia di neuroni ogni giorno, disidratazione delle proteine cellulari, inquinamento progressivo dei
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Giovanni Paolo II, Monaco, nov. 1980

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liquidi circolanti, indurimento dei tessuti, e altri fenomeni di recessione organica ben noti alla scienza e che costituiscono l'esperienza faticosa di quanto sia "mortale" il nostro corpo. La vecchiaia appare allora come una lotta per fermare la morte. Una lotta impari, disperata, perduta in partenza, nonostante le imprese titaniche compiute dalla scienza. Lo sanno chiaramente i geriatri che rimangono impassibili, senza entusiasmo di fronte ai risultati di una scienza medica che riuscita a spostare notevolmente la data della terza et e a prolungarne considerevolmente la durata. Ora, il momento in cui ci si rende conto e si sperimenta quanto sia "mortale" la nostra condizione umana, il momento della crisi. Il pericolo, allora, quello di ripiegarsi sul proprio fisico, sul proprio disfacimento vitale, sui propri "acciacchi", restandone prigionieri come tristi inquilini di s stessi. C' invece una frase di San Paolo che pu aiutarci ad essere sempre abitatori della vita, anche quando essa sembra inesorabilmente regredire: "Perci, non ci scoraggiamo, ma se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno". 275 Il problema sta dunque nella nostra vita interiore; l che troviamo il segreto per "vivere" la vecchiaia in positivo. Se ci fermiamo al fisico veniamo travolti dal corpo in declino e la vecchiaia ci apparir come una situazione senza futuro, un'attesa senza avvenire. "Ma noi - continua San Paolo - non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili. Le cose visibili sono di un momento, quelle invisibili sono eterne". 276 Solo uno sguardo di eternit pu rompere il muro del tempo. Abbiamo visto che l'eternit la profondit del tempo. L'anziano non deve guardare avant i perch non ha un futuro e rischia la beffa crudele di una illusione alla quale lui stesso non crede. Deve invece guardare in profondit, deve entrare nel suo presente e penetrarvi nella sua dimensione pi profonda: gli sveler orizzonti impensabili con prospettive che il tempo non conosce - "le cose invisibili sono eterne" - ; l'eternit la profondit del presente. I giovani corrono e gli adulti si impegnano, tutti vivono le cose del tempo; l'anziano deve fermarsi, lasciare che il tempo vada; egli pu guardare cos gli uomini e la vita dall'alto di una sapienza che non appartiene pi al tempo, perch non dell'uomo "esteriore" ma appartiene all'uomo interiore. In un certo senso l'anziano deve riscoprire la vita; non nel suo scorrere, nel suo divenire, ma nel suo essere, nella sua profondit.

201 - Nessuno deve dire: basta!


Dire che l'anziano deve fermarsi e lasciar andare il tempo non significa inerzia, passivit, ripiegamento sulla propria condizione per rimpiangere un passato che ha l'aspetto di un sepolcro sul quale deporre i fiori della propria nostalgia; ma significa far vivere l'uomo interiore che deve "rinnovarsi di giorno in giorno". L'anziano non deve mai lasciare inoperosi n il corpo n la mente; cambieranno il ritmo e l'intensit del suo operare e cambieranno anche le prospettive che si propone, ma non pu considerare esauriti i suoi talenti. Curare l'attivit fisica, anche col lavoro manuale, coltivare interessi intellettuali - circoli per anziani, universit per la terza et, viaggi e visite culturali... - le stesse occupazioni casalinghe o familiari, le prestazioni di volontariato, amicizie e servizi reciproci, e varie altre espressioni di operosit sono un valido aiuto non solo per mantenere una vitalit efficiente e longeva, ma anche per superare la tentazione di vivere in modo negativo l'ultima et della vita. Un anziano inoperoso, che non ha saputo crearsi interessi o che non sa cogliere il significato della sua et pu facilmente diventare preda del vittimismo
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2 Cor. 4,16 Idem

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egocentrico. L'anziano si chiude allora in s stesso e, considerando chiusa la sua vita, tentato di aggrapparsi a tutto diventando insaziabile di tutto: di attenzioni, di affetto, di compagnia. Invece la soluzione del problema, nella vecchiaia come del resto in tutte le et della vita, sta nel farsi dono, nell'aprirsi agli altri. "Nessuno ha diritto di dire basta - diceva Giovanni Paolo II a gruppi della terza et - Voi non dovete fermarvi, n considerarvi esseri in declino. Davanti agli occhi di Dio questo periodo della vostra esistenza ha un significato di grazia... per questo necessario innanzitutto che l'anziano prenda coscienza delle possibilit che ha a sua disposizione, perch, anche nell'et pi avanzata, il suo animo continui ad affinarsi". E il Papa indicava due mezzi di elevazione che il Signore mette a disposizione degli anziani: la preghiera e il sacrificio. E concludeva: "Per la particolare condizione di et in cui vi trovate, a voi non mancano n le occasioni di soffrire n il tempo di pregare". 277 Nella societ industrializzata dei nostri tempi, cos efficiente e produttiva, questi due mezzi non vengono minimamente presi in considerazione e anzi vengono guardati con sospetto come un pericoloso deterrente all'impegno. Ma c' il pericolo che anche l'anziano cada in questo inganno, e vedendosi escluso da una societ giovanilista e impaziente, finisca anche lui per considerarsi emarginato, un escluso dal grande gioco della vita, o comunque eliminato dalla societ. In questo caso la preghiera e il sacrificio avrebbero anche per lui il significato di un surrogato, di un compenso consolatorio alla sua inutilit.

202 - La solitudine.
Questo senso di frustrazione unito al problema della solitudine pu diventare il vero "peso" della vecchiaia, e in effetti il pi temuto dagli anziani. E tuttavia la solitudine non il problema esclusivo della vecchiaia. Assistiamo a uno dei paradossi del nostro tempo: in una societ dove i mezzi di comunicazione e di trasporto hanno reso estremamente facili e immediati i rapporti tra le persone, e le stesse strutture sociali costringono a vivere gli uni accanto agli altri, intorno alla stessa attivit e alle stesse mansioni, troviamo che gli uomini sono paradossalmente estranei e lontani fra loro, cos da incontrarsi senza conoscersi, parlarsi senza dialogare, camminare sulla stessa strada e ignorarsi. Le strade delle metropoli rigurgitano di folle, ma sono fiumi di atomi che solo si urtano tra loro, piccoli mondi chiusi che nulla hanno in comune. Psicologi e sociologi hanno studiato il problema e ne hanno dibattuto cause e spiegazioni, ma per noi cristiani il problema non esiste o non dovrebbe esistere. Primo, perch il cristiano conosce e accetta la "solitudine", anzi la cerca. La solitudine una dimensione dell'essere umano e della sua esistenza, perch l'uomo qualcosa di unico e irrepetibile e ha in s stesso una parte cos intima e cos sua da essere impartecipabile, un "fondo" dove nessuno pu raggiungerlo e dove si trova solo con s stesso e con Dio. In secondo luogo, il cristiano ha imparato a vivere col cuore libero, distaccato da tutto, e nello stesso tempo disponibile a tutto e a tutti; capace di accogliere tutti e a tutti donarsi; perci tutto gli fa compagnia e a tutti offre compagnia. Il problema sta allora proprio qui, nella capacit dell'animo umano di raccogliersi nell'intimo di s stesso e di sapervi incontrare Dio. Abitare questa "solitudine" e condurvi un dialogo fiducioso e familiare con Dio l'unico modo per sconfiggere ogni altra solitudine e insieme lunico modo per imparare a dialogare con tutti e con ogni altro uomo. Purtroppo, pu capitarci di arrivare all'ultima et della vita impreparati: con
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Giovanni Paolo II, Udienza 23.3.84

