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Lezioni di diritto canonico

Problemi di definizione
Lespressione diritto canonico indica generalmente la manifestazione del diritto nella vita della Chiesa cattolica, un diritto che riguarda una grande comunit umana sparsa in tutto il mondo. Quindi questa espressione si pu definire anche come linsieme delle norme giuridiche, poste o fatte valere dagli organi competenti della Chiesa cattolica, secondo le quali organizzata e opera essa Chiesa e dalle quali regolata lattivit dei fedeli, in relazione ai fini che sono propri della Chiesa. In maniera pi sintetica possiamo dire che il diritto canonico lordinamento giuridico della Chiesa cattolica, cio linsieme di fattori che danno alla Chiesa la struttura di una societ giuridicamente organizzata. Questa seconda definizione contiene la distinzione tra la giuridicit, che insita nella Chiesa in quanto Corpo di Cristo che si incarna in un corpo sociale, ed il complesso delle norme poste dallautorit ecclesiastica; distinzione ampiamente sottolineata anche da Giovanni Paolo II. Ma lespressione diritto canonico pu avere anche un altro significato: la scienza che studia la Chiesa nella sua dimensione giuridica e lesperienza giuridica che essa produce, cio la scienza che indaga il complesso di norme, che reggono la comunit ecclesiale, e le forme ed il funzionamento dellorganizzazione ecclesiastica. Si tratta infatti di una delle branche della scienza giuridica e quindi lespressione diritto canonico si riferisce anche alla disciplina che oggetto di insegnamento nelle istituzioni formative della Chiesa e nelle universit secolari. In conclusione possiamo dire che lespressione diritto canonico pu riferirsi al diritto che disciplina la vita della Chiesa cattolica (quindi linsieme delle regole o norme), lorganizzazione di questa comunit come realt organizzata (quindi la societ, la comunit umana) e la scienza che studia questo diritto (linterpretazione di queste norme).

La questione terminologica
Dal punto di vista etimologico il termine canonico deriva dal greco knon che significa regola. Inizialmente questo termine veniva utilizzato per indicare le leggi ecclesiastiche destinate a disciplinare la vita del popolo di Dio, in modo da poterle distinguere dalle leggi di diritto secolare, quindi in questo periodo del diritto romano. Fu il concilio di Nicea, nel 325 d.C., in cui si parl delle norme giuridiche ecclesiastiche come canones disciplinares per distinguerle dai canones fidei (principi dogmatici) e dai canones morum (principi morali). Lespressione diritto canonico inizi a indicare il diritto della Chiesa solo dal secolo VIII e nel divenire della storia il diritto della Chiesa aveva preso diverse denominazioni: ius sacrum, per distinguerlo da quello profano cio lo ius civile, ma con questo senso il diritto canonico non lunico ius sacrum (quello dellislam, degli ebrei); ius decretalium, usato nellet medievale perch il legislatore della Chiesa emanava le leggi nella forma delle decretali; ius pontificium, ma il diritto canonico non posto solo dal Papa (legislatore massimo) ma anche da altri legislatori come il concilio ecumenico, inoltre nel diritto canonico molto importante la consuetudine; ius ecclesiasticum un espressione polisemica, in senso proprio indica quella parte di diritto canonico che non di origine divina quindi le norme di origine umana che possono mutare nel tempo, mentre le norme di origine divina non possono mutare. Infatti una particolarit del diritto canonico di durare da 2000 anni in modo continuo, ininterrottamente, proprio perch non un diritto di territorio o di lingua ma si rivolge a vari popoli ed essendo in parte di origine divina non pu mutare. Si deve notare, comunque, che dopo il Concilio Vaticano II (1962 1965) per indicare il diritto della Chiesa si preferisce lespressione diritto ecclesiale o ius ecclesiale al posto di diritto canonico perch sembra rispondere meglio alle sue ragioni fondative. Dal punto di vista terminologico, invece, bisogna fare ulteriori distinzioni basandoci sulle fonti. Si suole parlare infatti di diritto meramente ecclesiastico (ius mere ecclesiasticum) o di diritto umano (ius humanarum) per le norme poste dalla competente autorit ecclesiastica; distinto dal diritto divino naturale o diritto naturale (ius naturale) per linsieme delle norme poste allatto della creazione e comuni a tutti gli uomini; distinto ancora dal diritto divino positivo (ius divinum positivum) promulgato per mezzo della Rivelazione e contenuto nella Sacra Scrittura e nella Tradizione. Quindi il diritto della Chiesa ha un duplice elemento: umano e divino. Nel linguaggio giuridico lespressione diritto ecclesiastico ha un altro significato: le norme poste dal legislatore statale a disciplina del fenomeno religioso e delle confessioni religiose. In questo senso sta

a significare una parte del diritto statale, una branca del diritto pubblico inteso come insieme di norme che riguardano il fenomeno religioso e come la relativa scienza che le pone ad oggetto di studio.

Le ragioni dello studio del diritto canonico


Le ragioni per cui si studia il diritto canonico sono fondamentalmente tre: 1) Ragione culturale: la formazione generale del giurista. Il giurista infatti chiamato a conoscere il diritto dello Stato per interpretare le norme in funzione di una loro corretta applicazione, ma per farlo ha bisogno di una solida formazione teorica. Da questo principio si pu spiegare la presenza negli studi giuridici di insegnamenti di base (ad es. il diritto romano) e di insegnamenti affini o integrativi (appunto il diritto canonico) ritenuti indispensabili per la preparazione del giurista. Infatti molto formativo anche lo studio del diritto comparato perch coglie gli elementi di somiglianza e di diversit tra i vari sistemi e ha lo scopo di aprire la cultura del giurista alla consapevolezza della pluralit. Dal punto di vista della comparazione il diritto canonico appare molto interessante perch, a differenza di altri diritti religiosi, manifesta una grande somiglianza ai diritti secolari mantenendo comunque le sue caratteristiche peculiari essendo orientato ad una prospettiva del tutto diversa. Infatti il diritto canonico destinato a disciplinare la vita di una comunit di carattere universale, infatti legato ad un elemento personale poich i destinatari delle norme sono i battezzati della Chiesa cattolica. Inoltre lo studio del diritto canonico utile per aprire le conoscenze alla realt del diritto, per avere la consapevolezza della complessit delle esperienze giuridiche, per capire che il diritto non si esaurisce nel solo diritto della comunit politica. 2) Ragione storica: Nellet medievale il diritto della Chiesa ha avuto un ruolo determinante nella formazione e nello sviluppo della civilt giuridica europea. In una comunit politica costruita sul legame della stessa fede cristiana si era formato un connubio tra il diritto secolare (lex mundana) ed il diritto canonico (lex ecclesiastica), dando vita allesperienza giuridica detta luno e laltro diritto (utrumque ius). Il tramonto del medioevo frantum il sacro romano impero in una pluralit di Stati sovrani che svilupparono dei diritti nazionali, portando alla fine di uno ius commune. In questo contesto il diritto canonico ha influenzato enormemente la formazione dei diritti secolari. Infatti la Chiesa ha dato un contributo fondamentale alla configurazione di principi che sono alla base dei moderni ordinamenti democratici come le fondazioni teoriche del principio maggioritario e tutti i principali concetti del diritto pubblico occidentale. Come fu la Rivoluzione pontificia di Gregorio VII a generare lo Stato moderno occidentale, la Chiesa stessa fu il primo esempio attraverso la forte affermazione della propria indipendenza nei confronti dellImpero e lesercizio di un potere legislativo autonomo. Nellambito del diritto privato, sono canonistiche le basi teoretiche della personalit giuridica, cio la finzione per cui laddove esiste un insieme di persone o di beni destinati ad uno scopo lordinamento immagina sussistere una persona, e listituto del matrimonio civile non nientaltro che la secolarizzazione del matrimonio canonico. Se il diritto canonico ha inciso cos profondamente nei diritti secolari, il suo studio appare molto utile perch il giurista deve interpretare le norme e per coglierne appieno il contenuto a volte deve risalire allorigine di queste. In questa et di globalizzazione, inoltre, per il giurista necessario conoscere gli altri ordinamenti giuridici secolari e sapere che questi si suddividono in due grandi famiglie giuridiche: quella di civil law, come lordinamento italiano, e quella di common law, gli ordinamenti anglo-americani. Tracce di diritto canonico si riscontrano sia nelluna che nellaltra famiglia perch il diritto della Chiesa ha influenzato il diritto secolare europeo da cui entrambe le famiglie traggono origine. 3) Ragione contemporanea: La realt ordinamentale del nostro Paese. LItalia un paese a regime concordatario, cio disciplina i suoi rapporti con la Chiesa cattolica attraverso un concordato, stipulato nel 1984. Alcune norme sono esclusivamente di diritto canonico (es. lo Stato riconosce il matrimonio canonico) e quindi necessario avere delle conoscenze di questa materia. Uno studioso francese del diritto e delle istituzioni della Chiesa, Gabriel Le Bras, ha pubblicato un volume intitolato La Chiesa del diritto in cui scrive che allinizio del diciannovesimo secolo lordine giuridico sembra ricostituito su fondamenta profane. La Chiesa, in effetti, aveva perso il potere che aveva durante lancien rgime e il diritto delle Decretali era applicato solo in un organismo molto impoverito, quindi possiamo dire che il dualismo di potenza era finito. Questa annotazione faceva luce sul declino della rilevanza del diritto canonico negli ordinamenti giuridici secolari, ma subito dopo Le Bras mostra un

fenomeno nuovo della risorgenza del diritto canonico in questi ordinamenti poich il diritto canonico produceva i suoi effetti non per diretta vigenza ma attraverso la volont del legislatore statale. Questo ha portato appunto a definire in termini concordatari i rapporti fra la Chiesa e gli Stati. Tra ottocento e novecento il diritto canonico sembra rientrare con sorprendente vitalit negli ordinamenti giuridici secolari. Una prima causa la crescente attivit concordataria perch le norme concordatarie divengono norme canoniche particolari vigenti anche negli ordinamenti civili e perch le disposizioni concordatarie a volte rinviavano esplicitamente a norme di diritto canonico. A seguito dei processi di globalizzazione, che mirano al superamento dei principi che furono allorigine dellestromissione del diritto della Chiesa (territorialit, nazionalit e statualit), il diritto canonico conoscer nel prossimo futuro una nuova vita. La globalizzazione esalter i principi a favore del ritorno di vigenza del diritto canonico negli ordinamenti secolari.

Lo Spirito e la Carne
Perch il diritto
Il problema di che cosa sia il diritto risale sin dallantichit poich gli uomini vivono giuridicamente e non possono fare a meno di vivere giuridicamente, quindi c sicuramente una stretta connessione tra condizione umana e diritto. Lesigenza del diritto riflette il fatto che luomo ha dei limiti oggettivi che investono le capacit fisiche, intellettive o volitive. Ogni uomo ha innata in s lidea di perfezione delluomo ed consapevole di ci che gli manca e di ci che ha bisogno. Avendo questa consapevolezza luomo cerca di superare la propria condizione ovviando ai propri difetti e bisogni associandosi con gli altri. Un esempio sicuramente il matrimonio perch luomo non una totalit (o maschio o femmina) perci cerca il completamento di s nellaltro attraverso appunto il matrimonio che fonde uomo e donna in una unit fisica, spirituale e affettiva. Un altro limite delluomo temporale, cio luomo mortale anche se tende allimmortalit attraverso dei modi di prolungamento della propria esistenza come procreare o creare entit capaci di durare nel tempo (persone giuridiche). Per superare questi limiti luomo tende a vivere in relazione e proprio perch ha dei limiti ha bisogno dellaltro. La presenza dellaltro per ambivalente perch gli altri possono essere una minaccia alla vita, allintegrit della persona, ai propri beni. In sostanza tutti gli uomini sono collocati in una condizione di coesistenzialit, condizione alla quale non si pu sottrarre. Quando luomo crea un rapporto con laltro c diritto perch il diritto relazione, il riconoscimento di s nellaltro. Quindi la trama di relazioni sociali in cui ogni uomo posto, lo colloca in una dimensione giuridica, hominum causa omne ius constitutum est. Il diritto, cio lo ius, non si deve confondere con il diritto positivo, cio la lex, perch lo ius fa riferimento al legislatore e la lex fa riferimento a delle norme di comportamento delluomo. Quindi lo ius fa riferimento a delle relazioni poich la regola della relazione delluomo con i suoi simili, animata dal valore etico della giustizia che riconosce la dignit di persona umana. Nel corso del tempo non sempre si avuta questa situazione perch ogni legge positiva sar sempre imperfetta per la difficolt di inseguire e catturare, nella fattispecie, la complessit del reale e per la volont del legislatore di avvicinarsi ad un modello che per non sempre riesce a realizzare compiutamente. Infatti ci sono stati dei casi in cui la lex stata in contrasto con lo ius (come ad esempio le leggi naziste) ma in questi casi lagire secondo giustizia (legittimit) e lagire secondo la legge (legalit) non coincidono pi. Il diritto come ius quindi c sempre, non lo creiamo noi come la lex e quindi non si esaurisce nelle forme normative delle istituzioni politiche ma presente in tutte le forme associative umane, come dicevano i romani ubi societas, ibi ius.

Perch il diritto canonico


La Chiesa, in quanto realt spirituale, sacramentale, carismatica, trascendente, le cui finalit sono rivolte al bene delle anime, non dovrebbe avere bisogno di diritto. Questo si rivolge alluomo carnale poich la dimensione propria del diritto quella della secolarit, della socialit, dei rapporti esterni. Allinterno della Chiesa sono nati diversi orientamenti di pensiero in discussione al diritto canonico: dallo gnosticismo ai diversi movimenti spiritualisti medioevali, alla Riforma luterana, alla contestazione antigiuridicista dellet contemporanea. Negli ultimi secoli nellambito della teologia protestante c una contrapposizione tra legge e Vangelo, propria della dottrina di Lutero che ha una concezione

della Chiesa come puramente carismatica e spirituale. Questa per solo una visione parziale della realt complessa della Chiesa. La Chiesa come comunit di puri spiriti non ha bisogno del diritto, la Ecclesia triumphans dei martiri e dei santi non ha bisogno del diritto, ma la Chiesa militante (Ecclesia militans) cio la comunit di persone in carne ed ossa vive giuridicamente ed ha bisogno del diritto. Il diritto canonico, che ha come fine la salvezza delle anime (salus animarum), non pu assicurare questo fine ma lo favorisce. La dimensione umana e storica della Chiesa non esaurisce la sua realt ma ne rappresenta una piccola parte. La Chiesa organizzata in popolo di Dio, linsieme dei battezzati, si presenta come fenomeno unico e peculiare e manifesta, dal punto di vista sociogiuridico, analogie con le altre forme associative umane. In un documento del Concilio Vaticano II, la costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium, si parla di una analogia tra lIncarnazione e la Chiesa, realt spirituale, che si incarna in un corpo sociale che vive nella storia. Questa realt divinoumana della Chiesa congiunta alla realt divino-umana di Cristo, infatti San Paolo parla della Chiesa come Corpo di Cristo. Ma allora come il Corpo del Signore non era sottratto alle leggi biologiche e fisiologiche, cos la Chiesa non sottratta a queste leggi proprie delle formazioni sociali. Se naturale che ogni gruppo sociale umano si organizzi, altrettanto naturale che la Chiesa in quanto gruppo umano organizzato produca diritto e viva secondo diritto. Questo non toglie la differenza tra diritto canonico e i diritti secolari, ma il diritto canonico diretto a disciplinare quella comunit umana che chiamata ad essere comunione. Se la saggezza giuridica, ponendo precise regole, manifesta la struttura gerarchica della Chiesa, la spiritualit della comunione conferisce unanima al dato istituzionale. Sin dalle origini la Chiesa si organizzata e dotata di un sistema di norme, anche se il diritto della Chiesa venuto nel tempo a crescere e ad articolarsi. Le ragioni dellesistenza e la giustificazione del diritto della Chiesa si colgono nelle esigenze della sua stessa missione, cio nel carattere di missionariet. La missione lunico vero scopo della societ ecclesiale, un fine intrinseco ed immanente a tutto lordinamento; le esigenze della sua missione di evangelizzazione, promozione umana e santificazione danno conto dellorganizzazione della societ ecclesiale. Il diritto canonico non appare pi soltanto come regola statica della vita interna di una comunit religiosa, ma come un essenziale strumento che ne rende possibile e ne favorisce lo slancio apostolico senza rinnegare la ricchezza dei vari popoli e delle loro differenti tradizioni culturali.

Diritto canonico e altri diritti religiosi


Il diritto non solo il diritto dello Stato ma esistono altre espressioni della giuridicit, tante quante sono le forme di aggregazione umana. Anche il diritto canonico, quindi, non lunico esempio di diritto religioso, ogni credenza religiosa che si esplicita in una comunit umana organizzata produce diritto. C quindi una pluralit di diritti religiosi, cio di nuclei di norme che si dirigono ai rispettivi fedeli e ne disciplinano la vita. Ad esempio i tre grandi diritti religiosi prodotti dalle tre grandi religioni del Libro: ebraismo, cristianesimo, islam. Al contrario del diritto canonico, per, gli altri diritti religiosi non sono molto forti; il motivo strettamente culturale, cio il periodo in cui nato il cristianesimo ha favorito molto per la sua formazione (cultura latina). Dobbiamo per distinguere tra la fede come patrimonio culturale e la fede come incarnazione sociale perch non tutte le religioni hanno un passaggio tra patrimonio dogmatico e organizzazione sociale. Il termine chiesa (deriva dal greco ekklesia) strettamente legato al cristianesimo perch nasce appositamente per indicare le chiese cristiane. Il diritto dello Stato usa il termine confessione religiosa per indicare la comunit religiosa, ma il diritto canonico usa il termine comunit religiosa per indicare linsieme di uomini tenuti insieme da unidentit comune. In questo senso si pu notare che c una differenza di terminologia. Possiamo dire che non tutte le fedi si strutturano in confessioni o comunit religiose, come ad esempio le religioni asiatiche, ma se la fede non strutturata socialmente non costituisce diritto, come nella celebre frase ubi societas ibi ius, quindi se tutte le religioni non fossero anche comunit religiose, non avrebbero diritto. Diritto inteso sempre come organizzazione sociale e non come morale perch le leggi morali sono ben altro. Infatti non sempre diritto e morale sono congruenti tra loro (ad esempio nelle questioni bioetiche), per le regole morali esistono anche senza regole giuridiche. Secondo alcuni studiosi di diritto comparato, i diritti religiosi costituiscono una famiglia giuridica a s: i diritti statali riguardano luomo qui ed ora, i diritti religiosi nella prospettiva ultramondana e ultratemporale. I primi sono costituiti dal diritto positivo, posto dal legislatore umano, i secondi sono composti principalmente dal diritto divino, perci i primi sono detti laici e gli altri religiosi. Quindi i diritti religiosi si differenziano da quelli statali sia per lorigine del loro diritto sia per la finalit. Ma questi studiosi ritengono che, oltre ad una diversit con i diritti statali, i diritti religiosi siano anche

differenti tra loro. Altri studiosi invece (un esempio Ren David) ritengono che la differenza ricorre tra diritti appartenenti a differenti universi culturali, perci il diritto canonico pi prossimo ai diritti secolari che non il diritto islamico. Ritengono inoltre che i diritti religiosi sono accomunati dal fondamento in una legge rivelata da Dio, per contengono anche molte diversit. Ad esempio nel diritto canonico, sulla base del diritto divino, c un grande sviluppo del diritto umano che invece pi debole nelle altre due esperienze religiose. Inoltre il diritto canonico conosce il diritto naturale, sconosciuto nel diritto islamico e controverso nel diritto ebraico. Il diritto naturale viene sempre da Dio ma riguarda in generale tutti gli uomini, non solo i cristiani quindi i battezzati; il diritto naturale non prettamente cristiano ma unidea classica, infatti ne troviamo degli esempi nellAntigone di Sofocle e con S.Tommaso. Quindi esistono due fasce di norme: le norme naturali e le norme rivelate. Gli altri due diritti religiosi non conoscono il diritto naturale ma solo il diritto divino rivelato, infatti essi contestano i diritti umani, visti come espressione della cultura occidentale; in questo modo, per, tolgono una base comune e sotto una prospettiva relativista (secondo cui ogni cultura va rispettata) verrebbero legittimate situazioni come ad esempio la schiavit. Il diritto naturale, invece, porta come conseguenza che anche il non battezzato ha rilevanza per la Chiesa, ad esempio con il diritto di libert di culto. Possiamo dire, quindi, che per comparare i diritti delle tre grandi religioni monoteiste si pu usare un canone interpretativo, cio notare le somiglianze e le differenze. Un esempio sono i problemi che il divenire della storia pone in rapporto allesigenza dei diritti religiosi di aggiornare il proprio sistema normativo, infatti i diritti secolari hanno la legittimazione di mutamento nel senso che negli stessi ordinamenti giuridici degli Stati il legislatore ha posto i principi del rinnovamento normativo; viceversa i diritti religiosi sono irrigiditi in ragione dellorigine della legge, il diritto divino. In realt tutti hanno elaborato dei meccanismi per garantire ladeguamento dei propri apparati normativi e ognuno in maniera diversa: nellordinamento ebraico e in quello islamico, costituiti dal solo diritto divino, attraverso lopera dellinterprete; nellordinamento canonico, costituito in buona parte anche dal diritto umano, attraverso la via legislativa, cio la modifica di quella parte dellordinamento giuridico costituita da norme di diritto umano. Nel diritto canonico assume una certa evidenza anche lattivit interpretativa come uno strumento di adeguamento della legge, comunque il diritto canonico pi elastico degli altri diritti religiosi proprio perch costituito in gran parte da diritto umano, che gli altri diritti religiosi non hanno.

Diritto canonico e diritto secolare


Il diritto canonico indica con il termine diritto civile, ius civile, il diritto delle comunit politiche; il ricorso dellespressione latina vuole indicare il diritto prodotto dal legislatore statale nel suo complesso. I canonisti utilizzano anche il termine diritto secolare, ius saeculare, pi preciso perch non confonde linsieme del diritto posto dal legislatore nella comunit con il diritto civile, che regola quelle dimensioni dellazione privata. Inoltre fa riferimento al saeculum, cio al tempo storico, quindi indica con precisione i diritti di quelle societ le cui finalit sono limitate nel tempo, a differenza del diritto canonico. Esistono molti elementi di somiglianza perch il diritto canonico risulta essere prossimo ai diritti che fanno parte delle due grandi famiglie di civil law e common law. Esistono per anche alcuni elementi di differenziazione: un primo elemento il carattere universale del diritto canonico. La Chiesa stata istituita dal suo Fondatore, Ges Cristo, per portare in tutto il mondo e a tutti i popoli il messaggio di salvezza, quindi non limitata ad un territorio. Di conseguenza un ordinamento giuridico aperto, nel senso che almeno in potenza tutto gli uomini ne fanno parte; anche se il canone 96 del codice di diritto canonico dice che solo mediante il battesimo luomo incorporato alla Chiesa di Cristo, i non battezzati sono soggetti di diritto canonico nel senso che sono destinatari di norme canoniche che gli conferiscono la titolarit di diritti (ad es. il diritto a ricevere il battesimo o lannuncio del vangelo). Invece gli ordinamenti giuridici statali hanno alla base la distinzione tra cittadino e straniero, perci si pongono in un atteggiamento di chiusura per proteggere il primo (amico) ed escludere laltro (nemico) dallappartenenza alla comunit politica. Mentre tutti gli uomini sono chiamati a far parte della Chiesa e quindi la qualit di fedele si acquista per libera determinazione, la qualit di cittadino si acquista grazie alla volont dello Stato di concederla. Un altro elemento di diversit il criterio ordinario e fondamentale di individuazione dei destinatari, per il diritto canonico quello personale, cio le norme sono dirette ai battezzati della Chiesa cattolica. Invece nei diritti statali il criterio ordinale quello territoriale, cio il diritto applicabile al cittadino o allo straniero quello vigente sul territorio in cui lindividuo si trova. Questo carattere della personalit deriva dal passato, i grandi imperi raccoglievano al loro interno molti popoli diversi e quindi vigevano

molti diritti personali, con la prima guerra mondiale per questi imperi si disgregarono (ad es. limpero austro-ungarico). Un esempio di questa pluralit dei diritti si pu fare in materia matrimoniale, infatti ogni religione ha le sue leggi. Un altro elemento ancora lorigine delle norme, infatti il diritto canonico fa una distinzione tra diritto divino e diritto umano, invece negli ordinamenti secolari il diritto sempre di origine umana, anche se ammette una rilevanza del diritto naturale (ad es. nellart. 2 della Cost. i diritti inviolabili delluomo sono riconosciuti, con questo termine si ritengono gi esistenti). Sempre sconosciuta ai diritti secolari la distinzione tra foro esterno e foro interno, ad opera di Graziano e disciplinata nel canone 130: nella Chiesa lunica potest di governo normalmente esercitata in maniera pubblica e notoria, con effetti conosciuti o conoscibili da parte della comunit dei fedeli (foro esterno, rapporti giuridici pubblici come il matrimonio) ma pu essere esercitata in forma segreta e senza che i suoi effetti vengano pubblicamente conosciuti (foro interno, propriamente giuridico come il vizio occulto in un matrimonio). Un altro esempio si pu fare nellambito del diritto penale canonico poich esistono delle pene che vengono attuate immediatamente dopo aver commesso il reato, quindi senza sentenza cio senza un pubblico processo infatti sono dette latae sententia, perci lo sa solo il diretto interessato. Infine, lultima caratteristica del diritto canonico lelasticit poich un diritto la cui forza data dallinteriore adesione dei soggetti e non dal timore delle sanzioni, inoltre la finalit ultima il bene spirituale delle anime quindi se una norma canonica, in un caso concreto, dovesse divenire un impedimento al bene spirituale o addirittura causa di peccato, la norma non deve essere applicata. Per questo motivo esistono degli istituti canonistici come la grazia, la dispensa, la tolleranza, lequit canonica che attenuano il rigore della legge per salvare linteresse spirituale del fedele. Questi istituti ovviamente si applicano solo alle norme di diritto canonico poste dallautorit umana per due ragioni: sia perch il diritto divino non pu essere in contrasto con il bene spirituale, sia perch lautorit umana non pu mai dispensare dallosservanza di una disposizione che non ha posto ma proviene da Dio. Al contrario, la rigidit del diritto secolare, cio non pu essere ordinariamente mai derogato, espressa dallantica regola iuris dura lex, sed lex. Questa rigidit trova la sua ragione nella certezza del diritto, cio quel bene superiore nella vita dei consociati dato dalla possibilit per i singoli di conoscere con sicurezza ci che la legge detta. Questo bene fondamentale per cede al bene supremo della salus animarum. In conclusione, il diritto canonico ha una pretesa infinitamente pi alta rispetto a quella del diritto secolare.

Diritto canonico e teologia


Il termine teologia deriva dal greco teos Dio e logos discorso, quindi lindagine su Dio, il sapere speculativo relativo a Dio. Nei primi secoli della Chiesa questo termine era sconosciuto, il primo ad utilizzarlo fu Platone nella Repubblica in cui si pone il problema dellesistenza di Dio e dopo ci fu Aristotele nella Metafisica dove parla della conoscenza di ci che non misurabile. Nei primi testi cristiani al posto del termine teologia cera logos oppure gnosi cio conoscenza, soltanto dallet medievale si affermer il termine teologia che viene assunto per indicare non la fede ma la riflessione scientifica su Dio. Infatti nasce insieme alla riflessione scientifica sul diritto e alle grandi universit, intese come comunit di docenti e studenti che insieme cercano di arricchire la loro conoscenza. Infatti a Bologna nasce luniversit degli studi giuridici e a Parigi nasce la Sorbonne, luniversit teologica; quindi come scienza nascono insieme ma anche la metodologia simile: sia a Bologna che a Parigi utilizzano il metodo di Graziano, cio del sic et non, raccogliere i documenti, cercare le discordanze e vedere come superarle. Tra il 1800 e il 1900 la scienza canonistica ha diversi orientamenti: la pi antica la scuola esegetica, cio dellesegesi o interpretazione, concentrata nellinterpretazione canone per canone; la scuola dogmatica si rif alla scuola degli studiosi del diritto che a loro volta si rifacevano alla scuola tedesca, cio partire dai fondamentali per costruire un sistema teorico in cui inquadrare le fattispecie. Il Concilio Vaticano II aumenta la diversit tra Stato e Chiesa, perch la Chiesa comparabile ad uno Stato ma non si confronta con gli altri stati, ne ha solo le caratteristiche ma la finalit diversa. Entra in crisi la concezione del diritto canonico come il diritto di uno stato, la metodologia giuridica o teologica? Un problema sorto dopo il Concilio Vaticano II quello dei rapporti tra diritto canonico e teologia. Tutti gli studiosi concordano nellammettere la peculiarit del diritto canonico, nel sottolineare le differenze fra diritto canonico e diritti secolari e nel richiamare i rapporti ineludibili fra diritto canonico e teologia. Il problema della fondazione del diritto canonico studiato allinterno di una teologia del diritto

canonico poich nessun dominio della Rivelazione pu rimanere ignorato se si vuole esprimere nella fede il mistero della Chiesa. Le posizioni della canonistica sono per molto diverse: - la grande scuola canonistica laica italiana moderna, sviluppatasi dopo la codificazione canonica del 1917, reagisce in modo esegetico partendo dal presupposto del diritto canonico come diritto dato, cio come ordinamento giuridico; la peculiarit del diritto canonico non starebbe nella sua natura bens nella finalit, individuata nella salus animarum. Altre scuole tendono a valorizzare lelemento teologico, infatti il diritto canonico non generato dal dinamismo spontaneo della convivenza umana, ma da quello specifico inerente alla natura stessa della comunione ecclesiale; partono da differenti presupposti: il mistero dellincarnazione, la Parola e il sacramento, linsieme di questi ed altri elementi, la communio. - scuola di Monaco, ha individuato lo statuto ontologico del diritto canonico nella communio, cio la specifica socialit originata dalla grazia e non da una dinamica sociologica, individuando il principio epistemologico cio la fides; - scuola dellUniversit Gregoriana, parte dal presupposto teologico per cui la Chiesa una societ umana elevata alla sfera sovrannaturale, la realt interna e sacramentale si esprime in una forma sociale e quindi in una dimensione giuridica; - scuola dellUniversit di Navarra, in una prospettiva ecclesiologica parte dalla categoria del popolo di Dio ed elabora una teoria generale del diritto canonico con contributi di diritto costituzionale; la chiave di comprensione nella considerazione per cui fra gli impulsi che scaturiscono dalla vita cristiana necessario mettere in evidenza la dimensione comunitaria, la missione e la comune responsabilit, tutti questi impulsi postulano un principio di ordine sociale nel quale trovano equilibrio attraverso la realizzazione della giustizia. Il dibattito sullo statuto epistemologico del diritto canonico si riflette nel dibattito sul metodo della relativa scienza e ci ha prodotto quattro grandi orientamenti: 1) scuola canonistica laica italiana, il diritto in funzione della giustizia quindi la scienza canonistica deve avere la stessa funzione della scienza giuridica, cio il canonista deve far ricorso alle categorie concettuali ed agli strumenti elaborati dalla scienza giuridica secolare; il diritto canonico scienza giuridica da esplicitarsi con metodo giuridico; 2) scuola di Monaco, parte dalla visione della Chiesa come communio contrapposta a quella della Chiesa come societas e ritiene impossibile luso di categorie della scienza giuridica secolare vista lirriducibilit della Chiesa - mistero a qualsiasi societ umana; lordinamento canonico non pu essere compreso con la ragione bens con la fede, da qui la legge canonica come ordinatio fidei; 3) scuola dellUniversit Gregoriana, ritiene che la scienza canonistica deve tener conto di un duplice piano: quello naturale (luomo in tensione verso la redenzione) e quello soprannaturale, nel contesto di una pienezza escatologica gi operante nella Chiesa visibile ma non ancora compiuta; da qui la necessit che la scienza canonistica elabori un concetto di giustizia superando quello ricavabile sul piano naturale; 4) scuola spagnola di Navarra, anche le dimensioni della Chiesa pi evidentemente lontane dallesperienza giuridica secolare si traducono in relazioni giuridiche ed atti di giustizia; il diritto canonico ha un vero carattere giuridico che si manifesta negli aspetti che testimoniano la sua essenziale originalit. Negli ultimi due orientamenti c uno sforzo di collegare la teologia al diritto, una profonda consapevolezza del carattere di scienza sacra e pure una riaffermazione della giuridicit del diritto canonico e quindi la scienza canonistica non pu che essere scienza giuridica. In conclusione il diritto canonico ha carattere teologico nel senso che solo la teologia pu fornire ragioni di senso, ma la rivendicazione del carattere teologico ci fornisce qualche indicazione ontologica ma non propriamente metodologica. Quindi il diritto canonico, in quanto diritto, non pu essere studiato che con metodo giuridico.

Il tempo e lo spazio
Lesperienza giuridica nel divenire della storia
Parlare di esperienza giuridica nel divenire della storia significa parlare dellevoluzione nel corso di venti secoli del diritto canonico, inteso come insieme di norme (diritto scritto) interpretate e la giurisprudenza (diritto vivente) ma anche inteso come complesso di istituti giuridici ovvero strutture

ecclesiali. La conoscenza e lo studio della storia del diritto canonico sono importanti per due ragioni: la prima di carattere culturale. La storia del diritto canonico svolge una funzione nella formazione della cultura del giurista, ha cio lo scopo di far comprendere i forti nessi tra il diritto e la societ che lo produce e di fargli comprendere inoltre che diritto non solo il diritto positivo dello Stato. Vuole quindi fare del giurista un cultore del diritto. La seconda ragione prettamente storica. Lordinamento canonico si sviluppato dalle origini della Chiesa fino ai giorni nostri senza soluzioni di continuit, gli stati invece si sono sempre modificati nel tempo e con loro i rispettivi ordinamenti giuridici. La soluzione di continuit pu anche essere avvenuta per fattori diversi allinterno della realt statuale; le moderne codificazioni hanno rappresentato sempre una rottura con il passato e sono state lespressione di far diventare storico il diritto vigente sostituendolo con un diritto nuovo. Ad esempio, nel senso della territorialit sono passati dal diritto universale ad un diritto limitato al territorio; nel senso linguistico, dal diritto espresso in latino ad un diritto delle lingue volgari; nel senso culturale, da un diritto legato ad una visione religiosa del mondo e della vita, ad un diritto laico e neutrale. Nel caso del diritto canonico, la Chiesa ha conosciuto mutamenti ed istituzionali ma si sono venuti producendo sempre allinterno dello stesso corpo sociale che non ha conosciuto fratture. La codificazione canonica del 1917, infatti, non stato un atto di rottura con il passato ma la riproposizione del vecchio diritto depurato di quanto era ormai superato e nella nuova forma di codificazione che serviva a sistemare il diritto gi in vigore. La conoscenza della storia non ha solo una valenza culturale ma assolutamente necessaria per il lavoro del giurista, perch ai fini ermeneutica pu risultare necessario o utile conoscere quali furono le ragioni storiche per le quali quella determinata norma fu posta. Il canone 17 del vigente codice detta i criteri dellinterpretazione e dice che le norme sono da intendersi secondo il significato proprio delle parole considerato nel testo e nel contesto, inoltre se esse rimanessero dubbie o oscure, si deve ricorrere ai luoghi paralleli, se ce ne sono, al fine e alle circostanze della legge e allintendimento del legislatore.

