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LABORATORI TERRITORIALI

Ul

Sistema bancario e finanziario nella Questione Settentrionale

CNEL
Roma, 1997

Con la presente pubblicazione prosegue la Serie dei volumi "verdi" della Collana Laboratori Territoriali. * La Serie verde - rende atto dell'azione territoriale nell'Italia settentrionale svolta dal CNEL (soprattutto dalla Giunta per il territorio). Le altre pubblicazioni della Collana Laboratori Territoriali si distinguono nella: * Serie azzurra - strumento di diffusione del lavoro della Consulta e del Gruppo di Lavoro per il Mezzogiorno del CNEL; * Serie blu - espressione del programma di lavoro per il Centro Italia svolto dalla Giunta per il territorio; * Serie grigia - d conto del lavoro del CNEL (curato in particolare dal Gruppo di lavoro Ambiente-Montagna) quale contributo alla valutazione e scelta delle linee strategiche per una economia eco-sostenibile; * Serie rossa - (Quaderno OPT) - segue le attivit dell'Osservatorio sulle politiche territoriali (Ministero dei Lavori Pubblici - CNEL) per le strategie di pianificazione e gestione del territorio. Il CNEL cura, inoltre, le collane: Documenti Cnel, Percorsi, Strumenti, Valutazioni e indicazioni.

INDICE

Premessa

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Capitolo Primo - FARE BANCA E IMPRESA NEL CAPITALISMO COALIZIONALE pag.


LA COALIZIONE DI FINANZA LA COALIZIONE DI FILIERA LA POLIARCHIA " " "

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Capitolo Secondo - BANCHE E IMPRESE


IL MODELLO DI BANCA VOTATA ALL'ACCOMPAGNAMENTO DELLE IMPRESE LE STRATEGIE DI RITERRITORIALIZZAZIONE FUNZIONALE FARE BANCA AL NORD E FARE BANCA AL SUD

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IL MODELLO DI BANCA COMMERCIALE ORIENTATA AL CLIENTE . . . "

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IL PROBLEMA DELLE DIMENSIONI ADEGUATE PER COMPETERE . . . "

Le banche universali Le banche regionali a riproduzione di modello Le banche di territorio e di distretto Le banche d'affari
BANCHE E IMPRESE: ALCUNE CONSIDERAZIONI DI SINTESI

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Capitolo Terzo - BANCHE E TERRITORI


IL PRESIDIO FUNZIONALE IL LOCALISMO MUTUALISTICO IL LOCALISMO METODOLOGICO LA SFIDA SUPERIORE LA BANCA VIRTUALE BANCHE E TERRITORI: ALCUNE CONSIDERAZIONI DI SINTESI .... LE FONDAZIONI BANCARIE

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" " " " " " " 187 195 212 222 237 242 246

Capitolo Quarto - BANCHE E NUOVE PROFESSIONALIT ... pag. 267

Capitolo Quinto - SCENARIO E NODI CRITICI


L'EUROPA LE SOFFERENZE E IL ROE LE DIFFICOLT NELL'ACCOMPAGNAMENTO AL FARE IMPRESA .. IL SISTEMA FISCALE LE BANCHE E LA BORSA IL COSTO DEL LAVORO E GLI ESUBERI IL RAPPORTO TRA BANCHE E ASSICURAZIONI I NUOVI MERCATI E I NUOVI PRODOTTI

pag. 279
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/ TESTIMONI PRIVILEGIATI CITATI NEL TESTO

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ALLEGATO - Composizione del Gruppo di lavoro che ha realizzato il rapporto di ricerca

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Premessa Il CNEL ritiene che uno dei nodi cruciali dello sviluppo delle regioni del Nord Italia sia rappresentato dal sistema bancario. L'indagine qui pubblicata il risultato di un percorso di lavoro e di ricerca sui nodi strategici della "Questione Settentrionale" che, dopo aver analizzato i problemi della competizione e leadership, ' i cambiamenti nel sistema della rappresentanza degli interessi2 e il ruolo delle autonomie locali e funzionali,3 ha affrontato i problemi che attengono al complesso rapporto che il sistema finanziario instaura con il territorio e il tessuto delle imprese. In effetti, parlare di "complesso rapporto", in questo caso, non rappresenta una rituale concessione alla retorica della "complessit". Molto di pi: significa affrontare i nodi problematici per molti versi irrisolti, che riguardano il ruolo di un attore strategico dello sviluppo dell'economia e della societ - il sistema bancario per l'appunto che con la sua azione pervade l'intera economia. Problemi che attengono al ridisegno delle funzioni di finanziamento, all'attivit degli operatori economici, ma anche alla capacit di approntare un sistema pi efficiente e sofisticato di sostegno, all'insegna della diversificazione in base alla necessit della personalizzazione del servizio, dell'integrazione funzionale, dell'accompagnamento degli operatori in tutte le fasi della loro attivit.
1. CNEL, Competizione e leadership nella questione settentrionale, Laboratori Territoriali CNEL, Roma, 1996. 2. CNEL, La rappresentanza nella questione settentrionale, Laboratori Territoriali CNEL, Roma, 1966. 3. CNEL, Autonomie locali e funzionali nella questione settentrionale, Laboratori Territoriali CNEL, Roma, 1997.

Per questo insieme di aspetti, la scommessa ancora aperta. N potrebbe essere diversamente, considerata la portata delle sfide che l'intero sistema-paese si trova ad affrontare nel contesto dell'economia globalizzata. Tuttavia, il sistema bancario, dato il ruolo cruciale che esso gioca nelle dinamiche competitive, non pu essere semplicisticamente visto come "problema fra i problemi". Lo impedisce il suo ruolo di protagonista, nel bene e nel male, nel promuovere le opportunit di sviluppo; il suo connotarsi come soggetto capace, se lo vuole, di precostituire le condizioni per l'azione degli altri soggetti: le connessioni che instaura con i processi decisionali della sfera pubblica e degli attori privati; la sua capacit di porsi come attore forte delle dinamiche di coesione sociale. Per questo sono stati intervistati. 85 intermediari bancari, 9 intermediari finanziari, 7 assicurazioni, 5 Fondazioni, 11 rappresentanze del lavoro del sistema bancario e 13 esperti, territorialmente localizzati soprattutto in Piemonte, in Lombardia, nel Triveneto e in Emilia, con alcune verifiche effettuate in Liguria, in Toscana, nelle Marche, in Umbria e a Roma, ove sono insediate alcune funzioni strategiche di rappresentanza del sistema bancario. Inoltre, il 3 luglio 1997, nella sede del Credito Agrario Bresciano, si tenuta la Convention "// sistema bancario nel Nord del Paese: territorio e impresa" in cui sono stati illustrati i primi risultati dell'indagine e sono stati discussi con gli operatori del settore del credito, con il mondo imprenditoriale, con le forze sociali e gli amministratori locali i problemi che attengono al complesso rapporto che il sistema bancario e finanziario instaura con il territorio e il tessuto produttivo locale. Il testo qui pubblicato il rapporto finale della ricerca che tiene conto sia delle 130 interviste realizzate che di quanto emerso nel corso del dibattito alla Convention di Brescia. Emerge un racconto basato su due nodi critici: il rapporto tra il sistema bancario e il sistema delle imprese, e il rapporto tra la banca e il territorio. Da questi nodi discendono alcune riflessioni sul ruolo che devono avere le Fondazioni bancarie, sia rispetto allo sviluppo locale che ai sistemi territoriali e un ulteriore punto che rimanda alla dimensione del come si lavora e di come si sta ristrutturando il lavoro all'interno del sistema bancario. 6

Il coordinamento delle diverse attivit del CNEL sul territorio affidato ad una apposita Giunta presieduta dal Vice Presidente del CNEL, Silvano VERONESE e composta dai Consiglieri Luigi COCILOVO, Andrea GIANFAGNA, Pietro GNISCI, Cesare SACCHI, Ivano SPALANZANI e Aldo TARTAGLINI. Il lavoro di ricerca sul sistema bancario stato coordinato dal Vice Presidente del CNEL Giuseppe CAPO.
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Il Rapporto di ricerca stato realizzato dal Consorzio AASTER di Milano, con un apposito Gruppo di lavoro diretto da Aldo BONOMI, la cui composizione viene riportata in allegato.
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// volume stato curato dalla segreteria tecnica dell' Ufficio di Presidenza del CNEL.

Capitolo Primo FARE BANCA E IMPRESA NEL CAPITALISMO COALIZIONALE

Nel lavoro di inchiesta si cercato di individuare come il rapporto di simbiosi e di empatia tra il fare banca e fare impresa e tra la banca e il territorio sia sottoposto, nell'attuale transizione a discontinuit e a rotture e diviene un rapporto difficile. Questo processo va a nostro parere inserito nella tendenza attuale, che fa emergere il capitalismo coalizionale. La cultura e la pratica del fare coalizione appare oggi come la tendenza obbligata in una fase di accelerazione della globalizzazione dei mercati e della competizione economica. Fare coalizione costituisce una necessaria modalit di risposta alle sfide dell'integrazione dei mercati, alla contestualit delle strategie competitive, alla complessit dei rapporti di clientela, al prorompente tasso di innovazione delle nuove tecnologie dell'informazione, ai nuovi modi di lavorare comunicando e fare impresa cooperando e confliggendo tra sistemi di imprese e di territorio. Oggi, non ci troviamo pi di fronte ad una competizione giocata tra singole imprese, ma tra "sistemi a rete" organizzati in forma variabile e flessibile. La competizione globale si "territorializza," giocandosi sempre pi tra sistemi territoriali locali - citt, distretti, regioni - cio, tra imprese e territori locali organizzati a rete, capaci di interconnettersi e di stare nelle "reti lunghe" della logistica, della distribuzione, dei saperi, della ricerca, del trading, e della finanza internazionale. In questi ultimi anni, l'onda dello sviluppo che ha impetuosamente investito molte aree territoriali del Nord d'Italia ha avuto il pregio di valorizzare la flessibilit, la creativit e l'adattabilit delle piccole e medie imprese nel contesto della conquista di mercati mondiali. Ma, d'ora 11

in poi appare sempre pi necessario ragionare sul fatto che "piccolo bello" solo se entra in rete. Occorre passare dal policentrismo vitalistico che ha consentito la crescita rapida, ad un policentrismo organizzato, messo in rete, con adeguate sinergie tra impresa e impresa di una stessa filiera tecnologica, tra campanile e campanile di uno stesso bacino produttivo, tra distretto e distretto, con una nuova programmazione nell'uso delle risorse e un nuovo rapporto pubblico-privato. La nuova condizione della competizione diventa, infatti, la diversa capacit dei sistemi territoriali locali di combinare e organizzare le opportunit economiche, le risorse e gli attori per acquisire un posizionamento pi vantaggioso nei processi di accumulazione e di riorganizzazione territoriale che si dispiegano su scala sovranazionale. L'internazionalizzazione di alcune imprese prima e la globalizzazione di interi settori di attivit economica poi, hanno reso inarrestabile l'integrazione dei mercati anche nei settori tradizionali, dove la domanda locale presenta peculiarit e barriere naturali, e reso strategicamente necessarie le privatizzazioni delle imprese protette da monopoli legislativi. L'integrazione dei mercati geografici, gi ampia, tende inoltre ad essere accentuata dalle nuove opportunit offerte dal commercio elettronico. La coalizione fra imprese e settori una volta distinti e di paesi una volta separati, alla ricerca di reciproche sinergie e mercati di sbocco comuni, diventa una indispensabile modalit competitiva per accelerare la penetrazione di mercato con nuovi prodotti e servizi e per controllare le "nuove vie" di comunicazione e di commercio telematico. Le strategie di diversificazione hanno fallito i loro obiettivi, come apparso con chiarezza durante la fase recessiva, salvo la possibilit di offrire, ove le attivit diversificate fossero state ben gestite o posizionate in segmenti attrattivi, le riserve patrimoniali per gli investimenti destinanti al ricentraggio nel core business o allo sviluppo delle core competences. La coalizione tra imprese consente di conservare ci che la singola impresa diversificata costretta a perdere in termini di portafoglio di attivit "cicliche" e "anticicliche", pur con le cautele con le quali questi concetti possono ancora essere usati, come dimostra la difficolt competitiva delle marche rispetto all'offensiva dei prodotti di marca commerciale o offerti dagli hard discount. 12

Le nuove forme organizzative piatte e leggere che si diffondono, rispondono al nuovo contesto di specializzazione flessibile che si impone. La stessa dimensione media delle imprese si adatta alla dimensione dei mercati geografici serviti, sulla base della specializzazione e della integrazione verticale od orizzontale di business fortemente collegati. Talora, la dimensione media si riduce, in altri casi produce pi forti fenomeni di acquisizioni e di fusioni mai registrati, come nella nascente industria dell'infotainment. Comunque, si afferma un quadro mutante di coalizioni multiappartenenti che consentono un gioco strategico aperto su molti piani. E' cambiato il ruolo delle tecnologie dell'informazione. Le nuove tecnologie sono anche diverse perch "abilitano" l'innovazione di prodotto e il ridisegno di processi, di strutture e meccanismi organizzativi, imponendo nuovi rapporti tra il top management e i responsabili funzionali e rendendo possibili nuove forme di lavoro collaborativo una volta impensabili. Le coalizioni complementari in una logica di business, che richiedono forti legami di partenariato, sono rese pi efficaci dalle tecnologie abilitanti che riconfigurano gli assetti organizzativi e di gestione delle imprese. Nel territorio settentrionale, la necessit di fare coalizione, di fare tessuto, di costruire reti per competere nell'economia globale accompagnata dalla crescita di una tipologia di attori locali che possiedono competenze, relazioni e capacit per interconnettere il locale con il globale, per stare nelle "reti lunghe" della logistica, della distribuzione, del trading internazionale, della ricerca applicativa, della finanza, etc. Nelle pagine seguenti analizziamo brevemente alcune delle principali forme di capitalismo coalizionale esistenti oggi al Nord: la coalizione di finanza tra grande impresa e grande finanza; la coalizione di filiera; la poliarchia o coalizione di pi attori su base territoriale.

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LA COALIZIONE DI FINANZA

Una possibile risposta alla spinta della competizione la formazione di coalizioni finanziarie che rappresentano una modalit di ripartizione del rischio fra pi attori. I capitali personali sono sufficienti nella fase iniziale di sviluppo dell'impresa, ove il controllo della stessa assoluto. Poi, il controllo, con l'avvento delle nuove generazioni, si trasforma in controllo familiare, anche attraverso la moltiplicazione di interposte persone giuridiche. La ulteriore crescita di solito avviene con l'ingresso di nuovi azionisti, le banche, mentre i fondatori riducono il proprio impegno finanziario, trasferendo al patrimonio familiare o ad altre iniziative il capital gain acquisito. La competizione internazionale per essere sostenuta richiede una congrua ripartizione del rischio dell'investimento che in altri capitalismi nazionali resa possibile da un forte mercato dei capitali che consente riallocazioni proprietarie e cessione di controlli di imprese, senza disperdere il capitale umano accumulato, ad un azionariato dominato da investitori istituzionali. Mancando in Italia un forte mercato dei capitali,4 sono emerse invece forme di capitalismo coalizionale di finanza che hanno dato origine a forme di
4. Questa assenza stata spiegata in tanti modi. C' chi la considera il risultato di "un sistema banco-centrico: alla banca quasi tutto affluisce e dalla banca quasi tutto defluisce" (Angelo Caloia); gli intermediari di capitali in Italia sono stati storicamente rappresentati dal sistema bancario e solo in seconda battuta da una piccola frangia di intermediari indipendenti: in questa situazione il sistema bancario ha incentivato il prestito in denaro piuttosto che lo sviluppo delle attivit finanziarie: // sistema finanziario italiano sempre slato bancocentrico, appoggiato sulle banche, le banche guadagnavano perch i lassi erano alti, essendo i tassi alti loro monopolizzavano i

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controllo formalizzato da patti di sindacato di gestione o semplicemente di voto. Una forma particolare di tale controllo quello a nocciolo finanziario quando istituzioni finanziarie specializzate diventano il fulcro dell'assetto proprietario o in forza del capitale o per deleghe ricevute. In tale situazione si vengono di fatto a trovare le banche che hanno convertito in azioni parte dei crediti inesigibili di gruppi in crisi.

flussi finanziari: a quel punto l non avevano neanche stimoli, guadagnavano molto facendo la loro attivit tradizionale di erogazione del credito (Jody Vender). C' chi la considera il risultato anche del profilo del risparmiatore italiano della sua cultura del risparmio: "si fatica ad assumere il rischio come variabile strutturale del mercato dei capitali" (Gianmario Roveraro). Infine, c' chi la considera come la conseguenza dell'altissima intermediazione pubblica e del "meccanismo diabolico e perverso" che per tanto tempo ha caratterizzato il rapporto banca-politica-cittadino: "Per tanti anni il primo grande problema per gli imprenditori italiani stato il costo del denaro e la disponibilit di capitale. Il denaro costato troppo soprattutto rispetto a quello che lo pagava un concorrente di altri paesi, quasi il doppio. Il capitale di rischio, in altri paesi lo si trovava perch i gruppi finanziari, se non le stesse banche, facevano convergere il risparmio verso l'impresa. In Italia, gran parte del capitale rischio non c'era perch era attirato da un'alta remunerazione dei titoli pubblici. ... Credo che tutto questo sia stato una conseguenza del meccanismo diabolico e perverso che contraddistingueva il rapporto banca-politica-cittadino. La banca era pubblica, di regola guidata da un boiardo nominato da un politico che aveva tutto l'interesse a far si che il boiardo gli mandasse i denari che aveva raccolto tra i risparmiatori per pagare gli interessi dei BOT attraverso i quali, alla fine, riusciva a remunerare i risparmiatori in modo corretto. Il risparmiatore, a sua volta, continuava a risparmiare perch non pagava i servizi pubblici come avrebbe dovuto, perch il politico per prendere i voti gli offriva questi servizi a condizioni estremamente vantaggiose. E' stato questo rapporto a tre, di naturale convergenza di interessi, quello che ha fatto si che "alla fine" il cittadino avesse il 10-12%, ma in certi momenti anche oltre il 15%, di interesse dai suoi risparmi, pur non pagando i servizi pubblici (treno, universit, etc.) quanto li avrebbe dovuti pagare. Chi dirigeva la banca dormiva fra due guanciali perch mandava tutti i quattrini a Roma, assolveva questa funzione, gli interessi erano quelli che erano, non li metteva in un'azienda e non si poneva l'interrogativo se li aveva investiti bene o male. ... Solo recentemente questo anello, tragicamente punitivo per le attivit produttive, stato spezzato, grazie alle politiche di rigore finanziario implementate per poter rispettare i parametri di Maastricht. Dobbiamo comunque ancora riuscire ad equilibrare il rapporto tra stato e cittadino, e quindi a destinare parte delle risorse agli investimenti produttivi, anzich colmare il deficit di gestione che lo stato deve affrontare per remunerare chi gli presta il denaro." Cfr. anche Marcello de Cecco e Giovanni Ferri, Le banche d'affari in Italia, Il Mulino, Bologna, 1996; Salvatore Bragantini, Capitalismo all'italiana. Come i furbi comandano con i soldi degli ingenui, Baldini & Castoldi, Milano, 1996; Fabrizio Barca, a cura di, Storia del capitalismo italiano dal dopoguerra ad oggi, Donzelli Editore, Roma, 1997.

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Pi coalizioni finanziarie, variamente interconnesse tra loro, danno vita a quello che Sergio Meacci chiama "capitalismo coalizionale di finanza" e che, nella realt del sistema economico italiano, si identificato fino ad oggi solo con il "sistema Mediobanca", il "sistema delle Grandi Famiglie" o la cosiddetta "Galassia del Nord".5 Ma, il rafforzamento attraverso alleanze azionarie, quantunque non possa impedire la dissoluzione di patti di sindacato resisi inutili di fronte ad insostenibili livelli di rischio, non pu essere valutato riduttivamente come una spinta al blocco di potere. Il capitalismo coalizionale di finanza, infatti, un fenomeno complesso in grado di fornire soluzioni per molteplici esigenze. Si tratta di: una modalit di ripartizione del rischio; una modalit di gestione del controllo di una impresa o di un sistema di imprese con il minimo impiego di capitale proprio; una modalit di gestione della diversificazione sia settoriale che geografico-territoriale; una modalit di acquisizione di un certo grado di protezione rispetto alla competizione, perch consente a chi ne fa parte di godere di appoggi politici ed istituzionali, oltre che economico-finanziari:
Il capitalismo coalizionale una modalit di ripartizione del rischio. Se io, con il 3% del capitale necessario controllo un'azienda del valore di 300 miliardi che sta in un gruppo all'ottavo livello, se quell'azienda dovesse andare male e dovesse fare un aumento di 100 miliardi di capitale, io con 3 miliardi continuo a mantenere il controllo. Se poi, per avventura questa azienda di ottavo livello fosse una assicurazione, e questa avesse il 2% del capitale di una mia sub-holding importante, evidente che ho il 2% dei voti in pi, se sono nel consiglio di amministrazione di questa sub-holding importante.

5. Su Mediobanca, "Galassia del Nord" ed Enrico Cuccia esiste ormai una sterminata letteratura di tipo giornalistica. Tra le opere migliori e pi complete si segnalano: Stefano Cingolani, Le grandi famiglie del capitalismo italiano, Laterza, Roma-Bari, 1990; Napoleone Colajanni, Il capitalismo senza capitale, la storia di Mediobanca, Sperling & Kupfer, Milano, 1991; Giancarlo Galli, Il padrone dei padroni. Enrico Cuccia, il potere di Mediobanca e il capitalismo italiano, Garzanti, Milano 1996; Fabio Tamburini, Un siciliano a Milano, Longanesi, Milano, 1992.

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Dunque il capitalismo coalizionale il modo di gestire il controllo con il minimo di capitale, per avere il massimo di beneficio qualora, grazie a quel controllo, ho pi voti, controllo pi capitale azionario, senza una esposizione diretta dell'azienda su cui faccio il massimo di profitto. E' anche possibile perch posso vendere e comprare in condizioni di tempo avverso. E' quello che si indica con il termine di diversificazione ben gestita. Solo pochi se lo possono permettere, perch la maggior parte delle diversificazioni sono mal gestite e i fallimenti, le crisi recenti sono tutte di aziende che hanno pensato di proteggersi con la diversificazione, ma che, essendo mal gestite, si sono invece rovinate. Bisogna avere forze manageriali e capitali. Pochi riescono a diversificare con successo. La maggior parte deve vivere nella nicchia focalizzata (Sergio Meacci).

La coalizione di finanza pu consolidare gruppi di imprese e nuove famiglie di imprenditori, ma quando la leva azionaria diventa troppo lunga e la competizione innovativa in singoli anelli della catena, diventa troppo forte il rischio che un anello si rompa e che, di conseguenza, l'intera catena si spezzi. Garantire il controllo con il minimo di capitale necessario conferisce l'illusione di poter accelerare il processo di accumulazione, ma se il fabbisogno di capitale diventa rilevante in aggiunta a perdite cumulate, la riallocazione della priorit e del controllo diventano forzosi e la coalizione finanziaria che aveva accompagnato la costruzione del gruppo piramidale si dissolve per fare posto ad altre, a condizione che il radicamento di mercato sia frutto di forti specializzazioni che rispondono ai bisogni della clientela e che sia elevato il livello di fidelizzazione raggiunto. Esaminando il sistema delle imprese che si confronta con la pratica del capitalismo coalizionale di finanza, appare una piramide tronca al cui vertice, dopo la crisi dei gruppi Ferruzzi-Montedison e De Benedetti-Olivetti, vi ormai un solo grande gruppo - Agnelli-Ifi - che controlla la sola grande impresa italiana mondializzata: la Fiat, con le sue strategie di produzione della world car e con la sua coalizione tra grandi imprese e grande finanza, il sistema Mediobanca, per ci che riguarda il sistema bancario e finanziario nazionale e la Lazard e la Deutsche Bank per ci che riguarda le strategie di internazionalizzazione.6
6. La struttura dell'industria italiana profondamente diversa da quella di altri Paesi a capitalismo avanzato, perch l'unica che non ha (o non ha pi) imprese di grandi dimensioni. La prima impresa italiana nella classifica mondiale della rivista americana Fortune la Fiat, che occupa il 32 posto, e tra le prime 500 se ne trovano solo altre tre italiane (Iri, Eni, Compart), se ci limitiamo a quelle industriali. La Svizzera ne schiera 5, l'Inghilterra 16, la Francia 20, la Germania 27, per non parlare degli USA e del Giappone (Cfr. Carlo Mario Guerci, Piccole imprese frenate nella crescita, Il Sole 24 Ore, 7 gennaio 1998, pag. 5).

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Secondo Meacci, la maggioranza dei competitori, che non vive di relazioni coalizionali finanziarie, oggi sempre pi spinta dal dinamismo e dal livello della competizione a dover cercare di formare, o quantomeno ad entrare a far parte di coalizioni: La maggioranza dei competitori di questa terra, indubbiamente vede l'evoluzione in corso come un'evoluzione in cui le maglie in qual che modo si stringono. Uso termini non miei: la societ diventa pi densa e chi si trova in competizione si pone la domanda: continuo nella mia nicchia indipendentemente da o cerco anche io qualche relazione, qualche aggancio, qualche sponda, in quale coalizione mi infilo? Faccio parte anche io di una rete coalizionale? In fondo si protetti. Questo mi sembra un aspetto. Oppure, come poteva essere 10 anni fa quando questo problema non si poneva, vado tranquillo. Oggi, secondo me, ci sono delle domande in pi, a seguito di una necessaria e inevitabile diffusione del meccanismo di un capitalismo coalizionale, che ha delle ragioni anche di stabilit. ... Il capitalismo coalizionale rappresenta un profilo di rischio pi equilibrato per chi dentro. Fare parte di un sistema di capitalismo coalizionale di finanza, secondo Meacci, ha anche dei risvolti importanti sul piano della competizione, perch consente a chi "nel giro" di godere di appoggi politici, oltre che economico-finanziari: L'impresa, che fa parte di questo tipo di capitalismo, normalmente una impresa che compete sui mercati internazionali, grazie in questo caso anche a degli appoggi politici. Quando si presenta all'ambasciata in un certo paese, mi diceva un funzionario dell'Ice: "viene da me questo signore dei cammei e pretende anche che io gli organizzi degli incontri, ma cosa vuole da me? Io tratto altre cose, non cammei!" Il poveretto invece vende cammei, e quindi bussa invano, perch non nessuno. Cos capita anche alle imprese del Nord: se non nessuno bussa invano. Secondo Meacci, rispetto alle sfide della competizione internazionale, importante affermare il valore della coalizione, ma non solo di una coalizione a rete pi lunga, anche quella di una coalizione a rete a maglia pi larga che favorisca la diffusione dei saperi contigui in una filiera industriale, facendo entrare altri soggetti portatori di saperi complementari: Se siamo costretti a stare in nicchia a volte pu anche essere perch mercati pi grandi non sono consentiti perch sono gi occupati da qualcuno che non se ne vuole andare, nonostante sia poco innovativo o poco efficiente. Quindi, spesso si

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pone un problema di "occupazione politica" di un territorio come condizione preliminare per poter fare un gioco chenon sia di nicchia. Questo mi sembra un aspetto che non pu essere sottovalutato, altrimenti facciamo un ragionamento che pu avere delle valenze positive, ma che pu essere riduttivo nei confronti anche di alcune ansie e di alcuni atteggiamenti di resistenza e di acredine che possono esistere, e ci sono. Occorre tener presente che ci sono anche delle coalizioni che non sono positive. Non sono positive, per esempio, le gare preassegnate. Non sono positive le coalizioni formate dai gruppi piramidali con una forte leva azionaria. Non sono coalizioni positive i Kombinat bancari-imprenditoriali tedeschi. Secondo me non sono coalizioni positive quelle coalizioni come i cartelli che hanno come solo scopo quello di conservare un potere di mercato e di proteggere dei mercati, e nelle quali l'imprenditore innovativo non pu entrare ed quindi costretto a fare nicchia. Vi sono poi delle coalizioni che sono indispensabili: quelle improntate su un rapporto di partnernariato strategico tra banca di riferimento e impresa; quelle tra imprese e gli enti locali; quelle che consentono di costruire le cerniere di transito; quelle che consentono di mettere assieme dei saperi e dei know-how. Serve, a mio parere, riconsiderare alcune regole, e quindi bisogna certamente dire no a quelle regole che restringono, ma s a tutte quelle regole che favoriscono l'allargamento delle maglie. Perch le maglie, in questo periodo, si stanno restringendo, piuttosto che allargando. C' s coalizione, ma la coalizione che non vorremmo, cio c' la coalizione di chi stringe le maglie. Quindi, servono nuove regole che aprano i mercati, servono legislazioni sulla trasparenza e sull'antitrust. Oggi, si parla di un possibile ridimensionamento del ruolo di Mediobanca e le poche Grandi Famiglie e grandi imprese che sono rimaste intorno ad essa sono diventate delle holdings multinazionali in grado ormai anche di rivolgersi ad intermediari bancari internazionali: Ho imparato molto da Mediobanca e ne ho ammirato la seriet e la capacit. Mediobanca nacque come istituto a medio termine delle tre BIN. Disprezzava TIRI (che era il suo padrone) in quanto simbolo dello statalismo romano: ma, godette di un lucroso monopolio nel collocamento delle obbligazioni dell'IRI e dello Stato. Fu il patrono autorevole del grande capitalismo familiare, da Firenze in su. Al monopolio sul collocamento delle" obbligazioni aggiunse in tempi successivi un quasi monopolio nei collocamenti azionari. E gest questa posizione monopolista con spregiudicata durezza, premiando gli amici e punendo chi non collaborava. La sua fu una funzione di banca d'affari al servizio sostanzialmente del grande capitalismo familiare. Ad operazioni brillanti, se ne alternarono altre guidate da una visione puramente finanziaria (e non industriale), ad altre ancora che solo il nostro imperfetto ordinamento poteva tollerare. Oggi, Mediobanca al centro del sistema finanziario settentrionale, possedendo pacchetti azionari significativi delle stesse imprese che da qualche anno sono diventate i suoi azionisti di riferimento; avendo acquisito il controllo anche formale di Comit e, in parte, di Credrt-fche prima erano i suoi padroni); conservando

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il controllo sostanziale delle Generali. Non credo, peraltro, che il ruolo futuro di Mediobanca potr pi essere quello di un tempo. E ci sia perch cambiano le persone e le situazioni, sia perch il sistema delle grandi imprese al quale Mediobanca ancora pi di prima integrata, ha ormai una redditivit modesta vuoi nei confronti delle similari e concorrenti imprese, sia perch ci sono ormai sul mercato altre strutture italiane ed estere che si confrontano sullo stesso terreno, sia, infine, perch i nostri ordinamenti vanno europeizzandosi. Mediobanca resta comunque una grande realt che sar probabilmente protagonista di capitoli importanti della ristrutturazione del sistema bancario ed assicurativo italiano, ma non mi sembra abbia giocato (n possa giocare) un ruolo di rilievo nell'assistere quella mirade di piccole imprese locali che hanno avuto successo, sono diventate medie o grosse, e soprattutto vogliono e debbono andare in giro per il mondo. In altre parole, una istituzione per pochi intimi e non per il mercato (Giorgio Cigliana). Il quasi-monopolio di Mediobanca nell'investment banking stato aggredito negli ultimi anni dalle grandi banche d'affari anglosassoni.7 Ma, tuttora continua a rimanere scoperto tutto il mondo sconfinato di piccole e medie imprese che si deve confrontare con un sistema bancario che purtroppo molto spesso non ha delle competenze specifiche nel merchant banking, nell'accompagnamento finanziario e nell'internazionalizzazione.

7. Un'indagine conoscitiva dell'Antitrust sui servizi di finanza aziendale avviata nel luglio 1995 ha recentemente concluso che Mediobanca esercita una posizione dominante.

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LA COALIZIONE DI FILIERA

Vi sono imprese, invece, che privilegiano come strategia per competere, un crescente grado di focalizzazione nel core business e la parallela individuazione di nicchie nel mercato mondiale, abbastanza grandi per consentire il profittevole ritorno degli investimenti e l'ottimizzazione nell'utilizzo delle risorse produttive e finanziarie, ma abbastanza piccole per non essere costrette ad una produzione mondiale. La coalizione fra le imprese di una medesima filiera consente di conservare un'ampiezza di raggio d'azione e una presenza estesa che la focalizzazione aziendale, invece, tende a comprimere. In questo caso, la coalizione tra medie imprese, e tra medie imprese e piccole imprese, e medie imprese e banche, banche regionali o locali, permette di controllare i mercati geografici, serviti sulla base della specializzazione e dell'integrazione verticale o orizzontale di prodotti fortemente correlati. Le coalizioni di filiera costituiscono un chiaro esempio di percorsi di rafforzamento dei saperi che si diffondono e fortificano tutti gli appartenenti alla filiera, da quelli che ne hanno costituito il cuore storico ai nuovi entranti che beneficiano della massa critica gi raggiunta e concorrono a mantenere elevato il tasso di innovazione. Eventuali crisi di alcuni soggetti pi facilmente vengono assorbite da altri appartenenti alla stessa coalizione e l'intero processo di riallocazione proprietaria ne beneficia. Il sapere si consolida e l'influenza intellettuale internazionale si accentua. I settori portanti delle esportazioni italiane sono la prova di quanto possa essere vitale anche l'attivit spesso troppo frettolosamente 21

dichiarata tradizionale, e profondamente errato l'obbligato sinonimo di debolezza che le viene attribuito. Le coalizioni di filiera sono anche quelle dove pi equilibrato il partenariato di fatto fra medie imprese leader e i loro fornitori costituiti da piccole imprese e da imprese artigiane. E' soprattutto la media impresa innovativa che tende ad assumersi l'impegno e ad avere la capacit di realizzare un rapporto di partenariato e di integrazione con il proprio indotto, superando cos il rapporto di mera contrattazione sul prezzo, tipico del rapporto committente-subfornitore. L'aspirazione quella di "far crescere" altre imprese aiutandole sempre pi a qualificarsi e a strutturarsi. L'impresa subfornitrice deve assolutamente rispettare il prezzo stabilito per essere competitiva, ma la sua capacit fondamentale altro non se non l'abilit e la capacit di riuscire a stabilire con l'impresa committente una pi complessa forma di collaborazione che implica anche la necessit di assumersi la responsabilit nella progettazione e nel design congiunto dei prodotti. Allo stesso tempo, per, occorre segnalare come il processo di esternalizzazione della produzione e dei servizi pu assumere spesso anche una caratterizzazione negativa, soprattutto quando l'interesse di chi esternalizza finalizzato alla ricerca di un abbattimento dei propri costi, spostandoli all'esterno, invece di una sinergia per migliorare la qualit del prodotto e del processo. In questo contesto, il processo di esternalizzazione, oltre a favorire una diffusione di imprenditorialit regolare, sta facendo crescere anche il fenomeno dell'abusivismo imprenditoriale e tende a favorire l'instaurazione di un rapporto di "sfruttamento" tra artigianato, piccola impresa e medio-grande industria operanti all'interno della stessa filiera produttiva. Risulta spesso molto difficile per gli artigiani e le piccole imprese distinguere fra una collaborazione sincera e un tentativo disperato di scaricare i costi. Vi , quindi, una tensione, un potenziale forte di conflittualit che spesso inibisce la formazione di coalizioni stabili fra. diversi attori imprenditoriali di una stessa filiera. Proprio per cercare di superare questi aspetti negativi, la Federtessile studia il certificato di qualit di filiera, facendo leva sull'integrit della "catena" italiana, unica al mondo nonostante il crescente ricorso alle delocalizzazioni delle produzioni pi semplici in Paesi a basso co22

sto della manodopera.8 L'obiettivo quello di certificare le procedure dei rapporti contrattuali di fornitura da un minimo di due "anelli" della catena ad un massimo di copertura totale, cio dalla fibra alla distribuzione. Si tratta di dare una vera e propria spinta al prodotto made in Italy - anche se in teoria non escluso l'ottenimento dell' imprimatur sulle lavorazioni oltreconfine controllate direttamente - che sta affrontando le difficili sfide della globalizzazione: il progressivo smantellamento dell'Accordo Multifibre, a pieno regime dal 2005, liberalizzer, infatti, completamente gli scambi commerciali del settore. Gi ora, alle prese con guerre commerciali al limite del paradosso (come stato per l'etichetta made in China imposta dagli Usa ai foulard di seta italiani se il tessuto grezzo proveniva dalla Repubblica Popolare, questione ora in via di risoluzione) e concorrenza sleale di chi produce a bassissimo costo senza, per, rispettare i diritti dei lavoratori e dell'ambiente. Spiega Paolo Barzaghi, presidente della Federtessile: Una certificazione che risponda ai criteri prescritti dalle norme Uni Eni Iso serie 9000 potrebbe fornire al sistema assoluta trasparenza e certezza sotto tre diversi profili: presenterebbe al consumatore l'intero programma del flusso produttivo da monte a valle, segnalando le aziende che ne fanno parte e che operano rispettando regole codificate; conferirebbe alle aziende maggiore forza di penetrazione nel mercato, in quanto consentirebbe di presentarsi come imprese verticalizzate quale somma di ragioni sociali distinte; e, infine, assicurerebbe alla filiera, e quindi al sistema Italia, una politica definita di investimenti mirati, sia in un'ottica culturale e sociale, sia come garanzia sui mercati nazionale ed internazionale. Un altro interessante esempio del processo di costruzione di una coalizione di filiera rappresentato dal fatto che durante la missione a Pechino organizzata dal Ministero del Commercio Estero e dall'Ice, battezzata "Italia in Cina" (25 novembre-2 dicembre 1997), il sistema moda italiano abbia debuttato a livello internazionale con un mega-evento promozionale nel quale stata presentata l'eccellenza della filiera

8. Ricordiamo che la filiera italiana del tessile-abbigliamento pu contare su 70 mila imprese con esportazioni per 44.705 miliardi nel '96 (+2,5%) e un surplus nell'interscambio di 27.475 (+8,3%), con una quota del 12% del valore aggiunto realizzato dall'industria manifatturiera nazionale. Cfr. Bottelli Paola, // tessile punta sulla qualit e vara la filiera certificata. Il Sole 24 Ore, 24 settembre 1997, pag. 16.

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nazionale del settore.9 Una filiera che nella Repubblica Popolare alla ricerca di alleanze, joint ventures, delocalizzazioni, sperando in una deregulation del complicato mercato locale, in attesa che Pechino aderisca la Wto. Cos sotto l'ombrello della Federtessile si sono presentate nella Repubblica Popolare le sei associazioni federate (Cotoniera-liniera, Laniera, Moda Industria, Nobilitazione, Serica, Tessilvari), l'Assofibre, la Camera nazionale della moda e gli otto enti fieristici specializzati (Efima, Emi, Filo, Ideabiella, Ideacomo, Pitti Immagine, Prato Trade e Sitex), oltre all'Associazione calzaturifici (Anci) con il Micam-Moda calzatura. Spiega Giuliano Coppini, vicepresidente Federtessile con delega alle promozioni: E' la prima volta in assoluto che riusciamo a presentarci tutti insieme ad un evento che, pur non avendo un obiettivo strettamente commerciale, ci consente di rappresentare tutti gli anelli della catena nei quali siamo specialisti.

9. Cfr. Bottelli Paola, E la "filiera" bussa a Pechino a caccia di alleali e joint venture, Il Sole 24 Ore, 19 novembre 1997, pag. 13.

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LA POLIARCHIA

Simultaneit e tempestivit nell'essere concorrenziali sul costo di un prodotto e nello stesso tempo in grado di differenziare costantemente il prodotto sono il mutamento di un'economia che si basava, per vincere, su una sola di queste variabili: o il costo del prodotto o il nuovo prodotto. Oggi, nella mondializzazione, nel capitalismo coalizionale, entrambi i fattori sono contestuali e pregnanti. Da qui, l'urgenza di una ulteriore strategia coalizionale, quella che realizza una poliarchia, un gioco di squadra tra tutte le risorse di cui un territorio dispone, tra le imprese e i luoghi di produzione della finanza, della finanza locale, delle infrastrutture, degli enti locali, delle rappresentanze degli interessi, dei saperi, delle universit e dei centri di ricerca. In particolare, la coalizione dei saperi fra imprese, universit, centri di ricerca diventata una condizione per consentire simultaneit e tempestivit al gioco di squadra che non riguarda il solo team aziendale, ma si estende ai molti attori della coalizione. Questo tipo di processo delinea la nascita di coalizioni non solo fra imprese, ma anche di coalizioni territoriali, tra sistemi territoriali per competere. In questo scenario, si rivelano deboli ed entrano in crisi le coalizioni di distretto, cio le forme pi note che hanno innervato il sistema produttivo, soprattutto nel Nord del Paese. Queste forme di coalizione, tra piccole e medie imprese possono declinare di importanza e propulsione di fronte a una competizione globale, dove nuovi soggetti presentano vantaggi di costo del lavoro esponenzialmente favorevoli e progressivi innalzamenti dei livelli qualitativi della loro offerta. Pi che
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privilegiare il localismo come risorsa competitiva, occorre una visione non localistica del distretto, che sappia farlo diventare un solido anello nella filiera pi ampia che, attraverso coalizioni di territorio, coalizioni finanziarie, realizzi una catena di "reti lunghe". Il capitalismo coalizionale rappresenta una fase inevitabile di crescita alla fine di un lungo ciclo economico, mentre un nuovo comincia a manifestarsi, ove sempre pi coalizioni tra territori e imprese, tra imprese e banche, sono indispensabili per fronteggiare una competizione di intensit senza precedenti nella storia. Se il sistema delle imprese appare come una piramide tronca al cui vertice c' praticamente la sola Fiat, lo spazio intermedio attualmente occupato da medie imprese consolidate ed organizzate in rete10, con un fatturato tra i 200 e i 3.000 miliardi di lire, tradizionalmente l'anello debole del sistema imprenditoriale italiano stretto tra le logiche dei grandi gruppi pubblici e privati e del "piccolo bello". E' nel contesto dell'affermazione della specializzazione flessibile come nuovo paradigma organizzativo del processo produttivo che queste medie imprese sono diventate ormai degli attori forti su cui puntare." Sotto la spinta della competizione, le medie imprese dimostrano grandi capacit nella ricerca continua di flessibilit e di specializzazione produttiva, con l'imperativo di

10. E' tuttora aperta la discussione sulla fissazione dei parametri che definiscono la media impresa. Secondo l'Unione Europea, la media impresa quella con una occupazione compresa tra 50 e 250 addetti, un fatturato da 7 a 40 milioni di ecu (cio, un massimo di neppure 80 miliardi di lire) e un patrimonio netto di 27 milioni di ecu (52 miliardi di lire). Questa sembra essere una dimensione che appartiene, in genere, ancora alla piccola impresa che, invece, secondo la UE, quella davvero minuscola (meno di 50 addetti e 7 milioni di ecu di fatturato). Secondo Eurostat, "media" l'azienda che occupa da 100 a 500 addetti e in Italia sono 6.865, danno lavoro a oltre 1.3 milioni di persone e hanno fatturato l'anno scorso pi di 550.000 miliardi di lire. Quasi tutti gli studiosi di problemi industriali ritengono inadeguato anche questo parametro. Per il Primo Rapporto noi abbiamo considerato come criterio di base per definire la "media" impresa una classe di fatturato che va dai 200 ai 3.000 miliardi riferito ad una impresa che riuscita a costruire una struttura organizzativa completa, che ha conquistato una quota rappresentativa del proprio mercato di riferimento, che ha messo in atto autonomi processi di innovazione. 11. Lo sviluppo industriale decentrato un fenomeno relativamente recente che ha interessato le regioni del Nord e del Centro Italia negli ultimi decenni, a partire dagli anni '60 e '70, basato su alcuni aspetti strutturali ed evolutivi comuni alle varie aree:

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ridurre il time-to-market e di rispondere con modalit puntuali e diversificate allerichiestee alle segmentazioni dei mercati. Sono degli attori che competono nella mondializzazione, aggrediscono e difendono segmenti e nicchie di mercato, pi che porsi il problema di essere prime nella gara per la worid production, ma che, al tempo stesso, sono in grado di fare filiera lunga di territorio, soprattutto nelle aree pi vitali e dinamiche del Nord-Est.

un reticolo di citt medie e piccole con forti tradizioni amministrative locali e radicate attivit commerciali, artigianali e professionali; la prevalenza di un'agricoltura formata da piccole aziende familiari a conduzione diretta, mezzadrile e affittuaria; uno spontaneo e graduale passaggio dall'attivit agrcola a quella industriale nel momento in cui i progressi nei mezzi di trasporto e di comunicazione consentono di agganciare l'economia locale all'espansione della domanda estera ed interna, e da quanto risulta conveniente adottare strutture aziendali flessibili per evitare gli oneri e le conflittualit collegati alle grandi dimensioni; la formazione delle tipologie sociali ed economiche dei distretti industriali di tipo marshalliano nei quali la scomponibilit dei processi produttivi in fasi pi semplici ha permesso un alto grado di flessibilit globale, capacit innovativa, circolazione e diffusione di informazioni e di risorse. Cfr. Anastasia B e G. Coro, I distretti industriali in Veneto, Portogruaro, Ediciclo, 1993; Anastasia B e G. Coro, Evoluzione di un'economia regionale; Il Nordest dopo il successo, Portogruaro, Ediciclo, 1996; Antonelli C, R. Cappellin, G. Garofoli e R. Jannaccone Pazzi, Le politiche di sviluppo locale; Nuove imprese, innovazioni e servizi alla produzione per uno sviluppo endogeno, Milano Angeli, 1988; Bagnasco A., La costruzione sociale del mercato, Bologna, Il Mulino, 1989; Bamford J., The development of small firms, the traditional family and agrarian patterns in Italy, in R. Gaffee e R. Scase a cura di, Enterpreneurship in Europe, London, Croom Helm, 1987, pp. 12-24; Becattini G., a cura di, Mercato e forze locali: il distretto industriale, Bologna, Il Mulino, 1987; Becattini G., a cura di, Modelli locali di sviluppo, Bologna, Il Mulino, 1989; Blim M., Made in Italy; Small-scale industriaiization and its consequences, New York, Praeger, 1990; Brusco S., Piccole imprese e distretti industriali, Torino, Rosenberg & Sellier, 1989; Brusco S. e S. Paba, Per una storia dei distretti industriali italiani dal secondo dopoguerra agli anni novanta, in F. Barca, a cura di, Storia del capitalismo italiano dal dopoguerra ad oggi, Milano, Donzelli, 1997, pp. 265-333; Fu G. e C. Zacchia, a cura di, Industrializzazione senza fratture, Bologna, Il Mulino, 1983; Nuti F., I distretti dell'industria manifatturiera in Italia, Milano, Angeli, 1992; Piore M.J. e C.F. Sabel, Le due vie dello sviluppo industriale: produzione di massa e produzione flessibile, Torino, Isedi, 1987; Pyke F., G. Becattini e W. Sengenberger, a cura di, Distretti industriali e cooperazione fra imprese in Italia, Firenze, Banca Toscana, 1991; Rullani E., Divisione del lavoro e reti di impresa: il governo della complessit, in F. Belussi, a cura di, Nuovi modelli d'impresa, gerarchie organizzative e imprese a rete, Milano, Angeli, 1992; Saba A., Il modello italiano; Distretti industriali e specializzazione flessibile, Milano, Angeli, 1995.

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Con il mercato interno che non sembra pi garantire il raggiungimento di volumi minimi sufficienti a sostenere gli investimenti necessari per realizzare un significativo sviluppo e un accettabile ritorno, la media impresa dimostra una grande capacit di competere su mercati di nicchia, ma mondiali, anche attraverso l'internazionalizzazione e la delocalizzazione produttiva.12 Essa si trasforma in una "multinazionale tascabile" con presidi locali, in un attore in grado, cio, di stringere accordi produttivi o tecnologici con aziende di altri paesi, o di impiantare nuove attivit per proprio conto sulla base dei vantaggi comparati offerti dai vari paesi e regioni del mercato globale. La media impresa opera sulla base di una specializzazione produttiva di nicchia sempre pi precisa e focalizzata. Complessivamente, per, le nicchie disponibili sono tante e le posizioni acquisite da molte medie imprese sono di assoluta leadership mondiale o regionale. Stiamo attraversando la fase di un "capitalismo difficile",13 con strategie da "multinazionali tascabili", che sfruttano tutte le opportunit, dalla svalutazione competitiva alla delocalizzazione produttiva, sino a fare capitalismo coalizionale per acquisire altre imprese per la ricerca e l'innovazione. In questo agire prevale una filosofia: pi che vincere nella competizione importante consolidarsi per sopravvivere. E' una strategia da "guerra corsara", efficace al punto da renderci invisi ai partners europei, come ha evidenziato la difficile trattativa per il rientro della lira nello SME.

12. Le imprese stanno passando in massa da quella che stata definita una logica esclusiva di export senza internazionalizzazione ad un modello di sviluppo basato su processi di delocalizzazione del ciclo produttivo. Il Traffico di Perfezionamento Passivo (dato dall'esportazione temporanea di prodotti che vengono sottoposti a lavorazione parziale all'estero per essere successivamente reimportati) in costante crescita, come pure aumentano \ejoinl veniures, le collaborazioni e gli investimenti diretti di imprese italiane attraverso partecipazioni spesso di maggioranza al capitale di imprese quasi sempre manifatturiere e operanti in settori produttivi tradizionali, che si caratterizzano per l'alta intensit di lavoro e che necessitano, quindi, di bassi costi di manodopera. L'imprenditore, quindi, ha sempre pi bisogno di aiuto nella definizione di strategie aziendali di prospettiva internazionale (dove investire? in Polonia o piuttosto in Ungheria? chi gestisce i fondi? per progetti internazionali? quali procedure vanno attivate?). 13. Cfr. Deaglio Mario, a cura di, Il capitalismo difficile; Le tendenze, le regole, le imprese; Primo rapporto sull'economia globale e l'Italia, Centro di Ricerca e Documentazione "Luigi Einaudi" e Vitale Borghesi & C, Torino-Milano, 1996.