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una vita interiore minima, o una fede troppo povera e stentata, con un senso soprannaturale delle cose insufficiente...; per tanti anni siamo stati assorbiti quasi totalmente dalle occupazioni materiali, dalle necessit della vita terrena, lasciando poco spazio alla vita spirituale, con una preghiera intermittente, con uno sforzo ascetico molto scarso, e perci viene a mancarci quella familiarit con Dio che ce lo fa sentire presente e assiduo dentro di noi, quel rapporto abituale con lui che facilita il dialogo fiducioso e consolante. Sono cose che non si improvvisano; richiedono, infatti, lungo esercizio e lunga preghiera. Tuttavia, la caduta di tante apparenze e di tante realt esteriori, pu facilitare all'anziano un rapido ricupero del rapporto con Dio e del dialogo interiore con Lui, con l'aiuto della grazia che il Signore d sempre quando la nostra anima ritrova le vie dell'umilt e dell'abbandono fiducioso.

203 - Il Dio inutile.


A questo punto l'esperienza creaturale pu condurre l'anziano a due esperienze importanti: alla percezione viva della finitezza delle cose, in particolare della condizione umana, e in secondo luogo, alla scoperta del Dio "inutile". La finitezza delle cose ci fa cogliere in maniera pi evidente il nostro legame con Dio creatore in quanto la precariet dell'esistenza che sperimentiamo nella mortalit della carne, nel declino del nostro corpo, ci fa capire che non pu risiedere in noi la consistenza del nostro essere, ma in un Altro; le nostre radici sono altrove, non in questo mondo dove tutto si deteriora, tutto si sgretola, tutto si presenta con il carattere della provvisoriet. Vengono alla mente tante espressioni della Scrittura che proclamano Dio "roccia" per la nostra stabilit, sicurezza della nostra esistenza. "In manibus tuis tempora mea" - nelle tue mani tutta la mia vita. "Vengono meno la mia carne e il mio cuore; ma la roccia del mio cuore Dio, Dio la mia sorte per sempre". 278 E si capisce anche, con indiscussa evidenza, quanto ingannano le cose della terra quando hanno la pretesa di apparirci come il fine della nostra vita. In secondo luogo l'esperienza creaturale dell'anziano pu portare alla scoperta del "Dio inutile"; cio, del Dio che non "serve" per la crescita economica della societ e nemmeno per il nostro benessere personale. Tutte cose per le quali servono, invece, le banche, le holding, le multinazionali, le grandi organizzazioni commerciali o, a livello casalingo, il libretto della pensione; insomma tutto ci che la tecnica, la politica, la grande finanza e le strutture sociali sanno mettere a disposizione in una societ politicamente avanzata. Nel mondo utilitaristico in cui viviamo - il nostro mondo occidentale soprattutto - che d importanza solo a ci da cui pu ricavare qualche vantaggio, che cerca solo ci che pu servire a qualche guadagno o a qualche piacere, scoprire l'importanza assoluta di un Dio che non serve per il guadagno o per il successo mondano ma per dare senso alla fatica, al dolore, alla gioia, per dare a ci che si amato nella vita una consistenza che vada oltre la precariet e la caducit terrena, scoprire questo scoprire il senso e il valore della propria vecchiaia, di questa et cos "inutile" e cos caduca. Solo questo pu far capire quanto sono utili al mondo e agli uomini cose cos "inutili" come la preghiera e il sacrificio. Si dice che i vecchi sono come i bambini. Possiamo anche prendere per buona questa analogia e pu essere anche saggezza da parte dell'anziano accettarla. E' vero: anche i bambini sono improduttivi; ma cosa sarebbe il mondo senza bambini? Ce lo chiediamo non soltanto perch i bambini sono l'avvenire del mondo e senza di loro la societ non avrebbe futuro, ma ce lo chiediamo anche nel senso elementare,
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Salmo n. 72,26

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pensando ai bambini come tali, per i valori che hanno in s stessi: l'innocenza, la semplicit, la gioia, la fiducia, "la vita". Sono valori che non hanno rilevanza economica, eppure quanto sarebbe povero il mondo senza di essi! Analogamente anche l'anziano pu essere improduttivo - in realt molti non lo sono affatto, costituiscono invece una importante forza economica, - ma cosa sarebbe il mondo - l'umanit - senza gli anziani, e proprio in quanto anziani, per i valori che essi portano? Non esisterebbe continuit tra le generazioni, continuit "storica", perch gli anziani sono depositari delle tradizioni e della storia di un popolo. Sono anche saggezza, esperienza, stabilit, "lungimiranza". Quando un giovane parla, il vecchio capisce molto di pi di quanto il giovane dice; l'esperienza, la saggezza, la conoscenza del cuore umano, sono per il vecchio come facolt in pi che amplificano la sua capacit di comprensione e di intuizione.

204 - La gioia del restauro.


Ora, noi dobbiamo imparare a vivere tutte le et della nostra vita in maniera positiva e gioiosa. Naturalmente la gioia che troviamo nell'adolescente e nell'et giovanile sar ben diversa dalla gioia dell'anziano; nel giovane la gioia "fisica", legata alla vitalit, al prorompere delle forze istintive, ed una gioia pi o meno incosciente, che ha poco spessore e perci anche fragile; la gioia dell'anziano, quando vera gioia e non semplice contentezza, "virtuosa", nasce da un atteggiamento interiore di saggezza, dalla consapevolezza dei valori umani e cristiani della vita. Questo fa si che la gioia dell'anziano sia una gioia pi pacata, pi profonda; poter riscoprire la vita spogliata dei suoi inganni, delle sue promesse mancate, di tutte le sue vane illusioni come riappropriarsi di una ricchezza nascosta, che si possedeva senza saperlo; in altre parole, ricuperare s stessi, i valori che fanno autentica la nostra vita. E' ritrovare la propria immagine in mezzo a tanti falsi ritratti di noi stessi che avevamo immaginato o che altri ci avevano dipinto, la gioia di veder emergere il senso vero della nostra esistenza. E' vero, gli anni ci tolgono energie fisiche ma ci danno la sapienza del cuore, affievoliscono gli occhi del corpo, ma affinano gli occhi dell'anima; ci offrono quella che possiamo chiamare la "gioia del restauro". Chiamiamo cos la possibilit di riparare gli errori della nostra vita. Riparare il male commesso uno dei gesti pi nobili e degni di rispetto: possiamo riparare accettando innanzitutto con lealt e umilt le conseguenze spiacevoli o dannose causate dai nostri comportamenti; possiamo poi riparare rettificando nel nostro cuore tutto ci che di sbagliato c' stato nelle nostre scelte e nelle nostre convinzioni, possiamo infine riparare, l dove giustizia esige, il danno materiale e morale arrecato con le nostre azioni. "Se sono stati testimoni delle tue debolezze e delle tue miserie, che importa che lo siano della tua penitenza?". 279 Proprio con la penitenza, che spesso legata all'accettazione paziente del peso degli anni, possiamo compiere l'opera di "restauro" della nostra anima e della nostra vita. E' uno dei doni che la Chiesa nella sua liturgia chiede al Signore: "spatium verae poenitentiae, emendationem vitae...", tempo per una vera penitenza, per il restauro della nostra vita. La consapevolezza di aver rettificato i nostri errori, i nostri sbagli - anche col sigillo di una buona confessione generale di tutta la vita - e di aver riparato il male commesso fonte di pace e di gioia, del "gaudium cum pace". Non deve accadere che nella vecchiaia spendiamo tempo e denaro per restaurare il nostro fisico e lasciamo degradare la nostra anima. Man mano che l'uomo "esteriore" viene meno deve emergere l'uomo "interiore". Dobbiamo
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Cammino, n. 193