Le stagioni del diritto canonico


Lesperienza giuridica canonistica si divide in quattro grandi periodi. Questa periodizzazione mette in evidenza un singolare fenomeno di accelerazione, cio i periodi non hanno la stessa lunghezza temporale ma sono segmenti di tempo sempre pi brevi. Il primo periodo detto pregrazianeo e abbraccia il primo millennio di vita della Chiesa, il secondo detto classico e va dal XII al XVI secolo, il terzo detto moderno e riguarda dal secolo XVII al secolo XIX, il quarto detto periodo contemporaneo e si estende per tutto il secolo XX fino ai giorni nostri. Questa accelerazione dipende sicuramente dalla necessit per lordinamento giuridico della Chiesa di adeguarsi, ma anche lespressione di societ umane in sempre pi rapida trasformazione. Il primo millennio chiamato periodo pregrazianeo perch precede lopera di Graziano. Nei primi tre secoli, dalle origini della Chiesa allEditto di Costantino (313), grazie a questultimo cessarono le persecuzioni contro i cristiani e il cristianesimo divenne religio licita nellimpero romano, inoltre le basi fondamentali del diritto canonico sono costituite dal diritto divino ricavabile dalla Sacra Scrittura e dagli altri scritti neotestamentari. Una rappresentazione della vita della primitiva comunit cristiana e le sue regole non scritte si trova negli Atti degli Apostoli, testo degli anni 80 d.C. Altre fonti scritte si trovano nella letteratura antica, dai Padri apostolici ai Padri della Chiesa. Unaltra importantissima fonte la Tradizione, cio gli insegnamenti degli Apostoli e dei loro successori. Il diritto delle prime comunit cristiane era essenziale, poco normato, debitore in molte parti del diritto ebraico. Ma le diverse comunit cristiane sparse in Medio Oriente iniziarono subito ad avere proprie tradizioni liturgiche e propri stili di vita, basta ricordare la famosa controversia sullammissibilit dei pagani nella Chiesa che vide convergere le posizioni di Pietro e di Paolo nel primo Concilio, il Concilio di Gerusalemme fra il 48 ed il 50 d.C. Lespansione del cristianesimo in Occidente lo porta a contatto con il mondo romano e il diritto canonico inizi ad acquisire elementi giuridici tratti dallesperienza romanistica. La strutturazione della Chiesa in Chiese particolari territorialmente individuate porta ai primi nuclei di una legislazione locale ad opera dei Vescovi. Le prime opere per poter ricostruire la disciplina della comunit ecclesiale sono per lOriente la Didach o Doctrina duodecim apostolorum del II secolo (si ricorda anche la Didascalia nella seconda met del III secolo) e per lOccidente la Traditio Apostolica di s. Ippolito scritta in greco a Roma intorno al 218. Queste opere furono un modello per altre ed erano tutte caratterizzate dagli stessi elementi: una non distinzione tra norme giuridiche e norme morali; lattenzione verso il culto e i sacramenti; la convivenza fra Chiesa carismatica e Chiesa istituzionale. A partire dalleditto di Teodosio o Costantinopoli (380) la religione

cristiana divenne la religione ufficiale dellimpero romano, si attiva allora una importante esperienza conciliare per far fronte alle nuove esigenze di una comunit cristiana progressivamente crescente. I Concili sono riunioni di Vescovi di una determinata regione o addirittura di tutti i vescovi (Concili ecumenici) chiamati a risolvere questioni dottrinali e disciplinari. Proprio in questi Concili dal IV secolo si fissa il credo, cio la formulazione esatta del dogma cristiano, e anche le regole giuridiche dette canoni. Le prime raccolte di decisioni conciliari e di canoni iniziarono in questo periodo, una delle pi importanti fu quella commissionata a Dionigi il Piccolo dal Papa e redatta tra la fine del V secolo ed i primi decenni del VI, chiamata Codex canonum o Corpus canonum, pi tardi nel VIII secolo detta Collectio Dionisio Hadriana perch raccoglie tutte le decisioni conciliari e tutte le lettere decretali dei pontefici romani. Dimostrava inoltre il primato sia di onore sia di giurisdizione del Papa su tutta la Chiesa, attraverso provvedimenti pontifici sia amministrativi sia normativi detti le decretales. Alla fine del VII secolo, con il Concilio Trullano (692), si attiva il processo di separazione tra Chiesa dOriente e Chiesa dOccidente. Lo sviluppo del diritto canonico in Occidente vede nella fine del VI secolo e linizio del seguente la nascita dei Canones poenitentiales apostolorum in Irlanda e in Inghilterra, pur non avendo ancora chiara la distinzione tra morale e diritto e quindi fra peccato e reato fu molto importante per il diritto penale moderno perch introdusse i sistemi di classificazione dei peccati e dei crimini a seconda della gravit, con conseguente graduazione delle pene. Il periodo classico inizia nella met del XIII secolo grazie allapporto dato sia alla scienza sia alla pratica del diritto dal Decretum di Graziano (1140 circa), monaco camaldolese e professore allUniversit di Bologna, che per ragioni didattiche raccolse una molteplicit di fonti canoniche delle quali, di volta in volta, cercava di offrire uninterpretazione coerente. Per tale ragione lopera fu denominata anche Concordia discordantium canonum, proprio perch cercava di rimediare alle contraddizioni tra le varie fonti. Lopera ebbe talmente tanto successo che fu poi incorporata nel Corpus Iuris Canonici, la compilazione di testi normativi come fonte ufficiale del diritto della Chiesa fino alla codificazione canonica del 1917. Il Corpus Iuris Canonici era dunque formato: dal Decretum, dalle Decretales Gregorii IX (1234) o anche dette Liber Extra (raccolta di decretali pontificie in cinque libri curata da s. Raimondo di Penyafort), dal Liber Sextus di Bonifacio VIII (1298), dalle Clementinae cio le decretali di Clemente V (promulgate da Giovanni XXII nel 1317) e da due compilazioni di origine privata dette le Extravagantes Ioannis XXII e le Extravagantes communes (la prima costituzioni di Giovanni XXII e la seconda decretali di diversi pontefici). Queste collezioni furono oggetto di glosse, cio di annotazioni a margine, da parte della dottrina giuridica. La nascita e lo sviluppo delle universit nellet medioevale favor un rigoglioso sviluppo della scienza giuridica in generale, sviluppando anche unampia letteratura giuridica: decretisti (commentatori del Decretum), decretalisti (commentatori delle decretali pontificie), glossatori e commentatori dei testi del diritto romano. Si nota in questo periodo laffermarsi progressivo di un ruolo fondamentale del diritto di origine pontificia, con il parallelo restringersi del diritto particolare cio dei Vescovi diocesani, dei sinodi e dei concili provinciali. Si afferma anche la categoria delle causae maiores cio le questioni di maggior momento riservate alla competenza esclusiva del Pontefice. Il periodo moderno caratterizzato dalle riforme del Concilio di Trento (1545 1565), convocato per rispondere alla grave frattura operata nella Chiesa dOccidente dal moto riformatore di Martin Lutero (1517). Il Concilio vuole rispondere alla Riforma protestante con una Riforma cattolica o Controriforma, adottare cio una serie di provvedimenti sia di carattere dottrinale sia di carattere disciplinare. Vengono emanati perci una serie di decreti destinati a riformare profondamente la vita della Chiesa, a questi si aggiungono gli atti dei Pontefici raccolti in serie cronologica dette Bullarii, le disposizioni amministrative e le decisioni giurisdizionali emanate dai dicasteri e dai tribunali della Curia romana (attraverso i quali, dopo le riforme di Sisto V nel 1588, i Papi governano la Chiesa universale). Il carattere di questo periodo, che va dal XVI al XVIII secolo, lattrazione della vita giuridica della Chiesa a livello romano. Si riducono le autonomie delle Chiese locali e dei Vescovi, il diritto canonico diventa sempre pi diritto pontificio. Anche sul piano dellorganizzazione ecclesiastica assistiamo ad un processo di centralizzazione a Roma per difendere lunit della Chiesa dai pericoli sia dallinterno sia dallesterno, cio dallo Stato sovrano che pretende di essere sopra alla Chiesa. Contro la politica e la legislazione ecclesiastica posta in essere dagli Stati per controllare la Chiesa (giurisdizionalismo), i canonisti rispondono difendendo le libert ecclesiastiche, la non soggezione della Chiesa al potere politico anzi la sua indipendenza da esso poich societ giuridicamente perfetta (societas iuridice perfecta) come lo Stato. Si sviluppa una nuova branca della scienza giuridica canonistica detta diritto pubblico ecclesiastico esterno (ius publicum ecclesiasticum externum) che afferma che Stato e Chiesa sono una temporale e laltra spirituale, societ

giuridicamente perfette per cui una indipendente dallaltra e i loro rapporti devono essere regolati su basi di parit. Il conflitto e poi il distacco tra Chiesa e Stati si riflette in una progressiva separazione del diritto canonico dal diritto secolare che culmina dopo la rivoluzione francese. Infatti il diritto canonico perde il sostegno dei diritti secolari, da questo scaturisce il ricorso del legislatore canonico al moderno istituto della codificazione, gi auspicata nel Concilio Vaticano I, voluta da Pio X e promulgata nel 1917 da Benedetto XV. Lavvento del codex il segno della fine della solidariet tra diritto canonico e diritto degli Stati. Dopo lesperienza della christianitas medioevale, nei moderni Stati assolutistici il diritto canonico si era venuto sviluppando in simbiosi con il diritto statale; il giurisdizionalismo confessionista di quegli Stati aveva nonostante tutto dato appoggio al diritto canonico. La fine dellancien rgime e lavvento dello Stato liberale, separatista, laico aveva marginalizzato ed estromesso il diritto della Chiesa, questo processo negativo si era prodotto proprio con il processo di codificazione. Gli effetti erano stai gravemente negativi. La codificazione per la Chiesa significa una riformulazione del diritto canonico senza la collaborazione del diritto secolare (etsiamsi Respublica non daretur), infatti il pontificato di Pio X segna il massimo isolamento della Santa Sede nelle relazioni internazionali. Il codex esprime un diritto canonico tutto orientato allinterno della societ ecclesiale e tutto riposto nella propria forza interiore, inoltre costituisce il presupposto necessario, insieme alla politica concordataria, perch il diritto canonico tornasse ad essere vigente negli ordinamenti statali. Si compiva una sua reviviscenza nel diritto degli Stati che poco a poco restituivano al diritto canonico il loro appoggio. Il periodo contemporaneo caratterizzato soprattutto dal Concilio Vaticano II, voluto da Giovanni XXIII (1958 1963) insieme alla revisione del codice di diritto canonico. Questa revisione fu manifestata da Giovanni XXIII il 25 gennaio 1959 ai cardinali riuniti presso la basilica di San Paolo fuori le mura, lannuncio veniva poco tempo dopo lelezione del cardinale Roncalli al soglio pontificio e fu avvertito come espressione di un pontificato non destinato alla gestione come si era pensato vista let avanzata del nuovo Pontefice. Al momento dellannuncio Giovanni XXIII aveva parlato di revisione del codice, non di una nuova codificazione tanto che lorganismo appositamente costituito il 28 marzo 1963 fu denominato Pontificia Commissione per la revisione del codice di diritto canonico. A conclusione della prima sessione plenaria della Commissione, avvenuta il 12 novembre 1963, i cardinali avvertirono la necessit di differire i lavori formali per la revisione del codice a dopo la conclusione del Concilio per la previsione che i deliberati conciliari avrebbero potuto incidere. Una delle caratteristiche nel codice di diritto canonico promulgato il 25 gennaio 1983 da Giovanni Paolo II con la costituzione apostolica Sacrae disciplinae leges (in vigore dal 27 novembre dello stesso anno) era la diversit rispetto al codice precedente. Una diversit non solo formale ma anche sostanziale. Il distacco tra nuove e vecchie norme appare pi accentuato tra la codificazione del 1983 e quella del 1917 che non tra questa ed il diritto previdente perch la funzione del codice del 1917 era trasformare nel moderno strumento del codice il complesso delle norme canoniche, viceversa il legislatore del 1983 ha dovuto procedere allarmonizzazione del diritto canonico con i principi del Vaticano II. Lo stesso Giovanni Paolo II, nel corso della cerimonia ufficiale di presentazione del nuovo codice, il 3 febbraio 1983, osservava che i postulati conciliari trovano nel nuovo codice esatti e puntuali riscontri. Nella costituzione apostolica Sacrae disciplinae leges, lo stesso Giovanni Paolo II scriveva: questo nuovo Codice potrebbe intendersi come un grande sforzo di tradurre in linguaggio canonistico questa stessa dottrina, cio la ecclesiologia conciliare, inoltre c un carattere di complementarit tra il Codice e le due Costituzioni, dogmatica Lumen Gentium e pastorale Gaudium et spes. Lo sforzo darmonizzazione del diritto canonico ai principi conciliari ha portato unaccentuazione delle distinzioni e delle particolarit del codice canonico rispetto alle moderne codificazioni civili. I codificatori del 1917 aveva piuttosto avvicinato il diritto canonico ai diritti secolari, con leffetto di segnare il punto storico di pi netta separazione tra la teologia ed il diritto canonico, quindi allopposto un periodo di maggior avvicinamento del diritto canonico ai diritti secolari. Larmonizzazione seguiva alcune linee direttive individuate dalla Commissione per la revisione del codice di diritto canonico e sottoposte, per ordine di Paolo VI, allo studio del Sinodo dei Vescovi del 1967. Si tratta dei Principia quae Codicis Iuris Canonici recognitionem proponuntur, approvati dallassemblea sinodale il 7 ottobre 1967. La revisione del codice avrebbe dovuto: tenere lindole giuridica del codice; assicurare uno stretto coordinamento tra foro esterno e foro interno; accentuare il carattere pastorale del diritto della Chiesa; conferire in via ordinaria ai Vescovi diocesani della facolt di dispensa dalle leggi generali, riservando alla suprema autorit della Chiesa universale e alle altre autorit superiori quelle cause che esigano uneccezione al principio della concessione; applicare nella Chiesa il principio di sussidiariet; migliorare la definizione e la tutela dei diritti della persona; distinguere meglio le funzioni della potest ecclesiastica

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e curare particolarmente il diritto processuale; rivedere il principio della permanenza dellindole territoriale nellesercizio del governo ecclesiastico; mantenere il diritto penale, ma con generale riduzione delle sanzioni canoniche a pene ferendae sententiae, da infliggersi solo nel foro esterno, ed eliminazione al massimo delle pene latae sententiae. Il testo del nuovo codice promulgato nel 1983 manifesta una sostanziale e rigorosa fedelt a queste linee direttive.

Occidente ed Oriente
Il diritto canonico contiene due grandi tradizioni: quella Occidentale, la Chiesa latina, e quella Orientale, le Chiese sui iuris orientali cattoliche. Queste ultime sono state riconosciute in epoche diverse dalla suprema autorit della Chiesa cattolica. Da queste si distinguono le Chiese ortodosse, cio quelle Chiese cristiane che non sono in comunione con la Chiesa cattolica, dalla quale si staccarono con lo scisma del 1054, dopo le reciproche scomuniche di papa Leone IX e del patriarca di Costantinopoli Michele Cerulario. In realt lo scisma fu il punto di arrivo di un processo di allontanamento iniziato gi nel VII secolo, quando la Chiesa bizantina riunita nel concilio Trullano (691 692) eman delle disposizioni che non furono recepite in Occidente. Inoltre influ la vicenda storico politica della divisione dellimpero romano nelle due espressioni dOccidente e di Oriente, la prima destinata ad avere vita breve (crollo nel 476 d.C.) la seconda invece vita molto pi lunga (crollo 1453). La frantumazione dellunit politica dellimpero romano divenuto cristiano poneva per in crisi lidea che allunico regno celeste dovesse corrispondere un unico regno terrestre, ma dal punto di vista pratico avviava i processi di riorganizzazione istituzionale e giuridico - politica tra le due realt del sacro romano impero in Occidente e limpero bizantino in Oriente. La Chiesa cattolica dunque esprime al proprio interno due tradizioni: la Chiesa latina, come organismo unitario e centralizzato, in Oriente una pluralit di Chiese ognuna delle quali si distingue per rito, cio per patrimonio liturgico, teologico, spirituale e disciplinare. Nel lungo corso della storia determinate comunit di fedeli hanno strutturato un proprio modo di vivere ed esprimere la comune fede cristiana producendo di conseguenza un diritto canonico proprio. Le tradizioni cui le ventuno Chiese cattoliche di rito orientale si riallacciano sono sostanzialmente cinque: Alessandrina, Antiochena, Costantinopolitana, Armena e Caldea. I riti si strutturano giuridicamente in Chiese dette sui iuris o autonome avente ciascuna il proprio diritto, questi diritti particolari trovano riferimento comune nel Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium promulgato da Giovanni Paolo II il primo ottobre 1990. Per capire il rapporto tra Chiesa latina e Chiese orientali richiamiamo alcuni documenti del Concilio Vaticano II. Ad esempio nel decreto Orientalium Ecclesiarum (1964) si dice che la Chiesa santa e cattolica si compone di fedeli, uniti nello Spirito Santo dalla stessa fede, dagli stessi sacramenti e dallo stesso governo. Nella costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium (1964) si dice che per divina provvidenza avvenuto che varie Chiese, durante i secoli, si sono costituite in molti gruppi, i quali godono di una proprio disciplina, di un proprio uso liturgico, di un patrimonio teologico e spirituale proprio. Le antiche Chiese patriarcali ne hanno generato altre che sono come loro figlie. Il rapporto tra unit e pluralismo ecclesiale evidenziato dai due documenti dove si afferma che nella comunione ecclesiastica vi sono legittimamente delle Chiese particolari che godono di proprie tradizioni; nella loro particolarit esse sono tuttavia ugualmente affidate al pastorale governo del Romano Pontefice. La Chiesa cattolica universale nella propria unit si distingue in riti e quindi in Chiese sui iuris. Allinterno di questo sistema il codex iuris canonici riguarda la sola Chiesa latina, il codex canonum ecclesiarum orentalium riguarda tutte e sole le Chiese orientali cattoliche.

Unit e variet
Lazione missionaria o implantatio Ecclesiae, che segue le grandi scoperte geografiche dellinizio dellera moderna (1492), ha un influsso sugli sviluppi del diritto canonico. Le scoperte geografiche segnano il passaggio dallet di mezzo allet moderna e creano una nuova espansione missionaria, dopo la prima dellet cristiana ad opera di Paolo verso i gentili e la seconda dellet medioevale verso gli anglosassoni e gli slavi. I metodi missionari della terza erano nuovi perch legati a differenti condizioni ambientali, sociali, culturali e politiche, perci nuovi erano anche gli strumenti giuridico istituzionali. La vita interna della Chiesa, insieme allaccentramento romano del governo, vede due diverse modalit di reggimento del popolo di Dio: una tradizionale, nei Paesi dantica cristianit; laltra pi innovativa ed elastica, nei Paesi di missione. Nascono nuove prassi di governo sia per la produzione normativa sia per lamministrazione, favorendo la nascita di nuove norme e nuovi istituti. Si forma quindi una branca specialistica del diritto canonico denominata diritto canonico missionario (ius missionarium). Un esempio listituzione dei vicari apostolici, figura istituzionale per

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poter provvedere al governo ecclesiastico delle Chiese particolari nei territori di missione. Questi prelati hanno la stessa dignit e potest dei Vescovi diocesani, potevano essere nominati direttamente dalla Santa Sede senza formale violazione delle prerogative regie. Al governo della Chiesa locale attraverso lordinaria gerarchia si sostituiva un governo accentrato nella Sede Apolitica che non poteva essere soggetto alla giurisdizione regia e che veniva espletato attraverso vicari. La progressiva accentuazione di una concezione personalistica e non territorialistica delle Chiese locali nei territori di missione, da un punto di vista storico rispondeva allesigenza di emancipazione e dal punto di vista ecclesiologico e giuridico veniva ad introdurre significativi elementi di novit. Lintroduzione nei territori di missione di forme governo diverse ed originali immette nel diritto canonico e nella stessa ecclesiologia quellidea della Chiesa locale come comunit di persone, anzich come realt istituzionale legata ad un territorio. Un altro esempio dellinfluenza del diritto missionario il regime giuridico delle persone fisiche. Infatti nasce una nuova attenzione ai problemi del reclutamento e della formazione del clero, motivata dalla reazione ai condizionamenti delle grandi potenze coloniali che tendevano ad avere nelle missioni un clero nazionale, fedele al proprio Paese. Viceversa alla Chiesa interessava favorire limpegno missionario di un clero che fosse zelante nellopera apostolica e fedele alla Santa Sede, da qui lavvento del clero indigeno considerato anche pi idoneo per portare il messaggio evangelico. Inoltre si parla anche della condizione giuridica dei non battezzati che venivano chiamati ancora infedeli. Dal punto di vista istituzionale lespansione missionaria, che inizia alla fine del XV secolo, porta delle modifiche negli organi di governo della Chiesa universale. Con la costituzione apostolica Inscrutabili divinae Providentiae del 22 giugno 1622, Gregorio XV istituisce la Congregazione de Propaganda fide destinata ad organizzare e sostenere la propagazione della fede cristiana. Aveva una duplice funzione: diffondere la religione cattolica presso gli infedeli (missio ad gentes) e tutelare il sacro patrimonio della fede nelle regioni europee devastate dalleresia (missio ad intra). Ha sviluppato essenzialmente la prima. Sin dal 1623 comincer ad esercitare il governo delle missioni in maniera esclusiva, assommando tutte le funzioni ordinariamente ripartite, ecco perch questo dicastero detto ceteras Congregationes habet in ventre. Le attribuzioni della Congregazione non si limitavano allesercizio di funzioni amministrative ma si estendevano anche alla funzione legislativa, avendo il potere di emanare decreti generali aventi forza di legge. Lattribuzione di poteri senza la contestuale revoca dei privilegi concessi precedentemente alle corone spagnola e portoghese port un conflitto con il Patronato, il complesso di diritti e di obblighi che la Santa Sede aveva dato loro dalla met del XV secolo affidando la parte orientale al Portogallo e la parte occidentale alla Spagna. Si crea insomma una situazione di concorrenza tra due diverse autorit: quella ecclesiastica e quella regia. Gli argomenti principali del conflitto erano: la libert di accesso dei rappresentanti di Propaganda e dei missionari nelle terre di missione; il placet regio agli atti dellautorit ecclesiastica; lo ius nominandi dei Vescovi da parte del sovrano; lestensione dei privilegi concessi dai Pontefici ai sovrani iberici. Allinizio si cerc di armonizzare le due differenti competenze ma questesperienza di collaborazione dur poco. Il conflitto tra le due autorit era in realt sussistente in re ipsa, non potendosi armonizzare due potest concorrenti. La Congregazione, pur nel formale rispetto degli jura maiestatica circa sacra, reagisce con lemancipazione dellazione missionaria e della vita delle giovani Chiese nei Paesi extraeuropei dai limiti e dagli impedimenti di Patronato. Queste controversie portano quindi la nascita di un nuovo diritto canonico. Certamente questi avvenimenti accentuano il passaggio del diritto canonico a prevalente diritto pontificio. Dopo let medioevale, con il principio della plenitudo potestatis, e dopo la svolta Tridentina, che accentua la teologia delluniversalit della Chiesa e laccentramento del suo governo, lesperienza missionaria costituisce la frontiera avanzata della sperimentazione di un diritto canonico di produzione pontificia. Lo ius missionarium nasco come diritto speciale rispetto al diritto generale e comune, il diritto canonico. Le sue norme ed i suoi istituti per hanno una notevole influenza sul diritto generale, infatti questultimo risulta essere lestensione alla generalit della comunit dei fedeli di norme ed istituti nati nellambito dello ius canonicum missionarium. Questo segna una prima svolta in senso spiritualista del diritto, la seconda sar con la codificazione del 1917 e con la codificazione latina del 1983, con questultima il diritto missionario sembra scomparire dando luogo alla pi generale estensione di un diritto comune divenuto poi pi missionario. Le controversie giurisdizionalistiche del Patronato costituiscono un ripensamento sul senso e sul fine del diritto nella Chiesa: quello della sua finalizzazione pastorale, della sua strumentalit alla salus animarum.

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Diritto divino e diritto umano


Le fonti del diritto canonico
Con il termine fonti si possono indicare varie realt: fonti di produzione, fonti di cognizione, fonti storiche. Le fonti di produzione, o fontes existendi, sono sia gli organi e le procedure attraverso le quali vengono prodotte le norme canoniche, sia le forme che tali norme assumono. Quindi la posizione di assoluta preminenza tenuta dalle leggi, che possono distinguersi: a) per autore: pontificie (Papa), conciliari (concilio ecumenico), sinodali, episcopali (vescovo), capitolari; b) per tipologia: universali (dirette a tutti i fedeli cattolici) e particolari (dirette ad una categoria di persone o ad un luogo), generali (norme per tutti) e speciali (riguardano una materia nello specifico), territoriali (le circostanze territoriali sono le diocesi con a capo il vescovo) e personali (nella Chiesa esistono delle situazioni particolari di cui lordinamento deve tener conto, ad esempio tra cattolici di rito diverso che vivono nella stesso territorio la legge si applica in base al rito di appartenenza). Alla legge si aggiunge la consuetudine (diritto oggettivo non scritto), prodotta da una determinata comunit organizzata attraverso la perenne osservanza (elemento oggettivo), rafforzata dal convincimento generale della sua giuridicit e della sua necessit, opinio iuris ac necessitatis (elemento soggettivo). Si concede ampio spazio alla consuetudine che non deve essere contro il diritto divino ma secundum legem o praeter legem cio al di l del diritto se il diritto non c. Tra le fonti si aggiunge anche la giurisprudenza, cio le sentenza pronunciate dai competenti organi giudiziari della Chiesa ovvero la Segnatura Apostolica, la Rota romana, i Tribunali ecclesiastici diocesani e metropolitani. Il giudice chiamato ad applicare la legge, non potendo creare nuove norme, ma opera in un ordinamento aperto al diritto divino naturale e positivo, quindi il giudice ecclesiastico non legato solo al diritto formalmente prodotto dal legislatore ma tenuto ad applicare nel proprio giudizio il diritto divino. Questo pu condurre fino alla disapplicazione di una norma di diritto positivo, il caso della aequitas canonica, istituto che ha una funzione correttiva della legge quando la sua applicazione in casi concreti produttrice di ingiustizia o contrasta con lo spirito di carit e le esigenze spirituali dellordinamento canonico. Quindi la giurisprudenza, intesa come interpretare ed applicare la legge canonica ai casi concreti, ha una certa rilevanza normativa; infatti il diritto canonico si avvicina molto alla regola giurisprudenziale tipica degli ordinamenti giuridici di common law. In particolare sono i tribunali pontifici della Segnatura Apostolica e della Rota romana ad avere questa rilevanza normativa. Anche la dottrina canonistica pu diventare fonte normativa sussidiaria, nel caso di lacune dellordinamento il parere costante e comune dei canonisti (insieme allanalogia, ai principi generali del diritto, alla giurisprudenza, alla prassi della Curia romana) pu costituire criterio per decidere una causa purch non sia un giudizio penale. Le fonti di cognizione, invece, sono le raccolte e i documenti nei quali sono contenute le norme canoniche; le raccolte pi importanti sono il codice di diritto canonico ed il codice dei canoni delle Chiese orientali. Le fonti storiche sono le raccolte nelle quali sono contenute le norme canoniche prodotte via via nel corso del tempo ma non pi in vigore (ius vetus); le raccolte pi importanti sono il Corpus Iuris Canonici e il codice di diritto canonico del 1917. Nel diritto canonico le leggi previgenti sono molto importanti perch lordinamento giuridico della Chiesa si venuto evolvendo senza soluzione di continuit e molto spesso per interpretare correttamente una disposizione risulta utile conoscerne le ragioni originarie.

Il diritto divino naturale e positivo


La particolarit dellordinamento giuridico della Chiesa che ha alla sua base il diritto divino, cio un complesso di norme che non sono state poste dal legislatore ecclesiastico, cio da unautorit umana, ma da questa sono fatte valere. In ragione delle modalit con le quali queste norme sono

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state prodotte e dei destinatari, le possiamo distinguere in diritto divino naturale, o diritto naturale, e diritto divino positivo, o diritto divino rivelato. Il diritto naturale dato dallinsieme di principi non scritti che sono stati impressi da Dio nella coscienza delluomo e che hanno valore universale. Questo diritto caratterizzato dalla metapositivit, cio la sussistenza prima ed a prescindere da qualsiasi legislatore positivo, dalla intrinseca validit, vige a prescindere da tutto, dalla assiologia superiorit rispetto al diritto positivo, da una superiore obbligatoriet derivante dalla sua origine divina e non umana. Il diritto naturale non pu non riguardare anche quella societ di uomini costituita dai battezzati nella Chiesa cattolica, chiamata necessariamente a vivere secondo le regole naturali dogni formazione sociale. La Chiesa quindi realt spirituale che si incarna in un organismo sociale e non sottratta alle norme che per natura caratterizzano la vita dei corpi sociali. Un esempio di diritto naturale sono sicuramente i diritti umani, cio le spettanze che ad ogni uomo vanno riconosciute in ragione della dignit della persona umana, come il diritto ad essere immuni da qualsiasi costrizione nella scelta dello stato di vita o dal diritto al buon nome e alla salvaguardia della vita privata (can. 219 e can. 220), altro caso quello del riconoscimento dello ius connubii cio diritto di contrarre matrimonio (can. 1058). Il diritto divino positivo costituito dalle norme che sono state manifestate dalla Rivelazione divina e sono quindi ricavabili dallAntico e dal Nuovo Testamento, nonch dalla Tradizione Apostolica. Tra diritto naturale e diritto divino positivo pu esserci un nesso poich il secondo ribadisce ed esplicita precetti che sono propri del primo, come ad esempio lindissolubilit del matrimonio un precetto di diritto naturale ma nel matrimonio-sacramento lindissolubilit diviene assoluta per un precetto di diritto divino positivo. Questo un insegnamento tratto direttamente dal racconto della creazione contenuto nellAntico Testamento nel libro della Genesi, qui la parola della fede illumina la realt naturale, sottolinea la valenza unitiva del matrimonio e ne evidenzia le essenziali propriet dellunit e dellindissolubilit. NellAntico Testamento la previsione della legislazione mosaica, che ammetteva in alcuni casi il ripudio, risulta un parziale abbandono del rigore del progetto originario causato dalla durezza del cuore. Dal complesso dei testi che toccano la questione emerge la coscienza nel popolo ebraico della mancata fede al progetto originario e una sensibilit per il divorzio che viene avvertito come un male tollerato. Tutto il contesto dominato dallidea delluna caro contenuta nel racconto biblico che offre il senso della struttura esistenziale del matrimonio. I Vangeli invece sono categorici nella condanna del divorzio, ma bene notare che la predicazione di Ges non era volta ad affermare una normativa pi rigorosa in materia, in realt tende a riaffermare loriginale progetto del Creatore sul matrimonio, cio restaurare il precetto di diritto naturale sullindissolubilit del matrimonio (lettere di Paolo). Tra diritto naturale e diritto divino positivo possono anche non esserci nessi nel senso che il diritto divino positivo non vuole innovare il diritto naturale ma porre principi che vanno al di l di questo. Un caso sono le norme che riguardano la Chiesa e la conformano secondo la volont del suo Divino Fondatore, come ad esempio il carattere gerarchico che vede due soggetti di suprema autorit congiunti in ununit organica: il Romano Pontefice e il Collegio episcopale (composto dai Vescovi) il cui capo il Pontefice (cann. 330, 331, 336). Al diritto divino positivo attiene anche la missione della Chiesa cio annunciare la verit rivelata (can. 747), ovvero i mezzi con cui la Chiesa chiamata ad operare cio i sacramenti che sono segni e mezzi mediante i quali la fede viene espressa e irrobustita. Al diritto divino positivo si riconducono il complesso di diritti e doveri soprannaturali che si riferiscono non alla persona in quanto tale ma in quanto incorporata a Cristo mediante il battesimo (can. 96). Dunque il diritto divino positivo dato dallinsieme di principi che sono intimamente e strutturalmente connessi con la Chiesa in quanto entit fondata da Cristo, il quale ha dato precise finalit da perseguire nel tempo, i mezzi da utilizzare, le regole fondamentali di governo ed i criteri di appartenenza. Questi principi sono essenziali perch determinano la struttura e il funzionamento della costituzione della Chiesa, irriformabili perch posti dal legislatore divino. La Chiesa non inquadrabile nelle due grandi configurazioni in cui la dottrina giuridica riconduce la realt artificiale delle persone morali, associazione e fondazione, ma partecipa sia ad una sia allaltra senza essere n luna n laltra. In parte riconducibile alla figura dellassociazione perch sociologicamente costituita da un gruppo organizzato di persone ma la sua esistenza, le sue finalit, i mezzi, le condizioni per farne parte, le regole di organizzazione, non sono determinate dalla volont degli associati; in parte una fondazione perch un ente che ha finalit e mezzi determinati dalla figura del Fondatore ma caratterizzata da una base personale e non patrimoniale. Il diritto divino positivo immodificabile, ma ci non significa che non possa essere oggetto di approfondimenti, compito che spetta al Magistero ecclesiastico (can. 750) che segue la Tradizione apostolica e tiene conto della prassi secolare della Chiesa, dello stesso convincimento diffuso nella

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comunit ecclesiale (sensus fidei). Il problema si pone quando il diritto divino (naturale e rivelato) viene ad avere vigenza nellordinamento canonico. In passato con la concezione positivistica si riteneva che i principi e le disposizioni di diritto divino entrassero a far parte dellordinamento tramite un atto di volont del legislatore ecclesiastico (canonizzazione). Questa concezione in realt infondata perch il diritto divino vige in quanto tale a prescindere da qualsivoglia volont di legislatore umano. Il diritto divino e il diritto umano non devono essere inquadrati come due ordini giuridici distinti ma in termini di esplicitazione sul piano del diritto umano dei principi di diritto divino, cio il diritto umano una sorta di trasposizione dei principi del diritto divino, il quale vigente, sovraordinato al diritto umano e dotato di una superiore obbligatoriet. Il Concilio Vaticano II esprime un ripensamento delle tradizionali teoriche dottrinali dando vita a due fondamentali orientamenti: la scuola canonistica di ispirazione teologica e la scuola spagnola di Navarra. La prima pone una netta separazione tra diritto divino e diritto umano ecclesiastico ma in direzione opposta rispetto alla tesi della canonizzazione, assorbendo interamente il diritto divino nella teologia. La seconda pone una teoria che prospetta il rapporto tra diritto divino e diritto umano come un processo di progressivo approfondimento e recezione dei contenuti del primo delle norme positive attraverso il passaggio da una prima fase (positivazione) caratterizzata dalla presa di coscienza ecclesiale dei contenuti del diritto divino, ad una successiva in cui tali contenuti vengono formalmente inseriti nellordinamento giuridico (formalizzazione). Il diritto umano rappresentata nel divenire della storia la perenne tensione del legislatore ecclesiastico ad uniformarsi modello, cio il costante tentativo di realizzare modalit di esercizio dei diritti e dei doveri che da esso derivano.

Il diritto umano o ecclesiastico


Altra fonte del diritto canonico il diritto umano o ecclesiastico, cio il diritto posto dai soggetti competenti nella Chiesa. In quanto posto dallautorit umana storicamente contingente e mutevole; sempre perfettibile ma risulta vincolato al rispetto assoluto del diritto divino naturale e positivo, infatti nel caso in cui lo contraddice sarebbe una disposizione illegittima, da far venir meno. Solo alle disposizioni di diritto umano si applicano gli istituti che rendono elastico il diritto canonico, cio la grazia, la dispensa, la tolleranza, lequit canonica. Se il diritto umano di produzione umana dovesse divenire nel caso concreto impedimento al bene spirituale o addirittura occasione di peccato, lautorit che ha posto la norma non solo pu ma deve disapplicarla perch ci sarebbe la violazione da parte del diritto canonico della finalit suprema della Chiesa (salus animarum). Quindi gli istituti che danno elasticit al diritto canonico non potranno mai trovare applicazione nel diritto divino. Il diritto umano o ecclesiastico posto ordinariamente nelle leggi ecclesiastiche (can. 7 ss) anche con altri atti come i decreti generali legislativi (can. 29). Queste leggi si distinguono in leggi generali, universali e quindi comuni a tutti, e leggi particolari o speciali. Le prime sono poste dal supremo legislatore nella Chiesa; le seconde sono ordinariamente poste dal Vescovo diocesano, dalla Conferenza episcopale o dal Concilio particolare, infatti la loro efficacia limitata ad un territorio o ad una specifica comunit di persone. Ma anche il supremo legislatore pu emanare leggi particolari, come per disciplinare una specifica materia con delle norme speciali: ad esempio i processi di beatificazione e canonizzazione, che non sono disciplinati dalle norme generali ma da una legge pontificia particolare (can. 1403). Il rapporto tra leggi universali e leggi particolari regolato secondo un rigoroso principio di gerarchia: se le leggi particolari sono poste dal supremo legislatore ecclesiastico, esse prevalgono; se invece la legge particolare posta dal legislatore inferiore, non pu abrogare n derogare la legge universale che prevale. Nel can. 135 infatti si precisa che da parte del legislatore inferiore non pu essere data validamente una legge contraria al diritto superiore. Per quanto riguarda le leggi gerarchicamente pariordinate vale il principio secondo cui la legge posteriore abroga la precedente o deroga alla medesima (can. 20). Le leggi canoniche normalmente sono territoriali, cio i destinatari vengono ordinariamente individuati secondo il criterio territoriale (secondo i canoni 12 13 le norme universali sono rivolte a tutti, le norme particolari sono rivolte in un determinato territorio), tuttavia esistono leggi personali i cui destinatari sono individuati con il criterio personale. Le leggi canoniche devono essere promulgate (rese pubbliche) ed entrano in vigore dopo un periodo di tempo detto vacatio legis; le leggi universali, cio poste dal Pontefice, sono pubblicate sul bollettino ufficiale denominato Acta Apostolicae Sedis e dopo un periodo di vacatio legis di tre mesi entrano in vigore. La consuetudine pu avere forza di legge ma necessario che la condotta in cui si attualizza sia stata osservata da una comunit capace almeno di ricevere una legge (can. 25), che sia ragionevole e non in contrasto con il diritto divino (can. 24), che non sia stata espressamente approvata dal legislatore (can. 23) e

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che il comportamento, ritenuto giusto e dovuto, sia osservato per tempo stabilito (can. 26). Inoltre la consuetudine ha forza di legge quando praeter legem, cio quando disciplina una materia non normata dal legislatore, infatti la consuetudine contra legem considerata illegittima mentre la consuetudine secundum legem considerata come il migliore interprete della legge (can. 27).

Se la Chiesa abbia una Costituzione


A livello giuridico le costituzioni sono ci che attiene alle grandi rivoluzioni (americana e francese) che segnano la reazione allo Stato assoluto, cio lo Stato nella figura del re (ltat cest moi) al di sopra della legge (legibus solutus) senza divisione dei poteri. Nellantichit non era cos poich si riconoscevano dei limiti alla legge (es. Antigone). A livello di pensiero invece la societ reagisce in due modi diversi: con il giusnaturalismo, cio lesistenza del diritto naturale come diritto razionale, a prescindere dallesistenza di Dio (ragionare come se Dio non fosse), e con lilluminismo giuridico, nato con lidea del contratto sociale di Rousseau secondo cui lautorit ha il potere che il popolo sovrano gli delega. In questo secondo orientamento troviamo un autore molto importante, Cesare Beccaria che scrisse Dei delitti e delle pene in cui vuole arrivare al diritto penale moderno per cui la legge predetermina i reati e la rispettiva sanzione; inoltre parla della pena di morte e si pone contro poich lo Stato non ha il diritto di uccidere perch il popolo non gli ha concesso questo diritto e lo Stato non ha pi potere assoluto. Abbiamo detto invece che a livello giuridico appaiono le costituzioni con lidea di una legge fondamentale nella quale sono garantiti i diritti della persona e sono delineati i termini della procedura, cio la divisione dei tre poteri. Tutto questo per costituire un limite al potere dello Stato, ora diventato persona giuridica. Il diritto canonico caratterizzato da un lato dalla rigidit del corpus legum, la meta finale determina e condiziona lordinamento giuridico, dallaltro dallestrema adattabilit alle esigenze di tempo e luogo. Potrebbe apparire come un contrasto insanabile tra limmobilit statuaria della meta e la voluta mobilit delle forme della carovana (Le Bras) ma se osserviamo con attenzione svela la singolare economia fra divino ed umano che tutto pervade. Il passaggio dalla piccola comunit di Gerusalemme delle origini allimmensa congregatio fidelium e communio ecclesiarum che compongono oggi la Chiesa avviene nel tempo attraverso complessi sviluppi giuridici che non possono sfuggire allattenzione del canonista e dello storico, chiamati a cogliere i punti di equilibrio tra limmobilit statuaria della meta e la mobilit delle forme della carovana. A questo punto si pone il quesito se la Chiesa abbia o meno una Costituzione. Se per Costituzione si intende, in una prospettiva ideologico politica, la legge fondamentale che ha tra i suoi caratteri la partecipazione popolare alla sua formazione, allora la risposta sar negativa. Infatti la Chiesa una comunit di fedeli, ma la sua istituzione, le sue finalit e i mezzi non provengono dalla volont del popolo dei fedeli ma da quella del suo Fondatore. Se invece per Costituzione si intende, dal punto di vista giuridico formale, linsieme dei principi che sono al vertice del sistema normativo di un ordinamento primario, allora la risposta sar positiva. Questa Costituzione della Chiesa presenta alcune caratteristiche: innanzitutto non scritta o materiale. Infatti le fonti del diritto canonico positivo sono numerose, ma il loro nucleo essenziale dato dalle norme di diritto divino positivo contenute nella Rivelazione. Questo carattere per assolutamente originale perch attualmente la maggior parte delle Costituzioni sono scritte, il caso pi celebre di Costituzione non scritta quello dellInghilterra. Durante il Concilio Vaticano II nasce il problema di una formalizzazione della Costituzione promossa da Paolo VI nel 1965 richiamando la singolarit dellordinamento giuridico della Chiesa data la sussistenza di due codici: quello latino e quello orientale. Si pens quindi di elaborare un testo comune e fondamentale ma la preoccupazione era quella di garantire una cornice giuridica unitaria. Vennero elaborati una serie di progetti di legge fondamentale della Chiesa, Lex Ecclesiae fundamentalis, che per ricevettero molte critiche per vari motivi: la possibilit di trasferire al diritto canonico uno strumento ideologicamente caratterizzato come quello della Costituzione, che nasce sul presupposto di una sovranit popolare; la compatibilit del carattere rigido delle costituzioni contemporanee con il peculiare aspetto gerarchico della Chiesa; il fondamento teologico e giuridico della Lex; linserimento in essa del solo diritto divino o anche del diritto umano; la configurabilit di diritti e doveri fondamentali dei fedeli. Giovanni Paolo II decise di non proseguire con il progetto ed una parte dei canoni (relativa ai diritti e doveri dei fedeli) furono inseriti nel codice del 1983. Unaltra caratteristica della Costituzione della Chiesa la sua particolarit sotto il profilo della modificabilit. Le Costituzioni degli Stati possono essere flessibili, cio modificabili con la legge ordinaria, o rigide, cio modificabili solo attraverso un procedimento speciale ed aggravato. In altre parole, quando la Costituzione al vertice nella

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gerarchia delle fonti e ha una procedura speciale per essere modificata detta rigida, se invece la Costituzione sempre al vertice ma ha la stessa forza della norma ordinaria detta flessibile perch si basa sullinterpretazione di una norma che ad esempio abroga una norma costituzionale. Ad esempio la Costituzione italiana rigida poich lart. 138 dispone per le leggi di revisione costituzionale procedure pi complesse. La Costituzione della Chiesa cattolica in parte rigida e in parte flessibile: rigida nella parte di principi e norme di diritto divino; flessibile nella parte di norme poste dal legislatore ecclesiastico. Nella parte rigida troviamo ad esempio le norme che regolano la condizione del Papa come Vescovo della Chiesa di Roma, capo del Collegio dei Vescovi, Vicario di Cristo e Pastore in terra della Chiesa universale, per cui il Papa in forza del suo ufficio ha potest ordinaria suprema, piena, immediata e universale sulla Chiesa (can. 331). Un altro esempio sono le disposizioni sul collegio episcopale, il cui capo il Sommo Pontefice e i cui membri sono i Vescovi, collegio che pure soggetto di suprema e piena potest sulla Chiesa universale (can. 336) che esercita in modo solenne nel Concilio Ecumenico (can. 337). I principi posti dal Divino Fondatore della Chiesa sono irreformabili (non modificabili), da qui lassoluta diversit della Costituzione della Chiesa rispetto alle costituzioni rigide degli Stati: infatti la rigidit di queste ultime relativa giacch possono essere modificate attraverso dei procedimenti speciali, viceversa la rigidit della Costituzione ecclesiale assoluta perch i suoi contenuti fondamentali non possono essere modificati dal legislatore umano. Invece alla parte flessibile appartengono ad esempio le norme riguardanti le Conferenze episcopali, cio forme di organizzazione dellepiscopato di una nazione, affermatesi tra il XIX ed il XX secolo, aventi la funzione di esercitare congiuntamente alcune funzioni pastorali (can. 447). Un altro esempio sono le norme del Sinodo dei Vescovi, organismo rappresentativo del collegio episcopale creato dopo il Concilio Vaticano II per favorire una stretta unione fra il Romano Pontefice e i Vescovi (can. 342). Si tratta quindi di strutture organizzative che sono sorte nel corso della storia per volont del legislatore umano e possono quindi da questo essere nel tempo modificate o soppresse.