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La forza di questo sistema sta in un capitalismo molecolare, dato dal rapporto tra le medie imprese consolidate con il tessuto molecolare, fatto di piccole imprese e pulviscolo artigiano. Attorno alle medie imprese, infatti, ruota il complesso ed articolato mondo della subfornitura delle piccole imprese e del lavoro artigiano funzionale e dell'esternalizzazione del ciclo della consulenza fatta di micro-imprese che producono saperi e servizi necessari a produrre per competere. Sul piano della organizzazione produttiva, la grande esternalizzazione e l'agire da fabbrica diffusa sul territorio significano che il prodotto finito viene sempre pi "costruito" da produttori (almeno formalmente) indipendenti che collaborano. Il modello organizzativo di decentramento produttivo, di outsourcing (ricorso a fornitori esterni), e di downsizing (di riduzione esasperata delle dimensioni produttive interne) viene applicato in tutti i settori produttivi, sia in quelli "maturi" che in quelli pi innovativi e dinamici. Per molte aziende leader, l'enfasi fondamentale si ormai spostata dall'attivit manifatturiera gestita in modo diretto alla ricerca, alVengineering, alla gestione della logistica dei flussi di materie prime, semilavorati, e merci finali prodotte da sub-fornitori specializzati, e al marketing finale dei prodotti. La pratica della esternalizzazione, non identificandosi pi la capacit produttiva con lo specifico campo di attivit di un'impresa, fa cadere i confini societari delle aziende e rende, attraverso il collegamento a rete con altre imprese, il modello espandibile senza vincoli predeterminati. L'impresa, infatti, a monte e a valle, pu operare con efficacia acquistando servizi produttivi e collaborando con le imprese contraenti. A seguito di questo processo di reticolarizzazione, l'impresa pu comporsi e decomporsi con facilit, mentre l'organizzazione che resta stabile, anche se evolve nel tempo, si sposta a livello super-imprenditoriale. A tale proposito, nel Primo Rapporto c' il racconto emblematico di Claudio Buziol che descrive la sua azienda di abbigliamento informale, la Fashion Box, come una vera e propria "azienda virtuale".14

14. CNEL, Competizione e leadership nella questione settentrionale, Laboratori Territoriali CNEL, Roma, 1996: 201-203.

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L'attuale morfologia produttiva del Nord appare sempre pi caratterizzata da un notevole grado di polverizzazione imprenditoriale. La media impresa, che quella largamente egemone, tende a non crescere in quantit, ma tende piuttosto a moltiplicarsi in flessibilit e nelle attivit produttive. Il capitalismo molecolare caratterizzato da un tessuto molto diffuso sul territorio e nella composizione sociale. Nel Nord vi sono 67,9 imprese per ogni 1.000 abitanti. La dimensione molecolare di 4,9 addetti per impresa. Di queste solo il 18,5% sono imprese manifatturiere e, sul totale di queste, il 13,7% sono imprese di servizi alle imprese.15 C' la tendenza, soprattutto presso le medie imprese, di tenere in produzione una frazione di dipendenti interni rispetto a quanti lavorano nell'indotto, mantenendo cos un alto grado di flessibilit, dato che in questo modo possono tenere bassi (o addirittura tagliare) i propri costi per i salari, gli stabilimenti, i beni strumentali, i magazzini e, al tempo stesso, consente loro di introdurre nuovi prodotti pi velocemente, a pi bassi costi e senza dover sacrificare le vendite nel caso in cui la domanda dovesse superare repentinamente l'offerta. Il risultato una grande diffusione delle subforniture ed un agire da fabbrica diffusa sul territorio, ove sono al lavoro una miriade di piccole imprese, di aziende artigiane e di lavoratori indipendenti. Nell'asse pedemontano che va dal Biellese fino a Pordenone, passando per il Bresciano, i confini tra lavoro dipendente, lavoro autonomo e piccole imprese sono ormai cos sottili da non essere quasi definibili. Basta pensare che in Veneto ci sono zone dove c' un'impresa ogni 10 abitanti, ovvero ogni 3 o 4 famiglie: una vera e propria "imprenditorialit di popolo." Si formata, insomma, una enorme classe media benestante di origine popolare, "una neo-borghesia industriale di massa", che rappresenta pi della met della societ settentrionale. Il sistema produttivo dell'Italia settentrionale si fonda, quindi, su costellazioni di piccole e medie imprese strategicamente e operativamenteflessibili, in gran parte propense all'innovazione e che in questi ultimi anni

15. Cfr. Aldo Bonomi, Il capitalismo molecolare; La societ al lavoro nel Nord Italia, Einaudi, Torino, 1997; Censis, Distretti industriali e questione settentrionale, VI Forum Nazionale dei Localismi, Roma, 11 luglio 1996; Censis, Distretti industriali e sviluppo economico locale, VII Forum Nazionale dei Localismi, Roma, 12 dicembre 1997.

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sono riuscite a cogliere con grande prontezza l'opportunit offerta loro dalla ripresa dell'economia internazionale e (tra il 1992 e il 1995) dalla svalutazione della lira, anche ridosando gli ingredienti che ne qualificavano e ne qualificano il vantaggio competitivo. Le piccole imprese sono entrate nel circuito della esportazione dei prodotti, mentre un gruppo sempre pi consistente di medie imprese ha intrapreso con coraggio ed entusiasmo la strada dell'internazionalizzazione produttiva e commerciale.16

16. Il Censis nel 31 rapporto sulla situazione sociale del Paese, 1997 (Fondazione CensisAngeli, Roma, 1997, pp. 32-33) sottolinea l'importanza e la consistenza che ormai hanno assunto i micro comportamenti imprenditoriali di intemalizzazione: Tra i soggetti economici si assistilo, in questi ultimi anni, ad un aumento considerevole delle partecipazioni di imprese italiane al capitale di imprese estere, che ha visto - soprattutto negli ultimi anni - un protagonismo del tutto nuovo delle imprese di piccole e piccolissime dimensioni. Dai dati [disponibili si vede] come le imprese di produzione di piccole dimensioni (meno di 100 addetti) si stiano affermando sui mercati esteri non solo attraverso rapporti commerciali, ma anche con accordi pi strutturati, come l'acquisto di quote di maggioranza in imprese industriali. ... Alla sfida lanciata dai processi di globalizzazione dunque le imprese italiane, anche di piccole dimensioni, non rispondono ripiegandosi su se stesse e chiudendosi in nicchie protette, ma reagiscono rivolgendosi con sempre maggiore frequenza ai mercati esteri, o per instaurare accordi produttivi o anche pi semplicemente per accedere a nuovi mercati di sbocco. Su questo ultimo fronte le piccole imprese stanno infatti consolidando una capacit di accesso ai mercati stranieri decisamente elevata; si vede infatti che le imprese con un fatturato inferiore ai 10 miliardi di lire - che rappresentano oltre la met delle imprese esportatrici - nei primi 5 mesi del 1997 hanno esportato circa il 15% del valore globale delle esportazioni, confermando la capacit di presenza nei mercati esteri gi dimostrata negli anni passati. Se si alza la soglia dimensionale delle imprese considerate (con un fatturato fino a 50 miliardi di lire) si arriva a comprendere circa l'85% delle imprese esportatrici, per un valore di export del 38,9% del totale. Dopo l'ingresso dell'Italia nello SME, che si temeva potesse rallentare l'export soprattutto della piccola impresa, si conferma la capacit del tessuto imprenditoriale di piccole dimensioni di accedere a mercati esteri. La presenza della piccola impresa italiana all'estero dunque si rafforza, non solamente per quanto riguarda l'export, ma per la sua capacit nuova di partecipazione a compagini societarie, nel passato "riservala" alla grande dimensione. Un ulteriore indicatore preso in considerazione costituito dalle "migrazioni temporanee", vale a dire i dipendenti che lavorano temporaneamente all'estero per conto di imprese italiane. La crescita di questo fenomeno, seppure ancora marginale, rappresenta un indicatore significativo di due fattori: da una parte l'aumento della presenza delle imprese italiane all'estero (coerentemente con quanto detto sopra) e dall'altra l'emersione di un fenomeno che ha forte influenza sia direttamente sui soggetti coinvolti che sulle loro famiglie sia in termini culturali che esperienziali.

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Ma, questo processo ha mutato le tradizionali forme di coalizioni elementari tra imprese in rete nei distretti industriali specializzati in determinatefiliereproduttive. Mentre le relazioni che vengono intrattenute dagli operatori a livello locale rimangono sempre importanti, altrettanto importanti stanno diventando anche le relazioni che si hanno con il resto del mondo per la finanza, la vendita o l'acquisizione dei semilavorati o dei servizi specialistici. Inoltre, i distretti hanno perso molta della loro omogeneit interna, acquisendo delle fisionomie molto pi sfaccettate. Infatti, se ordiniamo le imprese dei distretti industriali, o dei sistemi produttivi localizzati, si ottiene sempre una piramide, che ha in cima una o poche imprese guida, i cosiddetti "gruppi" (che spesso non sono ancora strutturati in vere e proprie holding finanziarie, ma sono controllati da un solo imprenditore e da una sola famiglia), che sono impegnate a costruire delle "reti lunghe," conquistando spesso posizioni di leadership nazionale o addirittura internazionale nel proprio segmento competitivo e avviando anche processi di internazionalizzazione produttiva. Al di sotto di questo ristretto nucleo di imprese capofila c' un numero pi elevato di aziende, che potrebbero essere denominate di seconda schiera, ma che comunque sono riuscite a ritagliarsi una fetta di mercato internazionale e sono, in potenza, esse stesse leader. Infine, appare il tessuto pulviscolare, ma necessario, della nebulosa artigiana e della microimpresa al lavoro nel ciclo della subfornitura. Nella fase attuale ciascun distretto industriale interessato da una progressiva apertura all'esterno e contemporaneamente da processi di selezione e differenziazione all'interno. Dentro ciascuno strato piramidale permane una feroce competizione orizzontale, tra pari grado, che seleziona le aziende facendole retrocedere o promuovendole di livello. Si fa selezione tra chi in grado di partecipare al produrre per competere e chi invece, posizionandosi solo in settori maturi e tradizionali ed avendo come unica risorsa competitiva il costo del lavoro esce dal ciclo di fronte a strategie di delocalizzazione produttiva. Gli assetti territoriali, politici ed istituzionali che si sono storicamente sviluppati e consolidati in collegamento con la forma organizzativa dei distretti industriali tengono ancora, ma non bastano pi. Le famiglie allargate, il saper fare tradizionale, la fiducia comunitaria e gli altri ingredienti della fase della prima crescita dei distretti ora da soli non bastano pi e c' bisogno, per reggere sui mercati, di buone comunicazioni, di banche efficienti, di burocrazia snella, di formazione diffusa, di ricerca di base.
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Capitolo

Secondo

BANCHE E IMPRESE

Appare centrale il capire come il sistema bancario si colloca con capacit di accompagnamento e di coalizione rispetto alla piramide tronca che, a nostro parere, fotografa il sistema delle imprese nella competizione: poche grandi imprese mondializzate, tante medie imprese consolidate e iperattive, le medie imprese di seconda schiera e il pulviscolo diffuso del lavoro artigiano e della piccola e piccolissima impresa. Emerge una domanda di reti finanziarie adeguate non solo per supportare lo sforzo di produrre localmente, ma anche la tendenza del produrre per competere globalmente. Da qui, una domanda di reti finanziarie adeguate alla competizione commerciale che ha come riferimento l'economia mondo. Si richiedono interventi volti alla creazione di impresa, gli interventi di capital develoment, gli interventi di accompagnamento sul mercato dei capitali e di ristrutturazione finanziaria per la crescita. Cresce la domanda di coalizione tra impresa e banca di riferimento e fra banche locali ed internazionali considerata come la leva potenzialmente pi importante per favorire la formazione di "reti lunghe" che possono essere il motore per una espansione su mercati pi ampi e geograficamente estesi. E' in questo contesto che la banca appare come uno degli attori sotto stress, nell'attuale cambiamento di sistema. Dalle interviste con i competitori, effettuate nell'ambito del primo rapporto CNEL sulla Questione Settentrionale, infatti, la banca emersa come il vero soggetto debole del sistema: non ha ancora fatto il salto culturale ed organizzativo necessario per poter essere in grado di ac35

compagnare con efficacia ed efficienza gli attori della competizione nel processo di internazionalizzazione. Il sistema bancario, ancora in gran parte formato da imprese pubbliche, cresciuto con un profilo di efficienza molto basso rispetto alla media europea e con un ambito di operativit territoriale che fino a pochissimi anni fa non era sottoposto ad una scarsa pressione concorrenziale. Per molti aspetti, infatti, il sistema bancario stato per tanti anni una sorta di oligopolio protetto al servizio di una conduzione centralizzata non solo della finanza, ma anche dell'intera economia nazionale.17 Il sistema era in gran parte chiuso ad o-

17. Il sistema bancario italiano, prima della riforma presente (Legge Amato 218/90 e Nuova Legge Bancaria 385/93) era regolato dalla legge bancaria del 1936, un provvedimento che traeva origine dai dissesti delle grandi banche in quegli anni e che stabiliva il principio della separatezza tra banca e industria. La banca doveva avere azionisti diversi dalle imprese industriali e viceversa. Il sistema bancario venne fortemente indirizzato sul piano amministrativo, secondo un'impostazione coerente con il dirigismo del regime fascista (ma che stato mantenuto anche nel periodo successivo), ma soprattutto, proprio per prevenire i rschi del passato, fu tutto frazionato in comparti diversi, divisi per competenze territoriali, per specializzazioni temporali, per tipo di impieghi, e cos via. Il risultato era un sistema bancario fortemente protetto sul piano territoriale. La concorrenza tra i diversi soggetti era quasi nulla e, comunque, veniva regolata per via amministrativa (ad esempio, c'era complesso iter per l'apertura di nuovi sportelli). Inoltre, attraverso la regolamentazione amministrativa venivano perseguiti anche obiettivi di politica economica sia a livello nazionale che locale. Da un lato, infatti, il sistema bancario stato utilizzato fino all'inizio degli anni '80 come cinghia di trasmissione degli impulsi di politica monetaria tramite la fissazione dei massimali sugli impieghi, le manovre sui tassi, gli obblighi a diversificare il portafoglio in determinati modi, etc. A livello locale, invece, il sistema bancario stato utilizzato come organizzazione che forniva posti di lavoro e che selezionava le imprese a cui poteva essere concesso il credito. Da notare che le grandi banche nazionali (Credit, Comit, etc.) sono state messe nelle condizioni di non avere un proprio radicamento sul territorio, ma sono state indotte a specializzarsi in attivit diverse (finanza, estero, etc). Questo quadro cominciato a cambiare nel 1977 con l'emanazione della Prima Direttiva CEE sul Credito che in Italia fu recepita nel 1985 (D.L. 385/85), ben otto anni dopo. Il secondo atto stata l'adesione al Sistema Monetario Europeo che significava non solo vincolarsi a degli accordi di cambio e, quindi, a dei comportamenti di politica economica, ma anche aderire ad una filosofia che avrebbe portato necessariamente ad una liberalizzazione del mercato dei capitali (anche se solo dieci anni dopo nel 1989). Il terzo atto del cambiamento stato il divorzio tra Tesoro e Banca d'Italia nel 1981. Fino ad allora la Banca d'Italia era obbligata ad assorbire tutti i titoli del debito pubblico rimasti invenduti. L'autonomia della Banca d'Italia rispetto al Tesoro diventata definitiva con la legge sulla determinazione del tasso di sconto. Il Decreto Legislativo 385/95

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gni contatto con il resto del mondo ed stato caratterizzato da una strategia di supporto ad una via finanziaria allo sviluppo, garantita soprattutto dalle grandi banche di interesse pubblico e da una territorializzazione, normata per legge nel numero degli sportelli e nella perimetrazione del territorio, di una miriade di banche locali:18

introdusse parecchie novit per il sistema bancario tra cui, ad esempio, i requisiti di professionalit per gli amministratori di banca e soprattutto il principio che la banca non pi un soggetto che persegue finalit di pubblica utilit tramite la tutela del risparmio, ma un soggetto imprenditoriale come gli altri e che, quindi, persegue finalit aziendali di profitto. L'introduzione di questo principio venne a tagliare alla base le possibili motivazioni per un impiego del sistema bancario per scopi di politica economica. E' lungo questo percorso che maturano la Legge Amato e le pi recenti riforme del sistema. 18. Scarsa attenzione stata prestata da parte degli studiosi al rapporto tra credito e sviluppo dell'industrializzazione diffusa, presupponendo che la leva finanziaria delle piccole imprese operanti in industrie "leggere" facesse sostanzialmente perno sulla capacit di autofinanziamento sostenuta da periodi prolungati di crescita e di elevata competitivit dell'organizzazione flessibile (basso costo del lavoro, opportunit di evasione fiscale, et). A parte pochi studi seminali che avevano invece individuato nel ruolo svolto dalle banche locali uno dei fattori dello sviluppo delle economie periferiche nel dopoguerra (cfr. Cesarini F., Un'indagine empirica sulle casse rurali e artigiane, Contributi allo studio della cooperazione di credito, Milano, Giuffr, 1968, pp. 85-189; M , Note sugli sviluppi della strutturafinanziarianel dopoguerra, in M. de Cecco, Saggi di politica monetaria, Milano, Giuffr, 1967, pp. 35-89), solo pi di recente si riconosciutoil contributo del credito all'industrializzazione diffusa (Andreozzi P, P. Angelini, R. Di Salvo e G. Ferri, Piccole imprese e Credito Cooperativo: relazioni pi intense e stabili che con le altre banche? 1 risultati di un'indagine, Cooperazione di Credito, 152 [1996], pp. 353-401; Carminucci C , // sostegno del Credito Cooperativo allo sviluppo delle imprese: due casi di successo, Cooperazione di Credito, 152 [1996], pp. 443-472; Conti G. e G. Ferri, Banche locali e sviluppo economico, in F. Barca, (a cura di), Storia del capitalismo italiano dal dopoguerra ad oggi, Roma, Donzelli, 1997, pp. 429-65; Dei Ottati G., Tra mercato e comunit: aspetti concettuali e ricerche empiriche sul distretto industriale, Milano, Angeli, 1995; Ferri G. e R. Di Salvo, Credito cooperativo,finanziamentoalle piccole e medie imprese e sviluppo decentrato: valutazioni teoriche e primi riscontri empirici, Cooperazione di credito, 146 [1994], pp. 309-369;), sottolineando talvolta come il ruolo dei "finanzieri", svolto da banchieri locali o da figure imprenditoriali nei confronti della rete delle imprese subfornitrici, non fosse tanto ascrivibile a logiche strettamente "distrettuali" e reticolari dell'imprenditoria diffusa e delle estemalit informative, quanto a quelle dei mercati oligopolistici tout court, organizzati per mezzo della "mano visibile" dei finanziatori finali che impartivano precise linee di comando ad unit produttive formalmente indipendenti (Fanti L. e S. Pacini, Evoluzione di un'area sistema a carattere distrettuale: imprese e mercato del lavoro nell'area pratese, in F. Bortolotti, (a cura di), Il mosaico e il progetto; Lavoro, imprese, regolazione nei distretti industriali della Toscana, Milano, Angeli, 1994, pp. 299-332).

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C' un ritardo di competitivit del sistema finanziario italiano che riconosciuto un poi da tutti, dai vertici del sistema agli addetti ai lavori, ma la spiegazione del perch questo sia cos una storia molto lunga. Di fatto molto ha pesato la cultura della regolamentazione amministrativa che stata superata solo a partire dalla met degli anni '80, quando stato eliminato il massimale degli impieghi che era uno strumento amministrativo che impediva di fatto la concorrenza. Cio, in Italia siamo andati avanti in un sistema in cui la Banca d'Italia era regista, in cui lo sviluppo di ciascuna azienda bancaria aveva un ambito territoriale ben definito, gli sportelli si potevano aprire solo su piani nazionali ogni 3/4/5 anni. Fino al '90, anno della liberalizzazione degli sportelli, avevamo un grosso ritardo nell'apertura di reti di sportelli bancari che erano poi le uniche, dato che non c'era la banca virtuale. Avevamo un rapporto sportelli per abitanti tra i pi bassi d'Europa. Una banca non poteva decidere dove aprire le sue "fabbriche", i suoi sportelli; non poteva decidere quanto produrre perch la sua crescita di impieghi poteva aumentare solo di un tot all'anno attraverso la fissazione di un massimale degli impieghi. Inoltre, in Italia sono mancate le banche d'affari in conseguenza del tipo di specializzazione voluta dalla legge del '36. I legami fra banca e impresa vennero tagliati per evitare il ripetersi della crisi ben nota che ci fu dopo il 1929. Questo sistema, per, ha di fatto deresponsabilizzato la banca. Il credito speciale, il grande sviluppo degli anni '50 e '60, andato avanti per via finanziaria con le garanzie dello Stato, dove non c'erano queste, si chiedeva la garanzia reale. Quindi, investire nella conoscenza dell'impresa, superando le asimmetrie informative, non era necessario, perch una banca come la Commerciale faceva credito a breve termine, mentre le banche a medio termine avevano un sistema di credito erogato in visione di sviluppo economico con ampie garanzie statali a tutti i livelli, dal regionale al nazionale. L'Italia si trovata ad essere bancocentrica, con un sistema finanziario accentrato sulle banche e non sugli intermediari, un po' come la Germania, ma senza avere quei legami stretti fra banca e impresa che sono tipici di un mercato fondato sulle banche, sugli intermediari creditizi e non sull'efficienza dei mercati come quelli anglosassoni (Giovanni Parrillo). Queste due strategie hanno accompagnato sia la prima fase centralizzata dello sviluppo urbano industriale del capitalismo italiano, che la seconda fase di estensione territoriale, attraverso un processo che un banchiere veneto ha definito di "localismo metodologico" ed un altro di "localismo bancario": Le banche non godono di buona stampa circa la loro propensione al rischio, venendo spesso accusate di finanziare soltanto contro garanzie et similia; in altre parole, di avere sempre dato (o di dare) a chi ha! Anche non poche associazioni categoria si sono impegnate nell'avallare queste convinzioni. Ne siamo certi? Solo che si guardi alla miriade di imprese, capillarmente diffuse sul territorio veneto, alla loro dimensione media, alla provenienza sociologica degli imprenditori, all'origine settoriale degli stessi (per lo pi uomini di produzione, cio che "sanno lavo-

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rare", "sanno produrre", avevano "mani per ...") ed il tutto, con rapido flash back, lo si riferisca a qualche decennio fa, si capisce bene che, in tantissimi casi, le "banche locali" hanno fatto leva sulla voglia di intraprendere, sull'iniziativa di persone, sulla determinazione produttiva, sulla caparbiet di chi credeva in un progetto. E la storiellina dell'ombrello ha fatto il suo tempo! In altre parole, il "localismo bancario" si manifestato come prossimit a chi voleva intraprendere, vicinanza all'operatore, rapidit di decisioni e semplicit di procedure. Il risultato di questo rapporto, a mio avviso, sotto gli occhi di tutti; una distribuzione capillare di imprese che sono (io credo!) in un rapporto di causa ed effetto con il "localismo bancario", quasi una sorta di matematica corrispondenza biunivoca (Gino Dianin). Si trattato, insomma, di un localismo fatto di intreccio e di "osmosi" tra crescita ed espansione della fabbrica diffusa e banca territorializzata: La nostra banca cresciuta "in osmosi" con la crescita di tutto il sistema produttivo, al cui sviluppo essa certamente ha contribuito. La banca, che sorta 126 anni fa, ha dato sostegno a tantissime iniziative di carattere imprenditoriale, che erano soltanto in embrione, consentendo ad esse di diventare delle realt di prima grandezza anche in campo internazionale. Si verificata pertanto questa crescita in simbiosi: la banca cresciuta contribuendo allo sviluppo dell'economia che ha servito. Il rapporto con la clientela, che spesso viene definito "conflittuale," stato ed tuttora, per la nostra banca, un rapporto collaborativo, principalmente basato sulla conoscenza personale dell'imprenditore. Non pertanto vero che i finanziamenti vengano accordati solo in funzione dei livelli patrimoniali presentati. Al contrario, la loro concessione rapportata alle capacit e ai programmi dell'imprenditore. Questo il tipo di rapporto che oggi il mondo imprenditoriale auspica e io posso dire che nell'ambito del nostro istituto, proprio in funzione del profondo inserimento dell'istituto nel territorio, del collegamento diretto con l'imprenditoria, questo il tipo di rapporto che abbiamo intrattenuto ed intratteniamo con gli imprenditori. Il punto di forza del nostro istituto il profondo radicamento nel proprio territorio con una forte quota di mercato. Abbiamo una forte presenza soprattutto in Lombardia. Siamo partiti dalla provincia di Bergamo, poi ci siamo estesi alle province limitrofe come Milano, Brescia e Como, poi, attraverso l'incorporazione del Credito Varesino, abbiamo consolidato una fortissima presenza nell'area di Varese. Abbiamo esteso la nostra attivit a parecchie zone dell'Italia del Nord, in Veneto, in Emilia. Abbiamo acquisito la maggioranza della Banca Popolare di Ancona perch opera in una regione che, per quanto attiene il tessuto economico produttivo, presenta certe analogie con i territori del nostro radicamento tradizionale (Emilio Zanetti).

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A partire da meno di dieci anni fa, tutto cambiato. Liberalizzazione, concorrenza, efficienza sono diventati i cardini di una cultura che ha imposto alle banche di perseguire finalit nuove, e per molti aspetti opposte, con metodi e mezzi che non avevano mai potuto sperimentare. La natura istituzionale che ha distinto per mezzo secolo il sistema bancario si traduceva, infatti, in una rigida segmentazione per competenze e professionalit, in un orientamento alla stabilit e in una forte supervisione della Banca d'Italia. 19 Anzich di servire politiche dirigistiche imposte dal potere centrale, stato chiesto alle banche di essere imprese votate al profitto da conseguire in regime di concorrenza. In particolare, stato solo con la "Legge Amato/Carli" (n. 218/90) e poi con il Testo Unico D.Lgs 1/09/1993 n. 385, la cosiddetta "Nuova Legge Bancaria", che le banche italiane hanno avuto l'opportunit di adeguarsi ai progetti di dilatazione territoriale e di competizione internazionale ed stata liberalizzata l'apertura degli sportelli sul territorio e vi stato un adeguamento delle normative al quadro europeo, che ha dato alle banche possibilit di ampliare le proprie attivit, soprattutto offrendo alle imprese pi ampi e articolati servizi finanziari. Una rivoluzione che rimasta per ancora incompiuta.

19. II sistema bancario italiano stato caratterizzato da un pesante coinvolgimento del governo (che stato anche direttamente proprietario della maggioranza delle banche) e, specialmente fino alla recente liberalizzazione ispirata dell'Unione Europea, stato uno dei sistemi bancari pi regolamentati tra quelli dell'Ocse. La legge bancaria del 1936, varata all'indomani dello shock provocato al sistema bancario dalla crisi finanziaria verificatasi durante la Grande Crisi, era basata su due principi fondamentali: la separazione tra l'erogazione del credito a breve e quella del credito a medio e lungo termine; la supervisione e il controllo della Banca d'Italia sull'attivit bancaria. Come conseguenza, le aziende di credito potevano erogare solo credito a breve termine (normalmente al di sotto dei 18 mesi), mentre il credito a medio e lungo termine doveva essere erogato dagli istituti di credito speciale (Ics) che raccoglievano fondi attraverso l'emissione di titoli. La Banca d'Italia fu dotata di un ampio potere di controllo, che spaziava dalla vigilanza sull'attivit di prestito delle singole banche al potere discrezionale di autorizzare l'apertura di nuovi sportelli bancari, che effettivamente inibiva la concorrenza tra le banche. Essa nel dopoguerra non soltanto ha fatto ampiamente ricorso al potere di imporre alle banche la riserva obbligatoria, che stata costantemente pi elevata in Italia che negli altri-paesi europei, ma specialmente negli anni '70 e nei primi anni '80, ha imposto anche controlli diretti sul credito, come il vincolo di portafoglio ed i massimali all'espansione di determi-

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Oggi, si permette a tutte le banche di fare tutto, si incita il management all'efficienza e gli si additano obiettivi reddituali di livello europeo; peccato per che le professionalit e la cultura del mercato necessarie non si possano creare con altrettanta rapidit. Cos, le vecchie finalit sono cadute, ma non i relativi costi, ossia quelle diseconomie che, naturale e accettato risvolto dell'assetto oligopolistico, ora confliggono con il perseguimento dell'efficienza e della redditivit. Perci, al momento attuale il sistema bancario scarica i suoi alti costi su tutta l'economia italiana (le imprese, da una parte, e i risparmiatori, dall'altra) e rimane, quindi, inadeguato alle esigenze di un'economia in competizio-

nate categorie di impieghi bancari. E' opinione diffusa che la stretta regolamentazione imposta sul sistema bancario con la legge del 1936, pur avendo consentito una notevole stabilit dei mercati finanziari durante tutto il dopoguerra, abbia inibito la concorrenza tra gli intermediari a tal punto da compromettere l'efficienza dell'intero sistema. Mario Monti, ad esempio, ha criticato il sistema creditizio, attribuendo grandi responsabilit sia ai politici che alla banca d'Italia: Dall'Italia si sono trasferiti all'estero interi pezzi di mercato finanziario. Si verificato uno scenario che non era stato difficile prevedere fin dagli anni '80, in vista del mercato unico. Il sistema bancario italiano stato ingessato dai vincoli imposti per privilegiare il finanziamento del debito pubblico; e dal divieto alle imprese di acquistare il controllo delle banche. Si voluto a lungo un sistema bancario poco aperto verso l'esterno, prevalentemente pubblico, di conseguenza debole. La sanzione non avvenuta sottoforma di fuga dei capitali, ma di "esportazione dei mercati", a vantaggio di Londra e altre piazze finanziarie pi efficienti. In prospettiva potrebbe esserci il passaggio di grandi banche italiane sotto il controllo estero, forse anche una delocalizzazione complessiva: cio una divisione internazionale del lavoro in cui l'Italia non avr pi un ruolo nell' intermediazione finanziaria. Alla radice di questa situazione c' in gran parte la politica seguita fino a qualche anno fa dall'autorit monetaria, che ha privilegiato la stabilit del settore bancario anzich l'efficienza. Questa politica ha pesato quasi pi della propriet pubblica delle banche.... Dopo decenni di segno diverso, non ci si possono attendere, temo, risultati rapidi. Rimane il fatto che due tra le pi pesanti palle al piede dell'Italia nel cammino verso la moneta unica sono la finanza pubblica e le banche. E sono le due parti dell'economia italiana strutturalmente pi in rapporto con l'autorit monetaria. Per molto tempo la Banca d'Italia ha favorito il finanziamento del deficit pubblico, in una situazione in cui non era vincolata a perseguire solo la stabilit monetaria, e poneva vincoli che limitavano il credito al settore privalo. L'aver avuto anche il ruolo di vigilanza sul sistema bancario, e l'aver visto sempre le banche come il braccio secolare e cinghia di trasmissione degli obiettivi di politica economica, ha fatto prevalere la stabilit sulla concorrenza e l'efficienza (citato in Federico Rampini, "Banche, palla al piede dell'Italia", La Repubblica, 7 aprile 1997, pag. 19).

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ne. Per ora, la liberalizzazione del sistema, pi che avvicinare il sistema banca al sistema impresa, ha prodotto nei fatti sul territorio una fibrillazione delle banche stesse che, molto spesso ancora legate alle strategie del "localismo metodologico", allargano le reti corte territoriali accorpando altri istituti e sportelli, per non sono ancora pronte a supportare, con reti lunghe finanziarie il processo di produzione che, come abbiamo visto, va sempre pi dal locale al globale:
I fattori di debolezza del sistema bancario sono legati a quella che stata l'esperienza storica del nostro mercato; quando uno opera in un mercato protetto e garantito non stimolato ad innovare. Da noi, ad esempio, il marketing bancario era del tutto inesistente perch la banca non sentiva il bisogno di andare a promuovere la clientela, si aspettava il cliente perch c'era un rapporto sostanzialmente di sudditanza. Si pu immaginare che tipo di rapporto si stabiliva tra banca e risparmiatore: la banca svolgeva un servizio essenzialmente di custodia del risparmio. Oggi, si parla di esuberi nelle banche, ma dal rapporto di Prometeia si coglie un dato storico interessante: quando venne permessa la liberalizzazione degli sportelli bancari, che era il preannuncio di un mercato competitivo, la risposta immediata del sistema bancario non stata quella di comprendere cosa significava aprirsi alla competizione internazionale ed al confronto con gli altri sistemi, ma di effettuare una scelta di tipo conservativo e, cio, di occupazione di tutti gli spazi esistenti. In questo modo, le banche hanno aperto 8.000 sportelli per un totale di 40.000 addetti, ma nel frattempo successo che la liberalizzazione diventata un fatto compiuto e le banche si sono trovate con 8.000 sportelli da chiudere e 40.000 persone da licenziare. Questo successo perch non si era colto il senso della liberalizzazione, le banche avevano ancora in testa il meccanismo di occupazione degli spazi e non quello di rendere efficiente la banca, di realizzare nuovi prodotti, di innovare, di investire in ricerca e sviluppo. Tant' che ancora oggi il 91% del bilancio di una banca italiana fatto sul credito e non sui servizi avanzati, mentre nelle banche di altri paesi questi due valori sono all'incirca alla pari. Questo significa, ad esempio, che dal punto di vista delle professionalit interne la liberalizzazione non ha sviluppato professionalit nuove. E questo lo si comprende bene se una persona si reca in banca per acquistare un prodotto derivato. In molte realt pochi sono in grado di risponde alla richiesta e questa la dice lunga sul perch ci sono 600 giovani italiani alla City di Londra in posizioni medio-alte che svolgono questi tipi di attivit. In Italia abbiamo un contratto di lavoro tra i pi costosi e tra i pi rigidi. Le promozioni avvengono per automatismi. Altro aspetto riguarda i grandi indebitamenti dei grandi gruppi industriali italiani che sono stati pagati dagli alti tassi a carico delle piccole imprese e dai bassi tassi a favore dei risparmiatori. Un sistema, dunque, che non seguiva criteri imprenditoriali, ma criteri in molti casi diversi e che ha vissuto in una pacifica e tranquilla condizione di onnipotenza. Tutto questo mondo, nel momento in cui si confronta con la dura legge del mercato e della competizione, sta entrando in crisi (Benito Boschetto).

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Anche un osservatore attento come Alberto Quadrio Curzio sottolinea che, seppure il cambiamento, la deregolamentazione iniziata nella seconda parte degli anni '80 e proseguita fino ad oggi, abbia indubbiamente prodotto degli effetti positivi, come l'aumento della concorrenza, non si ancora tradotto in un aumento di efficienza del sistema: La deregolamentazione ha prodotto un aumento di concorrenza. E questo mi sembra dimostrato da almeno due fatti: uno l'aumento dei punti di vendita, i cosiddetti sportelli che, tra il 1990 e il 1996, stato di 7.700. Ora, l'aumento degli sportelli ha inevitabilmente aumentato la concorrenza: pi sono i punti di vendita, se il mercato non si espande con la stessa rapidit, aumenta la concorrenza. L'altro indicatore di aumento di concorrenza che il calo dei tassi sui prestiti bancari ha seguito l'andamento del tasso di sconto, ma per molti versi stato anche, in qualche modo, autonomo. In Italia, i tassi bancari sui prestiti scendono da 17 mesi, mentre il tasso di sconto si mosso assai meno. E anche questo, secondo me, frutto di un aumento della concorrenza. Quindi, vedo due elementi di aumento di concorrenza. Uno l'espansione degli sportelli e l'altro un calo dei tassi che si muove anche indipendentemente dal calo del tasso di sconto. Naturalmente qui bisognerebbe mettere anche in evidenza il calo dell'inflazione e il conseguente calo dei tassi. Ad ogni modo, per, entrambi questi elementi hanno fatto emergere degli aspetti preoccupanti sulla solidit del sistema bancario stesso, preso nel suo insieme. E sono, da un lato, l'aumento delle sofferenze, che ha appesantito molti bilanci bancari - e c' da chiedersi se siano emerse tutte queste sofferenze. E l'altro aspetto costituito dai costi unitari di produzione nel settore bancario, che non sono scesi ancora abbastanza, soprattutto per un sovraccarico di personale. Quindi: l'aumento di concorrenza non si ancora tradotto in un aumento generalizzato di efficienza del sistema, anzi, per certi casi, ha incominciato a far scricchiolare alcune parti del sistema stesso. Nel nuovo contesto altamente competitivo, il rapporto banca-impresa deve cambiare: bisogna passare da un rapporto basato sulla "garanzia immobiliare" da una basato sulla "garanzia imprenditoriale", lina vera e propria rivoluzione culturale e comportamentale: Per quanto riguarda il rapporto tra la banca e le imprese, con il calo dei tassi di interesse e con il calo dell'inflazione, il sistema bancario italiano dovr cessare di essere erogatore di credito a breve termine, com'era accaduto in passato. Dovr spostare i propri finanziamenti sul medio e lungo termine, e quindi cambiare la tipologia del merito di credito che esso steso valuta. Finanziare a breve termine, in clima inflazionistico, significava avere garanzie patrimoniali, perch quelle erano le uniche che garantivano contro l'inflazione. Finanziare a tassi bassi, a bassa inflazione vuol dire valutare la significativit dell'investimento industriale produttivo. E qui, le banche si devono creare una nuova professionalit. Inoltre, poich molte

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imprese si rivolgeranno direttamente al mercato per avere i finanziamenti, sia tramite il capitale di rischio, che tramite il prestito obbligazionario, credo che le banche dovranno attrezzarsi per fare da consulenti alle imprese, e anche da intermediari alle imprese, per accedere direttamente ai finanziamenti sul mercato. Cosa che molte imprese non sanno fare, non possono fare, ma che le banche dovrebbero aiutare a fare. E' questo, un grandissimo cambiamento, sul quale spero che le banche italiane si sbrighino, perch il tempo cambiato: non pi quello della garanzia immobiliare, ma quello della garanzia imprenditoriale (Alberto Quadrio Curzio). Nel complesso, i competitori auspicano la nascita di un sistema bancario pi efficiente e meno burocratizzato che consenta di stabilire un nuovo rapporto tra banca e impresa, una vera e propria metamorfosi del sistema bancario: non pi mera erogazione di prestiti, ma un rapporto pi coeso, di vera e propria partnership, in cui vengono condivise prospettive e informazioni gestionale con l'obiettivo di uno sviluppo comune, quindi, passando dall'attuale contrapposizione alla cooperazione. Ad esempio, Alberto Bauli sottolinea come l'arretratezza del sistema finanziario, e di quello bancario in particolare, impedisca alle imprese e agli imprenditori di crescere e maturare, soprattutto nel Nord-Est dove le imprese sono familiari e non riescono ad essere soggetto autonomo, dove la dimensione piccola ed esiste un difficile problema di ricambio generazionale:20 Quello che in questo momento trovo che sia l'elemento pi arretrato e l'elemento dal quale potrebbero scaturire tanti i benefici, l'ammodernamento del mondo finanziario italiano, il quale di una arretratezza rispetto agli altri paesi, direi, colpevole. Questo sar il nodo sul quale questo nostro tessuto economico potr spiccare il volo o schiantarsi. ... Credo che sar ineluttabile che una parte delle piccole e medie imprese tenda a spegnersi una volta terminato l'arco di vita del fondatore. Questo anche per perch una delle grandi carenze che abbiamo, forse la maggiore da un punto di vista economico, una carenza di tipo finanziario. Cio, noi, come Paese, non siamo stati capaci di mettere in piedi un sistema di rete finanziaria capace di assistere le imprese nella ricerca dei capitali di rischio necessari per lo sviluppo. Un sistema capace anche di abituare i soggetti economici al principio di vedere l'impresa distante dal proprio patrimonio personale e come tale, quindi, soggetto autonomo. Qui c' una commistione totale tra famiglia e impresa che fa s che l'impresa non sia mai n ceduta n portata in borsa, n capitalizzata per quel 20. Quasi il 90% degli imprenditori del Triveneto di prima generazione e si stima che il 50% delle imprese minori passer nei prossimi anni di padre in figlio. Appare chiaro che questa situazione dar la possibilit alle banche di giocare un ruolo chiave nelPaccompagnare le imprese e le famiglie imprenditoriali nelle scelte di venture capital o di capitale di rischio. Cfr. anche AIFI, Medie imprese familiari, capitale di rischio e quotazione, Guerini e Associati, Milano, 1997. 44

che serve, ma sia sempre vissuta come una grande commistione. E devo dire che per questi aspetti le banche sono state particolarmente colpevoli, perch hanno sempre detto: "ti do i soldi se mi dai la fideiussione." In questo modo hanno imposto la confusione tra i patrimoni personali dell'imprenditore e della sua famiglia con quelli dell'azienda.

I competitori fanno notare come il futuro del rapporto tra banca e impresa si deve giocare su una maggiore collaborazione strategica. Le aziende devono poter lavorare con istituti bancari in grado di personalizzare i servizi in funzione di elementi chiave come le potenzialit, il grado di sviluppo, la quota di esportazione e le capacit di fare internazionalizzazione. Il sistema bancario si ritrova interrogato e richiesto, affinch svolga le necessarie funzioni di accompagnamento delle "multinazionali tascabili" del capitalismo molecolare. Ad esempio, secondo un importante imprenditore emiliano del settore metalmeccanico, il sistema del credito presenta un quadro che definire problematico riduttivo: nel complesso, il sistema bancario ha una velocit ridotta, ha una cultura del credito incapace di finanziare l'impresa e, soprattutto, non ha le capacit di far muovere le imprese italiane nei paesi esteri per una mancanza di collegamenti forti con grandi banche europee:
Se fossi un imprenditore francese e volessi affrontare il paese Italia con seriet, volessi fare business in Italia, volessi comprare un'azienda in Italia, certamente avrei una banca che si chiama Crdit Agricole in grado di mettermi a disposizione una bellissima banca, l'Ambroveneto, in grado di appoggiarmi in Italia. Questo imprenditore francese messo subito in contatto con una realt italiana, vera e anche assai significativa, che lo pu favorire. Il signor Dupont domani si reca a Milano all'Ambroveneto e chiede un incontro con un funzionario di alto livello e viene ricevuto e verr aiutato perch nell'Ambroveneto il Crdit Agricole ha il 20%. Non millantare credito, no, gli operatori economici francesi, magari ottimi clienti di Crdit Agricole, vanno all'Ambroveneto e trovano l'accoglienza che trova un cliente serio e per bene del Crdit Agricole. Invece, noi no. Noi quando andiamo fuori d'Italia ci andiamo ad appoggiare alle banche non italiane. Io non sono nazionalista. Ma, la mia forza di leva con il Crdit Agrcole francese o con la Deutsche Bank in Germania quasi nulla, perch io in Italia con loro non ci lavoro.

Mario Carraro giudica il sistema bancario, non solo troppo burocratico, ma anche troppo provinciale ed impreparato a svolgere la necessaria funzione di accompagnamento di imprese come la sua nel processo di internazionalizzazione:
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Oggi, i problemi della finanza sono pi importanti di quanto si creda, se consideriamo il problema della internazionalizzazione. Qui, siamo al sostegno creditorio delle aziende; le banche non sono ancora preparate ad essere delle banche universali, anche se oggi con la legge Amato sono in grado di poterlo fare. Vi sottengono aspetti organizzativi, vi pesa una cultura burocratica, assurda. Faccio un esempio estremo, perch riguarda una macchina del valore di neanche 150 milioni che abbiamo comprato in leasing in provincia di Modena: 26 firme ... insomma. Ecco, credo che qualcuna di queste firme sia anche superflua. D'altro canto, la banca non quasi mai presente con noi quando noi andiamo in Brasile, in Jugoslavia, etc. a fare il progetto di investimento. ... La mia azienda che fattura 500 miliardi con circa il 90% di esportazione ... sta lavorando in Brasile e in India. Che ci sia mai una banca che venisse in Brasile o in India per vedere cosa il Brasile o l'India, che cosa sto facendo ... insomma, per aiutarmi ad inquadrare il problema. Questo quello che manca. E' una cultura questa che manca anche alle grandi banche. Inoltre, mentre nelle aziende esiste ormai il sistema del simultaneous engineering, cio che quando si parte con un prodotto nuovo c' tutta una struttura di processo che contemporaneamente parte: alla fine si trova tutto fatto, l'ingegnerizzazione, l'industrializzazione, il marketing, etc. ... qui, con le banche prima si deve fare tutto, poi, se il progetto piace, se la banca lo stima come sufficiente e, ammesso pure che superi il concetto delle garanzie patrimoniali che non sempre superato, resta il fatto che questo avviene in un momento in cui per l'azienda ineludibile la decisione e la banca invece deve ancora accendere la pratica, per esprimere, con un termine cos medioevale, il concetto che esemplifica il tipo di rapporto. C' chi, sottolineando la differenza che passa tra l'essere una banca internazionale o globale e l'essere una banca con una presenza sui mercati esteri, ritiene che le banche italiane siano per la quasi totalit banche con una proiezione meramente nazionale, mentre solo un ristrettissimo numero di banche ha una proiezione verso l'estero, ma nessuna banca italiana pu essere veramente considerata una banca internazionale: Gradualmente le banche italiane acquisiranno la capacit di operare sul mercato internazionale. Si vedono sempre pi spesso banche italiane che partecipano ad operazioni internazionali insieme alle banche estere. Negli anni, alcune banche italiane, come la Comit, hanno sicuramente sviluppato un'attivit internazionale notevole. Per, le banche italiane con una struttura internazionale si contano appena sulle dita di una mano. C' la Comit, la Bnl, c'era la Banca di Roma, ma si un po' ridimensionata, c' il San Paolo. Per, anche il San Paolo si limita ad avere delle sedi... L'attivit internazionale non solo il fatto di avere una filiale per aiutare la clientela italiana, non solo la banca che opera all'estero, ma anche il fatto di diventare parte integrante del sistema finanziario del Paese in cui si presenti. A questo livello, direi che, s, la Comit ha sempre avuto una tradizione internazionale

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importante, il San Paolo anche, l'ha costruita negli anni, la Bnl, la Banca di Roma. Per, siamo ancora lontani dall'avere una reale ed importante presenza internazionale. Sono ancora banche italiane con numerose sedi o filiali all'estero. Bisognerebbe che facessero delle acquisizioni oppure che acquisissero delle partecipazioni, insomma che avessero una strategia internazionale che non fosse solo dettata dall'assistenza alla propria clientela che opera all'estero (Galeazzo Pecori Giraldi). D'altra parte c' chi sottolinea che comunque per quanto riguarda la presenza sui mercati esteri le banche regionali debbano andare avanti adagio, procedendo con molta circospezione e prudenza, cercando di muoversi solo per il soddisfacimento delle esigenze pi consolidate dei propri clienti: Vedo l'espansione e l'evoluzione delle banche regionali in termini di presenza all'estero con la finalit pressoch esclusiva di fungere da supporto delle imprese del proprio territorio locale radicate sul mercato. Non vedo come una banca regionale possa andare a fare banca a tutto tondo in altri Paesi. Chi ha fatto questa esperienza, l'ha pagata a carissimo prezzo, perch mancano i presupposti, almeno per banche che hanno le nostre dimensioni e caratteristiche. E', invece, fondamentale per noi avere una filiale che si affianchi ad una societ di diritto lussemburghese in Lussemburgo che, nata con un numero piccolissimo di persone, non ha mai chiuso il proprio conto economico in rosso, neanche il primo anno, e che oltre al profitto ci sta dando una elevatissima capacit di servizio nei confronti dei nostri imprenditori-clienti. Per quanto riguarda i Paesi dell'Est devo dire che noi abbiamo alcuni imprenditori che siedono nel consiglio di amministrazione che hanno affrontato questo mercato e che lo considerano ancora ad altissimorischio,anche se ad altissime potenzialit. Penso che dobbiamo proseguire con grande attenzione. Non vedo, per, nei prossimi diciotto mesi opportunit di fare investimenti importanti in questo settore (Corrado Faissola). Se per internazionalizzazione si intende commercializzare il proprio prodotto all'estero, allora i problemi sono relativi, ma se invece si intende impiantare un'attivit di produzione o di servizio all'estero allora i problemi sono grandi per tutte le banche italiane, comprese quelle che hanno una maggiore esposizione all'estero come il San Paolo di Torino o la Comit. 21 Se non ci fossero delle provvidenze statali da amministrare, le banche da sole farebbero pochissimo: 21. La Comit si conferma come la banca italiana pi impegnata nel processo di internazionalizzazione con 13 filiali, 3 uffici distaccati e 21 uffici di rappresentanza. Nella classifica stilata dalla rivista specializzata The Banker, la Comit al 18 posto mondiale tra le banche maggiormente internazionalizzate, mentre soltanto tra il 4050 posto per total assets. La Comit ha una partecipazione nel colosso francese Paribas (che a sua volta ha il 4% di Comit) e controlla il Banco Sudameris attivo in 47

Se si intende l'internazionalizzazione dal punto di vista della commercializzazione, cio vendere all'estero i prodotti, c' tutta una serie di operazioni che la nostra banca offre, ma comunque questo il terreno pi facile. Relativamente pi facile: vendo in Francia piuttosto che in Italia, ci sono pochissimi problemi. E' con l'internazionalizzazione intesa dal punto di vista di andare a costruire uno stabilimento in qualche altro Paese che le cose peggiorano. Ma, peggiorano non solo per il San Paolo, peggiorano in generale per tutto il sistema bancario italiano. C' stato recentemente un convegno sull'argomento a Torino e la sostanza che sembra emergere che se non ci fosse da amministrare delle provvidenze che danno alcune leggi nazionali, di facilitazione all'export, tramite l'Ice, il Ministero, e quant'altro, in realt le banche, di per s, farebbero pochissimo. Ma, questo vale per tutti, anche per il Mediocredito e gli altri istituti. Quindi operazioni di carattere semplice ormai sono una prassi corrente; se le operazioni sono di carattere complesso allora le cose diventano molto pi difficili (Marco Camoletto). Ad ogni modo, nel mondo bancario c' chi sottolinea che gli imprenditori si lamentano di un inadeguato accompagnamento sui mercati internazionali da parte delle banche, ma in realt molto spesso, pi che un mancato sostegno del mondo bancario, c' una assenza pressoch totale delle strutture di accompagnamento e garanzia dello Stato. Il sistema bancario italiano in grado di accompagnare all'estero le imprese con una "rete a maglie larghe", dove i poli dei maggiori mercati di sbocco dell'export (Germania, Francia, Stati Uniti, etc.) danno il passo della trama che prosegue con alcune proiezioni verso i nuovi mercati dell'Est, asiatici, sudamericani. Invece, per una "rete a maglie strette", anche rispetto al rischio di impresa, c' chi sollecita un ruolo della Sace e degli altri istituti statali per il commercio con l'estero:

Sud America. Nel febbraio del 1998 la banca ha inaugurato una nuova filiale al numero 90 di Queen Street nella City di Londra. Nel nuovo palazzo di 6 piani (di cui 5 occupati dalla banca) sono stati riversati 170 dipendenti che operano principalmente nei settori ddforex, della tesoreria, dei prodotti derivati, dell'intermediazione titoli (circa 40 persone), del brokeraggio sui futures, sia per conto della clientela italiana sia estera. La sede di Londra destinata ad assorbire sempre pi funzioni di tesoreria e cambi dell'intero gruppo bancario, diventando l'unico centro di trading oltre Milano. Inoltre, nei progetti di espansione della sede londinese rientra il rafforzamento dei crediti sindacati. Terza area di sviluppo su cui la banca punta il project /mance all'estero, con attenzione ai Paesi dell'Est, regione su cui la Comit punta dopo l'acquisizione in Ungheria della Ceb (una banca con un Roe del 32%). Altro settore di rafforzamento saranno forfaiting e trade finance in cui Comit entrata in joint venture con Soditic (Bci-Soditic) e che punter anche sui mercati emergenti. Quanto alle aree geografiche, da Londra la Comit seguir con attenzione la Gran Bretagna, l'Europa dell'Est, il Nordeuropa e i Paesi del Benelux.