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perci saper invecchiare cristianamente perch il mondo ha bisogno degli anziani. Ha bisogno della loro saggezza, della loro preghiera, della loro gioia, del loro esempio di generosit, di distacco, di penitenza; esempio di fede, di amore alla vita come dono di Dio e di speranza e di fiducia nell'uomo. I vecchi sono come i bambini; ma i bambini quando vedono un vecchio come se vedessero un grosso librone pieno di cose: di favole, di racconti, di vicende misteriose e lontane ma tutte affascinanti, e li accomuna il senso della propria piccolezza di fronte alla vita. Forse per questo vecchi e bambini si comprendono tra loro istintivamente. Ma l'infanzia del vecchio ha qualcosa di pi: l'infanzia impregnata della saggezza dello spirito, l'infanzia di chi si sente creatura nelle mani di Colui che l'eterna giovinezza e che custodisce quella delle sue creature.

La morte
205 - La frontiera del tempo.
Il tempo dell'uomo ha una sua frontiera: la morte. Istintivamente gli uomini avrebbero voluto cancellare questa parola dal loro vocabolario, ma non ci hanno mai nemmeno pensato, tanto ineluttabile la realt che essa ci ricorda. Realt inevitabile - ci passa sotto gli occhi ogni giorno - ma realt soprattutto drammatica e segnata dal mistero. Nella cultura occidentale dell'epoca moderna, la morte costituisce un vero problema carico di incompatibilit e senza giustificazioni. Perci lo vediamo apparire come tema urgente e obbligato negli scritti e nelle riflessioni di quasi tutti gli esponenti del pensiero moderno: laicisti e scettici di ogni corrente, e di riflesso credenti di ogni scuola. In realt non basta la descrizione della morte come puro fenomeno biologico, come conclusione di un ciclo vitale al quale non pu sfuggire nessun essere vivente. E' troppo forte nell'intimo dell'uomo la convinzione dell'immortalit; il "non omnis moriar" - non morir totalmente, cio non tutto di me morir - presente nella coscienza umana da sempre. Ne sono testimonianza le varie dottrine sulla sopravvivenza dell'uomo che troviamo in tante religioni, soprattutto orientali. Tale la dottrina della reincarnazione secondo la quale l'uomo rivive in successivi cicli biologici, o lungo la stessa linea di discendenza o anche in altre razze o specie diverse, in epoche diverse. Cos la teoria della metamorfosi, la teoria della metempsicosi (successive purificazioni dell'anima) e altre credenze animistiche come il totemismo, che incarna in oggetti-simbolo lo spirito degli antenati. Sono tutte dottrine prive di fondamento e contraddicono a principi fondamentali come l'unicit e la singolarit della persona umana e la irreversibilit della sua esistenza terrena; sono invece la prova di quanto sia profonda nell'animo umano la convinzione che la morte non la fine totale e assoluta dell'uomo. Infatti proprio il "dopo" che assilla l'uomo, e sul quale l'uomo s'interroga. E' un "dopo" che chiama inevitabilmente in causa il "prima" della morte, e l'uomo avverte l'insopprimibile bisogno di una risposta perch sa perfettamente che risolvere il problema della morte trovare il senso della vita. Finch ci muoviamo nel tempo, lungo le varie et della vita, il problema della morte ci tocca "da lontano", e rischia di essere considerato in astratto, ma quando la 190

morte ci passa accanto - la perdita di un amico, di una persona cara...- tutto il nostro passato: le azioni, i pensamenti, le cose che abbiamo compiuto, desiderato e amato, si assiepano attorno al nostro animo con i loro implacabili "perch" e vengono messe a nudo tutte le nostre convinzioni riguardo alla vita, al mondo, a noi stessi.

206 - Il bello deve ancora venire.


Cos, gli uomini del nostro tempo hanno assunto di fronte alla morte gli atteggiamenti pi diversi, ma tutti orientati ad esorcizzare un fatto che incombe come una condanna, senza appello e senza spiegazioni. Con la morte il discorso sulla vita potrebbe sembrare finito; in realt per quanto concerne la vita terrena cos, ma non cos per il cristiano. Per lui il discorso sulla vita dovrebbe cominciare proprio con la morte, perch "vita mutatur, non tollitur" - la vita non tolta ma trasformata. "Il bello deve ancora venire!" - diceva un anziano cardinale della Chiesa sul letto di morte. Il "bello" infatti viene dopo la morte. Per chi muore lontano da Dio, il "bello" avr un nome terribile, un nome che suona maledizione e condanna, avr nome: inferno; una tragedia senza fine, pura disperazione e odio assoluto, tenebre profonde come l'abisso dove abitano solo "il pianto e lo stridore di denti". L'inferno l'unica, vera tragedia dell'uomo; il fallimento totale della sua persona e della sua vita. Ma per chi si "addormenta in Cristo", per chi muore tra le braccia di Dio, tra le braccia della sua misericordia, il "bello" sar qualcosa di indescrivibile, non paragonabile ad alcuna bellezza, ad alcuna gioia, ad alcuna estasi di questo mondo; il bello sar il Volto di Dio, di Dio-Padre nella sua maest e onnipotenza, di Dio-Figlio nel fascino della sua umanit glorificata, di Dio-Spirito Santo nello splendore della sua luce inaccessibile, sar il volto dolcissimo di Maria, nostra madre e regina, saranno le schiere luminose degli Angeli e degli Arcangeli, gli sciami ardenti dei Cherubini e Serafini, tutto il firmamento della Chiesa con le costellazioni degli Apostoli, dei martiri, delle Vergini e di tutti i Santi; e Dio sar tutto in tutti, e con lui la pace, la gioia, la felicit finalmente senza ombre, senza stanchezze, senza timori; e la pienezza del bene sar l'Amore, solo Amore, per sempre Amore, e il cielo e la terra con tutto l'universo non avranno che una sola voce, un solo canto che proclamer eternamente: "Santo! Santo! Santo! il Dio degli eserciti; a Lui l'onore, la maest e la potenza". La sua gloria riempir ogni creatura. Per sempre! Che cosa succeder quando tutto questo riempir la nostra anima? "Che cosa sar il Cielo che ci attende, quando tutta la bellezza, tutta la grandezza, tutta la felicit e l'Amore infiniti di Dio si riverseranno nel povero vaso d'argilla che la creatura umana...?". 280 Ebbene, "un grande Amore ti aspetta in Cielo: senza tradimenti, senza inganni. Tutto l'Amore, tutta la bellezza, tutta la grandezza, tutta la scienza...! e senza stancare: ti sazier senza saziarti". 281

207 - Lessere-per-la-morte.
Per molti uomini di pensiero e di cultura la morte rappresenta la pi umiliante sconfitta dell'uomo, poich mette a nudo tutta la sua debolezza e la sua impotenza, e si rifugiano, come per una rivincita, nello stoicismo: "Bisogna comportarsi con impassibile rassegnazione al morire naturale di ogni vivente; bisogna morire decorosamente e solennemente". I positivisti e tutti i seguaci delle ideologie materialistiche, che non danno alcuna importanza all'uomo, non danno importanza
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Solco, n. 891 Forgia, n. 995