Diritto canonico e ius civile


Partendo dal presupposto che gli Stati sovrani negano lesistenza di unaltra autorit sul popolo e sul territorio, diciamo che ogni ordinamento si costruisce attorno a dei valori che lo tengono insieme e lo rendono chiuso alla penetrazione di valori che vengono dallesterno, altrimenti si potrebbe creare contrasto nellordine pubblico, cio una norma non segue quei valori. Ad esempio, in passato in Italia non esistevano norme che regolarizzavano il divorzio, introdotte nel 1970, ma bastava andare allestero per poter ottenere il divorzio ed ecco che si aveva una situazione di contrasto. Infatti esistono diversi modelli di divorzio: divorzio sanzione, lo chiedeva il coniuge incolpevole ed un modello rigoroso; divorzio per mutuo consenso, i coniugi come hanno espresso insieme la volont di sposarsi ora insieme esprimono la volont di separarsi; divorzio rimedio, imposto dal giudice che si rende conto che ricorrono le circostanze previste dalla legge; divorzio ripudio, un modello repressivo e consiste nellallontanamento da parte delluomo nei confronti della donna, quindi unilaterale e rientra solo nel diritto ebraico ed islamico. Ma questi modelli possono essere considerati validi (delibati)? Lorgano destinato a deliberare le sentenze di divorzio esterne, che ovviamente non devono essere in contrasto con lordinamento italiano, la Corte dAppello (ad esempio il divorzio ripudio non considerato valido secondo lart. 3 della Cost. che sancisce il principio di eguaglianza davanti alla legge). Anche il diritto canonico autoreferenziale e chiuso per quanto riguarda le norme, i rapporti tra la Chiesa e lo Stato sono regolati dai concordati, cio degli accordi, oppure dalle norme di diritto internazionale privato. Nel diritto canonico sono frequenti i richiamo allo ius civile o lex civilis, insomma allo ius saeculare, cio il diritto posto dallautorit secolare, in particolare da parte dello Stato. Le ragioni di questi richiami sono diverse. La prima riguarda il problema nei rapporti tra ordinamenti giuridici primari, cio la disciplina da parte di un ordinamento di rapporti che presentano un elemento di estraneit: ad esempio, il caso dei rapporti tra privati che presentano un elemento di estraneit perch intercorrono tra stranieri sul territorio statale o perch hanno ad oggetto beni situati allestero. Si tratta perci dei rapporti che sono oggetto di disciplina del diritto internazionale privato. Anche nei rapporti tra ordinamento canonico e ordinamenti statali si possono porre problemi di questo tipo, quando non sono risolti in via bilaterale convenzionale, il diritto canonico dispone unilateralmente le modalit con cui disciplinare quel determinato rapporto e nel far questo il legislatore canonico pu richiamare una

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disposizione vigente nellordinamento dello Stato e farle avere effetti nellordinamento canonico. La seconda ragione del richiamo data da una differenza: mentre i contatti tra gli ordinamenti statali presuppongono sovranit che insistono su territori diversi e sudditi diversi ma aventi competenza nelle medesime materie, per i contatti tra ordinamento canonico e ordinamenti statali siamo di fronte a due sovranit che si trovano sul medesimo territorio e agiscono su soggetti in parte comuni ma con competenze in materie diverse (materie spirituali per la Chiesa e materie temporali per lo Stato). La Chiesa, societ sovrana nel suo ordine, riconosce la sovranit dello Stato nellordine che a questo proprio, infatti non disciplina materie che attengono allo Stato ma rinvia al diritto secolare. Esistono per delle materie che oggettivamente hanno una valenza sia nel piano temporale sia nel piano spirituale, le cosiddette materie miste (res mixtae o res mixti fori); un esempio tipico dato dal matrimonio, istituto civilmente rilevante ma che se contratto tra battezzati sacramento. Ultima ragione dei rinvii al diritto statale si trova in alcuni casi in cui il diritto canonico rinuncia a disciplinare con proprie norme per evitare il rischio che tale disciplina non produca effetti anche nellordinamento dello Stato sul cui territorio si pone tale situazione. Se la Chiesa avesse interesse che quanto posto nel proprio ordinamento valga anche nellordinamento statale e questo problema non si sia risolto con degli accordi, la Chiesa preferisce utilizzare il diritto statale avendo in questo modo la medesima disciplina in entrambi gli ordinamenti. Ad esempio il can. 1290 dispone che le norme di diritto civile vigenti nel territorio sui contratti e sui pagamenti, siano ugualmente osservate per diritto canonico in materia soggetta alla potest di governo della Chiesa. In questo modo le norme civili divengono anche norme canoniche. Quando il diritto canonico richiama lo ius civile fa riferimento allordinamento giuridico secolare richiamato nella sua totalit, quindi anche norme giuridiche che sono entrate a far parte di questo ordinamento, cio non sono state poste dal legislatore. Il richiamo delle norme secolari pu avvenire con diverse modalit: a) rinvio formale o rinvio non ricettizio, si ha nei casi in cui lordinamento canonico incompetente a disciplinare una certa materia di competenza propria dello Stato e riconosce effetti giuridici alle norme poste da questa. Ad esempio il can. 1059 dispone che il matrimonio dei cattolici retto non soltanto dal diritto divino ma anche da quello canonico, salva la competenza dellautorit civile circa gli effetti puramente civili del matrimonio. b) presupposizione della legge civile da parte del diritto canonico, quando lordinamento canonico prende atto di quanto stato prodotto nellordinamento secolare e a questo riconduce effetti giuridici. Ad esempio il can. 1405 sancisce che il Romano Pontefice ha il diritto esclusivo di giudicare nelle cause spirituali o annesse alle spirituali i capi di Stato, ci significa che il diritto canonico riconosce dalle norme costituzionali chi il Capo dello Stato. c) canonizzazione delle leggi civili, cio le norme civili richiamate vengono assunte come norme canoniche. A differenza del rinvio formale, questo comporta un rinvio mobile alle norme cos che se queste mutano nellordinamento originario, muta anche lordinamento canonico adeguandosi. Le norme civili canonizzate sono assunte nello stesso significato che hanno nellordinamento di origine ma con un preciso limite dettato dal can. 22 secondo cui le leggi civili vengano osservate nel diritto canonico con i medesimi effetti, purch non siamo contrarie al diritto divino e se il diritto canonico non dispone altrimenti. Nel diritto canonico esiste anche la presupposizione, cio quando il diritto canonico non si ricollega ad una norma ma alleffetto: ad esempio, i figli adottati secondo le norme civili sono riconosciuti anche dal diritto canonico. Nel caso di richiami tra diversi ordinamenti statali le modalit sono: a) rinvio materiale: quando lo Stato A prende le norme di uno stato B e le nazionalizza facendole proprie; si ricorre a questo sistema perch porta una fissit della legge. b) rinvio mobile o formale: la norma rimane esterna ma il rinvio alla norma costante. c) presupposizione: fa discendere effetti giuridici nellordinamento dello Stato A con la legge dello Stato B. Il diritto canonico non conosce distinzione tra rinvio materiale e rinvio formale ma le accomuna in un unico istituto detto canonizzazione. In passato ci si pose un problema: le norme di diritto divino (naturale o rivelato) come entrano nellordinamento? Le norme di diritto divino sono riconosciute vigenti senza essere nellordinamento perch non serve che il legislatore le introduca.

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Il popolo di Dio
La struttura sociale: la Chiesa come popolo di Dio
Una delle pi importanti operazioni effettuate dal legislatore canonico la traduzione sul piano del diritto positivo di una categoria del tutto estranea alla tradizione culturale del giurista: la categoria di popolo di Dio assunta dalla codificazione canonica del 1983. Allinizio il giurista vedeva con diffidenza la trasposizione nel codice di una categoria di derivazione biblico patristica, eppure tale categoria fu addirittura assunta tra i principi fondamentali del diritto costituzionale della Chiesa: Libro II del codice canonico del 1983, le norme relative ai fedeli, alla costituzione gerarchica della Chiesa, agli istituti di vita consacrata ed alle societ di vita apostolica, intitolato De populo Dei. La riflessione dottrinale e lesperienza giuridica hanno messo in evidenza le potenzialit sul piano giuridico, infatti la nozione di popolo di Dio non nega la dimensione giuridica della Chiesa e contribuisce a porre in evidenza le particolarit che distinguono lordinamento giuridico della Chiesa dagli ordinamenti giuridici secolari. Il termine popolo fa riferimento allelemento sociale; il riferimento a Dio sta a significare che non si tratta di un popolo qualunque, ma di un popolo costituitosi in seguito alla chiamata divina, nella quale erano predeterminate le finalit, i mezzi con cui perseguirle e lautorit costituita. La Chiesa, quindi, di istituzione divina. Con lassunzione di questa categoria, il legislatore canonico applica lecclesiologia del Concilio Vaticano II (Lumen gentium). Questa categoria comporta una serie di conseguenze: innanzitutto il carattere strumentale o funzionale che il diritto della Chiesa ha, connesso con la dimensione storica ed escatologica di un popolo che vive nella storia ma chiamato a trascenderla. Luniversalit di questo popolo, aperto a tutti, ci comporta per il diritto la singolarit data dal riconoscimento di diritti anche in capo a chi non ancora incorporato nella Chiesa (can. 96); infatti ai non battezzati e ai catecumeni sono riconosciuti alcuni diritti, ad esempio il diritto di libert religiosa (can. 748) o il diritto allistruzione cristiana (can. 788) o ancora il diritto a ricevere il battesimo (can. 843). Lunit di questo popolo, che non nasce da fattori sociologicamente ricorrenti nelle altre societ, ma dalla fede e dalla partecipazione alla vita divina attraverso lazione sacramentale; questo particolare fondamento d ragione delle diverse condizioni personali e discipline giuridiche. La nozione di popolo di Dio d ragione delleguaglianza sostanziale e della diversit funzionale che caratterizza la condizione giuridica delle persone: uguaglianza sul piano della fede, del battesimo, della comune dignit di redenti; diversit sul piano dei carismi, dei ministeri, dellesperienza di fede, sia pure nel quadro di una comune responsabilit nella missione della Chiesa, sulla corresponsabilit di tutti i componenti del popolo di Dio nella vita e nella missione della Chiesa. Dalla diversit sussistente tra i fedeli, sul piano funzionale discende di conseguenza la diversit di diritti e di doveri.

I Christifideles e i diversi stati di vita


I richiami al Concilio Vaticano II sono essenziali per comprendere limpostazione data dal codice vigente alle norme sulle persone. Il libro secondo del codice intitolato Il popolo di Dio si apre con una disposizione che pone una nozione fondamentale: la nozione di christifidelis o fedele. Si trova nel can. 204 e dice che i fedeli sono coloro che sono stati incorporati a Cristo mediante il battesimo e sono costituiti popolo di Dio, inoltre sono chiamati ad attuare, secondo la condizione giuridica di ciascuno, la missione che Dio ha affidato alla Chiesa. Connesso a questo il can. 96 secondo cui mediante il battesimo luomo incorporato alla Chiesa di Cristo, con i doveri e i diritti che ai cristiani sono propri. In passato parte prevalente della dottrina riteneva che il termine persona adottato dal legislatore volesse dire soggetto di diritto; in realt indica lindividuo umano membro della Chiesa. Questo termine quindi non assunto dal legislatore canonico in un senso strettamente tecnico giuridico, in effetti dal punto di vista formale il can. 96 parla di persona nella Chiesa di Cristo e non di persona in diritto canonico, quindi il soggetto di diritto nellordinamento canonico non solo il battezzato. I non battezzati non godono della piena capacit giuridica nellordinamento canonico ma

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tuttavia hanno una soggettivit giuridica canonica perch sono destinatari di norme canoniche: ad esempio richiedere e ricevere il battesimo, che riflette la volont di Cristo a che tutti gli uomini siano salvi (can. 864). Esistono poi delle situazioni particolari allinterno dellordinamento, un primo caso dato dalle persone che hanno ricevuto il battesimo ma non fanno parte della Chiesa cattolica, disciplinato dal can. 205 che pone i criteri per accertare la piena comunione con la Chiesa, costituiti dai vincoli della professione di fede, dei sacramenti e del governo ecclesiastico. Queste persone sono il battezzato che non professa la fede cattolica, il battezzato che non accetta uno o pi dei sette sacramenti, cio i mezzi di salvezza istituiti nella Chiesa, e il battezzato che non accetta il vincolo del governo ecclesiastico. Nel primo caso si parla di eresia (ostinata negazione ad una verit), nel secondo di scisma (rifiuto alla sottomissione al Papa o alla comunione dei membri della Chiesa) (can. 751). Il can. 205 determina lambito dellobbligatoriet della legge ecclesiastica che non si applica ai cristiani non cattolici, cio ai battezzati che non appartengono alla Chiesa cattolica. Un secondo caso dato da coloro che non sono battezzati, in generale non sono soggetti allordinamento canonico poich non hanno il presupposto essenziale per far parte di questa societ. Tuttavia, come ogni uomo sono soggetti alla legge naturale e quindi possono essere destinatari di norme canoniche in determinate circostanze, in particolare qualora entrino in rapporti giuridici con persona battezzata: ad esempio il matrimonio tra un battezzato e un non battezzato. Il non battezzato legittimato per ad amministrare il sacramento del battesimo, purch intenda fare ci che fa la Chiesa e qualora il ministro ordinario del battesimo mancasse o fosse impedito (can. 861). Il codice contiene una esplicita previsione normativa riguardante i catecumeni che sono uniti con vincoli speciali alla Chiesa (can. 206), una disposizione importante perch disciplina la vita di un consistente numero di persone che intendono entrare nella Chiesa e prevede esplicitamente che i non battezzati possano essere attualmente destinatari di diritti e doveri, come da interpretazione del canone 96. A differenza di molti legislatori civili, il diritto canonico prende giusnaturalisticamente atto della sussistenza di una persona umana, ai fini giuridici, sin dal momento del concepimento, infatti il can. 871 prevede che i feti abortivi, se vivi, siano battezzati e il can. 1398 punisce chi procura laborto. Un terzo caso riguarda la distinzione tra chierici, laici e religiosi. Il canone 207 afferma che per istituzione divina vi sono nella Chiesa i ministri sacri, detti chierici; gli altri fedeli sono chiamati laici, dagli uni e dagli altri provengono fedeli i quali, mediante i voti o altri vincoli sacri riconosciuti e sanciti dalla Chiesa, sono consacrati in modo speciale a Dio, ma il loro stato non riguarda la struttura gerarchica della Chiesa ma tuttavia appartiene alla sua vita ed alla sua santit. Nella Chiesa sussiste unineguaglianza funzionale tra i fedeli ed una diversit per stati di vita. La prima diversit data dalla struttura gerarchica che non solo una forma di organizzazione del governo della societ ecclesiastica ma comporta una partecipazione specifica al sacerdozio di Cristo. Nella costituzione del Concilio Vaticano II Lumen gentium, vediamo che esiste un sacerdozio comune di tutti i fedeli ed un sacerdozio ministeriale o gerarchico. Quindi esiste una differenza nella condizione giuridica tra fedeli laici e fedeli chierici, solo a questi ultimi dato un potere sulla Chiesa Corpo mistico di Cristo (cio potere di insegnare, santificare e reggere) radicato nel potere sacramentale sul corpo stesso di Cristo. Le basi della Chiesa sono state costituite dal suo Fondatore con listituzione del Collegio degli Apostoli, con a capo Pietro, che avevano il potere per governare il popolo di Dio; oggi questo potere esercitato dal Collegio dei Vescovi con a capo il Pontefice. La Chiesa, quindi, caratterizzata da un principio gerarchico, secondo il quale vi sono funzioni e ministeri che sono esercitati in nome ed in rappresentanza di Cristo dalla gerarchia. Tutti i fedeli sono giuridicamente uguali in quanto battezzati e hanno i medesimi diritti e i medesimi doveri nella missione della Chiesa. In ragione del sacramento dellordine sacro, si distinguono le posizioni dei ministri sacri da un lato e dei laici dallaltro. Ad esempio, per il can. 129 solo i chierici sono abili alla potest di governo o potest di giurisdizione; infatti proprio dei fedeli laici, che per vocazione e condivisione vivono nel mondo esercitando azioni mondane, cercare il Regno di Dio trattando e ordinando le cose temporali. Cio mentre i chierici amministrano la Parola di Dio ed i sacramenti, i fedeli laici animano cristianamente le realt temporali. La seconda diversit data dalla struttura carismatica e istituzionale, non assistiamo pi ad una bipartizione ma ad una tripartizione: chierici, religiosi e laici. Se si guarda sotto lottica del carisma, cio del dono gratuito dello Spirito, si possono distinguere i chierici, coloro che sono chiamati a svolgere il ministero sacro; i religiosi, cio coloro che professando i consigli evangelici (povert, castit, obbedienza) ed emettendo i voti, rinunciano spontaneamente a ci che buono nella condizione umana; i laici, cio coloro che vivono da cristiani nel mondo. Quindi i religiosi sono o chierici o laici. Mentre nel can. 207 i chierici e i religiosi hanno una definizione in positivo, i laici vengono definiti in negativo, cio la loro definizione viene ricavata individuando coloro che non sono

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n chierici n religiosi. Quindi il canone 207 permette la distinguibilit di forme di vita che danno luogo ad uno statuto canonico particolare.

Lo statuto giuridico comune: i doveri e diritti fondamentali


Dal canone 208 al canone 223 viene delineato lo stato comune a tutti i fedeli, cio il legislatore ha formulato una catalogo di doveri e diritti comuni sotto il titolo Obblighi e diritti di tutti i fedeli o De omnium christifidelium obligationibus et iuribus. In questa parte del codice sono confluite le disposizioni contenute nel progetto Lex Ecclesiae fundamentalis mai portato a termine. Queste disposizioni aprono con laffermazione del principio di eguaglianza che formalmente entrato nella legislazione ecclesiastica solo con il codice ora in vigore; infatti in passato si preferiva il principio dellineguaglianza, presente nella Chiesa da un punto di vista sacramentale ministeriale. Il can. 208 invece afferma che fra tutti i fedeli c una vera uguaglianza nella dignit e nellagire, grazie alla rigenerazione in Cristo, e dunque tutti cooperano alledificazione del Corpo di Cristo. Questo risponde anche ai principi dellecclesiologia del Concilio Vaticano II e specialmente nella Lumen gentium dove troviamo che uno solo il popolo eletto da Dio, esiste un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, quindi non c nessuna ineguaglianza in Cristo e nella Chiesa. Questa affermazione del principio di eguaglianza la premessa al manipolo di libert, diritti e doveri fondamentali di tutti i fedeli che troviamo al canone 208 poich non vi possono essere libert, diritti e doveri comuni a tutti i fedeli se questi non godono di una posizione di eguaglianza allinterno dellordinamento. In passato invece la Chiesa era organizzata come una societ giuridicamente organizzata per ceti, cio una societ in cui lappartenenza ai vari ceti comportava la titolarit di uno status e di diritti e doveri propri. Oggi invece lordinamento canonico ha fatto proprio il principio di eguaglianza per cui le differenze di trattamento giuridico non derivano da uno status ma dalle differenti funzioni che ciascuno chiamato a svolgere. A questo principio sono connessi i diritti e doveri fondamentali del cristiano ovvero i canoni 209 222, che possiamo riassumere cos: dovere di mantenere la comunione della Chiesa e soddisfare le obbligazioni personali verso la Chiesa (can. 209); dovere di condurre una vita santa e di contribuire allincremento ed alla santificazione della Chiesa (can. 210); diritto dovere di partecipare allopera di diffusione del messaggio evangelico (can. 211); dovere dei fedeli di obbedire ai propri pastori, nonch il diritto dovere di manifestazione del pensiero nella Chiesa su questioni concernenti il bene comune (can. 212); diritto ai sacramenti e agli altri beni spirituali (can. 213); diritto allesercizio di culto ed alla propria spiritualit (can. 214); diritto alla libert di associazione e di riunione nella Chiesa (can. 215); diritto di esercitare personalmente lapostolato (can. 216); diritto alleducazione cristiana (can. 217); diritto alla libert di ricerca nelle sacre discipline (can. 218); diritto alla libera scelta dello stato di vita (can. 219); diritto al buon nome nella comunit ecclesiastica (can. 220); diritto alla tutela dei propri diritti e alla difesa in giudizio, nonch diritto a non essere colpiti da sanzioni penali non a norma di legge (can. 221); lobbligo di sovvenire alle necessit della Chiesa provvedendo alle necessit dei poveri e degli emarginati (can. 222). A differenza di quanto accade negli ordinamenti giuridici secolari, il legislatore canonico contempla, quasi prima dei diritti, i doveri fondamentali del fedele; nel senso che il legislatore della Chiesa ha preferito esplicitare i doveri mentre negli ordinamenti statali sono impliciti nella formulazione dei diritti, basta pensare al principio di reciprocit o al principio dei limiti che la libert di ciascuno incontra nella libert dellaltro. Si tratta di una differenza che nasce dalla concezione canonistica fortemente tributaria dei diritti fondamentali. Inoltre si deve notare leterogeneit dei diritti fondamentali del cristiano nellordinamento canonico rispetto ai diritti delluomo e del cittadino racchiusi nelle costituzioni contemporanee, non solo perch esistono diritti sanciti dal codice che non hanno alcun riscontro negli ordinamenti giuridici secolari, ma anche perch, pure se si tratta di diritti rinvenibili negli ordinamenti secolari, il loro ambito di operativit e le modalit del loro esercizio nella Chiesa non possono che essere particolari. Un esempio il diritto di libert di associazione, per rendersi conto che tali diritti devono essere intesi in maniera coerente con le caratteristiche strutturali e finalistiche della Chiesa. Il can. 223 infatti afferma che ad ogni fedele incombe il diritto di tener conto sia del bene comune della Chiesa, sia dei diritti degli altri e dei propri doveri verso gli altri. Queste disposizioni sono la diretta traduzione del principio della comunione (communio) gi affermato nel can. 209 in cui si dice che i fedeli sono tenuti

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allobbligo di conservare sempre la comunione con la Chiesa. Questo principio appartiene da sempre allesperienza della Chiesa ma stato ulteriormente rafforzato dal Concilio Vaticano II per sottolineare il passaggio da una ecclesiologia societaria (principio della societas) ad una ecclesiologia di comunione intenta a recuperare lintera realt divino - umana della Chiesa ponendo in rilievo elementi (sacramenti, parola di Dio, carismi) irriducibili allesperienza giuridica secolare. Senza dover aderire allimpostazione teorica della scuola canonistica di orientamento teologico, il can. 209 afferma che il principio di comunione rappresenta uno degli elementi che pi distingue la logica dellordinamento canonico da quella degli ordinamenti secolari, imponendo una diversa concezione sia dei rapporti tra le varie istanze gerarchiche allinterno della Chiesa sia degli stessi diritti soggettivi. Ma al contrario dei diritti fondamentali degli ordinamenti secolari, i diritti dei fedeli non rappresentano espressione e strumento della massima emancipazione dellindividuo da ogni vincolo sociale o istituzionale ma piuttosto costituiscono delle sfere autonome di azione del fedele sempre protese al conseguimento del fine supremo della Chiesa. Questo elenco di diritti e doveri non sembra esaustivo per due motivi: per la genericit in cui sono formulati alcuni canoni, perch lordinamento canonico un ordinamento aperto al diritto divino naturale e positivo. Esistono poi dei diritti fondamentali che esprimono istanze proprie del diritto naturale, ad esempio il diritto di libert religiosa, dichiarato inviolabile nella dichiarazione Dignitatis humanae dal Concilio Vaticano II. Questo diritto ha un senso se si pone nello Stato, societ ad appartenenza necessaria, mentre ha poco senso considerarlo nella Chiesa, societ ad appartenenza volontaria. Infatti troviamo il can. 748 il quale afferma che non mai lecito indurre gli uomini con la costrizione ad abbracciare la fede cattolica contro la loro coscienza e il can. 865 il quale afferma che un adulto, per poter essere battezzato, deve manifestare la volont di ricevere il battesimo. In conclusione si deve osservare che solo i battezzati che sono nella piena comunione con la Chiesa cattolica hanno attualmente ed effettivamente la pienezza dei diritti e dei doveri. Appunti: Nellordinamento canonico sono contemplati i diritti fondamentali? E una questione ambigua perch si pu essere daccordo sulla loro applicazione ma non sul loro fondamento. Negli anni 40 appare la Dichiarazione Universale dei Diritti delluomo da parte dellONU; Jacques Maritain, filosofo, credeva che si sarebbe raggiunto un compromesso tramite un contratto e che non si sarebbe giunti a niente partendo dai fondamenti. La societ si divide in due posizioni: concezione giusnaturalista, cio ritiene che i diritti fondamentali si trovano nelletica naturale e spettano a tutti (ad es. dignit della persona umana) ed la concezione dellordinamento italiano che allart. 2 della Costituzione riconosce i diritti umani; concezione giuspositivista, cio ritiene che i diritti umani non sono naturali ma sono riconosciuti dal legislatore quindi sono diritti storici e mutevoli. Dalla concezione giuspositivista emergono altri due filoni di pensiero: il giuspositivismo statalistico, ritiene che lo Stato pu dare e togliere, la concezione comunista Marxista dei paesi dellest degli anni 60; giuspositivismo individualista, ritiene che la posizione dellindividuo deve essere protetta dal legislatore ogni volta che voglia imporre se stesso. Una parte della cultura islamica si pone in modo polemico nei confronti dei diritti umani ritenendoli frutto della cultura occidentale e soprattutto cristiana. Anche se il mondo occidentale viene aggredito da questa posizione, la tollera perch ha una visione relativista secondo cui ogni posizione deve essere tollerata perch ha la stessa dignit delle altre. Nel dibattito avvenuto nel corso dellavvento del codice (1983) non si parla di diritti fondamentali anche se il termine viene usato spesso. Nel diritto canonico troviamo una concezione giusnaturalistica, cio anche laddove non fossero positivizzate esistono i diritti umani. Nel diritto canonico esiste una seconda categoria di diritti fondamentali, cio dei diritti fondamentali che per prendono in considerazione non luomo in quanto tale ma luomo in quanto fedele (ad es. il can. 213) detto diritto fondamentale del cristiano.

I fedeli laici
Un famoso testo di s. Girolamo, riportato nel Decretum di Graziano, inizia precisando che esistono due categorie di fedeli (Duo sunt genera christianorum). Questo manifesta la radicalizzazione, nellet medievale, della distinzione fra chierici e laici e laccentuazione del processo di clericalizzazione poich il Decretum di Graziano viene inserito nel Corpus Iuris Canonici, entrando a far parte delle fonti del diritto canonico del tempo. Il testo spiega che i cristiani si dividono in due categorie: nella prima troviamo sia i deputati al culto divino (chierici) sia coloro che ricercano il miglioramento dei propri costumi attraverso la scelta di un preciso stato di vita (monaci); nella seconda troviamo i fedeli laici che, come spiega san Girolamo, solo coloro a cui permesso possedere beni temporali per i propri bisogni, sono autorizzati a sposarsi possono essere salvati se

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evitano i vizi e fanno del bene. Questo testo mostra una concezione clericale della Chiesa quindi manifesta una riaffermazione della Chiesa come societ ineguale; al tempo stesso riflette una gerarchia di valori, mostrando una concezione restrittiva del fedele laico poich vista come concessione alle umane debolezze e quindi non come la condizione migliore. Ci sono molte ragioni per questo modo di pensare ai fedeli laici ma principalmente sono due. Nel medioevo la rivendicazione della libert della Chiesa (libertas Ecclesiae) da parte del Papato nei confronti del potere civile ebbe un forte influsso nella distinzione tra chierici e laici; in sostanza listituzione ecclesiastica lott col potere imperiale per emanciparsi dalla sudditanza e riacquistare la propria autonomia. Questo ha portato ad un processo di identificazione della Chiesa con il ceto clericale perch la libert della Chiesa dal potere secolare fu perseguita attraverso la progressiva emarginazione dei laici. Nellet moderna, invece, ci fu il Concilio di Trento che dovette reagire alla riforma protestante di Martin Lutero, riaffermando limportanza della mediazione ecclesiale tra il fedele e Dio. Per questo si dovuta rimarcare lesistenza di un sacerdozio ordinato e distinto dalla comunit dei fedeli; infatti il Concilio si occup quasi esclusivamente del clero. Dopo Trento la distinzione tra chierici e laici si accentu fino al codice del 1917 compreso. In conclusione alla prima et della Chiesa chierici e laici svolgono un ruolo attivo nella comunit ecclesiale, segue un lungo periodo in cui si radicalizza la distinzione tra chierici e laici, i primi chiamati a svolgere un ruolo attivo nella Chiesa (populus ducens), i secondi chiamati a svolgere un ruolo passivo (populus ductus). Questa separazione si prolunga fino al Concilio Vaticano II il quale opera una rivalutazione del laicato, attraverso un approfondimento della natura della Chiesa. Il Concilio, senza negare le concezioni gerarchico giuridiche della Chiesa come istituzione e carismatico spirituale come Corpo Mistico di Cristo, presenta la Chiesa come popolo di Dio, cio comunit dei fedeli. Nella Lumen gentium, con il termine laici si intendono tutti i fedeli ad esclusione dei membri dellordine sacro e dello stato religioso sancito nella Chiesa. Nel decreto conciliare sullapostolato dei laici Apostolicam actuositatem si dice che nella Chiesa c diversit di ministero ma unit di missione, cio anche i laici hanno il proprio compito nella missione del popolo di Dio. Quindi la missione della Chiesa non esclusiva n si identifica con quella dei chierici ma propria di tutto il popolo di Dio. Ovviamente il fedele laico ha un ministero diverso da quello dei chierici in ragione della sua condizione secolare, ovviamente la sua vocazione cercare il Regno di Dio trattando le cose temporali, deve santificare s stesso ed il mondo in cui vive. Dopo il Concilio Vaticano II il laico viene inteso come la Chiesa stessa nel mondo. Il codice di diritto canonico disciplina lo stato dei fedeli laici con una serie di disposizioni che possono essere sistematizzate secondo una triplice prospettiva (cann. 224 231). Innanzitutto le disposizioni che riguardano la partecipazione dei fedeli laici allunica missione della Chiesa, ad esempio can. 225 per il quale i fedeli laici hanno il diritto e il dovere di lavorare perch il messaggio di salvezza sia conosciuto e fatto proprio da tutti gli uomini, soprattutto in quelle circostanze concrete nelle quali lazione dei chierici difficile o impossibile. Perci i fedeli laici godono nellordinamento giuridico di una vera eguaglianza sostanziale, che comporta la titolarit dei diritti e dei doveri relativi a tutti i fedeli (can. 224). La caratteristica dei fedeli laici data dal compito di ordinare le cose temporali in conformit con lo spirito evangelico e di rendere testimonianza di Cristo nella trattazione delle cose temporali (can. 225). I fedeli laici hanno anche una specifica funzione allinterno della Chiesa, ad esempio i laici possono presiedere associazioni pubbliche di fedeli (can. 317), possono partecipare ai concili particolari e provinciali (can. 443), possono prendere parte al sinodo diocesano (can. 460), entrano a comporre il consiglio pastorale diocesano e parrocchiale (can. 512), possono essere consultati sulla nomina dei Vescovi e dei parroci (can. 377), sono chiamati a cooperare col parroco (can. 519), possono essere uditi dallOrdinario del luogo per la predisposizione pastorale della famiglia (can. 1064). Per quanto riguarda la funzione dei laici nel mondo, cio contribuire alla santificazione del mondo, anche qui ci sono diversi canoni. Ad esempio il can. 226 dispone che coloro che vivono nello stato coniugale sono tenuti allobbligo di lavorare ad edificare il popolo di Dio attraverso il matrimonio e la famiglia; nel can. 227 viene riconosciuta ai fedeli laici la libert nelle cose civili che spetta a tutti i cittadini. Si tratta di norme di principio chiamate a costituire criteri di interpretazione delle pi specifiche disposizioni riguardanti i fedeli laici. A proposito del matrimonio il diritto canonico non tende a definire il fedele laico in relazione allo status coniugale, poich il matrimonio la condizione di vita pi comune tra i laici. Il diritto vigente nella disciplina di matrimonio e famiglia tiene conto di una duplice prospettiva, interna ed esterna. Allinterno della famiglia i coniugi devono essere apostoli reciprocamente e devono essere i primi annunciatori di Cristo ai propri figli, verso lesterno devono offrire viva testimonianza della santit e della indissolubilit del matrimonio cristiano. Il codice contiene unampia parte dedicata al matrimonio sacramento, ma prevede anche

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disposizioni relative alla famiglia che riguardano profili pi attinenti alle competenze della Chiesa. In relazione ai rapporti tra genitori e figli, mantenendo lantico primato delleguaglianza tra i coniugi, pone a carico di entrambi i genitori lobbligo di formare i figli nella fede cristiana (can. 774); inoltre i genitori hanno il diritto dovere di educare la prole e hanno il diritto di ricevere un aiuto dalla societ civile per provvedere alleducazione cattolica dei figli (can. 793); hanno il diritto di scegliere liberamente la scuola per i propri figli (can. 797) ma hanno il dovere di scegliere una scuola che dia uneducazione cattolica ai propri figli (can. 796). Soprattutto su entrambi i genitori grava lobbligo di seguire i propri figli per ricevere a tempo debito i sacramenti.

La cooperazione dei laici alle funzioni gerarchiche


I fedeli laici possono essere chiamati a collaborare con i ministri sacri (chierici) allesercizio delle loro tre funzioni. Per quanto riguarda la funzione profetica, o di insegnare, appartiene a tutto il popolo di Dio in ragione del carattere missionario della Chiesa. Esistono infatti modi diversi di partecipare alla funzione di insegnare (munus docendi): esercitata in modo ufficiale, autentico, autorevole, pubblico dai chierici; in modo non ufficiale e privato dai fedeli comuni. Esistono dei casi per in cui i fedeli laici sono chiamati a cooperare al munus docendi della gerarchia, come si afferma nel can. 759. Si configura una partecipazione del laicato allinsegnamento pubblico della Rivelazione divina, ad esempio il can. 766 dispone che i fedeli laici possono in certe circostanze predicare in una chiesa o in un oratorio, escludendo lomelia che riservata ai chierici. Invece il can. 776 afferma che la formazione catechetica funzione del parroco ma pu farsi aiutare anche dai fedeli laici, in particolare dai catechisti che sono chiamati in modo speciale alla prima predicazione del cristianesimo ai non cristiani (can. 784). Un altro caso si ha nelle associazioni pubbliche di fedeli con lo scopo di insegnare la dottrina cristiana (can. 301), poich queste associazioni possono essere presiedute da laici (can. 317) ma hanno finalit che si connettono con il munus docendi della gerarchia, quindi sono di diritto pubblico, vengono costituite dalla competente autorit e ricevono la missio per i fini che si propongono di conseguire. Una modalit di insegnamento della gerarchia linsegnamento scientifico o dottorale di scienza sacra e secondo il can. 229 anche i laici idonei possono insegnare le scienze sacre. La funzione di santificare gli uomini (munus sanctificandi), per renderli partecipi della santit di Cristo, partecipata da ogni fedele in virt del sacerdozio comune; una speciale funzione di santificazione (es. celebrazione dei sacramenti) spetta solo ai chierici. Questa funzione si trova nel can. 835 in cui sono precisate le varie funzioni che spettano alla gerarchia, in particolare ai Vescovi, ai presbiteri e ai diaconi, e poi distinta la particolare forma in cui tutti i fedeli partecipano a questa funzione. Il diritto canonico prevede anche casi in cui i fedeli comuni possono cooperare alla funzione di santificare propria della gerarchia. Il can. 230 dispone ad esempio che i laici di sesso maschile, con let e le doti giuste, possono essere stabilmente assunti, mediante rito liturgico, ai ministeri di lettori e di accoliti, cio dei ministeri istituiti (ufficialmente determinati per speciali compiti e mansioni) distinti dai ministeri di fatto (categoria aperta di servizi alla comunit ecclesiale). Lo stesso canone permette ai laici di svolgere temporaneamente delle funzioni come lettore, commentatore o cantore, nonch, in caso di mancanza di chierici, di svolgere uffici non richiedenti lordine sacro. I laici possono inoltre assistere alla celebrazione del matrimonio e amministrare alcuni sacramentali. Pi complessa la cooperazione dei laici alla funzione regale o di governo della Chiesa (munus regendi). Nel can. 129 troviamo che sono abili alla potest di governo (nella Chiesa per istituzione divina) coloro che hanno ricevuto lordine sacro, cio i chierici, aggiungendo che i fedeli possono cooperare a norma del diritto. A questa disposizione occorre aggiungere il can. 228 secondo cui i laici che risultano idonei sono giuridicamente abili ad essere assunti in quegli uffici ecclesiastici secondo le disposizioni del diritto. Poi sulla base del can. 145, lufficio ecclesiastico qualunque incarico, costituito per disposizione sia di diritto divino sia di diritto umano, da esercitarsi per un fine spirituale. Nel diritto canonico vigente gli uffici ecclesiastici non sono riservati ai chierici ma possono essere conferiti anche ai laici, dunque tra gli uffici si devono distinguere quelli strettamente clericali (stricte clericalia) e quelli meramente laicali per i quali non richiesto lordine sacro. Esistono casi nei quali il diritto canonico configura la possibilit di conferire ai laici uffici ecclesiastici che comportano la titolarit della potestas regiminis, sia nellambito amministrativo che in quello giudiziario. Ad esempio nellambito amministrativo la partecipazione dei laici ai consigli pastorali (can. 512), ai consigli per gli affari economici (can. 492) e ai consigli in genere (can. 228); nellambito giudiziario i laici possono essere assunti allufficio di giudice (can.

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1421) cos come possono svolgere lufficio di assessore (can. 1424). Non facile quindi comprendere il canone 274 secondo il quale solo i chierici possono ottenere uffici il cui esercizio richieda la potest di ordine o la potest di governo, perch sembra contraddire le altre disposizioni. Per risolvere questo problema la dottrina ha trovato varie soluzioni. Secondo alcuni solo i chierici avrebbero unabilit permanente alla potestas regiminis e i laici possono solo collaborare con i chierici titolari. Secondo altri nella Chiesa esiste una duplice giurisdizione: una sacramentale e laltra non sacramentale, detta ecclesiale, che potrebbe essere conferita anche a chi non ha lordine sacro. Altri ancora sostengono che solo gli ordinati in sacris avrebbero una pretesa giuridicamente tutelata nellordinamento ad ottenere uffici ecclesiastici e i laici di conseguenza potrebbero ottenere uffici ecclesiastici con tale potest senza che ci risponda ad un preciso diritto. Si potrebbe pi semplicemente dire che in via generale gli uffici ecclesiastici che comportano esercizio della potest di governo sono riservati ai soli chierici, fatta eccezione per i casi in cui il diritto ammette anche i fedeli laici. In questi casi si tratta di una potest di governo per il cui esercizio non necessaria la sussistenza del presupposto dellordine sacro. In conclusione possiamo dire che la cooperazione dei fedeli laici alle funzioni dei ministri sacri possono essere considerate come forme di supplenza.

Le associazioni di fedeli
Con il diritto di libert di associazione riconosciuto dal can. 215, il codice detta unampia disciplina al fenomeno associativo nella Chiesa. In particolare nei canoni 298 299 sancito il diritto dei fedeli di formare associazioni con fini di piet, culto, apostolato, carit, che possono essere erette dalla competente autorit ecclesiastica. Il codice distingue due tipi di associazioni: - associazioni private: sono costituite per iniziativa dei fedeli (can. 299) - associazioni pubbliche: costituite direttamente dallautorit ecclesiastica o aventi lo scopo di insegnare la dottrina cristiana in nome della Chiesa, di incrementare il culto pubblico (can. 301). Questa distinzione si ricollega alla pi generale distinzione operata dal codice canonico tra persone giuridiche private e pubbliche (can. 116), le persone giuridiche private nascono per libera iniziativa dei fedeli e agiscono in nome propria per il perseguimento delle finalit proprie della Chiesa, le persone giuridiche pubbliche sono costituite dallautorit competente e agiscono in nome di questa, esercitando funzioni autoritative. Questa distinzione si riflette sul regime giuridico delle associazioni, in particolare i beni appartenenti alle persone giuridiche pubbliche entrano a comporre il patrimonio ecclesiastico (bona ecclesiastica). Tra le disposizioni di carattere generale troviamo la necessit di avere il consenso da parte della competente autorit per poter dire che lassociazione cattolica (can. 300); la necessit di avere propri statuti, propria denominazione e prevedere le modalit di iscrizione e dimissione dei soci (can. 305). Le associazioni senza personalit giuridica possono possedere beni con leffetto di far sorgere diritti in capo ai consociati intesi come comproprietari (can. 310). Alle associazioni di fedeli laici si applicano anche alcune norme speciali, in particolare incoraggiata la loro costituzione per il perseguimento di fini spirituali. In altre parole il diritto positivo viene a favorire la formazione di quelle associazioni che rispondono alla funzione dei fedeli laici nel mondo e che si ispirano al Concilio Vaticano II, secondo cui esistono azioni che i fedeli compiono individualmente in nome proprio e azioni che compiono in nome della Chiesa in comunione con i loro pastori. Coloro che presiedono a queste associazioni devono favorire la cooperazione con altre associazioni affinch siano di aiuto alle opere cristiane (can. 328). Soprattutto i responsabili devono curare la formazione dei consociati, non solo una formazione cristiana e generale in relazione alle finalit dellassociazione ma anche una preparazione professionale specifica sulle attivit dellassociazione (il cosiddetto volontariato). Possiamo dire che il canone 215 positivizza un diritto naturale proprio di ogni uomo, ma sarebbe riduttivo poich se vero che il diritto di associazione non mai fine a s stesso, ma trova riconoscimento e disciplina nella misura in cui lassociazione persegue le finalit, ci tanto pi vero in relazione allordinamento canonico nel quale si realizza una compenetrazione della vita e del destino del singolo con la vita ed il destino del tutto e viceversa. Il fondamento del diritto di associazione in realt duplice: naturale e soprannaturale. Questultimo individuato nel Concilio Vaticano II che guarda alla Chiesa come popolo di Dio. La missione della Chiesa non propria ed esclusiva della gerarchia ma di tutto il popolo di Dio, perci lassociarsi dei membri della comunit ecclesiale opportuno. In questo diritto di associazione si riflette la duplice missione dei laici: nella Chiesa e nel mondo e nella cooperazione al ministero gerarchico. Nella figura dellassociazione si trova lo strumento tecnico giuridico con cui realizzare strutture pi complesse per

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esplicitare le funzioni propriamente laicali (associazioni private) o le funzioni derivate dal ministero gerarchico (associazioni pubbliche).

Il Governo della Chiesa


La Chiesa una societas gerarchicamente ordinata, ha ricevuto dal suo Fondatore il compito di predicare il Vangelo a tutte le genti (munus docendi) e di amministrare i sacramenti (munus santificandi). La parola di Dio e i sacramenti sono dunque il bene pi prezioso e la fonte pi autentica dellordinamento ecclesiale e della sua organizzazione. Questa missione e i mezzi di salvezza differenziano la Chiesa da qualsiasi altra societ o associazione. Infatti la Chiesa non solo fonda e organizza su questa base la sua struttura gerarchica e la potestas sacra, ma costituisce una comunit di persone legate tra loro da vincoli di comunione. La Chiesa quindi vista come comunione istituzionale gerarchicamente ordinata, nata dalla chiamata del suo Fondatore.

