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PREFAZIONE

Nell’estate del 1902, in alta Valtournanche, le vite e i destini di Edmondo De


Amicis e Guido Rey s’incrociarono.
Il primo, digiuno di montagna, imparò dal secondo ad amarla e seppe
sdebitarsi, legando per sempre il suo nome all’opera dell’amico.
“Il più nobile scoglio delle Alpi”, come piacque definirlo a John Ruskin, fu
testimone silenzioso del profondo legame, umano e letterario, tra i due.
Nel Regno del Cervino e Il Monte Cervino sono il frutto di un incontro che
trascende i limiti angusti della ricerca storica per gettare nuova luce sul
rapporto tra alpinismo e letteratura: un connubio difficile, eppure inevitabile, a
giudicare dalla mole di esempi.
L’alpinismo ha ispirato una vasta e ricca letteratura che non può essere
ignorata. Il récit d’ascension, da cui discende, deve spogliarsi di tutti gli
orpelli retorici accumulati nel corso degli anni per ingraziarsi la critica
ufficiale e rivendicare la propria dignità. L’ostracismo cui è sottoposta trae
origine dalla linfa vitale stessa della letteratura d’alpinismo: la montagna,
vissuta, scalata, sudata metro per metro. Non una semplice astrazione, ma
un’esperienza viva, sofferta, difficile da imbrigliare a parole.

“Può (…) il critico sottile trovarvi ineguaglianze, slegature, e in qualche


punto deficienza d’arte. Ma v’è l’efficacia che si trova soltanto nei libri di chi
sentì profondamente il proprio soggetto e lo volse in mente molti anni, e lo
svolse con grande amore, rivivendo la vita e quasi rioperando le cose che
descriveva. Dove l’arte manca, questa stessa mancanza vi piace: la sincerità
vi supplisce”
Edmondo De Amicis, Prefazione a Il Monte Cervino di Guido Rey
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Da destra: Ugo De Amicis, Guido Rey, Edmondo De Amicis ed Edoardo Rubino al Giomein
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CAPITOLO PRIMO.

GUIDO REY: L’ALPINISTA SCRITTORE.

Andare per montagne selvagge è


una via alla liberazione
MILAREPA

Guido Rey nasce il 26 Novembre 1861 al primo piano del numero 35


in Via Cavour a Torino.
Il padre, proprietario di un lanificio in Borgo Dora, gli assicura una solida
preparazione scolastica, affidandolo nei primi anni alle cure d’insegnanti
privati.
Nel 1879 supera a pieni voti la maturità presso il ginnasio liceo V. Gioberti.
Fin dalla più tenera età mostra una particolare predilezione per le lettere, le arti
e la natura.
Il fedele taccuino, dal quale non si separerà mai durante le ascensioni in
montagna, fa la sua comparsa in questi anni: Guido ama annotare
quotidianamente particolari curiosi che attraggono la sua attenzione, per poi
trascriverli in un diario, arricchiti di giudizi, riflessioni e osservazioni critiche.
La stessa consuetudine sarà trasferita anni più tardi in parete, nel tentativo di
registrare fedelmente e conservare le emozioni e sensazioni connesse
all’attività alpinistica.

<<Sono solito segnare sul mio taccuino, a mano a mano che procedo, brevi
note sulla via seguita e sulle impressioni provate. E’ utile fissare subito sulla
carta la sensazione fugace soprattutto nei luoghi difficili; talvolta ho dovuto
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implorare dalle guide un mezzo minuto per scrivere un pensiero; talvolta ho


notato l’ora reggendomi sospeso entro una fenditura senza che le guide se
n’avvedessero. Io so che queste non guardano ciò di buon occhio; esse
vogliono che il viaggiatore stia attento alla corda; un po’ più di forza e meno
di studio; così la pensano quegli uomini che sanno e che non scrivono. (…)
Essi hanno forse ragione; e non v’ha dubbio che io rinuncio al godimento di
alcuni attimi di attività alpinistica; la salita perde la sua bella spensieratezza,
ma il metodo ha questo di buono, che conserva integre e veritiere le
impressioni dell’animo ed è sussidio alla mia coscienza nel ricordare e nel
raccontare >>.

<<Nel rileggere ora gli appunti che lungo la via segnai sul taccuino, mi si
ridesta la visione di luoghi e il ricordo di fatti che avevo dimenticati; quasi
quelle linee mi sembrano scritte da un altro. Eppure in quelle note affrettate,
spoglie di artificio, si rintraccia meglio che in una pagina di bella prosa tutta
la psicologia di una salita. Talora una frase raccolta testualmente, una
parola, un semplice punto di esclamazione valgono su quei foglietti a
rispecchiare un moto dell’animo, ad evocare il pericolo di un momento. Il
carattere stesso dello scritto vi è eloquente: da prima regolare, netto, bene
allineato, poi a sbalzi, convulso; certe lettere che escon fuori dalle righe
dicono all’evidenza la posizione incomoda dello scrittore. Quando lo scritto
diviene indecifrabile è indizio che la mano tremava; quando cessa, vuol dire
che la lotta si era fatta disperata>>. (1)