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Rispetto alle istanze e considerato il numero dei Paesi di destinazione esportativa della nostra clientela - 246 con trend di crescita anche del 30% negli ultimi anni - non immaginabile che una banca possa sostenere i costi per essere presente in altrettanti Paesi. Cito una situazione di questi giorni: "Ma, perch la Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo non presente in India?". La domanda mi viene posta da un cliente che recentemente ha preso a riferimento quel Paese per dar luogo a delle joint ventures. Ho voluto approfondire la questione ed ho verificato quali banche italiane siano presenti in India. Ho scoperto che ve ne sono 4, ma a circa 34 mila chilometri di distanza dalla localit dove questo nostro cliente andr ad insediarsi. Viene da chiedersi poi: "A cosa serve la presenza della banca in questi Paesi?". L'istanza viene spesso da una tipologia di clientela non a vocazione sistematicamente esportativa. La risposta che la banca serve poich c' la necessit di confermare linee di credito documentario emesse dalla controparte, con assunzione totale, da parte della banca, del rischio di insolvenza dell'acquirente e, quindi, copertura integrale del rischio del venditore il quale, magari, sta affrontando mercati come l'Uzbekistan, o Paesi del Nord Africa o l'Albania. Gli operatori ritengono che le banche possano assumere un ruolo sostitutivo di organizzazioni statali come la Sfac francese, o come gli organismi di garanzia statale che sono presenti nella Repubblica Federale Tedesca, che funzionano con grande efficienza, molto meglio della nostra Sace. Ma, di fronte adun'inefficienza strutturale, non ci si pu rivolgere in termini surrogatori ad imprese come le banche che, proprio perch imprese, sono soggette a loro volta alle problematiche del rischio. Al di l di questi discorsi, noi stiamo riservando una grande attenzione al tema e prestando la migliore assistenza alla nostra clientela esportatrice, non tanto come banca locale che intende diventare banca di riferimento per una comunit straniera, ma come banca locale che accompagna e affianca l'imprenditore nei propri bisogni di internazionalizzazione. Si tratta di un'assistenza specializzata, riservata, che viene costruita su misura poich il nostro bacino di utenza non come Prato, dove predomina il tessile, o come Valenza Po, con il settore orafo; il nostro un bacino di attivit molto variegate. Ogni segmento produttivo presenta le proprie caratteristiche di vendita: chi attraverso rappresentanti, chi si serve di grossisti, chi privilegia le joint ventures, chi preferisce insediare una propria unit operativa nel mercato estero, ed ogni diversa situazione necessita di una risposta specifica (Alfredo Checchetto).

Sempre pi la vendita dei prodotti/sistemi nei nuovi mercati rivolta ad enti che soffrono della tradizionale carenza di risorse da investire nelle iniziative proposte. Per superare questo ostacolo, alla fornitura "chiavi in mano" si va affiancando l'offerta di strumenti finanziari che consentono, per quanto possibile, il finanziamento autonomo del progetto. L'impiego di tecniche di project financing richiede la capacit di aggregare partners industriali, istituzionali e finanziari in una "socie49

t di progetto" in cui allocare i rischi gestionali operativi. Ma, se il project financing per un impresa come l'Ansaldo una necessit per competere sul mercato globale, secondo Bruno Musso, oggi in Italia non ci sono operatori finanziari in grado di fare questo genere di operazioni: Poich il mercato dei bisogni largamente superiore al mercato possibile, c' bisogno di integrare finanziariamente il mercato possibile per avvicinarlo un tantino al mercato dei bisogni, attraverso le forme di project financing che richiedono per da parte nostra un approccio completamente diverso perch non solo si vende un impianto - pu essere una centrale elettrica, una ferrovia, una metropolitana, una automazione di un forno siderurgico - per non lo si vende chiavi in mano, lo si vende con l'esercizio per 15-20 anni col ripagamento attraverso le tariffe. E allora c' l'ingegneria finanziaria che deve partire insieme alle ingegnerie di progetto. Ci deve essere una capacit di esercizio, di calcolare il rischio finanziario che si accentua, ci deve essere una qualit maggiore perch le garanzie, di fatto, diventano non pi di un anno ma di 15 anni, c' un'esasperata necessit di riduzioni dei costi e dei tempi di consegna perch il parametro tempo, ancor pi del costo di produzione, determinante ai fini del ritorno dell'investimento. Di fronte a tutto questo noi dell'Ansaldo ci siamo trovati meno impreparati perch abbiamo presenze produttive che ci aiutano ad essere degli insiders nei vari mercati. ...Va detta una cosa: le banche italiane non hanno una capacit confrontabile con quelle straniere di affrontare il project financing con la dovuta disponibilit ad una certa quota di rischio, che non mai elevata nelle banche, ma che esiste nelle banche straniere, mentre non esiste nelle banche italiane. Queste pretendono che il loro rischio sia zero. Se il loro rischio zero, il mio rischio, di fornitore, infinito e quindi di fatto il problema diventa un po' insolubile. Per questo se dobbiamo fare operazioni di project financing le dobbiamo fare con banche estere. Per il sistema bancario tutto questo significa una rivoluzione fatta di nuove tecnologie, di una nuova cultura pi imprenditoriale, e di un'organizzazione pi leggera, con meno manodopera, e pi qualificata e incentrata sulla nuova figura professionale del bancario-consulente. La banca deve diventare un vero consulente e partecipare attivamente allo sviluppo dei suoi clienti: Le banche stanno cominciando a capire. A livello strategico il problema stato identificato; ma dovrebbero riuscire ad articolarsi in tante piccole organizzazioni che inseguono il mercato. E qui siamo lontanissimi. Il rischio, per le banche, che si moltiplichino istituzioni finanziarie alternative (per esempio nella gestione dei pagamenti) che partono con costi pi bassi e una mentalit pi orientata al cliente. Anche nella concessione del credito, dominio esclusivo delle banche, ci vorrebbe un salto di qualit per andare verso i clienti, che magari sono piccoli, ma

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non sprovveduti. Oggi, normale che un'impresa con 50 dipendenti possa avere bisogno di informazioni di mercato su tutto il mondo, o che operi in una nicchia ad altissima tecnologia. Quale banca in grado di aiutarla, o sa valutare la potenzialit di una tecnologia o di un Paese? Altri soggetti potrebbero entrare in campo, per esempio sfruttando la disponibilit di grandi banche dati, e in futuro offrire anche il credito: cos gli istituti di credito diventerebbero dei semplici subfornitori (Gian Maria Gros-Pietro).22 La modernizzazione del sistema bancario, la sua evoluzione con il sistema delle imprese e in rapporto con il territorio e con le dinamiche di internazionalizzazione fanno oggi del sistema finanziario un luogo dei conflitti estremamente interessante negli anni del capitalismo coalizionale. Parr strano, ma dal punto di vista delle strategie, il sistema bancario, pur nelle sue difficolt, pare ricalcare una strategia fotocopia di adattamento al sistema produttivo territorializzato. E' in parte assente o non partecipa alle strategie di privatizzazione e di collocamento effettuate direttamente dal Tesoro nelle grandi joint ventures che internazionalizzano i grandi gruppi pubblici (Stet, Enel, Eni, Telecom), la testa della piramide. Ha scelto una logica di presidio territoriale, fitto, ove emerge in parallelo al ruolo strategico della media impresa, la banca media che Padoa Schioppa definisce il "piccolo gigante", che trae la sua forza da strategie di regionalizzazione pi che da una dimensione nazionale o internazionale e che qui pratica una propria strategia da "guerra corsara", sapendo sfruttare insieme la dimensione di radicamento nel sistema e di dimensione media. Questo tipo di banca non produce strategie univoche: citeremo tre casi emblematici, tra i tanti, le cui differenze valgono quasi come tipi ideali di comportamento strategico. il modello di banca commerciale orientata al cliente; il modello di banca votata all'accompagnamento delle imprese; le strategie di riterritorializzazione funzionale.

22. Citato in Cristina Jucker, "Nuova occupazione solo dalle Pitti", Il Sole 24 Ore, 7 gennaio 1998, pag. 11.

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IL MODELLO DI BANCA COMMERCIALE ORIENTATA AL CLIENTE

Vi sono banche che hanno abbandonato, senza neppure mai tentarlo, il modello di investment banking, approfondendo la loro natura di banche commerciali orientate al cliente, radicate nel territorio, puntando tutto sull'innovazione organizzativa. La scelta di essere banca retail immunizza da contraccolpi immediati e violenti: La nostra banca una banca tradizionale. E' una banca retali che ha nell'intermediazione del denaro l'obiettivo principe, anche se ultimamente ci sono tante altre politiche strategiche che ci permettono di espanderci sul territorio.... Come filosofia futura di sviluppo c' quella di aprire una serie di filiali, sicuramente anche per avere nuovi clienti, ma soprattutto per avvicinarci ai nostri clienti attuali. Vogliamo continuare ad essere banca retail, a sviluppare l'area retail anche attraverso l'apertura di nuovi sportelli e lo sviluppo di un servizio di gestione della raccolta indiretta, cio di gestione patrimoniale della parte attiva dei rapporti con i clienti privati. Quindi, accanto all'attivit di intermediazione, un pilastro portante per lo sviluppo futuro della nostra banca dovrebbe essere lo sviluppo crescente dell'attivit di gestione patrimoniale e di gestione di fondi. Questo anche in considerazione dell'immagine e della garanzia di riservatezza che una piccola banca privata come la nostra pu dare (Renzo Ragaini). Si ricerca la redditivit attraverso l'infittimento della rete di sportelli, la raccolta potenziata dell'attivit di risparmio gestita attraverso una oculata politica degli impieghi e si fanno investimenti mirati a ridurre i costi fissi, attraverso l'introduzione di tecnologie informatiche. Ad esempio, nel caso della Cassa di Risparmio di Verona, una banca interregionale matura, un "piccolo gigante", la sua dirigenza ritiene che sia indispensabile mantenere il profilo di banca retail, i cui punti di forza
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sono il radicamento territoriale, l'utilizzo dei canali distributivi, il rapporto con la clientela. L'obiettivo della Cariverona quello di diventare "la banca di tutti', un traguardo che nelle province, cosiddette "storiche", a giudicare dalle quote di mercato raggiunte, si pu considerare conseguito (circail.40% a Verona, 30% a Vicenza, 60% a Belluno). La peculiarit di fondo di questa banca un'attenzione esclusiva alla piccola clientela. Ha un'organizzazione funzionale da "banca corta": le filiali sono strettamente collegate alla direzione Centrale eliminando il back-office: Le peculiarit eli Cariverona restano quelle tipiche della banca retali. Un'attenzione tutta particolare quindi rivolta a soddisfare tanto le richieste provenienti dalla clientela privata quanto quelle proprie delle aziende di dimensioni medio-piccole. In questo senso l'obiettivo di Cariverona quello di diventare "la banca di tutti", un traguardo che pu essere considerato raggiunto nelle provincie "storiche". Sotto il profilo organizzativo, Cariverona opera allo scopo di valorizzare il pi possibile la propria prerogativa di banca retali. Volendo usare un termine calcistico, possiamo dire di esserci dotati di una struttura molto "corta", che consente alle filiali di correlarsi strettamente con i Servizi delle direzione generale, dove poter trovare, pertanto, immediati punti di riferimento, tali da snellire l'operativit mettendola il pi possibile al riparo da rallentamenti di carattere burocratico. Cariverona ha, inoltre, la prerogativa di essere una delle banche pi informatizzate dell'intero territorio nazionale, questo ha permesso di semplificare parecchie prassi di natura contabile, ed in particolare le incombenze proprie dell'attivit di back-office delle filiali che, ora, sollevate da tali compiti, riescono a concretizzare meglio le proprie potenzialit commerciali (Luciano Gornati). Il mutamento in atto del mercato finanziario non consente solo uno sviluppo della banca d'investimento e dell'innovazione finanziaria, ma apre anche la strada dell'innovazione organizzativa. Una banca interregionale come la Cassa di Risparmio di Verona, secondo Matteo Anatra, deve fare meglio quello che gi sa fare, presidiare il territorio con sportelli polifunzionali e leggeri, motivando il personale attraverso il conferimento di un'autonomia gestionale e di un premio per i risultati conseguiti. Pu nascere cos la banca imprenditoriale, non pi impiegatizia. Una banca people oriented accresce la raccolta nonostante i processi di disintermediazione in atto: Credo che il problema di fondo nella situazione attuale caratterizzata dal progressivo calo del margine di interesse da intermediazione sia quello che la banca si

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domandi: "Io, in quale arena competitiva ho delle competenze distintive tali per cui sono destinata a giocare un ruolo importante?" Per quanto riguarda l'investment banking, la mia sensazione che, al di l della passione e delle mode, una banca regionale medio-grande - il "piccolo gigante" - non possa giocare un ruolo importate. Ad esempio, se si va a vedere il nostro centro tesoreria oppure quello titoli, ci si accorge che, alla fin fine, non rendono tantissimo. Si fa il 70-80 % con la rete tradizionale, mentre con i titoli o con l'interbancario si guadagna il 10%, perch sono mercati all'ingrosso in cui si raccoglie al 9,80% e si impiega al 10%, con un guadagno di 0,20%. Anche sui titoli, se uno molto bravo e fortunato, guadagner un punto. Per fare rendere tantissimo queste linee di business, uno si deve chiamare Morgan Stanley o Citibank e deve avere operatori iperqualificati che giorno dopo giorno stanno incollati al loro monitor, fanno trading in modo velocissimo e sono remunerati sulla base del rendimento con un bonus che tre volte lo stipendio base. E' chiaro che, a questo punto, crei la mentalit del giocatore e trovi giocatori bravissimi. Ma, se questo tipo di figura non proponibile in Comit e in Credit, tanfo vero che stanno pensando di divisionalizzare o di esternalizzare Yasset management, figuriamoci nella banca regionale. Si creerebbe un nucleo totalmente diverso dagli altri 4.800 dipendenti, senza peraltro riuscire ad avere la massa critica, perch si dovrebbe avere un risk management di tipo complesso. Bisognerebbe fare investimenti per avere, in tempo reale, la posizione, di ogni singolo desk e di tutto il portafoglio di titoli italiani ed esteri, facendo costantemente edging. Sono poche le banche che nel mondo riescono a fare ci e, certamente, almeno per ora, non c' nessuna banca italiana. Allora, pi modestamente, la banca retail medio-piccola deve lavorare sul banking tradizionale. Ad esempio, la Cassa di Verona, ma l'hanno fatto anche tante altre banche, ha seguito una strategia di infittimento della presenza sul territorio. Per, la nostra banca, a differenza di molte altre, si espansa aprendo degli sportelli super leggeri, con costi iperidotti in territori periferici a forte dinamismo economico, ma con scarsa presenza bancaria. Questa una forma di innovazione organizzativa! Bisogna partire dai propri punti di forza, bisogna chiedersi: "cos' che so fare veramente bene, dov' che metto paura agli altri?" Per quanto investiremo nell'area titoli, non riusciremo mai a mettere paura a nessuno. Uno della Comit, che ha la filiale a Londra e a New York, ti dice: "nella migliore delle ipotesi, passi per un ragazzone strano, cio un fissato; nella peggiore, per un incompetente". Invece, il nostro radicamento territoriale una cosa per cui la Deutsche Bank, se fa calcoli, dice addirittura: "E' troppo forte, non ci lotto neanche". A meno che non si compra una banca retail, la Deutsche Bank non ce la fa ad andare a Gozzo di Cadore. Allora, a Gozzo di Cadore, ho un primato nella distribuzione che infinito, e la Citibank ha paura di me, e l non si mette a ridere, ma dice: "Caspita, noi l non ci possiamo andare. Sono loro i pi forti". Perch se decide di andarci, succede che stavolta nel ridicolo cadono loro. Allora, qual il trucco dell'innovazione nell'attivit bancaria? Posto che il conto economico si asciuga, devo fare un set di iniziative, ma che tengano molto conto del canale distributivo, dove sono pi forte. Se sono pi forte con la clientela e il cliente mio, allora potrebbe essere la mia direzione generale che prende ac-

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cordi con la Comit oppure, a questo punto, - perch no? - bypassa la Comit e va con la Socit General o con la Abn-Amro Bank . Cos, posso dire al mio cliente, che per resta mio: "Guarda che accanto ai nostri fondi, grazie all'accordo con la Socit General o con la Abn-Amro Bank, hai a disposizione il fondo Pacifico". L'importante per le banche italiane che questo discorso deve essere fatto in modo molto pragmatico-empirico: "Riesco a vendere meglio di tutti sul territorio, faccio l'accordo con quell'azienda perch so che ha dei fondi e/o gestioni patrimoniali di un certo tipo, che non riuscirei mai a costruirmi in casa, salvo fare sforzi infiniti". Bisogna entrare nell'ottica di fare una sorta di franchising: "Sono quello che si limita a vendere al cliente quello che non saprei mai produrre". L'altra strada possibile , invece, quella di dire: "faccio partnership per riuscire a produrre, attraverso uno scambio di expertise, quello che fa l'altro". Per, di nuovo, a quel livello, credo che riescano a porsi soltanto alcune grandi banche, tipo Comit o Credit che possono dire: "Mi metto d'accordo con quest'altra banca, in modo che abbiamo lo sportello in comune a Hong Kong, o abbiamo questo e quell'altro". Ma, la banca un po' pi piccola non ci riesce. Purtroppo, spesso, il rischio della banca medio-piccola di fare i sogni da grande e di dire: "Perch no? Io, nei confronti dell'Abn-Amro Bank cosa sono?". Siccome le banche regionali negli anni passati hanno avuto quote di mercato alte e, quindi, hanno guadagnato di pi delle altre, hanno avuto la possibilit di sognare e di fare grandissimi errori senza avere problemi sul conto economico. Queste banche facevano questo ragionamento: "Caspita, alla fin fine guadagniamo di pi della Comit. Ma, perch? Perch siamo pi brave". In realt no, non era cos. E' che la Comit, da anni, aveva sperimentato condizioni di mercato pi competitive, perch aveva molti dei suoi sportelli nel centro storico e l lo spread era gi pi basso. Quindi, la Comit l'impatto negativo l'ha avuto prima perch aveva il concorrente banca regionale che era un monopolista. Queste banche hanno scambiato l'esser forti e avere migliori indici, per essere, in assoluto, pi innovative, creative e brave dal punto di vista manageriale. Si sono gettate in avventure del tipo merchant banking oppure nell'acquisizione di banche all'estero, in cui normalmente sono finite nel ridicolo, nel senso che hanno perso dei soldi per poi tornare indietro. Invece, bisogna essere consapevoli che queste banche erano pi forti perch erano pi radicate, pi vicine al cliente, davano comodit, vicinanza, informazione. Oggi, credo che bisogna lavorare sui canali distributivi - ed ognuno ha il suo modello - sulle risorse umane e sul fattore organizzativo. Ad esempio, noi trasformeremo degli sportelli nati leggerissimi in sportelli dimensionati. Qual il trucco? Dare a due persone - alcuni magari diplomati, ma in maggioranza laureati - la sensazione di essere, come minimo, un grosso negoziante, con in pi, il bastone da maresciallo e la prospettiva di poter diventare amministratore delegato. La Comit, la grande banca, ha tuttora una struttura media di 35 dipendenti a filiale, e alcune banche hanno anche 100 dipendenti. Non a caso la banca grande ha grandissime sacche di demotivazione perch il dipendente si sente un numero. Diversa , invece, la situazione della banca locale che apre degli sportelli iperleggeri, con due persone, un direttore e un secondo che si sente un piccolo Dio e che dice: "sono il gestore del bar, sono io che faccio questa cosa". Diventa decisivo riuscire a fare nella

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banca una struttura abbastanza snella, in cui si pu dare a tutti la sensazione, anzi, la realt di essere il piccolo gestore di una piccola struttura. Dire che questa un'innovazione sembrerebbe una sciocchezza perch i baristi hanno sempre gestito il bar in questo modo, ma il problema che stiamo parlando di un settore pietrificato come quello bancario, in cui se uno riesce a creare un meccanismo del genere, la rivoluzione. Quindi, secondo me, alla fine, si riesce di pi a portare utili con delle innovazioni di questo genere che hanno a che fare pi con il sociologia, la psicologia, l'organizzazione, che con l'innovazione finanziaria. La strada quella di valorizzare quella che la forza della banca, le quasi 5.000 persone che fanno Cariverona. Il sistema bancario basato sulla gente e la differenza grossa la fa se la gente motivata o non motivata. Un altro buon esempio di banca commerciale orientata al cliente senzialtro quello della Banca Popolare di Sondrio, 23 descritto da Pier Giorgio Picceni: La liberalizzazione degli sportelli non ha trovato impreparato l'istituto che aveva attuato, prima che ne scattassero gli effetti, una avveduta politica di presidio del territorio di elezione e di espansione - specie nelle province contermini a quella di Sondrio - ove aveva aperto una nutrita serie di insediamenti sotto forma di sportelli a operativit limitata (sportelli stagionali o sportelli di cassa e cambio) divenuti poi, a seguito della liberalizzazione stessa, agenzie o succursali a pieno titolo. L'estensione dei mercati di riferimento e una operativit caratterizzata da forte dinamismo, ha consigliato di stringere - a met degli anni '70 - alleanze di tipo operativo con un gruppo di banche popolari operanti nell'area lombardo-veneto-emiliana, alleanza finalizzata a sfruttare sinergie in ambito organizzativo e a concretare una presenza solida e operativamente forte sui mercati internazionali. La presenza sempre pi agguerrita di attorifinanziari,la loro ricca offerta di nuovi prodotti, nonch l'accresciuto livello della concorrenza bancaria (massicciamente presente in aree in cui si agiva pressoch in regime di monopolio), hanno anche indotto a promuovere la costituzione e ad entrare nella partecipazione azionaria dapprima di societ specializzate nei settori del leasing, del factoring, del credito a medio termine; quindi, qualche anno pi tardi, in altre per la gestione di fondi di investimento (oggi, il catalogo ne contempla quasi una ventina), di forme di investimento/assicurazione/previdenza, dell'intermediazione mobiliare e dei servizi di consulenza alle imprese. 23. La Banca Popolare di Sondrio ha chiuso il 1997 con un utile netto di oltre 40 miliardi, allo stesso livello del precedente esercizio. La raccolta globale, invece, salita del 21% a 17.875 miliardi; in particolare quella da clientela del 22,5% a 15.228 miliardi, di cui la diretta del 13,4% a 6.014 miliardi e l'indiretta del 29,3% a 9.214 miliardi. Gli impieghi economici segnano un progresso del 17,2% a 4.813 miliardi, quelli finanziari si sono collocati a 3.352 miliardi. Il patrimonio salito a 684 miliardi. La flessione del margine di gestione del denaro (281 miliardi, -2,1%), stata pi che compensata dal progresso del 23,2% delle commissioni da servizi e dei profitti di operazioni finanziarie. Nel 1997, inoltre, la Banca ha aperto altre 11 nuove filiali, per cui la rete distributiva composta da 118 dipendenze.

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Il che ha consentito all'azienda di tenere il passo con i maggiori competitori riuscendo, grazie alle alleanze operative e alle partecipazioni in societ eroganti prodotti innovativi, non solo di difendere le proprie quote di mercato nelle aree di presenza tradizionale, ma di guadagnarne in quelle di pi recente insediamento: il catalogo prodotti, costantemente arricchito, ha poi permesso di consolidare un'operativit a tutto tondo, simile, ovviamente tenuti nel debito conto i limiti dimensionali, a quella delle banche cosiddette "universali". Il cambiamento ha richiesto interventi massicci sulla preparazione e sulla riqualificazione del personale per la diffusione di una nuova cultura pi improntata al marketing, ai prodotti, al cliente; un deciso affinamento delle attivit di finanza e di tesoreria, nonch l'introduzione di strumenti e di processi mirati al controllo di gestione per centri di costo e di profitto. Tale evoluzione stata resa possibile e favorita nel suo progredire da investimenti massicci sul piano dei servizi informatici, quindi dell'adozione di nuove filosofie di fruizione intema delle basi informative (clientiserver - workflow management), sulla revisione dei processi, dall'introduzione di strumenti a supporto delle decisioni, dall'introduzione in uso di strumenti tecnologici innovativi (Cd Rom, sistemi esperti) e, infine, dalla creazione di reti telematiche sia geografiche che locali. I processi, le tecnologie, i nuovi attori che oggi si tende a ricomprendere sotto l'etichetta di "banca virtuale" (Atm, Pos, home banking, remote banking, cash management, E.D.I., promotorifinanziari)avviati/adottate/introdotti un tre-quattro anno or sono, segnano trend di crescita e di diffusione notevoli: gli investimenti che si vanno effettuando anche in ambito Internet-Intranet (i primi risalgono al 1994), hanno ulteriormente accentuato questa crescita e prefigurano concrete possibilit di ridisegno del modo di fare banca, del rapporto con il cliente, delle politiche di prezzo.

Anche la Cassa di Risparmio di Bolzano,24 nel racconto del sui Vicedirettore Generale Guido Collini, segue il modello della banca commerciale orientata al cliente. La Cassa punta tutto sull'efficienza dei servizi al dettaglio, arrivando persino a modularsi sul pluringuismo della clientela - tedesco, italiano e ladino:
Negli ultimi anni ci siamo dati una configurazione pi commerciale, cercando di fare nostro un modello di impresa privata consapevole delle opportunit offerte dal mercato e capace di cogliere quelle pi vantaggiose. Il primo obiettivo che ci siamo prefissi stato il rafforzamento dell'efficacia complessiva e l'instaurazione di un nuovo e pi stretto rapporto collaborativo tra uffici centrali e rete di vendita. Abbiamo, quindi, operato una prima suddivisione del nostro mercato d'influen24. La Cassa altoatesina ha un significativo movimento, avendo raccolto nel 1996 3.600 miliardi direttamente e 3.380 indirettamente. Gli impieghi sono stati sui 3.000 miliardi; l'utile di 30 miliardi; 1.113 i dipendenti con 74 sportelli tutti localizzati in provincia di Bolzano.

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za in tre aree funzionali, con una responsabilit operativa assegnata a capi area. Tali aree, facenti capo al Servizio Mercato, sono state successivamente suddivise in zone tipologicamente omogenee, ognuna delle quali seguita da un responsabile di zona, con mansioni di assistenza operativa ai preposti di filiale. Ecco, dunque, che esiste un collegamento efficiente, un diretto contatto tra la filiale e la direzione... Noi puntiamo ad eliminare la ripetitivit di operazioni che possono essere svolte negli uffici centrali, cercando di snellire il pi possibile il lavoro d front-office. Ridisegnando la filiale in tal senso, avremo un efficiente servizio di cassa, che da noi viene chiamato service, cio l'insieme di servizi ed operazioni di cassa che vogliamo garantire con velocit ed efficacia alla clientela. Puntiamo anche sulla qualit della consulenza, distinguendo quella privata da quella commerciale. Il consulente privato mette a disposizione la propria professionalit ed esperienza essenzialmente a favore di persone fisiche, mentre il consulente commerciale si occupa principalmente di imprese, societ o ditte. Anche la loro formazione professionale chiaramente diversa. Il nostro obiettivo, per quanto concerne le classiche operazioni di sportello, si prefigge la canalizzazione della clientela verso l'accennato service, mentre tutte le altre operazioni, quali investimenti, finanziamenti, et, sono competenza dei consulenti. Puntiamo, inoltre, sull'identificazione del consulente quale punto, o meglio persona di riferimento privilegiata, per il cliente, affidando a ciascuno di loro un certo numero di clienti da seguire costantemente in modo adeguato: il cliente deve sentirsi come a casa propria quando entra in banca, deve poter contare sul proprio consulente, avere fiducia in lui, o in lei, per ogni tipo di problema, anche per quelli non propriamente bancari ... foss'anche per chiedere un parere. Ormai, finito il tempo di considerare le banche come cattedrali, nelle quali entrare con un certo timore reverenziale, senza sapere dove rivolgersi, con un latente senso di inferiorit e di impotenza. No, da noi il cliente deve sentirsi a suo agio: consapevole di entrare nella sua banca, sa che la Cassa di Risparmio si prende cura dei suoi bisogni e dei suoi problemi, ai quali cerca comunque di dare una risposta. Ormai, la banca un negozio commerciale come tutti gli altri, che deve vendere i propri prodotti. Questa vuol essere la nostra filosofia: una banca commerciale moderna al servizio della clientela. Per questo stiamo coltivando la nostra nicchia di mercato che rappresentata dall'ambito provinciale. Qui, nel nostro territorio, esiste il bilinguismo, la lingua tedesca e quella italiana ... e noi ci siamo strutturati per rispondere ai bisogni di entrambi i gruppi etnici, anzi ai bisogni di tre gruppi etnici, in quanto esiste anche il gruppo ladino. Nelle nostre filiali in Val Badia o in Val Gardena, i nostri clienti parlano in ladino con i nostri collaboratori e, quindi, ci considerano veramente come la loro banca di casa.

Le banche commerciali orientate al cliente ritengono che l'introduzione dell'euro comporta la riduzione dei proventi da negoziazioni in cambi, dei proventi per operazioni di copertura dai rischi di cambi, dai proventi su titoli e dallo spread medio. Nella transizione all'euro, queste banche progettano alcune delocalizzazioni, ad esempio verso l'este58

ro, verso fondi lussemburghesi o verso strategie della Borsa di Londra, per sfruttare i differenziali fiscali e le abilit professionali. Infine, investono per anticipare i cambiamenti dal punto di vista del personale, applicando la contrattualistica europea: Negli ultimi dieci anni, la Cariverona ha vissuto profondi cambiamenti. Ha, per cos dire, cambiato pelle, abbandonando gradualmente il ruolo di "Cassa di Risparmio" intesa in senso tradizionale, per assumere quello di una moderna banca commerciale, particolarmente attenta al fondamentale processo di globalizzazione dei mercati internazionali. In questa direzione si inserisce, ad esempio, l'apertura della nostra full branch di Londra che potremmo definire come la longa manus di Cariverona sulle principali piazze finanziarie mondiali. Cos come nella medesima ottica va letto l'avvio di una succursale in Irlanda, a Dublino, da dove si riescono a sviluppare con relativa semplicit e con notevole immediatezza importanti operazioni di carattere finanziario. Inoltre, recentemente abbiamo allestito una societ di gestione fondi comuni, insediandola in Lussemburgo in modo da poter sfruttare la tempestivit (cinque-sei settimane) e la snellezza operativa con cui, in quella realt, si riescono a predisporre gli strumenti finanziari verso cui alcuni settori della nostra clientela stanno dimostrando una crescente attenzione. (Luciano Gornati).

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IL MODELLO DI BANCA VOTATA ALL'ACCOMPAGNAMENTO DELLE IMPRESE

Vi sono banche che, acquisendo e praticando anche coalizioni con gruppi internazionali, puntano decisamente alla internazionalizzazione delle reti di accompagnamento alle imprese, alla remunerativit dei servizi di eccellenza e alla innovazione finanziaria. Le banche, in questo caso, sono anche guidate e hanno nel consiglio di amministrazione imprenditori delle cosiddette "multinazionali tascabili". Questo tipo di banca, non trascura il profilo di infittimento territoriale, che anzi ha caratteristiche sovraregionali, ma sta rafforzando una strategia nelle "reti lunghe" della internazionalizzazione, del credito a medio termine, dell'investment e del merchant banking. Sono anche queste banche locali che pi che pensare alla testa delle grandi privatizzazioni nazionali si candidano per accompagnare i processi di privatizzazioni che hanno interessi territoriali, come ad esempio quella delle Autostrade da parte del Gruppo Iri. Un caso senz'altro molto interessante di banca votata all'accompagnamento delle imprese quello della Banca Antoniana Popolare Veneta di Padova, nata a fine 1995 dalla fusione tra le due Popolari padovane, dopo un secolo di guardingo buon vicinato. L'Antoniana era simbiotica agli ambienti cattolici ancora influenti nella citt del Santo. La Veneta era pi prossima ai circoli industriali di matrice laica, ma anche alla vecchia comunit ebraica locale. Due storie parallele anche nel primo salto di qualit a met degli anni '80: la partecipazione (assieme alla Popolare di Verona e alla Popolare Vicentina) al patto di sindacato dell'Ambroveneto. Uscite dal Banco, le "quattro sorelle" diventano concorrenti e l'Antoniana, presieduta da Dino Marchiorello (produttore di 60

metropolitane per le capitali di mezzo mondo) e diretta prima da Aniceto Vittorio Ranieri e poi da Silvano Pontello, si lancia per prima sulla strada delle acquisizioni: le filiale italiane del Credit Commercial de France (Roma e Torino) e della Barklays (Milano e Bologna, due Banche Popolari in Friuli (Codroipo e Gemona), una in Emilia Romagna (Faenza), due in Calabria (Polistena e Palmi),25 poi il Credito Lombardo e la Kreditna Banka di Trieste,26 prima di impostare l'acquisto (perfezionato nei primi mesi del 1997 per 831 miliardi) di Interbanca e di 55 sportelli dalla Banca di Roma (per 4/5 tra Lazio e Lombardia con alcune appendici in Emilia Romagna). Nel frattempo, la Veneta di Antonio Ceola (oggi vicepresidente dell'Antonveneta) acquisisce il controllo del Credito Industriale Sanmarinese, apre una filiale in Lussemburgo e propone alla Vicentina una fusione (in cui avrebbero dovuto avere un ruolo anche le Popolari di Castelfranco e di Asolo-Montebelluna27) che

25. Con le due banche nata la Banca Regionale Calabrese. Inoltre, sempre nel Sud, all'inizio del 1998 PAntonVeneta ha rilevato l'intero capitale della Banca Popolare Jonica con sede a Grottaglie, in provincia di Taranto (15 sportelli, 160 dipendenti, 612 mld. di raccolta diretta, 445 mld. di indiretta, 218 mld. di impieghi, 74,5 mld. di patrimonio e 6,7 mld. di utile). 26. L'acquisto della Kreditna Banka di Trieste stato perfezionato nel 1997 dalla Banca Popolare di Brescia. La banca era tecnicamente fallita e, quindi, si trattato di un vero e proprio salvataggio. Secondo la dirigenza dell'Antonveneta, la Nuova Banca di Credito di Trieste rappresenta un primo tassello che dovrebbe consentire un'espansione diretta all'estero lungo la direttrice orientale: Slovenia e Croazia e, in futuro, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia e Romania. 27. La Banca Popolare di Asolo e Montebelluna - che conta 54 sportelli, 1.700 mld di raccolta diretta, 2.200 mld di indiretta, 440 mld di patrimonio, 1.500 mld di impieghi, 330 mld di free capital e 10.000 soci - ha riprogettato la sua autonomia. Dal racconto di Renato Merlo, Direttore della Pianificazione e Controllo della banca, infatti, emerge il passaggio da una strategia autonomistica basata su scelte operative che privilegiavano un'espansione incrementale sul territorio e un forte turn over di personale con massicce assunzioni, ad una strategia di "autonomismo snello" che propende per un consolidamento dei presidi esistenti, per una fidelizzazione della clientela attraverso la stabilit del personale di sportello di riferimento, l'esternalizzazione di tutti i processi produttivi e gestionali. La banca si cerca sul mercato i prodotti di innovazione finanziaria e possiede un efficientissimo ufficio estero-sviluppo. Esiste anche una rete di corrispondenti esteri ed una partecipazione a banche slave. Secondo Merlo la scelta autonomista regge a due precise condizioni: 1. aumentare l'efficienza interna esternalizzando quanto possibile, snellendo e comprando buoni prodotti sul mercato; 2. presidiare la quota di mercato attuale - 12% nella Marca Trevigiana - per avere la massa di risparmio che consente di beneficiare del circuito depositi-impieghi.

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viene, per, bloccata dalla linea autonomista di Gianni Zonin. Prima che la Veneta entri pericolosamente nel mirino di qualche grande banca, Pontello e Ceola negoziano in un mese una fusione alla pari che ha fatto nascere un polo da 400 sportelli e da 20 mila miliardi di depositi che ha anche stabilito dei collegamenti internazionali importanti - al capitale partecipano l'Abn-Amro Bank28 e l'Allianz-Lloyd Adriatico. La Anton Veneta ha grandi ambizioni, come testimonia il progetto di privatizzazione di Autostrade, maturato proprio su impulso di Marchiorello e di un altro azionista di spicco: Gilberto Benetton. La dirigenza della Popolare padovana non fa mistero di guardare a tutta l'Italia settentrionale, ed in particolare al Nordest, come ad un mercato di fatto sottosviluppato dei servizi finanziari per le medie imprese sia nel campo dei finanziamenti classici che in quello innovativo del merchant banking. Interbanca, in prospettiva,

28. L'Abn-Amro Bank di Amsterdam possiede una quota importante del capitale dell'AntonVeneta (si parla del 10%, ma occorre ricordare che la banca una cooperativa e non una SpA) e le due banche sono state azioniste dal 1994 della Cimo (80% Abn e 20% AntonVeneta), una delle pi importanti Sim di Milano, integrata nell'Abn-Amro Hoare Govett, la divisione internazionale di investment banking della banca olandese. Recentemente le due banche hanno dato vita ad una nuova joint venture neU'asset management, la AntonVeneta Abn-Amro Bank, controllata pariteticamente ma che, ai fini della vigilanza, fa parte del gruppo creditizio dell'Anton Veneta (cfr. A.Q., AntonVeneta-Abn, una banca per l'asset, Il Sole 24 Ore, 2 gennaio 1998, pag. 27). Amministratore delegato l'olandese Henk Ruitenberg, che coordina uno staff di una trentina di persone, tra analisti, operatori e back-office. L'attivit strategica d'investimento viene orientata da un comitato che si riunisce una volta alla settimana e che si avvarr dei supporti di Abn-Amro Hoare Govett, che opera in tutti i principali mercati del mondo. La nuova banca partita con una base di lavoro di circa 3 mila miliardi, interamente sotto forma di gestioni patrimoniali mobiliari provenienti sia dalla Cimo che dall'Anton Veneta.. L'obiettivo di crescita nel breve periodo fissato in 10 mila miliardi di fondi amministrati, per ora solo nel segmento gpm: E' un nuovo servizio che offriamo a tutta la nostra clientela, che ormai sparsa in 29 province di 8 regioni. L'attesa dell'euro sta determinando un ribasso strutturale dei tassi, ma soprattutto la consapevolezza diffusa che i risparmi vadano gestiti in chiave professionale e internazionale. Non solo nel Nordest esiste una domanda crescente di servizi di qualit e la nostra partnership con l'Abn-Amro una risposta all' esigenza di offrire soluzioni globali ad una clientela locale (Silvano Pontello).

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dovrebbe dunque diventare una vera banca d'affari, la "Mediobanca del Nordest".29 D'altra parte nel capitale della Banca (circa 30.000 soci) sono presenti molti imprenditori di spicco del Veneto - come Marchiorello, Benetton, Tognana, Carrara, Tabacchi, Macola, etc. - che danno vita ad un azionariato di riferimento. Silvano Pontello illustra questa evoluzione recente della Banca e le sue strategie:
Analizzando la recente evoluzione in atto nel sistema bancario/finanziario possiamo certamente affermare che la graduale liberalizzazione, forse perch siamo stati tra i primi a cogliere le opportunit offerte, ci ha favorito. Siamo stati, infatti, tra i primi, non appena possibile, ad aprire sportelli individuando la necessit, per noi, di accelerare la nostra crescita. Bisogna tener conto che nel '90, le due banche che hanno poi costituito la Banca Antoniana Popolare Veneta, avevano dimensioni ben minori. La Banca Antoniana, ad esempio, contava allora 54 sportelli, le due banche unite, oggi ne contano 361. E' stata proprio la spinta generata dalla liberalizzazione che ha favorito il movimento di crescita. Siamo, inoltre, una banca che opera in una delle zone pi ricche del Paese, non solo per le potenzialit dirisparmio,ma anche per le innumerevoli iniziative imprenditoriali. Essendo fortemente radicati in queste nostre zone, abbiamo, probabilmente, potuto sfruttare, in funzione della nostra approfondita conoscenza del territorio socio-economico, gli effetti della liberalizzazione pi di altri. Oggi, le nostre zone di principale operativit restano il Veneto, Friuli e Lombardia, ma siamo presenti capillarmente anche in Emilia Romagna e in Lazio e contiamo alcuni sportelli in Liguria, Piemonte ed anche in Calabria attraverso nostre controllate. Quindi, operiamo soprattutto in un territorio particolarmente dinamico e caratterizzato da grandi potenzialit di risparmio, ma anche da imprenditorialit diffusa. Da questo contesto deriva anche la nostra ampia base societaria, che si identifica poi, in larga parte con la nostra clientela. Proprio per rispondere alle istanze di questi clienti-soci abbiamo operato la fusione fra Antoniana e Popolare Veneta. Una fusione, ricordo, proposta dai consigli delle due banche "venete" ad approvata all'unanimit dalle rispettive assemblee. Tanto era sentita la validit di un'operazione di questa portata che i consiglieri non hanno esitato a procedere pur consapevoli che la nascita del nuovo soggetto avrebbe significato per alcuni di loro la rinuncia all'incarico. La crescita economica e culturale di questo territorio, gi modello per l'Italia ed anche per l'Europa, richiedeva del resto un istituto di credito in grado di offrire in modo diffuso e capillare, anche in forza delle sue aumentate dimensioni, prodotti e servizi sia nuovi che tradizionali, comunque adeguati alle nuove esigenze. Ad esempio, la consulenza in tema di strategiafinanziariaalle imprese, che in precedenza non rientrava nella nostra specifica "missione" e che veniva fornita occasionalmente, a pochi, dai vertici dell'azienda o da societ specializzate di categoria come l'Arca, oggi con le mutate dimensioni, ma anche con la riorganizzazione resa possibile dalla fusione, diventa un servizio tipico e qualificante della nostra banca offerto su tutto il territorio dove operiamo presso le nostre aree decentrate. 29. Cfr. Giulio Di Palma, La Mediobanca del Nord Est, La Repubblica Affari & Finanza, 23 febbraio 1998, pag. 11.

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La stessa fusione ci ha consentito di dar vita ad un gruppo bancario di tutto rispetto, tuttora in fase di progressiva evoluzione, formato oggi dal Credito Lombardo, dal Credito Industriale Sammarinese, dalla Banca Popolare di Faenza, dalla Nuova Banca di Credito di Trieste, dalla Banca Popolare di Polistena, dalla Banca Popolare di Palmi e da Interbanca. Ed proprio Interbanca, recentemente acquisita, al centro delle nostre iniziative al servizio delle imprese e centro di assistenza per tutta la nostra rete di gruppo su questi temi. Si tratta va di una societ che seguivamo da tempo con interesse, e che era - ed - una banca specializzata nel medio-lungo termine con grandi potenzialit, rimasta negli ultimi anni un po' in ombra. A nostro giudizio, avrebbe dovuto diventare banca d'affari fin dai primi anni '90, ma difficolt interne legate al lungo conflitto fra i vecchi principali azionisti avevano impedito questa evoluzione. Questi ritardi si sono rivelati in seguito per noi un vantaggio in quanto quell'istituto, proprio in relazione alla pi ridotta dinamicit degli ultimi anni, non ha risentito dei grandi guasti prodotti da operazioni "selvagge" in cui quasi tutti i diretti concorrenti si sono gettati. Basti pensare, del resto, che su 10.000 miliardi di impieghi, le sofferenze sono attestate sul 2%, dato veramente modesto. Con le possibilit nel frattempo offerte anche dalla nuova normativa (Testo Unico) che andata verso la despecializzazione, abbiamo quindi immaginato di acquisire al gruppo proprio Interbanca per ampliare immediatamente la sua attivit anche nel campo delle banche d'affari, al servizio ed in stretto collegamento con tutto il gruppo. L'acquisizione, avvenuta secondo i nostri piani, e la trasformazione in banca d'affari, risultata possibile grazie alla presenza di uomini d'esperienza e grandi capacit come il Presidente Antonio Ceola e l'Amministratore Delegato Giorgio Cirla che, proprio in questa fase, stanno creando le condizioni per far produrre al meglio l'istituto secondo i nostri disegni. In questo modo, nessuno dei nostri clienti o soci dovr rivolgersi ad altre banche per qualsiasi esigenza perch il gruppo barc^ cario Antoniana Popolare Veneta ormai in grado di svolgere qualsiasi operazione in Italia e all'estero. Questa operazione stata ben compresa dai nostri soci. Basti ricordare come un aumento di capitale da noi pensato e proposto per 300 miliardi all'inizio dell'anno, si sia poi concluso con sottoscrizioni per 600 miliardi. Oggi, la nostra rete, a livello di gruppo, costituita da oltre 400 sportelli e pu offrire, come detto, una gamma di servizi a tutto campo. Non pretendiamo di essere il San Paolo o l'AmbroCariplo, ma aspiriamo ad essere un gruppo di riferimento per una macroregione di riferimento. Per far questo abbiamo bisogno di alleati potenti e, da tempo, i nostri partners li abbiamo individuati in Abn-Amro Bank, gruppo bancario olandese di dimensioni mondiali e in Lloyod Adriatico del gruppo assicurativo tedesco Allianz. Interessi convergenti fra noi e questi gruppi, garantiscono la soddisfazione di tutti. Da parte nostra, attraverso la loro collaborazione e le loro reti di filiali, siamo in grado di offrire gli stessi servizi di bancassicurazione in tutto il mondo. Per loro, la nostra rete agisce da struttura distributiva privilegiata. Naturalmente, anche collocare loro prodotti, per noi, vuol dire reddito. Inoltre, con due partners di questa levatura, ci sentiamo ben protetti da eventuali aggressioni esterne che anche in questi giorni prendono di mira altri istituti. Infine, per quanto riguarda l'estero, la banca ha degli accordi con pi di 700 corrispondenti in tutto il mondo, fagli Stati Uniti al Nepal, collegati via swift e questo ci permette l'esecuzione in tempi brevissimi di pagamenti, bonifici, crediti documentari, etc. La possibilit di utilizzare, in base alla convenienza per il cliente, i nostri partners o i nostri corrispondenti ci permette pertanto di dare la giusta risposta a tutte le esigenze legate sia alla finanza che al commercio internazionale della clientela.

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Un altro caso interessante senzialtro quello della banca Agricola Mantovana raccontato dal suo Direttore Generale Mario Petroni. 30 Si tratta di una banca radicata territorialmente con 32.000 soci e un consiglio di amministrazione in cui siedono alcuni imprenditori importanti come Callisto Tanzi e Steno Marcegaglia.31 L'azione della Barn conseguente ad una politica di rafforzamento territoriale (dal '92 al '96 sono state aperte 47 nuove agenzie), si vista la fusione della Banca del Credito di Suzzara e della Banca Operaia di Bologna, ma soprattutto una strategia espansiva basata sulle aggregazioni al cui servizio sono stati destinati 835 miliardi in questi anni. Risorse indirizzate all'acquisto di una serie di societ fra le quali Cooperbanca per 220 miliardi, Banca Steinhauslin per 127 miliardi, Popolare della Marsica per 85 miliardi, Popolare di Abbiategrasso per 350 miliardi, gruppo Sipaf per 20 miliardi e Intermobiliare Securities Sim per circa 35 miliardi. La banca dispone di 750 miliardi xfree capital che potrebbero essere utilizzati per nuove acquisizioni:

30. Dal punto di vista della dimensione finanziaria, la Barn presenta questi dati: nel 1996 ha totalizzato una raccolta diretta di 7.728 miliardi con un incremento del 10,56% rispetto al '95, mentre la raccolta indiretta ha superato i 9.000 miliardi con una crescita dell'8,88% sul '95; la raccolta complessiva ammontata, quindi, a 16.745 miliardi con un incremento del 9,53% rispetto al '95. Gli impieghi ammontavano a 6.048 miliardi, mentre le sofferenze si attestavano al 3,72%. Il patrimonio era pari a 1.276 miliardi e l'utile netto a 70 miliardi per un Roe del 5,77%. per quanto attiene al bacino territoriale di riferimento e di azione la Barn presente con 123 sportelli in Lombardia, distribuiti sulle province di Mantova, Bergamo, Brescia, Como, Cremona, Milano e Varese. La presenza poi massiccia in Emilia Romagna, con 42 sportelli distribuiti tra Bologna, Ferrara, Modena, Parma, Piacenza e Reggio Emilia; pi contenuta la presenza nel Veneto, dove funzionano 13 sportelli nella provincia di Verona ed uno in quella di Rovigo. Nel complesso al 31/12/1996 gli sportelli Barn erano pari a 179 unit, mentre il totale dei dipendenti era di 2.014 unit. 31. Il consiglio di amministrazione della Barn composto dal cavaliere del lavoro Pier Maria Pacchioni (Presidente), dal Prof. Roberto Gianolio (Vice-Presidente), dal Prof. Erio Castagnoli docente alla Bocconi, dal ragionier Jules Castagnoli, commercialista, dal notaio Stanislao Cavandoli, dal ragionier Roberto Colaninno, amministratore delegato della Olivetti e della Sogefi, da Luigi frati, imprenditore mantovano del legno, da Calisto Tanzi della Parmalat, dall'imprenditore meccanico bresciano Ettore Lonati, dall'imprenditore mantovano Steno Marcegaglia, dall'imprenditore bolognese Giandomenico Martini, dal Dott. Giancarlo Pareschi, dal Conte Carlo Petrobelli, dall'Ing. Livio Volpi Girardini e dall'imprenditore bergamasco del settore dei formaggio Antonio Zanetti (fratello di Emilio, presidente della Banca Popolare di Bergamo).