La sacra potestas
La predicazione del Vangelo, lamministrazione dei sacramenti e la finalit suprema della salvezza delle anime (suprema lex, can. 1752), manifestano una dimensione di giustizia nei rapporti interpersonali allinterno della Chiesa. Nel Concilio Vaticano II infatti si dice che Cristo ha stabilito nella sua Chiesa i vari ministeri, i ministri sono rivestiti di sacra potest e servono i loro fratelli. La sacra potestas discende dalloriginario mandato apostolico e ne sono titolari supremi il Collegio episcopale e il Pontefice. Si distingue in potest di ordine (munus sanctificandi), potest di magistero (munus docendi) e potest di giurisdizione (munus regendi), dette tria munera Ecclesiae, corrispondenti al triplice ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo. Infatti in questa triplice potest si manifesta il prolungamento dellazione di Cristo nella Chiesa. Si pu entrare a far parte del Collegio episcopale in virt della consacrazione episcopale (la pienezza dellordine) e con la comunione gerarchica con il Capo del Collegio e con gli altri membri. Nella consacrazione troviamo unontologica partecipazione dei sacri uffici o munera, ma per essere liberi nellesercizio della potest (ad actum expedita) deve accedere la canonica o giuridica determinazione (iuridica determinatio) o missio canonica. Questultima pu consistere nella concessione di un particolare ufficio o nellassegnazione di una parte di fedeli per il loro governo pastorale. Dunque il potere della Chiesa ha carattere personale in forza della consacrazione (la persona ordinata in sacris), ma presenta anche una forte dimensione istituzionale in virt degli stretti vincoli di comunione. Lordinato compimento dei tria munera richiede una complessa organizzazione ecclesiastica, nella quale tali funzioni sono divise in distinte sfere di competenza, con ununit elementare detta ufficio ecclesiastico, definito come qualunque incarico, costituito stabilmente per disposizione sia divina sia ecclesiastica, da esercitarsi per un fine spirituale (can. 145). Lassegnazione di un ufficio avviene mediante libero conferimento, istituzione, conferma o ammissione, per libera elezione, per accettazione delleletto (can. 146 ss). La potest di ordine La potest di ordine ordinata alla santificazione degli uomini mediante lazione liturgica e lamministrazione dei sacramenti (can. 834). Viene conferita mediante il sacramento dellordine e ha carattere personale perch viene conferita ad una persona imprimendole un carattere indelebile. Essa conferisce al suo titolare la facolt di compiere segni sacramentali o segni sensibili istituiti da Cristo, che producono la grazia ex opere operato. Questi segni realizzano alcune funzioni specifiche dellazione di Cristo come capo della Chiesa, infatti il culmine di queste funzioni agire impersonando Cristo nelleucarestia (in persona Christi Capitis). Si tratta di una facolt che si traduce in capacit di carattere ontologico a realizzare atti capaci di generare la vita soprannaturale. La potest di magistero La potest di magistero il compito di predicare il Vangelo a tutte le genti e di annunciare sempre e dovunque i principi morali, ricevuto dalla Chiesa e affidato agli Apostoli e ai suoi successori. Si tratta quindi di un duplice compito: lannuncio della verit rivelata o depositum fidei; la riaffermazione di quei principi morali, insiti nella natura delluomo (diritto divino naturale). Nel passato si rivolgeva essenzialmente ai credenti per insegnare loro le verit di fede, contrastare gli errori dottrinali e richiamarli allosservanza dei precetti della morale cristiana. Oggi il magistero della Chiesa si rivolge anche allesterno della comunit dei credenti per riaffermare i principi morali insiti nelluomo, quindi vincolanti per tutti gli uomini a prescindere dalladesione di fede alla verit rivelata (per questo oggi vengono attenuati gli originari caratteri di potestas). Tutti i fedeli hanno il diritto e il dovere di contribuire allannuncio della salvezza (can. 211), questo vale soprattutto per i laici, impegnati nei vari

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ambiti della realt temporale. Lufficio di insegnare, o munus docendi, esercitato dalla gerarchia e assume carattere vincolante per i fedeli, cio sono tenuti ad osservare con cristiana obbedienza ci che i sacri Pastori dichiarano come maestri della fede o dispongono come capi della Chiesa (can. 212). Esistono diverse gradazioni: il livello supremo linfallibilit di cui gode il Pontefice in forza del suo ufficio; analoga prerogativa spetta al Collegio episcopale quando i Vescovi si riuniscono in Concilio Ecumenico e dichiarano in ununica sentenza da tenersi come definitiva per tutta la Chiesa una dottrina sulla fede o sui costumi (can. 749). Nessuna dottrina infatti infallibilmente definita se ci non consta manifestamente (can. 749). Oggetto della fede sono tutte quelle cose che sono contenute nella parola di Dio scritta o tramandata e che sono proposte come divinamente rivelate sia dal magistero solenne della Chiesa (verit infallibile divina e cattolica) che dal suo magistero ordinario e universale (verit divina e cattolica) (can. 750). La fede adesione piena dellintelletto e della volont a Dio, ha dunque un duplice fondamento: la rivelazione e il magistero della Chiesa. Ad un gradino inferiore troviamo il magistero autentico del Pontefice e del Collegio dei Vescovi, ossia linsegnamento circa la fede e i costumi impartito senza proclamarlo con atto definitivo; in questo caso i fedeli sono tenuti a prestare un religioso ossequio dellintelletto e della volont (can. 752). Quindi questo un magistero ordinario ma non infallibile. I Vescovi non godono dellinfallibilit ma, in comunione con il Capo e i membri del Collegio, sono autentici dottori e maestri della fede per i fedeli a loro affidati (can. 753). La potest di giurisdizione La potest di giurisdizione, o potestas regiminis, il potere di governare i fedeli nella vita sociale della Chiesa ed esiste per istituzione divina (can. 129). In passato, a causa del processo di assimilazione della Chiesa agli Stati, si era affievolita la coscienza dellunitariet della potestas sacra, portando ad una divaricazione tra potest di ordine (riservata agli ordinati in sacris) e potest di giurisdizione, ritenuta funzionale alle esigenze di governo della societas cristiana. Il Vaticano II opera un recupero della duplice e inscindibile natura misterico-sacramentale e gerarchico-istituzionale della Chiesa, ci ha comportato la riaffermazione dellunitariet della sacra potestas e del fondamento sacramentale del potere della Chiesa. Lorigine della sacra potestas discende dallappartenenza al Collegio episcopale; una partecipazione ontologica spetta ai presbiteri in forza del sacramento dellordine, che li costituisce principali collaboratori del Vescovo. Anche la potest di giurisdizione risulta quindi indissolubilmente legata alla dimensione ontologica del sacramento dellordine, lordinamento stesso della Chiesa si sviluppa sulla base del sacramento dellordine. Infatti riserva agli ordinati in sacris gli uffici con potest di governo a cui i fedeli laici possono solo cooperare a norma del diritto (can. 129). Una tecnica di trasferimento di funzioni listituto della delega dei poteri, cio una parte delle funzioni inerenti ad un ufficio di governo vengono affidate, dal diritto stesso o dal titolare del potere, ad un altro soggetto perch le svolga in nome o per conto del primo. Si fa quindi una distinzione tra potest ordinaria e potest delegata. La potest ordinaria quella che dallo stesso diritto annessa a un ufficio (can. 131) e pu definirsi propria se esercitata dalla persona titolare dellufficio, o vicaria se esercitata in rappresentanza di altri (es. il vicario generale nella curia diocesana). La potest esecutiva ordinaria ipso iure riconosciuta ad una serie di soggetti destinati unitariamente con il termine di Ordinario (can. 134), questi soggetti sono: a) il Romano Pontefice, i Vescovi diocesani e quelli preposti ad una chiesa particolare; b) coloro che godono di una potest esecutiva ordinaria generale, ossia i vicari generali ed episcopali; c) per i propri membri, i superiori maggiori degli istituti religiosi e della societ di vita apostolica, dotati almeno di potest esecutiva ordinaria. Per Ordinario del luogo si intendono tutti quelli sopra elencati eccetto la lettera c) (can. 134). La potest delegata viene trasferita per ragioni di urgenza, utilit o necessit, ad una persona o ad un ufficio avente carattere transitorio (delegato); un mandato conferito alla persona stessa, non in ragione dellufficio (can. 131). La tripartizione dei poteri Il codice ha introdotto ex novo la distinzione della potestas regiminis in potest legislativa, esecutiva e giudiziaria (can. 135). Anche se non stato recepito il principio della separazione dei poteri a distinti apparati e organi di governo, identificano una serie di attivit e funzioni omogenee per meglio precisarne il regime di esercizio. Infatti il can. 135 afferma che: - la potest legislativa, destinata alla produzione di norme generali gerarchicamente superiori, da esercitarsi nel modo stabilito dal diritto, ne gode il legislatore, non pu essere validamente delegata (perch spetta solo al Sommo Pontefice e ai Vescovi) se non disposto esplicitamente altro dal diritto;

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la potest giudiziale, destinata alla risoluzione delle controversie mediante lapplicazione del diritto al caso concreto, ne godono i giudici e i collegi giudiziari (potest vicaria), da esercitarsi nel modo stabilito dal diritto, non pu essere delegata (perch teoricamente gi delegata); la potest esecutiva ordinaria, destinata al perseguimento dei fini dellamministrazione ecclesiastica mediante lapplicazione delle leggi, pu essere delegata sia per un atto (delega speciale) che per un insieme di casi (delega generale) a meno che non sia disposto espressamente altro dal diritto (can. 137).

Collegialit e primato: la dinamica del potere nella Chiesa


Nella costituzione conciliare Lumen gentium si dice che Ges Cristo ha edificato la santa Chiesa e ha mandato gli Apostoli, inoltre volle che i loro successori, i Vescovi, fossero nella sua Chiesa pastori fino alla fine dei secoli. Agli Apostoli prepose il beato Pietro e in lui stabil il principio dellunit della fede e della comunione. La costituzione gerarchica della Chiesa quindi di istituzione divina ed fondata sul Collegio dei Vescovi e sul primato del Pontefice; ha quindi natura collegiale e insieme primaziale. Il Collegio dei Vescovi lorgano che succede alloriginario Collegio apostolico; una successione organica e non personale poich ogni nuovo Vescovo dal momento della consacrazione entra a far parte del Collegio e non succede singolarmente ad uno dei dodici apostoli. Al contrario per lufficio del Pontefice abbiamo una successione personale allapostolo Pietro, avendo anche come riferimento un passo di Matteo. Il rapporto tra la collegialit e il primato lasse portante del sistema di governo della Chiesa. Mentre prima le principali definizioni dottrinali furono il frutto di importanti concili orientali, nei secoli successivi lautorit del Pontefice si consolid. Nei primi secoli del secondo millennio la rivendicazione del primato pontificio vide il suo culmine teorico prima nel dictatus papae di Gregorio VII (1073 1085) e poi nel successivo pontificato di Innocenzo III fino alla bolla Unam sanctam di Bonifacio VIII (1294 1303). Questo determin una grave crisi nel delicato equilibrio costituzionale che comport il trasferimento per alcuni decenni della sede dei Papi in Francia, ad Avignone. Il Concilio di Costanza (1414 1418) rappresent la massima affermazione di questa tendenza, anche se i deliberati furono approvati dal Pontefice. La questione del primato pontificio fu anche al centro delle tensioni che furono allorigine dello scisma dOriente (1054) e poi della Riforma protestante (1517). La Riforma cattolica port un processo di centralizzazione del governo della Chiesa universale attorno al Pontefice in difesa allinterno della sua dottrina sacramentale contro le eresie, allesterno a tutela delle sue prerogative contro le rivendicazioni giurisdizionalistiche degli Stati moderni. Questo processo ebbe inizio con il Concilio di Trento (1545 1563) e il suo culmine con il Concilio Vaticano I (1870), nel quale fu affermato il principio dellinfallibilit del Papa in materia dottrinale quando egli parla ex cathedra. Il Concilio Vaticano II ha precisato la dottrina sui Vescovi e sulla Chiesa particolare, fondata sulla natura collegiale e sacramentale dellepiscopato. La suprema autorit della Chiesa costituita dal Romano pontefice e dal Collegio dei Vescovi (can. 330). Entrambi godono della potest suprema, ma il primo pu esercitarla liberamente e il Collegio dei Vescovi deve sempre intendersi con il suo capo. La nota explicativa praevia alla Lumen gentium precisa che lespressione collegio non da intendersi in senso strettamente giuridico, cio di un gruppo di eguali, ma di un gruppo stabile. Infatti il Collegio necessariamente e sempre cointende il suo Capo, il quale nel Collegio conserva integro il suo ufficio di Vicario di Cristo e Pastore della Chiesa universale. La rivalutazione operata dal Concilio della collegialit episcopale corrisponde alla natura originaria della Chiesa. Nella Chiesa il potere o potestas sacra proviene sempre dallalto. Il metodo collegiale ispira il funzionamento e la stessa istituzione di nuove strutture allinterno della Chiesa, non pu assimilarsi dunque alla logica democratica degli Stati ma va considerata come espressione della natura della Chiesa come comunione. Questa complessa costruzione costituzionale non ha eguali e ha suscitato una serie di tesi dottrinali che mirano a spiegarne il fondamento teorico. La tesi pi convincente quella dei due soggetti inadeguatamente distinti titolari di potest suprema sulla Chiesa universale (Betrams, Lo Castro), poich ha il merito di risolvere la contraddizione della loro esistenza recuperando lunit del potere nella Chiesa a livello teologico.

Gli organi di governo della Chiesa universale


- Il Collegio dei Vescovi Il Collegio dei Vescovi formato da tutti i Vescovi in forza della consacrazione episcopale e della comunione gerarchica con il capo, il Sommo Pontefice, e con i membri, poich in esso permane

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perennemente il corpo apostolico (can. 336). Il Collegio dei Vescovi esercita la sua potest, piena e suprema, sulla Chiesa universale nel Concilio ecumenico ovvero lazione congiunta dei Vescovi sparsi nel mondo, indetta o liberamente recepita dal Romano Pontefice (can. 337). Il Concilio ecumenico la massima espressione della collegialit episcopale, infatti ne sono stati celebrati in tutto 21 dalle origini del cristianesimo ad oggi. Vi partecipano con voto deliberativo tutti e soli i Vescovi membri del Collegio episcopale, anche se possono essere chiamati anche altri soggetti (can. 339). Spetta unicamente al Romano Pontefice convocare il Concilio, presiedendolo o personalmente o attraverso dei delegati, trasferire il Concilio, sospenderlo, scioglierlo e approvarne i decreti (can. 338). Inoltre sempre al Pontefice spetta il compito di determinare le questioni da trattare nel Concilio, anche se i Padri conciliari possono aggiungere altre questioni che dovranno essere approvate dal Pontefice (can. 338). Il rapporto tra il Concilio e il Pontefice cos stretto che, in caso di vacanza della Sede apostolica, il Concilio viene interrotto ipso iure (can. 340). I decreti del Concilio hanno forza vincolante solo se sono approvati dal Pontefice, da lui confermati e promulgati. Questa stessa conferma vale anche per i decreti che il Collegio dei Vescovi emana al di fuori del Concilio (can. 341). Il funzionamento e loperativit del Concilio ecumenico non dipendono per dallapplicazione del mero principio di maggioranza, perch ogni espressione della collegialit episcopale va intesa con la concezione della Chiesa come comunione, forte aspirazione allunit che si esprime con la ricerca allinterno del Collegio dellunanimit. - Il Romano Pontefice Il Romano Pontefice il Vescovo della Chiesa di Roma, lufficio concesso dal Signore a Pietro e trasmesso ai suoi successori (can. 331). Il Papa titolare dellufficio episcopale sulla diocesi di Roma, che esercita attraverso il Cardinale vicario e gli uffici del Vicariato di Roma. In quanto successore di Pietro, anche capo del Collegio dei Vescovi, Vicario di Cristo e Pastore in terra della Chiesa universale (can. 331). Come capo del Collegio episcopale svolge dei compiti gi esaminati; come vicario di Cristo, in quanto capo visibile della comunit dei credenti, titolare di una potest ordinaria vicaria o ministeriale, che ha il suo fondamento in una diretta concessione divina che va distinta dalla suprema potest di governo su tutta la Chiesa universale; come Pastore della Chiesa universale, ha potest ordinaria suprema, piena immediata e universale sulla Chiesa che pu sempre esercitare liberamente (can. 331). E una potest ordinaria perch annessa ad un ufficio, suprema perch al vertice dellordinamento, piena perch non riguarda solo la dottrina, immediata perch non necessita di intermediari e universale perch si estende a tutti. Il fatto che questa potest sia esercitata liberamente significa che non incontra limiti in nessuna autorit umana (can. 333) ma non che sia una potest illimitata perch incontra i limiti del diritto divino, naturale e rivelato. Il primato della potest ordinaria si estende su tutte le Chiese particolari e i loro raggruppamenti, inoltre viene rafforzata la potest che i vescovi hanno sulle Chiese particolari (can. 333). Come supremo Pastore della Chiesa sempre congiunto nella comunione con gli altri Vescovi e con tutta la Chiesa salvo il diritto di determinare il modo di esercitare tale ufficio (can. 333). Lufficio di Sommo Pontefice ha carattere elettivo, ottiene quindi la potest piena e suprema con lelezione legittima, da lui accettata, insieme alla consacrazione episcopale; se gia stato conferito del carattere episcopale ottiene la potest al momento dellaccettazione (can. 332). Il compito di eleggere il Papa spetta al collegio dei cardinali riuniti in conclave, al quale hanno diritto di partecipare tutti i cardinali che non hanno compiuto ottantanni. La costituzione apostolica Romano Pontifici eligendo oggi in vigore e promulgata nel 1975, esclude qualsiasi intervento nel conclave di altre autorit e prevede che gli elettori, sottoposti a clausura fino alla proclamazione delleletto (cum clave), devono mantenere il segreto sulle vicende del conclave. In caso di vacanza della Sede apostolica, quindi in caso di morte del pontefice o per sua legittima rinuncia allufficio, il governo della Chiesa affidato al Collegio cardinalizio, che per non deve apportare nessuna modifica o innovazione (can. 335). Leventuale rinuncia allufficio, per essere valida, deve essere fatta liberamente e debitamente manifestata (can. 332). - La Curia romana Il Pontefice, nellesercizio delle funzioni di governo sulla Chiesa universale, assistito dalla Curia romana. Questa costituita da una serie di dicasteri e organismi coordinati dalla Segreteria di Stato, cui presiede il cardinale Segretario di Stato, nominato dal Pontefice e suo principale collaboratore. Venne istituita da Papa Sisto V con la costituzione apostolica Immensa aeterni Dei del 1588; nel corso del tempo ha subito quattro ristrutturazioni e lultima la costituzione apostolica Pastor Bonus. La costituzione apostolica Pastor Bonus del 1988 individua due caratteristiche: lindole strumentale o ministerialit, cio non ha alcuna autorit o potere al di fuori di quelli che riceve dal Pontefice;

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carattere vicario, cio essa non agisce per proprio diritto o per propria iniziativa. La Pastor Bonus inoltre attua un processo di internazionalizzazione della Curia romana, gi inaugurato da Paolo VI (cost. ap. Regimini Ecclesiae universae 1967), e insiste sul carattere di diaconia al servizio del ministero personale dei Vescovi, come membri del collegio episcopale e come pastori delle Chiese particolari. I dicasteri della Curia romana si suddividono in: a) Segreteria di Stato, coadiuva il Pontefice, coordina gli altri dicasteri e cura i rapporti con gli Stati, presieduta da un cardinale prefetto, composta di due sezioni: la sezione per i rapporti con gli Stati e la sezione per gli affari generali. b) Congregazioni, rappresentano una sorta di ministeri, sono nove in tutto: Congregazione per la dottrina della fede (tutela la dottrina sulla fede e i costumi in tutta la Chiesa), Congregazione per i Vescovi (nomina dei Vescovi per le Chiese particolari), Congregazione per le Chiese orientali, del culto divino, della disciplina dei sacramenti, per le cause dei santi, per levangelizzazione dei popoli, per il clero, per gli istituti di vita consacrata, per leducazione cattolica. c) Tribunali, in particolare la Penitenzieria apostolica, competente per il foro interno e le indulgenze e presieduta da un cardinale penitenzierie, non un tribunale in senso proprio poich non si chiede giustizia ma si implora una grazia; il Supremo Tribunale della Segnatura apostolica, la massima istanza della giustizia amministrativa nella Chiesa, composta da due sezioni: una giudica la validit degli atti amministrativi canonici, laltra giudica i conflitti di competenza tra i vari dicasteri; il Tribunale della Rota romana, organo superiore di giustizia nellordinamento della Chiesa, ha due competenze: in 2 e 3 istanza un tribunale ordinario per gli appelli; in 1 istanza un tribunale per le cause dei Vescovi. d) Pontifici Consigli, dalla Pastor Bonus sappiamo che sono dodici, ricordiamo il Pontificio Consiglio per i laici, per lunit dei cristiani, per la famiglia, per il dialogo interreligioso. e) Uffici, come la Camera Apostolica, che amministra il patrimonio del Pontefice, o lAPSA che amministra il patrimonio della Sede Apostolica. Questi dicasteri si differenziano anche per il tipo di potest esercitata, per le Congregazioni quella esecutiva, per i Tribunali quella giudiziaria, per i Pontifici Consigli il potere meramente consultivo e promozionale. Nonostante ci tutti i dicasteri della Curia si trovano in una situazione di parit giuridica e agiscono in nome del Pontefice con potest ordinaria vicaria. Questo significa che i loro atti non sono imputabili direttamente al Pontefice o alla Santa Sede anche se soggetti titolari della potest. Per evitare questo inconveniente sono stati introdotti due criteri generali: - riguardo alla potest esecutiva e giudiziaria, le decisioni di maggiore importanza sono soggette allapprovazione del Pontefice con due eccezioni: quelle per cui sono state attribuite speciali facolt, le sentenze dei Tribunali della Rota e della Segnatura apostolica pronunciate entro i limiti di competenza; perci queste due eccezioni sono direttamente imputabili ai dicasteri. - riguardo alla potest legislativa, i dicasteri non possono emanare leggi o decreti generali aventi forza di legge, n derogare alle prescrizioni del diritto universale vigente, se non in singoli casi e con specifica approvazione del Sommo Pontefice. Per quanto riguarda la diplomazia della Chiesa, una funzione importante svolta dai legati pontifici che hanno il compito di rappresentare il Pontefice presso le Chiese particolari per rendere sempre pi saldi ed efficaci i vincoli di unit (can. 364). Inoltre esistono dei legati particolari detti nunzi, che hanno il compito di rappresentare il Pontefice presso gli Stati e le autorit pubbliche presso cui sono inviati per promuovere e sostenere le relazioni con le autorit civili dei singoli Stati (can. 365). - Il Sinodo dei Vescovi Il Sinodo dei Vescovi uno dei vari modi con cui i Vescovi cooperano con il Pontefice, esso realizza una forma di partecipazione dellepiscopato alle funzioni di governo sulla Chiesa universale (can. 334). Il Sinodo dei Vescovi unistituzione di diritto umano istituita da Paolo VI con la Apostolica Sollicitudo del 1965 per associare una rappresentanza dei Vescovi allesercizio del governo supremo della Chiesa da parte del Papa. E unassemblea di Vescovi scelti dalle diverse regioni del mondo che si riuniscono per favorire una stretta unione tra il Romano Pontefice e i Vescovi, per prestare aiuto con il loro consiglio al Romano Pontefice nella salvaguardia e nellincremento della fede e dei costumi, per studiare i problemi riguardanti lattivit della Chiesa nel mondo (can. 342). Ha una funzione di carattere consultivo poich deve discutere delle questioni proposte ed esprimere dei voti, non pu per emanare decreti salvo nei casi in cui non sia il Pontefice a concedergli tale potest (can. 343). Il Sinodo interamente sottoposto allautorit del Pontefice, cui spetta di convocarlo (non

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un istituto permanente), di ratificare lelezione dei suoi membri elettivi e procedere alla nomina degli altri, di stabilirne gli argomenti di discussione, di definirne lordine dei lavori, di presiederlo, di concluderlo, trasferirlo, sospenderlo o scioglierlo (can. 344). La composizione di questa assemblea varia a seconda degli argomenti da trattare e delle circostanze. Si riunisce in assemblea generale quando si trattano argomenti che riguardano direttamente il bene della Chiesa universale. A sua volta lassemblea generale si suddivide in ordinaria e speciale: nel caso di assemblea generale ordinaria la maggior parte dei membri sono eletti dalle singole conferenze episcopali, altri sono membri in ragione della loro funzione (es. membri di dicasteri competenti della Curia romana), altri sono nominati dal Pontefice, altri sono eletti da istituti religiosi clericali; nel caso di assemblea generale straordinaria la maggior parte dei membri sono designati dal diritto stesso in ragione della loro funzione, altri sono nominati dal Pontefice e altri sono eletti da istituti religiosi clericali (can. 346). La differenza sta nel fatto che si convoca unassemblea generale straordinaria per trattare affari che richiedono una soluzione sollecita. Quando invece si tratta di affari che riguardano direttamente una o pi regioni determinate il Sinodo si riunisce in assemblea speciale (can. 345) e i membri sono scelti dalle conferenze episcopali del luogo per il quale viene convocata lassemblea. Quando il Pontefice dichiara conclusa lassemblea, cessa lincarico per i suoi membri. Ma il Sinodo dotato di una segreteria generale permanente presieduta dal Segretario generale, nominato dal Pontefice e assistito da un consiglio di segreteria composto di Vescovi, il cui incarico cessa con una nuova assemblea; per ogni assemblea il Pontefice nomina dei segretari speciali che restano in carica fino al termine dellassemblea (can. 348). - I Cardinali Il Collegio cardinalizio stato istituito con il Sinodo romano del 1150 perci unistituzione di diritto umano a cui compete lelezione del Pontefice. Oltre a questa funzione i Cardinali assistono il Romano Pontefice, sia collegialmente quando si riuniscono per trattare le questioni di maggiore importanza (concistori), sia singolarmente nei diversi uffici dove prestano la loro opera nella cura quotidiana della Chiesa universale (can. 349). Hanno origine da quei chierici che fin dai primi secoli collaboravano a vario titolo con il vescovo di Roma. In base a questa origine si suddividono in tre ordini (can. 350): i Cardinali vescovi, stavano alla guida delle diocesi suburbicarie (come Ostia e Velletri) ed eleggono al loro interno il Decano che presiede come primus inter pares il Collegio cardinalizio (can. 352); i Cardinali preti, i sacerdoti incardinati nelle pi antiche chiese romane (o titoli cardinalizi); i Cardinali diaconi, titolari di altre chiese romane (o diaconie cardinalizie). La nomina o promozione dei membri spetta al Pontefice, che sceglie liberamente uomini costituiti almeno dellordine del presbiterato e che si siano distinti in modo eminente per dottrina, costumi, piet e prudenza; chi non Vescovo riceve la consacrazione episcopale (can. 351). Il Pontefice procede alla nomina mediante proprio decreto, reso pubblico davanti al Collegio cardinalizio (nomina in pectore) riservandosi il nome quando ad esempio potrebbe esporre la persona a pericolo. I Cardinali agiscono principalmente in modo collegiale attraverso i Concistori, nei quali si riuniscono su convocazione del Papa e sotto la sua presidenza. Esistono due tipi di concistori: il Concistoro ordinario in cui vengono convocati tutti i cardinali che si trovano a Roma per trattare questioni di pi comune accadimento o per compiere atti della massima solennit, ed in questultimo caso esso pu essere anche pubblico; il Concistoro straordinario in cui vengono convocati tutti i cardinali, quando lo suggeriscono peculiari necessit o si devono trattare questioni particolarmente gravi (can. 353). In forza dellobbligo di collaborazione assidua con il Pontefice, tutti i Cardinali che non sono Vescovi diocesani e che ricoprono un ufficio nella Curia romana sono tenuti allobbligo di risiedere nellUrbe; i Cardinali che invece hanno la cura di una Diocesi devono recarsi a Roma quando sono convocati dal Pontefice (can. 356).

Le Chiese particolari
La dottrina della collegialit e sacramentalit dellufficio dei Vescovi e la visione della Chiesa come popolo di Dio, portano una rinnovata concezione dei rapporti tra Chiesa universale e Chiese particolari. In particolare anche per la forte valorizzazione delle Chiese particolari da parte del Concilio Vaticano II, che le definisce come formate ad immagine della Chiesa universale, espressione ripresa poi nel canone 368. Le Chiese particolari tendono oggi ad assumere la dignit di veri e propri soggetti costituzionali, ispirando un processo di adeguamento giuridico canonico, esaltando il carattere di comunione della Chiesa e il metodo collegiale nel governo della stessa. Poich la valorizzazione delle Chiese particolari si fonda anche sulla riscoperta della centralit dellelemento personale, implica un processo di maggiore coinvolgimento di tutte le componenti del popolo di Dio nel governo pastorale della Chiesa particolare; ad esempio la previsione di alcuni consigli consultivi,

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rappresentativi dei fedeli, allinterno delle diocesi (consiglio pastorale diocesano) e delle parrocchie (consiglio pastorale parrocchiale). La natura della Chiesa particolare connessa allufficio dei Vescovi, il cui compito reggere la porzione del popolo di Dio loro singolarmente affidata. Fin dai primi secoli le esigenze della evangelizzazione su territori sempre pi estesi hanno portato ad una progressiva suddivisione territoriale in pi Chiese particolari, la cui erezione spetta oggi unicamente al Papa (can. 373). Il modello assunto la diocesi, definita come la porzione del popolo di Dio che viene affidata alla cura pastorale del Vescovo con la collaborazione del presbiterio (can. 369). La diocesi costituita da un elemento personale (il popolo di Dio), da uno gerarchico istituzionale (la potestas del Vescovo) e da un nucleo costitutivo rappresentato dalla parola di Dio e dalleucarestia. Alla diocesi oggi sono assimilate altri tipi di Chiese particolari: a) la prelatura territoriale o labbazia territoriale: una determinata porzione del popolo di Dio, circoscritta territorialmente, la cura della quale viene affidata ad un Prelato o ad un Abate che la governa come suo pastore (can. 370); b) il vicariato apostolico o la prefettura apostolica: una determinata porzione del popolo di Dio la quale non stata ancora costituita come diocesi ed affidata alla cura pastorale di un Vicario apostolico o di un Prefetto apostolico, che la governa in nome del Sommo Pontefice (can. 371); c) lamministrazione apostolica: una determinata porzione del popolo di Dio che, per ragioni speciali e gravi, non viene eretta come diocesi dal Sommo Pontefice e la cura pastorale della quale viene affidata ad un Amministratore apostolico, che la governa in nome del Sommo Pontefice (can. 371). Le Chiese particolari sono individuate in base ad un criterio territoriale, tuttavia nello stesso territorio possono essere erette chiese particolari sulla base del rito dei fedeli o per altri simili motivi (can. 372). Le prelature personali sono organizzazioni formate da presbiteri e diaconi del clero secolare, erette dalla Santa Sede che ne forma anche gli statuti, per promuovere o attuare speciali opere pastorali o missionarie per le diverse regioni o per le diverse categorie sociali (can. 294). Viene proposto un Prelato come ordinario proprio, che ha il diritto di erigere un seminario nazionale o internazionale, di incardinare gli alunni e di promuoverli agli ordini del servizio della prelatura (can. 295). Anche i laici possono dedicarsi alle opere apostoliche della prelatura mediante delle convenzioni (can. 296). Un esempio di prelatura lOpus Dei.

Lufficio dei Vescovi


E un istituto di diritto divino in quanto i Vescovi sono successori degli Apostoli (successione apostolica), la loro autorit discende dallappartenenza al Collegio episcopale. Nella costituzione Lumen Gentium troviamo che i Vescovi assunsero il servizio della comunit con i loro collaboratori presiedendo in luogo di Dio al gregge quali maestri di dottrina, sacerdoti del sacro culto, ministri del governo (i tria munera). La nomina I requisiti per essere nominati Vescovi sono: aver raggiunto almeno 35 anni di et e la posizione di chierico, una buona reputazione, una fede salda, doti morali, avere un dottorato o una licenza in Teologia, diritto canonico o Sacra scrittura. Il codice prevede che i Vescovi sono nominati liberamente dal Pontefice, oppure da lui confermati se eletti in base a legittime consuetudini (can. 377). Le relative pratiche sono istruite allinterno della Curia romana dalla Congregazione per i vescovi, con una procedura definita dal codice (can. 377). Con la consacrazione episcopale i Vescovi ricevono lufficio di santificare e lufficio di insegnare e governare, questi ultimi per non possono essere esercitati se non nella comunione gerarchica con il Capo e con gli altri membri del Collegio (can. 375). Oltre alla consacrazione episcopale occorre che intervenga anche la missione canonica (missio canonica) da parte dellautorit gerarchica (il Pontefice). Questo ulteriore requisito richiesto ex natura rei, trattandosi di uffici che devono essere esercitati da pi soggetti, per volont di Cristo gerarchicamente cooperanti; senza la comunione gerarchica lufficio sacramentale ontologico non pu essere esercitato. Sono detti Vescovi diocesani quelli a cui viene affidata la cura di una diocesi; gli altri sono detti Vescovi titolari (can. 376) a cui viene assegnato il titolo di una diocesi soppressa e a cui sono affidati incarichi che non comportano di regola la cura delle anime. Fanno parte di questultima categoria anche i Vescovi coadiutori e i Vescovi ausiliari. I Vescovi coadiutori sono costituiti dufficio dalla Santa Sede quando lo ritiene opportuno, sono forniti di speciali facolt e godono ipso iure del diritto di successione al Vescovo diocesano (can. 403) infatti in caso di vacanza della sede episcopale il Vescovo coadiutore diviene immediatamente Vescovo della diocesi (can. 409). I Vescovi

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ausiliari sono privi del diritto di successione, vengono costituiti su richiesta del Vescovo diocesano quando lo suggeriscono le necessit pastorali della diocesi, salvo che circostanze gravi suggeriscano lassegnazione di un Vescovo ausiliare fornito di speciali facolt (can. 403). Entrambi prendono possesso del loro ufficio mostrando la lettera apostolica di nomina al Vescovo diocesano (can. 404). Inoltre sono i principali collaboratori del Vescovo diocesano, che li consulta nelle questioni di maggiore importanza, ad essi spetta la funzione di vicario generale della diocesi o, per i Vescovi ausiliari, quella di vicari episcopali (can. 405 407). I poteri del Vescovo diocesano Il Vescovo diocesano gode nella sua diocesi di tutta la potest ordinaria, propria e immediata, fatta eccezione per quelle cause che dal diritto o da un decreto del Pontefice sono riservate alla suprema o ad altra autorit ecclesiastica (can. 381). Sono giuridicamente equiparati al Vescovo diocesano coloro che presiedono le altre Chiese particolari (can. 381). Per poter esercitare lufficio deve prima prendere possesso canonico della diocesi cio il momento in cui esibisce (personalmente o tramite procuratore) la lettera apostolica al collegio dei consultori a cui compete il governo della diocesi durante il periodo di vacanza e alla presenza del cancelliere della curia che ne redige un verbale; ci deve avvenire entro quattro mesi dalla ricezione della lettera apostolica se non gi stato consacrato Vescovo ed entro due mesi se gia stato consacrato. Nel caso di una diocesi di nuova erezione, la presa di possesso canonico avviene mediante comunicazione di tale lettera al clero e al popolo presenti in cattedrale, con verbalizzazione da parte del presbitero pi anziano, inoltre secondo il codex tutto deve avvenire durante un atto liturgico in cattedrale (can. 382). Il Vescovo diocesano deve mostrarsi sollecito nei confronti di tutti i fedeli, come pure deve mostrare umanit e carit nei confronti dei fratelli che non sono in piena comunione con la Chiesa cattolica e dei non battezzati (can. 383). Inoltre deve rivolgere particolare attenzione ai suoi presbiteri (can. 384). Fra i principali doveri troviamo: proporre e spiegare ai fedeli le verit della fede, predicando personalmente e curando che il ministero della parola venga opportunamente assicurato allinterno della diocesi (munus docendi, can. 386); offrire un esempio di santit nella carit, nellumilt e nella semplicit di vita promuovendo con ogni mezzo la santit dei fedeli (can. 387); celebrare frequentemente la messa per il popolo (cann. 388 389); tenuto a visitare la diocesi (visita pastorale) in modo da visitarla tutta almeno ogni cinque anni (can. 396). Ogni cinque anni deve presentare una relazione al Pontefice sullo stato della diocesi e recarsi a Roma per venerare le tombe degli Apostoli Pietro e Paolo e presentarsi al Romano Pontefice (visita ad limina) (cann. 399 400). Nellambito della sua funzione di governo (munus regendi) esercita la funzione legislativa personalmente, quella esecutiva sia personalmente che mediante i vicari generali o episcopali, quella giudiziaria sia personalmente che mediante il vicario giudiziale e i giudici (can. 391). In forza dei vincoli di comunione che lo legano al Pontefice e agli altri membri del collegio, tenuto a difendere lunit della Chiesa universale promuovendo la disciplina comune ed esigendo losservanza di tutte le leggi ecclesiastiche, deve inoltre vigilare che non si insinuino abusi nella disciplina ecclesiastica (can. 392). Quanto allapostolato, deve favorire nella diocesi le sue diverse forme e curare che le diverse opere di apostolato siano coordinate sotto la sua direzione (can. 394). Inoltre tenuto per legge alla residenza personale nella diocesi (can. 395) e una volta compiuti i settantacinque anni invitato a presentare la rinuncia allufficio del Sommo Pontefice che provveder ad accettarla (can. 401). La vacanza della sede episcopale La sede episcopale diviene vacante con la morte del Vescovo diocesano, con la rinuncia accettata dal Pontefice, con il trasferimento o la privazione. Se manca il Vescovo coadiutore, cui compete la successione ipso iure, il governo della diocesi passa, fino alla costituzione dellamministratore diocesano, al Vescovo ausiliare o se manca questultimo al collegio dei consultori (can. 419). Entro otto giorni dalla notizia, il collegio dei consultori deve eleggere lAmministratore diocesano, che ha il compito di reggere la diocesi fino alla presa di possesso del nuovo Vescovo. Se questo termine decorre la sua nomina spetta al Metropolita (can. 421). A tale ufficio si pu candidare solo un sacerdote con almeno trentacinque anni di et (can. 425). Lamministratore diocesano tenuto agli stessi obblighi e ha la potest del Vescovo diocesano, escluso ci che non gli compete ex natura rei o per il diritto (can. 427). Ottiene la relativa potest dal momento in cui accetta lelezione (can. 427). La sua eventuale rimozione riservata alla Santa Sede (can. 430). La frase Sede vacante nihil innoventur significa a coloro che provvedono interinalmente al governo della diocesi proibito compiere qualsiasi atto che possa arrecare pregiudizio alla diocesi, in particolare di sottrarre, distruggere o modificare qualsiasi documento della curia diocesana (can. 428).