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nemmeno alla morte; ci che conta per loro l'"Umanit", il fiume della Storia, che sopravvive e continua oltre ogni individuo. Ma la maggior parte degli uomini di oggi che vivono immersi nei loro affari e nelle cose del mondo, al pensiero della morte avvertono un insuperabile disagio e cercano di nascondere il loro imbarazzo, spesso ridicolo, con frasi fatte, tipicamente qualunquiste, come: "Cos la vita!..." Altri evitano l'argomento come se, passandolo sotto silenzio, il problema non avesse bisogno di una risposta. In molte metropoli secolarizzate del nostro mondo occidentale non si incontrano pi cortei funebri e viene fatto accuratamente sparire ogni segno che richiami la morte; i cimiteri stessi sono trasformati in giardini o in parchi. La nostra societ violenta ci ha poi abituati alla morte; si uccide con tutta facilit senza il minimo scrupolo, con la freddezza e insieme con la superficialit di chi non fa nessun calcolo delle persone, siano innocenti o colpevoli, siano bambini o vecchi, sia per vendetta o per futili motivi, sempre con cinico disprezzo della morte e della vita, disprezzo dell'uomo. Avviene ogni giorno, sotto i nostri occhi, tutto documentato da immagini e descrizioni come se fosse un fatto di normale routine, che tutt'al pi coinvolge per un attimo i sentimenti sui quali torna subito il silenzio. L'imbarazzo diventa terrore e angoscia di fronte ad alcuni aspetti con cui si presenta la morte fisica. L'aspetto che ci trova pi rassegnati l'aspetto biologico perch, dopotutto, la morte biologica pu essere considerata un fatto interno alla vita stessa: la vita ha un suo ciclo e obbedisce alle sue leggi. Prima che gli esistenzialisti scoprissero "l'essere-per-la-morte", San Tommaso anticipava i biologi osservando come la vita sulla terra si fa, si prolunga e anche si genera tramite la morte. Ma l'aspetto della morte fisica che pi spaventa l'aspetto psicologico. C' un ciclo anche psicologico nella vita dell'uomo. Il bambino a poco a poco si sveglia intellettualmente alla conoscenza del mondo, l'adolescente prende progressivamente coscienza di s stesso, il giovane si apre ai progetti dell'amore e della professione, e tutti siamo in fuga sin dall'infanzia verso la maturit, verso la pienezza della nostra vita, della nostra persona con tutti i suoi progetti..., poi viene il crepuscolo. Il bambino muore per lasciare il posto all'adolescente, anche l'adolescente muore e lascia il posto al giovane e il giovane ha fretta di morire perch nasca l'uomo adulto, maturo, padrone di s e della vita. Ma l'uomo adulto non vuole morire e si rifiuta al ciclo psicologico. Infatti i bambini, gli adolescenti, e in parte anche i giovani, non hanno paura della morte; chi teme la morte l'adulto. L'uomo adulto teme il crepuscolo; viene infatti la notte psicologica: la mente si smarrisce nei concetti e nei ragionamenti, la memoria non afferra pi il tempo e sovrappone i ricordi, gli affetti stessi si riducono alla loro forma elementare, labile e incerta, infine l'orizzonte della coscienza va progressivamente restringendosi e perde i suoi contenuti: progetti che un giorno incantavano ora non dicono pi niente, idee che ci abbagliarono e che ora ci lasciano indifferenti, stimoli fortissimi all'azione che poi sono svigoriti, il ricordo stesso delle persone care si allontana e svanisce... Vengono alla mente le parole di Ges: "Viene la notte, quando nessuno pu pi operare". 282 E ai farisei, parlando della sua morte, aggiungeva: "Ancora per poco tempo la luce con voi. Camminate mentre avete la luce, perch non vi sorprendano le tenebre". 283 La morte psicologica, che ha la sua espressione pi tragica nel coma celebrale, sta diventando sempre pi diffusa; i progressi della medicina hanno prolungato la vita biologica, ma poco o nulla hanno ancora potuto sulla longevit psicologica. A questo crepuscolo della vita, succede poi la notte definitiva con la morte anagrafica e biografica: il nostro nome scompare dagli elenchi o rimane sepolto nei registri degli archivi, e tutte le nostre opere vengono dimenticate. Per pochissimi
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Gv. 9,4 Gv. 12,35

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persiste una sopravvivenza storica legata al genio: nell'arte, nella scienza, nella politica, ma della loro persona pi nulla. Diversa la sorte dei santi; la loro "sopravvivenza" non solamente storica perch il loro potere di intercessione li rende ancora vivi ed operanti nella vita della Chiesa e dell'umanit.

208 - Il Vincitore della morte.


Questi atteggiamenti degli uomini del mondo rivelano l'incapacit di andare oltre la concezione della morte come fatto fisico, cio l'incapacit di pensare il "dopo", di andare "oltre", di affrontare l'eternit, perch essa costringe a rivedere il nostro modo di pensare e di vivere la vita. In molti subentra anche la paura di dover lasciare quanto hanno accumulato e tutto ci che con tanti sacrifici si sono procurati per il loro benessere, e insieme si affaccia il timore per una inevitabile "resa dei conti". La morte diventa cos un tunnel nel quale si spegne ogni prospettiva e si chiude ogni altra alternativa. Ben diversa la prospettiva cristiana. A una visione puramente biologica della morte la Sacra Scrittura sovrappone una "teologia" della morte facendola entrare nei disegni di Dio; di un Dio, per, che il Dio-Vivente, il Dio che ama la vita, crea per la vita, e difende invincibilmente la vita. Egli aveva disposto perfino di risparmiarci la morte biologica con il dono dell'immortalit fisica. Ma noi col peccato abbiamo perduto tutto e la morte diventata cos lo "stipendio" del peccato. E tuttavia Ges ci avverte di non temere la morte fisica: "Non temete coloro che uccidono il corpo, ma non hanno il potere di uccidere l'anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l'anima e il corpo nella Geenna". 284 E' questa, appunto, la morte che dobbiamo veramente temere, quella che l'Apocalisse chiama la "morte seconda", quella definitiva ed eterna. E' la perdita della vita divina e della felicit eterna, per sempre. Nell'indicibile agonia del Getsemani, Cristo ha provato un'estrema ripugnanza non tanto per la morte fisica in s stessa, ma per quello che essa significava: la condanna di Dio per il peccato. Ora, nulla pi incompatibile, pi estraneo allessere di Cristo quanto il peccato. Perci la prospettiva di doversi caricare, Lui, lInnocenza assoluta, del peso di tutte le nefandezze umane, costituiva unumiliazione indicibilmente ripugnante, mortale. Possiamo dire che solo Cristo veramente morto. In noi la morte solo morte, stipendio del peccato e fa parte della nostra condizione. In Ges la morte vittoria sul peccato, e perci sconfitta della nostra morte. Fu lui che morendo ha distrutto la morte e risorgendo ha ridato a noi la vita. 285 E' Ges dunque la risposta al mistero della morte, lui che ce ne rivela il significato, lui che ne tiene le chiavi perch Signore della vita e della morte, e da condanna irreparabile l'ha trasformata in "porta verso la vita". Lui - il Risorto - e nessun altro pu fermare un corteo funebre e dire a una madre, davanti al figlio morto: "Non piangere!"; nessuno mai pu far togliere la pietra da un sepolcro e gridare a colui che gi conosceva i morsi della putrefazione: "Lazzaro, vieni fuori!"; solo colui che ha detto di essere "la risurrezione e la vita" pu fermarsi accanto alla salma di una fanciulla e dire: "La bambina non morta ma "dorme". 286 Il sonno nell'ascetica cristiana non gode di buona fama; fa pensare al sonno dell'anima che sinonimo di tiepidezza, d'imborghesimento, di accidia e di altre situazioni negative dello spirito. Contro questo sonno dell'anima Ges nelle sue parabole e San Paolo nelle sue lettere hanno forti e incisivi richiami: Vegliate! "...E'
284 285 286