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La Banca Agricola Mantovana si caratterizza essenzialmente per il radicamento sul territorio, ovviamente riferito alla provincia di Mantova. In tale zona Barn detiene una quota veramente molto importante del mercato del credito, con particolare riferimento alla raccolta diretta ed indiretta della clientela. Negli ultimi anni, la banca, oltre a potenziare il radicamento sul territorio storico, si allargata in quelle aree in cui ha ritenuto opportuno insediarsi, in zone di province contigue, oppure anche mediante un'espansione per linee esterne; in questo ultimo caso, ovviamente, l'espansione stata sempre indirizzata a cercare d'identificare entit bancarie aventi caratteristiche analoghe a quelle della banca Agricola Mantovana. Attualmente la banca ancora in una fase di espansione: in cantiere un certo numero di aperture sempre nelle zone vicine e contigue, dove abbiamo una profonda conoscenza del mercato, e ci anche alfinedi poter far puntualmente fronte alle difficolt economiche congiunturali e, quindi, di verificare la rischiosit nella misura pi approfondita possibile. Oggi come oggi, la Barn ancora segnata da una "mantovanit forte". Le imprese che nel tempo sono state accompagnate nella crescita dimostrano uno straordinario attaccamento alla banca. La Barn viene considerata la merchant bank di famiglia e la raccolta non certo "portata fuori". Il sostegno alle attivit produttive ha determinato il cambiamento del tessuto produttivo con cui la banca cresciuta in simbiosi: La maggior parte delle imprese di una certa entit che sono allocate sul nostro territorio sono sorte con l'appoggio della Banca Agricola Mantovana, piccolo e grande non ha importanza, ma un appoggio che si poi tramutato in uno straordinario rapporto d'affetto. E allora, in imprese che fatturano 20-25 miliardi per arrivare fino a quelle che fatturano 300-400 o 2.000, cosa si avverte? La sensazione che in maniera quasi inconsapevole la Barn stata e viene considerata la merchant bank di famiglia. Viaggiando, come spesso faccio, presso le filiali sparse, recepisco questo forte messaggio e la domanda che mi viene posta sempre quella: "ma, voi, per caso, le somme che raccogliete in provincia di Mantova, non sarete intenzionati ad impiegarle in altre province?". E ovviamente la nostra risposta non pu non essere che la prima cosa a cui pensiamo di privilegiare la mantovanit, e non solo delle imprese, ma di tutte le istituzioni e pubbliche amministrazioni locali. Il sostegno che la banca ha fornito alle attivit economiche della provincia ha consentito proprio la trasformazione del tessuto produttivo. Da prevalentemente agricolo, progressivamente si trasformato in industriale-agricolo con effetti benefici sui piani dell'occupazione gi predisposti, ma soprattutto sulla creazione continua di posti di lavoro. E' stato un processo che, creando nuove aziende, ha generato nuove opportunit di lavoro con, ovviamente, la trasformazione del settore agricolo in settore artigianale ed industriale. La banca cresciuta in simbiosi con questa evoluzione, la crescita straordinaria della raccolta da clientela realizzata dovuta alla ricchezza che s'andava producendo: credo che sia proprio un caso che, se non unico ce ne sono altri in Italia - sicuramente tipico di questa banca (Mario Petroni).

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Nel marzo 1998 stato reso noto dai consigli di amministrazione della Barn e della Caer-Carisbo di aver fatto richiesta alla Banca d'Italia l'autorizzazione ad attivare contatti volti alla verifica di possibili combinazioni tra i due istituti bancari. L'obiettivo quello di dare vita ad un nuovo gruppo creditizio forte di circa 600 sportelli e oltre 65 mila miliardi di raccolta complessiva. Una realt bancaria concentrata in una delle aree pi ricche del Paese tra Lombardia, Emilia, Marche e parte della dorsale adriatica. Due soli i punti di sovrapposizione significativi, a Bologna e Reggio Emilia. L'integrazione avverrebbe a livello delle due holdings (la Barn dovrebbe prima essere trasformata in SpA) e dei servizi di back office, lasciando intatte le specificit operative della rete di banche aggregate. L'avvio dell'intesa tra il gruppo Barn e il gruppo Caer-Carisbo ha trovato sostegno dalla presenza di Unipol come partner di entrambe le banche. Il Credito Agrario Bresciano rappresenta un altro caso molto interessante di banca votata all'accompagnamento delle imprese.32 Corrado Faissola, Consigliere Delegato del Cab (ma anche uno dei principali azionisti), considera la presenza CdA di alcuni importanti imprenditori di successo come la vera fonte del vantaggio competitivo della banca:

32. Il Credito Agrario Bresciano ha una raccolta diretta di circa 12.000 miliardi, mentre la massa totale amministrata ha raggiunto i 25.472 miliardi nel 1997. L'utile netto stato di 98,6 miliardi con un Roe del 12,4% e con un rapporto impieghi/sofferenze che quasi da primato: 2,1%. Il Cab una banca di medie dimensioni che in questi ultimi 10 anni ha avuto un grande sviluppo, passando da meno di 80 sportelli ad oltre 240 con circa 2.500 dipendenti (a livello di gruppo). Tra il 1989 e il 1991, arrivato ad aprire anche 20 sportelli all'anno, partendo da 75, perch voleva arrivare per primo su certe piazze. La banca ha una importante presenza in alcuni dei territori pi dinamici dal punto di vista economico-produttivo del Nord del Paese. Ha un forte radicamento in Lombardia, soprattutto in nelle province di Brescia e Bergamo, ma grazie all'acquisizione della Banca Lombarda ha acquisito un forte radicamento a Milano e nell'hinterland milanese, passando da 7-8 sportelli a circa 50 in quest'area. Ma, allo stesso tempo la banca ha anche delle diramazioni in Veneto, dove presente in quasi tutti i capoluoghi di provincia e in qualche centro industriale importante come Schio e Montebelluna. In Friuli-Venezia Giulia, la banca ha una presenza ancor pi capillare, costruita in questi anni soprattutto attraverso l'acquisizione di banche locali come la Banca Carnica. Poi, presente a Torino, ma solo in modo marginale perch ha quattro sportelli, e in Valle d'Aosta (ha rilevato la Banca della Valle d'Aosta). Invece, ha una presenza ormai abbastanza significativa in Liguria, dove ha acquisito due piccole banche, di cui una delle quali, la Banca Popolare di Genova e San Giorgio, stava fallendo nel 1992. Adesso, in Liguria abbiamo

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Credo che il Credito Agrario Bresciano abbia delle caratteristiche quasi uniche in Italia, sia dal punto di vista della struttura e composizione dell'azionariato, sia dal punto di vista delle strategie operative. Nell'azionariato della nostra banca c' una forte presenza di imprenditori industriali. C' un sindacato di blocco, forte del 46,6%, che controlla oltre il 50% del capitale della banca, mentre gli altri sono piccoli azionisti. La filosofia, la politica e la strategia della banca sono gestite da un gruppo di imprenditori, integrato da persone che possiedono grandi competenze tecnicoprofessionali. Nel consiglio di amministrazione siedono, infatti, alcuni dei principali esponenti dell'imprenditoria bresciana e bergamasca - Radici, Lucchini, Beretta, Nocivelli ed altri imprenditori forse meno importanti dal punto di vista dell'immagine, ma molto forti sul territorio, come Adriano Rodella (ex-proprietario della Filo d'Oro) o Virgilio Fidanza (che fa ciabatte di plastica e le esporta in tutto il mondo). Questi rappresentano una nuova generazione di imprenditori; sono degli emergenti che 20 anni fa non esistevano. Poi, ci sono anche persone che non sono degli imprenditori in proprio come me o il Prof. Cattaneo, docente di economia aziendale, grande professionista e sindaco della Banca d'Italia. Il nostro presidente appartiene alla dinastia dei Folonari (il ramo dei discendenti di Nino Folonari, un tempo vicepresidente della Comit, da sempre azionista del Cab), proprietaria della casa Chianti Ruffino. Poi, c' il notaio Mario Ambrosione, che insieme con il conte Fenaroli, rappresenta la continuit con quella che pu essere considerata la base storica originaria del Cab, quel gruppo di famiglie che hanno fondato la banca oltre 100 anni fa. Infine, nel consiglio di amministrazione c' il Dott. Antonio Spada, che un finanziere.

quasi una ventina di sportelli che sono per la banca molto importanti perch rappresentano un forte bacino di raccolta pi che di impiego: in Liguria si raccoglie 100 e si impiega 40-50, mentre nelle altre aree di radicamento della banca, si raccoglie 100 e si impiega 100. Infine, la banca dispone di un importante polo nel Lazio e, quindi, fuori della propria zona tradizionale, avendo acquisito la Banca del Cimino in provincia di Viterbo. Si tratta di una banca leader in quella provincia, con il 20% di quota di mercato. Aveva diversi problemi, ma stata riportata in equilibrio. Questa acquisizione ha portato il Cab ad ampliare la propria presenza anche su Roma citt, dove ha dieci punti operativi. Attualmente, l'attenzione della banca puntata sulla possibile acquisizione della Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza. Alla fine del 1997, infatti, il Cab ha rilevato direttamente il 10% della Cariparma, siglando un accordo con la Fondazione Cassa di Risparmio di Piacenza e altri azionisti privati della Cassa, che le consente di arrivare al 25% pi un'azione, una posizione che impedisce la convocazione dell'assemblea straordinaria. La eventuale conquista di Cariparma consentirebbe al Cab di fare un vero e proprio salto di qualit. Nascerebbe un gruppo con 500 sportelli e 28.000 miliardi di depositi. Trattative tra le parti sono in corso: Non siamo tanto sciocchi da provare a scalare una banca la cui maggioranza saldamente nelle mani di un altro. Offriamo un accordo di collaborazione anche alla Fondazione Cassa di Risparmio di Parma che controlla il 51% della SpA per consentire alla banca che controlla di raggiungere quella redditivit che potenzialmente ha, ma che ancora le manca (Corrado Faissola, citato in Vincenzo Del Giudice, Cab a Silingardi: trattiamo, Il Sole 24 Ore, 5 marzo 1998, pag. 33).

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Negli ultimi dieci anni, c' stato un ampliamento e un rinnovamento della base del nostro azionariato. Dieci anni fa i principali azionisti erano Lucchini, Beretta e Folonari, oggi ci sono alcuni dei nuovi imprenditori pi affermati come Nocivelli. Radici, Rodella, Fidanza, etc. Allora il sindacato di blocco controllava circa il 30% del capitale della banca, oggi controlla oltre il 50%. Questo ampliamento avvenuto in modo assolutamente tranquillo e sereno, con il consenso di tutte le parti, perch non si diventa azionisti di riferimento del Cab se tutti non sono d'accordo. Come si vede c' una forte presenza di imprenditori e, quindi, si pu dire che c' una strettissima connessione tra l'azionariato della banca e il mondo dell'impresa. Questo elemento, ovviamente costituisce un grandissimo vantaggio competitivo per la banca, in quanto le consente di esprimere delle politiche di intervento creditizio che sono in sintonia con le esigenze del tessuto imprenditoriale, le consente di essere vicino, a sostegno dell'impresa. Dal punto di vista del fare banca, la nostra filosofia basata sulla necessit si assicurare l'equilibrio tra raccolta ed impieghi. Noi partiamo dal presupposto che la tipologia della nostra banca e la struttura del nostro azionariato sono tali per cui non possiamo assolutamente, neanche lontanamente, immaginare che si possano verificare delle crisi di liquidit. La banca, infatti, non gode di grandi appoggi. 1 suoi azionisti sono tutti imprenditori e personaggi importanti, ma sono tutti piccoli rispetto all'entit globale del patrimonio della banca; al massimo, potranno valere un 5% e, inoltre, le loro risorse finanziarie sono investite in altre attivit. Per questo, la nostra filosofia operativa quella dell'equilibrio tra attivo e passivo, clientela su clientela, e non attraverso operazioni sull'interbancario, perch quest'ultimo non asseconda pi una banca che si dovesse eventualmente trovare ad affrontare momenti di crisi di liquidit. Noi vogliamo avere i nostri bacini di raccolta perch vogliamo avere un frazionamento della clientela. Migliaia di clienti, ognuno dei quali ci porta un pezzettino, per cui se uno se ne va, non capita nulla e ce ne andiamo a cercare un altro. Invece, se prendo 2.000 miliardi da 10-15 banche che me e ne danno 100-150-200 ognuna, il giorno che due o tre mi chiedono di rientrare, la banca va in crisi.

Per Faissola, il punto di forza della strategia del Credito Agrario Bresciano sta nell'intenso rapporto che si sviluppato in questi anni tra la banca e le imprese del territorio di riferimento:
Un punto di particolare forza della banca, e su cui puntiamo moltissimo, sicuramente quello del rapporto con l'impresa, sia nel settore dell'erogazione del credito che in quello dei servizi correlati. Tutti sostengono che nelle nuove condizioni date dal mercato e dalla concorrenza europea, il margine di interesse, lo spread, il fare banca tradizionale non pi sufficiente. Questo sicuramente vero, per, dal nostro punto di vista, rimane assolutamente fondamentale che la banca sia, comunque, in grado di fare il mestiere tradizionale e nobile della banca che quello di erogare il credito. Mi considero un banchiere tradizionale, perch credo,

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per principio, che per fare il banchiere bisogna fare certe cose che si sono sempre fatte. Oggi, peraltro, la banca deve svolgere la delicata funzione di erogazione del credito in modo diverso da come la svolgeva una volta. Non basta pi dare i soldi, non basta pi andare a vedere lo stato patrimoniale dell'impresa, ma bisogna erogare il credito e, allo stesso tempo, implementare i servizi di consulenza e di assistenza alla clientela. Questo un punto fondamentale. Questa una banca che ha, come obiettivo centrale, quello di essere una banca che eroga credito e servizi all'impresa. Sottolineo questo perch oggi tutti parlano di servizi. Il servizio un elemento importantissimo, per, se viene un imprenditore bresciano o bergamasco o milanese e presenta un progetto per finanziare il quale occorrono 10 miliardi, la banca non pu dirgli che gli d tutta la consulenza possibile ed immaginabile, ma non prende il rischio dei suoi 10 miliardi. Quell'imprenditore, ovviamente, andr da un'altra banca. Non basta, per, che la banca gli dia 10 miliardi. Dieci miliardi sono tanti e, quindi, la banca deve esaminare il suo progetto, il suo business pian. Deve saperlo valutare prospetticamente insieme all'imprenditore. La banca deve saperlo consigliare, perch capita spesso che qualche imprenditore presenti dei progetti che a nostro giudizio non sono sintonizzati con le sue possibilit finanziarie o con la struttura del settore di attivit produttiva. In questi casi, la banca deve sconsigliare di portare avanti il progetto, fornendo delle motivazioni ragionate. Questo capita raramente perch i nostri imprenditori sono bravissimi, sono anche pi bravi di noi nell'impostare i loro progetti. Per, qualche volta capita qualcuno che vuole fare il cosiddetto passo pi lungo della gamba, allora la banca interviene suggerendoli di non farlo, poi i soldi sono i suoi, ma noi non lo finanziamo e questa senzialtro un'arma di persuasione molto forte. Una delle estrinsecazioni della politica della banca nei confronti delle imprese senzialtro quella di essere entrati in modo significativo e con professionalit adeguata - siamo andati a scuola dall'Imi - nel settore delfinanziamentoa medio termine alle imprese. A partire dal 1994, quando la legge bancaria stata modificata, il Cab entrato subito in questo mercato. Oggi, ha impieghi a medio termine che rappresentano circa il 20% del totale degli impieghi. Abbiamo avuto un tasso di crescita rilevantissimo, di circa 30-35% sull'anno precedente, mentre del 7-8% sugli altri impieghi. Questa attivit l'anticamera per entrare nel capitale di rischio. Una banca che tradizionalmente abituata ad operare sul breve termine, a smobilizzare il portafoglio, come suol dirsi, non abituata a valutare l'impresa nel suo divenire, perch deve soltanto valutare le prospettive dell'impresa nei sei mesi successivi. Invece, se una banca deve fare un finanziamento per un investimento dell'impresa, deve avere una capacit di valutazione prospettica dell'impresa che ben diversa, su un arco che pu andare da sette a dieci anni. Per fare questo tipo di valutazione con efficacia, si deve attrezzare adeguatamente dal punto di vista delle risorse umane, delle professionalit e dell'organizzazione. Inoltre, attraverso ilfinanziamentoa medio termine, la banca entra maggiormente in simbiosi con l'impresa e, qualora fosse in grado di svolgere bene questo tipo di attivit, la banca potrebbe anche andare a prendere una partecipazione di capitale di rischio nell'impresa. Questo il nostro obiettivo, anche se lo perseguiremo con gradualit. Credo che dopo due o tre anni che abbiamo fatto esperienza sulfinanziamentoa medio termine delle imprese, dovremmo essere in grado di saper valutare anche quanto opportuno entrare nel capitale di rischio.

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Per quanto riguarda l'accompagnamento degli imprenditori nel mercato globale, Faissola sottolinea le opportunit che esistono per una banca delle dimensioni del Cab, ma anche i possibili rischi. Occorre muoversi con prudenza, essendo consapevoli delle difficolt che si possono incontrare nel perseguire una strategia di espansione all'estero: Il Cab ha una filiale in Lussemburgo, nata come semplice branch, ma ora in corso di trasformazione in una societ per azioni, che comincia ad essere un punto di riferimento per quelle che sono le esigenze finanziarie, o meglio, le esigenze di consulenza e di ingegneria finanziaria, sia per le imprese che per i titolari delle imprese stesse. Abbiamo anche clienti che sono di estrazione territoriale diversa da quella bresciana che fanno riferimento alla nostra banca per questo tipo di servizi. La globalizzazione significa che devono esserci dei punti di riferimento sull'estero. Per ora, il Cab ha fatto la scelta di creare delle combinazioni con banche che hanno la nostra stessafilosofia.Una banca come la nostra dovrebbe avere - e facciamo di tutto per avere - dei buoni apparentamenti sull'estero, per offrire un sistema di pagamenti europeo, un servizio a costi estremamente competitivi ai nostri clienti. Credo che dobbiamo avere una nostra rete all'estero, in Francia e in Germania, ad esempio, perch questi sono due dei principali mercati delle nostre imprese. Se le imprese devono smobilizzare un credito e ci danno un portafoglio su Lilla, ad esempio, noi dobbiamo avere la possibilit di incassare attraverso un terminale che c' a Lilla e che poi incasseremo a Vicenza o a Verona.. Abbiamo diverse relazioni con banche estere. In Francia, in particolare, abbiamo degli accordi di rete con il gruppo (...), abbiamo fatto recentemente un accordo con la Lyonnaise de Bank. Con i francesi lavoriamo in sintonia e stiamo trattando con una banca tedesca per fare un accordo analogo. Stiamo valutando se aprire un nostro ufficio di rappresentanza in Cina, che possa assistere le nostre imprese che esportano e producono in Cina. Per quanto riguarda i Paesi dell'Est, il nostro atteggiamento molto cauto. Abbiamo imprese bresciane che sono in Paesi come la Romania, per la valutazione del rischio paese ci frena, anche in considerazione dei casi recenti della ex-Jugoslavia e dell'Albania. Volevamo andare nei Paesi Arabi, ma abbiamo visto che forse ancora prematuro, perch gli affari che si fanno sono ancor a relativamente pochi per consentire a noi di mettere in piedi una struttura ad hoc. Credo che sia difficile fare banca in Italia, nel proprio Paese, e ancora pi difficile andare a fare banca nei paesi stranieri con l'obiettivo di avere dei redditi. Credo che allo stato attuale questo sia un obiettivo difficile da perseguire per la nostra banca, ma credo per quasi tutte le banche italiane. Andare a fare banca in Francia, dove con il mestiere tradizionale della banca si guadagna meno che in Italia non facile. L le banche guadagnano solo, come Paribas, se fanno anche un mestiere pi nobile, di partecipazione azionaria, se fanno banca universale, se investono bene, ma allora sono le industrie che guadagnano e non pi la banca di per s. Abbiamo pensato a volte di fare delle acquisizioni di banche all'estero. Per fortuna non l'abbiamo fatto. Come Cab dobbiamo avere la consapevolezza delle

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nostre dimensioni e dei nostri limiti. Una volta stavamo quasi per acquisire una banca in Spagna. Abbiamo trattato per primi come italiani una banca che poi stata comprata dal Montepaschi e che gli creato parecchi guai. Credo che adesso sia stata messa in ordine, ma ci sono voluti 10 anni e gli costata tanti quattrini. Per fortuna, abbiamo capito per tempo che non era un investimento da fare. Avevamo visto una piccola banca francese, ma poi abbiamo capito che anche l la situazione era troppo compromessa. Noi di approcci a banche all'estero ne abbiamo fatti tanti, molti li abbiamo portati a conclusione, molti no. Quasi tutti quelli che non abbiamo portato a conclusione comportavano del rischio. Noi siamo stati i primi ad approcciare la Kreditna Banka, la banca di Trieste che recentemente fallita, nella quale la Popolare di Brescia ha perso circa 100 miliardi. Vedevamo quella banca come un potenziale sbocco in Slovenia. Per fortuna non siamo stati noi ad impegnarci per primi: siamo stati i primi a stabilire un approccio, ma poi abbiamo detto di no.

Ci sono banche, come la Banca Popolare di Trento, ad esempio, che sono nate in anni recenti per spinta della migliore imprenditoria di un determinato territorio, esclusa da altre realt e stanca del protettorato esercitato dai partiti politici sugli istituti bancari.33 Altre banche, invece, come la Banca Popolare dell'Emilia Romagna si sviluppata in una logica di capacit di radicamento e di efficienza di lungo periodo, avendo il problema del rapporto con l'impresa sempre al centro dell'attenzione. Oggi, la BPER si muove come banca di comparti produttivi consolidati - ceramico, tessile, agroalimentare, meccanico di precisione, biomedicale - e su medio-grandi dimensioni:

33. La Banca Popolare di Trento nata nel 1987 per spinta di un folto gruppo di imprenditori trentini, esclusi da altre realt bancarie locali e stanchi dell'egemonia dei partiti sulle banche: L'Ente una piccola banca nata dieci anni fa per volont di un gruppo di imprenditori (artigiani, albergatori, commercianti) trentini. Oggi, il nostro Istituto rappresentativo del "meglio" dell'imprenditoria locale; l'attuale presidente - doli. Gino Lunelli - comproprietario delle cantine Spumanti Ferrari, il vicepresidente doti. Ernesto Bertoli - il vicepresidente delle Funivie Folgarida-Marileva. Abbiamo avuto in consiglio l'ingegner Del Favero, Marangoni dell'omonima societ, Ragoni dell'ItalScandia, tutti nomi forse addirittura troppo "grossi" rispetto alla dimensioni aziendali. Ci stalo sicuramente un pregio per l'azienda, che ha dimostrato di saper dare voce a forze imprenditoriali che altrimenti sarebbero andate disperse. La banca deve essere supporto^economico ed occasione di incontro per attivit ed affari che in una provincia cos piccola come la nostra si mettono in relazione (Franco Merzliak).

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Non abbiamo avuto timore a creare al nostro interno un servizio estero molto importante, molto significativo, con un centinaio di persone che ha un peso sul negoziato commerciale italiano molto, molto pi rilevante della nostra quota di mercato in termini di volumi e di depositi. Inoltre, il Gruppo si espande all'estero, con la creazione di una banca di diritto lussemburghese, che la Banca Popolare dell'Emilia Romagna Europe International. Ma, la BPER detiene anche quote azionarie in banche svizzere, della ex Jugoslavia (attraverso una combinazione con l'Istituto delle Banche Popolari austriache), della Repubblica Ceca e dell'Ungheria. Abbiamo fatto societ di leasing e di factoring, sia di categoria che in piccoli gruppi. Abbiamo l'Abf Leasing e l'Abf Factoring, due societ di cui sono presidente, che le abbiamo fatte con Gemina, Pirelli, Banca Popolare Commercio e Industria, Banca Antoniana e Popolare Veneta. Altre iniziative per il factoring, come Parma Factor o Emilia Romagna Factor, le abbiamo fatte con Gemina, Comit e Cassa di Risparmio di Parma. Sono societ che servono grandi clienti come la Parmalat o il Gruppo Giglio, a cui gestiamo la tesoreria, anticipando i crediti o i debiti che hanno verso i fornitori. Poi, abbiamo Arca Merchant, attraverso cui facciamo merchant banking, ma abbiamo costituito anche un gruppo di finanza aziendale al nostro interno per dare dei servizi e aiutare le imprese a risolvere dei problemi di patrimonializzazione, di finanziamento, di investimenti. Noi non facciamo fido in funzione della garanzia; la garanzia soltanto uno degli elementi di valutazione del rischio. Questa banca ha fatto nascere l'industria ceramica. Uno dei vicedirettori, che andato in pensione da poco, quando era direttore della filiale di Sassuolo stato colui che ha creduto in quei quattro contadini che si mettevano assieme e cominciavano a fabbricare piastrelle. Una cosa da pionieri! Un'industria che nata da zero. Allora nessuno ci credeva, ma noi ci abbiamo creduto. Abbiamo creduto ad un progetto industriale. Tante volte crediamo a dei progetti industriali.

Nel suo breve periodo di operativit, la Banca ha aperto 9 sportelli con 93 dipendenti e ha totalizzato una massa di raccolta diretta da clientela pari a oltre 300 miliardi, altri 350-400 di indiretta, mentre gli impieghi ammontano ad oltre 250 miliardi. Il patrimonio si aggira attorno ai 60 miliardi. I soci sono 4.400. Il suo bacino territoriale programmaticamente quello della provincia di Trento. La Banca oggetto di "attenzioni" da parte di quasi tutte le Banche Popolari del Nordest: Per quanto ci riguarda, siamo "cerniera", nel senso che da un punto di vista territoriale ci troviamo collocati a nord tra la Popolare dell'Alto Adige, a sud tra la Popolare di Verona, ad est tra la Popolare Vicentina e ad ovest tra la Popolare di Bergamo e quella di Brescia. Sono istituti molto pi "grossi" del nostro che ci hanno consigliato o di trasformarci in SpA o di "convogliare" con loro. Non che finch le cose vanno bene bisogna andare da soli, bisogna sempre guardarsi attorno, per per ora riteniamo di poter andare avanti da soli. Ogni anno il Consiglio di Amministrazione verifica la strategia da seguire: "ci basta il reddito prodotto "per andare" avanti? abbiamo la volont di investire ancora? ..." E continuiamo cos (Franco Merzliak).

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Certo, ognuno deve avere la consapevolezza delle sue dimensioni, della sua forza. Non siamo caduti in nessun dissesto dei grandi gruppi, neanche in quello dei Ferruzzi che pure era emiliano-romagnolo, e questo grazie ad una precisa linea di indirizzo politico che abbiamo seguito. Sappiamo quali sono le nostre capacit, le nostre conoscenze e dobbiamo rischiare, fare banca, laddove conosciamo le realt. Per questo non siamo andati a prestare soldi a Olivetti o a Ferruzzi o alla Federconsorzi o a Delle Carbonare, o a tanti grandi grandi gruppi che si sono dissestati. Questo anche se erano della nostra regione. Il problema di cercare di capire cosa sta dietro a un'impresa, anche ad un marchio importante. Abbiamo fatto di questo una cultura che abbiamo sviluppato in tutti i nostri uomini. Facevamo analisi e studi di bilancio approfonditi gi 30 anni fa. E' quasi 15 anni che facciamo, insieme con Prometeia, tutti gli anni, un rapporto analitico sulle industrie del settore ceramico e di quello tessile, i comparti tradizionali del modenese. Sono ricerche tra le pi serie che siano mai state fatte in Italia su questi due comparti (Guido Leoni). Emilio Zanetti ritiene che, oltre alla strategia espansiva del "localismo metodologico", il punto di forza della Banca Popolare di Bergamo - Credito Varesino 34 sia la capacit di offrire una gamma completa di servizi di finanza d'impresa che richiede forti investimenti nella formazione del personale, un orientamento costante verso il miglioramento dell'efficienza, della produttivit, con una particolare attenzione verso l'innovazione: La banca ha ritenuto di scegliere un gruppo di collaboratori che avessero determinati requisiti di professionalit. Noi annettiamo molta importanza al settore della formazione e il 2% delle ore lavorative vengono investite in formazione. Abbiamo cercato di creare un piccolo staff di professionalit a disposizione delle piccole e medie aziende. Credo che sia un settore al quale va dedicata particolare attenzione perch ci pu essere un salto culturale per quanto riguarda l'approccio con il mercato, la borsa, l'apertura al capitale di rischio, i problemi successori e i

34. La Banca Popolare di Bergamo - Credito Varesino - Popolare di Ancona ha archiviato il 1997 con un utile netto di 188,3 miliardi. Nonostante una flessione del margine di interesse (sceso del 5,2% a 894,1 miliardi a seguito dell'ulteriore contrazione degli spreads), l'utile della banca stato assicurato da un accresciuto apporto dei servizi (il saldo delle commissioni aumentato del 12,9%), mentre i profitti da operazioni finanziarie sono cresciuti del 17,8%) e da un contenuto incremento delle spese (+1%). Sul piano operativo gli impieghi hanno raggiunto quota 19.064 miliardi (+11,7%), mentre i depositi si sono attestati a quota 24.104 miliardi (+3,3%). La raccolta indiretta, al valore nominale esclusi i titoli di emissione dell'istituto cittadino, ha invece raggiunto i 27.090 miliardi (+16,3%). L'espansione di duemila miliardi degli impieghi non ha avuto effetti sulle sofferenze che, anzi, come gi nel precedente esercizio, sono scese: dal 2,3% al 2,09.

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problemi de passaggi generazionali delle aziende. Questo nostro staff di persone si occupa di questi problemi e aiuta le aziende ad affrontarli, a risolverli e semmai a cercare di aprirle al mercato. Qualcuno ritiene che le banche non abbiano interesse a fare s che le aziende si aprano verso il mercato per ragioni di intermediazione creditizia. Credo, invece, che se i nostri clienti fossero molto pi forti nelle imprese, in quanto si autofinanziano e hanno un adeguato grado di patrimonializzazione, ci sarebbe da guadagnare per tutti (Emilio Zanetti). La Banca Popolare di Bergamo ha un proprio servizio di finanza d'impresa che viene erogato da giovani specializzati e ha strutturato un vero e proprio progetto di formazione - il Progetto Newton - che prevede la creazione di un team di aziendalisti che interloquiscono con gli imprenditori. Secondo Enzo Cattaneo, Condirettore Generale della BPB, per poter operare sul territorio con gli attori locali necessario essere banca di riferimento, cio conoscere non solo i problemi finanziari dell'impresa, ma anche quelli di mercato, i problemi di management, etc. Inoltre, per poter operare con il sistema imprenditoriale la BPB ha creato una merchant bank con altri partners privati (tra cui alcuni imprenditori) e di cui la BPB detiene il 30% del capitale azionario. L'attivit della merchant bank indirizzata al tessuto delle PMI e con un capitale di circa 30 miliardi opera nei servizi di finanza d'impresa: Noi siamo state tra le prime banche in Italia che hanno creato un ufficio di corporatefinanceche svolge un servizio importantissimo, vivendo da vicino quelli che sono i problemi delle aziende. Ma, questo solo l'inizio perch noi pensiamo che sia necessario creare dentro la banca la cultura dell'impresa, altrimenti l'ufficio di per s non pu andare avanti. Da qui, allora, la necessit di "formare" aziendalisti al nostro interno avviando un progetto un po' ambizioso, che noi abbiamo definito "progetto Newton", che ha come scopo quello di preparare e formare un gruppo di giovani che possano dialogare meglio con l'imprenditore. Cio, affrontare i problemi, soprattutto di mercato per prodotto, problemi che quotidianamente l'imprenditore affronta. Per cui pensiamo poi, attraverso questo gruppo di giovani, di diffondere sempre pi la cultura del rapporto tra banca e impresa, rapporto che deve essere molto modificato rispetto al passato. Da qui la scelta di essere una banca di riferimento che vuol dire essere in grado di poter affrontare, non solo i problemi finanziari dell'impresa, ma anche quelli legati al mercato, al prodotto, all'organizzazione. E questo noi lo stiamo facendo con entusiasmo, perch crediamo in questa svolta e al fatto che le aziende abbiano bisogno di essere accompagnate, e debbano mantenere rapporti con poche banche, a differenza di come avvenuto finora con il sistema dei multiaffidamenti a breve. Oggi, le imprese chiedono di essere accompagnate da una banca in grado di poter gestire il loro passivo come loro stesse vorrebbero fare, di poter soddisfare non solo le esigenze che le imprese hanno, ma an-

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che quelle esigenze che nelle imprese sono ancora "sopite", che non si sono ancora manifestate. Dobbiamo essere noi, in sostanza, a dare delle indicazioni, a proporre soluzioni e questo consolider sempre pi il legame dell'imprenditore verso la banca. Accanto a questa formazione culturale che stiamo promuovendo all'interno della banca, che sostenuta appunto dall'ufficio di corporate finance, la banca ha recentemente costituito una propria societ nel settore del merchant banking (la BPB Investimenti, ex Finanberg). In tale societ la nostra banca ha una quota di partecipazione del 30% e ha voluto che all'interno della societ stessa fossero presenti con quote qualificate anche gli imprenditori lombardi, per vivere insieme questa esperienza, perch si potesse, anche da loro, avere degli impulsi, su come operare, su come approcciare queste attivit innovative. Questa stata una scelta molto apprezzata dagli imprenditori, perch stata loro offerta l'opportunit di vivere in comune con una banca questa nuova esperienza. Quando contattiamo un'azienda che manifesta determinati problemi, se oltre a risolvere i problemi dal punto di vista finanziario possiamo anche intervenire e partecipare al capitale di rischio, questo credo sia il massimo. Vuol dire aver compiuto completamente il nostro dovere di banca universale. Pensiamo di essere apprezzati moltissimo dalle varie associazioni di categoria imprenditoriali, proprio per questa cultura che stiamo manifestando nei loro confronti e nella quale crediamo. Inoltre, Zanetti sottolinea come la Banca Popolare di Bergamo stia cercando di accompagnare gli imprenditori lombardi nel loro "andar per il mondo", impegnando risorse sia umane che finanziarie: Le aree di sviluppo commerciale su cui le nostre zone lombarde fanno maggiore riferimento sono il Lionese e la Baviera. Non per niente la banca ha aperto due sportelli, uno a Lione e l'altro a Monaco di Baviera, perch sono i due centri di maggiore sviluppo commerciale per l'imprenditoria lombarda. Spesso poi il flusso commerciale si trasforma anche in investimenti fissi. Certamente molte imprese in Val Seriana vanno verso Sud, soprattutto perch non c' pi neanche lo spazio fisico per espandersi, dato che ci sono 5.000 imprese in 40 chilometri. Altre imprese, invece, hanno realizzato grossi investimenti nell'ex-Germania dell'Est, in Cina, etc. C' un certo spirito pionieristico. Noi abbiamo uffici di rappresentanza sia a Pechino che a Hong Kong che servono a supporto delle imprese. Anche a Londra abbiamo un ufficio di rappresentanza, ma a Londra un'impresa va da sola, mentre per andare a Pechino o ad Hong Kong ha bisogno di un certo supporto da parte di personale responsabile che l'accompagna per risolvere i suoi problemi. Riguardo l'accompagnamento delle piccole imprese all'estero, importante sottolineare gli sforzi che sono stati fatti in questi ultimi anni da alcune banche di piccole dimensioni localizzate nei territori di confine. Ad esempio, la Cassa di Risparmio di Trieste ha elaborato le

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sue strategie di espansione che ha cercato di combinare l'espansione degli sportelli verso Ovest, in Friuli e Veneto, con la valorizzazione della propria posizione in un'area di frontiera e della propria conoscenza dell'economia di alcune zone, soprattutto i Paesi della Mitteleuropa e dell'ex-Yugoslavia. 35 Cos, stata la prima ed unica banca italiana con una banca in Croazia, la Trscanska Stedionica Banka di Zagabria (controllata al 65%), nell'ottobre del 1995. La Cassa di riesce cerca di sfruttare il vantaggio di posizione geografica rispetto ai Paesi dell'Est Europeo organizzando una rete per assistere totalmente ed operativamente gli imprenditori, a cui fornire servizi di consulenza. La rete, oltre alla banca in Croazia, pu contare su degli uffici di rappresentanza (Budapest, Lubiana, Belgrado, e t ) , su dei collegamenti con "banche amiche" (Repubblica Ceca e Slovacchia) e compartecipate (Postabank in Ungheria). Si tratta di un ambito territoriale dove elevata la presenza competitiva di attori bancari tedeschi ed austriaci: In Veneto abbiamo avuto, nel complesso, un'accoglienza abbastanza positiva forse perch Trieste considerata una citt evoluta nei traffici rispetto a citt, come quelle del Veneto, che si sono sviluppate dal punto di vista industriale solo nel secondo dopoguerra. Trieste sempre stata considerata come la citt internazionale, cosmopolita, avanzata culturalmente, e questa immagine della citt ha giovato sicuramente alla banca, per cui non abbiamo avuto difficolt ad operare nell'area veneta. Comunque, abbiamo cercato di distinguerci un po' dagli altri, andando ad offrire a questi imprenditori del Veneto un prodotto che fosse un po' differenziato, posto che come banche vendiamo tutti la stessa merce. Abbiamo cercato di sfruttare i nostri vantaggi di posizione. Cio, essendo a Trieste, avevamo, e abbiamo tuttora delle conoscenze pi specifiche dell'area che comprende l'Austria, l'Ungheria, la Cechia, la Slovacchia e l'ex Iugoslavia. Abbiamo organizzato una rete all'estero che va a vantaggio del piccolo imprenditore che vuole andare all'estero. Il grande imprenditore va con le sue strutture, i suoi piani, aggredisce il mercato, sa muoversi. Parliamo del piccolo imprenditore che, se deve andare in Ungheria, non conosce la lingua, non conosce le leggi, non sa come muoversi. Noi disponiamo di uffici di rappresentanza a Budapest, a Praga, in Slovenia, addirittura, in Croazia abbiamo una banca. Con questi uffici di rappresentanza agevoliamo il piccolo imprenditore, lo mettiamo in contatto con specialisti ad hoc per le sue finalit, se deve costruire un capannone, avr chi lo pu consigliare sulle formalit burocratiche, chi gli pu

35. La Cassa di Risparmio di Trieste ha chiuso il 1997 con un incremento del 10% della raccolta diretta, a 4.212 miliardi, e del 15% in quella indiretta che si attestata sui 3.138 miliardi. Gli impieghi hanno registrato un incremento del 14% (1.795 miliardi), mentre le sofferenze sono state ridotte al 3,2%. 77

fare un preventivo di spesa, chi pu verificare un preventivo che gli ha fatto qualcun altro, e cos in ogni settore in cui questo imprenditore intende muoversi. Questo il lavoro che noi mettiamo a disposizione, con questi uffici di rappresentanza. In Croazia, in particolare, disponiamo di una banca, che abbiamo costituito recentemente, di cui in questo momento siamo proprietari del 65%, per cui l c' proprio un'unit completa. E' una banca di diritto croato, non una filiale, che pu assistere totalmente, anche operativamente. Per altre realt, invece, ad esempio in Ungheria siamo soci di una banca ungherese, la Postabank, che la seconda o la terza banca ungherese. In Cechia e in Slovacchia abbiamo delle banche amiche che ci fanno da supporto per esigenze bancarie del cliente (Nevio Benelli).

Anche la Cassa di Risparmio di Bolzano ha cercato di integrarsi con banche estere guardando verso Nord e scegliendo come proprio partner la Bayerische Landesbank di Monaco di Baviera, un colosso del credito tedesco, che al momento detiene soltanto una quota modesta (lo 0,31 %) del capitale della Cassa, ma il cui peso destinato ad aumentare in futuro:
Con la Bayerische Landesbank i rapporti sono particolarmente intensi. Questa banca ha sottoscritto un nostro prestito obbligazionario subordinato di rilevante importo, 87,5 miliardi che, se convertito in azioni alla scadenza porterebbe la quota detenuta dalla Bayerische Landesbank nella nostra societ al 10%. Quindi, si tratta di un importante legame tra le due realt creditizie. Possiamo dire innanzitutto che ci avvaliamo dei loro servizi di tipo essenzialmente finanziario. Inoltre, siamo supportati operativamente soprattutto nei rapporti con i Paesi emergenti e con quelli in via di sviluppo. Da parte nostra, invece, appoggiamo la banca tedesca per quanto concerne la quasi totalit del traffico di eurobonifici verso l'Italia. Abbiamo, quindi, ampie possibilit di seguire i nostri clienti sul mercato tedesco ed europeo. E' sempre stato uno dei nostri "fiori all'occhiello". Co questo tipo di supporto, i nostri clienti non hanno alcun problema ad operare in ambito europeo (Guido Collini).

Infine, importante considerare il caso della Banca Popolare di Cividale, in provincia di Udine.36 La posizione geografica di Cividale,
36. Banca che per tradizione opera nell'area friulana del distretto della sedia di Manzano dove, per, presente anche una forte realt imprenditoriale internazionale del settore metalmeccanico - le Officine Danieli di Buttrio - un attore economico estremamente significativo, non tanto per il limitato indotto che crea, ma per il tessuto di reti lunghe che sorreggono la sua competitivit sul mercato estero. La piccola e media impresa rappresenta la tipologia della clientela di riferimento della banca. La compagine sociale formata da quasi 7.000 soci, mentre il patrimonio e di circa 130 miliardi. L'organico di 236 dipendenti, di cui il 60% presso le 28 filiali, localizzate tra Cividale, Udine, i comuni del distretto manzanese, con nuovi insediamenti in provincia di Gorizia (Grado, Gorizia e Cormons) e Pordenone e Spilimbergo. L'et media dei dipendenti 30 anni, quella manageriale di 45. La raccolta diretta e indiretta di 1.700 miliardi, mentre gli impieghi sono 580 miliardi di cui 200 a medio termine, le sofferenze sugli impieghi si attestano al 2,20%, mentre il Roe del 7%.

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sul confine italo-sloveno, ma anche in prossimit di quello austriaco, hanno conferito all'azienda una filosofia molto "mobile" e "aperta". Inoltre, probabilmente, la liberalizzazione degli sportelli consente alla banca di cercare "spazio logistico" verso province limitrofe come Gorizia e Pordenone, dotate di infrastrutture (piattaforma logistica autoporto di Gorizia, aeroporto di Ronchi, scalo ferroviario di Cervignano, Centro Merci di Pordenone), la cui presenza costituisce un fattore competitivo per creare territori-sistema-cerniera, soprattutto in previsione dell'ingresso dei Paesi dell'Est nell'Unione Europea. La trama che sottende le strategie della banca si confronta, quindi, con un territorio di cerniera e attraversamento di reti corte, ma soprattutto lunghe e con direttrici molto forti e chiare: i Paesi della "altra" Europa, dove si incrociano interessi economico-finanziari dell'area del marco con quelli legati alla tradizione commerciale-emporiale dell'area isontina, nonch quella culturale mitteleuropea che trova a Cividale la sua massima espressione attuale nel Mittelfest. L'ampia propensione all'apertura internazionale di questo territorio-cerniera spiega, quindi, la preferenza, non tanto per l'apertura di sportelli, ma per gli accordi commerciali. Innanzitutto, con il gruppo bancario Deutsche Bank, stipulato nel 1995, per la vendita dei suoi prodotti e per l'utilizzazione della sua rete internazionale (anche attraverso la banca d'affari Deutsche Morgan Grenfell di Londra): Noi siamo stati la prima banca italiana a fare un accordo commerciale col gruppo Deutsche Bank. Siamo distributori dei prodotti Deutsche Bank, ma anche dei servizi Deutsche Bank, e in questo ci avvaliamo in pieno della rete internazionale Deutsche Bank. Diciamo che la nostra banca molto aperta sotto il profilo della proiezione internazionale Essendo banca di confine, essendo da sempre strutturata per servire a 360 il cliente, anche se di dimensione piccola, ha cercato di coprire le sue dimensioni con questo accordo che ci ha dato la possibilit di fare una offerta completa a tutti gli operatori. Tant' che abbiamo anche di recente accompagnato aziende in operazioni importanti di esportazione, di grande valore verso paesi emergenti come il Vietnam dove era difficile la conferma del credito, perch si hanno le aperture di credito delle banche nazionali, ma difficile poterle confermare in Italia. Deutsche Bank grazie alla sua rete riuscita a confermarle e, quindi, noi abbiamo potuto contro-garantire l'apertura di credito al cliente che, cos, ha potuto esportare tranquillamente. Inoltre, abbiamo una interessante convenzione di forfaiting con la Deutsche Morgan Grenfell, sempre del gruppo Deutsche Bank. Riusciamo a fare la negoziazione pro-assoluto, cio dando per scontato il pagamento di credito, senza rischio di credito per chi lo fa, di effetti commerciali emessi a fronte di forniture con pagamento pluriennale per investimenti e garantiti da

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banche slovene, croate, serbe, e di altri Paesi dell'Est europeo. Altrimenti, il fornitore italiano di macchinari, impianti, etc. si troverebbe in mano questi effetti, seppure garantiti da banche serbe, croate o slovene, per con difficolt di smobilizzo, o per la durata o per il tipo di garanzie che hanno. Queste difficolt si superano in un mercato internazionale, dove la Deutsche Morgan Grenfell prima attrice e pu vantare strette relazioni con queste banche. Con le aperture di fido che fa a queste banche riusciamo ad avere questo tipo di negoziazione per cui il nostro esportatore d le cambiali, riceve il netto ricavo subito e, quindi, non ha pi rischi di credito (Nereo Terreran).

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LE STRATEGIE DI RITERRITORIALIZZAZIONE FUNZIONALE

Da questo punto di vista ci sono alcune strategie significative, praticate soprattutto dalle banche popolari. Strategie di sviluppo perseguite per aggregazione che cercano di dilatare il presidio territoriale della banca. Ne nascono banche interprovinciali, con sovracapitalizzazione. Un caso interessante senz'altro quello della Banca Popolare Vicentina, che con la Verona e l'Antoniana Veneta, costituisce la terza punta di diamante del robusto sistema delle Popolari trivenete. Il suo presidente, Gianni Zonin, uno dei maggiori produttori vinicoli italiani, e nel suo consiglio di amministrazione siedono quasi esclusivamente degli imprenditori. Nel 1995, il gruppo dirigente di allora aveva proposto la fusione con la Popolare di Padova (i fautori della fusione argomentavano la loro posizione sostenendo che vi era il pericolo di rimanere stritolati nella morsa di Padova e Verona) ed stato estromesso dalla cordata guidata da Zonin, vincente in nome della difesa della vieentinit della banca:
"Dopo che la Cassa di Risparmio stata inglobata nella Verona e la cattolica finita all'Ambrosiano per ignavia dell'imprenditoria veneta, la terza provincia pi industrializzata d'Italia rischiava di rimanere senza un suo istituto di credito".

I due punti fermi di Zonin sono l'indipendenza della banca e le sue potenzialit di crescita per acquisizioni, anche grazie alla forte patrimonializzazione della banca conseguita attraverso una serie di bilanci molto favorevoli. La tesi di Zonin, per, che la strategia delle fusioni, se effettuata indipendentemente da valutazioni di mercato e di efficienza perdente in quanto fa riferimento al vecchio sistema bancario, protetto dalla mano pubblica e ossessionato dal problema degli sportelli contingentati dalla Banca d'Italia: 81

Oggi, tutto cambia nel sistema bancario perch la concorrenza agguerrita: giusto cos perch da imprenditore non accetto il protezionismo che ha prodotto mentalit dirigenziali poco manageriali, alti costi del personale e inefficienza da parastato (Gianni Zonin).

Il primo compito che la Banca Popolare Vicentina si riproposta quello di equilibrare i costi in termini di competitivit: una riduzione dei costi e non una crescita dimensionale. Secondo Zonin, infatti, l'aumento quantitativo degli sportelli non assicura automaticamente una crescita di redditivit e la domanda di acquisto nei confronti dei piccoli e medi istituti bancari ha fatto lievitare troppo i prezzi delle acquisizioni. I vincoli strategici della banca sono la competizione con i piccoli giganti da fusione e l'ingresso degli istituti stranieri. La strategia perseguita "di aggregazione, di prudenza e di delimitazione del territorio". Si tratta di una public company che non sente la necessit di espandersi sull'intero territorio nazionale. La strada quella di rafforzare l'operativit nelle province del Nordest in cui la banca gi presente direttamente o attraverso altre banche locali forti. Infatti, la strategia quella dell'acquisizione di maggioranza con mantenimento dell'identit locale della Popolare minore. Questo perch i cardini dell'espansione devono essere la conoscenza del territorio, il rapporto fiduciario con i clienti, il radicamento nel tessuto delle PMI e il consorziamento dei servizi in scala (credito a medio termine, gestione patrimoniale, merchant banking, tic). Il Gruppo gestisce tutti i servizi comuni e l'aggregazione, dicui fanno parte le Banche Popolari di Castelfranco, di Trieste, di Belluno e di Valdobbiadene, trova nella Banca Popolare Vicentina un capofila.

37. La Banca Popolare "Celestino Piva" di Valdobbiadene, in provincia di Treviso ha raggiunto un accordo di integrazione con la Popolare Vicentina nel febbraio del 1998. La Popolare di Valdobbiadene "manterr la sua identit e i suoi soci potranno tutti diventare soci della Popolare Vicentina, rafforzando la famiglia delle Popolari nel rispetto delle funzioni e delle caratteristiche proprie". Verr effettuata un'Opa amichevole della Vicentina su una quota di controllo della Valdobbiadene, con un'offerta articolata che prevede sia la liquidazione dei soci trevigiani sia il concambio con azioni Vicentina. L'azione stata stimata 265 mila lire, corrispondente ad una valutazione complessiva della banca vicina ai 200 miliardi. La Popolare trevigiana ha chiuso il bilancio 1996 con un patrimonio netto di 98 miliardi ed un utile netto di oltre 6 miliardi. La raccolta diretta da clienti era di 432 miliardi, con 247 miliardi di impieghi. La banca ha una ventina di sportelli e 125 dipendenti.

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La Vicentina si propone, dunque, come polo di attrazione per le Popolari, principalmente nel Nordest, che vogliano partecipare ad un gruppo dotato di massa critica e di strutture complete nell'organizzazione produttiva e nell'offerta sul mercato: Questa una public company vera con 30.000 soci. E' una Banca Popolare che svolge un servizio sul territorio perch deve tirare l'imprenditoria locale. E' nata con questo scopo e bisogna che troviamo la dimensione che le consenta di sopravvivere e di rendere per far contenti i soci e gli imprenditori locali di qualunque tipo - agricoltori, artigiani, industriali. Bisogna uscire dall'ambito provinciale, come abbiamo fatto, ma non vogliamo guardare troppo lontano, perch altrimenti si creano delle dispersioni e delle distorsioni. La banca privata di una provincia che terza nel Paese per prodotto industriale ed export deve darsi obiettivi ambiziosi. La Popolare Vicentina vuol essere polo aggregante nel Nordest. Siamo sulla strada dell'aggregazione, cio rafforziamo su ogni provincia l'operativit della banca che c' e del gruppo bancario che deve essere forte o fortissima per il contatto con gli imprenditori, per la conoscenza della piccola impresa Viviamo sulla piccola e media impresa e, quindi, i servizi devono essere efficienti e a costi contenuti. Perci quelli pi qualificati e pi suscettibili di economi di scala sono riunificati a livello di gruppo e vengono poi erogati dalla banca singola. Anche la Popolare di Lodi segue una strategia crescita per aggregazione, come "somma di localismi", ma a differenza della Popolare Vicentina, la sua una strategia che si muove in ambito nazionale.38 La banca, infatti, oltre alle fusioni per incorporazione della banca Industriale Gallaratese (Va) e della Banca Rasini (Mi) nel 1992, all'acquisizione della Banca Mercantile Italiana (Fi) ed all'acquisto del ramo d'azienda della Cassa Rurale e Artigiana di Mulazzano (Lo) nel 1996, ha recentemente acquisito in Sicilia la Banca del Sud (Me), la Banca Popolare di Belpasso (Ct), la Banca di Credito Siciliano di Canicatt (Ag) 38. A fine '97 la massa amministrata ha toccato i 29.500 miliardi, con un forte incremento rispetto ai 15.500 miliardi dell'esercizio precedente. La raccolta totale da clientela aumentata in un anno da 12 mila a 15.380 miliardi. La componente di deposito cresciuta in dodici mesi da 5.350 a 6.740 miliardi. Gli impieghi globali sono saliti da 5.500 a 6.775 miliardi. La componente per cassa ha registrato un incremento da 4.300 a 5.468 miliardi. Nel conto economico, il progresso dell'attivit ha consentito un reddito lordo di 176 miliardi (+10,95%), mentre il risultato netto si assestato sui 33,1 miliardi (+9,93%), "pur dopo adeguati accantonamenti e ammortamenti". La banca conta oggi su una rete di 130 sportelli. Nel marzo 1998 ha annunciato di aver chiesto la quotazione al mercato telematico in occasione del lancio di un piano di ricapitalizzazione da 500 miliardi alfinedi proseguire il trend di crescita realizzato e sostenere i futuri piani di espansione.