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I raggruppamenti di Chiese particolari


La costituzione Lumen gentium dice che lunione collegiale appare anche nelle relazioni tra i singoli Vescovi e le Chiese particolari e la Chiesa universale; poi aggiunge che varie Chiese, in vari luoghi, si sono costituite in vari raggruppamenti (coetus) organicamente congiunti che godono di una propria disciplina. La natura collegiale dellepiscopato incompatibile con la concezione individualistica di tale ministero, esercitato dal suo titolare per il bene della Chiesa. Il Vaticano II dice che i singoli Vescovi esercitano il loro pastorale governo sopra la porzione del popolo di Dio che stata loro affidata, non sopra le altre Chiese n sopra la Chiesa universale; ma in quanto membri del Collegio episcopale sono tenuti ad avere per tutta la Chiesa una sollecitudine che contribuisce al bene della Chiesa universale. Nel corso della storia la coscienza della natura collegiale dellepiscopato e le esigenze di un pi efficace svolgimento delle funzioni pastorali e di governo, hanno portato allo sviluppo di forme di esercizio congiunto dando vita a raggruppamenti di Chiese. Questi raggruppamenti non sono espressione di collegialit in senso stretto o perfetta poich vi partecipano solo i Vescovi di un determinato territorio e sono prive di quegli attributi e prerogative di governo supremo della Chiesa. Come sono anche privi delle prerogative del singolo Vescovo, che per istituzione divina allinterno della diocesi lesclusivo titolare della potest di governo (can. 135). Si tratta quindi di istituzioni di diritto ecclesiastico che manifestano la permanente operativit nel sistema di governo della Chiesa di unaffectio collegialis, una delle sue peculiarit, in grado di conformare lesercizio individuale del potere secondo le esigenze della comunione ecclesiale. I principali raggruppamenti o coetus sono le province e regioni ecclesiastiche, le diocesi suffraganee raccolte attorno al Metropolita, i concili particolari e le conferenze episcopali. - Le province e le regioni ecclesiastiche Le province ecclesiastiche sono circoscrizioni territoriali, dotate ipso iure di personalit giuridica, che riuniscono le diocesi tra loro pi vicine al fine di promuovere unazione pastorale comune e per favorire i rapporti dei Vescovi diocesani (can. 431). Ciascuna diocesi inclusa allinterno del territorio deve far parte della provincia, che pu essere costituita, soppressa o modificata solo dalla suprema autorit della Chiesa (can. 431). Le province ecclesiastiche pi vicine possono essere congiunte dalla Santa Sede in regioni ecclesiastiche, su proposta della Conferenza episcopale e a cui pu essere attribuita personalit giuridica. A questo istituto spetta favorire la cooperazione e lattivit pastorale comune (cann. 433 434). Presiede la provincia ecclesiastica il Metropolita, che lArcivescovo della diocesi in cui preposto, in genere la sede episcopale, determinata o approvata dal Pontefice (can. 435) che poi corrisponde alla citt pi importante del territorio (sede metropolitana). Per le altre diocesi, dette suffraganee, spetta al Metropolita vigilare sullosservanza della fede e della disciplina ecclesiastica e di informare il Pontefice su eventuali abusi, senza poter interferire direttamente sulla diocesi (can. 436). - I concili particolari Sono istituzioni dotate di potest di governo, soprattutto legislativa, che riuniscono i Vescovi di un determinato territorio quando le circostanze lo suggeriscono. Possono essere di due tipi: plenari e provinciali. Il concilio plenario riunisce i Vescovi di tutte le Chiese particolari della medesima Conferenza episcopale, a cui competono vari compiti: convocarlo con lapprovazione della Sede Apostolica, scegliere il luogo, eleggerne il presidente approvato dalla Santa Sede, determinarne la procedura, le questioni da trattare, linizio e la durata e il suo scioglimento (cann. 439, 441). Il concilio provinciale raccoglie le diverse Chiese particolari della medesima provincia ecclesiastica, viene celebrato ogni volta che risulti opportuno alla maggioranza dei Vescovi diocesani (can. 440). Il Metropolita presiede il concilio e, col consenso della maggioranza dei Vescovi suffraganei, ha il compito di convocarlo, scegliere il luogo, determinare la procedura e le questioni da trattare, indire lapertura e la durata, trasferirlo, prorogarlo o scioglierlo (can. 442). A questi concili devono essere convocati e hanno voto deliberativo tutti i Vescovi del territorio (diocesani, coadiutori, ausiliari, titolari); devono essere chiamati ma con voto consultivo i vicari generali e episcopali delle Chiese particolari del territorio, una rappresentanza dei superiori maggiori degli istituti religiosi e delle societ di vita apostolica, i rettori delle universit ecclesiastiche e cattoliche, i decani delle facolt di teologia e diritto canonico del territorio; possono essere chiamati con voto meramente consultivo anche i presbiteri e altri fedeli (can. 443). I concili particolari hanno competenza di carattere generale, cio cura che si provveda nel proprio territorio alle necessit pastorali del popolo di Dio e per questo scopo dispone di potest di governo, soprattutto legislativa, cio per decidere ci che risulta opportuno per lincremento della fede, per ordinare lattivit pastorale comune, per regolare i costumi e per conservare, introdurre, difendere la disciplina ecclesiastica (can. 445). Il Vescovo diocesano gode, allinterno della

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diocesi, di ampi poteri di dispensa dallosservanza delle leggi disciplinari emanate dalla suprema autorit della Chiesa (can. 87) e inoltre lo stesso Ordinario del luogo pu dispensare validamente dalle leggi diocesane, dei concili particolari o della conferenza episcopale (can. 88). Una volta concluso, i relativi atti del concilio devono essere trasmessi alla Sede Apostolica, che deve concedere la recognitio dei decreti da esso emanati, prima della loro promulgazione (can. 446). - Le conferenze episcopali Rivestono un ruolo fondamentale nella strutturazione e nellazione della Chiesa nel mondo. Sono sorte spontaneamente gi nella seconda met del XIX secolo, poi con il Concilio Vaticano II (il decreto Christus Dominus) e il codice del 1983 hanno avuto una disciplina di diritto comune per tutta la Chiesa. Organismo permanente, consiste in unassemblea dei Vescovi di una nazione o di un territorio, i quali esercitano congiuntamente alcune funzioni pastorali per i fedeli di quel territorio (can. 447). Il codice esprime un favore per la dimensione nazionale delle conferenze episcopali, ma prevede esplicitamente anche territori di ampiezza minore o maggiore (can. 448). La loro erezione, soppressione o modifica spetta unicamente alla suprema autorit della Chiesa e godono ipso iure della personalit giuridica (can. 449). Ne sono membri di diritto tutti i Vescovi diocesani del territorio e coloro ad essi equiparati, i Vescovi coadiutori, i Vescovi ausiliari e gli altri Vescovi titolari che svolgono nel territorio uno speciale incarico; possono essere invitati anche gli Ordinari di un altro rito con voto solo consultivo (can. 450). Queste conferenze godono di autonomia statuaria, cio elaborano i propri statuti, soggetti alla recognitio da parte della Santa Sede, dove sono regolati i principali organi interni: riunione plenaria, consiglio permanente, segreteria generale. Ogni conferenza elegge al suo interno il proprio presidente e il segretario generale (can. 452). Lorgano deliberativo la riunione plenaria, pu infatti emanare decreti generali aventi valore legislativo; si tiene almeno una volta lanno o secondo le necessit; ne fanno parte con voto deliberativo i Vescovi diocesani, quelli ad essi equiparati e i Vescovi coadiutori, invece i Vescovi ausiliari e i Vescovi titolari hanno voto deliberativo o consultivo a seconda dello statuto (can. 454). Il consiglio permanente lorgano esecutivo, la sua composizione stabilita negli statuti, ha il compito di portare ad esecuzione le delibere assunte nella riunione plenaria e preparare le questioni da trattare in quella sede (can. 457). La segreteria generale ha una funzione di ausilio e di redazione degli atti, provvede inoltre a comunicare alle conferenze episcopali confinanti gli atti e i documenti secondo le indicazioni ricevute. La potest deliberativa per incontra un doppio limite, di materia e di quorum deliberativo, inoltre i decreti sono soggetti ad un controllo preventivo da parte della Santa Sede. Quindi possono emanare decreti solo nelle materie in cui lo abbia disposto il diritto universale o se lo stabilisce un mandato speciale della Sede Apostolica, sia motu proprio sia su richiesta (can. 455); nelle altre materie rimane la competenza di ogni singolo Vescovo diocesano e la conferenza episcopale non pu agire in nome di tutti i Vescovi se non con il loro consenso unanime (can. 455). Per lapprovazione dei decreti generali si richiede nella riunione plenaria il voto di almeno 2/3 dei membri con voto deliberativo, infine questi decreti sono soggetti alla recognitio della Santa Sede (can. 455). Questo procedimento ha lo scopo di non pregiudicare le prerogative dei singoli Vescovi diocesani e lautonomia della Chiesa particolare. Infatti da un lato le conferenze episcopali rappresentano la sede pi adeguata per affrontare efficacemente delle questioni, dallaltro esse sono semplici organismi la cui istituzione non pu alterare loriginaria costituzione divina della Chiesa, che assegna ai singoli Vescovi il compito di pastori.

La struttura interna delle Chiese particolari


- La curia diocesana La curia diocesana ha il compito di assistere il Vescovo nella direzione dellattivit pastorale, nellamministrazione della diocesi e nellesercizio della potest giudiziaria. Al vertice della curia c il vicario generale, nominato dal Vescovo, a cui spetta di diritto la stessa potest esecutiva su tutta la diocesi che spetta al Vescovo, cio la potest di porre tutti gli atti amministrativi salvo quelli che il Vescovo si sia riservato (can. 479). E una facolt del Vescovo costituire uno o pi vicari episcopali, di sua libera nomina, con la stessa potest ordinaria che spetta al vicario generale ma circoscritta ad una parte determinata della diocesi, per un determinato genere di affari, per i fedeli di un determinato rito o per un gruppo di persone (cann. 476, 479). Entrambi questi vicari possono essere liberamente rimossi dal Vescovo (can. 477), devono mantenerlo informato sulle attivit e non agire mai contro la sua volont e il suo intendimento (can. 480). Spetta al Vescovo diocesano coordinare lattivit pastorale dei vicari, curando che lintera amministrazione risponda al bene della porzione del popolo

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di Dio che gli affidata (can. 473). Il cancelliere, invece, provvede alla compiuta redazione degli atti della curia e alla loro custodia nellarchivio o tabularium diocesano (can. 486). Il consiglio per gli affari economici, presieduto dal Vescovo, composto da almeno tre fedeli esperti in economia e in diritto civile nominati dal Vescovo per un quinquennio (can. 492); ha il compito ogni anno di predisporre, sotto le indicazioni del Vescovo, il bilancio preventivo della diocesi per lanno successivo e approvare alla fine dellanno il bilancio consuntivo delle entrate e delle uscite (can. 493); inoltre richiesto il suo parere obbligatorio (consilium) sugli atti di amministrazione della diocesi di maggiore importanza e il suo consenso (consensus) per quelli di amministrazione straordinaria (can. 1277). Leconomo, nominato dal Vescovo sempre per un quinquennio, amministra i beni della diocesi sotto lautorit del Vescovo, effettua le spese che il Vescovo abbia ordinato e presenta nel corso dellanno il bilancio delle entrate e delle uscite al consiglio per gli affari economici (can. 494). - Il consiglio presbiterale e il collegio dei consultori Sono due organismi presbiterali che hanno un ruolo nel governo della diocesi, sono previsti dal codice del 1983 e sostituiscono quello che un tempo era il capitolo cattedrale. Il fondamento di questi istituti risiede nel sacramento dellordine, in forza del quale i presbiteri sono intimamente associati allordine episcopale e chiamati a cooperare con il ministero del Vescovo. Pertanto i sacerdoti costituiscono insieme al loro Vescovo un unico presbiterio destinato a diversi uffici, inoltre nelle singole comunit locali rendono presente il Vescovo e ne prendono gli uffici. In passato esisteva il capitolo cattedrale, composto dai presbiteri pi colti e di maggiore prestigio allinterno della diocesi, a cui veniva concesso lufficio di canonico della chiesa cattedrale, realizzando una forma elitaria di senato del Vescovo che aveva importanti funzioni durante la vacanza della sede episcopale e in alcuni casi il compito di eleggere il Vescovo diocesano previa approvazione della Santa Sede. Il codice del 1983 ha introdotto organismi di partecipazione e supplenza al governo fondati su una maggiore rappresentativit del presbiterio. Il consiglio presbiterale un gruppo di sacerdoti che, in rappresentanza del presbiterio, formano una sorta di senato del Vescovo, cui spetta di coadiuvarlo nellinteresse del bene pastorale dei fedeli (can. 495). E un organismo necessario e dotato di propri statuti approvati dal Vescovo, composto da sacerdoti per la met eletti dagli stessi sacerdoti della diocesi, altri membri di diritto in virt del loro ufficio e altri liberamente nominati dal Vescovo (can. 497). La durata in carica stabilita negli statuti, in modo che il consiglio si rinnovi interamente nel corso di un quinquennio (can. 501). E il Vescovo che convoca il consiglio, lo presiede e stabilisce le questioni da trattare. Le funzioni del consiglio sono consultive: il Vescovo deve ascoltarlo negli affari di maggiore importanza e chiede il suo consenso solo in casi espressamente previsti (can. 500). Fra i membri di questo consiglio il Vescovo nomina liberamente fra i sei e i dodici sacerdoti che per un quinquennio costituiranno il collegio dei consultori. Questo collegio presieduto dallo stesso Vescovo, ha delle funzioni fondamentali indicate dal diritto, ad es. in caso di vacanza della sede episcopale e per i principali atti di amministrazione dei beni della diocesi. Al capitolo dei canonici, invece, si accede mediante designazione del Vescovo, ha funzioni minori come assolvere alle funzioni liturgiche pi solenni e le altre affidategli specificamente dal Vescovo (can. 503, 509). - Il consiglio pastorale diocesano E un organismo di rappresentanza dellintero popolo di Dio, il codice prevede la sua costituzione in ogni diocesi ed sotto lautorit del Vescovo. Le sue funzioni sono studiare, valutare e proporre conclusioni operativa su quanto riguarda le attivit pastorali della diocesi (can. 511); ha una competenza di carattere generale ma con funzioni meramente consultive (can. 514). Trova il suo fondamento nel sacerdozio comune dei fedeli, che rende corresponsabile lintero popolo di Dio della missione di salvezza della Chiesa. E composto da fedeli in piena comunione con la Chiesa, chierici, religiosi e soprattutto laici, membri per un tempo determinato, scelti per rappresentare tutta la porzione del popolo di Dio tenendo conto delle varie zone del territorio, delle condizioni sociali, delle professioni e delle varie forme di apostolato (can. 512). Solo il Vescovo ha il compito di convocare e presiedere il consiglio pastorale, almeno una volta allanno, e di rendere di pubblica ragione le materie trattate (can. 514). Questo organismo porta un rinnovamento conciliare (la Chiesa come popolo di Dio) ma nella nuova codificazione non ha avuto molta considerazione a causa della previsione della sua stessa facoltativit, rendendo opzionale listituzione della sola sede di rappresentanza effettiva del popolo di Dio. Il terminale operativo della funzione di governo pastorale della diocesi la parrocchia, cio una determinata comunit di fedeli che viene costituita stabilmente nellambito di una Chiesa particolare, la cui cura pastorale affidata ad un parroco quale suo pastore proprio, sotto lautorit del Vescovo diocesano (can. 515). - Il sinodo diocesano

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E uno strumento di ausilio allesercizio della funzione legislativa del Vescovo diocesano e, secondo il Vaticano II, meriterebbe di essere maggiormente utilizzato. Nel concilio di Trento si stabil che il sinodo diocesano doveva essere convocato ogni tre anni, ma col tempo cadde in disuso. E lassemblea dei sacerdoti e degli altri fedeli della Chiesa particolare, per prestare aiuto al Vescovo (can. 460); viene convocato dal Vescovo diocesano, che lo presiede personalmente o tramite il vicario generale o episcopale (cann. 461 462). Si tratta quindi di un organismo temporaneo, destinato a cessare una volta esaurita la sua funzione. Sono membri di diritto, oltre ai vari Vescovi e vicari, i membri del consiglio presbiterale, una rappresentanza di laici eletti dal consiglio pastorale diocesano e alcuni superiori di istituti religiosi, possono essere chiamati anche altri fedeli (can. 463). Il codice prevede che tutte le questioni proposte siano sottomesse alla libera discussione dei membri (can. 465) ma aggiunge anche che nel sinodo diocesano lunico legislatore il Vescovo diocesano, infatti gli altri membri hanno solo un voto consultivo ed solo lui che sottoscrive le dichiarazioni e i decreti sinodali, che possono essere resi pubblici per la sua autorit (can. 466). Spetta sempre al Vescovo diocesano sospendere o sciogliere il sinodo diocesano (can. 468). Le finalit di questo organismo possono essere: adattare lapplicazione delle leggi generali della Chiesa alle circostanze locali, emanare norme per lazione pastorale e per il governo della diocesi, stimolare le varie attivit e iniziative, correggere gli errori nella dottrina e nei costumi. Vi un evidente analogia tra il sinodo diocesano e il sinodo dei vescovi, poich entrambi sono strumenti di ausilio allesercizio di un ministero conferito ad una persona ma che deve essere svolto al servizio dellintera comunit ecclesiale o detta communio ecclesiarum.

Il regime degli atti


Nel regime degli atti prende concretamente forma lattivit di governo del popolo di Dio. Il codice ha cercato di razionalizzarlo tenendo conto delle peculiarit del sistema di governo ecclesiale. Il Libro I del codice individua, dopo le leggi ecclesiastiche e la consuetudine (fonti del diritto, cann. 19, 23), i decreti generali e le istruzioni (cann. 29 34) e la categoria degli atti amministrativi singolari (cann. 35 93), al cui interno troviamo altri atti non sempre omogenei: i decreti e i precetti singolari, i rescritti, i privilegi e le dispense. Decreti generali e istruzioni I decreti generali e le istruzioni hanno in comune lessere atti subordinati alle leggi e rivolti ad una generalit di destinatari (atti amministrativi generali), ma non tutti sono espressione di potest esecutiva. Tra i decreti generali infatti distinguiamo quelli aventi natura legislativa, in quanto emanati dal legislatore competente (can. 29) o da chi disponga di unespressa concessione da parte del legislatore (legislazione delegata) (can. 30), dai decreti generali esecutivi, emanati da coloro che godono di potest esecutiva, entro i limiti della loro competenza, che determinano i modi da osservare nellapplicare la legge o con cui si urge losservanza delle leggi (can. 31). Questi ultimi sono sottoposti al principio di legalit (non derogano alle leggi e le loro disposizioni che siano contrarie alle leggi sono prive di ogni vigore) e sono assimilabili ai regolamenti amministrativi negli ordinamenti secolari o disposizioni generali esterne. Le istruzioni provengono anchesse da soggetti che godono di potest esecutiva e rendono chiare le disposizioni delle leggi e sviluppano e determinano i procedimenti nelleseguirle, quindi sono destinate a chi cura che le leggi siano mandate ad esecuzione (can. 34). Per questo loro carattere interno vengono denominate disposizioni generali interne e sono anchesse sottoposte al principio di legalit. Gli atti amministrativi singolari Sono una categoria eterogenea di atti che hanno un destinatario concreto (singolare). Non sono sempre espressione di potest esecutiva in quanto sono veri e propri atti del legislatore. Si distingue tra gli atti amministrativi singolari in senso stretto, che sono espressione di potest esecutiva e quindi soggetti al principio di legalit (can. 38) e alla possibilit di ricorso (ca. 1732), e le norme singolari, di competenza del legislatore. Sul piano normativo a questa distinzione non corrisponde una distinzione degli atti sulla base del loro nomen iuris, perch uno stesso atto pu avere natura di atto amministrativo o di norma singolare. Questo minore rigore formale trova ragione nellelasticit del diritto canonico, poich il primato il fine della salvezza della anime (can. 1752). Perci se la regola generale configge nel caso concreto con il fine della salvezza del singolo, lordinamento canonico mette a disposizione degli istituti (privilegi, dispense, equit canonica) per poter derogare la norma. In tal caso atti singolari posso assumere natura formale di vere e proprie norme singolari, cio aventi efficacia sul piano legislativo. Nella categoria degli atti amministrativi singolari fanno parte (can. 35):

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b)

il decreto singolare, un atto amministrativo emesso dalla competente autorit esecutiva mediante il quale data per un caso particolare una decisione o viene fatta una provvisione (can. 48), pertanto dato su iniziativa della autorit; - il precetto singolare, un decreto decisorio, avente quindi natura imperativa, con cui si impone direttamente e legittimamente a una persona o a persone determinate qualcosa da fare o da omettere per osservare il contenuto di una legge (can. 49); nel caso in cui con un precetto siano imposti obblighi cui il destinatario non era previamente obbligato, avrebbe efficacia innovativa e quindi si qualificherebbe come norma singolare; - il rescritto, un atto amministrativo dato per iscritto dalla competente autorit esecutiva tramite il quale, su domanda di qualcuno, concesso un privilegio, una dispensa o unaltra grazia (can. 59); alcuni rescritti possono provenire dal legislatore o concernere materie aventi natura legislativa, quindi non avrebbero natura formale di atti amministrativi ma di norme singolari. Il rescritto era definito in passato come responsum principis ad instantiam petentis, la risposta data dalla Santa Sede o da un Ordinario con la quale si comunica una decisione o informazione dietro richiesta, o la concessione di un favore o dispensa. Oggi esso indica non solo latto conclusivo ma lo stesso procedimento amministrativo di esame e valutazione. La natura complessa dellatto si riflette sul contenuto composto di tre elementi: la richiesta da parte del fedele, i motivi che la sorreggono, la risposta dellautorit superiore. Le norme singolari Sono una serie di atti che possono derogare a quanto stabilito nelle norme generali, per rispondere alle esigenze poste dal fine della salvezza delle anime. Tra di esse troviamo il precetto, il privilegio e la dispensa. - il privilegio, una grazia in favore di determinate persone, sia fisiche sia giuridiche, accordata per mezzo di un atto concesso dal legislatore o dallautorit esecutiva (can. 76), quindi ha natura legislativa; pu avere carattere personale, se viene concesso ad una persona e dunque segue sempre la persona e si estingue con il suo decesso, carattere reale se concesso direttamente e immediatamente ad una cosa e quindi cessa con la distruzione totale della cosa o del luogo (can. 78); - la dispensa, unesenzione (relaxatio) da una legge meramente ecclesiastica in un caso particolare, concessa da coloro che godono di potest esecutiva e da quelli cui compete di dispensare esplicitamente o implicitamente (can. 85). Il codice prevede un duplice limite generale per la dispensa: a) non sono dispensabili le leggi in quanto definiscono gli elementi costitutivi essenziali degli istituti o degli atti giuridici (can. 86) non si dispensi senza giusta e ragionevole causa (can. 90) Questultimo limite dipende dallautorit che ha concesso la dispensa, se il legislatore o altro organo dotato di potest esecutiva: nel primo caso la sua inosservanza incide solo sulla liceit dellatto, nel secondo sulla sua validit. Anche la dispensa si presenta a volte come norma singolare poich proviene da unautorit dotata di potest legislativa (can. 87). Questo istituto riflette al massimo la caratteristica del diritto canonico di piegare la certezza formale del diritto al fine della salvezza delle anime, che pu portare anche la disapplicazione di una norma (can. 135). Un esempio il can. 87 in cui sono rafforzati i poteri di dispensa del Vescovo diocesano, che ha la facolt di dispensare validamente i fedeli dalle leggi disciplinari ogni qualvolta giudichi che ci giovi al loro bene spirituale, questa facolt non riguarda per le leggi processuali o penali. In caso vi sia difficolt di ricorrere alla Santa Sede e pericolo di danno grave nellattesa, dalle stesse leggi pu dispensare qualunque Ordinario, purch solitamente la Santa Sede la conceda nelle medesime circostanze. Lo stesso Ordinario del luogo pu dispensare validamente dalle leggi diocesane e dalle leggi date dal Concilio plenario o provinciale e dalla Conferenza Episcopale (can. 88). Il can. 89 inoltre prevede che anche il parroco, gli altri presbiteri o i diaconi possano dispensare validamente da una legge universale e da una particolare, a condizione che tale potest sia stata loro espressamente concessa.

Il matrimonio
La Chiesa, per il raggiungimento del suo fine, utilizza mezzi che si classificano in due diversi ordini: linsegnamento e la santificazione. Con linsegnamento vengono trasmesse le verit rivelate e i

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principi morali, costituisce un vero diritto e dovere della Chiesa, definito nativo perch originario e coessenziale alla stessa natura dellistituzione ecclesiastica (can. 747). Questo comporta la predicazione evangelica a tutte le genti, lannuncio dei precetti morali, lespressione del giudizio morale su qualsiasi realt umana. La funzione di insegnare (munus docendi) costituisce una manifestazione della potest di magistero o potestas magisterii; essa viene esercitata attraversi il magistero ecclesiastico, cio lufficio di interpretare ed esporre la parola di Dio con autorit da parte del Papa e dei Vescovi. Questa funzione viene esplicitata in modi diversi: con la predicazione, la catechesi, lazione missionaria, leducazione cattolica nella famiglia, nelle scuole e nelle universit cattoliche, attraverso le pubblicazioni e gli altri mezzi di comunicazione sociale. Tutto questo viene disciplinato nel Libro III del codice di diritto canonico. Laltra funzione, di santificazione o munus sanctificandi, si riferisce alla potest dordine o potestas ordinis. Si esplicita attraverso lamministrazione dei mezzi soprannaturali che Cristo ha affidato alla Chiesa, cio i sacramenti: battesimo, confermazione (cresima), eucaristia, penitenza (confessione), unzione degli infermi, ordine sacro, matrimonio. Attraverso i sacramenti si rende culto a Dio e si opera la santificazione degli uomini; insieme ai sacramenti abbiamo poi i sacramentali, le esequie ecclesiastiche, il culto dei santi. Tutto questo viene disciplinato nel Libro IV del codice. Il sacramento del matrimonio sempre quello oggetto di speciale attenzione poich lunico preesistente allistituto di questi mezzi di grazia. Si tratta infatti di un istituto naturale, che tra i battezzati stato elevato da Cristo alla dignit di sacramento (can. 1055). Lo stato matrimoniale lo stato di vita pi diffuso tra i fedeli, da qui linteresse della Chiesa per un sacramento che sostiene quei christifideles (laici) che sono chiamati a santificarsi nel mondo e ad animare cristianamente lordine temporale.

Il matrimonio come istituto naturale


Un istituto naturale, una societ durevole tra uomo e donna voluta da entrambi allo scopo di dar vita ad altri individui e di aiutarsi reciprocamente. Il matrimonio un istituto comune a tutti gli uomini e ha una struttura essenziale non mutevole. Il mutare della storia, infatti, incide sulla concreta configurazione socio-giuridica di questo istituto ma solo in elementi non essenziali e di contorno. Per comprendere meglio la struttura del matrimonio possiamo fare riferimento alla Sacra Scrittura, un testo scritto per un popolo semplice, e in particolare al libro della Genesi in cui troviamo la struttura del matrimonio come istituto naturale in quattro passaggi: a) non bene che luomo sia solo: mette in evidenza la consapevolezza della propria difettivit e debolezza, quindi lesigenza di rapportarsi con gli altri; manifesta la natura relazionale delluomo nel senso che nessuno capace di piena autonomia ma tutti hanno bisogno dellaiuto e della solidariet degli altri; questo passo apre il racconto della creazione della donna e indica il superamento della condizione di difettivit in una relazione uomodonna caratterizzata dalla complementariet; quindi la relazione nuziale tra luomo e la donna la relazione fondamentale. b) i due formeranno una sola carne: una caro, carne della stessa carne, ossa delle stesse ossa; sottolinea il superamento del limite individuale e laspetto donativo del rapporto tra uomo e donna nel matrimonio; una relazione che va sino alla pi profonda intimit, nella quale si supera il limite di ciascun individuo nel vicendevole completamento tra marito e moglie; il matrimonio deve essere considerato come una liberazione dai limiti che segnano la condizione di ogni individuo. c) crescete e moltiplicatevi: indica la continuit nel tempo; il processo di approfondimento della coscienza di se stessi, detto personalizzazione, non completo se resta in balia del tempo ma deve affermarsi oltre il tempo, che quindi oggettivamente un limite; la finalit procreativa del matrimonio indica il soddisfacimento del bisogno di ogni uomo di durare nel tempo. d) per questo luomo lascer suo padre e sua madre: acquisita la maturit, luomo va incontro al mare grande della vita, ma lasciare suo padre e sua madre lo metter nella condizione di essere solo e gli far avvertire la debolezza dellessere solo e il bisogno dellaltro; il circolo si chiude. Dunque il Libro Sacro svela in parole semplici la struttura fondamentale del matrimonio. Come istituto naturale, disciplinato dal diritto naturale ed integrato dal diritto secolare o dalle consuetudini sociali. Il diritto secolare, per, non pu riformare o modificare le basi naturali dellistituto. Il matrimonio canonisticamente denominato matrimonio legittimo (matrimonium legitimum) considerato vero dalla

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Chiesa se contratto da non battezzati; su di esso la Chiesa non ha competenza giuridica perci rientra nellambito del munus docendi, cio la funzione di insegnare la verit oggettiva del matrimonio.

Il matrimonio sacramento
Il matrimonio sacramento un patto mediante il quale luomo e la donna pongono in essere un consorzio per tutta la vita. Se il matrimonio elevato a sacramento significa che il matrimonio validamente contratto tra battezzati produce gli effetti della grazia sacramentale. La dottrina sul matrimonio stata elaborata dal Concilio di Trento, essa indica che tra i battezzati non pu sussistere un valido contratto matrimoniale che non sia esso stesso un sacramento (can. 1055). Quindi contratto e sacramento non sono opposti ma dal contratto scaturiscono effetti sacramentali. Il matrimonio lalleanza fra un uomo ed una donna che danno vita ad una comunit di vita e di amore, ordinata al bene dei coniugi ed alla procreazione ed educazione dei figli (can. 1055). Per assumere pienamente queste finalit, le caratteristiche essenziali del matrimonio sono: lunit, esclusione della poligamia, e lindissolubilit, limpossibilit di scioglimento del vincolo matrimoniale durante la vita dei coniugi. I fini e le propriet del matrimonio sono considerati i bona matrimonii, espressione derivata da s. Agostino che parla di bonum prolis, fidei et sacramenti cio i tria bona, che nello specifico riguardano la sostanza del matrimonio: il bonum prolis attiene alla procreazione ed educazione della prole; il bonum fidei alla fedelt vicendevole tra i coniugi; il bonum sacramenti alla indissolubilit. Il Concilio Vaticano II con la costituzione pastorale Gaudium et spes parla del matrimonio come intima comunit di vita e di amore e ha rivalorizzato il rapporto interpersonale, sottolineando la connessione tra la felicit dellindividuo nella societ e il buon rapporto coniugale. Quindi, se il matrimonio sia contratto sia sacramento, ne deriva che qualora il contratto sia valido sussiste anche il sacramento, se invece il contratto fosse invalido sar invalido anche il sacramento. Per il matrimonio fra battezzati, la competenza a disciplinarlo giuridicamente spetta alla Chiesa, competenza che ha sempre rivendicato rispetto ai poteri civili, soprattutto dalla fine del Settecento in poi quando gli Stato hanno iniziato ad intromettersi con una disciplina propria (matrimonio civile). La Chiesa rivendica in particolare la competenza a disciplinare il matrimonio dei battezzati cattolici, infatti il can. 1059 afferma che il matrimonio dei cattolici retto non soltanto dal diritto divino ma anche da quello canonico, salva la competenza dellautorit civile circa gli effetti puramente civili. Le fonti normative che regolano il matrimonio canonico sono: il diritto divino naturale, che forgia la struttura del matrimonio in maniera comune a tutti gli uomini (la diversit sessuale, lunit e lindissolubilit, le finalit del bene dei coniugi e della procreazione ed educazione dei figli; il diritto divino positivo o rivelato, che riguarda tutti i battezzati e indica ad esempio la peculiare stabilit in ragione del sacramento (can. 1056), in questo senso si pu anche intendere il precetto evangelico luomo non separi ci che Dio ha unito (Marco); il diritto ecclesiastico, linsieme delle norme che hanno la funzione di regolamentare dettagliatamente listituto matrimoniale; il diritto civile, poich il diritto canonico riconosce che il matrimonio produce anche effetti meramente civili. A questo proposito il can. 1061 afferma che il matrimonio validamente contratto tra battezzati si dice matrimonio rato (matrimonium ratum) e una volta che sia intervenuta la consumazione, cio gli atti sessuali, si dice matrimonio rato e consumato (matrimonium ratum et consummatum). Secondo il diritto canonico la consumazione deve avvenire in modo umano (can. 1061) cio secondo natura e con libera accettazione e si configura anche nel caso in cui allatto non segua la procreazione. Si chiama invece matrimonio canonico quello celebrato a norma dal diritto canonico da due battezzati nella Chiesa cattolica o da un cattolico e un non cattolico. La dottrina distingue inoltre tra matrimonium in fieri, quindi come atto costitutivo della famiglia, e il matrimonium in facto esse cio il rapporto matrimoniale che dura nel tempo o famiglia. Per il diritto canonico prevalente il suo interesse per latto costitutivo della famiglia, nel quale tutto il vissuto successivo voluto dagli sposi, minore invece lattenzione per la famiglia come insieme di rapporti. Bisogna precisare che il diritto canonico coglie soltanto alcuni aspetti, attinenti alla validit del contratto, lasciando gli altri allattenzione e cura dellattivit pastorale della Chiesa.

Struttura giuridica del matrimonio canonico


Il matrimonio canonico un patto (foedus) o contratto, che sorge esclusivamente dalla libera volont dei soggetti contraenti, cio gli sposi; volont che non pu essere supplita da nessuna potest umana, neppure ecclesiastica (can. 1057), quindi nessuno pu vincolare altri al matrimonio. Il consenso contrattuale la causa efficiente del sacramento; il sacerdote che assiste allo scambio del consenso solo un testimone pubblico (testis qualificatus). Materia e forma del matrimonio sono nelle

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parole o nei segni (can. 1101) con cui gli sposi esprimono il consenso, cio latto della volont con cui luomo e la donna, con patto irrevocabile, danno e accettano reciprocamente se stessi per costituire il matrimonio (can. 1057). La materia costituita dalla reciproca dazione di se, mentre la forma la manifestazione della reciproca accettazione del dono di s. Per essere validamente celebrato il matrimonio ha bisogno di tre elementi: un consenso prestato da persona giuridicamente abile, non viziato n nella sua formazione n nella sua manifestazione; lassenza di impedimenti; la forma prescritta.

Il consenso
Il matrimonio costituito dal libero consenso delle parti. Per il diritto sono irrilevanti i motivi che possono aver indotto lindividuo a sposarsi, ci che conta la volont di entrambi. La struttura essenziale del matrimonio predefinita, la libert dei soggetti contraenti si esaurisce nella libera adesione al modello giuridicamente predeterminato; in particolare le parti non possono alterare il carattere eterosessuale del matrimonio o modificarne le propriet e le finalit. Vista la centralit del consenso, un difetto o vizio di questultimo produce linvalidit del matrimonio anche se, per essere rilevante in foro esterno, deve essere accertata dal competente giudice ecclesiastico. La validit del consenso, dunque, dipende dalla capacit di coloro che debbono prestarlo, dalla conoscenza oggettiva di ci che vogliono, dalla libert di cui devono godere, dai reali contenuti della volont esternamente manifestata. Un difetto o vizio del consenso rende invalido il matrimonio: lincapacit di contrarre matrimonio, lignoranza, lerrore, il dolo, la violenza e il timore, la simulazione, la condizione. Per capacit si intende lidoneit del soggetto a valutare il proprio comportamento determinandosi coscientemente ad esso, quindi la capacit di contrarre matrimonio significa avere una conoscenza sufficiente della natura e dei fini del matrimonio e lidoneit a volerlo. Quindi lincapacit la mancanza di tale idoneit, che pu riguardare la sfera intellettiva e della conoscenza, quella volitiva, quella attuativa o operativa.

I vizi del consenso:


a) Lincapacit a contrarre matrimonio
Secondo il can. 1095 sono incapaci a contrarre matrimonio: - coloro che per ragioni diverse, temporanee o permanenti, mancano di sufficiente uso di ragione e quindi non sono in grado di raggiungere una seppur minima conoscenza di che cosa sia il matrimonio, questi sono i casi delle alterazioni mentali temporanee contingenti come ad esempio lalcool e lipnosi. - coloro che, per immaturit o per cause patologiche, difettano gravemente di discrezione di giudizio circa i diritti e i doveri matrimoniali essenziali da dare e accettare reciprocamente, riguarda quindi soggetti che non sono portatori di vere e proprie affezioni psicotiche ma che per ragioni permanenti o temporanee della loro personalit non sono in grado di avere sufficiente consapevolezza e libert nellassumersi obblighi, questi sono i casi in cui anche se lindividuo sa di contrarre matrimonio non pu discernere gli obblighi per alterazioni di carattere o anche detti conflitti di personalit (isterico, narcisista, immaturo psichico-affettivo). - coloro che per cause di natura psichica non possono assumere gli obblighi essenziali del matrimonio, poich non essendo in grado di adempiere gli obblighi non possono assumerli con la celebrazione del matrimonio; questa incapacit simile al caso precedente ma attiene a casi psicofisici nellambito della sfera sessuale (omosessuale, ninfomane e satiro, sadico e masochista) perch sono incapaci di condurre una sana vita coniugale, ad esempio non sono in grado di assumersi il dovere della fedelt.

b) Lignoranza
Lignoranza linsufficiente conoscenza di cos il matrimonio e cosa comporta. Secondo il can. 1096 necessario che i contraenti sappiano almeno che il matrimonio la comunit permanente tra luomo e la donna, ordinata alla procreazione della prole mediante una qualche cooperazione sessuale. Essendo il matrimonio un rapporto al quale luomo incline per natura, acquisisce in via autonoma la conoscenza essenziale di che cosa il matrimonio sia e comporti. Quindi richiesta una consapevolezza non specifica ma solo degli elementi essenziali: lunione solidale tra uomo e donna, la sua durata nel tempo, la sua apertura alla procreazione attraverso il rapporto sessuale. E una

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conoscenza minimale ma sufficiente ad individuare loggetto specifico che si presume sussistere in ogni persona dopo la pubert, cio dopo la pubert (14 anni per la donna, 16 anni per luomo) non c pi ignoranza ma una piccola conoscenza.

c) Lerrore
Esiste il vizio per errore di diritto (error iuris) o per errore di fatto (error facti). Lerrore di diritto riguarda le propriet essenziali e la sacramentalit del matrimonio. Il can. 1099 afferma che lerrore circa lunit o lindissolubilit o la dignit sacramentale del matrimonio non vizia il consenso matrimoniale, purch non ne determini la volont. Quindi se lerrore riguarda solo la conoscenza delle propriet e dei fini del matrimonio irrilevante giuridicamente. Diviene causa di invalidit quando, dalla sfera intellettiva, si passa in quella volitiva determinando cos il consenso. Ad esempio lerronea convinzione che il matrimonio sia dissolubile incide se viene ad oggettivarsi nella volont, allora lerrore diviene rilevante invalidando il consenso. Lerrore di fatto invece riguarda la persona dellaltro contraente il matrimonio, ad esempio lerrore sullidentit fisica della persona che rende invalido il matrimonio (can. 1097) perch il consenso viziato in ragione del fatto che il matrimonio riguarda una persona concreta e determinata. Pi complesso il caso dellerrore su una qualit della persona, perch in genere questo errore non incide sulla validit. Qualora la qualit della persona sia voluta direttamente e principalmente allatto di esprimere il consenso, il matrimonio nullo (can. 1097), in questo caso la qualit diventa loggetto del consenso matrimoniale. Un caso particolare lerror redundans in errorem personae, cio errore sulle qualit della persona che diviene errore di persona; una fattispecie contemplata nel codice del 1917 ma non pi in quello vigente anche se tuttora giuridicamente configurabile.

d) Il dolo
Il dolo (can. 1098) stato inserito nellultimo Codice (1983) perch in passato non si riteneva opportuno dare importanza a questo vizio poich la maggior parte dei matrimoni erano basati su questo. Il consenso viziato quando si pone in essere dolosamente un inganno, cio il contraente venga indotto in errore su una qualit dellaltra parte e per ci presti il consenso. La qualit pu essere fisica, morale, sociale ecc. ma deve essere essenziale per il matrimonio o deve avere una natura tale da turbare gravemente la vita coniugale. Il dolo pu essere posto dallaltra parte contraente o da una terza persona, pu consistere in un comportamento attivo o anche passivo od omissivo, purch esplicitamente diretto ad indurre in errore. Un esempio pu essere il caso di sterilit taciuta con inganno allaltra parte per evitare il sottrarsi di questultima al matrimonio. E una disposizione di diritto umano o di diritto divino? Esistono due teorie: di diritto umano perch posta dal legislatore, di diritto naturale perch il consenso non prestato validamente.

e) La violenza e il timore
Nessuno pu validamente obbligarsi se non liberamente, questo principio si collega al diritto fondamentale del fedele ad essere immune da qualsiasi costrizione nella scelta dello stato di vita (can. 219). Di conseguenza un consenso matrimoniale estorto con violenza o timore non valido. Nel caso della violenza fisica, il consenso viene addirittura a mancare (can. 125). Pi frequente il caso della violenza morale o del timore (metus), qui il consenso sussiste ma viziato (can. 125). Per provare linvalidit occorre che la violenza sia: oggettivamente grave, tale da annullare la libert di determinazione; incussa dallesterno; prodotta dal comportamento volontario di unaltra persona e non da eventi naturali; efficace, cio colui il quale subisce la violenza ha come unica via per sottrarsi ad essa il matrimonio. Una fattispecie particolare il timore reverenziale (metus reverentialis), che si produce in un rapporto caratterizzato da vincoli di dipendenza affettiva o psicologica. La caratteristica di questo metus che non produce elementi di violenza fisica o morale, ma condizionamenti del consenso derivanti da ricatti affettivi o da abusi di autorit. Le preghiere, le suppliche, le espressioni di dolore o di disappunto, i ricatti psicologici, sono fattori che costringono un soggetto a contrarre matrimonio. Ordinariamente questi fattori non invalidano un matrimonio, ma quando oggettivamente diventano forme di pressione gravi e soggettivamente vengono da persone con forte personalit allora possono invalidare un matrimonio.

f) La simulazione
Si parla di simulazione (can. 1101) quando ricorra una divergenza tra la manifestazione esterna del consenso matrimoniale e linterno volere, esternamente si esprime la volont di contrarre matrimonio ma internamente non si vuole. In questo caso il nubente vuole un matrimonio diverso rispetto a quello che intende la Chiesa, quindi vi una finzione del consenso. La simulazione pu essere totale o parziale: totale quando non si vuole il matrimonio o si vuole per finalit diverse; parziale quando la volont del soggetto diretta a costituire il matrimonio ma con esclusione di elementi essenziali. La

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fattispecie si verifica quando esternamente il nubente esprime il consenso matrimoniale, ma internamente esclude lunit del matrimonio (bonum fidei), o la sua indissolubilit (bonum sacramenti), o il bene dei coniugi (bonum coniugum), o la generazione della prole (bonum prolis), o il valore della sacramentalit. La simulazione pu essere bilaterale o unilaterale (riserva mentale); la simulazione unilaterale giuridicamente irrilevante in diritto civile, lo invece in diritto canonico. Perch il matrimonio sia invalido per simulazione non sufficiente una generica intenzione contro il matrimonio, bens ci vuole un atto positivo di volont diretto ad escludere il matrimonio stesso. Secondo il can. 1101 il consenso interno dellanimo si presume conforme alle parole o ai segni adoperati nel celebrare il matrimonio, si ha cio la presunzione di conformit della dichiarazione esterna alla volont interna. Si tratta di una praesumptio iuris, cio una congettura probabile di un fatto incerto stabilito dalla legge, inoltre una presunzione iuris tantum poich ammette la prova contraria. La presunzione da collegare al can. 1060 in cui consacrato il principio del favor matrimonii, cio in caso di dubbio si debba stare, fino a prova contraria, per la validit del matrimonio. La presunzione risponde ad un dato di comune esperienza, poich normalmente c coincidenza tra manifestazione esterna ed interno volere, quindi qualunque consenso si deve ritenere conforme alla sua manifestazione esterna, purch sia intervenuta la species seu figura matrimonii.

g) La condizione
Il consenso si pu viziare a causa di una condizione, per cui la validit o meno del contratto matrimoniale dipende dalla sussistenza di una determinata circostanza (can. 1102). Il diritto canonico esclude la validit del matrimonio contratto con condizione propria, cio condizione de futuro con effetti sospensivi, perch non si possono lasciare in sospeso gli effetti giuridici e spirituali del matrimonio-sacramento al verificarsi futuro ed incerto di un determinato fatto. Un caso particolare quello della condizione potestativa, la quale riguarda un fatto la cui realizzazione dipende dalla volont dellaltra parte. Invece il caso della condizione de futuro con effetti risolutivi una condizione al verificarsi della quale il matrimonio verrebbe meno, quindi in realt si verserebbe in una simulazione per esclusione della indissolubilit. Viceversa il diritto canonico ammette la celebrazione del matrimonio sotto condizione passata o presente, per cui il matrimonio valido o meno a seconda se sussista o meno il fatto dedotto in condizione (can. 1102). La ragione per cui il diritto canonico ammette rilievo giuridico alla condizione di garantire il reale consenso degli sposi. Lapposizione di condizioni de praeterito o de praesenti costituisce tuttavia un elemento di grave turbativa del consenso e del bene spirituale degli sposi, per questo esiste una disposizione nello stesso can. 1102 secondo cui non si pu porre la condizione se non con la licenza scritta dellOrdinario del luogo. Tale licenza richiesta ad liceitatem e non ad validitatem, quindi il matrimonio contratto sotto condizione passata o presente senza detta licenza sarebbe illecito ma non invalido.