Mt. 10,28 Liturgia dei defunti, Prefazio Mc. 5,39

193

ormai tempo di svegliarci dal sonno...". 287 Del resto il sonno come immagine della morte di origine pagana legata allo stoicismo, - appare infatti nella mitologia greca e negli antichi miti mediorientali - e nell'epoca moderna lo troviamo strumentalizzato in chiave laicista dal razionalismo, che ha ispirato molti monumenti funebri nei cimiteri monumentali. Tuttavia questa immagine del sonno trova riscontro anche nella Sacra Scrittura e Ges stesso la usa quando parla della morte di Lazzaro e di Talita. Per il cristiano infatti la morte un "sonno" in attesa del risveglio "nell'ultimo giorno", il giorno della risurrezione; anzi la morte diventata "un'amica", una "sorella", perch mette fine a un "esilio", ad un pellegrinaggio lontano dalla patria. Nella prospettiva cristiana la morte non un assoluto, non viene mai presentata da sola, sempre accompagnata dalla certezza della vita, dalla promessa della risurrezione; sempre inserita dentro un disegno tracciato da Dio, disegno del quale la morte rappresenta un momento di estrema densit e di definitiva importanza. E' il momento in cui si decide per sempre il destino dell'uomo.

209 - La morte mistica.


L'unica cosa necessaria per il cristiano, l'unica che abbia veramente importanza, che la sua morte sia un "addormentarsi in Cristo" 288 cio una partecipazione al mistero pasquale del Signore. La morte da temere con tutte le forze quella di terminare la vita terrena separati da Cristo, fuori dal mistero della sua Morte e Risurrezione, esclusi dalla salvezza. Il cristiano si addormenta in Cristo perch ha gi superato la morte essendo morto con lui nel battesimo: "Quanti siamo battezzati in Cristo Ges, siamo stati battezzati nella sua morte. Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme con lui nella morte". 289 E' la mortemistica che caratterizza la vita del cristiano. Nel Battesimo abbiamo lasciato "l'uomo vecchio" - stato sepolto l'uomo del peccato - e siamo rinati come creature nuove. Tutta la vita del cristiano, il suo scorrere nel tempo, diventa cos una misteriosa gestazione: la "creatura nuova", fatta a immagine di Cristo, concepita in noi per opera dello Spirito Santo, andr crescendo di et in et, nella misura in cui sapremo corrispondere alla grazia, fino alla sua maturazione, quando essa si dischiuder nella nascita al cielo. Dies natalis - giorno natalizio - chiamato dalla Chiesa il giorno della morte e su molti sepolcri i rest i mortali di un defunto vengono indicati col termine "exsuviae", le spoglie, una sorta di guscio dal quale si liberata la creatura battesimale. Questo significato "natalizio" non toglie alla morte il carattere di pena, di castigo per il peccato, e il suo contenuto di sofferenza e di dolore, spesso drammatico e ripugnante, ne la conferma. Come conseguenza del peccato, la morte l'ultimo nemico da abbattere, e Cristo lo abbatter definitivamente nella risurrezione finale, quando Egli estender la sua vittoria a tutti gli uomini che hanno avuto parte con lui alla passione e alla croce. Perci occorre comprendere il significato della morte di Cristo. Essa stata, come tutta la vita di Ges, un atto di obbedienza al Padre. Con la sua obbedienza Ges ha cancellato la disobbedienza del peccato, e la sua morte ha assunto un valore redentivo. Ci significa che la morte di Cristo non stata la fine della sua vita, ma stata il "sacrificio" della sua vita; Ges non ha subito la morte, egli ha "dato la vita". "Oblatus est quia ipse voluit" - si sacrificato liberamente, perch lo ha voluto. La sua morte fu un supremo atto d'amore e un supremo atto di adorazione;
287 288 289

Rom. 13,11 Liturgia dei defunti Rom. 6,3-4

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perci rappresenta il pi sublime atto di culto a Dio. Cos dovrebbe essere la morte di ogni cristiano: un atto di adorazione e di culto al Padre. Un "si" a Dio, l'ultimo, quello definitivo che conclude una vita di obbedienza e di fedelt. Il nostro atteggiamento di cristiani di fronte alla morte non pu essere la rassegnazione ma l'accettazione, umile e anche gioiosa. Umile, perch la trasformiamo in un atto di sacrificio e di espiazione in unione alla morte di Cristo: anche noi, in quel momento andiamo a consegnarci nelle mani di Dio, - "Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito" 290 - e gli offriamo con un gesto di abbandono filiale noi stessi, il nostro essere e la nostra vita. Accettazione, anche, gioiosa, perch essa segna il nostro incontro definitivo con Dio. L'incontro con la persona amata sempre fonte di gioia; e se ci assale il timore per il fatto che nella nostra vita non c' stato molto amore di Dio e molte volte ci siamo dimenticati di lui, ci soccorre il pensiero che andiamo incontro a Colui che ci ha amati sempre, che stato sempre fedele nonostante le nostre infedelt e che vuol essere un giudice misericordioso.

210 - Tempus breve est.


Ha perci decisiva importanza il poter santificare gli ultimi istanti della nostra vita. Per questo occorre innanzitutto seguire l'avvertimento del Signore: "Vegliate perch non sapete in quale giorno il Signore vostro verr". 291 Appunto perch non sappiamo se nel momento della nostra morte avremo la consapevolezza e la lucidit di coscienza, o anche semplicemente il tempo per affidarci a Dio e alla sua misericordia, vera saggezza soprannaturale fare subito l'atto di offerta di noi stessi e dire al Signore: "Fin d'ora accetto, o Signore, la morte che tu permetterai per me, quando, come e dove tu vorrai, e la offro a te con le sofferenze che l'accompagneranno in adorazione alla tua maest divina e in espiazione dei miei peccati." La preghiera - soprattutto frequenti atti di contrizione per i nostri peccati - e la lotta interiore contro ci che ci allontana da Dio, questa la vigilanza che il Signore ci chiede e che ci far arrivare alla fine della nostra vita pronti per l'incontro con Lui. Molti offrono la vita a Dio col testamento; noi dobbiamo offrirla subito, finch l'abbiamo ancora fra le mani e ne abbiamo consapevolezza, finch possiamo darle ancora tutto un contenuto di amore e di servizio che al momento della morte sar l'unico bagaglio che possiamo portare con noi. Infine, uno dei pi grandi doni che il Signore pu darci quello di santificare le ultime ore della nostra vita con la presenza della Chiesa accanto a noi: il sacramento dell'Unzione degli infermi e soprattutto l'Eucarestia, memoriale della morte del Signore ricevuta come viatico per il nostro passaggio dal tempo all'eternit, il modo pi cristiano di "addormentarci in Cristo". Morire tra le braccia di Dio, nostro Creatore e Signore, anche il modo pi bello e pi esaltante di concludere la nostra esperienza di creature. La consapevolezza della nostra creaturalit, consapevolezza che ci ha accompagnato lungo tutte le stagioni della vita, trova nel momento supremo la sua espressione pi completa. Saperci creature sperimentare il nostro legame con Dio, Alfa e Omega, Principio e Fine della nostra vita, colui che apre e chiude , con bont e amore, la nostra vicenda terrena. Cos la nostra esistenza sulla terra si apre con un atto dell'onnipotenza di Dio e si chiude con un atto della sua misericordia; l'una e l'altra sono Amore. E l'Amore il luogo - la culla - dove chiamata a nascere, a vivere, e a morire ogni creatura umana. Chi rifiuta di considerarsi creatura pensa di nascere per sbaglio, di vivere per
290 291