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e la Banca Popolare di Carini (Pa). Inoltre, ha stabilito accordi di collaborazione con la Banca Popolare di Pisa per facilitare l'eventuale suo futuro ingresso nel Gruppo Creditizio Banca Popolare di Lodi: Il Gruppo Creditizio Banca Popolare di Lodi: vuole continuare a svilupparsi, valorizzando ulteriormente il concetto di banca locale, intesa come somma di localismi, apportatrice alla comunit stessa dei vantaggi offerti da un mercato integrato e di vaso respiro. Tale visione strategica si sintetizza nelle seguente missione stabilita dal Consiglio di Amministrazione: "diventare una banca popolare di riferimento nel mercato (per masse, capacit di autofinanziamento, innovazione, canali distributivi), facendo leva sulla crescita di un polo di aggregazione di banche popolari e non (con forte radicamento sul territorio), in cui un insieme di unit organizzative specifiche e di professionalit costituiranno il centro strategico e di servizio a supporto delle banche aggregate, che unitamente alla rete della Banca Popolare di Lodi, funzioneranno come reti commerciali del Gruppo" (Angelo Mazza). Il Gruppo Bancario Casse Venete 39 ha perseguito con particolare consistenza e convinzione una logica di apertura di sportelli sul territorio che ha trasformato in opportunit quello che sembra essere un limite veneto rispetto ai centri metropolitani del Nordovest: essere territorio o citt policentrica e diffusa. In particolare, l'approccio territorialista differenzia la strategia della Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo (la Cassa ha circa il 36% del mercato a Padova ed tesoriera del 98% degli enti pubblici delle due province) dalle altre 36 insegne bancarie concorrenti, che invece si concentrano per abitudine tutte sul capoluogo padovano, dimostrando in tal modo di non conoscere a fondo il territorio o

39. Il Gruppo Bancario Casse Venete una holding bancaria solida e redditizia che resta controllata al 100% da due Fondazioni (quella di Padova e Rovigo ha il 78%, mentre quella di Venezia ha il 22%). Nel Gruppo, la Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo - guidata dall'amministratore delegato Pio Bussolotto e controllata al 100% - ha acquisito il ruolo di sub-holding bancaria con compiti di coordinamento operativo, detenendo il controllo diretto delle altre due banche del gruppo, la Banca Agricola di Cerea SpA (controllata al 60%) e la Casa di Risparmio di Venezia SpA (controllata al 50,1%, ma il 49.9% fa capo alla holding Casse Venete). Casse Venete il 24esimo polo bancario nella graduatoria nazionale con quasi 20.000 miliardi di raccolta diretta, 15.000 miliardi di indiretta, 12.000 miliardi di impieghi, un patrimonio di oltre 2.500 miliardi (pi dell'Ambroveneto pre-Cariplo), un utile di quasi 200 miliardi (pi di Unicredito pre-Crt) e una rete di 320 sportelli sviluppatasi in modo ordinato e compatto nel Veneto centro-orientale. Come questa "media potenza" bancaria si muover sullo scacchiere delle alleanze rimane ancora per certi versi un enigma.

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di scegliere un'impostazione strategica estranea alla realt in cui si calano. Il rapporto della Cassa con le imprese del territorio talmente sincronico e sinergico che la banca ha strutturato il suo modello di rete a partire dalla conformazione del tessuto economico veneto, sempre pi "territorio come fabbrica" e, quindi, senza concentrazioni in poli urbani, ma diffuso e competitivo in ogni nodo della rete. In quest'ottica la presenza di distretti industriali all'interno dei bacini d'utenza non significa concentrazione di sportelli bancari e di risorse, ma viene affrontato come parte di un bacino di pluriattivit: Questa banca ha una matrice storica: nel 1997 ha festeggiato i 175 anni dall'avvio della propria attivit. E' una delle prime Casse di Risparmio sorte in Italia, assieme alla Cassa di Risparmio di Venezia. La storia di questa banca sempre stata caratterizzata da uno stretto rapporto con il territorio. E' una banca radicata, presente capillarmente, leader nel suo mercato storicamente costituito dalle due province di Padova e di Rovigo. Ne consegue che lo sforzo e l'impegno dell'amministrazione e di tutta la struttura sono tesi a mantenere questa caratteristica, che rappresenta un punto di forza. Da qui, l'attenzione verso l'attivit dei privati, degli artigiani, della piccola imprenditoria, dei commercianti che rappresentano il tessuto economico di queste due province. E' noto a tutti come il territorio del Veneto sia un sistema a rete di piccole citt. Anche la stessa citt di Padova ha un territorio comunale estremamente limitato: la citt va quindi intesa anche ricomprendendo le zone di espansione limitrofe. La conoscenza del territorio diviene perci elemento fondamentale: non , per, una mera conoscenza geografica. Basti pensare che sono ormai pochissimi i Comuni della provincia di Padova in cui non vi sia una dipendenza della Cassa e, nel comune di Padova, siamo presenti con ben 37 sportelli. Ci significa che, concretamente, non parte attivit, non si avvia un progetto, addirittura in famiglia non si sposa unfigliosenza che la Cassa di Risparmio non ne abbia conoscenza! Questi sono metodi tradizionali di fidelizzazione, ma profondamente radicati poich anche da parte della popolazione vi un'intensit di rapporto e di relazione con la cassa di Risparmio. Ed ancora grazie a ci che siamo riusciti, con fatica, ma con successo, a resistere alla forte penetrazione di nuove insegne che ultimamente si sono insediate nella nostra zona: nell'arco di dieci anni, si passati da 9/10 insegne bancarie a 36/37.1 nuovi arrivati pensano di coprire il territorio insediandosi nel comune capoluogo: ci non vale per il Veneto, perch l'economia estremamente e variamente diffusa in periferia. Per quanto riguarda la concorrenza, questa banca, nonostante l'affollamento di nuove presenze nell'ultimo decennio, riuscita non solo a mantenere, ma anche a migliorare le proprie quote di mercato. E' una prova indiretta della nostra capacit di percezione dei bisogni, di assidua presenza, di vigilanza nei confronti della nostra clientela (Pio Bussolotto). Infine, ci sono strategie di ottimizzazione localistica, perseguite dalle banche, che hanno un rapporto solido e consolidato con le nicchie territoriali date dai distretti che vengono accompagnati anche in strategie di creazione di uffici esteri, che accompagnano la dilatazione del sistema distrettuale. 85

FARE BANCA AL NORD E FARE BANCA AL SUD

Tornando ad un'analisi macro dei risultati della ricerca, abbiamo riscontrato una differenza tra fare banca nel Nord e fare banca al Sud. Storicamente la differenza si consolidata sul diverso livello di rischio degli impieghi: pi forte al Sud e meno al Nord. Questo fatto ha comportato una diversa modalit di accompagnamento del sistema imprenditoriale, deficitaria relativamente allo sviluppo nelle aree del Mezzogiorno e sempre in queste aree caratterizzata dall'essere una modalit di accompagnamento pi dei bilanci familiari che di altro e per essere una forma di redistribuzione della "ricchezza" dei trasferimenti dell'intervento straordinario: Dal lato della raccolta il Sud un terreno fertile per offrire tutta una serie di prodotti. Sta rispondendo molto bene, ad esempio, ai nostri prodotti di bancassicurazione, fondi comuni, gestioni patrimoniali, etc. Per quanto riguarda gli impieghi c' una certa diversit tra Nord e Sud: gli impieghi del Sud sono prevalentemente di tipo non industriale, cio relativi al settore del commercio o del terziario, quindi manca del tutto un certo tipo di attivit come, ad esempio, quella con l'estero. E' una realt che valutata in base ai parametri che utilizzano le banche per "studiare" i clienti si presenta meno chiara, quindi di conseguenza pi rischiosa perch ci sono dei fattori obiettivi di analisi di bilancio che denotano situazioni non cos consolidate come invece esistono nelle realt territoriali del Nord. Certamente c' una diversit tra Nord e Sud nel modo di fare banca, inutile nascondercelo (Alberto Cracchi). C' chi individua la diversit nel fare banca tra Nord e Sud nel diverso tipo di rapporto che ha legato gli imprenditori alle strategie e alla propriet delle banche. Al Nord, nonostante tutto, c' una grande prossimit e un "comune sentire" tra imprenditori e banche, mentre al Sud questi due mondi sono sostanzialmente estranei uno all'altro: 86

Al Nord c' un radicamento forte del sistema bancario sul territorio e c', molto meno che non altrove, l'assillo di problemi fortemente sentiti che non stiamo qui a descrivere perch li conosciamo bene. C' soprattutto, ma non casuale perch la storia (economica, sociale e anche giuridica) che lo conferma, una maggiore sinergia. Una doglianza diffusa delle categorie "esterne" al sistema bancario che "le banche non ci capiscono". Nel Nord questo molto meno sentito che altrove, perch c' non soltanto una radicata presenza sul territorio della banca media e piccola, ma c' soprattutto una capacit di linguaggio comune che altrove meno diffusa. Ad esempio, se prendiamo una banca come il Credito Agrario bresciano, vediamo che ha nel consiglio di amministrazione alcuni tra i pi importanti industriali bresciani: Folonari il Presidente e poi se non sbaglio ci sono Nocivelli, Lucchini, Radici, Beretta. Allora queste cose danno questa capacit di comune sentire, di comune linguaggio, che fa rendere operativo il contatto tra le banche e le imprese. Questa, non solo a livello di entit piccole e medie, una cosa fortemente sentita. Anche la grande banca nel Nord ha questa attitudine a capire, a percepire, a sentire, a metabolizzare i problemi del cliente. Mentre al Sud si registrano pesanti attacchi alle banche, se si va a Treviso le lamentele sono soprattutto rivolte contro la burocrazia romana. Questo, direi, un punto interessante (Giuseppe Capo). In questi ultimi anni, il Mezzogiorno stato colpito duramente da una recessione che, andando ad innestarsi su di un'economia di per s gi debole, ha finito per produrre effetti devastanti. La caduta dei tassi di interesse e la chiusura dei rubinetti statali ha mostrato tutte le difficolt del fare banca al Sud: Quando in passato, il banchiere lucrava sullo spread tra tassi attivi e passivi e molti banchieri meridionali investivano i depositi pagati a tassi bassissimi in titoli di Stato - fare il banchiere era facile per tutti. C' stata una fase inflattiva, in Italia, con punte sino al 20%, una fase nella quale i titoli di Stato garantivano al banchiere un differenziale altissimo sulla raccolta. Le allora Casse Rurali e Artigiane erano addirittura obbligate ad investire un quarto della raccolta in questo modo e, per un periodo, tutto il sistema stato soggetto al cosiddetto vincolo di portafoglio. E' triste, al proposito, notare che, appena i banchieri meridionali sono stati liberati di questi obblighi e sono stati costretti ad impiegare quote crescenti di raccolta, le sofferenze sono esplose in un breve volger di tempo (Elio Porino). Inoltre, c' chi ritiene che i pi stretti rapporti tra imprese e banche locali, mentre nel Nord-Est e nel Centro hanno implicazioni prevalentemente virtuose, in termini di efficienza allocativa, nel Mezzogiorno hanno invece implicazioni viziose. La differenza tra prestare soldi agli "amici degli amici" e prestarli a chi ha un progetto imprenditoriale serio la stessa che passa tra un'economia clientelare ed un'economia com-

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petitiva. L'economia clientelare non premia il merito, ma l'affiliazione, non favorisce lo sviluppo, blocca la crescita di una classe dirigente adeguata ai tempi e porta al fallimento le banche. Il Mezzogiorno e il suo sistema bancario sono speculari. Il Sud aspetta ancora il suo sviluppo e buona parte delle sue banche sono finite male. La speranza che ora questa specularit si possa ripetere nella direzione inversa, ovvero che un sistema bancario professionale possa spingere il Mezzogiorno fuori delle secche. Il processo di accorpamento e di acquisizione da parte delle banche del Nord cerca di rispondere alla crisi del sistema bancario meridionale:
Nel Sud il Banco Ambroveneto ha fatto alcune acquisizioni, ma abbiamo attuato anche una politica di apertura di nuovi sportelli piuttosto intensa fra il '92 e il '95 al fine di riutilizzare le risorse umane resesi disponibili con le acquisizioni della Banca Vallone, una banca privata pugliese, della ex Citibank Italia, che era una banca di dimensioni significative, della Societ di Banche Siciliane, della Banca Massicana, una piccola banca in provincia di Caserta con una quindicina di sportelli. Attualmente tutti gli sportelli meridionali sono con il nostro marchio. La strategia che si seguita stata quella di acquisire queste banche e poi successivamente incorporarle nel Banco Ambroveneto. Infatti, non sembrava che i marchi acquisiti avessero un particolare valore, anzi probabilmente era vero il contrario, cio il marchio Ambroveneto si presentava come assai pi qualificato e di garanzia agli occhi della clientela locale (Antonio Furesi).

Differente invece la motivazione per cui si arriva a questo processo di nuovo partenariato. Troviamo coloro che ritengono che questo processo sia figlio delle indicazioni della Banca d'Italia che "indicherebbe con forza" agli istituti meglio patrimonializzati a farsi carico del problema, e troviamo quelli che ritengono il processo la conseguenza logica di un'azione "regionalista" e "territoriale" per cui tende ad estendere il modello vincente sulle altre aree del Paese. Da qui, la spiegazione alla acquisizione di quote di mercato per trasferire logiche di azioni differenti, soprattutto in quei territori del Mezzogiorno ove iniziano a delinearsi strategie di consolidamento d'impresa. Il 2 gennaio 1998 diventata operativa Carime, la banca nata dalle ceneri delle Casse di Risparmio di Puglia, di Calabria e di Salerno. L'azionista di riferimento la Cariplo che ha portato, oltre che i capitali, il management e la tecnologia. La banca nasce sana e liquida e tra i suoi
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obiettivi c' quello di portare i suoi impieghi dai circa 6 mila miliardi attuali a 10 mila in tre anni. Quattromila miliardi di credito in pi a disposizione delle imprese, ma oltre alla quantit delle risorse che entrano in circolo, la forza innovativa viene dal modo in cui queste risorse verranno allocate. Gli obiettivi sono quelli di valutare le proposte e i progetti imprenditoriali, scegliere quelli credibili, seguire le imprese, aiutarle a crescere e magari a internazionalizzarsi. Il Sud banche di questo tipo non ne ha mai avute. La Carime, il Banco di Napoli e il Banco di Sicilia sono larghissima parte del sistema bancario del Sud: tutti e tre stanno tentando una nuova vita in un clima nazionale e internazionale diverso. Nessuna banca si pu pi permettere una gestione clientelare del credito e anche la domanda cambiata, con i risparmiatori che non si contentano pi dei Bot e chiedono prodotti pi sofisticati, e le imprese che hanno bisogno di denaro, ma anche di una verifica dei loro progetti. Tirate fuori a caro prezzo dai profondissimi buchi nei quali la gestione clientelare le aveva gettate, le banche meridionali ora possono essere per il Mezzogiorno una opportunit per passare da un'economia di consumo ad un'economia di produzione. Oltre alla Cariplo, alla Bnl e al Mediocredito Centrale, anche molte banche di medie dimensioni del Nord hanno rilevato in questi anni numerose banche, piccole e medie, del Sud. Un caso interessante di espansione da Nord verso Sud rappresentato dal Credito Emiliano, una banca regionale con due poli forti (Modena e Reggio Emilia) e con una espansione recente nelle province di Bologna e Parma, a Milano (acquisizione della banca Belinzaghi), e al Sud. Oggi, il Credem conta su 212 filiali, che salgono a 250 unit come gruppo Credem (con 2.249 dipendenti), di queste 50 sono in Sicilia, 13 in Puglia, 11 in Calabria, 10 in Campania. Dal racconto di Enrico Defendati, responsabile programmazione e controllo della banca, emerge come l'allargamento stato fatto con l'obiettivo di raggiungere un migliore dimensionamento funzionale all'assorbimento dei costi e, quindi, per far valere le economie di scala. La scelta del Sud stata motivata dal fatto che era possibile comprare delle banche a prezzi "decenti". La prima banca meridionale acquisita del Credem stato l'Istituto Bancario Siciliano di Marsala nel 1991. Oggi, il Credito Emiliano additato come esempio, a fronte di un'espansione che ha portato all'assorbimento di altri sette istituti fino al 31 dicembre del 1996 (la Banca di Girgenti ad Agrigento, la Banca Indu-

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striale Agricola di Radicena a Taurianova, la Popolare di Paterno nel Catanese, la Cassa Rurale di Corleone nel Palermitano, il CreditWest con le sue filiali a Napoli e Caserta, La Banca Tamborino Sangiovanni a Lecce, la Popolare di san Marco Argentano a Cosenza), di altre quattro (la Cassa Rurale di Ciminn a Palermo, la Banca dei Comuni Nolani nel Napoletano, la Cassa Rurale di Curinga e del Lamentino in Calabria, la Cassa Rurale ed Artigiana di San Giovanni Gemina) dal gennaio '97. La holding che controlla il Credito Emiliano,40 ha intanto raggiunto un accordo per rilevare il 51,3% della banca della provincia di Napoli, quotata al mercato Ristretto. L'operazione comporta l'obbligo di lanciare un'Opa successiva per l'acquisto del restante 48,7% dell'istituto di credito campano. Defendati sottolinea che la regola ferrea alla quale il Credito Emiliano si attenuto nella sua campagna meridionale stata quella della massima prudenza. Prudenza nel definire le cifre dell'acquisto. Prudenza nello spingere sul pedale dell'espansione dopo l'acquisto ("se in un'economia malata si punta alla crescita ad ogni costo si finisce per assorbire la malattia che sta attorno"). Prudenza nel passare ad un nuovo acquisto soltanto dopo che l'impatto sui conti di quello precedente stato assorbito. Nei confronti di tutte le banche acquistate, il Credem ha disposto l'immediato assorbimento, spesando immediatamente sul proprio conto economico la cancellazione dei crediti di dubbia qualit e investendo massicciamente (in spostamento di uomini dal Nord al Sud, in formazione del personale, in sistemi informativi) per integrare pienamente la nuova realt nella propria struttura. Tra costi diretti ed indiretti, il Credem ha investito 360 miliardi fino al dicembre del 1996 per la sua espansione al Sud. Il risultato una rete di un centinaio di sportelli che

40. Il gruppo Credem quotato in Borsa dal mese di ottobre 1997, dopo la fusione con la controllata Euromobiliare. Circa l'80% del capitale del gruppo Credem detenuto dalla finanziaria di Reggio Emilia, Credem Holding che fa riferimento ad Achille Maramotti, titolare della nota azienda di abbigliamento Max Mara. Maramotti possiede, infatti, un pacchetto di oltre il 33% di Credem Holding. Altre quote, oscillanti, tra l'I e il 2% sono nelle mani di imprenditori e professionisti reggiani. Le restanti azioni della holding sono ripartite tra circa 3 mila soci, ma esiste un patto di sindacato di blocco con 200 aderenti. Achille Maramotti siede anche nel consiglio di amministrazione del Credito Italiano e controlla, direttamente o indirettamente, il 3,3% della banca milanese. Questo fatto ha suscitato voci (sempre smentite dagli interessati) circa possibili sinergie operative e strategiche tra il gruppo Credem e il Credito Italiano.

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generano una raccolta diretta di 2.300 miliardi a cui fanno fronte impieghi per 1.100 miliardi ai quali si devono aggiungere i 200 miliardi di sofferenze ancora in essere. Al Sud - dice ancora Defendati - si lavora con uno spread maggiore, ma questo corrisponde ad un rischio maggiore sui crediti. Far pagare il credito di pi non , tuttavia, sufficiente e ci che si deve fare offrire non solo finanziamenti, ma altri servizi. In uno spazio di tempo che va da 18 mesi ai 7-8 anni dopo l'acquisizione, tutti gli istituti assorbiti dal credito Emiliano si avvicinano, nel rapporto tra proventi da intermediazione finanziaria e da servizi e margine totale di intermediazione, al dato medio della banca che oggi del 42%. Per il prossimo futuro, il Credito Emiliano ribadisce la volont di crescere in particolare nel Centro-Sud, ma a differenza del recente passato sta riposizionando l'obiettivo redditivit al vertice delle priorit. Le acquisizioni, al cui servizio il gruppo pu indirizzare quasi 600 miliardi di free capital, saranno in sostanza realizzate solo se compatibili con il raggiungimento di un Roe del 15% nel 2000, un valore superiore di quasi 6 punti rispetto a quanto realizzato nel '97. 41 Nel complesso, secondo gli ultimi dati presentati dall'Abi, se si considerano i rapporti di collegamento e controllo che legano su basi consolidate le banche meridionali con quelle del Centro-Nord, si scopre che afferiscono a queste ultime: il 66% degli sportelli; l'80% dei depositi; l'84% degli impieghi; l'80% della raccolta indiretta. In buona sostanza, alle banche meridionali prive di collegamenti proprietari extraarea rimane appena un 20% dei mercati complessivi del Mezzogiorno. 42 C' chi paventa che l'intenso interessamento da parte delle banche centrosettentrionali per quelle del Sud rischi di ripercuotersi, se non

41. Il 1997 stato per il Crederti un anno caratterizzato da una significativa espansione delle masse intermediate, da un deciso aumento del risparmio gestito e da una marcata crescita della redditivit, oltrech dalla prosecuzione della strategia di sviluppo. Oltre alle banche meridionali, stato acquisito il controllo dell'Istbank (Istituto centrale di banche e banchieri) con un investimento aggiuntivo di 130 miliardi circa. La raccolta complessiva ha superato i 25.00 miliardi, quella diretta stata di 7.800 miliardi, quella gestita di 9.000 miliardi, gli impieghi a quota 5.700 miliardi (cfr. Alberto Nosari, Per celebrare il 2000 il Crederti punta a un Roe del 15%, Il Sole 24 Ore, 31 gennaio 1998, pag. 33). 42. Cfr. Donato Masciandro, Le sofferenze del Sud sono un problema nazionale, Il Sole 24 Ore, 29 gennaio 1998, pag. 31.

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saranno predisposti gli antidoti indispensabili, negativamente sulle potenzialit e sulle capacit di sviluppo del Mezzogiorno. Infatti, si teme che, stante l'origine centrosettentrionale delle banche acquirenti e la loro propensione ad investire soprattutto nell'area di loro maggiore radicamento, si corra il rischio che una quota ancora maggiore di quella gi sostanziosa che in passato subiva la stessa sorte finisca a sostenere l'economia e la crescita del Nord, mentre solo delle quote marginali possano rimanere al Sud. A tale proposito, importante sottolineare che la Federcasse, la Federazione nazionale delle Banche di Credito Cooperativo, ha avviato, gi nel 1995, un Progetto Sud che il presidente Alessandro Azzi motiva nel modo seguente: Un sistema economico meridionale robusto non pu contare solo su un sistema bancario che abbia i propri centri decisionali fuori del proprio territorio. Il Sud ha bisogno del credito cooperativo anche per evitare il drenaggio del risparmio verso altre aree del Paese. Nel contempo il credito cooperativo del Sud ha bisogno dell'assistenza di quello del Nord e quello del Nord ha bisogno e ha a cuore la solidit delle banche del Mezzogiorno. In particolare, nella prospettiva di una riduzione del peso delle grandi banche locali nel Meridione, al credito cooperativo si presenta opportunit di diventare un importante punto di riferimento per il rilancio endogeno del sistema finanziario. Perci, il Progetto Sud della Federcasse punta su quattro direttrici principali: pi attento monitoraggio statistico; potenziamento dell'azione preventiva, cio dell'auditing; sorveglianza organica della gestione delle BCC che hanno presentato un piano organico di risanamento; gemellaggio tra BCC del Nord e del Sud (formazione, management, etc).

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IL PROBLEMA DELLE DIMENSIONI ADEGUATE PER COMPETERE

Una seconda differenziazione, che attraversa il dibattito sulle tipologie bancarie, riguarda il problema della dimensione della competizione bancaria in una logica di internazionalizzazione del mercato e in vista della moneta unica. Il problema dimensionale viene spesso posto come un problema essenzialmente legato alla ricerca di una riduzione dei costi.43 Ma, in realt il problema dimensionale nasce da esigenze che vanno al di l

43. Cos, ad esempio, nei giorni successivi all'annuncio del progetto di fusione tra l'Istituto Bancario San Paolo di Torio e l'Imi, il quotidiano economico britannico Financial Times (nella Lex Column) ha liquidato l'operazione come una mossa "non male in se stessa", ma che "non risolve il problema principale del sistema italiano: gli alti costi". Secondo l'autorevole quotidiano, infatti, essendo l'Imi una banca d'investimento e il San Paolo una banca commerciale, non ci sarebbe "margine per tagliare i costi", non ci sono particolari sinergie su costi rilevanti come quelli del personale. A queste contestazioni, i sostenitori nel progetto hanno obiettato che "esistono importanti sinergie sul fronte dei ricavi e che le due aziende sono complementari" dal momento che l'Imi non ha rete commerciale e soprattutto svolge un diverso lavoro dal San Paolo (Gianni Zandano, Una fusione per tener testa ai giganti, Il Sole 24 Ore, 24 febbraio 1998, pag. 5). Il futuro conglomerato bancario potr contare su 200 mila miliardi di raccolta clienti, 180 mila di impieghi e 100 mila nell'asset management, cio, come sostiene Zandano, si tratterebbe del: "primo gruppo italiano a raggiungere una scala ragionevole per sopravvivere in autonomia. Nell'asse t management tale dimensione probabilmente la minima necessaria per potersi dotare di un'adeguata capacit di analisi dei mercati (costo fisso, da distribuire su una base di volumi pi ampia possibile). Nessun operatore italiano si avvicina oggi a tale soglia, ma questo sostenibile solo perch la clientela non ha ancora imparato, in generale a valutare criticamente le offerte. Con il maturare del mer-

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della pura necessit di ridurre i costi come il conseguimento di una massa critica in termini di volumi di business che possono consentire l'attivazione e l'erogazione in modo profittevole di servizi alla clientela, via via sempre pi professionali e sofisticati. Le aggregazioni e le concentrazioni sono considerate indispensabili per permettere alle aziende di acquisire dimensioni appropriate per sostenere un mercato ad elevata concorrenzialit come sar quello italiano ed europeo dei prossimi anni:
Secondo me c' un luogo comune che riguarda il problema dimensionale che viene spesso posto come un problema di riduzione dei costi. Non vero, a mio parere. Il problema vero che l'andare verso un forme di attivit bancaria di tipo europeo ha costretto e costringe le aziende a lavorare volumi pi ampi, perch altrimenti se fosse solo un problema di costi sarebbe facile. Lavorare volumi pi grandi vuol dire una dimensione logicamente pi grande, vuol dire andare sui servizi e vuol dire che le piccole banche locali se rimangono nelle dimensioni originali non possono offrire servizi di copertura del rischio di tasso, o servizi sofisticati che le aziende comunque cominciano a chiedere. Dimensione vuol dire anche possedere le risorse per avere del personale capace di erogare quei servizi che consentono alle aziende, che la banca ha aiutato a crescere, di andare in borsa o di espandersi sui mercati internazionali. Solo se si hanno certe dimensioni ci si pu permettere di avere una sezione di merchant banking oppure una sezione che fa project financing (Natalino Oggiano).

cato, inevitabile che anche in Italia si verifichi una forte concentrazione del settore, relegando gli operatori minori a ruoli specialistici o di mera distribuzione. Nel mercato dei servizi alle imprese, la scommessa replicare l'offerta di prodotti fee based, gi oggi abbastanza diffusa presso la clientela primaria, anche sulle dimensioni medio-piccole. Oggi in questo mercato il Sanpaolo ricava sulla clientela corporate 25 lire da servizi ogni 100 lire da margine di interesse, mentre gli standard internazionali sono circa il doppio. La vendita di servizi di investment o merchant banking richiede personale professionale, con competenze specialistiche molto spinte. Il Sanpaolo ha un patrimonio di relazioni privilegiate con circa 500 mila imprese medie, piccole e piccolissime, ma ha limitate risorse con le competenze specialistiche necessarie. L'Imi per contro, ha competenze molto avanzate in questo settore, ma ha una limitata capacit di raggiungere i potenziali clienti al di sotto di una certa soglia, e ha d'altra parte oggettive difficolt a espandersi su altri mercati. Ecco dunque la logica industriale dell' operazione: per il San Paolo crescere ricercando riqualificazione (da banca universale, obiettivo non pi proponibile, a banca multispecialist) e sviluppo dei ricavi, in attesa che le condizioni al contorno permettano di agire pi aggressivamente sui costi (a contesto normativo, giuridico e sindacale mutato, ci implica ricercare una ulteriore aggregazione con altra o altre banche di credito ordinario); per l'Imi ottenere l'accesso per prodotti corporate a un canale distributivo molto potente sul mercato medio; per entrambi assicurarsi una presenza sostenibile nell'asset management. "

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D'altra parte, esiste un ampio consenso fra gli addetti ai lavori riguardo al fatto che nei prossimi anni ci dovr essere una riorganizzazione a livello di sistema per cui, da un lato, attraverso l'accorpamento delle grandi banche si creeranno delle aziende in grado di avere forti capacit di sfruttare le economie di scala, mentre, dall'altro lato, ci saranno delle aziende bancarie di minori dimensioni, radicate sul territorio, con delle fecalizzazioni strategiche molto chiare e con la capacit di "terziarizziare" tutto il monte produttivo a delle strutture di supporto che forniranno i servizi: Credo che la riorganizzazione del sistema bancario dovr avvenire su due livelli diversi: su quello della dimensione e su quello della specializzazione. In Italia abbiamo sette istituti grandi pi una serie di istituti medi e una serie di istituti piccoli. Sono convinto che il numero dei grandi istituti sia eccessivo. Ritengo che sar necessario realizzare degli accorpamenti tra di loro perch esistono delle economie di scala nel business dell'itermediazione finanziaria che investono, ad esempio, anche le attivit di ricerca su come segmentare la clientela e sui modelli organizzativi ottimali per servire questa clientela. Il vero momento di specificit in cui diffcilmente si crea una economia di scala nel rapporto con la clientela e con il proprio territorio. Cio, sono convinto che si debbano creare delle aggregazioni dove i fattori produttivi e di formazione del pensiero sono messi in comune e che poi ci debbano essere delle pluralit di sistemi distributivi che abbiano una forte capacit di mantenere quel radicamento con il territorio che tipico delle aziende di credito italiane. Per la fascia del sistema bancario di dimensioni inferiori necessario che i singoli operatori o si aggreghino a strumenti produttivi maggiori o comunque abbiano una grande chiarezza di disegno strategico. Cio, la riorganizzazione deve attuarsi attraverso una chiarissima definizione degli ambiti di competenza. Non possiamo mantenere le aziende di medie dimensioni indifferenziate come sono oggi. Il problema del sistema bancario italiano che tutti fanno le stesse cose in modo assolutamente indifferenziato. L'euro comporta tassi bassi e concorrenza internazionale e, quindi, una radicale modifica del business system. Tassi bassi e riforma fiscale significano che le imprese sempre di pi sifinanzierannoin modo indiretto, perci diventano molto pi importanti le competenze di strutturare operazioni di intermediazione di valori immobiliari, il placing-power e cos via, di quanto non lo fossero in passato. Tassi bassi significa che sempre di pi i risparmiatori investiranno in strumentti diversi dai titoli di stato, perci occorre una capacit di consulenza per la diversificazione dei portafogli: Cambia strutturalmente il modo di lavorare e credo che sia impossibile mantenere l'idifferenziazione che abbiamo sempre avuto. Quindi, accorpamento dei grandi per creare aziende che abbiano forti capacit di sfruttare economie di scala e specializzazione delle medie e minori. Ci dovranno essere delle aziende bancarie di minori dimensioni, che pi o meno in tutti i paesi del mondo continuano ad esistere, ma dovranno avere delle focalizzazioni strategiche molto chiare e la capacit di terziarizzare tutto il monte produttivo. Poi si creeranno delle strutture di supporto che forniranno servizi (Alessandro Profumo).

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Anche Lino Benassi prefigura un'evoluzione di questo tipo. Ben presto gli operatori bancari saranno costretti a fare delle scelte precise, a specializzarsi: Sicuramente non pu andare avanti cos. E' chiaro che questa una fase di liberalizzazione e, quindi, tutti vanno un poi alla rinfusa, alla ricerca di s stessi. E' una fase di apprendimento, per capire cosa c' da fare e come lo si pu fare e che cosa giusto che ciascuno faccia. E' ovvio che andando avanti o c' una razionalizzazione spaventosa o c' un disastro spaventoso, perch nessuna di queste attivit sta in piedi per s. Quindi, le piccole e medie banche per me diventeranno delle reti distributive. Non possono permettersi di fabbricare loro i prodotti. Le medie e grandi banche dovranno fare delle scelte e possono essere makers, fabbricare dei prodotti, ma non tutti. Quindi, dovranno fare delle scelte. Alleanze, joint ventures con i grandi operatori stranieri del settore per evitare che entrino in Italia e per acquisire una specie di esclusiva per il mercato italiano, dove hanno una capacit di distribuzione e confezionamento del prodotto. Uno, due, tre prodotti/mercati possono essere fatti in proprio, altri in sub-appalto. Il cliente finale potr anche non saperlo, d'altra parte per lui la cosa importante avere il servizio pari a quello dell'appaltante diretto. Quest'ultimo avr il vantaggio di non dover fare investimenti in Italia. Quindi, ci possono essere delle economie di scala e di scopo per entrambi. La banca si deve specializzare, ma soprattutto deve organizzarsi ad essere una rete di distribuzione. Non minimamente infamante accettare di essere rete di distribuzione. Fino a ieri il concetto di essere rete veniva considerato come una specie di second best o di sottoprodotto. Mentre, invece, la rete retati non un sottoprodotto, un valore. Dieci, quindici anni fa nei mercati nord americani chi faceva retali veniva visto come uno senza futuro, oggi vediamo che le grandi banche di investimento si vanno a comprare le reti di distribuzione. Si ridato valore a chi faceva un lavoro apparentemente meno nobile, rispetto all'investment banking o cose di questo tipo. La presenza fisica sul territorio, il rapporto col cliente hanno un valore. Non possono essere disprezzati. Se andiamo a vedere gi oggi alcune banche private e medio-piccole hanno gi battuto la strada di essere reti, di non vendere solo i loro prodotti loro, ma anche quelli altrui. Finora, invece, la grande banca non ha voluto vendere i prodotti altrui, perch lo considerava una diminutio, ma il risultato spesso stato che non ha venduto dei prodotti, perch i suoi non c'erano. In questo modo, ha solo rinunciato a vendere, ha sopportato i costi, senza averne i ricavi. Andando avanti, tutte queste cose verranno a galla, perch alla fine quello che conter sempre di pi sar il return on equity e se non torneranno i conti, bisogner farli tornare. In teoria, la vecchia generazione di banchieri, abituati alla banca statica - fatta di controllo del territorio, controllo del cliente, crescita controllata, non concorrenza sulla raccolta e sull'impiego con prodotti non bancari - dovrebbe essere gi tutta scomparsa. In pratica, non detto che sia cos. Per questo, conteranno i risultati che ciascuno sar in grado di ottenere.

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Alla distinzione di massima, dimensionale e territoriale, si accompagna una differenziazione delle tipologie di azione bancaria che ci permette di fare un tentativo di incasellare gli istituti di credito in cinque categorie (certo non esaustive), che "elenchiamo di seguito: le banche universali; le banche regionali a riproduzione di modello; le banche di territorio e di distretto; le banche d'affari; le nuove banche assicurazioni.

Le banche universali Sono quelle banche che non definiscono le strategie mirate a determinate tipologie di clienti, ma cercano di rispondere alla molteplicit delle opportunit del "mercato bancario", attraverso la produzione e l'offerta di tutti i servizi e prodotti che appaiono sul mercato. In questo senso non esiste una dimensione per cui si pu asserire che fare banca universale, ossia la "banca che pu fare qualsiasi cosa" (Franco Merzliak), significa avere una dimensione conforme. Oggi, anche piccole banche tendono a fare banca universale, definendo una rete capace di rispondere alle richieste della clientela (per cui, magari, non c' produzione di servizi, ma solo operazioni di intermediazione, partecipazione delle banche nelle SpA che offrono tali servizi). Di certo, chi fa banca universale segue una strategia di espansione territoriale (comunque la si voglia classificare) e una strategia di progressiva accumulazione delle funzioni cui deve corrispondere una capacit di organizzazione complessa delle relazioni. Diversi sono i vantaggi, i fattori di successo/competizione e le opportunit offerte dal modello della banca universale: efficienza nella gestione operativa e pi facile raggiungimento di economie di scala/scopo; presidio unitario dei clienti/settori affidati (unitariet di governo del mercato e di presidio delle informazioni); 97

integrazione ad ampiezza del sistema d'offerta, intermediazione "interna", integrazione delle specializzazioni e massa critica di competenze; dominio delle tecnologie informatiche e telematiche attraverso una massa critica di "network" e di investimento in tecnologia/automazione; ottimizzazione dell'equilibrio patrimoniale e finanziario; gestione unitaria del rischio; Il rischio del modello banca universale la sottovalutazione delle difficolt e il velleitarismo. E ' velleitario, ad esempio, per alcune piccole e medie banche, soltanto perch sono forti a livello territoriale, pensare di offrire in maniera economicamente vantaggiosa e competitiva, e con remunerazione di tutti i fattori, gli stessi servizi di una grande banca. Quella della banca universale in Italia una scommessa ancora tutta da vincere anche perch la concorrenza con pochi grandi colossi che operano su mercati mondiali: Non mi stupisce che le banche italiane cerchino di fare la banca universale perch la strategia pi vicina ai loro cromosomi, ma non una strategia che perseguibile da parte delle banche italiane. Se uno pensa che la National Westminster con 97 mila dipendenti si interroga "se siamo capaci di fare i banca universale o no?",44 che non se lo chieda la banca italiana con 3 mila dipendenti mi fa un poi impressione. Tutti possono dire di voler fare la banca universale, ma guadagnarci dei soldi facendola difficile. L'esperienza internazionale dimostra che se si vogliono impiegare bene dei quattrini si deve essere grossi, pi si grossi e meglio . Molto spesso se si va a comprare una gestione patrimoniale da una banca italiana si scopre che questa sta vendendo una quota di una gestione patrimoniale di una banca tedesca, francese o inglese, naturalmente guadagnandoci una commissione. Questa una soluzione instabile che potr durare solofinoa quando gli inglesi non avranno degli operatori che parlano italiano e vanno direttamente dal cliente finale. Potr durare fino a quando gli inglesi non compreranno la banca provinciale italiana e si rivolgeranno al clientefinalein prima persona. Quindi, le banche italiane per poter perseguire la strategia di banche universali sono troppo piccole sia nella gestione del risparmio che nell'attivit di prestito. Questo per alcuni segmenti di mercato pu essere un vantaggio, ma mediamente d loro dei costi troppo alti. Nelle banche giapponesi lavorano con degli spread di 0,75 e noi ci strappiamo i capelli perch lo spread sceso a 3,5. Cos come questo sistema bancario non sta in piedi e la prova che si continua a concentrare.

44. Nel corso del 1997 la divisione di investment banking della National Westminster ha accumulato forti perdite ed stata chiusa o venduta in parte all'americana Bankers Trust e alla tedesca Deutsche Morgan Grenfell. Per cui la NatWest, uno dei quattro grandi gruppi bancari britannici, insieme a Hsbc, Lloyds Tsb e Barclays, non pu pi essere considerata una banca universale.

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Ci vuole una massa critica per inseguire tutti i segmenti di mercato e tutte le nicchie. Altrimenti, il fattore qualificante la quota di mercato sul proprio territorio, nell'area in cui si opera e offrire alla propria clientela i servizi di cui ha bisogno, non necessariamente produrli, ma distribuirli. E' proprio questa la discriminante del panorama bancario del futuro: poche, davvero grandi banche, che produrranno "in casa" i prodotti (dalla gestione, ai servizi avanzati d'impresa, ai rapporti con l'estero) e altre, fortemente correlate con la clientela, distribuiranno pacchetti e consulenze acquistate fuori, anche con la possibilit di produrre degli ottimi risultati e dei buoni margini, ma inevitabilmente fuori da alcune nicchie. In tempi brevi, quindi, le banche dovranno fare i conti con la realt e dovranno scegliere ci che effettivamente possono fare direttamente: E' pura follia pensare che ogni piccola e media banca possa fare la banca universale, soprattutto a livello internazionale. La banca universale in tutt'Italia al massimo la possono fare due/tre banche che oggi hanno uomini, capitali e mezzi per sperare di poter essere banche universali, almeno a livello europeo. Il concetto di "banca universale" bellissimo e va coltivato, per questo porter ad avere sicuramente diversi "livelli" di banca. Ci saranno delle banche che offriranno un servizio - tra cui mutui, leasing, factoring, etc. - ad un certo livello (locale, regionale, et), e poi ci sar qualcuno che, ad un livello pi alto, cio a livello europeo o mondiale, offrir un altro tipo dello stesso servizio. Per, anche qui, dovr fare una scelta perch non potr offrire tutto a tutti i livelli. L'importante che questi due mondi non rimangano separati, ma che si trovi la possibilit di farli funzionare sinergicamente. Ci sar un processo di selezione: chi non si metter alla pari coi tempi destinato a scomparire. Noi siamo una banca che pu produrre ottime utilitarie, non possiamo cero produrre la Ferrari. Qualcun altro produrr la Ferrari. In questo senso, l'evoluzione delle banche andr verso una specializzazione che dovr necessariamente tenere conto del mercato di influenza: c' una fascia di mercato che noi come Banca Popolare di Novara possiamo servire molto bene ed un'altra che possiamo servire meno bene. Quelli che sono in una fascia di mercato alta non riescono a servire cos bene la fascia di mercato bassa e viceversa (Alberto Cracchi). Proprio partendo dalla consapevolezza della propri limiti, ad esempio, una "media potenza" bancaria come la Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo persegue una strategia da banca universale. La Banca valorizza la sua approfondita conoscenza del territorio locale e delle sue esigenze e mira a stabilire delle alleanze con delle grandi societ produttrici di prodotti finanziari ed assicurativi per arricchire e completare il proprio pacchetto di offerta di prodotti e servizi:

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Siamo una banca universale. Le norme consentono di fare tutto, ma noi assumiamo delle decisioni aziendali di fare in relazione al rapporto costi-benefici. Anzich organizzarci per svolgere direttamente determinate attivit, abbiamo preferito collocare i prodotti di altre societ alle quali siamo legati da rapporti di partecipazione al capitale e, quindi, con una partecipazione alla gestione delle stesse. Ci sono dei luoghi comuni secondo i quali la maggiore dimensione sembra sia il requisito fondamentale per sopravvivere in un clima competitivo e di uno scenario di cambiamento. Se osserviamo la realt che abbiamo sotto gli occhi, non c' affatto riscontro che ad una maggiore corrisponda una migliore efficienza, una riduzione dei costi e, quindi, una migliore capacit di competere, anzi, si ha la prova del contrario. A mio avviso, un'azienda ha un suo dimensionamento, una sua cultura, un suo mercato, una sua composizione di costi: quando trova la giusta combinazione di risposta al suo mercato - poich tutto riferito al mercato a cui si rivolge pu guardare tranquilla al futuro anche la piccola banca di credito cooperativo che nel suo comune sa percepire i bisogni della clientela, sa dare ad essi valide risposte. Non deve avere l'ambizione di fare tutto, quindi non pu pensare di "fabbricare" prodotti e servizi bancari, li pu benissimo acquisire da una grande azienda bancaria: sufficiente che pensi a tutelare il suo rapporto con la clientela. Ho fatto l'esempio di una banca comunale, ma ci sono anche esempi intermedi. Osserviamo la Germania: certo, c' la Deutsche Bank, c' la Dresdner, ma ci sono anche le banche locali, molto fiorenti, che sanno creare servizi comuni; il sistema bancario tedesco ha le banche dei Lander. Il discorso della dimensione va, quindi, visto con una certa relativit. Ora, se dai discorsi generali vogliamo calarci nella nostra realt, va detto che il punto forte di questa banca il suo rapporto con il territorio. Non deve avere l'ambizione di fare tutto, ma si raccorder con grandi societ a livello mondiale per i prodotti finanziari innovativi, si raccorder con compagnie di assicurazione, anche con altri gruppi bancari, ma l'importante che tuteli e garantisca il rapporto con il cliente. Ha poca importanza se i diversi prodotti sono messi a punto a Londra, a New York o a Milano, ci che conta che io devo dare risposte ai bisogni del mio cliente in maniera efficiente ed a costi competitivi. Noi, quindi, ci concentriamo sulla nostra capacit di vendita, mantenendola efficace ed adeguata, e non ci preoccupiamo di produrre tutti i servizi, poich abbiamo la consapevolezza della nostra dimensione e della nostra caratteristica di banca locale, non mondiale, n nazionale (Pio Bussolotto). Anche al Gruppo Bancario Banca San Paolo di Brescia 45 le strategie si costruiscono investendo nella identit chiara del soggetto banca-

45. Il Gruppo Bancario Banca San Paolo di Brescia comprende la banca omonima e la banca di Vallecamonica. Per quanto riguarda la massa amministrata della clientela di oltre 20 mila miliardi, gli impieghi ammontano ad oltre 6 mila miliardi, il patrimonio di quasi 800 miliardi. Il risultato lordo di gestione del 1996 stato di 262 miliardi e l'utile netto di 63 miliardi. I dipendenti sono quasi 2.000. Gli sportelli del

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rio e nel ricorso all'outsourcing per i servizi che fanno da contorno al pacchetto di offerta specializzato in finanza d'impresa, risparmio gestito (attraverso la Capitalgest e un accordo di collaborazione con al Smith & Barney), mentre il gruppo non intende entrare direttamente nel settore assicurativo (ha un accordo con il Gruppo Cattolica di Assicurazione per la vendita di polizze vita e l'operativit nei fondi pensione): La politica di fondo quella di produrre internamente quei servizi dove ci sono competenze ed economie di scala sufficienti per coprire i costi. Per i servizi specialistici che richiedono conoscenze e personale non disponibile all'interno della banca, o che necessitano di volumi notevoli per ammortizzare i costi di struttura, l'orientamento verso accordi commerciali con societ prodotto specializzate. E' questo il caso dei prodotti/servizi di bancassicurazione per i quali la banca funge da canale distributivo, mentre la "produzione" viene effettuata dal partner assicurativo. Un altro caso quello del credito al consumo, dove la necessit di avere procedure sofisticate per l'erogazione del credito e la disponibilit di adeguate risorse per gestire il rapporto con la clientela, ci hanno fatto propendere per delegare all'esterno tutta l'attivit di "fabbrica", mantenendo all'interno l'attivit commerciale e di relazione con la clientela. E' evidente che pi i servizi sono complessi, pi aumenta la tendenza da parte delle banche di medie e piccole dimensioni ad estemalizzare parte dei processi produttivi. Per fare un altro esempio, nel settore corporate la nostra banca ha fatto la scelta di costruire un servizio di "finanza di impresa",

Gruppo sono 180 e sono presenti in modo particolare in Lombardia, parzialmente nel Vento, nell'Emilia Romagna e a Roma. Del gruppo fanno parte anche altre societ: Capitalgest, societ di gestione dei fondi comuni; Sifru, societ fiduciaria; Diffusione Finanziaria, Sim di distribuzione che verr incorporata nella banca; Magazzini Generali, societ di stoccaggio merci; Sbim, societ immobiliare. La Banca San Paolo una SpA quotata in Borsa. Nel marzo 1998 stato annunciato ufficialmente che stata raggiunta un'intesa per una fusione tra la Banca San Paolo e la Popolare di Brescia (anch'essa quotata in Borsa). Dovrebbe cos nascere una delle prime banche in Italia. Per dare un'idea pu bastare una sintesi dei risultati di bilancio pi recenti, capitalizzazione di mercato 4.867 miliardi, raccolta diretta 18.595 miliardi, raccolta indiretta 29.265 miliardi, attivit gestite 15.750 miliardi, impieghi 12.187 miliardi, 327 sportelli e 3.562 dipendenti. Quattro sono le motivazioni della fusione: perch hanno la leadership nell'area di Brescia, "una delle pi ricche d'Europa", per la complementariet della rete distributiva, per la massa critica che si crea a livello regionale e, infine, per la complementariet di attivit e prodotti. La nuova banca avr 900 miliardi di free capital e si pone come obiettivo quello di acquisire altre Banche Popolari nel Nord e Centro Italia. 101

ma non intende svolgere in proprio l'attivit di merchant banking. Tale scelta non contraddittoria, in quanto il compito degli addetti al servizio di finanza d'impresa quello di offrire consulenza alle imprese ed individuare le necessit, dopo di che interventi possono anche essere effettuati in collaborazione con operatori specializzati, con i quali la banca ha stipulato degli accordi. Un altro esempio che pu essere utile per capire come la banca approccia il mondo dei servizi alla clientela riguarda i rapporti con le Pubbliche Amministrazioni. La consulenza nei confronti degli Enti Pubblici si concentra ormai sempre pi sull'assistenza alla predisposizione di piani per la realizzazione di importanti infrastrutture e nella scelta delle fonti di finanziamento pi adeguate per far fronte agli investimenti (Alberto Valdembri).