Gli impedimenti
Gli impedimenti sono fatti o circostanze che rendono la persona inabile a contrarre matrimonio validamente (can. 1073). Si classificano in dirimenti (rendono invalido il matrimonio) e impedienti (lo rendono illecito ma non invalido), il codice del 1983 contempla per solo i dirimenti. Si distinguono in impedimenti di diritto divino o di diritto ecclesiastico: i primi sono dichiarati tali dalla suprema autorit della Chiesa (can. 1075) e non possono mai essere dispensati; i secondi sono sempre posti dalla stessa autorit suprema (can. 1075) per possono essere dispensati. Nel primo caso la suprema autorit svolge una funzione magisteriale (munus docendi) cio linsegnamento dei limiti posti dal legislatore divino, nel secondo caso svolge il proprio munus regendi ponendo ulteriori ostacoli alla celebrazione del matrimonio. Il potere di stabilire impedimenti riservato alla suprema autorit ecclesiastica, quindi gli impedimenti sono legislativamente predefiniti e le norme che li contemplano sono soggette ad interpretazione restrittiva cos il legislatore canonico particolare non pu porre nuovi impedimenti o derogare impedimenti vigenti (cann. 1075 e 1077); per lo stesso motivo non ammessa in materia di impedimenti la consuetudine (can. 1076). LOrdinario del luogo pu soltanto stabilire un divieto temporaneo al matrimonio per un caso peculiare, per una causa grave e limitatamente alla permanenza di questa; tale divieto ha forza impediente e non dirimente quindi il matrimonio illecito ma non invalido. Gli impedimenti, da un punto di vista probatorio, si distinguono in pubblici e occulti: sono pubblici quelli che possono essere provati in foro esterno (can. 1074), gli altri sono detti occulti. Il potere di dispensa per gli impedimenti di diritto ecclesiastico spetta alla Santa Sede e allOrdinario del luogo (cann. 1078 1082): la Santa Sede ha potere generale di dispensa, lOrdinario invece pu dispensare limitatamente al territorio da tutti gli impedimenti, tranne quelli riservati alla Santa Sede (lordine sacro, il voto pubblico di castit, il crimine). C un

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ampliamento delle competenze dellOrdinario nel caso di urgente pericolo di morte e nel caso che la sussistenza di un impedimento dispensabile risulti quando gi tutto pronto e non possibile attendere la dispensa dalla Santa Sede. Infatti per avere la dispensa necessario che ricorra una causa giusta e ragionevole. Gli impedimenti sono suddivisi nel codice in tre categorie: capacit personale, comportamento delittuoso, vincoli di parentela. Della prima categoria fanno parte let, limpotenza, il precedente matrimonio, la disparit di culto e lordine sacro; della seconda fanno parte il coniugicidio e il ratto; della terza fanno parte la parentela, laffinit, la pubblica onest e ladozione.

- Let
Secondo il can. 1083 non possono contrarre validamente matrimonio luomo che non abbia compiuto i sedici anni e la donna che non ne abbia compiuto quattordici. Questo impedimento nasce con lesigenza di garantire che i nubendi abbiano raggiunto la maturit biologica e psicologica necessaria, quindi il legislatore ha fissato un limite minimo che ovviamente pu non coincidere con leffettiva maturazione del singolo, da qui la possibilit di dispensa dallimpedimento. Il legislatore canonico ha anche previsto che le Conferenze episcopali possono fissare unet maggiore per la lecita celebrazione del matrimonio (can. 1083) altrimenti il matrimonio sarebbe valido ma illecito. Ad esempio la Conferenza episcopale italiana ha fatto uso di tale facolt in considerazione dellet nuziale fissata dal legislatore civile (art. 84 CC) e grazie allart. 8 del Concordato fra la Santa Sede e lItalia i matrimoni canonici possono conseguire effetti civili. Perci viene considerato un impedimento di diritto divino fino alla pubert, dopo la pubert invece di diritto umano.

- Limpotenza
Limpedimento di impotenza pu essere di due tipi: impotentia coeundi, cio lincapacit di avere rapporti sessuali causata da malformazioni fisiche o cause psicologiche, e impotentia generandi, cio lindividuo non in grado di procreare ma solo di compiere latto. Limpotentia coeundi quindi limpossibilit di compiere, per anomalie organiche o psichiche, la copula coniugale, cio latto con cui i coniugi divengono una caro. Pu essere delluomo o della donna, pu essere assoluta, cio nei confronti di tutti, o relativa, solo nei confronti di una persona determinata. E un impedimento di diritto divino naturale e quindi non pu essere dispensato. Per rendere nullo il matrimonio limpotenza deve essere (can. 1084) precedente al matrimonio, cio sussistente al momento del consenso, e perpetua, cio non curabile; se limpedimento dubbio, il matrimonio non pu essere impedito (can. 1084). Limpotentia generandi o sterilit, invece, che pu riguardare sia luomo che la donna, non impedisce il matrimonio n lo rende invalido (can. 1084) poich la sterilit non impedisce ai coniugi di porre in essere latto sessuale naturale.

- Il precedente matrimonio
Limpedimento del precedente vincolo matrimoniale (can. 1085) vuole tutelare le propriet del matrimonio: lunit, quindi lesclusivit del rapporto fra i coniugi, e lindissolubilit, per cui il matrimonio si scioglie solo con la morte di uno dei due coniugi. Quindi un impedimento di diritto divino e non pu mai essere dispensato. Per far s che limpedimento sussista necessario che ci sia un matrimonio validamente contratto. Leventuale divorzio civile non fa venire meno limpedimento perch il matrimonio per la dottrina cattolica indissolubile; limpedimento viene meno se il precedente matrimonio sia stato dichiarato nullo o nei casi specifici in cui il diritto canonico ammette lo scioglimento (dispensa dal matrimonio rato e non consumato, privilegio paolino e petrino).

- La disparit di culto
Limpedimento fra una persona battezzata nella Chiesa cattolica e una persona non battezzata (can. 1086). Questo impedimento nasce dalle difficolt che possono insorgere nei matrimoni misti sia per la fede, sia per leducazione cattolica dei figli (can. 226; can. 793). E un impedimento di diritto ecclesiastico perci dispensabile, ma ad alcune condizioni tra cui la promessa sincera della parte cattolica di fare quanto in suo potere perch i figli siano battezzati ed educati nella Chiesa cattolica (can. 1125).

- Lordine sacro e il voto religioso perpetuo


Limpedimento per ordine sacro (can. 1087) deriva dallobbligo del celibato previsto nella Chiesa (can. 277), si tratta quindi di un obbligo di non sposare che si affermato nellet medievale per due ragioni: una ragione spirituale, per una piena ed indivisa adesione a Cristo, e una ragione praticopastorale, per una maggiore disponibilit al servizio divino e dei fedeli. E dispensabile ma solo dalla Santa Sede in caso di vocazione viziata o nel caso in cui il chierico abbia abbandonato la vita sacerdotale. Limpedimento per voto religioso perpetuo riguarda coloro che hanno emesso il voto pubblico e perpetuo di castit in un istituto religioso (can. 1088). In questo caso il divieto non deriva

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da un obbligo esterno ma la conseguenza della libera scelta del soggetto che rinuncia allesercizio della sessualit (can. 573). E un impedimento di diritto ecclesiastico per cui dispensabile ma solo dal Pontefice.

- Il ratto
Questo impedimento diretto a garantire pienamente la libert della donna a contrarre matrimonio e a sposare una persona determinata, inserito allepoca del concilio per tutelare il sesso debole da questa usanza. Secondo il can. 1089 non possibile costituire un valido matrimonio fra luomo e la donna rapita purch ci sia fatto allo scopo di contrarre matrimonio. Limpedimento non dispensabile, ma viene meno una volta che la donna separata dal rapitore e posta in un luogo sicuro, abbia la libert di determinarsi e scegliere spontaneamente di contrarre matrimonio con luomo che lha rapita. Ci sono due requisiti: la donna che deve essere rapita, lautore deve agire con lintento di contrarre matrimonio.

- Il crimine
Questo impedimento sorge nel caso di coniugicidio. Per il can. 1090 esistono due diverse fattispecie: il caso di chi uccide (o fa uccidere) il coniuge di unaltra persona con cui vuole contrarre matrimonio o il proprio; il caso di coloro che hanno cooperato fisicamente o moralmente alluccisione del coniuge di uno dei due, anche se non al fine di sposarsi. La ragione di questo impedimento la tutela della vita e la salvaguardia della positivit del modello matrimoniale. E un impedimento di diritto ecclesiastico e quindi dispensabile, ma la gravit ha indotto il legislatore a riservare alla Santa Sede il potere di dispensa.

- La consanguineit e laffettivit
Limpedimento di consanguineit riguarda tutti coloro che discendono da un antenato comune. Secondo il can. 1091 nullo il matrimonio contratto tra consanguinei in linea retta, in qualsiasi grado; quello contratto tra consanguinei in linea collaterale nullo fino al quarto grado incluso (fratelli, zio e nipote, cugini primi). E un impedimento di diritto divino e quindi non dispensabile. Secondo il can. 1094 c il divieto di contrarre matrimonio a coloro che sono uniti, in linea retta o nel secondo grado della linea collaterale, da parentela sorta da adozione. Questo impedimento detto di parentela legale e nasce dal fatto che ladozione conferisce alladottato lo stato di figlio legittimo riconosciuto dal diritto canonico; un impedimento di diritto umano quindi dispensabile anche se molto difficile. Laffinit il vincolo che sussiste tra il coniuge e i consanguinei dellaltro coniuge. E riservato in linea retta ai consanguinei dellaltro coniuge legati a questultimo da un rapporto di discendenza luno dallaltro, altrimenti in linea collaterale. Per il can. 1092 laffinit in linea retta rende nullo il matrimonio in qualunque grado; un impedimento di diritto ecclesiastico e quindi dispensabile. Il sistema romanistico ci ha tramandato che limpedimento di consanguineit infinito in linea retta (padre, figlio, nonno) mentre in linea collaterale fino al quarto grado incluso (dal codice del 1983) e indica tutti quelli che hanno in comune un capostipite.

- La pubblica onest
La pubblica onest (publica honestas) un impedimento che nasce dal matrimonio invalido in cui c stata vita comune, cio il matrimonio putativo, o da concubinato pubblico e notorio (can. 1093). Questo impedimento sorto perch quando vi una sentenza di nullit di un matrimonio cessa anche laffinit, allora la Chiesa ha previsto questo impedimento perch riteneva sconveniente un matrimonio con il consanguineo di una persona con la quale si sia intrattenuta una relazione intima. Limpedimento di pubblica onest rende nulle le nozze nel primo grado della linea retta tra il coniuge e i consanguinei dellaltro; di diritto ecclesiastico e perci pu essere dispensato.

La forma canonica di celebrazione


Il matrimonio un negozio a forma vincolante, quindi linosservanza della forma di celebrazione comporta linvalidit del matrimonio. Ovviamente si tratta della forma giuridica o canonica che si distingue dalla forma liturgica, la quale non un requisito di validit del matrimonio. Lobbligo di scambiare il consenso matrimoniale in una forma giuridica predeterminata ad valitatem stato introdotto dal Concilio di Trento, con il decreto Tametsi del 1563. Prima del Concilio bastava lo scambio di consensi e non era obbligatoria la pubblicit quindi era nato il problema dei matrimoni clandestini, cio quei matrimoni celebrati al di fuori di qualunque forma solenne e pubblica. Questi matrimoni portavano delle conseguenze negative sul piano morale e sociale anche perch risultavano di difficile o impossibile prova, lasciando incerto lo stato giuridico delle persone coinvolte nel rapporto. In particolare era difficile laccertamento della effettiva volont delle parti: il matrimonio, con la nascita

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di una legittima convivenza, lacquisto dello status giuridico di coniugi e la legittimit dei figli eventualmente generati; o solo una promessa di matrimonio, con conseguente illegittimit di convivenza e della prole e non acquisto dello stato coniugale. Con il decreto Valenzi fu stabilito che i matrimoni celebrati fino a quel momento erano considerati validi anche se celebrati in altre forme, mentre da quel momento in poi i matrimoni per essere validi dovevano essere celebrati con la forma stabilita dalla Chiesa. Lentrata in vigore di questo decreto era prevista entro trenta giorni ma non fu subito pubblicato in tutte le diocesi quindi troviamo una situazione di incertezza poich i luoghi tridentini avevano ricevuto il decreto e gli altri invece no. Dal 1907 invece questo decreto venne esteso a tutta la Chiesa. Sono obbligati alle disposizioni canoniche tutti i battezzati nella Chiesa cattolica (can. 1117). La forma ordinaria (can. 1108) consiste nello scambio del consenso tra gli sposi alla presenza di un testimone qualificato (testis qualificatus), lOrdinario del luogo o il parroco (o un sacerdote o un diacono se delegati), e di almeno due testimoni comuni (testes communes). Il ministro sacro assiste alla celebrazione, in quanto chiede la manifestazione del consenso e la riceve in nome della Chiesa, ma non amministra il sacramento perch a farlo sono gli stessi sposi. Lo scambio del consenso deve avvenire con parole alla contemporanea presenza degli sposi, sia di persona che tramite procuratore (can. 1104). Prima della celebrazione sono effettuate le pubblicazioni, con cui si accerta che nulla impedisca che il matrimonio sia contratto lecitamente e validamente (cann. 1066 1067). Le pubblicazioni sono sostituibili con altri mezzi di accertamento. Vi sono anche forme straordinarie di celebrazione: - lo scambio del consenso davanti ai soli testimoni comuni (coram solis testibus) senza la presenza del ministro sacro (can. 1116) in caso di pericolo di morte di uno o di entrambi gli sposi e non possibile avere la presenza di un ministro di culto entro un mese; questo caso ricorre in particolare nei territori di missione - il matrimonio segreto (omissis denunciationibus et secreto) (cann. 1130 1133), al quale si ricorre per ragioni pastorali, cio per togliere da una situazione di peccato, ad esempio, due concubini o due persone conviventi da anni e che tutti ritengono sposati; infatti la pubblica celebrazione potrebbe suscitare disappunto o addirittura scandalo, di qui la segretezza della celebrazione alla presenza del ministro sacro e dei due testimoni ma senza le previe pubblicazioni e con il vincolo di segretezza per coloro che intervengono; il matrimonio cos celebrato non viene annotato nel registro parrocchiale dei matrimoni ma in uno speciale registro conservato presso la curia della diocesi - matrimoni misti tra un battezzato e un non battezzato (cann. 1124 ss), in questo caso lautorit ecclesiastica pu persino dispensare dallobbligo della forma canonica purch rimanga la necessit della celebrazione del matrimonio in una qualche forma pubblica (can. 1127) e il consenso venga espresso contemporaneamente; questa potrebbe essere la forma del matrimonio civile che in tal caso sarebbe matrimonio canonico.

Gli effetti del matrimonio


Sacramento il matrimonio come atto, non il rapporto che dura nel tempo. Per questa ragione il diritto canonico si occupa dellatto e non del rapporto. Infatti nei cann. 1134 1140 il legislatore canonico si limita a dettare alcune disposizioni precisando che una volta celebrato il matrimonio sorge tra gli sposi un vincolo perpetuo ed esclusivo, e che gli stessi sposi sono sostenuti dalla speciale grazia conferita loro dal sacramento. E posto il principio delleguaglianza in quanto a doveri e diritti dei coniugi; il diritto dovere di curare leducazione non solo fisica, sociale e culturale, ma anche morale e religiosa della prole; lattribuzione dello stato di figlio legittimo a chi nato da matrimonio valido. Il diritto canonico considera padre il legittimo marito della donna che ha partorito e presume come legittimi i figli nati almeno 180 giorni dopo la celebrazione del matrimonio o entro 300 giorni dallo scioglimento della vita coniugale; una presunzione iuris tantum quindi ammette una prova contraria. Il diritto canonico prevede anche listituto della legittimazione del figlio nato fuori dal matrimonio, che pu avvenire qualora i genitori naturali si sposino (legittimazione per susseguente matrimonio) o per provvedimento della Santa Sede (con rescritto pontificio). I figli legittimati sono del tutto equiparati ai legittimi perch lordinamento canonico non pone trattamenti giuridici discriminatori. Per quanto riguarda gli effetti civili, se gli Stati hanno ritenuto di istituire un proprio matrimonio (matrimonio civile) non tutti gli Stati hanno ritenuto di doverlo rendere obbligatorio per tutti (come la Francia); pi precisamente non sempre gli Stati hanno ritenuto di dover considerare esclusivamente il proprio matrimonio come atto capace di far conseguire gli status familiari, ma riconoscono giuridica

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rilevanza al matrimonio religioso, in particolare al matrimonio canonico. A volte ci avvenuto per iniziativa unilaterale statale, altre volte per via di accordi dellautorit statale con la Chiesa. Un esempio del primo caso nellart. 163 della Costituzione del Brasile (1967) in ossequio al principio della libert di coscienza e del libero esercizio di culto garantita la libert di contrarre matrimonio in forma religiosa o in forma civile, precisando che il matrimonio religioso ha effetti civili; ancora negli Stati Uniti riconosciuta agli sposi la libert di celebrare il matrimonio in forma religiosa o in forma civile, fermo restando che agli effetti del riconoscimento civile il matrimonio regolato dalla legge civile sia per i requisiti materiali sia per la forma. Un esempio del secondo caso lart. 8 del Concordato italiano, che riconosce gli effetti civili ai matrimoni contratti secondo le norme del diritto canonico, a condizione che latto relativo sia trascritto nei registri dello stato civile; inoltre aggiunge che le sentenze di nullit di matrimonio dei tribunali ecclesiastici sono dichiarate efficaci nella Repubblica italiana.

Nullit e convalidazione del matrimonio


Il matrimonio contratto invalidamente se c un vizio del consenso, un impedimento non dispensabile o non dispensato, un vizio di forma. A differenza del diritto civile, che contempla la nullit (anomalia radicale dellatto che coinvolge la sua essenza ontologica) e lannullabilit (anomalia pi limitata e relativa che non coinvolge latto nella sua essenza), il diritto canonico contempla solo casi di nullit. Il contratto matrimoniale, quindi, inefficace e senza effetto sin dallorigine e la relativa nullit pu essere giudizialmente accertata in ogni tempo. Infatti la sentenza di nullit produce effetti retroattivamente (ex tunc) fatti salvi gli effetti del cosiddetto matrimonio putativo, che si ha quando sia stato celebrato in buona fede da almeno una delle parti e fintanto che entrambe le parti non divengano consapevoli della sua nullit (can. 1061). Quindi il matrimonio putativo produce gli stessi effetti del matrimonio validamente contratto per quanto riguarda la legittimit dei figli (can. 1137) o la loro legittimazione per susseguente matrimonio (can. 1139). Il matrimonio canonico considerato inesistente qualora manchi addirittura latto o esso si presenti anomalo rispetto alla fattispecie delineata dal legislatore; ad esempio il caso del consenso matrimoniale posto per scherzo (ioci causa) o sulla scena teatrale da due attori. Il matrimonio oggetto di particolare favore nellordinamento canonico (favor matrimonii), che si esprime nella presunzione (iuris tantum) per cui nel dubbio il matrimonio si deve ritenere valido fino a prova contraria (can. 1060) e che si manifesta nella possibilit offerta dallordinamento agli sposi di convalidare il matrimonio, solo nel caso in cui venga meno il motivo che ha prodotto linvalidit. Questo principio non si applica sempre, come ad esempio nel matrimonio legittimo tra infedeli, perch la salus animarum (favor fidei) considerata pi importante del favor matrimonii. Dunque in presenza di vizi i coniugi possono scegliere se: chiedere lannullamento, continuare a convivere come fratello e sorella, chiedere la convalida. La convalidazione del matrimonio si ha nella forma della convalidazione semplice (convalidatio simplex) (cann. 1156 1160) cio la rinnovazione del consenso di entrambe o almeno una delle parti purch laltra perseveri nel consenso dato allatto della celebrazione. Se il matrimonio nullo a causa di un impedimento, il consenso pu essere rinnovato solo se limpedimento venuto meno o stato dispensato; se nullo a causa di un vizio del consenso, chi stato causa della nullit deve rinnovare il consenso e laltra parte deve perseverare il suo; se il vizio deriva dalla forma, il consenso deve essere rinnovato secondo le modalit prescritte dal diritto. La convalidazione semplice pu avvenire in modalit diverse, a seconda se il motivo sia pubblico o occulto (can. 1074): se il motivo pubblico, la volont matrimoniale deve essere nuovamente espressa in forma pubblica; se il motivo occulto, sufficiente il rinnovo del consenso in segreto. Un altro tipo di convalida la sanazione in radice (sanatio in radice) mediante la quale, quando il matrimonio invalido per un impedimento o vizio di forma ma il consenso era valido, pu essere sanato per concessione dellautorit ecclesiastica competente. Questa concessione pu essere data anche allinsaputa delle due parti o di una di esse, purch perseveri il consenso e limpedimento sia venuto meno o sia stato dispensato. E quindi un atto amministrativo che comporta la dispensa dellimpedimento o del vizio. La sanatio in radice non pu applicarsi nel caso di matrimonio nullo per mancanza o per vizio del consenso perch per il diritto canonico il consenso delle parti non pu essere supplito da nessuna potest (can. 1057).

Separazione e scioglimento del matrimonio


Lessenza della condizione matrimoniale data dalla comunit per tutta la vita (consortium totius vitae: can. 1055) che comporta il dovere di osservare la coabitazione tra gli sposi, quindi la comunanza di letto, di mensa e di abitazione (communio tori, mensae et habitationis). Questo dovere

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pu venire meno solo per: adulterio, grave compromissione del bene spirituale o corporale di uno dei coniugi o della prole, la durezza della vita comune (cann. 1151 1155). La separazione consiste nella possibilit di vivere separatamente per cause legittime mantenendo fermo il vincolo coniugale. Il diritto canonico tende a favorire sia il perdono sia la riconciliazione tra i coniugi, ferma restando che la separazione non fa venire meno lobbligo della fedelt e della indissolubilit come gli obblighi per il sostentamento e leducazione dei figli. La separazione personale dei coniugi battezzati di competenza dellautorit ecclesiastica (can. 1692) anche se non esclude una competenza dellautorit civile (can. 1692). Tuttavia la possibilit di deferimento della causa al giudice civile non legittima i coniugi cattolici a separarsi a condizioni diverse da quelle previste dal diritto canonico. Il matrimonio canonico perpetuo e indissolubile, una volta che sia rato e consumato non pu essere sciolto per nessuna ragione e da nessuna autorit, pertanto viene meno solo con la morte di uno dei coniugi (can. 1141). Esistono tuttavia due casi di scioglimento del vincolo matrimoniale, la ragione che solo il matrimonio rato e consumato per diritto divino assolutamente indissolubile, gli altri matrimoni non godono di una indissolubilit estrinseca assoluta mancando lelemento della consumazione o della sacramentalit. Il primo caso quello del matrimonio rato e non consumato tra battezzati o tra una parte battezzata ed una non battezzata, viene detta dispensa dal matrimonio rato e non consumato (can. 1142; per il procedimento cann. 1697 1706). Se vero che il matrimonio canonico ha come unica causa efficiente il consenso, anche vero che solo con la consumazione si realizza quelluna caro in cui gli sposi divengono integralmente una cosa sola e si compie radicalmente il dono reciproco di s, dono che non pu pi essere ripetuto. Nella dispensa super rato la mancata consumazione impedisce lattuazione nella sua pienezza del segno sacramentale dellunione fra Cristo e la Chiesa. La non consumazione, per poter essere causa dello scioglimento, non deve derivare da anomalie fisiche o psichiche che impediscono la copula perch si rientrerebbe nella fattispecie tipica dellimpotenza. Per poter ottenere lo scioglimento la non consumazione deve verificarsi dopo la celebrazione del matrimonio, deve essere debitamente accertata dalla Santa Sede e deve inoltre sussistere una giusta causa: ad es. lodio tra i due coniugi, se stata chiesta la separazione civile ecc. Lo scioglimento avviene con provvedimento pontificio di dispensa che pu essere richiesto da entrambi i coniugi o da uno solo anche se laltro sia contrario; un provvedimento di carattere amministrativo che viene concesso dal Pontefice e si dice dato graziosamente cio come grazia per cui i coniugi non hanno un diritto soggettivo ad ottenerlo ma una mera aspettativa. La facolt pontificia di sciogliere si estende al di l del solo matrimonio rato; la dispensa si pu avere infatti anche nel caso di matrimonio tra un battezzato e un non battezzato. Laltro caso il cosiddetto privilegio paolino, perch trova fondamento teologico nella prima lettera ai Corinti di s. Paolo. Il can. 1143 prevede le condizioni per sciogliere un matrimonio naturale anche se sia stato consumato ma che sia contratto: tra non battezzati; se successivamente uno dei coniugi ha ricevuto il battesimo; se la parte non battezzata non voglia farsi battezzare e non viva pacificamente con il coniuge. Lo scioglimento avviene quando la parte battezzata celebra a norma del diritto canonico un nuovo matrimonio. A questa fattispecie ne viene assimilata unaltra detta privilegio petrino (cann. 1148 1149), cio quando il pagano poligamo riceve il battesimo e non pu o gli gravoso rimanere solo con il primo coniuge, pu scegliere uno fra i vari coniugi e sposarlo canonicamente; oppure quando il pagano che riceve il battesimo non pu ristabilire la convivenza con il coniuge naturale a causa della prigionia o della persecuzione. Nel privilegio paolino lo scioglimento giustificato dal fatto che il bene della fede prevale sullindissolubilit; una rescissione del contratto matrimoniale perch concluso a condizioni inique fra i soggetti che erano ottenebrati dallintelletto in quanto si trovavano in infidelitate; cio essi da non battezzati non potevano percepire il primato assoluto del bene della fede. Nel caso della dispensa super rato una risoluzione del contratto per un vizio attinente al funzionamento dello stesso: la mancata consumazione, la dissociatio animorum.

I beni della Chiesa


Un problema di legittimazione
Con il precedente codice del 1917, la dottrina canonistica ricercava i principi legittimanti il godimento di quei beni temporali, di cui rivendicava il diritto della Chiesa ad acquisirli e amministrarli liberamente (can. 1495 codice pio-benedettino). Questo per lesigenza etica di evitare un irragionevole accumulo di beni temporali al di l delle obbiettive esigenze ed evitare un loro utilizzo per finalit estranee alla Chiesa. Il ricorso ai beni terreni si giustifica solo nella misura in cui strettamente necessario alla vita

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della comunit e allaiuto dei poveri. I beni della Chiesa, diceva s. Ambrogio, sono patrimonia pauperum cio bene dei poveri. Sul piano tecnico giuridico questa ricerca volta alla precisa individuazione delle finalit proprie del patrimonio ecclesiastico, da queste si passa poi alla elaborazione di criteri per una sana amministrazione e per un corretto esercizio dei poteri di controllo e vigilanza. Il legislatore del codice vigente, consapevole di questa esigenza, ha colmato la lacuna. Infatti il can. 1254, che apre il libro V intitolato I beni temporali della Chiesa, afferma che la Chiesa cattolica ha il diritto nativo, indipendentemente dal potere civile, di acquistare, possedere, amministrare e alienare i beni temporali per conseguire i fini che le sono propri; cio questi beni sono destinati ad ordinare il culto divino, provvedere ad un onesto sostentamento del clero, esercitare opere di apostolato sacro e di carit, specialmente al servizio dei poveri. Questo sensibile miglioramento della tecnica di legiferazione unapplicazione di quanto prescritto dal Concilio Vaticano II costituendo il criterio di legittimazione della disponibilit e del godimento dei beni temporali da parte di una Chiesa che vuole essere povera.

I beni ecclesiastici
Il codice non detta una definizione chiara, ma nel can. 1257 troviamo due parametri per individuare i beni detti ecclesiastici: in primo luogo sono beni temporali, distinti dai beni spirituali; in secondo luogo sono beni appartenenti alla Chiesa, alla Sede Apostolica e alle altre persone giuridiche pubbliche nellordinamento canonico. Nel can. 1257 e 1254 troviamo precisamente il concetto giuridico di beni ecclesiastici sia sotto il profilo soggettivo, quei beni appartenenti a persone giuridiche pubbliche nella Chiesa, sia sotto il profilo oggettivo, quei beni temporali la cui destinazione vincolata alle individuate finalit della Chiesa. A questa categoria possiamo ricondurre beni di diverso genere: beni materiali (res corporales) cio le parti del mondo sensibile aventi un valore economico, e beni immateriali (res incorporales); i beni immobili e i beni mobili; le res sacrae, cio quelle cose che con la consacrazione o con la benedizione sono immediatamente destinate al culto divino. Fra i beni ecclesiastici e le res sacrae non c identificazione, infatti i beni ecclesiastici non sono costituiti solo da res sacrae e queste ultime possono trovarsi in propriet di privati. Le res sacrae, anche in propriet di privati, non sono oggetto del diritto canonico. Ad es. nel can. 1205 sono dettate norme minuziose sui luoghi sacri, cio quei luoghi che vengono destinati al culto divino o alla sepoltura dei fedeli mediante la dedicazione o la benedizione. Il codice parla genericamente di beni temporali della Chiesa, senza ulteriori distinzioni. Il patrimonio ecclesiastico costituito dunque dai beni appartenenti alle persone giuridiche pubbliche, cio secondo il can. 116, quegli insiemi di persone o cose (universitates personarum aut rerum) costituite dalla competente autorit ecclesiastica perch compiano in nome della Chiesa il compito ad essa affidato. Esse acquistano la personalit giuridica o ipso iure, cio per disposizione di legge, o con provvedimento amministrativo della competente autorit ecclesiastica (can. 116). Sono persone giuridiche pubbliche ipso iure: le Chiese particolari (can. 373); le province ecclesiastiche (can. 432); le conferenze episcopali (can. 449); le parrocchie (can. 515); i seminari (can. 238); gli istituti religiosi, le loro province e case (can. 634). E da considerarsi conservata la personalit giuridica ipso iure del collegio cardinalizio (cann. 349 359) e dei capitoli dei canonici (cann. 503 510). Possono acquistare personalit giuridica con decreto dellautorit ecclesiastica: le regioni ecclesiastiche (can. 433); le conferenze dei superiori maggiori (can. 709); le Universit cattoliche (can. 807) e le Universit e Facolt ecclesiastiche (cann. 815 816); le associazioni pubbliche di fedeli (can. 301); le pie fondazioni autonome (can. 1303). Il codice conferisce la qualificazione di persone morali alla Sede Apostolica e alla Chiesa universale (can. 113) ponendole al di sopra delle altre per la loro origine divina.

La costituzione del patrimonio ecclesiastico


Esistono due modi di acquisto dei beni temporali da parte della Chiesa: uno di diritto privato (can. 1259), cio facendo ricorso agli istituti giuridici previsti dai diritti secolari per lacquisto del diritto di propriet; laltro di diritto pubblico, cio attraverso lesercizio del potere di imperio della Chiesa, che pu imporre alle persone fisiche e giuridiche ad essa soggette di devolvere parte dei loro redditi agli enti ecclesiastici. La Chiesa ha infatti il diritto di esigere dai fedeli quanto le necessario per le finalit sue proprie (can. 1260) e i fedeli sono invitati a contribuire alle necessit della Chiesa (can. 1262). Dobbiamo quindi distinguere tra: i tributi, cio le prestazioni dovute al mero titolo di appartenenza ad una Chiesa; le tasse, cio le prestazioni dovute in compenso di atti della potest esecutiva a vantaggio dei singoli fedeli; le oblazioni o offerte, da farsi in occasione dellamministrazione dei sacramenti e sacramentali. Nellultimo caso si tratta di prestazioni avente una certa doverosit ma

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comunque volontarie, per evitare ogni erronea impressione che la prestazione pecuniaria del singolo fedele corrispondesse al valore del sacramento o peggio che i sacramenti fossero amministrati a pagamento (simonia). Per quanto riguarda le acquisizioni di carattere pubblico invece distinguiamo tra: le questue (can. 1265), cio le offerte di fedeli per un fine religioso, raccolte attraverso inviti generalizzati e che possono essere effettuate solo previa autorizzazione, fatta eccezione per i religiosi mendicanti; le collette speciali (can. 1266), da effettuarsi nelle chiese e negli oratori aperti al pubblico, disposte dalla competente autorit ecclesiastica. A differenza del passato, si cercato di ridurre lesercizio del potere di imposizione per accentuare laspetto della libera e responsabile partecipazione. Tra i doveri e i diritti fondamentali dei fedeli c anche lobbligo di sovvenire alle necessit della Chiesa, perch questa possa disporre di quanto necessario per il culto divino, per le opere di apostolato e di carit, per il sostentamento del clero (can. 222).

Lamministrazione dei beni ecclesiastici


Il diritto canonico precisa quali sono gli organi legittimati a porre in essere gli atti necessari allincremento, alla conservazione, alla fruizione e allalienazione del patrimonio ecclesiastico. Amministratore della persona giuridica pubblica colui che presiede a norma di legge o per disposizioni statuarie o fondazionali (can. 1279). Esempi di amministratori ex lege sono il Vescovo per la diocesi (can. 393) e il parroco per la parrocchia (can. 532); esempi di amministratori determinati dagli statuti o dalle tavole di fondazione sono quelli dei capitoli (cann. 505 506), delle associazioni pubbliche di fedeli (can. 319), delle fondazioni pie autonome (can. 1303). Gli amministratori sono tenuti ad adempiere ai loro compiti in nome della Chiesa (can. 1282) ed escluso che essi possano agire come titolari di un mandato senza rappresentanza (art. 1705 CC). E impedita la regolare amministrazione del patrimonio: nei casi di difetto o di negligenza dei legittimi organi di amministrazione, allora il potere attribuito allautorit gerarchicamente sovraordinata (il Pontefice, can, 1273; lOrdinario diocesano, can. 1279); nel caso in cui n la legge, n gli statuti, n le tavole di fondazione determinino gli organi di amministrazione, spetta allOrdinario nominare come amministratori persone idonee che restano in carica per un triennio, con possibilit di essere confermate (can. 1279). Ogni persona giuridica deve avere un consiglio per gli affari economici, composto da fedeli esperti in materia economica e conoscitori del diritto secolare per dare un adeguato sostegno allamministratore (can. 1280). Prima dellassunzione dellincarico (can. 1283) richiesto agli amministratori di prestare giuramento di svolgere le proprie funzioni onestamente, fedelmente, con la diligenza del buon padre di famiglia (can. 1284) e di sottoscrivere un inventario dei beni aventi rilevante valore economico o culturale, la cui copia viene conservata nellarchivio della Curia diocesana. I compiti degli amministratori sono contemplati nei canoni 1284 1287 e sono: curare la conservazione del patrimonio; predisporre tutele della propriet in forme valide; attenersi scrupolosamente alle norme canoniche e civili; esigere, conservare ed erogare i redditi e proventi secondo gli statuti, le tavole di fondazione e le disposizioni di legge; versare le quote di interesse e di capitale connesse a mutui o ipoteche; impiegare le attivit di bilancio per fini propri della Chiesa; curare la regolare tenuta dei libri contabili, la custodia dei documenti e degli strumenti, la redazione del bilancio preventivo e lelaborazione del rendiconto annuale; osservare le leggi in materia di lavoro, concedendo un onesto compenso ai propri dipendenti; non agire nel foro civile senza autorizzazione della competente autorit; non abbandonare arbitrariamente le proprie funzioni; non procedere a donazioni che nei limiti dellordinaria amministrazione e solo per fini di piet o carit. I compiti di vigilanza e di controllo sullamministrazione dei beni sono attribuiti alla Santa Sede e allOrdinario. Mentre la Santa Sede organo generale ed universale di vigilanza e di controllo secondo il can. 1273, per il quale il Pontefice supremo amministratore ed economo di tutti i beni ecclesiastici, lOrdinario il normale ed immediato organo di vigilanza e di controllo (can. 1276). Lattivit di vigilanza riguarda la costante verifica della corrispondenza della vita e dellattivit della persona giuridica; in particolare riguarda loperato degli organi di governo e lutilizzazione dei beni delle persone giuridiche. Lattivit di controllo attiene agli atti di straordinaria amministrazione e allautorizzazione a stare in giudizio; in questultimo caso il diritto canonico prevede che la capacit dellamministratore della persona giuridica debba essere integrata dallintervento dellautorit ecclesiastica che ha poteri di controllo. Per atti eccedenti lordinaria amministrazione si intendono quelli che producono sostanziali innovazioni alla situazione patrimoniale della persona giuridica, sia in positivo sia in negativo. I criteri per determinare quali atti sono definiti straordinari sono: negli statuti sono stabiliti quali sono gli atti straordinari; in caso di silenzio degli statuti, spetta al Vescovo diocesano determinare tali atti (can. 1281), per gli istituti religiosi spetta ai propri competenti

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organismi (can. 368). Sul patrimonio della diocesi la competenza in materia della Conferenza episcopale (can. 1277). Nel caso di atti posti in essere illegittimamente, la persona giuridica risponde solo nei limiti in cui latto posto invalidamente sia tornato a suo vantaggio o nel caso di atti validi ma illeciti. Gli amministratori rispondono sia nel caso di atti posti invalidamente, che siano andati a svantaggio, sia nel caso di atti validi ma illeciti che abbiano recato danni alla persona giuridica: in entrambi i casi questultima pu rifarsi contro gli amministratori che le abbiano recato danno (can. 1281). Laver posto o omesso illegittimamente atti relativi allamministrazione del patrimonio, pu portare persino ad una fattispecie criminosa, prevista dal can. 1389, e allirrogazione di unadeguata sanzione penale nei confronti dellamministratore responsabile dellatto.

Una categoria particolare: i beni culturali


I beni culturali sono una categoria unitaria di beni considerati degni di una particolare protezione perch connessi allo sviluppo integrale della persona umana; sono le cose di interesse storico o artistico, o le bellezze naturali, i beni ambientali, o beni di recente creazione. In questa categoria rientrano tutti i beni che costituiscono testimonianza materiale di un valore di civilt o si pongono come strumenti di civilizzazione. Possono entrare in evidenza dal punto di vista giuridico per tre motivi: in relazione alla propriet; in relazione alla sua tutela e conservazione; in relazione alla sua destinazione. In particolare i beni culturali ecclesiastici sono quei beni culturali che sono in propriet di persone giuridiche canoniche pubbliche e non hanno necessariamente un carattere religioso n necessariamente devono essere costituiti da materiali preziosi. Solo dopo il Concilio Vaticano II cresciuto il rilievo di questa categoria, anche se il diritto particolare prende in considerazione i beni culturali con disposizioni frammentarie. Il can. 1283 menziona i beni da inventariare e non ci sono solo le cose preziose ma anche i beni culturali: ad esempio oltre i beni destinati al culto sono anche le testimonianze della piet popolare, gli archivi ecclesiastici e le biblioteche ecclesiastiche. Il diritto canonico universale pone alcune norme per la loro conservazione, per il restauro, per la loro destinazione a scopi profani, per le autorizzazioni alla loro alienazione.

Il sostentamento del clero


Il sistema di sostentamento del clero stato profondamente modificato nel corso del tempo. Tradizionalmente era imperniato sul sistema beneficiale, in sostanza accanto ad ogni ufficio ecclesiastico si costituiva una massa patrimoniale, detta beneficio, avente personalit giuridica e su cui si sosteneva il chierico. Il cambiamento avvenuto con il Concilio Vaticano II che, nel decreto sul ministero e la vita sacerdotale Presbyterorum Ordinis, dispose che il sistema beneficiale deve essere riformato in modo che la parte beneficiale sia trattata come cosa secondaria e venga messo in primo piano lufficio stesso. Il codice prevede una disposizione transitoria (can. 1272) in sostituzione del sistema beneficiario e tre diversi istituti attraverso i quali garantire il sostentamento dei chierici, favorire uneguaglianza tra loro, promuovere azioni di solidariet (can. 1274). - istituto per il sostentamento del clero, da istituirsi in ogni diocesi, il patrimonio costituito dai patrimoni dei benefici soppressi, dai beni e offerte dei fedeli; provvede al sostentamento dei chierici che prestano servizio a favore della diocesi. - fondo per la previdenza sociale del clero, costituito dai beni forniti dagli stessi appartenenti al clero e dalle liberalit dei fedeli; ha il compito di provvedere allassistenza sanitaria del clero, alle pensioni di invalidit e vecchiaia; da istituire in ogni diocesi qualora nella realt nazionale non esistano gi forme di sicurezza sociale. - fondo comune, costituito con fondi individuati dal diritto locale e dalle liberalit dei fedeli, per sovvenire alle necessit di quanti prestano servizio a favore della Chiesa (cann. 230 231). Il codice non dispone che tali istituti abbiano personalit giuridica canonica, ma si presume debba sussistere.