Lc. 23,46 Mt. 24,42

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inerzia e di morire per caso. E' la triste condizione di chi vive lontano da Dio. Noi invece siamo creature, e perci veniamo da Dio e a Dio torniamo. Tuttavia questo nostro viaggio nel tempo come un lampo: "In pochi palmi hai misurato i miei giorni, e la mia esistenza davanti a te un nulla. Solo un soffio ogni uomo che vive, come ombra l'uomo che passa; solo un soffio che si agita...".292 Come dire che abbiamo poco tempo: tempus breve est! Per quanto lunga possa essere la vita, il tempo che abbiamo per compiere il bene sempre poco. "Ammazzarlo", sprecarlo in occupazioni vane, sciocche, inutili, o consumarlo al servizio del nostro egoismo, delle nostre ambizioni mondane, della nostra sete di comodit e di piaceri ignobili un vero delitto; delitto che ci far assaggiare, alla fine della nostra vita, l'amaro sapore della sterilit. La morte ci insegna a profittare del tempo, a riempirlo di frutti duraturi, portando a compimento la volont di Dio. Ci far capire "quanto poco valgono le cose della terra, che appena cominciate, sono gi finite". 293 La morte ci aiuta cos a giudicare gli avvenimenti della vita e la loro importanza in maniera ben diversa: in quel momento non giudicheremo pi con il metro del tempo ma con il metro dell'eternit. Perci la meditazione sulla morte ci aiuta a conservare il nostro cuore libero, staccato dalle cose di questo mondo, in piena letizia. San Francesco d'Assisi volle morire nudo sulla nuda terra, cantando il Magnificat. Ai Santi la morte non toglie nulla ma dona tutto. Per questo molti santi andavano incontro alla morte con gioia; i martiri cantavano. Le parole del Salmo "Quale gioia quando mi dissero: "Andremo alla casa del Signore" 294 esprimono lo stato d'animo di chi ha vissuto la vita come "un'attesa"; vissuto aspettando l'abbraccio di Colui che sulla terra stato appassionatamente amato e fedelmente servito. Quando eravamo piccoli, colei che con un bacio, un sorriso e una carezza veniva a chiuderci gli occhi nel sonno era nostra madre. Non c' un modo pi bello e pi dolce di chiudere gli occhi alla vita terrena che vedere accanto a noi colei che "la Madre", madre della Vita, che con un bacio, un sorriso e una carezza ci accompagna nel nostro "sonno" e nel nostro "risveglio", per stare con lei per sempre.

292 293 294

Salmo n. 38,6-7 Forgia, n. 995 Salmo, n. 121,1

196

L'ETERNITA'

211 - Eternit dellAmore.


Il tempo nell'uomo e dell'uomo. L'eternit di Dio. Dio solo l'Eterno, l'Immenso, l'Onnipotente. Dall'eternit fluisce il tempo e nell'eternit il tempo s'immerge. La creatura nel tempo ma ha nell'eternit le sue radici. Tempo ed Eternit: creatura e Creatore; un rapporto insondabile, abissale, senza spazio ad altre realt. Dio Amore. Perci l'Eternit Amore. Dall'amore esploso il tempo e nel tempo l'Amore apparso come epifania di Dio. Senza Amore non esiste n tempo n eternit: il nulla. Tutto nel tempo Amore: la vita dono d'amore, la libert esperienza d'amore, la giustizia ancella dell'amore, cos come il volto dell'amore bellezza, il frutto dell'amore la pace, la presenza dell'amore gioia, il suo appagamento felicit e il suo splendore la verit.... La legge dell'Amore l'amore. Tempo ed Eternit, creatura e Creatore. L'Amore. E' qui tutta la realt. Per vivere il tempo alla luce dell'Eternit, bisogna vivere amando.

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In tutta la Bibbia il comando esplicito di "amare Dio" lo troviamo nel famoso passo del Deuteronomio citato da Ges, lo "Shem Israel", Ascolta Israele... Ma, se guardiamo bene, pi che un comando di amare Dio, quel passo un invito al timore reverenziale di Dio, un monito rivolto a Israele perch si conservi fedele all'Alleanza. L'idea fondamentale, infatti, che Jahv l'unico Signore; e perci viene prima di ogni creatura. Il Signore un Dio geloso e non sopporta l'infedelt n accetta di condividere con gli idoli il suo posto nel cuore degli uomini. Inoltre, Jahv aveva compiuto prodigi per il suo popolo; da una massa di schiavi, senza patria e senza leggi, lo aveva trasformato in un popolo grande e numeroso, gli aveva dato una terra fertile e spaziosa e una legislazione che non aveva l'eguali presso altri popoli. Perci Israele non avrebbe dovuto dimenticare il suo Dio n tutto ci che egli aveva compiuto per lui; avrebbe dovuto ascoltare la sua voce e obbedire ai suoi comandi. In questo contesto il comandamento di amare Dio, - lo Shem Israel - diventava un invito a proclamare le lodi del Signore, a benedirlo e ringraziarlo per tutte le sue opere e per tutta la sua misericordia. Cantare le lodi della persona amata la forma pi nobile dell'Amore. La santit di Dio, la sua bont verso tutte le creature, la sua misericordia verso gli uomini, destinatari di tante meraviglie e di tanta benevolenza, sono cos manifeste ai nostri occhi che proclamare la sua lode diventa un bisogno e una gioia profonda per la nostra anima. Ne testimonianza il Cantico delle Creature, l'inno di lode pi 197