Invece, dal racconto di Giorgio Buongiorni emerge come il Banco di Desio e della Brianza sia attualmente strutturata come banca di carattere universale, nel senso che svolge essa stessa tutta una serie di attivit che in un passato non lontano svolgeva indirettamente attraverso proprie societ controllate.46 In buona sostanza esisteva un gruppo bancario polifunzionale creato verso la met degli anni '80 che in seguito, per effetto di diverse scelte strategiche, ma anche del mutamento della normativa (che prima del 1993 non consentiva di essere banca universale) stato gradatamente eliminato. La banca ha riportato al suo interno tutte le funzioni e i servizi specializzati che in precedenza aveva esternalizzato. Cos, nel 1994 sono state incorporate nel Banco la societ immobiliare (la Desio Brianza Filiali SpA) e la societ di informatica ed elaborazione dati (la Informatica Brianza SpA), mentre nel 1996 stata la volta della societ di leasing (la Desio Brianza Leasing che a sua volta nel 1994 aveva incorporato la Desio Brianza Factoring). Queste attivit di leasing, factoring, etc. vengono svolte con strutture di tipo divisionale all'interno della banca stessa. Oggi, il Banco opera direttamente

46. La Banca di Desio e della Brianza, controllata dalla societ Brianza Unione di Luigi Gavazzi & C. Sapa che detiene il 58,51 % del capitale sociale e che fa capo al gruppo familiare Gavazzi-Lado manca, ha una dimensione medio-piccola locale con un bacino territoriale compreso tra Milano, Varese, Como, Lecco e Bergamo per un totale di 55 sportelli. I dipendenti sono poco pi di 800 e la raccolta nel 1997 stata di 7.854 miliardi (+20%), suddivisa in diretta per 2.901 miliardi e indiretta per 4.953 miliardi. Gli impieghi sono stati di circa 2.500 miliardi. Le sofferenze del 2,3%.

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a tutto campo. Questo, secondo Buongiorni, consente di avere una maggiore strategia rispetto al territorio, perch la banca in grado di trattare i vari rapporti con il cliente in modo unitario, fornendo allo stesso la diversa gamma dei servizi, quindi non in modo frammentario come invece avveniva in precedenza. D'altra parte, mentre in precedenza il mercato delle societ specializzate era ben pi ampio di quello della banca, oggi il mercato per i servizi specializzati diventato essenzialmente locale. Infatti, la fecalizzazione centrata sul cliente tipo del Banco, l'azienda brianzola di medie-piccole dimensioni. Ad ogni modo, la scelta di essere banca universale comporta anche notevoli investimenti nella formazione del personale, il cui graduale trasferimento in sedi periferiche del territorio richiede una capacit di autogestione ed autorganizzazione adeguata, nonch una messa in rete supportata anche da forti investimenti tecnologici-informatici. Invece, per quanto riguarda il prodotto assicurativo, soprattutto dell'ambito vita, ma anche del settore danni elementari (RC auto, interventi ospedalieri, etc.) e rispetto alla gestione del futuro mercato dei fondi pensione, il Banco di Desio e della Brianza socio della CBA Vita SpA, societ costituita nel 1990 con la partecipazione di Banca Sella, Banca Provinciale di Napoli, altre banche e la Reale Mutua Assicurazione. Infine, il Banco partecipa alla struttura consortile CILME (Compagnia Interbancaria Moneta Elettronica), insieme alla Banca Popolare di Lodi, al Credito Valtellinese, al Credito Bergamasco, al Credito Artigiano e alla Banca Popolare di Sondrio, per fornire tutti i servizi Poster sale e di remote banking. Anche la Cassa di Risparmio di Genova ha incorporato nel 1994 nella capogruppo le societ controllate operanti nei comparti del credito speciale, del parabancario e nel settore immobiliare - l'Istituto di Credito Fondiario della Liguria SpA, il Mediocredito Ligure SpA, la Columbus Leasing SpA, la Columbus Factoring SpA e la Columbus Domestic SpA.47 Con tale operazione la banca Carige ha assunto, quindi, la configurazione di banca universale:

47. La Banca Carige stata la prima Cassa di Risparmio approdata al listino di Piazza Affari. Attualmente, la Fondazione controlla l'82% delle azioni, ma tale quota scender fino a ridursi sotto il 51% entro il 2000 a seguito dell'aumento di capitale che la Carige ha in programma per un importo massimo di 500 miliardi nell'arco di 5 anni. Nel 1996, la banca ha avuto una raccolta complessiva di 25.973 miliardi,

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L'ampia gamma di prodotti offerti alla clientela rappresenta un punto di forza significativo per la banca. Dal lato del risparmio l'offerta riguarda i prodotti di deposito tradizionali (conti correnti, certificati di deposito, depositi a risparmio, buoni fruttiferi), la raccolta obbligazionaria su cui l'azienda detiene un'esperienza pluriennale sviluppata in passato dalle societ controllate operanti nel medio-lungo termine, altri prodotti che hanno avuto un'espansione recente (Pronti contro Termine), il risparmio gestito (gestioni patrimoniali, fondi comuni e prodotti misti bancario assicurativi) e il risparmio amministrato (titoli di Stato e altri titoli azionari e obbligazionari). La banca svolge l'attivit di concessione di prestiti all'economia attraverso un'ampia gamma di forme tecniche di prodotto a seconda delle diverse esigenze tecniche e temporali della clientela. A ci si.affianca l'attivit svolta mediante servizi di consulenza e la possibilit di partecipazione al capitale, soprattutto nei segmenti tipici dell'attivit della Carige (piccola e media impresa, artigiani): ci consente all'azienda di poter svolgere il ruolo di banca di riferimento o di banca di famiglia per un effettivo sviluppo, nell'area di operativit, dell'attivit di finanza d'impresa nella sua accezione pi innovativa. Le linee guida della politica del credito formulate dall'azienda sono caratterizzate da un complesso di fattori che tengono conto, in particolare, dei diversi mercati geografici (aree tradizionali ed aree di recente operativit), dei settori di attivit economica (grande industria e piccole e medie imprese, pubblica amministrazione, famiglie) e della gamma dei prodotti offerti per lo sviluppo di possibili azioni di cross selling.

11.700 miliardi di diretta e 14.000 miliardi di indiretta,.con 9.000 miliardi.di impieghi. Ha circa 3.000 dipendenti e 230 sportelli. Oltre in Liguria, opera in Piemonte, Emilia Romagna, a Milano e pi marginalmente in Toscana. La Carige ha attualmente una partecipazione nella Cassa di Risparmio di Savona (50 sportelli) di circa il 40% e per questo nella vendita della Carisa la Carige ha cercato di vantare un diritto di prelazione che non stato tenuto in considerazione dalla Fondazione Carisa che ha trattato la vendita del 53% con la Banca Toscana nel novembre 1996. La Carige ha impugnato questa decisione appellandosi ad un articolo dello statuto della Carisa che limita la possibilit di vendita del pacchetto di maggioranza alle sole Casse di Risparmio. La Carisa ha tentato la modifica di questa clausola, ma la Banca d'Italia ha bloccato l'operazione e la conseguente vendita alla Banca Toscana. La questione resta tuttavia sospesa in attesa di un accordo. I dipendenti della Carisa sono decisamente a favore dell'acquisizione da parte della Banca Toscana perch questo vorrebbe dire almeno il mantenimento, se non addirittura un aumento del numero degli sportelli, mentre le cose potrebbero andare in senso-esattamente contrario se la Carisa venisse acquisita dalla Carige, gi capillarmente presente sul territorio ligure.

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In un'ottica di ampliamento della diversificazione produttiva e di miglioramento della propria redditivit, la banca ha acquisito importanti partecipazioni in societ di gestione di fondi comuni e in assicurazioni, per essere in grado di offrire alla propria clientela una gamma di prodotti sempre pi completa. In questa logica, nel 1997 la banca ha avviato l'operazione di acquisizione maggioritaria delle societ italiane del gruppo di assicurazione svizzero La Basilese (Norditalia SpA, Levante Assicurazioni SpA e Vita Nuova SpA, delle quali le ultime due erano gi partecipate dalla Carige al 20%) che complessivamente hanno raccolto quasi 650 miliardi di premi nel '96.4^ In questo modo, la banca intende svolgere un ruolo sempre pi incisivo sul mercato assicurativo anche in previsione dello sviluppo dei fondi pensione (Mario Venturino).

Le banche regionali a riproduzione di modello Sono generalmente banche di media dimensione che tendono a diventare banche di interesse nazionale che a volte hanno una genesi di tipo provinciale. Nel tempo, e a seguito della liberalizzazione degli sportelli bancari, queste banche hanno cercato di estendere il modello di azione ad altri territori, soprattutto (quelle pi avvedute) in quelle aree a imprenditorialit diffusa che presentassero opportunit similari in termini di domanda per meglio economizzare professionalit, servizi e prodotti. Sono tipici, ad esempio, alcuni casi di banche popolari che sono andate ad aggregare aree distrettuali nel Sud del Paese, o alcune Casse di Risparmio che hanno consolidato la loro azione nel Nord Ovest. La Banca Popolare dell'Emilia Romagna si mossa partendo dall'idea che il fattore vincente la "regionalizzazione" dell'essere e del fare banca. In questa prospettiva, la BPER ha via via inglobato alcune banche dell'Emilia Romagna (la Banca Cooperativa di Bologna, la

48. La cessione delle tre compagnie alla banca genovese ha come risvolto l'acquisizione, da parte del gruppo elvetico, di una quota del 6% del capitale Carige. La Basilese, infatti, si impegnata a sottoscrivere, oltre a 40 miliardi di obbligazioni, una tronche di 110 miliardi dell'aumento di capitale che la Carige ha in programma per un importo massimo di 500 miliardi e nell'arco di 5 anni. All'inizio del '98, inoltre, la Carige ha riorganizzato la sua presenza nel settore della bancassicurazione, fondendo Norditalia e Levante.

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Banca Popolare di Cavezzo, la Banca Popolare di Cesena, la Cassa di Risparmio di Vignola, 49 la Banca Popolare di Ravenna) e ha, quindi, proseguito con l'acquisizione di pacchetti azionari di controllo, sempre in una logica di regionalizzazione, di altri istituti in quei contesti ove era presente un forte radicamento e una visibile vivacit imprenditoriale (la Banca Popolare di Lanciano e Sulmona, la Banca Popolare del Materano, la Banca Popolare di Crotone e la Banca del Monte di Foggia). Il discorso diverso per le ultime acquisizioni in Campania (una piccola Cassa Rurale e il Credito Commerciale del Tirreno), infatti, mentre per le prime rimasta la figura dell'istituto locale in una logica di potenziamento per perseguire una strategia di regionalizzazione, anche attraverso l'acquisizione del controllo di piccole banche locali, per queste ultime acquisizioni si optato per un cambio di immagine, derivato dal fatto che gli istituti "decotti" non permettevano una credibilit nel contesto locale: La nostra banca il risultato di un processo di aggregazione tra diverse realt locali e provinciali emiliano-romagnole. Nasce dal ceppo della Popolare di Modena e della Cooperativa di Bologna, su cui, nel tempo, si sono innestate molte altre realt minori. Abbiamo fatto nove fusioni di banche, prima di arrivare all'ultima con la Popolare di Cesena, che ha dato vita alla Banca Popolare dell'Emilia Romagna. Quindi, la nostra una banca di valenza regionale che ha circa centosettanta sportelli in Emilia Romagna. Poi, su questa iniziativa, cambiati i tempi, abbiamo costituito il Gruppo BPER e siamo passati ad una forma di aggregazione diversa, dalla fusione per incorporazione all'acquisizione di banche che, nel nostro territorio o in altri territori, possono essere in grado di divenire di livello regionale. Questa della regionalit della banca e del suo gruppo, un elemento di forza e una scelta che consideriamo strategica. Quindi, il Gruppo partito con l'aggregazione della Banca Popolare di Ravenna trasformata in SpA e ha proseguito con l'aggregazione della ex Cassa di

49. La BPER stata la prima Popolare ad acquistare una Cassa di Risparmio e quella della Cassa di Risparmio di Vignola stata la prima privatizzazione di un Cassa di Risparmio. Si trattato di un'operazione partita nel giugno del 1995 e condotta a termine in pi fasi. Oggi, la Fondazione della C.R. di Vignola non ha pi alcuna quota della banca d'origine e ha incassato 70 miliardi dalla vendita. 106

Risparmio di Vignola. Poi, siamo andati in Abruzzo, dove abbiamo acquisito la maggioranza della Banca Popolare di Lanciano e Sulmona, la seconda banca locale dell'Abruzzo, che adesso si sta sviluppando con la missione di diventare banca regionale abruzzese. In Basilicata abbiamo acquistato la Banca Popolare del Materano e anch'essa ha la missione di diventare la banca regionale lucana anche attraverso l'aggregazione di una serie di altri istituti minori, Casse Rurali o Banche Popolari, presenti su territorio regionale. In Calabria abbiamo preso la Banca Popolare di Crotone e anch'essa ha la missione regionale. Poi, in forma un po' diversa, anche sulla base delle indicazioni, delle sollecitazioni e del sostegno che abbiamo ricevuto dalla Banca d'Italia, che vorrebbe vedere esportato il nostro modello di fare banche in altre realt territoriali, abbiamo acquistato le attivit e le passivit di due banche campane, prima una piccola Cassa Rurale e poi la rete del Credito Commerciale del Tirreno, due aziende decotte, con precedenti gravi problemi di amministrazione. Cos, gli sportelli di queste due banche sono diventati sportelli operativi della Banca Popolare dell'Emilia Romagna. Credo molto alla vocazione del territorio. Siamo partiti dalla nostra esperienza per cui la forza della banca nasce dalla capillarit e dall'introduzione che ha nella realt emiliano-romagnola. Abbiamo visto che possibile costruire attraverso successive aggregazioni una banca regionale snella, pronta a cogliere i bisogni del territorio, sempre tesa al miglioramento della qualit, che funziona perfettamente e ha dei costi proporzionalmente contenuti. Siamo in una delle regioni pi competitive che esistano in Italia e, nonostante questo, siamo una delle banche pi redditizie che esistano nel nostro Paese. La nostra forza la forza del territorio, la capacit di interpretare i bisogni del territorio. Questo modello, secondo noi, ripetibile in realt che abbiano delle condizioni di base, cio che abbiano almeno un avvio, un indizio di imprenditorialit. Questa stata la scelta dell'Abruzzo e della Basilicata, dove gi esistono alcuni gruppi industriali significativi, dove si posizionata la Fiat ed anche altri imprenditori importanti. In quei territori c' parso di vedere la possibilit di un avvio di industrializzazione o, comunque, di crescita economica significativa che deve essere accompagnata dal sistema creditizio con aziende che siano molto legate al territorio, in cui la gente ci si ritrovi, le senta proprie, sia familiare andarci. Abbiamo scelto la strada della costellazione perch abbiamo presente l'esperienza di altre banche e ne facciamo tesoro. Nel mondo delle Popolari, ad esempio, la Milano e la Novara, sono andate in realt territoriali diverse da quelle di origine, portando le loro insegne, ma non hanno avuto successo perch la gente non le ha identificate con la loro banca, con i loro uomini. Sono esperienze che sono state governate da Milano e da Novara, cos come fa la Cariplo che da Milano governa la Puglia, la Basilicata e la Calabria. Questo ci pare uno schema che non corrisponde alla forte regionalit del nostro Paese. Per questo abbiamo preferito andare in queste realt nuove, che hanno bisogno di professionalit, di esperienza, di conoscenza, di prodotti, di aiuto in termini organizzativi, come il partner forte, ma lasciando, per quanto possibile, un azionariato locale, una rappresentanza locale degli imprenditori nella banca, che facesse s che quella banca sia conosciuta, sia frequentata, sia considerata dagli imprendi-

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tori e dalla gente come la banca del territorio. La nostra vocazione italiana, regionale e stiamo cercando di fare tante piccole finanziarie regionali o altrettante banche regionali a nostra somiglianza, sul territorio. Questa la scelta strategica. Poi, quando non stato possibile, come in Campania, abbiamo portato le nostre insegne, ma l era gi una realt diversa, con molte ombre, ma pi evoluta e probabilmente sta funzionando alla rovescia: la presenza di una banca considerata forte, seria, professionale, fa s che la gente abbandoni volentieri le realt locali andate male per legarsi a qualche cosa di diverso, che rappresenta anche un momento di distacco dai problemi della societ locale (Guido Leoni). Un caso particolarmente significativo di banca regionale a riproduzione di modello senz'altro quello della Cariplo, una banca cresciuta in fretta negli ultimi anni (ancora all'inizio degli anni '90 era una banca chiusa in ambito lombardo, con poche proiezioni esterne) e che oggi, a seconda dei parametri utilizzati, il primo o il secondo gruppo bancario italiano e fra le prime 40-50 banche europee. Attualmente una banca abbastanza equilibrata, mentre in passato era una banca pi di raccolta che di impieghi.50 Gli sportelli sono oltre 700 a livello di SpA e circa il doppio per quanto riguarda il gruppo. I dipendenti ammontano a quasi 15.000 per la sola SpA e a 25.000 a livello di gruppo. Il gruppo comprende, oltre a Cariplo SpA - che tra l'altro ormai non pi limitata solo al territorio lombardo, ma si estende in quasi tutte le regioni dell'Italia del Nord e del Centro - anche Caricai, Caripuglia, Carisalerno e C.R. della Provincia di Viterbo, C.R. Rieti e C.R. Citt di Castello. Cariplo sicuramente una banca e un gruppo a livello nazionale ma, nello stesso tempo, ha una certa presenza in campo internazionale con 6 filiali a piena operativit sulle maggiori piazze finanziarie internazionali (Londra, New York, Hong Kong, Madrid, Singapore e Grand Cayman). A queste si aggiungono, per il supporto alla clientela anche 10 uffici di rappresentanza (ad Atene, Bruxelles, Chicago, Mosca, Pechino, San Francisco, Seoul, Shangai, Taipei e Tokyo). La sua presenza all'estero assicurata anche da alcune seppur piccole aziende di credito controllate

50. Nel '97, la Cariplo, sul piano dell'attivit, nella raccolta fiduciaria ha raggiunto gli 87.887 miliardi, nella provvista indiretta i 148 mila miliardi con una quota di risparmio gestito di 27.363 miliardi, gli impieghi alla clientela hanno raggiunto gli 82.087 miliardi. La Cariplo ha chiuso il '97 con un utile netto di 482 miliardi, archiviando in fretta Vannus horribilis '96 quando le svalutazioni sulle partecipazioni meridionali ridussero il saldo economico a 9 simbolici miliardi.

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(in Francia, Germania e Lussemburgo) e da partecipazioni in aziende di credito di particolare rilievo (in Austria, Ungheria, Portogallo e Repubblica Ceca). Nella sua rapida crescita dimensionale, la banca ha cercato-.-. di seguire una politica mista basata sia sull'apertura diretta di nuovi sportelli (soprattutto in una prima fase), sia sull'acquisizione di quote di partecipazione o di controllo di banche radicate sul territorio (soprattutto di medie e piccole Casse di Risparmio). Basilio Crimaldi spiega qua- le siano state via via le motivazioni dell'evoluzione della strategia di sviluppo dimensionale della Cariplo in questi ultimi anni: Per quanto riguarda le nostre strategie territoriali a medio e lungo termine, si pu dire che si partiti dalla constatazione che il sistema industriale italiano e soprattutto le piccole e medie imprese stavano evolvendosi rapidamente. Un tempo la piccola impresa lavorava esclusivamente in un ambito territoriale circoscritto, producendo magari una gamma di prodotti abbastanza ampia, ma vendendola in un ambiente ristretto. Oggi, le aziende tendono ad avere una gamma di prodotti pi ridotta, ma a lavorare su mercati ampi. In tale contesto, la realt Cariplo, sostanzialmente lombarda, che prima risultava valida, essendo soprattutto di supporto per i piccoli imprenditori che lavoravano essenzialmente in ambito regionale, diventava sempre meno adeguata. Seguendo, quindi, le esigenze dell'apparato produttivo che si era modificato, Cariplo ha avuto veramente "bisogno" di uscire dalla Lombardia. Per seguire la propria clientela naturale, Cariplo ha cominciato a proiettarsi all'esterno e ci era opportuno anche perch a quell'epoca Cariplo aveva un rapporto impieghi/depositi anomalamente basso e lo sviluppo degli impieghi poteva validamente realizzarsi con l'apertura di un numero anche modesto di nuovi sportelli in piazze extra Lombardia (nella maggior parte dei casi si apriva un solo sportello): era la met degli anni '80. Il primo passo stato, quindi, quello di aprire singoli sportelli su alcune piazzo dove poter sviluppare gli impieghi. Raggiunti gli obiettivi desiderati e modificandosi anche il sistema bancario italiano (il fattore scarso per lo sviluppo delle aziende di credito stava diventando quello della raccolta), si avvertita la necessit di infittire la rete degli sportelli anche nelle piazze di nuovo insediamento. Uno sportello singolo in una piazza funziona bene se si devono fare impieghi: se si deve accrescere la raccolta occorre una presenza diffusa. A questo punto, stato quindi necessario accrescere la presenza nei centri maggiori, tipicamente nelle aree dove eravamo pi conosciuti (nel Piemonte e nel Veneto) ed eventualmente cercare di espanderci anche all'esterno, per sempre a "rete". Questa esigenza, non realizzabile ovunque, ha spinto a modificare la politica espansiva indirizzandola maggiormente verso l'acquisizione di partecipazioni in altre aziende di credito rispetto all'apertura di nuovi sportelli. Risulta, infatti, molto

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difficile creare ex-novo una rete se non si gi inseriti in qualche misura nel territorio. Per pi che raddoppiare gli sportelli aziendali, come avvenuto di fatto con le acquisizioni fra la fine degli anni '80 e i primi anni '90, ci sarebbero voluti investimenti enormi e sarebbero stati necessari tempi estremamente lunghi. Infatti, non sarebbero stati sufficienti solo investimenti di capitale; per creare delle vere e proprie reti si debbono acquisire addetti con grande professionalit e approfondita conoscenza del mercato, che sono risorse decisamente difficili da reperire. A questo proposito, pu essere significativa l'esperienza dell'ingresso delle aziende estere nel nostro mercato. A seguito della liberalizzazione, all'inizio degli anni '90, l'ingresso di questi concorrenti era molto temuto dalle banche italiane. In realt, di aziende estere ne sono arrivate ben poche e quelle arrivate per entrare nel nostro mercato, quando lo hanno fatto in modo significativo, hanno dovuto procedere attraverso l'acquisizione di banche gi operanti. Quanto alla recente operazione in corso con Ambroveneto, credo che sia evidente che la stessa si inquadri in una logica di potenziamento dell'operativit aziendale, volta a raggiungere le dimensioni operative pi opportune nell'attuale mercato creditizio e finanziario. La scelta del partner ha ragioni molteplici: proiezione internazionale del soggetto economico, complementarit di campi d'azione sia sotto il profilo territoriale, sia sotto quello settoriale.

Infine, occorre sottolineare che, data la struttura policentrica del territorio centrosettentrionale, tutti i progetti che mirano a costruire delle banche regionali attraverso delle aggregazioni di banche locali incontrano delle grandi difficolt sul piano operativo. Ci sono tanti progetti, ma pochissimi sono quelli che si realizzano. Cos, ad esempio, prendendo in considerazione il settore delle Casse di Risparmio, grandi difficolt, resistenze e conflitti ha scatenato il tentativo avviato negli ultimi anni di creare un polo unico in Toscana. La Holding Casse Toscane SpA, avviata nel 1992 come prima esperienza della categoria in ambito nazionale, a cui partecipavano sette istituti - le Casse di Firenze, Lucca, San Miniato, Pistoia e Pescia, Livorno, Pisa e la Banca del Monte di Lucca - non ha mai funzionato come avrebbe dovuto e, uno dopo l'altro, ha perso tutti i pezzi che la componevano. Nel 1995 le Casse di Risparmio di Lucca, Pisa, Livorno e la Banca del Monte di Lucca si sono staccate e hanno dato vita alla Holding Casse del Tirreno, una realt autonoma che, pur gravitando intorno al maggior peso specifico di Lucca e Pisa, non dovesse fare i conti con quello che veniva considerato lo strapotere locale di un partner come Firenze. All'inizio del 1997 anche 110

la Cassa di San Miniato ha abbandonato la Casse Toscane per la Casse del Tirreno.51 Infine, sempre nei primi mesi del 1997, la cassa di Risparmio di Firenze ha rilevato per 265 miliardi il 51 % della Cassa di Pistoia e Pescia, cio dell'ultimo partner rimasto nella Holding Casse Toscane.52 Questo ultimo passaggio ha segnato la fine dell'esperienza Holding Casse Toscane, finanziaria nata per raccogliere l'intero sistema creditizio regionale della categoria e invece naufragata nel giro di pochi anni. Oggi, quindi, il panorama delle Casse di Risparmio in Toscana vede due attori principali: la Cassa di Firenze e la Holding Casse del Tirreno. Carifirenze ha istituto un gruppo bancario formato dalle Casse di Pistoia-Pescia, di Orvieto e di Civitavecchia.53 Costretta a giocare in difesa in casa, la Cassa di Firenze non rinuncia all'attacco nelle altre regioni del Centro Italia. Dal racconto di Paolo Campaioli, Direttore Generale della Cassa, emerge che l'obiettivo di Carifirenze quello di ottenere una copertura territoriale che va dall'Appennino Centrale sino alle porte di Roma. Di delineano i contorni di un raggruppamento bancario vero e proprio, di medie dimensioni in ambito nazionale, geograficamente posizionato nelle regioni centrali del Paese. Cassa di Firenze e aziende bancarie collegate dispongono, infatti, di 335 sportelli, oltre 36

51. La Cassa di Risparmio di San Minato entrata a far parte della Holding Casse del Tirreno a conclusione di una vera e propria battaglia che ha avuto per protagonisti oltre che le due Holding toscane anche la Cassa di Verona e il Montepaschi. In un primo tempo, infatti, era stato raggiunto un accordo con Cariverona (estate del 1996), saltato successivamente. La scelta di entrare nell'aggregazione con le Casse tirreniche non ha portato soldi all'Ente Cassa di Risparmio di San Miniato. Mentre, infatti, la vendita del 51% dell'azienda bancaria alla Cariverona avrebbe fruttato pi di 200 miliardi di denaro fresco, l'ingresso nella Holding Casse del Tirreno ha portato in dote all'Ente soltanto una partecipazione alla Holding 52. Carifirenze ha pagato l'Ente Cassa di Risparmio di Pistoia parte in contanti, parte in obbligazioni e parte ancora in azioni ( stato riservato un aumento di capitale da 80 miliardi, pari al 5% del proprio capitale). La Cassa di Pistoia e Pescia aveva 52 sportelli e pi di 5.000 miliardi di raccolta. Da notare che la Popolare di Lodi pur di acquisire il controllo della Cassa aveva messo sul piatto la disponibilit a rilevare il 100% de capitale della banca, ma la Fondazione pistoiese ha preferito la soluzione regionale. 53. Il controllo sia della Cassa di Orvieto che di quella di Civitavecchia stato rilevato dalla Banca di Roma nel 1996-97. Il 30% della Cassa di Civitavecchia stato pagato circa 30 miliardi e come nel caso della Cassa di Orvieto, Carifirenze si assicurata anche il diritto di prelazione del capitale. Le casse di Orvieto e di Civitavecchia sono due banche piccole, ma con un forte radicamento territoriale.

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mila miliardi di raccolta globale, 11.500 di impieghi, pi di 5 mila dipendenti e nel '96 hanno prodotto un utile netto aggregato di 101 miliardi. Inoltre, la Cassa aspira alla quotazione in Borsa; al rafforzamento di Eptaconsors, la finanziaria milanese che opera nella gestione dei patrimoni, partecipata da quattro Casse di Risparmio - Firenze, Bologna, Genova e Padova - e da Sicilcassa e banco di Sardegna; al raggiungimento di un'intesa operativa e societaria, pi volte delineata, con le Casse di Bologna e Genova.54 La Holding Casse del Tirreno, invece, controlla le Casse di Lucca, Pisa, Livorno, San Miniato e la Banca del Monte di Lucca (ciascuno conserva la propria autonomia operativa e di marchio) e pu contare su circa 250 sportelli, 3.000 dipendenti, oltre 21.000 miliardi di raccolta complessiva e 8.600 di impieghi.55 E' stato dato incarico alla Lehman Brothers di studiare un programma da attuare entro un anno che prevede di portare in Borsa il 20% della holding, attraverso l'apertura a nuovi azionisti. Questi mezzi freschi serviranno a ricapitalizzare a cascata i cinque istituti di credito controllati. Si tratta di una manovra ritenuta indispensabile al consolidamento della struttura operativa e all'acquisizione di un assetto in linea con i parametri richiesti da Bankitalia nella prospettiva dell'euro, ma legata nei tempi al definitivo conferimento da parte degli enti e delle Fondazioni delle residue quote che ancora detengono nelle rispettive aziende bancarie. L'operazione, gi decisa, fortemente condizionata dall'impatto fiscale sulle plusvalenze, e dunque per andare in porto aspetta il testo definitivo del cosiddetto decreto Ciampi.

54. Nel luglio del 1996 stato conferito a Merril Lynch l'incarico di studiare il progetto di aggregazione tra le Casse di Firenze, Genova e Bologna. Si dovrebbe costituire una holding comune, posseduta pariteticamente dalle tre Fondazioni, a cui sar conferito il controllo delle aziende bancarie. Tale aggregazione potrebbe contare su pi di 1.000 sportelli bancari e potrebbe essere in grado di recitare un ruolo importante nel riassetto del sistema creditizio e finanziario del Paese. 55. Cfr. Cesare Peruzzi, Casse Tirreno pi vicine alla Borsa, Il Sole 24 Ore, 23 aprile 1997, pag. 29; Cesare Peruzzi, Casse del Tirreno, pi mezzi per difendere l'indipendenza, Il Sole 24 Ore, 20 gennaio 1998, pag. 35.

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E' stato creato un sistema informativo unico, in collaborazione con la Comit e si stanno concentrando le attivit dei diversi centri elettronici nella nuova societ Informatica del Tirreno. Si stanno armonizzando le procedure gestionali ed stato avviato il progetto di formazione del personale. Attraverso Grifogest, al cui capitale partecipa per il 30% la Banca Regionale Europea, Casse del Tirreno sta anche spingendo sul mercato del risparmio gestito. Il gruppo, inoltre, distribuisce i fondi pensione di Sim.Co.Gef., la societ di gestione costituita da Comit e Generali. Anche in altre regioni centrosettentrionali, i progetti che mirano a costruire delle banche regionali attraverso l'aggregazione delle banche gi esistenti sul territorio sono falliti o hanno incontrato grandi difficolt, molto spesso, pi che per motivazioni di carattere tecnico, per il prevalere di orientamenti difensivi di tipo meramente localistico e campanilistico. Un caso emblematico in questo senso il processo di riorganizzazione del sistema bancario in Friuli Venezia Giulia. Qui, c' chi teme la "colonizzazione" da parte di banche lombarde, venete ed emiliano romagnole e, quindi, punta alla costituzione del polo regionale, ma c' anche chi difende le prerogative del localismo, oppure chi vuole semplicemente fare cassa e vendere la propria banca al miglior offerente. La storia di questi anni stata un susseguirsi di colpi di mano esterni tra gelosie e sospetti, corteggiamenti e rotture. Il processo di riorganizzazione ha preso impeto a partire dall'aprile del 1992 con l'incorporazione della Banca del Friuli, allora il pi grande istituto della regione, da parte del Credito Romagnolo. E' poi proseguito con: l'acquisizione da parte della Banca Popolare Antoniana di Padova delle due piccole Popolari di Codroipo e di Gemona; l'incorporazione da parte della Popolare Friuladria di Pordenone della Popolare di Tarcento e della Cooperativa Operaia di Pordenone nel 1990, e nel 1995 della Popolare di Latisana; alcune fusioni fra le Banche di Credito Cooperativo (erano 24 nel 1994); 113

il passaggio del 35% del capitale della piccola Kmecka Banka (Banca Agricola) di Gorizia alla Cassa di Risparmio di Bologna;56 l'entrata della Cassa di Risparmio di Trieste nel polo Unicredito, la grande holding bancaria che mette assieme anche Crt (che si porta dietro 5 Casse satelliti in Piemonte), Cariverona e Cassamarca;57 l'acquisto di quote azionarie di minoranza, ma significative, nelle altre due Casse di Risparmio della regione da parte di grandi banche extraregionali. Cos, la Cassa di Risparmio di Udine e Pordenone (Crup) attualmente controllata dalla Fondazione per il 65%, da Cariverona (entrata nel capitale ancora agli inizi degli anni '90) per il 25% e dalla Allianz Subalpina (scelta come partner assicurativo nel 1997) per il 10%. Invece, nella Cassa di Risparmio di Gorizia, la Cariplo ha una partecipazione del 15%. Negli ultimi anni sono state presentate e discusse diverse ipotesi di aggregazione regionale con l'obiettivo di costruire un polo creditizio forte capace di coprire tutti i segmenti del credito e di conciliare l'esigenza dell'identit regionale con i vantaggi di una dimensione maggiore e di alleanze strategiche.58 Un primo progetto era stato presentato dalla finanziaria regionale Frulia alla fine del 1993 nel breve periodo in

56. La piccola azienda di credito goriziana al momento del passaggio sotto il controllo della Carisbo nel 1996 aveva 3 sportelli, 96 dipendenti e copriva il 40% delle relazioni italo-slovena. Cresciuta in parallelo con la crisi della ex Jugoslavia grazie all'afflusso di capitali in fuga dalle zone di guerra, era per stata gestita in modo discutibile e venne commissariata dalla banca d'Italia nell'ottobre del 1994 con tre motivazioni: patrimonio eroso dalle perdite di crediti in sofferenza (34 miliardi in tutto), inadeguatezza del gruppo dirigente, rapporti tra gli azionisti, dominati dalla Safti, la finanziaria della minoranza slovena in Italia. La ricerca di azionisti forti non stata una cosa semplice. Si cercato di mettere assieme un trio di banche Cariverona, Carisbo e Caribolzano - che per non si mai accordato. Alla fine, per i soci l'ipotesi che Cariverona prevalesse con il 45% delle quote, stata decisiva per consentire alla Carisbo di rilevare il 35% con una spesa di 18,5 miliardi. 57. La Fondazione Cassa di Risparmio di Trieste ha conferito il 28% della Cassa giuliana in Unicredito, riservandosi per ora il 51 %, mentre il 5% stato comprato direttamente dalle Assicurazioni Generali, partner assicurativo di tutto il polo bancario. 58. Cfr., ad esempio, Paolo Medeossi, Ecco la Fort Alamo alla friulana, Il Corriere della Sera, 14 novembre 1994, pag. 19; Alessandro Marzo Magno, Cariplo all'Est, Il Mondo, 18 maggio, 1996, pp. 80-81; Aldo Bernacchi, // Friuli teme la colonizzazione, Il Sole 24 Ore, 15 gennaio 1998, pag. 39; A.Q., Pop. Udinese scaglie la Vicentina, Il Sole 24 Ore, 27 febbraio 1998, pag. 35.

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cui alla guida c'era Luigi de Puppi, direttore generale del Gruppo Zanussi. Un progetto pi o meno analogo stato poi rilanciato nel 1994 da Alessio Pasquantonio, presidente del Mediocredito regionale. Sempre nel 1994 si assistito al tentativo infruttuoso portato avanti da Antonio Comelli, presidente della Crup, e da Roberto Tonazzi, presidente della Banca Popolare Udinese, di arrivare alla fusione delle due maggiori realt bancarie in provincia di Udine. In seguito, stata lanciato il progetto di formare una nuova banca costituita dalle tre Popolari, Udinese, FriulAdria e Cividale, messe assieme dove l'Ambroveneto avrebbe dovuto conferire gli sportelli in zona (la rete friulana che apparteneva alla Banca Cattolica del Veneto), quotarla in Borsa e coinvolgere in questa operazione anche la Regione che in un secondo tempo avrebbe dovuto cedere le sue finanziarie di sviluppo. Ne sarebbe nata una banca dominante in regione (con pi di 180 sportelli), agganciata al gruppo Banca Intesa. L'ipotesi decaduta, soprattutto per il timore di uno strapotere dell'Ambra veneto, come ha sottolineato Lorenzo Pelizzo,59 da 27 anni presidente della Banca Popolare di Cividale, la pi piccola delle tre Popolari friulane, che da qualche anno ha stretto un accordo commerciale con la Deutsche Bank per allargare l'offerta dei prodotti:
E' stato lo stesso Corrado Passera, amministratore delegato dell'Ambroveneto, a parlare di tempi e modalit con cui la banca avrebbe acquisito la maggioranza. Altro che banca regionale, finiremmo tutti come la Banca del Friuli. Detto questo, non siamo mai stati contrari a un'alleanza tra le tre Popolari a condizioni paritetiche. Finora, per ciascuno andato per la propria strada, affrontando anche costi ingenti per rinnovare il centro elettronico.

Proprio l'ipotesi dell'aggregazione delle tre Popolari stata al centro del dibattito all'inizio del 1998, allorquando la Popolare Vicentina e Unicredito hanno offerto circa 600 miliardi ciascuna, il doppio del hook value, per la Banca Popolare Udinese.60 Tonazzi, convinto fautore della

59. Citato in Aldo Bernacchi, // Friuli teme la colonizzazione, Il Sole 24 Ore, 15 gennaio 1998, pag. 39. 60. La Popolare Vicentina ha offerto 23.500 lire per azione contro un valore di libro di 12 mila lire per circa l'80% del capitale, mentre Unicredito ha offerto 22.500 per la totalit del capitale. La Banca Popolare Udinese un istituto con 8.700 soci, 35 sportelli (28 in provincia di Udine), 440 dipendenti. Ha chiuso il 1996 con 251 mi-

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cessione della Popolare Udinese e della sua trasformazione in SpA, ha invitato Pelizzo della Cividale e Angelo Scotti, presidente della FriulAdria, la pi grande delle Popolari della regione,61 ad esprimere un parere su un progetto di una banca regionale cooperativa senza posizioni di privilegio (paritetica tra i tre istituti) che potesse contare su 6 mila miliardi di raccolta, quasi 4 mila di impieghi ed un utile stimato in almeno 85 miliardi. Ad ogni modo, la trattativa stata subito chiusa, dal momento che la FriulAdria ha chiesto una maggiore "visibilit", che significava una presenza maggioritaria nel cda del nuovo istituto e che il cda della Udinese (assistito dalla Merril Lynch) ha ritenuto di non poter accettare. Definitivamente bocciata risultata l'ipotesi di fusione dell'Udi-

liardi di patrimonio netto e circa 1.500 miliardi di depositi, mentre gli impieghi ammontano a 1.100 miliardi, di cui 845 a breve termine e 245 a medio-lungo termine. Le sofferenze sugli impieghi al lordo sono del 3,80% e al netto del 2,08%, mentre per l'indice di redditivit Roe stata classificata 3 in Italia (nel 1995 era 1 con il 10,18%): Va evidenziato che il Bilancio '94 ha vinto "l'Oscar della trasparenza" secondo lina classifica redatta dalla rivista 11 Giornale della Banca. Il Bilancio i95 ha avuto la "nomination" per analogo premio (vinto dall'Ambroveneto) nel settore bancario promosso dall'Istituto Relazioni Pubbliche con la collaborazione del settimanale II Mondo. E' un motivo di vanto che una banca cos piccola in un paio di temi si sia distinta nel campo del reddito e della trasparenza (Stefano Semprini). 61. La Banca Popolare FriulAdria di Pordenone ha 13.000 azionisti e il suo bacino territoriale, perimetrato da 86 filiali, copre il Friuli Venezia Giulia (54) e il Veneto orientale (32), estendendosi sulle province di Pordenone (33), Udine (20), Trieste (1), Treviso (15) e Venezia (17). Ha, quindi, un respiro interprovinciale ed interregionale ed opera dal 1990 con il marchio FriulAdria (prima era la banca Popolare di Pordenone) dopo la concentrazione di tre Banche Popolari - la Cooperativa Operaia di Pordenone, la Popolare di Latisana e la Popolare di Tarcento - e l'incorporazione di piccole banche presenti sul territorio. Ha 910 dipendenti, 4.500 miliardi di raccolta indiretta e 3.000 di diretta. Il Direttore Generale Angelo Sette sottolinea come l'efficienza della FriulAdria sia riconosciuta in ambito nazionale: Noi nel 1994 e nel 1995 siamo stati classificati dalla rivista Lombard la miglior banca d'Italia nella propria categoria dimensionale. Non solo come redditivit, non solo come produttivit, non solo come solidit, ma secondo un indice che la somma delle nostre qualit. Tra le banche nazionali, in testa troviamo la Rolo Banca con l'indice paria 7,38, noi siamo primi tra le regionali e locali, con un indice dell'8,21 che pi elevato anche di quello della Rolo Banca. Quindi, siamo superiori anche alle grandi banche.

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nese con le altre due Popolari della regione, allorquando il 21 febbraio 1998 oltre 1.600 soci della Banca Popolare Udinese si sono riuniti in assemblea nel Palasport "Primo Camera" di Udine e si sono pronunciati per la trasformazione in SpA. Il voto finale stato largamente pro-cessione: 2.450 s e 529 no sulle 3 mila schede depositate, deleghe comprese. Cinque giorni dopo l'assemblea straordinaria, il cda dell'istituto friulano ha deciso che sar la Popolare Vicentina ad aggregare la Popolare Udinese. La dirigenza ha quasi sicuramente ottenuto forti garanzie sull'autonomia dell'istituto. Questo verr trasformato in SpA ma, presumibilmente, non sar incorporato per un certo numero di anni. Ci dovrebbe escludere, nel breve periodo drastici problemi di esuberi all'Udinese.

Le banche di territorio e di distretto Sono le banche che sono cresciute col distretto e ne sono state il soggetto accompagnatore. Per lungo tempo hanno beneficiato dell'esercizio de facto di un monopolio locale nell'erogazione del credito. L'apertura dei nuovi sportelli bancari in Italia, infatti, stata molto strettamente razionata dalla Banca d'Italia fino a poco meno di dieci anni fa e in questa situazione nei distretti e nelle aree locali c'erano una o due banche locali che esercitavano delle situazioni di monopolio locale nel settore del credito. Il giudizio su questo particolare tipo di assetto, tuttavia, visti i risultati che sono stati conseguiti in termini di sviluppo socio-economico, non pu che essere positivo: I monopoli, noi economisti siamo abituati a considerarli dei fenomeni negativi. In realt, un assetto monopolistico in alcuni mercati pu avere dei risultati positivi. Il caso della costituzione delle banche locali come alternativa ad esosi prestatori di denaro ha rappresentato un buon esempio di come un monopolio possa essere un modo efficiente per far funzionare un mercato. Il problema oggi che un assetto monopolistico su base locale si venuto sgretolando negli ultimi anni con la liberalizzazione degli sportelli, ma direi che in prospettiva si sgretoler ancora pi in fretta per le tendenze verso la globalizzazione dei mercati (Luigi Prosperetti). Naturalmente, nel recente passato la condizione di virtuale monopolio da parte della banca locale non stata sufficiente per evitare che si verificassero anche casi clamorosi di crisi bancarie, come quello della 117

Cassa di Risparmio di Prato nella seconda met degli anni '80. Questa banca aveva concesso per anni credito a pioggia a tutte le imprese locali, senza tenere in dovuta considerazione il principio della prudenza (molte delle imprese avevano poca consistenza in termini di capitalizzazione e quasi tutte le operazioni venivano fatte sullo scoperto di conto corrente, anche quelle a medio termine), soprattutto se si considera che operava in un contesto territoriale caratterizzato dalla monosettorialit tessile. In altre realt produttive pi diversificate, in cui sono cio rappresentati settori industriali diversi, chiaro che il concetto del rapporto di rischio con la banca locale ha una dimensione diversa perch se c' un settore in crisi, ce ne pu essere un altro che tira, per cui complessivamente nell'area ci pu essere un gioco di parziale equilibrio. In una realt come quella di Prato, in cui il tessile praticamente l'unico settore, evidente che l'intera economia territoriale dipende dall'andamento del ciclo settoriale e, quindi, anche le strategie della banca lode ne risulta fortemente condizionata: Nel sistema pratese c' stata un'evoluzione rapidissima, una crescita smisurata in pochi anni. Negli anni '50 Prato aveva 50 mila abitanti, oggi ne ha 200 mila. Questo ha creato indubbiamente un disorientamento ed uno squilibrio in termini di concorrenza. Se vero che le imprese devono stare sul mercato in base alle proprie capacit competitive, di progettazione, di razionalit, di efficienza, di produttivit, quando un soggetto esterno d un finanziamento particolare, oppure un istituto di credito d dei finanziamenti non strettamente rispondenti ai principi fondamentali di una buona gestione bancaria, si creano anche dei presupposti per rompere gli equilibri di una normale competitivit. In una realt come quella pratese la concorrenza principale avviene non tanto con le imprese di fuori distretto, ma con quelle all'interno del distretto, per cui normale che i produttori si facciano concorrenza fra loro per acquisire un ordine da un cliente importante. In questa concorrenza sfrenata all'interno del sistema distrettuale le logiche competitive sono decisamente spinte, per cui il prezzo si abbassa notevolmente pur di vincere. Allora, se esiste un soggetto esterno qual una banca che, anzich porre la giusta attenzione alle logiche di equilibrio di costi e ricavi all'interno dell'impresa, fornisce forme di finanziamento non strettamente correlate ai reali valori di equilibrio dell'impresa stessa, introduce indubbiamente elementi perturbativi all'interno del sistema. Quando, nei tempi passati, una banca attuava politiche di finanziamento che, appunto, non tenevano conto degli equilibri economici dell'impresa (bilancio, magazzino, etc.) si creavano degli elementi di perturbazione anche sul mercato, perch si favoriva una concorrenza scorretta da parte di competitori di Prato (Fabrizio Fabrini). In molti casi, la liberalizzazione degli sportelli, e la conseguente fine del monopolio della banca locale, ha comportato una vera propria

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invasione del territorio locale da parte delle grandi banche nazionali. 62 Secondo alcuni osservatori, almeno per ora, queste preferiscono fare concorrenza alle banche locali pi che sulla base dell'offerta di nuovi servizi, sulla riduzione, seppur minima, del costo del denaro: A Fermo c' stata l'invasione delle grandi banche. Hanno aperto sportelli a destra e a manca. Saremo arrivati ad avere 7-8 sportelli. Sono tantissimi perch il centro abitato di Fermo non che abbia una struttura industriale. Questa, pi che altro, dispersa nel circondario, nei paesi e nelle frazioni rurali. Naturalmente, l'apertura di un nuovo sportello di una nuova banca porta concorrenza, ma pensavo che specialmente le banche maggiori con pi tradizione si sarebbero confrontate con le banche locali non sul mezzo punto di tasso o di commissione. Pensavo che si sarebbero confrontate sul piano della cultura bancaria e che avrebbero cos portato delle innovazioni tali da essere anche noi costretti ad adeguarci a queste. Invece, tutti si limitano a dire agli imprenditori: "quanto ti fa la Cassa di Risparmi, il 10%? Ti faccio il 9,50%... (Aldo Attili) Ad ogni modo, la concorrenza ha costretto le banche locali a passare da una gestione "a naso" ad una caratterizzata da un monitoraggio costante degli indici di redditivit per singolo sportello. Oggi, occorre una organizzazione territoriale in grado di capire dove sono i punti di crisi e i possibili sviluppi. Al personale vengono richieste pi capacit di "vendita" di prodotti bancari che non semplici funzioni di sportello. In molti casi il quadro dirigente stato rinforzato con persone che avevano esperienza in altre banche di maggiori dimensioni e vi una formazione costante sia interna che esterna:

62. In passato, le grandi banche nazionali sono state penalizzate nella loro espansione territoriale dalla formula che le vedeva presenti prevalentemente con delle grosse filiali nei capoluoghi di provincia (ad esempio, la Comit fino a poco tempo fa aveva intorno ai 40 dipendenti per sportello quando la media italiana era intorno ai 20 e la media europea ai 12). Inoltre, tale formula si dimostrata del tutto inefficace negli ultimi decenni per accompagnare e sostenere lo sviluppo economico dei territori locali, dei distretti e di aree sistema come il Nord-Est. Si pensi che, ancor oggi una banca nazionale come la Comit, che negli ultimi anni ha raddoppiato il numero dei propri sportelli, portandoli a 874 con oltre 18.500 dipendenti, ha il 33% della sua rete localizzata nel Nord-Ovest, il 16% soltanto nel Nord-Est, il 21% nel Centro e il 31% al Sud e nelle isole. 119

Quello della liberalizzazione stato sicuramente l'atto che ha sconvolto tutta quella che era la nostra impostazione bancaria. Prima nella nostra zona esistevamo noi e la Banca agricola, con la quale si era stabilito un rapporto molto equilibrato di lavoro, senza grossi scossoni. Con la liberalizzazione degli sportelli, ci siamo espansi nelle zone vicine e molte banche sono venute nelle nostre zone. Si creata una concorrenza fortissima caratterizzata da una esasperazione nelle condizioni, nei tassi, nei servizi. Per poter vivere e far prosperare l'azienda abbiamo dovuto cambiare tutte le nostre concezioni. Siamo passati da una gestione molto "a naso" a una gestione in cui cominciamo ad avere costi e ricavi per filiale, viaggiamo con dei budget mensili di quantit, di qualit, di reddito che devono essere controllati e verificati Ad ognuno vengono dati dei compiti ben precisi, prefissando all'inizio di ogni anno quelli che sono i nostri obiettivi per poi, durante il percorso, vedere dove siamo arrivati e quale il nostro posizionamento sul mercato. Sono tutti strumenti che prima non si usavano perch non ce n'era bisogno. Adesso, che abbiamo un'organizzazione sul territorio dobbiamo sapere quali sono gli sportelli che guadagnano e quelli che perdono. Il perch e il per come. E' cambiata anche tutta la nostra filosofia di operare (Ivan Ghisini).