Disciplinare e punire
Nozioni generali
Il can. 1311 afferma che la Chiesa ha il diritto nativo e proprio di costringere con sanzioni penali i fedeli che hanno commesso delitti; dunque la Chiesa ha un proprio diritto penale al quale dedicato il libro sesto del codice intitolato le sanzioni nella Chiesa. Questa disposizione ha una ragione verso lesterno, cio a fronte della pretesa dello Stato moderno di avere in esclusiva la titolarit della funzione penale, la Chiesa rivendica unazione coercitiva che esplicita nelle forme del diritto penale.

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Diritto che nativo della Chiesa, originario, scaturente dalla sua stessa natura, e proprio, non derivato da altre autorit. Lordinamento canonico originario e sovrano, non trae esistenza e legittimazione da altro ordinamento, perci ha in s anche lidoneit e la legittimazione a ricorrere alla coercizione. Il can. 1311 vuole sottolineare lindipendenza della potest coattiva della Chiesa nei confronti di ogni autorit umana, che non pu interdirne lesercizio n porsi quale garante dei diritti della persona allinterno della comunit ecclesiastica e giudice cui ricorrere nel caso di una loro pretesa lesione (appello per abuso). Esiste poi una ragione interna, diretta a sottolineare che nella misura in cui il popolo di Dio si pone come societ umana giuridicamente organizzata non pu fare a meno di un diritto penale. Si dubitato per della necessit di un diritto penale canonico, poich sarebbe in contraddizione con la Chiesa come comunit volontaria e la costrizione penale contrasterebbe con la libert religiosa e di coscienza. Secondo altri invece lo strumento penalistico non contrasta con lo spirito del diritto canonico. In realt la Chiesa ha sempre esercitato questa funzione punitiva, nella forma pi severa con la separazione dalla comunit (scomunica) di chi si reso responsabile di fatti gravi. Sin dai testi del Nuovo Testamento troviamo misure con finalit di protezione della comunit ecclesiale e di emenda del caduto in una colpa particolarmente grave; ad esempio troviamo il presupposto del fatto grave e notorio, la contumacia, le previe ammonizioni, la sentenza, la finalit medicinale, lesclusione dalla comunit, il divieto di rapporti con il reo, la necessit del pentimento. Si deve considerare che la misericordia non pu prescindere dal perseguimento della giustizia, o diventerebbe oggettiva complice del male e quindi cattiva pedagoga nel far discernere le azioni virtuose da quelle malvage. Dunque la Chiesa legittimata a reagire anche con sanzioni penali e il carattere volontario e non necessario della societ ecclesiastica rafforza la ragione di un diritto penale, al quale si assoggetta con libert chi liberamente entrato a far parte della Chiesa. Infatti proprio il carattere di societ volontaria d ragione di una peculiarit del diritto penale canonico, che poggia sul principio di legalit (nullum crimen sine lege) giacch il can. 221 afferma che i fedeli hanno il diritto di non essere colpiti da pene canoniche se non a norma di legge. Questo principio temperato dal can. 1399 secondo cui la violazione esterna di una legge divina o canonica pu essere punita con una giusta pena solo quando la speciale gravit della violazione esige una punizione e urge la necessit di prevenire o riparare gli scandali. Secondo il diritto canonico pu emanare leggi penali chiunque abbia potest legislativa (can. 135): quindi sia il legislatore universale sia i legislatori particolari, i quali possono anche statuire sanzioni per la violazione di norme poste da altro legislatore (cann. 1315 1318). Inoltre chiunque abbia potest legislativa pu emanare pure precetti penali, cio comandi diretti non alla generalit ma a soggetti determinati (can. 49 e 1319). Per le leggi penali vige il principio della territorialit (can. 13) a meno che non si tratti di leggi personali, destinate ad una particolare categoria di fedeli; sono irretroattive e nel caso di successioni di leggi nel tempo si applica la legge pi favorevole al reo. Il diritto canonico pone divieto di interpretazione estensiva della legge penale (can. 18) ed esclude il ricorso allanalogia in materia penale (can. 19). Viceversa non esclude che la consuetudine possa abrogare una norma penale, introdurre esimenti, produrre un interpretazione secundum legem; mentre da escludere che con una consuetudine possano essere introdotte nuove fattispecie criminose. Infatti il can. 1399 legittima il superiore ecclesiastico ad irrogare una pena quandanche questa non sia stata prevista ma sia stata violata una legge.

Elementi del delitto


Il codice non fornisce una definizione ma pu essere ricavata dal can. 1321 che individua il soggetto passivo nelle sanzioni penali: si ha delitto quando vi sia la violazione esterna e gravemente imputabile, per dolo o per colpa, di una legge o di un precetto, che stabiliscano qualche pena per i trasgressori. Perch vi sia un delitto occorrono quindi tre elementi: uno oggettivo, il fatto; uno soggettivo o psicologico, latteggiamento mentale del soggetto agente; lantigiuridicit del fatto. Lelemento oggettivo il comportamento dellagente e levento che ne deriva, legati da un rapporto causale; lazione dellagente lede interessi giuridicamente protetti di persone fisiche o giuridiche e linteresse generale della comunit ecclesiale (soggetti passivi del delitto). Lelemento soggettivo latteggiamento psicologico dellagente nel momento in cui pone in essere il comportamento scatenante levento, un comportamento non meramente attribuibile allagente ma a lui imputabile in quanto atto umano e libero. Questo elemento si pu configurare come dolo o come colpa: sia ha dolo quando la violazione della legge o del precetto deliberata; si ha colpa quando la violazione deriva dalla omissione della dovuta diligenza nella produzione dellatto che d luogo alla violazione della legge, quindi levento dannoso non voluto dallagente ma si verifica per la sua imprudenza, negligenza o imperizia. La sussistenza del delitto pu mancare per cause oggettive o soggettive (can.

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1323). Tra le cause oggettive troviamo: laver agito per timore grave, o per necessit o per grave incomodo purch non sia un atto intrinsecamente illecito o che si risolva in un danno spirituale per le anime; laver agito con la debita moderazione per legittima difesa contro un ingiusto aggressore. Tra le cause soggettive troviamo: laver agito per violenza fisica o per caso fortuito non prevedibile o non rimediabile; laver agito nellignoranza incolpevole della legge o del precetto, o per inavvertenza ed errore; laver agito per mancanza delluso di ragione al momento del delitto, quindi una mancanza non abituale. Il singolo delitto pu essere caratterizzato da alcuni elementi detti circostanze del delitto, che comportano un aumento o una diminuzione della gravit dello stesso che si riflette sullentit della pena. Le circostanze aggravanti (can. 1326) sono: la recidiva, lessere il delinquente rivestito di particolare dignit, aver commesso il fatto con abuso di autorit o di ufficio, laver commesso il fatto come delitto colposo nonostante la previsione dellevento e senza aver adottato le necessarie precauzioni per evitarlo. Sono circostanze attenuanti (can. 1324): la passione non volontariamente provocata e che non tolga la capacit di volere ma la attenui; il timore grave, il grave incomodo o lo stato di necessit se si tratta di atto illecito di per s o torni a danno delle anime; leccesso colposo nella legittima difesa; la grave e ingiusta provocazione altrui. Le cause attenuanti sono ricollegabili alle cause oggettive ma rimane sempre una responsabilit penale dellagente. A queste circostanze possono poi aggiungersi delle altre; mentre le circostanze aggravanti possono essere prese in considerazione, le circostanze attenuanti devono determinare lapplicazione di una pena meno grave. E un aspetto del principio penalistico del favor rei, secondo cui si deve sempre considerare la condizione pi favorevole a chi pure ha commesso un delitto. Esiste una distinzione tra il delitto consumato e il delitto tentato: il delitto consumato quando gli atti posti in essere dal delinquente risultano produttivi del fatto; il delitto tentato quando per un motivo qualsiasi levento delittuoso non si produce. In questo caso non si d luogo a sanzione a meno che non si debba sanzionare leventuale scandalo o ne sia derivato un grave danno o pericolo (can. 1328).

Il soggetto attivo del delitto


Soggetti attivi del delitto sono solo i fedeli cattolici. Infatti se da un lato si afferma che la Chiesa ha il diritto nativo e proprio di irrogare sanzioni penali, si precisa anche che solo i battezzati nella Chiesa cattolica sono tenuti alle leggi puramente ecclesiastiche. Questo vale per i delitti comuni, vi sono per dei casi in cui soggetto attivo del delitto pu essere solo il fedele con delle determinate qualit: ad esempio, il can. 1394 riguarda solo il chierico perch tratta della violazione dellobbligo del celibato proprio del suo stato; il can. 1366 riguarda solo i genitori qualora facciano battezzare o educare i figli in una Chiesa o comunit cristiana non cattolica. Una situazione particolare quella del Pontefice, che gode di immunit personali strettamente attinenti e funzionali al suo altissimo ufficio; egli infatti non pu essere soggetto attivo di delitto perch le norme promanano da lui stesso. Il codice ribadisce un principio classico, formulato nel Dictatus Papae di Gregorio VII, secondo cui la Santa Sede non giudicata da nessuno (can. 1404). Perch il fedele sia responsabile necessario che sia imputabile, cio che abbia la capacit di intendere e di volere uniti alla responsabilit morale. Limputabilit pu mancare o attenuarsi a seconda delle circostanze: non imputabile il minore di anni sedici (can. 1323), una presunzione iuris et de iure (non ammette prova contraria) poich al di sotto di tale et non sussiste maturit psicologica; chi ha compiuto sedici anni ma non ancora diciotto punito con una pena minore o con una penitenza (can. 1324); limputabilit pu venire meno per ragioni patologiche come linfermit di mente o per gli effetti involontari di alcool o droga (cann. 1322 e 1323) a meno che questa condizione non sia voluta per commettere il delitto o avere una giustificazione (can. 1325). Inoltre pi persone possono concorrere nella commissione del medesimo delitto, come coautori o come complici (can. 1329).

Le pene
Le pene canoniche consistono nella privazione di un bene spirituale o temporale. Si distinguono in due tipi: pene medicinali o censure e pene espiatorie (can. 1321). Le pene medicinali sono le pi gravi e hanno lo scopo di favorire lemenda del reo e di farlo recedere dalla sua condotta illecita. Le pene espiatorie hanno invece lo scopo di punire il delinquente. In generale tutte le pene canoniche hanno lo scopo di restaurare la giustizia, ricomporre lordine pubblico leso, riparare lo scandalo e promuovere il pentimento e lemenda del reo. Le pene si distinguono anche ferendae sententiae e latae sententiae: le prime sono irrogate dopo la condanna da parte della competente autorit; le seconde sono quelle in cui incorre il reo automaticamente per il semplice fatto di aver commesso il

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delitto (can. 1314). Le pene medicinali sono tre: la scomunica, linterdetto e la sospensione. La scomunica la pena pi grave e comporta lesclusione del delinquente dalla comunione ecclesiastica: non pu partecipare come ministro a nessun atto di culto, non pu celebrare n ricevere sacramenti e sacramentali, non pu esercitare qualsiasi ufficio, funzione, ministero o incarico nella Chiesa (can. 1331). Linterdetto produce gli stessi effetti, ma solo limitatamente alla partecipazione al culto (can. 1332). La sospensione pu essere irrogata soltanto ai chierici ed il divieto totale o parziale di atti relativi alla potest dordine, o di governo, o allesercizio di diritti o funzioni inerenti ad un ufficio ecclesiastico (cann. 1333 1334). Le pene espiatorie sono pi numerose ma possiamo ricordare (can. 1336): la proibizione o lobbligo di dimorare in un certo luogo; la privazione della potest, dellufficio, dellincarico, di un diritto, di un privilegio, di una facolt, di una grazia, di un titolo; il trasferimento; la dimissione. Inoltre secondo il can. 1312 la legge pu stabilire altre pene espiatorie che privino il fedele di qualche bene spirituale e temporale, congruenti con il fine soprannaturale della Chiesa. Sono poi contemplate nellordinamento misure penali diverse dalle pene, come ad esempio i rimedi penali (can. 1339) dove troviamo lammonizione, un atto che ha valore di diffida (tipo preventivo) o di sanzione di chi si ritiene prossimo al compimento di un delitto; la riprensione, a chi con il proprio comportamento ha causato scandalo; le penitenze (can. 1340) consistono nellobbligo fatto al fedele di esercitare le opere di religione, piet o carit. Non sono atti che per vanno confusi con le penitenze che il confessore impone durante il sacramento della penitenza.

Lapplicazione delle pene


Il diritto canonico ispirato al principio secondo cui il ricorso alla coazione penale deve costituire lultima ratio, per questo lapplicazione delle pene ha una disciplina molto articolata (cann. 1341 1353), ispirata al principio di gradualit e discrezionalit. Prima di ricorrere allimposizione di una pena si tentano altre misure di carattere pastorale, inoltre il giudice pu valutare le circostanze per mitigare la pena, sospenderla, sostituirla con adeguate penitenze. Per determinati delitti la legge prevede una certa pena come obbligatoria. Il delitto viene comunque sanzionato nel caso di pene latae sententiae. La pena pu cessare per lespiazione, ovvero una legge penale che sopprime quella fattispecie, per la morte del delinquente, per la prescrizione dellazione penale (can. 1362). Ma la pena pu cessare anche per cause esterne, cio per lintervento della legittima autorit ecclesiastica con un atto che si chiama remissione della pena (cann. 1353 1361).

Le fattispecie delittuose
Il codice classifica i delitti in sei categorie diverse, a seconda della natura dellinteresse che lazione delittuosa lede. Un primo gruppo sono i delitti contro la religione e lunit della Chiesa (cann. 1364 1369) come leresia, lapostasia, lo scisma, il sacrilegio contro le sacre specie, lo spergiuro, alcuni tipi di bestemmia, di oltraggio al pudore, di vilipendio della Chiesa. Poi ci sono i delitti contro le autorit ecclesiastiche e la libert della Chiesa (cann. 1370 1377) come la violenza fisica contro il Pontefice, i Vescovi, i chierici, i religiosi; la pertinace deviazione dottrinale o la disobbedienza alle autorit ecclesiastiche; il ricorso al Concilio ecumenico contro gli atti del Romano Pontefice; ladesione ad associazioni che tramino contro la Chiesa; la violazione della libert della Chiesa; il sacrilegio. Un altro gruppo sono i delitti di usurpazione degli uffici ecclesiastici e nellesercizio degli stessi (cann. 1378 1389) come la celebrazione simulata dei sacramenti o per simonia, la consacrazione di un Vescovo senza mandato della Santa Sede, lordinazione sacra amministrata in violazione delle prescrizioni canoniche, la violazione del sigillo sacramentale, la corruzione attiva e passiva per atto contrario ai doveri di ufficio, labuso generico di ufficio. Sono poi contemplati i delitti di falsit (cann. 1390 1391) come la calunnia, la diffamazione, la falsit nei documenti. Seguono i delitti contro obblighi speciali (cann. 1392 1396) come lesercizio del commercio da parte di ecclesiastici e religiosi, la violazione degli obblighi derivanti da una pena, la violazione degli obblighi del celibato e della castit, la violazione di altri obblighi speciali degli ecclesiastici. Infine i delitti contro la vita e la libert umana (cann. 1397 1398) lomicidio, il rapimento, le lesioni gravi, laborto. Questi sono i delitti esplicitamente previsti nel libro del codice relativo alle sanzioni nella Chiesa (Libro VI).

Lamministrazione della giustizia


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La soluzione delle controversie nella Chiesa


Anche nella comunit ecclesiale possono insorgere dei conflitti fra i consociati, che devono essere risolti per assicurare la giustizia e la pacifica convivenza. La direttiva dellordinamento canonico consiste nel fare di tutto pur di superare i conflitti senza dover ricorrere al giudice. Nella Decretales Gregorii IX troviamo che il giudice deve prodigarsi per favorire la transazione tra le parti, ad eccezione dei casi nei quali non ammesso, come nel matrimonio. Il favor iuris, di cui lordinamento canonico ha sempre goduto, inteso nel senso che per disposizione canonica il giudice ecclesiastico non solo legittimato a indurre le parti a superare di comune accordo il conflitto che le divide ma tenuto a fare ogni sforzo per raggiungere questo fine. Se nella materia matrimoniale, come in quella penale, il diritto della Chiesa non pu ammettere la transazione per porre fine al processo o evitarlo, la riconciliazione costituisce finalit primaria dellordinamento canonico. La direttiva di valore, la pacificazione piuttosto che il giudizio, ha un paradigma nella pagina del Vangelo di Matteo (trova al pi presto laccordo con il tuo contendente mentre ancora vai con lui in tribunale) dove troviamo elementi di saggezza popolare come linvito a correre al pi presto ad accordarsi col contendente, che svela la diffidenza popolare di sempre per una giustizia umana incerta. Le pagine evangeliche hanno una radicalit innovatrice delle tradizionali esperienze umane e mostrano limpossibilit di sperimentare vera comunione con Dio al di fuori di una fraternit ecclesiale, segnalando la capacit naturale di ciascuno di cercare giustizia. Troviamo anche un passo di Paolo che invita i cristiani a non adire i tribunali pagani (non lasciarsi vincere dal male ma vincere il male con il bene); latteggiamento di Paolo non di critica ma intende sottolineare che tra fratelli nella fede possibile trovare nuovi modi di relazione interpersonale. Qualora non si riuscisse a risolvere pacificamente le liti, si devono trovare allinterno della comunit le modalit alternative (tra di voi non c una persona saggia capace di giudicare tra fratelli); in queste parole troviamo una sorta di correzione fraterna, per aiutare il fratello che cade nel peccato. Questi testi fondano una triplice direttiva: la preferenza o la riserva di una giurisdizione domestica, perch i christifideles ricorrano al giudice ecclesiastico e non a quello secolare; il consiglio ad evitare o a risolvere in via extraprocessuale ogni controversia; linvito ad una riconciliazione che superi ogni dimensione giuridica. Queste direttive si trovavano un tempo tutte insieme nellantico istituto dellepiscopalis audientia, ma via via si sono separate.

Lo spirito della giustizia canonica


La Chiesa ha un diritto originario e proprio di assicurare davanti ad un giudice la tutela dei diritti e dei relativi doveri contemplati dal diritto canonico. Troviamo quindi anche una potest giudiziaria a comporre la funzione di governo o munus regendi. Nellordinamento canonico la potest di governo, detta anche potest di giurisdizione, si struttura nei tre poteri legislativo, esecutivo e giudiziario, che non sono separati ma fanno capo ad ununica autorit: il Pontefice, per la Chiesa universale, i Vescovi, per le Chiese particolari. Anche se i poteri sono uniti, il loro esercizio comunque distinto e soggetto alla legge; in particolare la funzione giudiziaria deve essere esercitata in base al diritto vigente. Il legislatore ecclesiastico comunque soggetto ad una legge superiore (diritto divino) che non pu abrogare n derogare. Anche la funzione di rendere giustizia nella Chiesa segnata dal fine salvifico, infatti la giustizia canonica non si accontenta della verit processuale ma tende alla verit oggettiva, non si accontenta di applicare il diritto ma persegue lattuazione della giustizia, non si limita alla repressione del male e alla punizione del delinquente ma tende alla sua emenda. Esistono poi alcune particolarit, come le cause che riguardano lo stato delle persone non passano mai in giudicato (can. 1643); le cause matrimoniali, in rapporto al bene spirituale del fedele non indifferente il matrimonio erroneamente dichiarato nullo dal giudice ecclesiastico ma in realt oggettivamente valido o viceversa. Ecco perch anche a distanza di molto tempo la questione pu essere riesaminata; non lecito alla Chiesa trattenere nel vincolo coniugale chi effettivamente non abbia contratto valido matrimonio, n lasciar andare chi al contrario validamente sposato. Lo spirito che anima la giustizia nella Chiesa listituto dellaequitas canonica, distinta dallaequitas naturalis o dallaequitas civilis. Essa ha la preoccupazione di garantire la giustizia nel caso concreto ed evitare che la formalistica applicazione della legge si risolva in una violazione della giustizia. Listanza allequit si oppone a quellidea del diritto positivo dura lex, sed lex. Il diritto canonico va oltre e tende, attraverso il ricorso allequit, ad evitare il pericolo per il bene spirituale. Di qui una giustizia temperata dalla misericordia, una misericordia che costituisce lincarnazione pi perfetta della giustizia. Nella prospettiva di unapplicazione della legge che aiuti il fedele sulla via della perfezione spirituale, il giudice chiamato a ricercare la giustizia avendo il modello di perfezione della giustizia divina. Altro elemento il ruolo della giurisprudenza. Anche per il diritto canonico il giudice soggetto

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alla legge, nel senso che deve applicarne le disposizioni quindi non si sostituisce al legislatore ma chiamato ad attuarne le volont. Il giudice per non opera una mera trasposizione della norma al caso, ma chiamato ad unopera di interpretazione della legge (can. 16) e si avvale degli stessi criteri utilizzati nei diritti secolari ma che nel diritto canonico significa una valutazione di quella che risulta essere maggiormente conforme al diritto divino. Nellattivit interpretativa il giudice ecclesiastico esplicita e integra il dato normativo, dando luogo al diritto vivente, cio quel diritto scritto cos come interpretato ed integrato dalla giurisprudenza. La sua attivit si estende sulla produzione di tale diritto, infatti in base al can. 19 (purch non si tratti di causa penale) il giudice ecclesiastico legittimato a dirimere la causa ricorrendo allanalogia. Dunque la giurisprudenza, cio lorientamento assunto dai giudici nellinterpretare ed applicare la legge, acquisisce una certa rilevanza normativa, in particolare sono i tribunali pontifici della Segnatura Apostolica e della Rota romana. Alla Rota romana la costituzione apostolica Pastor bonus del 1988 attribuisce il compito di provvedere allunit della giurisprudenza aiutando con le proprie sentenze i tribunali di grado inferiore.

Giurisdizione e competenza
Il termine giurisdizione, o potestas iudicialis, indica il potere conferito al giudice ecclesiastico di giudicare controversie e di applicare le norme canoniche. Il termine competenza indica la misura del potere di giudicare attribuita a ciascun giudice ecclesiastico. La giurisdizione delineata nel can. 1401, secondo il quale la Chiesa per diritto proprio ed esclusivo giudica le cause che riguardano cose spirituali e annesse alle spirituali, la violazione delle leggi ecclesiastiche e ci che ragione di peccato. Questa disposizione rivendica una potest propria della Chiesa ed esclusiva; ci significa non solo che il giudice ecclesiastico il giudice competente ma anche che il solo giudice competente con esclusione di ogni altro giudice. Si tratta dellapplicazione sul terreno processuale del principio dualista cristiano: se le res spirituales spettano al giudice ecclesiastico, quelle temporales spettano al giudice statale. Le cause riservate alla giurisdizione ecclesiastica sono quelle che riguardano le cose spirituali, ad esempio il can. 1671 dispone che le cause matrimoniali dei battezzati per diritto proprio spettano al giudice ecclesiastico, mentre il can. 1672 dispone che le cause sugli effetti puramente civili del matrimonio spettano al giudice statale. Le cause in materie connesse con lordine spirituale spettano al giudice ecclesiastico, ad esempio i legati pii, cio la controversia che riguardi beni lasciati mortis causa per fini che sono propri della Chiesa. Rientrano infine nella competenza ecclesiastica le cause penali, quando si tratti di delitti propriamente canonici, come ad esempio leresia. In alcuni casi si tratta di reati perseguiti anche dal diritto dello Stato, nella misura in cui un determinato fatto venga considerato come autonoma figura delittuosa anche dal diritto canonico, come ad esempio il caso dellomicidio. Per la competenza, cio lindividuazione di quale fra i diversi giudici ecclesiastici sia legittimato a pronunciarsi, c il criterio territoriale, ovvero competente a giudicare di norma il giudice del territorio in cui abita la parte. Questa regola non assoluta ma ci sono diverse eccezioni, come la materia del contendere, il domicilio delle parti, il grado di giudizio (can. 1407). La competenza riservata ad una determinata autorit giudiziaria, per cui sussiste una assoluta incompetenza di ogni altro giudice ecclesiastico. Cos al giudizio esclusivo del Pontefice sono riservate le cause riguardanti i capi di Stato, i cardinali, i legati pontifici, i Vescovi nelle cause penali (can. 1405). Il Papa inoltre pu avocare a s il giudizio su ogni altra causa; sancita lincompetenza assoluta di qualsiasi giudice ecclesiastico a giudicare atti o strumenti confermati in forma specifica dal Pontefice, a meno che non vi sia uno specifico mandato pontificio. Questo sistema di riserva o di avocazione pontificia espressione del primato di giurisdizione del Pontefice e si giustifica per la necessit di garantire la piena libert della formazione del giudizio canonico. Si tratta infatti di casi, per ragione delle persone o delle materie, per cui il giudice inferiore potrebbe trovarsi in una situazione di soggezione o di difficolt. Sono riservati alla Rota romana i procedimenti che hanno come parti i Vescovi o i superiori di congregazioni monastiche o di istituti religiosi di diritto pontificio (can. 1405), si giustifica poich costoro sono titolari della potest giudiziaria nellambito della propria diocesi (can. 1419) e sarebbero giudici di s stessi. Nel diritto canonico inoltre assicurato ad ogni fedele il diritto di ricorrere al giudizio del Pontefice, giudice supremo nellordinamento della Chiesa, in qualsiasi causa ed in qualunque momento (can. 1417). Ribadendo un antico principio di Gregorio VII nel Dictatus Papae, il can. 1404 dispone che la prima Sede non giudicata da nessuno; questo principio riflette il primato di giurisdizione del Pontefice su tutta la Chiesa e ha una duplice applicazione: limmunit personale di cui gode il Papa, la non impugnabilit dei provvedimenti giurisdizionali e amministrativi. Essendo il Pontefice al vertice della struttura gerarchica della Chiesa, non pu conseguentemente essere giudicato da autorit inferiori.

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Lordinamento giudiziario
E strutturato in tribunali di prima istanza (can. 1419), istituiti in ogni diocesi, e di seconda istanza (can. 1438) istituiti presso larcidiocesi, infatti lappello si propone al tribunale del Vescovo Metropolita. Lordinamento completato dai tribunali della Santa Sede, la Rota romana e il Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica: la prima il tribunale pontificio di appello dei fedeli e giudice competente per alcuni tipi di cause; il secondo il supremo tribunale della Chiesa che giudica i ricorsi contro le sentenze rotali, le controversie amministrative, risolve i conflitti di competenza tra tribunali ecclesiastici ed ha funzioni di vigilanza e di controllo sui tribunali inferiori. Ci sono poi altri tribunali della Santa Sede con leggi proprie, da ricordare la Penitenzieria Apostolica, che ha competenza per le materie che attengono al foro interno. Anche le Conferenze episcopali possono costituire tribunali di secondo grado, nel proprio territorio e con il consenso della Santa Sede. In casi particolari lorganizzazione pu essere strutturata in modo diverso: in Italia, ad esempio, in base al motu proprio Qua cura di Pio XI (1938), le cause matrimoniali sono giudicate dai tribunali regionali. Per lorganizzazione interna dei tribunali, il codice prevede che il giudice pu essere monocratico o collegiale, se collegiale composto da tre o cinque giudici (can. 1425); la diversa composizione dipende dallimportanza e dalla gravit delle materie da trattare. Nel tribunale di prima istanza giudice il Vescovo, che esercita la funzione attraverso un Vicario giudiziale o un Officiale (can. 1420). Esistono poi i giudici diocesani che formano, quando richiesto, il collegio giudicante. Le funzioni istruttorie possono essere affidate ad un uditore (can. 1428). Nel caso del tribunale collegiale, il presidente del collegio designa tra i componenti un ponente o giudice relatore, il cui compito relazionare il collegio sui vari aspetti della causa e a redigere la sentenza. In ogni tribunale presente il Promotore di giustizia (can. 1430), un pubblico ministero tenuto ad intervenire in ogni causa sul bene pubblico e le cause penali; il Difensore del vincolo, che interviene nelle cause di nullit della sacra ordinazione e di nullit o scioglimento del matrimonio, per porre tutti gli argomenti possibili contro la nullit o lo scioglimento (can. 1432); un notaio che svolge le funzioni di cancelliere redigendo e sottoscrivendo gli atti processuali (can. 1437). A queste funzioni sono chiamati dei chierici competenti in diritto canonico, ad alcune di esse anche dei fedeli laici.

Il giudizio ordinario e i giudizi speciali


Il sistema processuale canonico costituito da un unico modello di processo detto giudizio contenzioso ordinario. Questo tipo di processo, che normalmente avviene per iscritto, costituito da una fase introduttiva (can. 1501) aperta dalla presentazione al giudice competente del libello introduttivo della lite, nel quale indicato loggetto e i punti di diritto su cui si basa la domanda. Se il giudice adito ritiene di dover accogliere la domanda, citer in giudizio laltra parte (can. 1507) per la contestazione della lite, cio per definirne i termini sulla base delle richieste di parte attrice e delle repliche della parte convenuta (can. 1513). Poi c la fase istruttoria (can. 1526) con la raccolta delle prove fornite dalla parte che asserisce un determinato fatto. Le prove possono essere: le dichiarazioni delle parti, le deposizioni dei testimoni, documenti, perizie, lispezione di luoghi o cose. Nelle prove possono rientrare anche le presunzioni, cio le deduzioni probabili su una cosa incerta ma a partire da un fatto certo. Si distinguono in presunzioni hominis, cio formulate dal giudice, e presunzioni iuris, cio stabilite dalla legge. Queste ultime a loro volta si suddividono in presunzioni iuris tantum, cio ammettono la prova contraria, e presunzioni iuris et de iure, che non ammettono la prova contraria. Un esempio di presunzione iuris tantum il favor matrimonii contenuto nel can. 1060 secondo cui il matrimonio, nel dubbio, si deve ritenere valido fino a che non sia provato il contrario; un esempio di presunzione iuris et de iure lo troviamo nel can. 1322 che in materia penale esclude imputabilit e punibilit, cio coloro che non hanno abitualmente luso della ragione sono ritenuti incapaci di delitto. Segue poi la pubblicazione degli atti, in modo che le parti possano prenderne visione e decidere la loro difesa anche con la richiesta di presentazione di nuove prove. La fase istruttoria si conclude con il decreto del giudice di conclusione in causa che segna il passaggio alla fase della discussione, che di regola avviene per iscritto (can. 1598). Il processo chiuso con la sentenza definitiva che decide la causa (can. 1607); se invece il giudice deve decidere su una questione preliminare pronuncia una sentenza interlocutoria. La sentenza deve rispondere a tutti i dubbi formulati nel libello e deve essere motivata. Essa pu essere impugnata dalla parte che la ritiene non giusta, attraverso tre strumenti di tutela concessi dal diritto canonico: lappello, che la forma ordinaria, la querela di nullit e la restitutio in integrum.

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Lappello (can. 1628) si limita alla conferma o alla riforma della sentenza impugnata, pu essere proposto fino a che la sentenza non sia passata in giudicato (res iudicata). Ci avviene quando per legge non pi possibile un ulteriore giudizio o quando sono trascorsi i termini per proporre lappello. La res iudicata produce diritto tra le parti con la conseguenza che la sentenza diviene immediatamente eseguibile, inoltre preclude la possibilit di investire nuovamente il giudice della questione a meno che non si tratti di causa relativa allo stato delle persone poich non passano mai in giudicato. La querela di nullit (can. 1619) un rimedio processuale tendente ad invalidare la sentenza perch inficiata da una nullit insanabile o sanabile. Quindi non attiene al contenuto della sentenza ma alla sua validit formale, a ragione di irregolarit particolarmente gravi verificatesi nel corso del processo: ad esempio nel caso di nullit insanabili lincompetenza assoluta del giudice (can. 1620) oppure nel caso di nullit sanabili la non motivazione della sentenza (can. 1622). La restitutio in integrum si ha contro una sentenza che sia passata in giudicato ma consti palesemente della sua ingiustizia (can. 1645). E un rimedio giuridico straordinario a cui si ricorre in caso di manifesta ingiustizia relativamente allimpianto probatorio, alle parti o allo stesso diritto. Tra i processi speciali ricordiamo le cause relative al matrimonio che si distinguono in: cause per la dichiarazione di nullit di matrimonio (can. 1671); cause di separazione personale dei coniugi (can. 1692); la dispensa dal matrimonio rato e non consumato (can. 1697); la dichiarazione di morte presunta del coniuge (can. 1707). Nei processi speciali troviamo poi le cause per la dichiarazione della nullit della sacra ordinazione, riservate alla Santa Sede e possono essere trattate in via amministrativa presso la Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, o in via giudiziaria presso un tribunale designato dalla Congregazione (can. 1708). Particolari peculiarit si trovano nei processi penali (can. 1717), diretti ad accertare leventuale commissione di un delitto; a questo accertamento segue lazione criminale, cio latto pubblico diretto ad infliggere o dichiarare la pena (can. 1362). Si deve ricordare poi i processi che integrano la giustizia amministrativa nella Chiesa (can. 1732). Infatti se un atto dellautorit ecclesiastica lede un diritto del fedele costui ha assicurati dallordinamento canonico precisi strumenti di tutela: ricorso gerarchico (ricorso amministrativo gerarchico) allautorit ecclesiastica immediatamente superiore; davanti al tribunale amministrativo (ricorso contenzioso amministrativo) (can. 1400). Questultimo si svolge davanti al tribunale pontificio della Segnatura Apostolica (can. 1445). Infine vanno ricordati tra i processi speciali le cause di beatificazione e canonizzazione, che non sono disciplinate dal codice ma da una legge speciale data da Giovanni Paolo II con la costituzione apostolica Divinus perfectionis Magister del 25 gennaio 1983.

Demografia celeste
La santit canonizzata
Con il termine santit canonizzata si indica la solenne proclamazione, da parte della competente autorit ecclesiastica, che determinati fedeli, nel corso della loro vita terrena, hanno praticato in modo eroico le virt e sono vissuti nella fedelt alla grazia di Dio. Il Concilio Vaticano II afferma che nella vita di quelli perfettamente trasformati nellimmagine di Cristo, Dio manifesta la sua presenza. La santit canonizzata una delle espressioni pi singolari della solidariet e del rapporto esistenti tra la realt misterica della Chiesa e la sua espressione sociale ed istituzionale, nel senso che attraverso atti giuridici si attinge la Chiesa di coloro che sono gi nella visione beatifica di Dio. Tutti i battezzati sono chiamati alla santit ma non tutti sono destinati alla santit canonizzata. Esiste ununit sostanziale della santit, una profonda identit tra santit comune e santit canonizzata, perci si pu parlare per entrambe di ununit nellunica santit ontologica, anche se esistono delle differenze. Il santo canonizzabile deve essere portatore di un messaggio divino allumanit, collaudatore e maestro di un itinerario spirituale di perfezione, testimone peculiare delle realt soprannaturali, modello di vita cristiana, pedagogo sapiente e stimolante a cammini di santit. Gli atti che strutturano e costituiscono i processi di beatificazione e canonizzazione si trovano nella cosiddetta demografia celeste. Non sono provvedimenti giuridici costitutivi di uno stato, non creano un santo, ma la loro funzione meramente dichiarativa ed i loro effetti non si producono sui fedeli ma su coloro che sono ancora pellegrini sulla terra, legittimandone il culto (promotio ad cultum). Il provvedimento che conclude il processo di canonizzazione ne proclama solennemente le virt e lo propone ai fedeli come esempio. Oggetto dei processi di beatificazione e canonizzazione laccertamento di quellamore eroico, di

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quella pietas verso Dio e verso gli uomini, indice di una perfezione superiore, laccertamento dellesercizio in grado eroico delle virt teologali o morali di una persona, del martirio eventualmente sofferto per amore di Dio, dei miracoli operati da Dio per sua intercessione, della fama di santit in vita o dopo la morte. La beatificazione un provvedimento della suprema autorit della Chiesa, con il quale viene permesso il culto pubblico di un fedele che visse e mor in concetto di santit e viene perci indicato come servo di Dio. E un provvedimento preparatorio e non definitivo, limitato nel tempo e territorialmente. La canonizzazione il provvedimento col quale la stessa suprema autorit decreta che un servo di Dio venga iscritto nellelenco dei santi e sia venerato in tutta la Chiesa. Entrambi i provvedimenti vengono emanati a conclusione di un complesso di operazioni dirette allaccertamento della santit e strutturate in forma processuale. Solo la canonizzazione un atto definitivo, irrevocabile, infallibile. La santit canonizzata non pu essere teologicamente definita come oggetto di fede divina ma solo come oggetto di fede ecclesiastica. Anche se il Concilio Vaticano I non ricomprese la canonizzazione come oggetto dellinfallibilit pontificia, per dottrina comune il Pontefice gode veramente di infallibilit. La beatificazione carente del carattere di definitivit ed destinata al perfezionamento; ci non significa che possa essere messo in dubbio il principio di non erranza della suprema autorit ecclesiastica. Esistono delle differenze anche sul piano giuridico, infatti latto di beatificazione ha un carattere permissivo o concessivo presentandosi come un indulto, cio un provvedimento canonico che esime i fedeli dallobbligo di osservare la norma che vieta atti di culto ecclesiastico e pubblico a persone (can. 1187). Viceversa latto di canonizzazione ha carattere precettivo, nel senso che ascrive il fedele nel catalogo dei santi e ne promuove il culto nellintero orbe cattolico, per far s che i fedeli seguano il suo esempio e siano sostenuti dalla sua intercessione (can. 1186). Latto pontificio concessivo del culto pubblico (beatificazione) o dichiarativo della santit (canonizzazione) costituisce esercizio della potest di giurisdizione o potestas regiminis. Pi precisamente si tratta di un atto che espressione della potest legislativa e non giudiziale, per la ricorrenza di quegli elementi (generalit, astrattezza, novit) caratterizzanti la funzione legislativa, anche se il procedimento assume la forma del processo. Si tratta di un caso singolare in cui non esiste separazione di poteri e la giurisdizione unitaria. Nel diritto canonico esistono casi nei quali lesercizio della funzione legislativa o di quella amministrativa presuppone accertamenti di fatti, per i quali si utilizzano strumenti tipicamente processuali. La disciplina della beatificazione e canonizzazione esprime un interessante caso di bilanciamento fra poteri: da un lato quello del popolo cristiano, che ha il compito di esprimere un giudizio, giacch nessuna causa pu essere introdotta senza la cosiddetta fama di santit, cio la profonda, spontanea, genuina convinzione diffusa tra molti fedeli che una persona defunta vive nella Chiesa celeste; dallaltro lato quello della istituzione, con la funzione di controllare, verificare e confermare il giudizio popolare espresso. La canonizzazione non mai espressione del potere ecclesiastico, nel senso che non ha mai origine dalla potest pontificia, ma sempre espressione del populus fidelis, che discerne la santit con la formazione della fama sanctitatis e ne promuove il riconoscimento ufficiale.