Le prime escursioni avvengono sotto l’ala protettrice della sezione torinese del
Club Alpino e dei suoi fondatori. Il capitolo quarto del Monte Cervino inizia
con la commossa rievocazione di una limpida giornata sui monti del biellese,
in compagnia del celebre zio e dei cugini:
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<<La prima volta che vidi il Cervino avevo tredici anni, bella età in cui ogni
cosa ci è nuova.
Ero alla mia prima salita alpina. Dalla vetta modesta d’un monte di duemila
metri, nell’alba limpida d’un giorno d’estate, un uomo grande additava a me
ed a’ miei compagni una grande piramide azzurra, lontana. Nessuna nube
offuscava l’orizzonte della vista e dell’animo nostro.
“Quello là è il Cervino,” ci diceva, e un brivido di ammirazione invadeva le
piccole menti alla vista della forma strana ed aguzza che si estolleva
nell’estesa infinita dell’altre montagne.
L’uomo grande era Quintino Sella, ed era degno di additare quel monte e di
suggerirne il fascino.
Attorno a lui stavamo raccolti una diecina di ragazzi, attoniti, intenti allo
spettacolo nuovo del quale non potevamo ancora comprendere tutta la
bellezza, come non comprendevamo allora tutta l’altezza d’animo di quegli
che ce la spiegava, che voleva che ammirassimo, che imparassimo.
Più tardi appresi a conoscere l’altezza e la nobiltà di quel monte e di
quell’uomo, ed essi sono rimasti nella mia mente collegati l’uno all’altro,
ugualmente grandi, perché le forme materiali dell’uno mi sembrano
simbolizzare le virtù morali dell’altro; e ad entrambi sono grato pel gran bene
che mi hanno fatto (…)
Forse in quel momento, di fronte al lontano Cervino, in quelle prime ore felici
della vita in cui si formano i propositi ingenui che guideranno il nostro
avvenire, nasceva in me il primo germe dell’ideale che doveva occupare tanta
e così onesta parte dell’animo mio, e “che, come vedi, ancor non
m’abbandona” (…)
Egli (Quintino Sella) avrebbe voluto che tutti gli italiani fossero alpinisti, e
intanto faceva alpinisti i suoi figli e i suoi nipoti>>. (2)
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Sella incarna agli occhi di Guido i massimi ideali dell’uomo risorgimentale e i


suoi insegnamenti ispirano il famoso Credo, riportato sulle tessere del Cai, che
chiude la prefazione di Alpinismo Acrobatico:

<<Io credetti e credo la lotta coll’Alpe utile come il lavoro, nobile come
un’arte bella come una fede>>. (3)

Lo slancio politico-ideologico dello zio si traduce in visione positiva


dell’alpinismo, inteso come scuola morale in grado di forgiare il corpo e lo
spirito della gioventù italiana, in barba a chi ne contesta la pericolosità e
l’inutilità. Guido sente innanzitutto il dovere di fare proselitismo, scrive per
condurre nuovi adepti al tempio della montagna, in accordo con le finalità del
Club Alpino:

<<Ricordo che un giorno, alle falde del Cervino, una signora bella, colta e
gentile, parlando meco del libro di un alpinista che tratta di questo monte e
che essa aveva trovato a caso nell’albergo e letto nell’ora di noia, mi dichiarò
che quel libro non l’avrebbe mai dato a leggere ai suoi figli; era un’opera
pericolosa che li avrebbe indotti nelle tentazioni del monte.
Per l’alpinismo nostro auguro che non tutte le madri italiane la pensino come
quella signora gentile, ma in quel giorno sentii che più grande lode non
poteva essere data all’oscuro autore, e mi proposi di fare un libro anche
peggiore di quello, augurando in cuor mio che i giovinetti, adescati da un
titolo audace, lo leggessero di nascosto, con maggior desiderio perché libro
proibito>>. (4)

<<Vorrei che tutti i giovani colti e validi d’Italia ascendessero almeno una
volta il Cervino, perché ad essi fossero rivelate recondite energie dell’animo
loro, e, nell’orgoglio nobilissimo dello sforzo fatto, si sentissero più puri, più
capaci di alti propositi, più entusiasti per la loro bellissima terra>>. (5)
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NOTE

(1) Guido Rey, Alpinismo Acrobatico, Torino, Lattes, 1914, p. 43.


(2) Guido Rey, Il Monte Cervino, Milano, Hoepli, 1904, pp.161-162.
(3) Guido Rey, Alpinismo Acrobatico, op. cit., p. 9.
(4) Guido Rey, Alpinismo Acrobatico, op. cit., p. 8.
(5) Guido Rey, Il Monte Cervino, op. cit., p. 187.
(6) Lionel Terray, Les Conquérants de l'inutile, Chamonix, Editions Guérin,
1967.
(7) Scrambles in the Alps, il volume di Edward Whymper è del 1871, venne
tradotto in italiano da A. Balliano con il titolo: Scalate nelle Alpi, edito
in Torino nel 1933.
(8) Guido Rey, Il Monte Cervino, op. cit., pp. 195–196.
(9) Albert Frederick Mummery, My climbs in the Alps and Caucasus.
London, T. F. Unwin-New York, C. Scribner's, 1895.
(10) Guido Rey, Alpinismo Acrobatico, op. cit., p. 23.
(11) Guido Rey, Il tempo che torna, Torino, Montes, 1929, p. 159.
(12) Guido Rey, Il Monte Cervino, op. cit., p. 210.
(13) Guido Rey, La Grivola per la parete Nord, in: “Alba Alpina”, Vol. IV
delle opere complete di Guido Rey a cura di A. Balliano, Torino,
Viglongo, 1955, p.251. Il titolo è errato, si tratta della cresta Nord.
(14) Guido Rey, Il Monte Cervino, op. cit., p. 172.
(15) Cesare Fiorio, Becco della Tribolazione m 3360, in: “Bollettino del Club
Alpino Italiano”, 1892, pp.285-286.
(16) Guido Rey, Il Monte Cervino, op. cit., pp. 173-174.
(17) Guido Rey, Aiguille Meridionale d’Avers, in: “Bollettino del Club
Alpino Italiano”, 1889, pp.200-201.
(18) Guido Rey, Il Monte Cervino, op. cit., p. 172.
(19) Guido Rey, Il Monte Cervino, op. cit., p. 167.

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