Le banche di distretto mantengono un forte radicamento nel territorio di riferimento e tendono a non espandersi oltre una certa misura, limitandosi alle aree limitrofe o ai distretti limitrofi, come nel caso, ad esempio, di banche che si muovono tra i distretti di Carpi e di Sassuolo. Rispetto alla tipologia delle banche di territorio o di distretto troviamo due linee di azione che mostrano la forza la debolezza della banca. Vi sono banche che non hanno saputo produrre una riflessione sul futuro e che hanno, come unica alternativa, il mantenere un legame con la famiglia degli imprenditori pi che con l'impresa. La banca, in questo caso, tende a mantenere una presenza territoriale svolgendo una funzione di "banca universale" a scala ridotta e legando le sue strategie a sistemi di reti esterne, collegandosi anche a banche pi forti. La sopravvivenza di queste banche, come soggetti autonomi in rete sta nella capacit di avere dei livelli superiori di analisi e progettazione adeguati alla dimensione micro. A tale proposito, un caso senz'altro interessante quello della Cassa Rurale ed Artigiana di Castelgoffredo raccontato dal suo Direttore Generale, Ivan Ghisini. Si tratta di una banca che oggi ha 100 dipendenti con 7 sportelli dislocati verso l'alto Mantovano. La raccolta diretta intorno ai 400/450 mld e quella indiretta oltre i 450 mld, per complessivi 900 mld di raccolta, di cui 280 mld impiegati. Il Roe tra il 18 120

e il 20%. Le sofferenze sotto l ' l % (0,5%). La Cassa ha 100 anni di vita e si caratterizzata come banca di distretto (calze), avendo aiutato il passaggio dall'imprenditorialit agricola a quella artigiana e, quindi, industriale. Fare banca per la Cassa ha significato anche cercare di fare strategie per le attivit artigianali ed industriali. La Cassa ha fondato anni fa un Centro Studi della Calza che fornisse il supporto necessario a coloro che stavano sui mercati. Il rapporto tra la banca e la realt locale sempre stato stretto: il credito si sempre dato a fronte di una conoscenza profonda delle persone, le si accompagnate al fare imprese, si guardava a chi lavorava, c'era un rapporto fiduciario consolidato: Come banca locale siamo sempre stati molto vicini soprattutto al settore di trasformazione, agli artigiani che poi sono diventati dei grossi industriali. Essere vicini vuol dire conoscere molto bene i loro problemi e cercare di risolverli. Andando indietro negli anni, quando questa zona ha iniziato a diventare il maggior centro produttivo italiano ed europeo delle calze, la banca ha cominciato a capire l'esigenza di costituire un centro studi, perch c'erano 300 aziende che producevano tutte lo stesso articolo, ma erano disarticolate fra di loro. Anzi, erano in forte concorrenza fra di loro e lo sono tuttora, ma non avevano punti di riferimento per portare avanti dei temi comuni. Allora, noi abbiamo costituito un Centro Servizi e Studi, abbiamo riunito questi piccoli imprenditori in delle tavole rotonde, abbiamo studiato e fatto studiare ad esperti il mercato. Nella fase pionieristica della zona, la cassa rurale stata determinante perch ha fornito mezzi che raccoglieva qui e li ha dati qui a quelli che si conoscevano e che, quindi, hanno goduto di un credito che altrimenti non avrebbero avuto. In una seconda, poi la Cassa ha messo in piedi il Centro Servizi e Studi che ha consentito di capire i problemi degli imprenditori, del settore e del distretto. Ghisini abbastanza disincantato sul ruolo che la Cassa. Vede un ruolo propulsore nella fase iniziale dell'economia di distretto, proprio per una contiguit ed una conoscenza degli imprenditori che banche di grandi dimensioni non hanno avuto. Col tempo questa funzione e questo legame si stemperano. Oggi a Castelgoffredo ci sono aziende (Filodoro, Golden Lady, Sanpellegrino, etc.) che hanno fatturati che superano anche abbondantemente i 100 miliardi. Non pensabile che il rapporto rimanga solo con la Cassa. Ci che invece rimane il rapporto fiduciario tra banca e famiglia. La Cassa sembra svolgere un ruolo di portafoglio e di tesoreria per le famiglie imprenditoriali, pur avendo queste, aziendalmente, altri interlocutori bancari:

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Ci siamo legati al piccolo imprenditore che poi diventato sempre pi grande, facendo miliardi e miliardi di fatturato. Adesso alcuni fanno 100, qualcuno 200 miliardi di fatturato. Adesso qui abbiamo Filodoro che fa 200 miliardi di fatturato, Sanpellegrino ne fa 180, Golden Lady 400. Noi siamo sempre un punto di riferimento, ma chiaro che con l'aumentare delle dimensioni, non abbiamo potuto seguirlo nelle sue necessit finanziarie. Voglio dire, per quelle realt l, che la BCC ci sia o non ci sia... Loro lavorano con 20 banche diverse. Naturalmente eravamo punto di riferimento soprattutto quando sono partiti, e molti me li ricorso, che lavoravano nelle stalle. Loro avevano bisogno di finanziamenti e non sapevano dove trovarli, se non nella propria Cassa rurale. Noi glieli concedevamo perch si guardava la gente che era conosciuta, era brava, gente onesta, e quindi stato l, soprattutto, il ruolo della Cassa rurale che ha avuto come punto fondamentale e determinante nello sviluppo di questo paese. Questi imprenditori, accompagnati nel modo giusto, sono diventati delle potenze. E' chiaro che dopo, quando han cominciato ad assumere dimensioni pi grosse e c' stata l'espansione di tutto il sistema bancario, le aziende non hanno pi avuto problemi a trovare i soldi necessari. Anzi, con un sistema bancario cos diffuso e capillare come c' oggi nel mantovano, ci sono addirittura troppi soldi, troppi fidi a disposizione delle aziende, se vogliamo essere sinceri. Con questa concorrenza che c' e difficolt d'impiego, si danno soldi a tutti, pur di darli via. Quindi, in questa fase siamo inseriti molto bene, ma non siamo pi portanti. S, possiamo sempre aiutare i piccoli e i medi, ma per il resto... La nostra funzione ormai gi stata svolta, cerchiamo di fare bene il nostro mestiere, ma pi di tanto non possiamo fare proprio per le grandi dimensioni che ha raggiunto l'impresa. La consulenza stata sempre un nostro cavallo di battaglia, non una cosa che scopriamo adesso, ma chiaro che adesso facciamo soprattutto consulenza per le gestioni patrimoniali, mentre prima si davano dei consigli agli impresi riguardo alla gestione e alla strategia aziendale. Adesso ci siamo specializzati nella gestione dei titoli o dei patrimoni. Rimaniamo sempre il punto di riferimento per la consulenza per quella fetta famosa di artigiani ed industriali, ma i nostri servizi maggiori sono indirizzati verso la gestione del loro patrimonio personale e famigliare. Si sono stabiliti dei rapporti personali, proprio perch siamo cresciuti insieme e per questo abbiamo una via preferenziale con loro per quanto riguarda i loro investimenti personali. Poi vi sono banche che hanno prodotto analisi sul futuro del contesto distrettuale e che hanno mirato il loro intervento sul rapporto bancaimpresa. Il tentativo quello di mantenere un forte legame con i soggetti che determinano la ricchezza dei territori accompagnando l'impresa con una forma di banca consulente che abbia come obiettivo la razionalizzazione dei costi e la professionalizzazione dell'impresa e la competizione internazionale. Cos, ad esempio, nel caso della Cassa di Risparmio di Carpi che stata l'accompagnatrice del distretto locale, si ritiene che nella nuova si-

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tuazione competitiva sia necessaria una dimensione adeguata, ma anche una capacit di fare territorio. La dimensione competitiva si ottiene attraverso l'alleanza con altre Casse di Risparmio, anche per permettere l'esternalizzazione di alcune funzionila banca non ha pi il centro elaborazione dati al proprio interno da ormai 15-20 anni, avendo creato con altri 12 banche una struttura esterna, la Cedacri, che oggi la prima in Italia per redditivit), per diminuire i costi e per poter lavorare sui nuovi prodotti bancari (la Cassa di Risparmio di Carpi ha ideato per prima i fondi chiusi di investimento) e il fare territorio attraverso una attenzione al sistema produttivo e a nuove forme di "fidelizzazione", meno legate al sistema delle garanzie: Abbiamo necessit di adeguarci ad un forte cambiamento. Abbiamo bisogno, non pi solo di soddisfare la realt territorialmente a noi pi vicina, perch i nostri imprenditori esportano in aree distantissime da quelle di produzione, allora c' bisogno di accompagnarli. E qui nasce il discorso dei collegamenti tra la banca del distretto e le banche di maggiore orizzonte nazionale o internazionale, per competenze, anche a livello di conoscenza giuridica, di conoscenza di strumentazione... Abbiamo delle alleanze con strutture nazionali di dimensioni maggiori delle nostre nell'ambito del mondo delle Casse di Risparmio. A livello internazionale, usiamo le realt italiane o straniere che in quelle aree terminali dove arrivano i prodotti sono abbastanza affini. Su certi mercati possibile creare delle piccole task-force perch la corrente di interscambio consistente e c', quindi, la possibilit di offrire dei servizi recuperando i costi di impianto e quelli fissi. Laddove la presenza pi occasionale, si cerca di gestirla con la flessibilit dell'azienda che si conosce, su quel mercato, su quel terminale. La nostra banca, un'ottima reputazione, non solo nel distretto, per i suoi servizi commerciali all'estero. Banche pi grandi della nostra mandano molti dei loro ragazzi a fare degli stages di formazione presso di noi. Ma, la qualit del servizio non solo merito nostro. Lo stimolo e l'esigenza di rispondere ad una domanda dei nostri operatori, ha portato a sviluppare questa cultura, che un patrimonio importante. Noi siamo convintissimi che la dimensione sia un plus, ma lo anche il radicamento sul territorio. Non possiamo nascondere che sono due tendenze fortissime. La banca di interesse nazionale cerca di operare con il concetto di quelle che hanno radicamento sul territorio; le banche di nicchia o di dimensioni modeste tentano invece di lavorare nell'orizzonte di quelle di valenza maggiore. In quest'incontro, senza nascondere che la performance un fattore importante di selezione, la dimensione sicuramente un traguardo importante. Ma, credo che le alleanze siano pi importanti dell'aumento dimensionale per acquisizione perch consentono di aumentare la qualit dei servizi in tempi molto pi rapidi. Con le acquisizioni o le fusioni, infatti, si mettono insieme inevitabilmente sia delle potenzialit che delle conflittualit, mentre con le alleanze si possono fare certi servizi che sono pronta-

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mente rispondenti alle attese del territorio locale e che ne stimolano la crescita. Per servire il nostro cliente nei mercati di produzione, di transito e in quelli terminali non ci mettiamo in casa tutto quello che c' di nuovo in termini di servizi, sapendo che, stabilendo delle alleanze, chi gi attrezzato ci pu offrire condizioni pi vantaggiose per noi e per il cliente. Ma, la nostra grande forza la conoscenza dell'azienda e dei suoi progetti ed su questa base che siamo in grado effettivamente di avvicinarla con proposte di servizi nuovi. In passato si finanziava il patrimonio, oggi si finanzia la qualit del progetto e la qualit del prodotto. Per moltissime aziende abbiamo l'equivalente di quello che ha il medico condotto, cio una scheda anagrafica dell'impresa, e l'immissione di risorse in questa impresa deve avere un saggio interno di rendimento. Questa consulenza, un rapporto fiduciario di partnership che qui fidelizzato. Reinvestiamo localmente quasi tutti i nostri quasi mille miliardi di raccolta diretta. Il poter reinvestire laddove si produce nuova ricchezza, significa fertilizzare il sistema. Una banca di interesse nazionale questo tipo di servizio, non che non lo voglia fare, ma fa pi fatica a farlo. Ecco dove si fidelizza maggiormente il rapporto banca-cliente: nella dimensione mirata all'intensit del territorio (Luigi Verrini). La Cassa cerca di "essere l'asola per il bottone", cio di mantenere uno stretto rapporto con le imprese e il distretto locale attraverso un monitoraggio forte degli andamenti aziendali. Attraverso il collegamento in rete con le imprese si riesce a costruire una "cartella clinica dell'operatore" che permette alla banca di definire i punti critici, di controllare costantemente la capacit competitiva della banca, di segnalare l'efficacia dei soggetti d'interfaccia (personale amministrativo dell'azienda), di diminuire i costi della relazione bancaria e di diminuire i tempi di sportello per gli operatori economici, lasciando alla clientela familiare e singola questa operazione di contatto diretto: L'azienda artigiana media e piccola il "gigante nascosto" italiano che mantiene il sistema-paese in condizione di competere. Questi imprenditori hanno un grande stimolo ad avere servizi di qualit in tempo reale e sono in grado di dar vita a prodotti che stiano sul mercato interno ed internazionale. Prodotti di qualit che sono frutto di una flessibilit e di una capacit di adattamento sconosciute nella grande dimensione, nonch e di una fantasia, di un'inventiva e di un gusto che non ha eguali nel resto del mondo. Queste sono le forze, a nostro modo di vedere, che ci spingono a cercare con tempestivit, come azienda di servizio bancaria, di essere l'asola per il bottone che, localmente, quello della media e piccola azienda, forte di queste sue caratteristiche. La grande differenza tra le banche di interesse nazionale o di interesse continentale, e quelle locali, che queste ultime devono essere come il consulente fiscale e legale, o nel caso della salute, il medico di fiducia, in grado di avere di fronte, non il cliente utente e punto, ma la cartella clinica dell'o-

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peratore, che le fa una proposta e che le chiede se questa proposta pu essere supportata da risorse finanziarie, circa la tempistica, le modalit, la compatibilit. Quindi, non vuole credito e basta, vuole credito corredato da verifiche costanti e puntuali, nello sviluppo. Questo il concetto di banca di distretto Il grande elemento di fidelizzazione che noi abbiamo con la nostra base, un tempo artigianale, il fatto che la banca investe sul fattore umano, convinta strategicamente che questo quello che fa fare bilancio e qualifica i servizi. Ma, la banca stimola le imprese a fare, a loro volta, un forte investimento sulla qualit, e noi con loro facciamo un trading perch se il profilo del nostro terminale, del referente dell'azienda, artigianale o industriale che sia, non in condizioni di dialogare con noi, con discrezione facciamo arrivare un segnale, perch riteniamo che la crescita dell'impresa passa per la capacit professionale di chi guida nei punti strategici. D'altra parte, in realt come le nostre che sono distretti industriali specializzatissimi la banca deve essere prontissima e attenta, cos come l'impresa. Siamo in una zona avanzatissima di competizione, per prodotti che sono sui mercati internazionali, e se non avessimo cominciato per tempo ad attrezzarci per essere competitivi nell'offrire nuovi servizi, saremmo gi falliti da un pezzo. Se per caso la nostra rete commerciale dovesse avere qualche elemento sotto misura, le imprese non perderebbero tempo a segnalarcelo. C' questa reciprocit tra banca e impresa che un fattore di grandissimo stimolo e di crescita per entrambi (Luigi Verrini). Questo rapporto banca-impresa diventa anche esempio per un pi corretto sistema di efficienza locale. Difatti, la crescita di un sistema imprenditoriale come quello carpigiano abbisogna anche di una capacit del sistema pubblico locale di fornire un adeguato accompagnamento della societ locale, lavorando soprattutto sulla dimensione culturale: Nella nostra gestione, fatto il differenziale del tasso di inflazione, lavoriamo a spread Francoforte. Credo che sia una dimostrazione dell'altissima qualit della risposta del sistema-rete: imprese, banche e anche servizi dell'ente locale. Anche quest'ultimo, infatti, viene stimolato. Quando il sistema servizi ha dei punti di inefficienza - e, ahim, la mano pubblica ne ha troppi - ne soffre l'intero territorio, l'imprenditoria e le aziende di credito. E' importante avere dei forti elementi di sintonizzazione tra gli artigiani, le imprese e gli istituti di credito, e assieme andare a cercare di sveltire l'erogazione di servizi da parte dell'ente pubblico locale. Quindi, per quanto riguarda le zone dove siamo inseriti la nostra azione di stimolatore locale ha toccato anche le strutture pubbliche, in particolare gli enti locali. Facciamo pi fatica a trovare questo tipo di risposta quando l'ambito di competenza sale in ambito regionale e nazionale (Luigi Verrini). Altre banche di distretto tentano di mantenere un forte legame con i soggetti che determinano la ricchezza dei territori entrando nel capitale d'impresa e lavorando congiuntamente con l'impresa stessa, quello che viene definito il tentativo di ricostruire un rapporto ancestrale tra

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banca e impresa. Questa linea di azione presenta dei caratteri interessanti perch permette la rispettiva formazione dei dipendenti e abbiamo casi in cui i bancari vanno a fare stage nell'impresa per capire come funziona, e i dipendenti d'impresa vengono formati alla cultura del controllo di gestione tipicamente bancari. I risultati sembrano pi che positivi. Cos, la Cassa di Risparmio di Mirandola, 138 anni di vita, ma presente come Banco del Monte dei Pegni dal 1496, ha come territorio di riferimento il Nord modenese e ultimamente l'intera provincia di Modena e la bassa mantovana (18 filiali in totale - 12 Mo, 6 Mn). Ha una quota di mercato del 30% sul Nord modenese, un volume d'affari di 1.500 mld e impieghi per 450 mld con 160 dipendenti.63 E' articolata in gruppo: Gruppo Creditizio Cassa di Risparmio di Mirandola SpA, con partecipazione in societ di servizi che la banca poi vende. La formazione del Gruppo conseguente all'esternalizzazione di funzioni e al bisogno di abbattere costi e lavorare su prodotti nuovi che una banca singola non pu permettersi. Quindi, rispetto ai servizi c' anche una comunanza d'azione con altre Casse di Risparmio. Dal racconto del Direttore Generale, Gennaro Murolo, emerge la consapevolezza del cambiamento del modello tradizionale di fare banca locale perch viene meno la fidelizzazione del cliente con il ricambio generazionale ed finita l'epoca della rendita di posizione. Per riacquistare il ruolo occorre ristabilire il "legame ancestrale" tra banca e impresa. A tale proposito, la Cassa ha cercato di entrare nel capitale azionario delle imprese per: capitalizzare le imprese stesse, come via di innovazione sostanziale; costituire un meccanismo a cascata di relazione con la clientela (dall'impresa al singolo): banca-impresa-fornitori-dipendenti-affari; far crescere sia la banca che l'impresa. Infatti, la banca si organizzata con un servizio specializzato interno e ha lavorato per il passaggio culturale degli operatori bancari (dal sistema delle garanzie al sistema della valutazione delle idee progettuali) anche con periodi di permanenza nell'impresa e con la contaminazione dell'impresa sulla cultura del controllo di gestione, dei flussi di cassa e dell'ottimizzazione degli investimenti:
63. La Cassa di Risparmio di Mirandola controllata al 56% dalla Fondazione, mentre il 20% stato ceduto alla bolognese Carisbo e il resto del capitale in mano a piccoli azionisti privati.

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La nostra banca sempre stata una banca locale di buon successo, ma oggi, per poter continuare ad essere banca locale di successo, ha avuto la sensazione di dover cambiare alcune cose. Non si pu pi realizzare il concetto di banca locale come si realizzava fino ad una decina-quindicina di anni fa, perch sono venuti meno due cardini dell'attivit, del modo di essere e dello status di banca locale. Lino quello che viene definito fidelizzazione del cliente. Una volta la banca prendeva per mano un cliente che era magari un piccolo artigiano, lo finanziava, lo seguiva nel tempo, fino a farlo diventare un piccolo imprenditore e poi un imprenditore sempre pi grande. Questo faceva s che si creasse una sorta di senso di riconoscenza e comunque di fidelizzazione nei confronti della banca, per cui il legame diventava, in effetti, strettissimo. Oggi, abbiamo notato che nel mondo degli affari questa fidelizzazione sta venendo a mancare, soprattutto nei passaggi generazionali che si sono succeduti. Perch agli imprenditori che noi abbiamo costruito, sono succeduti i figli, i quali sentono molto meno questo legame di fidelizzazione con la banca locale. Quindi, abbiamo visto che questo, che era uno dei punti di forza della banca locale, venuto meno. L'altro punto di forza della banca locale era la rendita di posizione. In molti paesi esisteva una sola filiale della banca, ed era quella della banca del luogo. Oggi, invece, non c' paese nel quale non siano presenti almeno quattro-cinque sportelli. Il che vuol dire che non c' pi la rendita di posizione, cio il dominio su un certo territorio. Quindi, anche questo ha minato moltissimo il modo di essere banca locale. Allora, davanti a questa nuova situazione in cui, in effetti, si perde un pochino il ruolo di banca locale e si diventa, di fatto, delle banche come tutte le altre, ci siamo posti il problema di cosa fare per riacquistare questo ruolo. E cos abbiamo dato il via ad una serie di iniziative nuove, credo per primi in Italia, ed quella di acquisire delle partecipazioni nel capitale delle imprese, dal momento che dal '93 ci consentito dal nuovo testo unico. Cio si cerca di ristabilire quel legame ancestrale con il proprio territorio, con un nuovo strumento, che quello della compartecipazione al rischio di impresa, dell'impresa presente sul territorio. Attraverso questo strumento, si ritorna alla fidelizzazione del cliente, in quanto non diventiamo pi solo partners commerciali del cliente, ma diventiamo suoi soci e, quindi, si ristabilisce quel rapporto difidelizzazionee, come dire, anche di rendita di posizione, perch all'interno della compagine sociale ci siamo solo noi ad avere quel ruolo, che una volta avevamo gratuitamente. Con questo contribuiamo allo sviluppo della capitalizzazione delle imprese, quindi diamo il nostro contributo ad uno dei problemi principali delle aziende che operano nella nostra area, aziende validissime, ma tutte o quasi tutte sottocapitalizzate. Ecco, questa la risposta che abbiamo dato, per quanto riguarda l'attivit di sostegno alle imprese, al fine di riagganciarci al nostro territorio. Questa la novit di fondo. Abbiamo fatto varie esperienze, tutte positive, stiamo continuando a farne, e verifichiamo che, in effetti, sia in termini di immagine, sia, anche, in termini di sostanza, stiamo fortissimamente recuperando quel ruolo di banca locale che avevamo un tempo, quando c'erano i privilegi ai quali accennavo prima. Naturalmente perch questa nostra attivit possa essere messa in atto necessario l'adempimento di alcune premesse. Innanzitutto, queste operazioni si possono 127

realizzare solo nei confronti di aziende sane, che abbiano un'assoluta trasparenza nei bilanci, che abbiano un programma di crescita commerciale. Finanziamo chi guarda al futuro, nonfinanziamochi ha delle difficolt n chi non ha idee. Andiamo ad esaminare dei progetti di sviluppo in Italia, ma soprattutto all'estero. La nostra zona ha una forte vocazione all'intermediazione con l'estero e, quindi, le aziende che sosteniamo, in genere, hanno progetti di sviluppo sui mercati internazionali. Le sosteniamo, da una parte, attraverso il denaro fresco che immettiamo all'interno dell'azienda, costituito dalla la quota di partecipazione; dall'altra parte, con tutti i servizi che la banca riesce a dare, a livello di qualsiasi altra banca nazionale. Oggi, attraverso la telematica, anche una piccola banca pu essere in contatto con tutto il resto del modo, non esistono pi quei problemi dimensionali per l'erogazione di alcuni servizi. Anzi, noi vediamo che - a parte il nostro caso - in Emilia Romagna, in tutti i casi che conosco - e sono tantissimi - le piccole banche danno esattamente gli stessi servizi, anche sull'estero, che danno le grandi banche. Non vi pi questa differenza perch, attraverso i nuovi strumenti, su Internet, sulle vie swift, con gli strumenti di dialogo con i mercati internazionali ci siamo tutti allo stesso modo. Le aziende, per, devono avere delle caratteristiche di trasparenza gestionale. E qui, dobbiamo dire che registriamo delle difficolt, perch il fenomeno delle quote non ufficiali di fatturato non ancora completamente uscito dalle attivit delle aziende, mentre noi pretendiamo che ci sia la massima trasparenza. L'altro aspetto quello dei controlli interni. Noi pretendiamo, quando facciamo queste operazioni, una presenza nostra all'interno del consiglio di amministrazione, all'interno dei collegi sindacali, e la certificazione del bilancio dell'azienda oggetto della nostra partecipazione, fatto attraverso societ di nostra fiducia. Sono elementi che imponiamo per motivi di trasparenza e di sicurezza del nostro investimento. C' un altro motivo: il nostro obiettivo portare queste aziende ad una quotazione in Borsa. In tutta questa operazione il ruolo della banca quello di soggetto ponte tra impresa familiare e impresa competitiva. C' chi guarda con una certa riserva a questa operazione per la dubbia redditivit dell'immobilizzo anche perch non vengono distribuiti utili sulle partecipazioni proprio per costruire un meccanismo di valorizzazione. Ma, non c' dubbio che i risultati del 1996 sono stati eccezionali (+40% dell'utile e della distribuzione di dividendi): La nostra strategia inserita in una strategia pi complessiva di tutto il territorio. Credo che questo costituisca una via di innovazione sostanziale nel mondo dell'economia del nostro territorio. Sostanziale perch tende a portare a soluzione uno dei grossi problemi della nostra economia, che quello della capitalizzazione delle imprese medio-piccole che sono tantissime. Inoltre, tende a dare soluzione ad un altro problema che quello del passaggio generazionale. Abbiamo ancora moltissime aziende a conduzione familiare - ancorch espresse attraverso una SpA, cio una societ di capitali, ma di fatto sono aziende a conduzione familiare - nelle

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quali sta per avvenire o, addirittura, in corso, un cambio generazionale. Abbiamo visto che molto gradito ad alcuni imprenditori i quali ritengono di ritirarsi e di lasciare l'azienda ai figli, avere un partner che faccia da ponte e da sostegno in questa fase delicata. Quindi, oltre alle, esigenze della capitalizzazione, c' anche l'esigenza di ben tutelare qusto passaggio generazionale. Queste sono attivit innovative che stiamo sperimentando; per non le nascondo che nel settore bancario, c' qualcuno che guarda a queste operazioni con un certa riserva perch, ovviamente, queste sono operazioni sulle quali la redditivit va dimostrata. Lei consideri che c' un immobilizzo nel capitale di un'impresa che deve servire a porre le premesse per una sua capitalizzazione e, quindi, non diamo luogo a distribuzione dei dividendi. In effetti, si tratta di un immobilizzo senza reddito, o con scarso reddito. D'altra parte, non avrebbe senso cercare di capitalizzare un'impresa e poi assorbirne la capacit di autofinanziamento nel tempo, attraverso la distribuzione di dividendi. Bisogna trovare la ragione della redditivit in altre fonti e questo ci che stiamo sperimentando. Le opportunit di redditivit ci sono, e nascono - noi lo vediamo nella nostra esperienza - dal fatto che entrando nell'azienda, non solo riacquistiamo quella posizione di dominio nelle quote di lavoro dell'azienda che avevamo una volta come banca locale, ma, attraverso l'azienda, entriamo in contatto con tutto il suo micromondo, fatto di fornitori, di clienti, di dipendenti e di affari che si promuovono con questo micromondo che ruota intorno all'azienda. La redditivit del nostro investimento, quindi, va vista nel complesso di questo micromondo che ruota intorno all'azienda, che poi, pu anche non essere tanto micro; lo chiamo micromondo perch un mondo che ruota intorno ad un'azienda. Qui, la banca trova i motivi della redditivit del suo investimento, e dobbiamo dire che - un anno e mezzo che ci siamo avviati su questo settore - i risultati li tocchiamo con mano. Chiaramente, nell'ambito bancario, chi non vede e non d il giusto peso a questo tipo di ritorno del proprio investimento, scoraggiato dal farlo. Si dibatte, infatti, nel sistema bancario, se questo tipo di attivit risponda pi ad una funzione sociale che non ad una funzione di reddito d'impresa vero e proprio. Ma, noi non l'abbiamo fatto solo per motivi sociali, perch riteniamo che l'aspetto sociale sia importante, ma non nel nostro statuto, in previsione, di dover rispondere a motivazioni sociali, anche se, comunque, la fortuna della nostra banca talmente legata a quella del proprio territorio, che se il proprio territorio si arricchisce, anche la nostra banca si arricchisce. In realt, la motivazione che abbiamo quella di ripristinare questo ruolo di banca locale all'interno del nostro territorio, in modo moderno, e di avere un ritorno economico preciso nel suo complesso. L'abbiamo individuato e, quindi, pensiamo di muoverci in questo senso.

Secondo Murolo, un nuovo modo di essere banca locale in grado di continuare ad esercitare una leadership sul territorio implica anche di non agire in solitudine. Il problema entrare in una rete di alleanze con altri operatori bancari e finanziari in modo da costituire la massa critica per investire su nuovi prodotti: 129

Le piccole banche che sono leader nei loro territori hanno il grosso problema di rimanere tali. Devono trovare, quindi, un nuovo modo di essere banca locale e devono, per, anche capire che non possono agire in assoluta solitudine. Cio, il concetto dell'isola felice non esiste pi. Questo perch il grosso problema delle piccole banche il costo di ideazione e produzione dei nuovi servizi. Non abbiamo risorse sufficienti perfinanziarel'ideazione e la produzione dei nostri servizi. Ma, ovviamente, dobbiamo dare i servizi pi moderni, altrimenti perdiamo il nostro mercato. Allora, il grosso problema di una piccola banca quello di trovare le alleanze giuste che consentano l'alleggerimento dei costi e la nostra banca, ad esempio, ha instaurato un rapporto di alleanza con la Cassa di Risparmio di Bologna. Le banche pi forti possono stabilire solo delle alleanze, oppure si pu entrare in gruppi bancari, salvaguardando per la propria immagine localistica, se questo necessario. Nessuna banca, n le piccole, n le pi forti, possono rimanere assolutamente da sole. Si tratta di verificare se, per mantenere il proprio localismo in maniera moderna e per risolvere il grosso problema dei costi per l'ideazione e la produzione di prodotti bancari e servizi, ciascuna piccola banca ha bisogno solo di allearsi oppure se deve entrare in un vero e proprio gruppo. Noi abbiamo delle partecipazioni cospicue in societ che producono, assieme ad altre Casse di Risparmio, dei servizi che poi ci limitiamo semplicemente a vendere. Quindi, non abbiamo, sul nostro bilancio, un costo per l'ideazione e la produzione dei servizi, ma abbiamo solo dei costi per la distribuzione dei servizi. In prospettiva, le banche locali devono diventare delle banche-reti che si limitano a sfruttare al meglio la loro capacit di gestire il territorio, attraverso la vendita di prodotti e servizi, ma non attraverso la produzione degli stessi, salvo quelle cose che sono alla portata delle loro dimensioni e della loro capacit di investimento. Per noi, ad esempio, il fatto di entrare nel settore del turismo, ha comportato un investimento, ma alla portata delle nostre possibilit. Invece, per entrare in altri settori, al di fuori delle nostre possibilit, siamo dovuti entrare in delle alleanze. Per cui, magari con un ruolo marginale, per riusciamo a sedere ai tavoli dove si progetta il futuro delle banche.

Le banche d'affari In Italia la cultura finanziaria in fase di rapida evoluzione e si sta avviando il processo di sensibilizzazione della struttura imprenditoriale verso modelli pi simili a quelli dei paesi industriali avanzati, con particolare riferimento ad un rapporto pi equilibrato tra mezzi propri e mezzi di terzi ad alle esigenze di trasparenza che l'apertura al mercato comporta. E', quindi, destinata a crescere, soprattutto da parte della media impresa, la domanda di capitale di rischio e di accesso al mercato dei capitali, con il conseguente ampliamento delle attivit e delle opportunit per gli intermediari finanziari, sia in termini di servizi, sia in termini di intervento diretto nelle operazioni di finanza straordinaria. Tale processo sar cer-

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tamente favorito dall'introduzione di una normativa fiscale "permanente" (Irep e dual income tax) destinata ad incentivare la capitalizzazione delle imprese, e potr registrare una rapida accelerazione anche dall'istituzione di un mercato telematico di "secondo livello" (Metim e simile) per la quotazione di titoli azionari emessi da imprese di medie dimensioni.64 L'imprenditore ha, pertanto, bisogno di interlocutori esperti in finanza aziendale, ma il mondo imprenditoriale generalmente molto critico verso il sistema bancario italiano e non perde occasione per sollecitare le banche a rinnovare il proprio ruolo, specialmente nei confronti delle imprese familiari di medie dimensioni. In questo contesto, un ruolo determinante viene ad essere svolto dall'offerta di servizi di consulenza finanziaria alle imprese. La gamma dei servizi offerti alla clientela aziendale da parte delle banche si va sempre pi ampliando e una particolare attenzione rivolta al settore della finanza aziendale, che comprende i servizi di consulenza per fusioni, acquisizioni, strutturazioni e quotazioni in borsa di aziende. Sono questi alcuni dei tradizionali campi di attivit delle cosiddette banche d'affari.65

64. E' ancora del tutto aperta la discussione sull'utilit o meno dell'istituzione di un mercato telematico nazionale di secondo livello per le medie imprese. C' chi ritiene questo mercato un'occasione importante per lo sviluppo delle medie imprese. A tale proposito, occorre ricordare che sono stati creati diversi comitati locali formati da Camere di Commercio, associazioni imprenditoriali, banche locali, ordini di commercialisti, etc, con il compito di operare come sponsor del mercato borsistico e delle imprese: / comitati locali si devono preoccupare delle realt locali e trovare le aziende che poi andranno in quotazione. La presenza sul territorio importante perch deve esserci qualcuno che conosce quelle aziende, che le seleziona e le porta alla quotazione. I primi a fare questo devono essere i comitati locali e le banche locali che hanno la conoscenza del territorio, i commercialisti, le societ di revisione del posto: Il mercato deve essere nazionale, chi presente territorialmente controlla le informazioni affinch sia un mercato nazionale pulito (Claudio Capra). 65. Marcello de Cecco e Giovanni Ferri hanno analizzato dettagliatamente (Le banche d'affari in Italia, Il Mulino, Bologna, 1996) la storia, l'organizzazione e la struttura del settore delle banche d'affari in Italia. Essi offrono anche una spiegazione dello "scarso coinvolgimento delle banche d'affari, con la notabile eccezione di Mediobanca, nel governo delle imprese italiane e dei loro equilibri di controllo". Affinch i rapporti tra banche e imprese si rafforzino proficuamente, occorre creare l'interesse delle banche ad investire nella raccolta delle informazioni rilevanti, a formare le competenze che ne consentano l'elaborazione, a disporre dei poteri per usarle efficacemente nel controllo delle imprese, senza dover ricorrere agli arditi e raffinati espedienti di Mediobanca nello svolgere la sua funzione di banca d'affari.

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Le banche d'affari, infatti, sono delle banche particolari che si occupano di attivit di finanza aziendale, di gestione patrimoniale istituzionale e per una clientela privata che gode di ampie possibilit di investimento, di consulenza per fusioni e acquisizioni (merger and acquisition - M&A), per operazioni di Leveraged Buy Out (LBO), per accordi di joint-venture, per ristrutturazioni, per operazioni sui titoli (trading e distribuzione di azioni, obbligazioni, etc), per l'accompagnamento in borsa di medie e grandi aziende, per il project financing. Per quanto riguarda le operazioni di: - acquisizione/cessione (M&A) sul mercato secondario di partecipazioni, sia di controllo che di minoranza; - assistenza nelle operazioni di emissione di valori mobiliari e di quotazione in Borsa; in Italia sono individuabili due segmenti distinti: il primo livello composto da transazioni di dimensione ed importo rilevanti ed dominato dalla presenza di primarie banche d'affari internazionali - Morgan Stanley, Merril Lynch, JP Morgan, Chase Manhattan Bank, Credit Suisse First Boston, Solomon Smith & Barney, Schroders, Rothschild, Paribas, Goldman Sachs, SBC Warburg Dillon Read, Abn-Amro Hoare Govett, Deutsche Morgan Grenfell, Banque Indo-Suez, Lehman Brothers, etc. - con poche significative eccezioni italiane quali Mediobanca, Comit ed IMI; il secondo livello rappresentato da operazioni domestiche che coinvolgono soprattutto aziende familiari di medie dimensioni e, fenomeno recente, le privatizzazioni delle ex-municipalizzate. Le operazioni di M&A a questo livello raramente generano commissioni singolarmente al miliardo di lire, tuttavia tale segmento, molto dinamico, incomincia a suscitare l'interesse anche delle istituzioni internazionali che, per meglio affrontare il mercato, in alcuni casi si stanno organizzando con strutture "dedicate". Tra gli attori italiani pi interessanti sono senz'altro alcuni dei Mediocrediti regionali che in questi anni hanno incorporato una cultura istruttoria di tipo prospettico, nel senso che hanno imparato a valutare i progetti imprenditoriali, e che, insieme alle banche locali, hanno ac132

compagnato la crescita dei distretti industriali. 66 Questi attori si pongono come obiettivo il fare banca di sviluppo, cio di aiutare le piccole e medie imprese a crescere, a ristrutturarsi, a superare il problema del ricambio generazionale, ad affrontare i problemi relativi all'assetto proprietario: I Mediocrediti sono strutture specializzate con una precisa "mission", quella di finalizzarsi all'imprenditorialit media e di aiutare a crescere le economie locali, magari attraverso finanziamenti articolati a seconda dei settori, delle dimensioni degli investimenti, attraverso un'attenzione al diverso carattere delle esigenze di finanziamento: l'esportazione piuttosto che l'ambiente, l'innovazione piuttosto che altre esigenze. I Mediocrediti sono da tempo delle strutture che guardano ai progetti. Erogare un finanziamento a medio-lungo termine implica una valutazione della bont dell'impresa e del progetto industriale. I Mediocrediti sono perci fra i pi propensi a passare dalla mentalit catastalista ad una mentalit pi da banchieri che

66. Data la limitatezza delle dimensioni del mercato azionario italiano, nel periodo del dopoguerra il sistema bancario ha svolto un ruolo molto significativo nel finanziamento dell'attivit produttiva, specialmente in raffronto al ruolo del sistema bancario negli altri maggiori paesi industrializzati. Le banche sono state tradizionalmente la maggior fonte di credito esterno per le imprese italiane che hanno dimostrato spesso di preferire la forma del credito a breve termine (ancora oggi i debiti a breve rappresentano quasi l'80% del totale dei debiti). A tale proposito, importante ricordare che la legge del 1936 che ha regolato il sistema bancario italiano sino all'entrata in vigore del nuovo Testo Unico del 1993, era impostata su una rigorosa separazione tra l'attivit di credito ordinario a breve (entro i 18 mesi) e l'attivit di medio-lungo termine che era demandata ad alcuni istituti speciali come l'Imi, Mediobanca (che nacque come banca a medio termine delle tre Bin - Comit, Credit e Banco di Roma), Crediop, Mediocredito Centrale e i Mediocrediti regionali che erano emanazione della Casse di Risparmio. Ma, occorre sottolineare che gran parte delle banche che erogavano il credito a medio termine, a parte l'Imi e Mediobanca, non erano altro che dei meri sportelli bancari per la concessione di credito agevolato previsto da apposite leggi dello Stato (come, ad esempio, la cosiddetta "Legge Sabatini", L. 1329/1965 per l'acquisto di beni strumentali). Naturalmente, gli investimenti delle imprese sono stati sempre massicciamente finanziati anche con il credito ordinario a breve, attraverso il ricorso dell'escamotage del credito a breve sempre rinnovato. In effetti, la pratica diffusa del rinnovo automatico del prestito alla scadenza trasforma sovente il credito a breve in credito a medio e persino a lungo termine di conseguenza, una larga parte del credito bancario, che prende principalmente la forma dello scoperto su conto corrente, di scadenza difficile da determinare. Cfr. Marcello de Cecco e Giovanni Ferri, Le banche d'affari in Italia, Il Mulino, Bologna, 1996 e Fabrizio Barca, a cura di, Storia di capitalismo italiano dal dopoguerra ad oggi, Donzelli Editore, Roma, 1997.

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si spinge sino ad avviare iniziative nella cosiddetta banca d'affari, cio all'attivit che guarda ai problemi di ristrutturazione, di innovazione ed alle esigenze di passaggio dal capitalismo familiare al capitalismo manageriale. Guardare a tutti questi problemi ed affrontarli secondo una logica, appunto, di redditivit prospettiche e di rischio congiunto costituisce il fulcro della nuova imprenditorialit finanziaria. Nel nostro caso, pensiamo di poter continuare ad essere strumenti specialistici, versati nella fornitura di capitale paziente, cuoi sotto forma difinanziamentia medio-lungo termine, vuoi di capitale dirischioe di accompagnamento al mercato dei capitali, vuoi, pi in generale, di consulenza finanziaria e di predisposizione di tutti quegli interventi che valgano a far sviluppare e crescere la realt imprenditoriale media e piccola (Angelo Caloia). In particolare, il passaggio da ente pubblico a privato, ha significato per il Mediocredito Lombardo, "la pi significativa esperienza tra gli istituti regionali deputati al finanziamento industriale" (secondo de Cecco e Ferri), l'apertura alla sfida ed alla concorrenza di altri istituti (Interbanca, Mediobanca, Centrobanca, Efibanca e la Sofipa del Mediocredito Centrale).67 Il passaggio ha comportato una valorizzazione dell'esperienza di finanziamento alle imprese e lo sviluppo di nuove professionalit a favore del tessuto imprenditoriale. La privatizzazione , quindi, stata un'opportunit di allargamento al mercato delle PMI e dello sviluppo di nuove professionalit. La liberalizzazione del mercato ha comportato un allargamento dei prodotti e dei servizi verso le imprese nell'area del merchant banking e della finanza straordinaria: Il Mediocredito Lombardo era un istituto di medio termine con una specializzazione stabilita per legge ed diventato una societ per azioni in un contesto competitivo despecializzato che sceglie, comunque, di orientarsi sull'attivit creditizia a medio e a lungo termine alle piccole e medie imprese, che era l'attivit tradizionale, e sui servizi alle piccole e medie imprese nell'area della finanza straordinaria, che il campo innovativo. Quindi, abbiamo insistito sul medesimo target delle piccole e medie imprese allargando, per, la gamma prodotti dal credito a medio termine alla finanza straordinaria, e nello stesso tempo dotandoci di tecnologie di approvvigionamento dei fondi, di finanza e di tesoreria, pi adeguate (Paolo Grandi).

67. Il Mediocredito Lombardo ha archiviato il '97 con un utile netto di 59,4 miliardi (+6%). Gli impieghi sono aumentati del 12% a 5.341 miliardi, portando i crediti in essere a 16.356 miliardi (+16%). Le emissioni obbligazionarie sono ammontate a 4.977 miliardi: le consistenze hanno cos raggiunto gli 8.967 miliardi (+88%). Le partecipazioni azionarie in portafoglio hanno raggiunto 111 miliardi.

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La domanda di capitali e di servizi di finanza straordinaria da parte delle piccole e medie imprese si sta evolvendo, ma in maniera meno rapida e significativa di quanto ci si potrebbe aspettare, perch gli imprenditori sono preoccupati di un cambiamento degli strumenti di controllo e finanziamento dell'impresa. Le banche hanno la possibilit di assumere partecipazioni nelle imprese, ma ne hanno fatto un uso molto limitato. Se, da un lato, questo pu indicare il fatto che il banchiere non orientato al rischio, dall'altro, questo la conseguenza del fatto che ci sono molti imprenditori che non vogliono nella struttura proprietaria un partner:^
Per quanto riguarda l'attivit innovativa rappresentata dai servizi di finanza straordinaria la domanda si sta evolvendo abbastanza lentamente, in maniera meno rapida ed innovativa di quanto possa sembrare. Se ci fosse un rigurgito di credito agevolato, penso che pi della met della domanda di servizi finanziari innovativi si vaporizzerebbe istantaneamente. Perch? Perch l'imprenditore prima di tutto fa i propri interessi e nel momento in cui c' disponibilit di fondi a tasso agevolato, questo prevale su qualsiasi altra scelta. Inoltre, gli imprenditori sono preoccupati di un cambiamento che potrebbe mettere in discussione la loro capacit e il loro ruolo.

68. Nel solo 1996, 129 medie imprese italiane sono state acquisite da multinazionali: In larghissima parte non erano aziende in crisi, ma anzi leader in redditizie nicchie di mercato. A tale proposito, Gianfranco Imperatori, presidente del Mediocredito Centrale, nota che: "Se in un anno 129 aziende sane vengono vendute a multinazionali mentre nello stesso periodo solo 8 vanno in Borsa, vuol dire che piuttosto che ricorrere al mercato finanziario e aprire il capitale delle loro imprese molti imprenditori preferiscono vendere. Ci sono moltissimi imprenditori che hanno superato 60 anni e si trovano ora a dover affrontare un passaggio al quale spesso non sono preparati, tanto che molti preferiscono vendere. Il problema se il capitalismo familiare potr continuare ad essere ancora il motore dello sviluppo. No, se non sar capace di aprirsi. E non intendo andare domani tutti a quotarsi in Piazza Affari. Intendo l'avviarsi su una strada che deve prevedere una serie di passaggi, dall' ingresso nel capitale di un socio finanziario, che costringe con la sua sola presenza la famiglia a ridefinire la propria posizione rispetto ali impresa, al ricorso a forme finanziarie di indebitamento, obbligazioni per esempio, che saranno sempre pi frequenti. Quindi sottoporsi alle valutazioni di agenzie di rating, confrontandosi con gli altri e infine approdare al mercato" (citato in Marco Panara, "Piccole imprese in vendila; Aiutiamole a quotarsi", La Repubblica, 15 febbraio 1998, pag. 27).

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Una delle difficolt grosse che si incontra aelle piccole e medie imprese che l'impresa ha le dimensioni dell'imprenditore che la guida. Cio, questi signori devono accettare l'idea che, se un percorso di crescita, lo sul serio, e che si mette a repentaglio la possibilit per loro di continuare ad essere il dominus di quella impresa. Invece, molto spesso, si sente rispondere: "Ma io qui sto benissimo". Quindi, pi di tanto non si riescono a creare occasioni di investimento che non siano finalizzate al mantenimento dello status quo, e questa una barriera formidabile per chiunque. Uno a quel punto dice: "Benissimo, c' il circuito bancario tradizionale, ci sar l'autofinanziamento, c' l'apporto di mezzi propri da parte dell'imprenditore...". Fine. Cosa serve d'altro, cosa possibile fare di pi, se non c' la volont dell'imprenditore di fare diversamente e di pi? Questa una barriera importante che non va trascurata. Vuol dire che in molti casi le piccole aziende scompariranno. Non si pu pensare di fare progetti di crescita il cui risultato finale sia il mantenimento delle stesse proporzioni; non regge. Questo forse purtroppo il sogno proibito di tanti piccoli imprenditori, ma bene che sia proibito, ed anche bene che la smettano di sognarci sopra. O sono aziende che rappresentano delle opportunit di investimento destinate a crescere in fretta o sono aziende a cui bisogna augurare tanta fortuna anche per chi ci lavora, perch sono destinate a morire o a restare dove sono, ma di sicuro non a svilupparsi pi di tanto. Faccio un caso molto indicativo. Sono disponibile a investire la met del giro d'affari di una piccola azienda che fa un prodotto molto interessante, dove sono in quattro al mondo a farlo. Questa societ fattura in questo momento 19 miliardi, sono disposto a dargli quasi 9 miliardi in un anno e mezzo a fronte di un business pian che riscriviamo insieme. Questo signore si sta impuntando perch la forma tecnica che ho costruito un aumento di capitale e la sottoscrizione di un prestito obbligazionario convertibile. Quello che mi deriva dall'esercizio del prestito obbligazionario convertibile non dev'essere comunque superiore a un X% della sua societ. Uno gli pu anche dire: "Eh, caro amico, non so dove ne trovi un altro che ti d la met del tuo giro di affari in un anno e mezzo, semplicemente perch ritengo che tu sia un buon imprenditore, e la tua azienda sia suscettibile di crescita". La risposta , sostanzialmente: "Voglio crescere con il mio passo, se ce la faccio, e se non ce la faccio con te, pazienza, perch comunque ce la far lo stesso". Punti di vista. Per, francamente su una piccola azienda, perch un'azienda che fattura meno di 20 miliardi comunque una piccola azienda, ci sto provando a entrare, e in una maniera anche molto aggressiva, e non gli sto chiedendo la maggioranza. Il mio POC comunque mi dar diritto a una partecipazione di minoranza, che per lui vuole pi di minoranza che minoranza non si pu. A quel punto, mi dispiace, ma siccome non esiste il manuale su cui andare a verificare chi ha ragione e chi ha torto, questa attivit tutta figlia di una negoziazione e di un incontro fra le parti, vorr dire che forse ho perso un'opportunit, forse l'ha persa lui, vedremo. Per, o lui accetta questa logica, vale a dire qualcuno che si presenta, che investe nella sua societ tutto quello che lui di solito ci mette un anno a portare a casa, accetta una logica fatta di tre anni, in cui verifichiamo regolarmente da che parte stiamo andando, oppure non se ne fa niente. Peccato. Sono barriere importanti che stanno nella testa delle persone (Paolo Grandi). Un altro attore italiano interessante Interbanca, un istituto nato oltre 35 anni fa per gestire il flusso di credito agevolato alle piccole e

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medie imprese. Oggi, Interbanca in fase di rilancio e, in prospettiva, dovrebbe diventare una sorta di "Mediobanca del Nordest".69 Interbanca stato rilevato nel 1997 dal gruppo creditizio Banca Antoniana Popolare Veneta che lo ha pagato 695 miliardi alla BNA e alla Banca di Roma. Oltre alla sede di Milano, Interbanca opera attualmente sulle branches di Torino, Vicenza, Bologna, Roma e Napoli, ma l'obiettivo di aprire a breve altre quattro filiali, a Brescia, Trieste, Ancona e Bari, oltre che di dare un'operativit diretta al quartiere generale dell'AntonVeneta a Padova. La rete territoriale dell'istituto destinata, dunque, ad espandersi notevolmente, in aree emergenti del tessuto economico-imprenditoriale del Paese. Secondo Giorgio Cirla, il nuovo amministratore delegato,70 le tre direttrici strategiche sono chiare: La tradizionale attivit creditizia nel finanziamento all'investimento sar mantenuta e potenziata, ma non dovr pi essere egemone nel generare il margine d'intermediazione. L'obiettivo a medio termine per la banca che il margine d'interesse produca non pi di met dei ricavi netti. Il resto dovr essere portato in misura tendenzialmente paritetica dalla crescita degli altri due grandi segmenti strategici: la finanza e il merchant banking. Alle imprese nostre clienti, soprattutto medie, vogliamo offrire formule di gestione di tutte le componenti del passivo patrimoniale, dalla fornitura di credito e di prodotti di capital markets all'investimento diretto in capitale di rischio, ai servizi di collocamento in Borsa. Gi nei primi mesi Interbanca ha mirato a rivitalizzare l'operativit creditizia classica con una clientela molto fidelizzata, che conta oltre 2.000 gruppi imprenditoriali di medie dimensioni: L'Anton Veneta ritiene che la funzione di Interbanca debba essere quella di poter offrire al tessuto delle medie aziende del Nord, ed in particolare del Nordest, che sono ben conosciute proprio perch sue clienti, un pacchetto di servizi che vanno dal credito a medio termine all'area del merchant banking. Quindi, poter offrire nel pacchetto delle loro offerte complessive di gruppo anche i servizi di Interbanca rappresenta un salto di qualit per Anton Veneta, che in questo modo pu legittimamente aspirare a diventare la vera Hausbank di tante piccole e medie imprese, maquesto un formidabile appiglio anche per noi, perch finalmente ci leghia-

69. Cfr. Giulio Di Palma, La Mediobanca del Nord Est, La Repubblica Affari & Finanza, 23 febbraio 1998, pag. 11. 70. Citato in Antonio Quaglio, Interbanca, quattro fdiali per il rilancio, Il Sole 24 Ore, 11 novembre 1997, pag. 33. 137

mo e possiamo operare su delle aziende ben conosciute a cui offrire un pacchetto di servizi anche per le aree della finanza innovativa (Stefano Di Dio). Interbanca vuole essere una banca d'affari che ha per missione quella di far restare sul territorio il patrimonio di piccole e medie imprese faticosamente costruito e che spesso, in crisi nel ricambio generazionale, ha il fiato corto. Con l'ingresso nel capitale di Gildemeister,71 dell'Inter72 e di altri quattro gruppi, oltre all'acquisizione della quota di controllo della Tecnica di Montebelluna,73 ha cominciato ad attingere ad una base di mezzi di investimento che quantificabile in circa 400 miliardi: 300 resi disponibili da ratio del bilancio Interbanca e 100 in via di raccolta attraverso un fondo chiuso di diritto italiano che (come tutti i prodotti Interbanca) verr riservato alla clientela di tutto il gruppo Anton Veneta. Gi nella prima met del '98, Interbanca dovrebbe comunque esordire anche nel mercato dell'investment banking: con la consulenza globale alla privatizzazione delle Autostrade e col varo di un progetto di quotazione in Borsa. L'offerta all'IRI per le Autostrade tecnicamente pronta. Il progetto - capeggiato dal Presidente dell'Anton Veneta, Dino Marchiorello, e da Edizione Holding della famiglia Benetton - s'impernia sulla creazione di tre casseforti, destinate a canalizzare gli investimenti rispettivamente dei gruppi industriali e finanziari di Padova (cui saranno associati anche quelli lombardi), Vicenza e Treviso, nel progetto di privatizzazione di Autostrade, Interbanca ha svolto un ruolo prezioso e indispensabile di coordinamento tra i vari imprenditori veneti interessati all'affare, tradizionalmente gelosi uno dell'altro e poco inclini al gioco di squadra.
71. Interbanca ha rilevato il 49,93% della Gildermeister, societ quotata in Borsa e leader mondiale nella produzione di torni automatici plurimandrino. 72. Interbanca entrata nell'Inter di Massimo Moratti con una quota del 2% e guider la societ di calcio alla quotazione in Borsa. 73. La Tecnica uno dei maggiori produttori europei di scarponi da sci, doposc e calzature da trekking nella compagine azionaria dell'azienda trevigiana resta una parte della famiglia fondatrice: Giancarlo Zanatta come presidente e amministratore delegato e Tiziano Zanatta come consigliere. Attraverso l'intervento di Interbanca stato possibile liquidare quella parte della famiglia che non era pi interessata ad investire nel futuro dell'azienda. L'intervento di Interbanca prospetta per la Tecnica la quotazione in Borsa nel medio periodo. Il gruppo Tecnica uno dei perni del distretto di Montebelluna, ha realizzato nel 1997 un fatturato di 330 miliardi, con una quota di export del 60% in Usa, Francia, Germania, Svizzera, Austria e Giappone. Il gruppo distribuisce in esclusiva in alcuni paesi anche gli attacchi da sci Marker e gli snowboard Dnr.