ardente e sublime uscito da una delle anime pi innamorate di Dio. Del resto, tutta la liturgia della Chiesa un grandioso canto di lode al suo Signore. Ma la rivelazione definitiva dell'Amore avvenuta in Ges, pienezza dell'Amore. Di questa pienezza egli si fatto maestro e modello. Ges non chiede esplicitamente di amare Dio, si limita a citare il Deuteronomio e a indicare nell'osservanza dei Comandamenti il segno e la condizione dell'amore. Invece, in modo molto esplicito chiede due cose: di "rimanere nel suo Amore" e di amarci gli uni gli altri come lui ci ha amati. "Rimanete nel mio Amore". Lo ripete pi volte, consapevole della difficolt che abbiamo di credere all'amore. La mente dell'uomo, infatti, si smarrisce di fronte all'intreccio delle vicende umane spesso troppo aspro e doloroso per potervi leggere l'Amore di Dio! Noi stessi, i credenti, che possediamo la Rivelazione e la fede in Ges Cristo, - gli unici mezzi per conoscere l'Amore di Dio - quanta fatica per lasciarci convincere da Ges, quanta diffidenza, quanto scetticismo! E intanto la nostra vita rimane oscura ai nostri occhi, non sappiamo vedervi i passi di Dio e del suo Amore, e pensiamo che a governare la nostra vicenda terrena sia la fortuna o la sfortuna, la buona o la cattiva sorte, le forze cieche e spesso brutali degli eventi che sono manovrati dal caso o da ogni altra forza fuorch dall'amore. "Rimanete nel mio Amore"; questo il codice della santit cristiana. L'amore che Dio ci porta l'unico luogo sicuro per vivere, la forza pi efficace per vincere ogni battaglia, l'unico modo possibile perch si compiano tutti i desideri del nostro cuore. "Rimanete nel mio Amore". Succede purtroppo che molti non accolgono questo invito del Signore e vivono "fuori", altrove, su strade che non sono state tracciate dall'Amore di Dio. E' questo il grande peccato. E' il peccato che espone l'uomo a tutte le menzogne, lo porta a ignorare Dio e a tenerlo fuori dalla propria vita. Dove manca l'Amore c' il vuoto, qualunque sia il surrogato. Questo vuoto di Dio diventato il male oscuro dell'uomo contemporaneo. Di qui le sue esasperate idolatrie, le sue paure angoscianti, le sue aride tristezze. Un uomo lontano da Dio un albero sradicato; le sue radici inaridite urlano di dolore anche sotto un cielo turgido di primavera. Un uomo pu vivere nel tempo e sentirsi raccontare la dolcissima storia d'Amore che ha nome Ges Cristo, Figlio di Dio, morto e risorto per Amore, e restare "indenne". "Rimanete nel mio Amore". Lungo i secoli la Chiesa continua ad offrire l'Amore di Dio: l'Amore che perdona nel sacramento della Penitenza, l'Amore che parla dalle pagine del Vangelo, l'Amore che si fa nutrimento nel corpo di Ges sacrificato sulla croce, l'Amore che effonde lo Spirito Santo nei nostri cuori e con lui effonde luce e consolazione... infine, quell'amore con cui Dio accompagna continuamente la nostra vita; lAmore che ci rende forti nella tribolazione, pazient i nella malattia, gioiosi nella speranza, fiduciosi nelle avversit, sereni nelle prove, umili nelle sconfitte e perseveranti nella preghiera. L'Amore di Dio ci rende poi capaci di amare con lo stesso Amore tutti gli uomini: "Questo il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati". 295 E' questo l'unico comandamento esplicito del Signore; il comandamento sul quale Ges non ha concesso attenuanti, e sul quale saremo rigorosamente giudicati. Da questo comandamento gli uomini sapranno che siamo suoi discepoli, e da questo comandamento possiamo valutare se "rimaniamo nell'Amore" di Dio. Perci non potremo contare sulla misericordia di Dio se non siamo stati misericordiosi, non possiamo pensare di essere perdonati se non abbiamo perdonato, non ci sar risparmiato un giudizio rigoroso e fino al centesimo se siamo stati impietosi con il nostro fratello, e non ci saranno scontati i nostri debiti se non li avremo rimessi ai nostri fratelli. La misura dunque l'amore. Molto sar perdonato
295

Gv. 15,12

198

a chi molto ha amato. Giovanni, l'apostolo della Verit, inflessibile e duramente rigoroso con quant i rifiutano la verit di Cristo, anche l'apostolo dell'Amore. Egli ha raccolto in queste parole il testamento di Ges: "In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio ma lui che ci ha amato (...). Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri Dio rimane in noi e l'amore di lui perfetto in noi. (...) Noi abbiamo riconosciuto e creduto all'amore che Dio ha per noi. Dio amore; chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui". 296

Dimorare in Dio: l'Eternit; condividere la sua Vita come figli. Rimanere nel suo amore: il tempo; lasciarci condurre da lui per compiere sulla terra "ci che a lui gradito". Amarci gli uni gli altri con l'amore di Cristo: l'unico vero dialogo tra l'eternit e il tempo, il dialogo che unisce gli uomini a Dio e gli uomini tra di loro. Perci, dimorare in Dio, rimanere nel suo amore e amarci gli uni gli altri con l'amore di Cristo e come Cristo ci ha amati, tutta la vita cristiana. Qui approdano la fede e la speranza, qui risiede l'essenza della santit. Qui c' tutta la grandezza e la dignit dell'uomo; qui egli realizza tutto il suo destino. In queste pagine abbiamo cercato i cammini della fede, ci siamo nutriti con il pane della speranza, abbiamo ascoltato i desideri profondi del cuore; abbiamo anche percorso le vie dell'uomo, della sua identit profonda, della sua dignit offesa e redenta; le vie della sua intelligenza, della sua vocazione e del suo destino; abbiamo cercato con stupore e trepidazione i passi di Dio, silenziosi e commoventi, nella vita dell'uomo e nella storia del mondo. Abbiamo concluso che tutto questo ha un solo nome: Amore. "Chiunque ama generato da Dio e conosce Dio, chi non ama non ha conosciuto Dio, perch Dio Amore. Perci chi non ama rimane nella morte". 297 Conoscere l'Amore conoscere Dio, conoscere l'uomo, conoscere la vita. Non c' luce dove non c' Amore, non c' verit dove non c' Amore, non c' felicit dove non c' Amore. Vivere sulla terra amando; rimanere nell'Amore qui nel tempo per dimorare nell'Amore per l'Eternit. Signore, nelle tue mani sono tutte le cose, nelle tue mani il tempo e l'eternit. Hai voluto che tutto fosse amore: il tuo Essere divino, tutte le tue opere, quanto hai fatto nel tempo e quanto porterai a compimento nell'eternit. L'Eternit! Quando, Signore? Quando avverr che nella nostra luce non ci sar pi ombra, nella nostra gioia non ci sar pi timore, nel nostro desiderio non ci sar pi attesa? Quando le stelle non avranno pi bisogno della notte, n i fiori della primavera, n il mare delle sue sorgenti? Quando accadr che non ci sar pi la morte, n lutto, n lamento, n affanno, perch le cose di prima sono passate? E non avremo pi bisogno del sole, n della luna, perch la tua gloria sar la nostra luce e l'Agnello la nostra lampada? 298 Quando, Signore, lo Spirito e la Sposa diranno: "Vieni!"? 299 ... allora il velo cadr dalla tua faccia, e anch'io potr dirti:
296

1^ Gv. 4,10...16 1^ Gv. 4,7-8 Ap 22,4... Ap. 22,17

297 298 299

199

Piccola sposa del tuo fuoco la mia libert ieri creata arde al tuo Sempre! 300

300

S. Teresa d'Avila, Castello 7M,2

200

INDICE GENERALE

IL TEMPO
1 2 3 4 Una leggenda Il mistero del tempo Tempo ed Eternit "O cara Eternit!"

essere nel tempo


5 6 7 89 L'Essere e il Tempo L'Essere della creatura L'uomo e la sua identit Ritrovare le origini Il nostro posto di creature

IL TEMPO: ITINERARIO DELLA FEDE Quale fede?


10 11 12 13 14 Fede e vita eterna Fede umana Una "fede" falsa: le stte Dignit e importanza delle Religioni La fede del cristiano: incontro con Dio in Ges Cristo

I cammini della fede


15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 L'Epopea della salvezza Ges: il Roveto ardente In Ges il compimento delle Scritture Fede: Alleanza tra Dio e il suo popolo Fede e "morale laica" La Chiesa: Arca dell'Alleanza Camminare senza la fede perdere il tempo Il viaggio dei Magi. Perseverare nella Fede Il cammino dei discepoli di Emmaus "Resta con noi, Signore!"