Le evoluzioni storiche
La venerazione dei fedeli presente sin dai primi tempi della Chiesa, viceversa la disciplina di particolari forme processuali comincia a svilupparsi solo agli albori del secondo millennio: nel tempo si giunge da forme pi semplici ad un complesso e articolato sistema processuale. Si possono distinguere sei grandi periodi. Il primo periodo va dalle origini al V secolo, caratterizzato dal culto dei martiri, cio coloro che avevano reso testimonianza a Cristo con la propria vita. E un culto che nasce spontaneamente e non sottoposto ad autorizzazioni dellautorit ecclesiastica, dal momento che il martirio era un fatto di dominio pubblico. Insieme a questo culto nascono i martirologi, cio i cataloghi dei martiri, dove si annotava il nome, la data del martirio o dies natalis (giorno della nascita al Paradiso), il luogo della sepoltura, il culto presso il sepolcro. Finita let delle persecuzioni con la pace costantiniana (313) e divenuto il cristianesimo religione ufficiale dellimpero (380), si aggiunse il culto dei confessori, cio quei fedeli che avevano patito la violenza delle persecuzioni senza arrivare alla morte o quei fedeli che si erano assolutamente distinti per la conformazione a Cristo della propria vita terrena: per le esperienze di penitenza, di ascesi, di fuga dal mondo, di lotta contro gli errori e le eresie. Si trattava di esperienze che avevano provato quanti le avevano sperimentate ad una sorta di incruento martirio. Anche questo culto nasce da spontanei moti del popolo e non si danno ancora interventi dellautorit ecclesiastica poich anche qui si trattava di esperienze di dominio pubblico. Dunque nel primo

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periodo non vi sono ancora formalizzazioni processuali poich manca la necessit di un accertamento pubblico ed autorevole di santit. Un secondo periodo va dal VI allXI secolo, comincia a formarsi progressivamente listituto della canonizzazione come atto formale di autorizzazione al culto di nuovi santi posto dal Vescovo locale, previo accertamento. Si parla di canonizzazione vescovile perch la legittimit viene legata ad un previo atto autorizzativi del Vescovo diocesano che segue ad uninchiesta ed alla redazione della Vita del santo. Tra il popolo si avvia un fenomeno di peculiare considerazione delle doti taumaturgiche dei santi, considerati come intercessori di grazie, nasce cio quellassoluta rilevanza del miracolo che diviene prova per eccellenza della santit ed esprime gli orientamenti di una cultura popolare che cerca la via semplice e facile per ottenere i favori divini. La canonizzazione anche espressione di collegialit dellepiscopato locale riunito in un sinodo o in un concilio; a volte particolarmente qualificata per autorevolezza e solennit dalla presenza del Pontefice alla elevatio del corpo del canonizzato dal luogo della sepoltura ed alla sua traslatio in una chiesa, che diventer la sede di celebrazione della festa liturgica annuale del nuovo santo. Gli elementi essenziali della procedura vengono stabiliti dallet merovingica e carolingia: la fissazione del requisito della pubblica fama di santit e della sussistenza di miracoli, o del martirio; la stesura di una vita del canonizzando; la presentazione di questa composizione al giudizio del Vescovo diocesano o del sinodo; la loro approvazione del culto pubblico. Un terzo periodo va dal XII secolo al XVI secolo, la canonizzazione viene progressivamente attratta nelle causae maiores Ecclesiae, cio quelle cause riservate alla competenza dellautorit pontificia. Il pontificato di Urbano II (1088 1099) pose le premesse per lelaborazione di questa disciplina disponendo unaccurata investigazione dei fatti anche attraverso lassunzione di prove testimoniali come condizione per poter procedere alla canonizzazione da parte del Pontefice. Con la decretale Audivimus del 1170, Papa Alessandro III afferm il principio per cui le cause di canonizzazione erano riservate al Pontefice (riserva papale); la decretale era in realt un provvedimento singolare, ma la sua successiva inserzione nelle Decretales Gregorii IX e quindi nel Corpus Iuris Canonici ne far un testo normativo. Con la riserva alla Santa Sede, il processo di canonizzazione inizia a formarsi come processo canonico speciale. E caratterizzato dallintegrazione di forme processuali canoniche comuni e forme processuali peculiari, che nel tempo si arricchisce di nuove figure come il Promotor fidei, istituito da Leone X (1513 1521) per garantire una migliore tutela degli interessi della fede e dellosservanza del diritto. La traduzione della canonizzazione a fatto giuridico e quindi ai formalismi del processo giudiziario, risponde allesigenza di evitare i sempre pi frequenti abusi, caratterizzati dallabbandono del culto dei santi pi antichi, dei martiri e dei confessori, a vantaggio del culto dei santi nuovi. Alla Santa Sede premeva recuperare lequilibrio tra il modello di santit taumaturgica ed il modello della santit come esempio di virt e condotta di vita. Lo sviluppo rigoglioso della scienza canonistica, anche grazie alla nascita delle Universit, ha avuto un ruolo importante visto che, davanti alla necessit di accertamento dei fatti dai quali evincere la santit (fama di santit, virt, miracoli), solo il diritto poteva fornire strumenti adeguati per lacquisizione della documentazione necessaria e per la sua analisi. Il quarto periodo va dal XVII al XIX secolo, a livello istituzionale nasce la sacra Congregazione dei riti ad opera di Sisto V con la costituzione Immensa del 1588; a livello normativo, gli interventi di Urbano VIII contenuti nel Coelestis Hierusalem cives del 1634 resero pi rigorosa la procedura. Papa Barberini distingue tra beatificazione e canonizzazione in due diverse procedure: la beatificazione nella diocesi del Vescovo, la canonizzazione dal Sommo Pontefice. Inoltre impone il divieto del culto pubblico previo allintervento pontificio, la cui violazione comporta un impedimento allintroduzione della causa. La beatificazione fu definita pi precisamente da Alessandro VII con il Decretum super cultu beatis non canonizatis praestando del 1659. Benedetto XIV (1740 1758) scrisse unimportante opera dottrinale sulla beatificazione e canonizzazione, il De servorum Dei, in materia probatoria e di miracoli. Il quinto periodo costituito dal XX secolo. Le disposizioni dettate nel tempo rimasero fino alla codificazione del 1917, nella quale furono trasfuse nei canoni 1999 2141. In questi 142 canoni la distinzione tra beati e santi assolutamente chiara, come anche i ruoli e le competenze in ogni parte del processo, processo sulleffettiva esistenza di una fama sanctitalis e sul riconoscimento del grado eroico delle virt e dellautenticit dei miracoli. Con il codice piano-benedettino troviamo una sorta di positivismo giuridico, temperato sotto il pontificato di Pio XI dallerezione presso la Congregazione dei riti di una Sezione storica (1930) e sotto il pontificato di Pio XII di una Consulta medica (1948). Lutilizzo della metodologia storica e della scienza medica tende a ridurre il ruolo del diritto, segnando

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linizio di unevoluzione. Il ricorso al metodo storico-critico fu limitato alle cause storiche, per cui non poteva costituirsi un apparato probatorio con i tradizionali mezzi processuali. Successivamente venne adottato sempre pi ampiamente al punto da essere oggi la base del procedimento. Il sesto periodo parte dal Concilio Vaticano II. Tre sembravano essere le caratteristiche negative del codice del 1917: la riduzione in minimi termini del ruolo dei vescovi diocesani; lassenza di sinodalit nella formazione del giudizio da sottoporre al Papa; leccessiva lunghezza e complessit delle procedure. Per queste ragioni il Concilio propone una riforma radicale. A seguito del Concilio, da un punto di vista istituzionale arrivano le riforme di Paolo VI, con il motu proprio Sacra Rituum Congregatio del 1969 viene creata la s. Congregazione per le cause dei santi creando un distacco dalla s. Congregazione dei riti. Da un punto di vista processuale, con il m.p. Sanctitas clarior del 1969 si ha una riforma delle procedure: si semplifica il processo riducendolo ad uno articolato in due fasi, una istruttoria a livello locale, una dibattimentale a livello romano. In questo modo si recupera un significativo ruolo del Vescovo locale e della dimensione sinodale. Giovanni Paolo II, con la costituzione apostolica Divinus Perfectionis Magister del 1983, detta le regole generali, rafforza quei ruoli mettendo in luce i fondamenti teologici affermando che ogni fedele chiamato alla santit. Ricordiamo il Congressus peculiaris, un canone che rimanda ad una legge speciale, riguardante il grado eroico delle virt e la fama signorum. Si aggiungono poi le Normae servandae in inquisitionibus ab Episcopis faciendis, date dalla Congregazione per le cause dei santi nel 1983, che forniscono maggiori dettagli su tutta la materia. Il codice di diritto canonico del 1983 rinvia alla legge speciale costituita dal provvedimento di Giovanni Paolo II; quindi abbandona la pretesa di vedere nel codice ununica legge ma rinvia in pi punti al diritto speciale ed a quello particolare. Questo favorisce il formarsi di una cultura nuova che pensa alle investigazioni sulla santit canonizzata in termini teologici, storici e medico-scientifici. Allo straordinario crescere del numero di beatificazioni e canonizzazioni sembra rispondere la progressiva riduzione dellutilizzo dello strumento giuridico.

Peculiarit del processo di beatificazione e canonizzazione


Alcuni elementi del diritto secolare entrano a comporre le procedure canoniche, come elementi canonistici vengono ceduti al diritto secolare. In particolare ha contribuito il diritto romano, infatti il processo canonico si costruisce, in et medievale, sulla struttura dellordo giustinianeo. Contribuisce inoltre il diritto germanico per quanto attiene al regime delle prove e a certe inflessioni inquisitoriali del processo. Il processo di canonizzazione assume elementi del processo canonico ordinario e del processo canonico criminale, ma al tempo stesso influisce sullevoluzione di entrambi. Anche il processo penale delle societ secolarizzate stato influenzato dal processo di canonizzazione, basti pensare alle procedure inquisitoriali del S. Uffizio quando venivano ad essere la controfaccia delle procedure davanti alla Congregazione dei riti. Il moderno diritto secolare ha uninfluenza sul processo di canonizzazione per lincidenza dellideologia illuministica della codificazione sulla dimensione dellesperienza giuridica canonistica. Nel tempo il processo di beatificazione e canonizzazione viene a configurarsi con un centro indice di particolarit.

Lodierna disciplina
Tutto il procedimento assume carattere inquisitorio; tende alla valutazione della vita e delle virt, o del martirio, del servo di Dio, allesame dei suoi scritti per la loro coerenza col dogma e con la morale, allaccertamento dei miracoli. Vengono suddivise le cause recenti da quelle antiche. La distinzione data dalla possibilit di provare lesercizio in grado eroico delle virt o il martirio attraverso testimoni oculari o testimoni de auditu a videntibus, oppure soltanto a fonti scritte. Nel primo caso il procedimento avverr secondo le regole processuali, nel secondo caso laccertamento dei fatti avverr con lutilizzo delle pi moderne metodologie della critica storica. Competente ad istruire il processo lOrdinario diocesano, della diocesi in cui il servo di Dio deceduto, oppure previa autorizzazione della Congregazione per le cause dei santi un altro Ordinario locale. Listruttoria sui miracoli fatta invece dallOrdinario del luogo in cui il fatto miracoloso avvenuto. Quindi la prima fase del processo, la raccolta delle prove, spetta alla Diocesi. Alla Congregazione per le cause dei santi spetta la seconda fase, cio lo studio del materiale e il dibattimento sugli atti di causa per laccoglimento dellistanza o per la sua archiviazione. Al Pontefice spetta di pronunciare la decisione definitiva. Gli attori della causa, cio i soggetti privati del processo, possono essere singoli fedeli, associazioni, persone giuridiche ecclesiastiche o civili, autorizzati dalla competente autorit ecclesiastica (lOrdinario diocesano). A loro spetta lonere di sostenere le spese della causa e possono agire soltanto attraverso un procuratore denominato postulatore, anchesso approvato

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dallOrdinario diocesano. Il postulatore ha la rappresentanza processuale degli attori e svolge le funzioni di avvocato della causa. Nel processo interviene anche una parte pubblica, nel senso che la sua funzione posta a tutela del bene pubblico, ed il Promotore di giustizia nel tribunale diocesano e il Promotore della fede presso la Congregazione per le cause dei santi; essi intervengono nel processo pro rei veritate, cio per laccertamento del vero. In particolare devono tutelare i diritti della fede e losservanza delle norme processuali. Un ruolo importante svolto dai testimoni, addotti dagli attori o dufficio. Tra i testimoni vengono compresi coloro che fossero eventualmente contrari alla causa o avessero a deporre contro. Ampio spazio dato allausilio dei periti: i censori teologi, che debbono valutare che negli scritti del servo di Dio non ricorrano errori; i periti in ricerche storico archivistiche, che devono raccogliere e valutare tutto il materiale; i periti medici, che devono valutare i miracoli. Il processo si svolge in due fasi: la fase istruttoria a livello locale, la fase dibattimentale e decisionale presso la Congregazione per le cause dei santi. Il procedimento aperto dal supplex libellus, cio listanza rivolta dallattore tramite il postulatore perch si inizi il giudizio e si istruisca la causa. Accolta listanza, il Vescovo diocesano consulta la Conferenza episcopale e notifica a tutti i fedeli la petizione. Questa fase si pu chiudere con il rigetto dellistanza o con laccoglimento, in questultimo caso inizia la fase istruttoria vera e propria in cui vengono valutati gli scritti del servo di Dio, raccolte le deposizioni testimoniali sulle virt o sul martirio, si apre linchiesta sui miracoli, si verifica che non vi siano segni di culto in onore del servo di Dio. Finita listruttoria diocesana, i relativi atti (detti transunto) sono trasmessi in duplice copia autenticata alla Congregazione per le cause dei santi e gli originali restano nellarchivio della curia diocesana. La fase dibattimentale e decisionale si apre con un previo controllo di legittimit da parte del sottosegretario del dicastero e con la nomina di un relatore, un sacerdote che prepara la positio sulle virt o sul martirio (positio super virtutibus vel super martyrio) cio la raccolta delle prove documentali e testimoniale e degli atti del processo. Intervengono poi i consultori teologi e il promotore della fede che si pronunciano sulla causa, cio se esiste o meno una fama di santit e se questa sostanziale. I loro voti sono sottoposti al collegio dei cardinali e dei vescovi della Congregazione a cui rimessa la decisione. I miracoli sono oggetto di una specifica procedura in cui intervengono periti e teologi, prima di essere portati in discussione. Le sentenze pronunciate sono rimesse al Pontefice, cui unicamente spetta di decretare il culto pubblico ecclesiastico. Perci le conclusioni del processo di beatificazione e canonizzazione costituiscono il presupposto del successivo provvedimento pontificio che investe il munus regendi e il munus docendi del Pontefice, essendo insieme atto di governo ed atto di magistero.

Chiesa e realt temporali


Il dualismo cristiano
I rapporti fra religione e politica si sono definiti secondo assetti riconducibili alla fondamentale distinzione tra sistemi monisti e sistemi dualisti. Nei sistemi monisti rientrano quelle realt sociopolitiche caratterizzate dal fatto di non conoscere distinzione fra temporale e spirituale, ma anzi credere in una profonda compenetrazione dellelemento religioso con lelemento politico. Il mondo antico precristiano era caratterizzato dal sistema monista poich la distinzione tra cittadino e fedele era del tutto impensabile; la religione infatti era considerata un elemento fondamentale nelledificazione della societ politica ed un fattore di coesione sociale e di identit nazionale. I sistemi monisti nel tempo hanno conosciuto diverse esplicitazioni. Una la ierocrazia, o governo della classe sacerdotale, in cui lelemento religioso e spirituale prevale su quello politico e sociale; un esempio lo Stato di Israele del Vecchio Testamento, lorganizzazione politica del popolo ebraico era funzionale al rispetto dellAlleanza di Dio con Abramo e la legge religiosa era anche legge civile. Unaltra esplicitazione si ha nella Chiesa di Stato, dove il principio politico predomin su quello religioso e lattivit religiosa fu considerata come una parte dellattivit statale. Anche a Roma la religione era fattore di identificazione e coesione civile, infatti il culto degli dei era funzionale alla grandezza politica di Roma: limperatore era anche pontifex maximus. La divinizzazione degli imperatori rappresent il punto pi alto di sacralizzazione della politica. I sistemi monisti sono stati tipici di societ non toccate dal cristianesimo, come nelle societ islamiche, ma nelle societ gi cristianizzate si ricaduti nei sistemi monisti ogni qual volta il cristianesimo si sia affievolito e le istituzioni politiche si siano affermate (come il nazismo e il marxismo). Il sistema dualista stato portato dal cristianesimo. Nellepisodio evangelico del tributo tratto dalle pagine di Marco (rendete a Cesare ci che di Cesare, e a Dio ci che di Dio) mostra proprio questo principio dualistico e

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trova riscontro anche in altre pagine del Vangelo, come nel processo a Ges dinnanzi a Pilato dalle pagine di Giovanni (il mio regno non viene da questo mondo). Esiste quindi una sovranit distinta dalle sovranit temporali. Con lammonimento a distinguere Dio da Cesare si distinse conseguentemente tra societ civile e societ religiosa, tra autorit civile e autorit religiosa, tra legge civile e legge religiosa; si venne inoltre a creare il problema della doppia fedelt del cittadino-fedele. Il principio dualistico cristiano ha messo in moto un processo di secolarizzazione della politica, riportandola allinterno dei suoi limiti. Esso tuttavia non sempre stato di semplice attuazione, a causa delle diversit di condizioni ambientali e territoriali, ma ha dovuto trovare diversi modi e forme. Si sono infatti avute diverse modalit di realizzazione concreta del principio dualista. Innanzitutto i cosiddetti sistemi dualisti embrionali, nel millennio che va dal IV al XIV secolo, caratterizzati dalla tornante tendenza ad un ricongiungimento fra potere religioso e potere politico. Una prima espressione si trova nel periodo del basso impero romano e nellalto medioevo, con il cosiddetto cesaropapismo, cio quellorientamento volto a restituire un primato dellautorit civile (Cesare) sullautorit religiosa (il Papa). Altra espressione della medesima tendenza si trova nellet medievale con la riforma gregoriana e dopo la vittoria del papato sullimpero nella lotta per le investiture, rappresentata dalla teoria della potest giuridica diretta della Chiesa sulla realt temporale (potestas directa Ecclesiae in temporalibus). Le difficolt di attuazione del principio dualista in questo periodo emersero non sul piano della distinzione fra leggi o fra societ, ma delle autorit o potest. Diverso sistema fu espresso dalla teoria canonistica della potest giuridica indiretta della Chiesa sulla realt temporale (potestas indirecta Ecclesiae in temporalibus), allepoca della Controriforma e osservata fino alle soglie del Vaticano II, in base alla quale sussisteva un primato dellautorit ecclesiastica su quella politica solo in alcune materie (res mixtae). Ad essa si contrappose, da parte statale, il sistema giurisdizionalista confessionista, proprio delle monarchie assolute (sec. XVII XVIII), caratterizzato da un duplice orientamento degli Stati: la tutela del cattolicesimo assunto come religione ufficiale, la sottoposizione della Chiesa e delle istituzioni ecclesiastiche a pesanti controlli. Questi due sistemi furono accomunati dalla considerazione della distinzione fra Cesare e Dio anche come distinzione di societ giuridicamente organizzate. Da questo momento si cominci a pensare al rapporto tra Chiesa e Stato in termini di due ordinamenti paralleli. Fra XIX e XX secolo prevalsero altri due sistemi: il sistema separatista integrale, espressione della dottrina liberale che riconduce il fenomeno religioso a fatto privato; il sistema giurisdizionalista agnostico e separatista, in tutti gli Stati liberali nellOttocento e negli Stati marxisti nel Novecento, caratterizzato da un regime di pesanti controlli e condizionamenti nei confronti di tutte le organizzazioni religiose, partendo dallagnosticismo dello Stato o addirittura dallateismo e dallanticlericalismo. Questo spiega la forte reazione della Chiesa e le aspre controversie con gli Stati. A questi sistemi separatisti si opposto il sistema concordatario o di collaborazione fra le due autorit, che presuppone la distinzione fra leggi, autorit e societ. Questo sistema ha avuto una diversa connotazione: nel caso di Stati totalitari o autoritari, ha lo scopo di garantire alle Chiese locali pi o meno ampi spazi di libert; nel caso di Stati democratici, serve a favorire la sana collaborazione fra la Chiesa e la comunit politica.

Principi canonistici sui rapporti fra Chiesa e comunit politica


Una teoria canonistica dei rapporti fra Chiesa e comunit politica si pu elaborare sulla base di due testi del Concilio Vaticano II: la costituzione pastorale Gaudium et spes e la dichiarazione Dignitatis humanae sulla libert religiosa. Esistono poi altri documenti, come il decreto Apostolicam actuositatem sullapostolato dei laici, il decreto Christus Dominus sullufficio pastorale dei vescovi, la costituzione dogmatica Lumen gentium, perch per elaborare una teoria dei rapporti tra Chiesa e comunit politica, sar preliminarmente necessario avere ben presente che cos la Chiesa. E rilevante anche il patrimonio costituito dalla dottrina sociale della Chiesa, sia in quanto delinea una societ politica conformata al disegno divino sia in quanto indica obbiettivi, vie, mezzi di presenza della Chiesa nella societ politica. Si possono dunque desumere i principi direttivi sui rapporti fra Chiesa e comunit politica: lindipendenza e lautonomia della Chiesa e della comunit politica; la libert religiosa, individuale e collettiva; la rinuncia da parte della Chiesa a trattamenti di privilegio e a diritti qualora il loro esercizio possa offuscare la testimonianza della Chiesa; la libertas Ecclesiae, cio la rivendicazione di poter godere nellordinamento statale di tanta libert quanta richiesta dalla sua missione; la sana collaborazione con la comunit politica. Tale collaborazione richiesta dal fatto che entrambe sono a servizio della stessa persona umana, quindi il vero bene di questultima pu essere perseguito solo in un regime di collaborazione fra le due autorit. Non si nota per un atteggiamento n di favore n contrario nei confronti dei concordati, cio accordi di diritto internazionale, perch

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come affermato dal Vaticano II lauspicata e sana collaborazione fra Chiesa e comunit politica deve trovare attuazione secondo le modalit adatte e il concordato pu essere uno dei modi ma non detto che sia il migliore. Nellet contemporanea distinguiamo tre grandi periodi. Dal Concordato napoleonico (1801) alla prima guerra mondiale, gli accordi sono marcati dal rapporto personale tra il Papa e il capo dello Stato contraente. Dopo la prima guerra mondiale e a seguito della rinnovata politica internazionale di Benedetto XV, si apre una nuova stagione concordataria, segnata da accordi con Stati totalitari o autoritari e con moderne democrazie. Nel 1936 una pronuncia della Corte di Giustizia dellAia definisce tali accordi come veri trattati di carattere internazionale. Il Concilio Vaticano II dedica un intero paragrafo della Gaudium et spes ai rapporti fra Chiesa e comunit politica e auspica che si persegua una sana collaborazione. Lattivit convenzionale della Santa Sede conosce delle significative innovazioni. Le relazioni convenzionali infatti si pongono anche con Stati di orientamento ideologico o con tradizioni religiose molto lontane oppure con Organizzazioni ed Organismi Intergovernativi. Inoltre nuove materie entrano a formare oggetto di disciplina concordata: i beni culturali, la bioetica, lobiezione di coscienza, la privacy; segno che le frontiere che marcano lordine della Chiesa e lordine degli Stati sono storicamente mobili. Una particolarissima attenzione della Santa Sede va nei confronti degli Stati dellEuropa centrale ed orientale, questo gruppo di accordi chiude larco temporale di due secoli e richiama il primo accordo, quello napoleonico, nel senso che anche gli accordi in questione sono chiamati spesso a restaurare la Chiesa nei rispettivi Paesi. Infatti ricorrono questioni analoghe a quelle risolte dal cardinale Con salvi nellelaborazione del concordato napoleonico. Per altri aspetti invece appaiono radicalmente nuovi, nei contenuti normativi e nei contesti culturali e spirituali, contesti che sono immediatamente ricollegabili al ruolo svolto dalla Chiesa nel passaggio dalla dittatura alla democrazia. Tornando ai principi direttivi, essi sono inquadrati nel contesto della potest di insegnamento che la Chiesa rivendica nel modo pi pieno nella societ, una potest non giuridica ma morale che non costituisce una illegittima intromissione nellautonomia propria del secolare. La potest di insegnamento si ricollega al munus docendi della gerarchia e si esplicita nel dare il giudizio morale su cose che riguardano lordine temporale; la Chiesa non ha il potere di annullare o abrogare le leggi ma ha il diritto di esprimere un giudizio morale su tale legislazione, in questa prospettiva si pone lenciclica Evangelium vitae (1995). La dottrina canonistica sulla potestas magisterii ha avuto un grande sviluppo dopo il Vaticano II, si pensi agli insegnamenti conciliari in materia di autonomia dellordine temporale o alla costituzione Gaudium et spes dove si afferma che nei rapporti con la comunit politica la Chiesa ha sempre e dovunque il diritto di predicare con vera libert la fede e dare il suo giudizio morale anche su cose che riguardano lordine politico. La potest di magistero implica di esprimere liberamente il giudizio su qualsiasi realt umana e questo diritto entra a qualificare e comporre la libertas Ecclesiae. In quanto diritto suo proprio e originario, sussiste anche qualora, in un determinato ordinamento statale, venisse disconosciuto o negato; infatti lesercizio della potest di magistero prescinde da qualsiasi riconoscimento.

In particolare: il principio di libert religiosa


La libert religiosa venne recisamente condannata nel 1864 da Pio IX nel Sillabo e un secolo dopo fu riconosciuta dal Concilio Vaticano II nella dichiarazione Dignitatis humanae del 1965. Dal punto di vista storico la libert religiosa nasce come rivendicazione del diritto dei credenti di poter professare liberamente la propria fede religiosa, con esclusione di qualsivoglia impedimento proveniente dallesterno; quindi la libert religiosa ha una valenza propriamente giuridica. Ma la libert religiosa pu essere oggetto di valutazione anche in altri ambiti come quello filosofico e teologico, dove i caratteri salienti sono il rapporto tra verit ed errore e la doverosit o meno di aderire alla verit una volta che sia stata conosciuta. Diversa dalla libert religiosa la libert di coscienza, che costituisce uno dei contenuti della libert religiosa, ma si pu anche dire che la libert di coscienza a comprendere quella religiosa se si intende la prima come libert di avere o meno un credo religioso mentre la seconda lesercizio della libert di coscienza nello specifico ambito religioso. La libert religiosa da distinguersi anche dalla libert della Chiesa (libertas Ecclesiae) e dalla libert cristiana. La prima si pone sul piano giuridico ed la libert di cui la Chiesa deve godere nellordine temporale; la seconda si pone sul piano teologico e consiste nel moto spontaneo verso il bene della persona, la libert di andare verso la verit e comporta il superamento della legge esteriore per intima adesione alla legge di Dio, la carit. Si deve distinguere inoltre dalla tolleranza religiosa, che evoca il non perseguire un fenomeno religioso che si vorrebbe represso. Nella Mirari vos e nel Sillabo veniva condannata la concezione filosofica della libert religiosa, tale concezione importava di conseguenza il relativismo, il sincretismo e lindifferentismo in materia religiosa. E ovvio che tali posizioni sono incompatibili con lessere stesso della Chiesa, per cui non pu essere indifferente credere o non credere. Ovviamente il Concilio Vaticano II ha ribadito questi insegnamenti affermando che sul piano morale sussiste lobbligo di cercare e seguire la verit, poich verit ed errore non

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sono sullo stesso piano. Viceversa la dichiarazione conciliare affronta la questione della libert religiosa dal punto di vista giuridico. Tratta infatti delle responsabilit che incombono sullo Stato nellassicurare a tutti quella piena libert grazie alla quale ciascuno pu soddisfare lobbligo morale di conoscere e seguire la verit. Quindi interlocutore del documento conciliare lautorit pubblica che non deve obbligare le coscienze ma garantire ciascuno da eventuali coazioni. Nella Dignitatis humanae la libert religiosa considerata come un diritto naturale, fondato sulla dignit della stessa persona umana, che si definisce diritto ad essere immuni da coercizioni esterne in materia religiosa. Sono titolari di questo diritto tutti gli uomini, infatti a motivo della loro dignit tutti quanti gli uomini sono spinti dalla loro stessa natura a cercare la verit, soprattutto quella concernente la religione. Per gli uomini non sono in grado di soddisfare a questo obbligo se non godono della libert psicologica e dellimmunit dalla coercizione esterna. Si tratta dunque di un diritto pubblico soggettivo, cio un diritto del soggetto che si esprime nei rapporti per i quali si manifesta il potere di comando (imperium), ed al contempo un diritto individuale ed un diritto collettivo, che spetta in primo luogo ad ogni uomo ma di cui possono essere titolari anche formazioni sociali. La libert religiosa comporta il diritto di non essere impediti ad agire in conformit della propria coscienza, ma ci pu incontrare dei limiti. Infatti nellesercizio di tutte le libert si deve osservare il principio morale della responsabilit personale e sociale: quindi tener conto tanto dei diritti altrui quanto dei propri doveri verso gli altri, quindi agire secondo giustizia e umanit. Poich la societ civile ha il diritto di tutelarsi contro gli abusi, spetta soprattutto al potere civile provvedere a tale protezione secondo norme giuridiche conformi allordine morale oggettivo. Limite legittimo al diritto di libert religiosa quello che si uniforma rigorosamente ai diritti umani o diritti naturali. Nella Chiesa sempre stato costante linsegnamento per cui latto di fede non pu che essere libero. Il Vaticano II afferma che luomo deve rispondere volontariamente a Dio credendo, perci nessuno pu essere costretto ad abbracciare la fede contro la sua volont. Il diritto interno della Chiesa vieta ogni coazione nellopera di evangelizzazione e nellamministrazione del battesimo (cann. 748 ed 865). Con il pontificato di Giovanni Paolo II il magistero sulla libert religiosa stato approfondito. Sicuramente con la Lettera ai Capi di Stato sulla libert religiosa e sul documento finale di Helsinki, del primo settembre 1980, nella quale chiarito il pensiero della Chiesa sulla libert religiosa come diritto delluomo, individuale e collettivo, in particolare come diritto delle singole confessioni religiose. Si dilunga nellindividuare e definire i singoli contenuti del diritto di libert religiosa, evidenziando come nella moderna societ non possa essere pi ristretto nella classica libert di professare la propria credenza religiosa, nella libert di culto o nella libert di proselitismo. E precisato che sul piano personale libert religiosa significa anche libert di educazione religiosa dei figli; la libert delle persone di beneficiare dellassistenza religiosa; libert di non essere costretti a compiere degli atti contrari alla propria fede; libert di non subire limitazioni e discriminazioni nelle diverse manifestazioni di vita. Sul piano comunitario libert religiosa la libert che ad ogni comunit religiosa deve essere assicurata di scegliere liberamente i propri ministri, di esercizio del ministero, di avere istituti di formazione religiosa, di pubblicare libri religiosi, di comunicare ed insegnare la fede con ogni mezzo, di svolgere attivit di educazione, di beneficenza, di assistenza. Nella misura in cui la libert religiosa raggiunge la sfera pi intima dello spirito, essa sostiene la ragion dessere delle altre libert, cio matrice e fondamento di tutte le altre libert. Rispetto alla Dignitatis humanae, che parte da una definizione in negativo della libert religiosa, Giovanni Paolo II la colloca in un contesto positivo, relativamente alle responsabilit nel rimuovere tutti gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della vita religiosa a livello individuale e a livello collettivo.

I concordati e gli altri accordi


La tradizionale forma di collaborazione sono i concordati, ovvero accordi di diritto internazionale. E stato favorevole lo sviluppo dellesperienza giuridica internazionale, condiviso dalla dottrina canonistica. Ad esempio nel can. 362 il Pontefice esercita lo ius legationis nei confronti dei governi civili nel rispetto delle norme di diritto internazionale. E da ricordare lallocuzione concistoriale In hac quidem del 1921, con cui Benedetto XV deline la politica concordataria dopo i grandi sconvolgimenti della prima guerra mondiale. Lo Stato parte contraente del concordato, ma in futuro non da escludere che si possano stipulare anche con altri soggetti internazionali. Per lindividuazione dei soggetti competenti necessario rifarsi alle norme costituzionali dei diversi Stati. Per parte della Chiesa il soggetto competente a stipulare un concordato la Santa Sede, che gode di soggettivit giuridica internazionale, alla quale per il diritto canonico spetta lo ius legationis e lo ius tractandi. La formazione segue la procedura tipica delle convenzioni internazionali (Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati 1969): i negoziati ufficiosi, la nomina dei plenipotenziari con relativa verifica dei poteri, la redazione e la firma dellaccordo da parte dei plenipotenziari e infine lo scambio delle ratifiche. Senza la ratifica laccordo non acquista forza vincolante e non produce effetti giuridici. La ratifica atto unilaterale con cui ciascuna parte approva loperato dei suoi plenipotenziari, spetta quindi al Pontefice e al capo dello Stato, autorizzato dal competente organo costituzionale. Perch possa produrre effetti necessaria anche lesecuzione; questa avviene automaticamente per lordinamento canonico perch laccordo viene pubblicato sugli Acta Apostolicae Sedis. Pi complessa la situazione per gli ordinamenti statali: in alcuni casi ladattamento automatico (sistema

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monista), in altri casi necessaria una legge di esecuzione (sistema dualista) senza la quale il concordato non produce effetti giuridici interni. Le disposizioni concordatarie vigono contestualmente nei due ordinamenti, oltre ad essere in vigore nellordinamento internazionale. Esiste poi il problema dellinterpretazione poich da un lato frutto di un avvicinamento delle due parti da posizioni originarie diverse sicch la formulazione si pu prestare ad interpretazioni differenti; dallaltro lato le disposizioni creano un diritto oggettivo comune, quindi interpretato ed applicato allo stesso modo. Linterpretazione di cui si parla non quella della dottrina (interpretazione dottrinale), ma quella autentica compiuta dalle parti o in via unilaterale (interpretazione unilaterale) o in via bilaterale (interpretazione bilaterale). La prima sempre legittima purch in buona fede; la seconda stabilita daccordo fra le due parti. Ad esempio nellarticolo 14 del concordato italiano stabilito che se in avvenire sorgessero difficolt di interpretazione, la Santa Sede e la Repubblica italiana affideranno la ricerca di unamichevole soluzione ad una Commissione paritetica da loro nominata. Per lestinzione dei concordati valgono le regole generali relative ai trattati internazionali. Una prima causa data dal consenso reciproco delle parti contraenti; un esempio laccordo di Villa Madama del 1984 tra la Santa Sede e la Repubblica italiana nelle quali sono apportate delle modifiche al Concordato lateranense del 1929. Altra causa la scadenza dei termini, posti originariamente allaccordo; ad esempio nellart. 20 della convenzione del 1957 con la Bolivia troviamo che questa Convenzione avr la durata di dieci anni dalla ratifica, che si considera tacitamente rinnovata di dieci anni in dieci anni, a meno che sei mesi prima che termini il mandato una delle due Alte Parti dichiari il contrario. C poi il caso per il verificarsi di una clausola risolutoria prevista nellaccordo. Infine lestinzione per denuncia unilaterale che deve essere contemplata nellaccordo; ad esempio la convenzione con la Repubblica di El Salvador (1968) afferma che questa convenzione rester in vigore a meno che una delle Alte Parti la denunci con un anno di anticipo. C anche la possibilit dellestinzione per la denuncia da parte di uno dei contraenti per violazione di una o pi disposizioni; tradizione della Santa Sede non fare ricorso a questa forma. Un problema nasce dalla possibilit di accordi tra Chiese particolari e comunit politica. Fino al Concilio Vaticano II cera lesclusiva competenza della Santa Sede, anche se nel tempo non sono mancati casi di accordi fra le Chiese particolari e corrispondenti autorit politiche. Tale teoria e tale prassi discendevano da ragioni politiche e giuridiche: da un lato si sempre considerato che il papato fosse pi libero rispetto allautorit politica e quindi pi capace di far valere le ragioni della libertas della Chiesa particolare, senza contare i sempre rinascenti sospetti per il pericolo del formarsi di Chiese nazionali assoggettate allo Stato; dallaltro si rafforzava lidea della esclusiva competenza della Santa Sede, in ragione della sua indiscussa soggettivit giuridica internazionale. Ora la situazione appare mutata, come conseguenza del Vaticano II. Nel decreto conciliare sullufficio pastorale dei vescovi Christus Dominus attribuito al Vescovo diocesano il munus di promuovere e curare i rapporti con lautorit civile. Il problema appare pi politico, cio attiene pi a questioni di opportunit e di convenienza. Non affatto vero che oggi la Chiesa sia pi libera che in passato, anche se in molti casi lazione della Santa Sede pi incisiva nella difesa della libertas Ecclesiae. Il problema di maggior rilievo quello della quantificazione degli accordi in questione. Non hanno natura concordataria poich la Chiesa particolare non soggetto di diritto internazionale e spesso anche laltra parte non lo . Si possono individuare tre diverse fattispecie: - la prima data dagli accordi fra episcopato ed autorit politica, con un carattere meramente politico; per far s che lautorit politica competente adotti nellambito dellordinamento civile quei provvedimenti di natura normativa o amministrativa che sono attuazione di quanto convenuto con lautorit ecclesiastica. - la seconda data dagli accordi con carattere meramente amministrativo, interno allordinamento statale; ad esempio lintesa fra Vescovo diocesano e competente autorit scolastica per la nomina dei docenti di religione. - la terza data dagli accordi aventi un contenuto normativo, cio volti ad innovare lordinamento giuridico statale. Non hanno la natura di accordi internazionali n possono qualificarsi come concordati, per si tratta pur sempre di accordi che nascono in un ordinamento giuridico terzo, nel quale le due autorit contraenti si incontrano su un piano di parit. E evidente che i contenuti dellaccordo devono poi trovare esecuzione nellordinamento civile e in quello canonico. Si deve anche contemplare il caso che singoli Vescovi o le conferenze episcopali, con il consenso e con il mandato della Santa Sede, stipulino accordi con lautorit statale; in questo caso si rientrerebbe nella fattispecie concordataria e rientrano i concordati quadro, quelli contenenti i principi informatori dei rapporti, e gli accordi attuativi sulle singole materie. LAccordo di modificazione del concordato lateranense del 18 febbraio 1984, da

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un lato pone delle norme quadro in determinate materie: insegnamento della religione nelle scuole pubbliche; di assistenza spirituale nelle forze armate, nelle carceri, negli ospedali e negli istituti di ricovero; di tutela del patrimonio storico ed artistico. Dallaltro prevede una clausola generale secondo cui ulteriori materie potranno essere regolate sia da nuovi accordi sia da intese con le competenti autorit. Nel primo caso si tratta di un mandato della Santa Sede a convenire con lautorit statale, nel secondo sembra un rapporto di sostituzione della Conferenza episcopale italiana alla Santa Sede.

La Chiesa e la comunit internazionale


La presenza della Chiesa nella vita della comunit internazionale un dato storico incontrovertibile. Dallorigine della comunit internazionale stato presente anche il papato. Le ragioni storiche sono da ricavare nella sovranit temporale dei Papi e nellindiscussa posizione di primato sulle sovranit temporali che il papato aveva. La vera ragione di tale presenza da ricercarsi nellevolvere della prima esperienza dello Stato moderno verso forme di giurisdizionalismo, cio quella politica e quella legislazione in materia ecclesiastica tendente a sottomettere la Chiesa sempre pi direttamente al controllo dellautorit civile. Il giurisdizionalismo univa la rivendicazione di una serie di diritti nei riguardi della istituzione ecclesiastica (iura maiestatica circa sacra) che finivano sostanzialmente per violare in maniera grave la libertas Ecclesiae e per soggiogare pesantemente la Chiesa allo Stato. Questa politica trovava un ostacolo nel carattere sopranazionale della Chiesa; questo fu un elemento che sorresse laltra tendenza a favorire la nascita di Chiese nazionali cio avente unorganizzazione autonoma rispetto al papato. La politica di presenza della Santa Sede nellordinamento internazionale risponde ad unesigenza politica ben precisa: sottrarre le Chiese locali alla giurisdizione nazionale dei moderni Stati sovrani e trattare con gli Stati la regolamentazione delle materie di interesse ecclesiastico, partendo da un piano di parit. In sostanza la Santa Sede perseguiva un duplice scopo, lemancipazione dal giurisdizionalismo statale e la garanzia dellunit della Chiesa. Oggi le ragioni sono mutate. Lintensa e crescente partecipazione a partire dal secondo dopoguerra fu soprattutto da parte di Paolo VI e Giovanni Paolo II. Si tratta di un fenomeno di estremo rilievo che porta ad una sempre pi incisiva presenza della Santa Sede che contribuisce a produrre trasformazioni che hanno riflessi allinterno delle stesse societ statali. La Chiesa ha seguito e favorito molti processi di trasformazione e ha sospinto verso modelli democratici, contribuendo alla creazione di quel clima di moderazione che ha evitato forme di violenza e ha favorito levolversi delle relazioni internazionali verso modelli pi consoni alle esigenze di giustizia e di pace. Nel passato lattivit internazionale era costituita da attivit concordataria, con oggetto la garanzia volta ad assicurare la libertas Ecclesiae. Ora la Santa Sede non pi solo produttrice e destinataria di norme nascenti dai singoli accordi, ma sia sotto il profilo dei suoi rapporti con le Organizzazioni Internazionali Governative, sia sotto quello della sua partecipazione a convenzioni multilaterali, la Santa Sede ora partecipa alla stessa produzione delle norme di diritto internazionale. E un fenomeno nuovo per cui la Santa Sede partecipa a pari titolo con gli Stati alla produzione delle norme di diritto internazionale generale codificato, di cui gli stessi Stati saranno poi destinatari. La manifestazione pi evidente ci fu alla firma dellatto finale della Conferenza sulla Sicurezza e Cooperazione in Europa (C.S.C.E.) con il trattato di Helsinki del 1975. Questaccordo ha introdotto il principio del rispetto dei diritti umani negli ordinamenti comunisti dellEst, offrendo il significato della partecipazione della Santa Sede nella vita della comunit internazionale. Questa qualificata dalla rivendicazione delle libert che alla Chiesa sono necessarie e dallaffermazione dei diritti umani, da riconoscersi e garantirsi ovunque, nonch dal perseguimento della pace tra i popoli e di relazioni internazionali improntate a giustizia. Il mutato atteggiamento della Santa Sede dovuto anche ad un mutamento della vita della comunit internazionale: dal modello di Westfalia, affermatosi dalle origini della comunit stessa, al modello della Carta delle Nazioni Unite, sotteso allo spirito di un nuovo ordine internazionale. Il primo fondato sulla concezione del diritto internazionale in termini di regole poste dalle grandi potenze; il secondo qualificato dalla pace come fine supremo. Viene dunque rifiutata la forza come principio ordinatore delle relazioni internazionali, inoltre vengono assunti quali principi fondamentali: il rispetto dei diritti umani, lautodeterminazione dei popoli, leguaglianza fra gli Stati, la giustizia e lequit nei loro rapporti, la solidariet e la cooperazione internazionale, la buona fede. Essi coincidono con il magistero ecclesiastico sui rapporti internazionali. Il modello di Westfalia era ispirato a principi inaccettabili come il diritto della forza (ius quia iussum) che contrasta con la condizione ontologica delluomo e del vivere giuridico in quanto ordine di giustizia (ius quia iustum). La Chiesa non pu accettare una concezione del diritto contraria ai capisaldi del magistero ecclesiastico, quindi come strumento di potenza e non come strumento di giustizia.

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