Fede e vita cristiana


26 27 28 29 30 31 La fede nella vita cristiana La virt della fede Fede e preghiera Preghiera "cristiana": preghiera di Cristo La fede e la croce Guardare "oltre" la croce 201

atto di fede
32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 L'atto pi nobile L'intelletto nell'atto di fede Purificare l'intelligenza "Credibilit" delle verit di fede Il dovere di credere Intelletto cristiano L'omaggio della volont nellatto di fede Limportanza del cuore nellatto di fede. La grazia nell'atto di fede La fede di Maria

IL TEMPO: CAMMINO DELLA SPERANZA Quale speranza?


42 43 44 45 46 Il pane della speranza La speranza mondana La speranza teologale Speranza e santit Santit per tutti

Le ali della speranza


47 48 49 50 La croce, potenza di Dio La croce e la speranza cristiana Cristo: la fedelt di Dio Speranza e filiazione divina

I frutti della speranza


51 52 53 54 55 56 57 58 59 60 La Speranza, madre della pazienza Pazienza e fortezza Speranza e pazienza: attesa di Dio Un male oscuro: la fretta La fretta: un modo sbagliato di vivere Fedelt e operosit Speranza e povert Speranza e povert operosa Speranza e libert Inno alla Speranza

IL TEMPO: LUOGO DEL DESIDERIO Quale amore?


61 62 63 64 65 66 Dio Amore La benevolenza L'Amore in Dio: lo Spirito Santo Ferita d'amore Culto pagano e amore cristiano Amore cristiano: "connaturali" con Dio

202

Farsi dono.
67 68 69 70 L'amore dono La vita: una corsa verso il dono La conoscenza: moto d'amore Dono di s: conoscere, amare, servire

Amore e perfezione morale.


71 72 73 74 75 76 Bont di Dio e bont delle creature Amore e santit cristiana Amore e morale "laica" Un nemico: l'ipocrisia Amore e lotta ascetica Amore e Beatitudini

Il Comandamento dell amore.


77 78 79 80 81 82 83 84 85 86 87 88 89 90 Amore e libert Quale libert? Libert e verit La libert dell'amore Il comandamento dell'amore Amare con tutta l'anima, con tutta le mente Amare con tutto il cuore, con tutte le forze Il "Comandamento nuovo" Amore e misericordia Amore e perdono Amore e servizio Amare per amore Il "quadrilatero" dell'amore fraterno L'amore perfetto sa sorridere

IL TEMPO E LUOMO uomo nella creazione.


91 92 93 94 95 L'uomo: gloria di Dio L'uomo: chi ? Interpretazioni riduttive dell'uomo Visione biblica dell'uomo La trascendenza naturale dell'uomo

La corporeit.
96 97 98 99 100 101 102 103 104 105 Trascendenza del corpo Il corpo: epifania dell'anima Il corpo: inno alla bellezza Il "culto" del corpo Il corpo e il suo destino di gloria Il corpo nell'amore coniugale Il corpo nell'amore "sponsale" La triplice "corporeit" in Cristo Il corpo "sacrificato" Il corpo "orante" 203

La dimensione spirituale dell uomo.


106 107 108 109 110 111 L'anima Preziosit dell'anima Fine soprannaturale dell'uomo La persona umana Miseria e grandezza della condizione umana Per una nuova "civilt dell'uomo"

IL TEMPO E LINTELLIGENZA DELLUOMO Intelletto e conoscenza


112 113 114 115 La Luce e la Verit La Luce e l'intelletto L'itinerario dell'intelletto La conoscenza sensibile

La conoscenza e i sensi
116 117 118 119 120 121 122 123 I sensi: il tatto. L'olfatto Il gusto L'udito La vista La sensibilit interiore Sensibilit e responsabilit Finezza d'animo

Il sensibile nella Liturgia


124 125 126 Il rito sacramentale Liturgia e fede La conoscenza sensibile nella Vita eterna

Sensi e intelletto
127 128 129 130 131 132 Conoscenza sensibile e conoscenza intellettiva Il sub-cosciente e la vita dello spirito Sensibilit e libert Sensibilit e giudizio morale Sensibilit e religiosit Verit delle cose e Verit dell'intelletto

IL TRIPLICE INTELLETTO
A) Intelletto speculativo 133 Che cos lintelletto speculativo 134 Un nemico della fede: l'ignoranza 135 "Studiositas" e "curiositas" 136 La "sana dottrina" 137 Il tarlo delle ideologie 138 Un tragico inganno: l'immanentismo 139 Gli idoli della Ragione 140 Scienza e morale 204

141 142 143

L'umilt intellettuale Un idolo "tirannico": la democrazia La Ragione tra Verit e Libert

B) Intelletto pratico
144 145 146 Che cos lIntelletto pratico. La Torre di Babele Intelletto pratico e attivismo

C) Intelletto contemplativo
147 148 149 Che cos lIntelletto contemplativo La contemplazione mistica Le vie alla contemplazione

IL TEMPO NEL TEMPO: PASSATO, PRESENTE, FUTURO. Il passato: tempo della memoria
150 151 152 153 154 155 156 Il tempo delle cose e il tempo dell'uomo La memoria: archivio del tempo La memoria del cuore Memoria e contemplazione Memoria e sincerit Memoria e dimenticanza di Dio Il "Memoriale di Cristo"

Il presente: tempo della volont.


157 158 159 160 161 162 163 164 Volont e intelletto "Debolezza" della Volont La "forza" della volont Educare la volont Volont e amore Volont e grazia Oggi, adesso Volontariet attuale

Il futuro: tempo della fantasia.


165 166 167 168 169 La "pazza di casa"? Fantasia e anarchia La fabbrica dei sogni Fantasia e profezia La fantasia di Lucifero: le utopie

IL TEMPO E LA VITA
205

La vita in natura e nelluomo.


170 171 172 173 174 175 176 Un fenomeno impressionante: la vita La vita: teofania di Dio Creatore Una discontinuit biologica: l'uomo Actus essendi: l'atto di essere la vita "umana" Esperienza interiore del proprio "Io" Atto di essere e immortalit

La vita e il ciclo vitale nelluomo.


177 178 179 Il ciclo vitale Unit della persona La fase "notturna" del ciclo vitale

Linfanzia.
180 181 Let dei perch "Vita d'infanzia"

Ladolescenza.
182 183 184 185 186 L'et critica "Amici" di Dio Le "impazienze" dell'adolescenza L'impazienza del cuore Educazione all'amore

La giovinezza.
187 188 189 190 Let dei progetti La vera rivoluzione: la santit Fidanzamento e matrimonio Verginit per il Regno dei Cieli

Let adulta.
191 192 193 194 195 196 197 198 Quale maturit? I "sintomi" della maturit Maturit e coscienza Coscienza "viva" Coscienza "integra" Maturit e libert L'adulto ha nome e cognome Maturit e prudenza

La vecchiaia.
199 200 201 202 203 204 Il carico del tempo Sguardo di eternit Nessuno deve dire: basta! La solitudine Il "Dio inutile" La gioia del "restauro"

La morte .
205 206 La frontiera del tempo Il "bello" deve ancora venire 206

207 208 209 210

L'essere-per-la-morte Il Vincitore della morte La morte "mistica" "Tempus breve est"

LETERNITA
211 Eternit dell'Amore

207

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