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Secondo Jody Vender che, con la Sopaf (dal 1975), stato, assieme a Gianmario Roveraro con la Akros, uno dei pionieri del merchant banking italiano mirato alla media impresa, oggi la media impresa italiana che decide di andare in Borsa o di cercare capitali per il suo sviluppo ha tre possibilit: rivolgersi ad istituzioni non bancarie come la Sopaf; rivolgersi a quelle tre o quattro banche italiane che si sono attrezzate per i servizi alle medie imprese; rivolgersi a quella ventina di operatori stranieri che sono oggi presenti in Italia. Un sistema cos strutturato - realt indipendenti-intermediari bancari italiani-intermediari bancari stranieri - determina un'offerta integrata e completa di servizi verso le medie imprese. Oggi, secondo Vender, ci sono le condizioni per lo sviluppo in Italia di un mercato finanziario: a livello di quadro macroeconomico la situazione notevolmente mutata, cos come sta cambiando il sistema bancario. Il problema della lentezza di questa evoluzione in parte determinato dal mondo industriale che si apre lentamente verso questo tipo di servizi. Il problema l'evoluzione del capitalismo italiano e la capacit di fare il salto culturale da una forma di corporate governance chiusa ad una aperta. Per la media impresa, non si tratta del passaggio ad un'impresa a capitale diffuso (la cosiddetta public company), ma semmai del passaggio da un'impresa di tipo famigliare chiusa ad un'impresa di tipo famigliare aperta al mercato finanziario. Questo tipo di passaggio dovrebbe essere incentivato da politiche economiche che spingano le imprese a capitalizzarsi. Il problema vero per Vender che "ci sono pi banche d'affari che affari":74 Oggi, una media impresa - non parliamo delle piccole o della Fiat - che vuole cercare il capitale o andare in borsa ha sostanzialmente tre alternative. La prima di venire da noi che siamo oramai quasi l'unica istituzione privata non bancaria in

74. Analogamente, Claudio Poli, direttore generale della Albertini & C. Sim SpA, sottolinea come in Italia "ci sono paradossalmente pi intermediari che societ quotate".

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Italia. La seconda, di andare da quelle tre o quattro banche italiane che si sono attrezzate per questi servizi alle imprese. Poi, ha la possibilit di andare da una ventina di operatori stranieri, forse anche di pi, venti, trenta, quaranta. Questa pi o meno la situazione. Le banche italiane hanno fatto passi importanti in tutto quello che la gestione dei risparmi e stanno iniziando a fare qualche passo in quello che la gestione dei servizi finanziari alle imprese. ... La carenza di servizi delle banche italiane comunque pi che compensata dalla presenza di operatori stranieri. Infatti, ritengo che tutto sommato il nostro sistema finanziario-bancario, visto e integrato con la presenza degli stranieri, oggi sia in grado di offrire tutti i servizi di questo mondo. Indubbiamente, se prendiamo il nostro sistema domestico, senza considerare gli stranieri, vedo delle carenze. Per, teniamo conto che uno a Milano pu andare alla Comit, ma anche dalla Morgan Stanley, quindi se vedo quella che l'offerta dei servizi ai risparmiatori, ma soprattutto alle imprese, da parte delle istituzioni nazionali e di quelle straniere presenti in Italia, devo dire che non vedo assolutamente dei deficit. Anzi, vedo dei surplus, perch gi qualche anno fa ho coniato una frase, che poi diventata abbastanza famosa: "Ci sono pi banche d'affari che affari". Qua veniamo al punto. Il punto che arrivati qui, credo che la palla agli industriali. Oggi, secondo me rispetto a dieci anni fa certamente ci sono pi regole, ci sono pi attori, ci sono pi aziende che offrono servizi e c' un quadro macroeconomico, per l'inflazione e i tassi di interesse, favorevole. Oggi, ci sono le condizioni per creare un mercato finanziario. Credo che lo sviluppo di questo mercato dipenda in buona parte dalla voglia che ha l'industria italiana di ricorrervi. Il problema di questo capitalismo familiare molto chiuso che abbiamo un problema deve essere risolto nel mondo imprenditoriale. A questo punto il vero problema come si evolve il capitalismo italiano e se riesce a fare un salto culturale da un capitalismo molto chiuso ad un capitalismo aperto. A me fa sorridere il dibattito sull'impresa a capitale diffuso o l'impresa public in senso anglosassone. Il vero problema in Italia non questo, ma il passaggio da un capitalismo chiuso a un capitalismo aperto al mondo finanziario, che per rimane familiare. Il problema non il passaggio dall'impresa controllata al 51% all'impresa a capitale diffuso, ma il passaggio dall'impresa controllata al 100% ad un'impresa a controllo familiare. Il passaggio all'impresa a capitale diffuso in Italia un problema che riguarda 10, 20 banche e imprese che sono veramente di grandi dimensioni. Ma, il problema della media impresa non il passaggio verso un'impresa a capitale diffuso, quello del passaggio a un'impresa di tipo familiare chiusa a un'impresa che rimane di tipo familiare aperta al mercato finanziario. Questo tipo di passaggio, secondo me, va agevolato, anche dallo Stato, dal governo con degli incentivi di tipo fiscale e normativo che spingano le imprese a capitalizzarsi. Il problema sono le imprese che sono state abituate a 30 anni di credito facile, quello che Fumagalli chiam due o tre anni fa "la cultura del debito". Abbiamo avuto un sistema bancario estremamente ricco, grasso, che quindi ha dato i soldi facilmente, e le imprese sono state abituate a trovare tutto il credito che volevano. Dobbiamo uscire da questa cultura del debito e andare verso un capitalismo, che deve rimanere, secondo me, familiare, ma aperto.

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Le due principali tradizionali banche d'affari italiane, Mediobanca e l'Imi, hanno elaborato un know-how specializzato che non sovrapponibile, ma che, comunque, non focalizzato sulle operazioni finanziarie legate alla crescita della media impresa: Mediobanca e Imi sono due animali completamente diversi. Sono due grande banche a medio termine, ma Mediobanca una banca che ha un know-how forte per tutto quello che noi chiamiamo corporate, quindi i servzi alle imprese: capitale, debito, fusione, acquisizione, etc. Mediobanca ha una cultura, anzi oserei dire un disprezzo per tutto quello che gestione del pubblico risparmio, gestione retali. Imi un animale completamente diverso, Imi, ha una cultura minore per quanto riguarda le imprese, ma bravissima nella gestione del risparmio. Quindi, sono entrambe due banche d'affari, ma sono due animali molto diversi. Anche negli Stati Uniti, peraltro ci sono istituzioni finanziarie pi vocate verso il pubblico e delle istituzioni pi votate verso le imprese. Per esempio, Merril Lynch assomiglia molto pi ad Imi; Goldman Sachs assomiglia di pi a Mediobanca. Questo per dire che quando si parla di merchant banking, si parla di industria meccanica, si pu parlare di tutto e di niente. Detto questo, nel suo piccolo la Sopaf ha pi un sistema simile a Mediobanca, si occupa di impresa. La differenza fra Mediobanca e la Sopaf che noi ci occupiamo di media impresa e loro si occupano di grande impresa. Quindi, direi che per Sopaf, Mediobanca un non problema, perch un'istituzione che si occupa di quelle quattro, cinque, dieci grandi aziende italiane, e basta. Mediobanca non un mio concorrente, o un mio concorrente marginale, perch interessata alla Pirelli, interessata a quello che fa l'Olivetti, interessata a quello che fa la Comit o a quello che fa le Generali, ma non gliene importa niente di quello che fa la Carraro, piuttosto che la Doria o la Air-Europe. Mediobanca stato un supporto di merchant banking, in regime quasi di monopolio, per una fascia ben definita di imprese, che sono importanti, perch ovviamente la Fiat importante, ma che non sono il paese (Jody Vender). Le banche d'affari estere sono appena all'inizio della loro penetrazione in Italia: non si ritengono ancora in grado di comprendere cos a fondo il tessuto imprenditoriale italiano da poter proporre servizi generalizzati di Haus-banking. Si stanno attrezzando, ma non sono ancora a regime. L'orientamento quello di rivolgersi alle grandi e alle medie imprese, le stesse a cui dovrebbero, in teoria, rivolgersi anche i grossi gruppi bancari italiani: Le banche straniere in Italia fanno affari sulle medie imprese perch loro li sanno fare sulle medie imprese e se un'impresa fattura due, tre, quattrocento miliardi pu permettersi di avere la Deutsche Bank o il Credit Suisse che si fa in quattro per lei. Le

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grandi banche internazionali, quindi, si stanno mangiando il segmento delle medie imprese. Hanno costi pi bassi, sono molto pi bravi in tutti gli strumentifinanziari,nel fornire alle imprese una copertura ampia, nel coprire i rischi sulla materia prima, sui cambi, etc. Sono bravi ad offrire un pacchetto completo di servizi finanziari. L'ingresso in Italia delle banche d'affari internazionali, consentito dalle nuove normative, stato favorito, da un lato, dall'interesse crescente per i mercati finanziari e non solo per quelli commerciali che sta emergendo nel tessuto imprenditoriale italiano e, dall'altro, dalla limitata presenza sul mercato interno di operatori finanziari nel settore. Le banche d'affari straniere hanno identificato nell'Italia un campo d'azione interessante, perch ha offerto e offre quote di mercato disponibili e capacit di sviluppo per prodotti che sono gi stati utilizzati in altri Paesi. Si tratta soprattutto di case statunitensi od europee - Morgan Stanley, Merril Lynch, JP Morgan, Chase Manhattan Bank, Credit Suisse First Boston, Solomon Smith Barney, Schroders, Rothschild, Paribas, Goldman Sachs, SBC Warburg Dillon Read, Abn-Amro Hoare Govett, Deutsche Morgan Grenfell, Banque Indo-Suez, Lehman Brothers, etc. - che competono tra loro nello scacchiere globale e per le quali, quindi, l'Italia rappresenta solo uno dei tanti mercati, seppure un mercato importante ed in forte crescita: Tendenzialmente, in tutti i paesi dove siamo presenti, tendiamo ad avere la maggior parte di operatori della nazionalit del paese, ma inseriti nella nostra struttura, nella nostra cultura, nel nostro metodo di lavoro, tutte cose che rappresentano anche i nostri valori etici e di comportamento che sono cresciuti in una struttura che ha un orizzonte globale, ma che deve adeguarsi alle singole dimensioni locali. Perci, riteniamo pi efficace che in Francia ci siano principalmente francesi, a Milano italiani, a Tokyo giapponesi, e cos via. Per, questo avviene sempre nell'ambito di un'organizzazione ben coordinata e che sfrutta il valore aggiunto della rete globale, che consente di operare in tempo reale ovunque. Tra l'altro una cosa su cui spingiamo molto la comunicazione interna, tramite messaggi telefonici, tramite eleclronic mail, tramite ogni tipo di videoconferenza, meetings, briefings, e cos via, per avere il massimo del valore aggiunto da dare al cliente che, venendo a parlare con la Morgan Stanley di Milano, non parla solo con Milano, ma para con tutto il mondo. Ha accesso, cio, non ad un individuo o ad una filiale, ma a tutta l'azienda, alla sua struttura e alla sua rete globale (Galeazzo Pecori Giraldi). Queste banche d'affari non considerano operatori interni come Mediobanca e Imi come dei loro concorrenti, ma come dei clienti e/o dei collaboratori. Inoltre, la possibilit di utilizzare le reti territoriali

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delle banche italiane clienti e/o collaboratrici, viene considerata da questi operatori un vantaggio non indifferente, data la qualit di queste reti e il loro alto grado di penetrazione nel territorio:
Siamo una casa come Imi e Mediobanca e i nostri concorrenti sono gli stranieri. Non ho mai detto che gli italiani sono concorrenti. Gli italiani sono o clienti, ed anche l'Imi cliente, oppure collaboratori. Facciamo insieme operazioni sul mercato sia con Imi che con Mediobanca, oppure con alcune banche italiane. Ad esempio, l'operazione di quotazione della Bulgari l'abbiamo fatta con la Comit. I nostri concorrenti sono le altre case straniere, mentre ci vediamo come complementari alle banche italiane, non come concorrenti.... Facciamo un'operazione insieme ad un istituto italiano che si distribuisce la sua quota tramite la sua rete territoriale. Siamo una banca che opera con una clientela formata da istituzioni non da individui: i nostri clienti sono aziende, banche, compagnie di assicurazione, fondi. Gli individui sono clienti delle banche italiane, che oltre a servire le istituzioni, servono anche la clientela privata, al dettaglio. In America, nel '33, il Glass-Steagall Act ha separato l'attivit di credito ordinario da quella di securities, di trattazione di titoli. Quindi, il nostro tipo di attivit a che vedere solo con alcune parti dell'attivit di banche come la Comit o il San Paolo - l'intermediazione dei titoli, l'attivit in cambi, la distribuzione azionaria ad istituzioni - ma non entra nell'attivit con la clientela al dettaglio. E poi noi non facciamo credito, dato che l'unica raccolta finanziaria a tramite nostro sono i prestiti obbligazionari. Quindi, in alcuni casi siamo complementari nel tipo di attivit; in altri casi semplicemente che loro sono clienti nostri e/o noi siamo clienti loro. Oppure siamo complementari nel senso che, per quanto riguarda gli aspetti distributivi di un'operazione, loro curano la parte riguardante il mercato italiano e noi curiamo quella riguardante il mercato internazionale (Galeazzo Pecori Giraldi).

La Paribas svolge, rispetto al sistema bancario tradizionale italiano, un ruolo di gestore di fondi. La linea strategica di Paribas verso Vinvestment banking e non verso il retati (Paribas nel 1997 ha disinvestito nel settore retail cedendo Crdit du Nord, Paribas Belgique, Paribas Nederland e Paribas Pacifique), operando su tre aree: la banca di investimento, la gestione di fondi e i servizi finanziari al dettaglio.75 In I-

75. Rispetto alla strategia di Paribas, Andr Lvy-Lang, presidente del consiglio di amministrazione e responsabile esecutivo della banca, ha dichiarato: L'attivit bancaria al dettaglio ha prospettive oscure che non corrispondono al nostro obiettivo di redditivit del 15%. Nell'attivit bancaria in arrivo una rivoluzione che pu essere attribuita a due fattori: l'euro, che con il tempo diventer la seconda valuta mondiale, e le nuove tecnologie. Noi abbiamo investito sull'euro, ci siamo specializzati in aree dove prevediamo crescita, come la gestione dei fondi, e siamo usciti dalle attivit che dall'euro e dalle nuove tecnologie subiranno un impatto negativo (citato in Alessandro Merli, Paribas sempre pi banca d'affari, Il Sole 24 Ore, 1 marzo 1998, pag. 13).

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talia, oltre a detenere una partecipazione del 4% nel capitale della Comit, Paribas ha sviluppato significativi rapporti commerciali con la Popolare di Verona, la Cassa di Risparmio di Firenze e la Banca del Salent e 7 6 La presenza territoriale di Paribas e la commercializzazione dei suoi prodotti/servizi si realizza attraverso questo tessuto di banche locali e tramite la loro rete di sportelli. Paribas sta investendo significative risorse finanziarie nel progetto di unificazione europea e nelle tecnologie, nell'organizzazione, nelle procedure che permettano un'apertura completa e totale alla struttura dell'euro. In questo modo, a partire dalla situazione italiana (in Italia, con un organico di 340 persone Paribas si piazza subito dopo la Deutsche Bank che svolge per anche attivit di sportello, e quello italiano per la banca francese il secondo mercato in Europa dopo naturalmente la Francia), Paribas, che nel '97 ha chiuso con un utile di 6,6 miliardi di franchi (circa 1.950 miliardi di lire, +51%), si propone di divenire una "banca delle banche, cio il servizio dei servizi, uno dei grandi poli europei di servizi finanziari" :

76. Proprio all'inizio del 1998 stata completata la fusione in Paribas della Compagnie Bancaire e della Cetelem (la pi grande societ europea di credito al consumo): due entit, precedentemente controllate dal gruppo francese, che portano ora direttamente sotto le insegne di Paribas significative presenze sul mercato italiano. Paribas detiene oggi una quota del 3,5% nella Cassa di Firenze e una quota del 4,5% nella Banca del Salente. In entrambi i casi, per, queste presenze azionarie hanno aperto le porte alla banca francese ad accordi di pi ampia portata che spaziano dal settore del credito al consumo, a quello delle assicurazioni. Una parte di queste intese coinvolge la Cassa di Firenze, che partner di Paribas in Findomestic, la societ di credito al consumo leader in Italia nel suo settore: la banca francese il primo azionista con una quota di circa il 43%, mentre la Cassa di Firenze possiede il 33,3% del capitale e il Banco di Sardegna (che a suo tempo ha ceduto a Paribas la sua partecipazione nella Cassa di Firenze) il restante 23%. Un'altra alleanza tra Cassa di Firenze e Paribas riguarda il comparto del leasing: l'Ufb (societ che fa capo a Paribas) ha gi preso una quota del 15% della Centroleasing ed esiste un accordo tra i due partner che permetter al gruppo Paribas di arrivare sino alla quota del 35% della societ, in modo da affiancare Carifirenze che detiene una quota analoga. Un'altra joint venture esiste nel campo delle assicurazioni: qui entra in campo la controllata Cardif, compagnia di bancassurance che ha messo in piedi, sempre con la banca di Firenze, la Centrovita di cui la Cassa fiorentina possiede il 51% del capitale e i francesi il 49%. Sempre la Cardif, che complessivamente gestisce pi di 200 miliardi di raccolta premi (compresi quelli della Centrovita), ha rappresentato il punto di collegamento dei francesi con la Banca del Salente: in questo caso, per, non stata costituita una compagnia, ma stato stipulato un accordo di vendita di prodotti assicurativi Cardif in esclusiva: un'intesa che passata attraverso l'ingresso di Paribas nel capitale della banca leccese. Cfr. Anna Di Martino, Oltre la Comit, Il Mondo, 31 gennaio 1998, pp. 100-101; Michele Calcaterra, Paribas: non saliremo in Comit, Il Sole 24 Ore, 27 febbraio 1997, pag. 35.

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Paribas fa gestione di patrimoni privati e istituzionali su circa 130.000 miliardi, con 40 fondi Sicav di diritto lussemburghese autorizzati in Italia, pubblicati tutti i giorni sui quotidiani, quindi con perfetta trasparenza di quotazioni. Offre un expertise sia ai privati che alle istituzioni, tant' vero che vendiamo i nostri fondi anche ad assicurazioni o a banche italiane che vogliono offrire alla loro clientela qualche prodotto nel campo della gestione patrimoniale che altrimenti, se fatto in proprio, sarebbe troppo costoso. Allora cos' che sta accadendo? Nella gestione istituzionale, laddove noi gestiamo la gestione di altri, quindi facciamo la gestione dei gestori, secondo il principio finanziario del fondo dei fondi, per cui gestiamo l'allocazione del risparmio raccolto da strutture capillari italiane, dalla Cassa Rurale, dalla Banca Popolare o dall'assicurazione che ha radicamento territoriale. Questi signori sono seduti su questa pigna di soldini e invece di continuare a metterli in CCT, BTP, etc. vogliono avere un'asset allocation diversificata dal punto di vista valutario e dell'emittente. Nel fare Yasset allocation la Paribas si candida a vendere sia l'expertise che il prodotto. Questo ci consente di disporre di una distribuzione al dettaglio perch abbiamo l'associazione con 6 o 7 banche, tra cui la Banca Popolare di Verona, la Cassa di Risparmio di Firenze e la Banca del Salento. Quindi, abbiamo una presenza territoriale ormai diffusa di distribuzione di prodotti di gestione fondi, sia per il dettaglio che all'ingrosso. Questo nostro know-how nell'asse? allocation il risultato di notevoli investimenti. Infatti si tratta di servizi che sono estremamente costosi e sofisticati da gestire perch presuppongono dei back office, delle strutture di gestione di custodia, di chiusura dei pagamenti, dei crediti o dei debiti, di stacco cedole e dividendi, di capitalizzazione e valorizzazione a livello internazionale. Presuppongono strutture informatiche, tecnologiche retrostanti impressionanti. Attualmente, Paribas, come poche altre banche in Europa, sta investendo un ammontare impressionante di denaro nel progetto europeo. Discutendo con vertici di banche italiane, mi sono reso conto che il frazionamento delle strutture bancarie italiane rappresenter un momento di debolezza: ci sono poche risorse da investire per l'Europa perch stanno investendo in un piano di razionalizzazione interna, nella metabolizzazione degli sportelli o nella pulizia delle sofferenze. Tenga conto che per l'adeguamento all'euro si parla di investimenti nell'ordine di centinaia di miliardi in tecnologia e ristrutturazione degli uffici per la sola Paribas. Tant' vero che noi facciamo gi dei round table a Milano, a Parigi e a Londra per capire quali sono i nostri potenziali clienti a cui vendere il servizio per essere up-to-date con l'Europa. Difficilmente le banche italiane potranno sostenere questi mega investimenti per poter avere un'apertura completa e totale alla struttura dell'euro. Ecco, quindi, che per Paribas si apre l'opportunit di poter diventare una banca delle banche, cio un servizio dei servizi, di candidarsi ad essere uno dei poli europei di servizio (Davide Grignani). L'attivit della Chase Manhattan Bank in Italia, dove presente dagli inizi degli anni '20, fondamentalmente indirizzata verso servizi di banca d'affari e il Managing Director Federico Imbert sottolinea come da tempo la Chase non si definisca pi un istituto di credito, ma "un fornitore integrato di servizi finanziari" :

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Probabilmente l'Italia l'unico paese al mondo dove le banche vengono ancora definiti come istituti di credito. La banca e deve essere molto di pi di un istituto. La Chase, ad esempio, non si definisce pi un istituto di credito da 15 anni, ma come un fornitore integrato di servizi finanziari, tra i quali pu esserci anche il credito. Se si guarda all'attivit della Chase in Europa e in Italia, l'erogazione diretta del credito una parte assolutamente trascurabile. La mia missione in Italia non quella di dare credito commerciale alle imprese. Ci sono centinaia di banche in Italia che lo fanno. Il mio mandato quello di aiutare i clienti a risolvere problemi di finanzia aziendale; a strutturare il finanziamento di progetti, nel senso di project financing, a gestire i rischi, come quelli di volatilit dei cambi o dei tassi di interesse, a gestire la tesoreria, a operare sul mercato dei capitali italiano ed internazionale; offrendo servizi ad alta tecnologia, quali i servizi elettronici di pagamento piuttosto che di custodia globale titoli per gli investitori istituzionali: Questo faccio in Italia. Chase non pi un istituto di credito. Il fatto che poi eroghi talvolta credito, e sicuramente negli Stati Uniti, nel suo mercato domestico lo fa pi che non all'estero, ma una delle attivit, non l'attivit. Il problema del deficit di accompagnamento che gli imprenditori italiani lamentano sicuramente dovuto al fatto che le banche italiane vedono se stesse come istituti di credito e, in effetti, in larga misura lo sono ancora. La Chase ha in Italia una clientela di medie-grandissime dimensioni che pu essere scomposta in tre segmenti diversi: un segmento corporate costituto da grandi imprese industriali; le banche e le assicurazioni; gli investitori istituzionali. L'attivit di promozione dei servizi della Chase viene realizzata attraverso una squadra di "gestori di relazioni", deputati all'espansione degli affari. L'approccio al mercato di tipo dinamico: si cercano le imprese con le quali interagire, si stimola la loro iniziativa attraverso la proposta di idee e di progetti, si realizzano ricognizioni territoriali al fine di promuovere attivit. Imbert chiama questa modalit operativa "proiettiva" che si differenzia dalla modalit "reattiva" per il suo contenuto propositivo: Abbiamo in Italia una squadra di gestori di relazioni, quelli che definiamo client executives o client managers, i quali sono deputati all'espansione degli affari della banca con la propria base di clienti esistenti o prospettici. Il nostro approccio molto dinamico, andiamo a trovare delle imprese, andiamo a stimolare la loro iniziativa, andiamo a proporre loro delle nuove idee. Non aspettiamo i clienti allo sportello che, peraltro, non abbiamo, ma ce li andiamo a cercare sul territorio. Una volta che li abbiamo acquisiti, li "sviluppiamo" andando da loro. In generale, nel ciclo del valore aggiunto, le migliori opportunit nascono quando creiamo noi il bisogno del cliente, dandogli delle informazioni o ponendogli una problematica o stimolandolo a considerare un'idea, piuttosto che il cliente stesso abbia un'idea o una

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necessit e si rivolga a noi. Questo accade, ed normalissimo, ma direi che nel ciclo del valore aggiunto, il massimo ottenuto quando la banca che porta l'idea, che promuove un'iniziativa. Quindi, necessario avere un atteggiamento proiettivo e non meramente reattivo. La nostra non presenza capillare sul territorio ci spinge ad essere particolarmente proiettivi, a presentarci con delle idee anche perch certo non si possono solo fare visite di cortesia. La Morgan Stanley un gruppo finanziario globale presente in tutti i centri finanziari di importanza mondiale, ed attivo sulla piazza di Milano dal 1988 con un ufficio di rappresentanza, trasformato poi in societ finanziaria SpA e, infine, in banca SpA. Il bacino territoriale di questa banca ha estensione globale e, sul mercato interno italiano si rivolge ad una clientela la cui base costituita da grandi banche (San Paolo di Torino, Credito Italiano), da grandi aziende multinazionali (Fiat, Pirelli, Montedison, Fininvest), da aziende privatizzate o in via di privatizzazione (Imi, Stet, Credito Italiano, Finmeccanica, Eni), da aziende medie e grandi che vogliono quotarsi in Borsa in Italia o all'estero o acquisire azioni all'estero (Benetton, Bulgari, Gucci, Parmalat, Eni) per le quali la Morgan Stanley fa azione di accompagnamento cross-border. La penetrazione nel mercato interno ha consentito di acquisire anche clienti istituzionali territoriali come le Societ Municipalizzate, a cui la banca fornisce consulenze per i processi di trasformazione in SpA e di privatizzazione. La nostra base di clientela costituita principalmente dai gruppi italiani multinazionali privati e dai grandi gruppi che erano o sono ancora a partecipazione statale, ma in via di privatizzazione. In alcuni casi, stiamo seguendo la loro privatizzazione. Inoltre ci sono le aziende di media e grande dimensione che hanno interesse ad espandersi all'estero, facendo acquisizioni oppure quotando i propri titoli azionari. In questi casi, interveniamo come consulente, come casa finanziaria che li assiste nella distribuzione del titolo. Una caratteristica del business quella di agire principalmente in quello che chiamiamo l'attivit cross-border, cio dove sempre presente un aspetto internazionale: la distribuzione di titoli sui mercati internazionali oppure l'acquisizione di un'azienda all'estero, oppure un partner estero che entra nel capitale dell'azienda italiana, oppure la distribuzione di titoli esteri ad istituzioni italiane. Si tratta, quindi, di un'attivit dove, per qualunque prodotto, c' sempre una componente internazionale. O in un verso o nell'altro: o Italia verso estero, o estero verso Italia (Galeazzo Pecori Giraldi). La Morgan Stanley ha 40 dipendenti con 5 capi settore (finanza aziendale, reddito fisso, azionario, gestione patrimoniale, servizi ammi-

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nistrativi e finanziari). L'et media dei dipendenti di 33 anni, selezionati in base alla nazionalit (italiani, perch l'Italia il paese ospitante), ma con una cultura sinergica alla dimensione globale del gruppo societario. Criteri di selezione del personale sono la conoscenza dell'inglese e di altre lingue e il voto di laurea in Economia e Commercio alla Bocconi (minimo 110/110). I nuovi assunti fanno uno stage aziendale presso la sede milanese di 2/3 anni e poi proseguono la formazione con un Master in Business Administration: 1 dipendenti vengono selezionati secondo la formula abituale che utilizziamo un po' in tutto il mondo. Diciamo che noi cerchiamo gente estremamente dinamica, molto ben preparata, che conosce le lingue, che ottiene voti molto buoni all'universit e nei corsi di specializzazione. Normalmente sono tutti laureati, principalmente escono da lauree in Economia e Commercio, per quello che riguarda gli italiani, che sono inseriti sia qui che a Londra. Perch poi abbiamo altri 40 italiani a Londra, alla sede europea. Comunque sono soprattutto laureati in Economia e Commercio, principalmente nell'Universit Bocconi. Tutti si sono laureati con 110 o 110 e lode, hanno una perfetta conoscenza dell'inglese ed eventualmente di un'altra lingua, oltre all'italiano. Ci sono alcuni metodi di selezione, uno quello per i neolaureati, che passano circa due-tre anni presso di noi, poi vanno a fare un Master nelle Business Schools americane o europee. L'altro gruppo quello che esce dalle Business Schools per poi iniziare la carriera in via definitiva. Per cui abbiamo sia neolaureati sia dirigenti che hanno anche conseguito, per la maggior parte, il Master in Business Administration. Il personale non laureato in percentuale limitata, perch il personale di supporto e, comunque, anche quello molto ben qualificato, perch ha fatto il liceo linguistico, oppure le scuole tecniche, con diplomi e, a volte, anche con la laurea. Ma, comunque, anche loro hanno un'ottima conoscenza dell'inglese. Conoscenza che un po' data per scontata, quasi a livello di essere bilingui. ... La formazione delle risorse umane per noi importantissima, perch il nostro asset principale sono le persone in un business che fatto di persone. Quindi, investiamo moltissimo in addestramento, in sviluppo, in training, ma soprattutto facciamo una selezione rigidissima per avere il meglio possibile in tutti i campi, in tutti i settori. E devo dire che siccome il nostro business comunque un business divertente, attraente, d'accordo meritocratico, con molta pressione e con degli orari di lavoro molto impegnativi e con un'esigenza di dare sempre il meglio al cliente, ma anche un'attivit che d molta soddisfazione e gratificazione personale. Per questo c' un'elevata domanda di lavoro e, quindi, siamo in grado di fare una selezione estremamente soddisfacente (Galeazzo Pecori Giraldi).

Nelle strategie per competere, i vantaggi fondamentali degli operatori internazionali derivano da una serie di fattori:
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l'appartenenza a dei networks organizzativi che operano su scala globale: le societ italiane non sono altro che dei nodi di reti globali; l'immagine e la notoriet che consentono loro un indubbio vantaggio competitivo sui mercati, con particolare riferimento alle operazioni cross-border di maggiori dimensioni. Infatti, alla base dei servizi erogati deve sussistere una struttura in grado di comunicare solidit, sicurezza ed elevata esperienza (track-record). L'immagine continua, dunque, ad essere un fattore importante che tende a consolidarsi nel tempo, fondamento primario delle politiche di fidelizzazione; l'applicazione del sistema meritocratico di tipo anglosassone, per cui una eccellente performance professionale del management in termini di risultati viene ricompensata, oltre che in termini di reddito monetario, anche con la partecipazione al capitale societario; la pianificazione del lavoro "per progetti": per ogni cliente viene costituito un team ad hoc (normalmente composti di 5-6 persone) in base al tipo di prodotto finanziario richiesto o al settore industriale. I team sono costituiti da personale in organico nei vari settori, prevedendo formule di composizione miste, sia in base alla nazionalit che al livello di seniority e specializzazione settoriale; la disponibilit di personale con formazione mirata, apertura mentale internazionale e capacit relazionali; la comunicazione interna estremamente efficace ed efficiente per dare il massimo del valore aggiunto al cliente. Nel segmento delle privatizzazioni, tre elementi distintivi fanno, inoltre, la differenza: in primo luogo, il governo italiano preferisce assegnare incarichi ad advisors esteri perch ci elimina ogni potenziale conflitto di interessi con istituzioni italiane; in secondo luogo, la presenza di una primaria banca d'affari estera garantisce, grazie al suo network, visibilit internazionale alle operazioni di privatizzazione ed elevato placing power per il collocamento dei titoli sulle piazze finanziarie internazionali; in terzo luogo, le istituzioni estere hanno dimensioni tali da potersi permettere team di analisti con expertise specialistico settoriale (energia, telecomunicazioni, et). 149

Ad ogni modo, nonostante i notevoli vantaggi competitivi di cui godono le grandi banche d'affari straniere, si ritiene che vi siano spazi per competere per gli operatori italiani. La sfida molto difficile, soprattutto visto i ritardi accumulati, ma, secondo alcuni osservatori,77 si pu contare sul fatto che l'ipotesi del "pochi grandi sopravviveranno all'Uem" del tutto infondata:
L'assioma secondo il quale l'industria dell'investment banking caratterizzata da elevata concentrazione semplicemente falso. Per rendersene conto basta guardare all'esempio degli Stati Uniti dove, nonostante le importanti fusioni degli ultimi tempi, a fianco ad una decina di grandi case operano circa un centinaio di operatori di dimensioni minori, ma con una quota di mercato complessiva tutt'altro che irrilevante. E' facile immaginare che una realt assai meno uniforme come quella europea possa potenzialmente accogliere un numero di banche di investimento ancora pi elevato. Certo non si intende dire che in Europa scarseggiano le global house. Anzi, lo spazio per gli operatori di scala mondiale gi molto (e forse troppo) affollato. Ma, non di soli giganti fatto questo business. In particolare, in Europa, sembra sensato ritenere che vi possa essere una domanda consistente per operatori pi specializzati e pi vicini alle singole specifiche realt. La globalit non certamente una condizione necessaria per competere nell'intermediazione finanziaria (Lorenzo Stanca).

Per gli operatori italiani ci sarebbe spazio, quindi, non per fare la casa globale, ma quella di nicchia, estendendo la copertura geografica a quei mercato che presentano importanti analogie con quello nostro (Spagna, Grecia, Portogallo, Polonia, Sud America), se necessario procedendo anche ad acquisizioni di operatori locali. C' un segmento della clientela che non vuole rivolgersi solo a mega istituzioni che oltre ad essere meno addentro alle specifiche realt locali, spesso finiscono con l'avere un potere contrattuale soverchiante. Al momento, la domanda di interlocutori di dimensioni pi ridotte e pi vicini culturalmente, oltre che fisicamente, ai mercati di riferimento forte e non viene soddisfatta. Comunque, Lorenzo Stanca ritiene che gli operatori italiani dovranno essere specializzati su specifiche aree individuate con cura. Quattro potrebbero essere quelle principali:

77. Stanca Lorenzo, Investment banking partita aperta, Il Sole 24 Ore, 20 gennaio 1998, pag. 4. Stanca il responsabile vendita reddito fisso e studi economici del Credito Italiano.

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Innanzitutto l'organizzazione di emissione di titoli di debito e di capitale di rischio da parte delle imprese italiane. Il mercato unico offrir importanti opportunit per tutti i prenditori non governativi, tanto pi in un mondo in cui i governi non saranno pi emittenti sovrani e la loro domanda di capitale risulter drasticamente contenuta. E tanto pi in Italia dove le banche troveranno meno redditizia l'intermediazione creditizia, con la forte contrazione dei margini tra tassi sugli impieghi e dalla raccolta, per questo tipo di prodotti da parte dei gestori del risparmio, poi, proverr una forte domanda di intermediazione sia in termini di liquidit che di ricerca. E' evidente l'opportunit che si presenta per gli intermediari italiani. Un'altra area importante che in Italia ha certamente notevoli margini di crescita, ma da cui gli operatori del bel paese sono totalmente assenti quella dell'organizzazione di emissioni di asset backed securities. La massa di fusioni e acquisizioni di medie/piccole dimensioni che il mercato italiano offre, rappresenta poi un business piccolo ma pur sempre interessante. Le privatizzazioni, infine, possono offrire alle banche di investimento italiane un ruolo ben diverso (advisory, global coordinator) da quello che le banche commerciali di casa nostra finora hanno svolto.

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BANCHE E IMPRESE: ALCUNE CONSIDERAZIONI DI SINTESI

Se a questo punto possiamo azzardare una schematica sintesi, possiamo dire che nel rapporto tra banca e impresa, appare come strategico e in via di consolidamento la simbiosi tra medie imprese consolidate e il "piccolo gigante", la banca media, simbiosi visibile anche dall'entrata dei medi imprenditori nei consigli di amministrazione delle banche e dalle banche che sempre pi tendono ad entrare nel capitale delle imprese: Io che provengo da una banca a carattere nazionale o, anzi, internazionale, ho verificato proprio in questa banca cosa vuole dire il vantaggio competitivo rappresentato da un fortissimo legame con la realt industriale locale rispetto a quello che possono ottenere la grandi banche nazionali. Non c' comparazione, La grande sintonia che hanno le Banche locali con le imprese del loro territorio scaturisce non solo dalla conoscenza diretta, a livello personale con gli operatori economici, ma anche dalla profonda conoscenza che hanno le banche locali di tutte le modalit operative delle imprese, circostanza che determina di essere in grado di rispondere con grande velocit e flessibilit alle loro esigenze, fornendo realmente un servizio "su misura". E questa capacit di servizio la carta vincente che fa s che la maggior quota del lavoro venga appoggiato alla Banca che pi in grado di essere vicina alle necessit dell'impresa. Inoltre, c' da considerare che mente in passato alcune tipologie di operazioni bancarie erano esclusivo appannaggio delle grandi Banche, che potevano mettere in campo delle forti specializzazioni in alcuni settori avanzati dell'attivit bancaria, ecco che oggi questa "cultura della specializzazione" si largamente diffusa ed appartiene anche alla banca locale che, quindi, pu continuare a competere con successo rispetto alle grandi istituzioni creditizie in quanto in grado di utilizzarla con maggiore dinamicit rispetto ad organismi condizionati da griglie burocratiche pi fitte (Aldo Civaschi). Non appare una strategia forte e consolidata invece verso l'alto, verso la privatizzazione dei grandi gruppi pubblici; si delinea un inte-

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resse per le privatizzazioni che hanno comunque un forte impatto nella dimensione regionale ove opera il piccolo gigante, come ad esempio la privatizzazione delle reti autostradali e invece emerge come carente il rapporto verso il basso con il sistema delle imprese, con il tessuto molecolare dei piccoli, dei piccolissimi imprenditori e degli artigiani. Per quanto riguarda il rapporto tra banca e impresa evidente che il sistema bancario chiamato a delle scelte precise che implicano una rivoluzione delle professionalit, dell'organizzazione, dei servizi, ma soprattutto il passaggio da una "cultura catastalista" che significava misurazione delle garanzie patrimoniali del cliente e dell'impresa, a d una "cultura prospettica" attenta a valutare le capacit, i progetti, l'affidabilit imprenditoriale. Il sistema bancario deve, quindi, aprirsi a nuove aree quali, ad esempio, il capitale di rischio, i servizi alle PMI, il sostegno all'esportazione. In sostanza si tratta di fare "banca di sviluppo", cio aiutare le imprese a crescere, a ristrutturarsi, a superare il problema del ricambio generazionale, ad affrontare i problemi relativi all'assetto proprietario: Si apre qui un capitolo della svolta che deve intervenire nel modo di fare banca da parte degli operatori italiani: si deve partire dalla consapevolezza di non essere pi istituzione, ma impresa. Come tale, la banca deve porsi a rischio, deve affrontare il mercato e, a ragion veduta, rischiare con il cliente intorno a dei progetti di investimento. La professionalit e le capacit del banchiere debbono allora discostarsi dai condizionamenti delle garanzie di tipo reale (terreno, immobili, etc.) e deve invece ricercare le garanzie nella bont dell'impresa, di cui deve saper valutare le capacit prospettiche di fare reddito. A questo proposito, peraltro, non superfluo ricordare che, in realt, il modo stesso con il quale dialogano la banca e l'impresa ad essere oggetto di profonda evoluzione: la garanzia era s lo scudo del rischio, ma anche il paravento di un'informativa societaria tutt'altro che trasparente ed affidabile. Una medaglia, come tutte, a due facce, ma entrambe "gradite" agli interessati. E' chiaro ormai che solo progetti imprenditoriali validi formeranno i flussi di cassa che consentiranno di restituire quanto si dovuto prendere a prestito. Il terreno fertile per un nuovo approccio al "fare banca": essere banca di fiducia delle piccole e medie imprese e offrire loro un insieme di servizi che vanno dalla consulenza finanziaria alla predisposizione di progetti di ristrutturazione, alla fornitura di capitale non solo di credito, ma anche di rischio. I servizi possono attenere consulenze relative ai mercati di sbocco, soprattutto esteri, la predisposizione e il sostegno di strutture di marketing (fiere, esposizioni, etc), la finanza necessaria per dare respiro all'attivit di esportazione, che peraltro caratterizza gran parte del153

le piccole e medie imprese dell'Italia del Nord. Non quindi solo un problema di attivit bancaria tradizionale, le aspettative maggiori si concentrano sull'attivit di banca di investimento, nel senso di promuovere e sostenere lo sviluppo. Si tratta di aiutare le imprese a nascere, a crescere, a superare le crisi che oggi sono soprattutto generazionali. Sono, cio, crisi di assetto proprietario, come anche di inefficiente combinazione del fabbisogno finanziario, oltre che debolezza di progettazione industriale. E' questo ampio spettro di problematiche che l'istituto finanziario e la banca di sviluppo devono affrontare (Angelo Caloia).

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Capitolo Terzo BANCHE E TERRITORI

Il rapporto tra banche e territori non pu prescindere da un racconto in cui si tenga conto che il modello bancario italiano pi di altri segnato dalle lunghe derive storiche del rapporto tra banca e territorio. La ricognizione non pu che partire dal riconoscimento di quelle che sono le specificit e le singolarit che rendono la struttura per molti versi unica e irriproducibile nel panorama mondiale. Tuttavia diversi fattori e molteplici elementi hanno concorso, da un punto di vista storico, culturale ed operativo a differenziare e a generare un modello di finanza locale, policentrico e territorialmente diffuso. Innanzitutto, lo sviluppo di attivit finanziarie bancarie in un mondo precapitalistico a supporto degli scambi tra aree geopolitiche e geoeconomiche, comprese nello spazio europeo e nel bacino del Mediterraneo, dalla storia delle Repubbliche marinare, dalla centrali di poli commerciali come Venezia, come Firenze. Tutti questi fenomeni sono stati indagati e descritti nel racconto delle lunghe derive braudeliane. C' poi da considerare l'affermarsi di forme di mutualit economica a base municipale, soprattutto concentrate nell'Italia dei Comuni, che diedero forme e significato alla municipalit, al concetto di cittadinanza e all'affermarsi di valori civici di tipo universalistico. Forme elementari di finanza a base locale nacquero allora. Non chiedere interessi per il denaro dato in prestito: la regola cristiana da cui trassero origine i primi Banchi o monti dei pegni, i mons pietatis, nati in Italia nella seconda met del XV secolo (il primo risale al 1462), per impulso di Francescani e Domenicani, i due ordini religiosi che vivevano il loro apostolato a pi stretto contatto con i poveri. Tentarono cos di combatte157

re l'antica piaga dell'usura e di fornire un aiuto economico alle popolazioni meno abbienti. "Mutuum prestiti nuhil indi sperantes" ("fate prestiti e non sperate niente in cambio") predicavano i frati.78 Tanto ardore apostolico diede i suoi frutti: i banchi dei pegni senza scopo di lucro si diffusero rapidamente in Italia ed in Europa. Aristocrazia e governanti venivano incoraggiati a fare lasciti e donazioni per alimentare i fondi patrimoniali dei Monti. I fedeli erano invitati a depositarvi i propri risparmi per assicurare un costante margine di liquidit. ben presto, per, verso la prima met del XVI secolo, la necessit di avere una provvista di fondi adeguati rese indispensabile l'applicazione degli interessi. Negli anni, il credito su pegno si trasformato fino a diventare un prodotto creditizio alla stregua di altri servizi offerti dalle banche alla propria clientela. Ma, su questa tradizione che ha preso avvio la cultura e la formazione di diversi aggregati, dalle Ipab, alle Casse di Risparmio,79 alle Banche Cooperative, alle Casse Rurali, alle Banche Popolari,80 la cui missione era di favorire la crescita socio-economica del territorio locale. E' da questa "lunga durata" che nasce la cultura e la storia delle Fondazioni Bancarie.

78. Cfr. Serafino Gatti, Il credito su pegno, Giuffr Editore, Milano, 1997; Rossignoli B., Le Casse di Risparmio e i Monti di Credito su Pegno, Angeli, Milano, 1979. 79. Per una ricostruzione storica delle Casse di Risparmio in Italia cfr. Ballardini A., Il risparmio attraverso i secoli. Le Casse di Risparmio ordinarie in Italia, Zanichelli, Bologna, 1929 e Le Casse di Risparmio, Cappelli, Rocca San Casciano, 1955; Mari C, Le Casse di Risparmio, Bulzoni, Roma, 1984; Mariotti P., Voce Casse di Risparmio, in Digesto Italiano, Utet, Torino, 1927; Rossignoli B., Le Casse di Risparmio e i Monti di Credito su Pegno, Angeli, Milano, 1979. 80. Il sistema del credito cooperativo si sviluppa in Italia nella seconda met del secolo scorso seguendo due modelli organizzativi gi sperimentati in Germania: le Banche Popolari, ispirate allo schema delle "unioni di credito" prussiane, ideate dallo SchulzeDelitzsch; e le Casse Rurali ed Artigiane, mutuate dall'esperienza delle tedesche Raiffeisenvereine. Si pu dire che il ruolo storico svolto da queste ultime nelle comunit locali minori e rurali sia stato analogo a quello delle Banche Popolari nelle realt urbane. In ambedue le esperienze si trattava di creare un circuito locale dei capitali in contesti che difficilmente avrebbero beneficiato dei servizi di intermediazione di banche normali e dove spesso era diffusa l'usura. In Italia il credito cooperativo trova terreno particolarmente fertile nelle regioni settentrionali, ove si va a raccordare con una fitta trama di altre iniziative mutualistiche e associazionistiche; contribuisce ad avviare un processo di accumulazione su cui appogger lo sviluppo industriale; promuove la formazione di un ceto borghese produttivo (cfr. Banca d'Italia, La propriet cooperativa: teoria, storia e il caso delle Banche Popolari, Banca d'Italia, Roma, 1994).

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La riorganizzazione funzionale, introdotta con la legge del 1936, introdusse nei fatti elementi di rigidit e di cristallizzazione del sistema, producendo per un modello orientato alla protezione, alla chiusura. Difatti, questi elementi conservativi si rivelarono una risorsa per le comunit locali, in quanto si realizz un potenziamento del rapporto tra banche e territorio, che inform buona parte dell'impetuoso sviluppo imprenditoriale della provincia italiana. Relazioni di mercato e beni relazionali si svilupparono quindi anche a partire dal supporto che le banche offrirono alle economie locali. In questo contesto, le banche locali hanno favorito la modernizzazione delle forme economiche, degli scambi e delle culture locali. Negli ultimi 50 anni c' stato un rapporto profondo tra banca e territorio, che era anche rapporto stretto con le imprese del territorio, che era un intreccio tra banca, impresa del territorio, ente locale e anche vita culturale e politica locale:
Sicuramente il rapporto tra il territorio e le banche cosiddette locali, le banche radicate sul territorio attraverso una rete di sportelli e una integrazione con le istituzioni e con le imprese, con le famiglie che nel territorio operano, stato uno dei punti di forza di tutta la struttura economica del Nord del Paese, in particolare della Lombardia, del Veneto e dell'Emilia Romagna. Sono queste le regioni dove sicuramente esiste un maggior numero di banche che si sono caratterizzate in passato per questo stretto legame con il proprio territorio e con tutti coloro che vi operano (Corrado Faissola).

Tutto questo assetto, tutta la lunga deriva storica viene sottoposta a sollecitazione tra la met degli anni '80 e l'inizio degli anni '90, quando viene introdotta la liberalizzazione degli sportelli bancari. Era il preannuncio di un mercato competitivo. La risposta del sistema stata quella di aprirsi alla competizione internazionale ed al confronto con gli altri sistemi, puntando comunque sulla forza della memoria data dalla territorializzazione e cio, come abbiamo visto, dall'occupazione di tutti gli spazi esistenti in un sistema territoriale. Il mercato aperto dei capitali e dei prodotti finanziari, la completa globalizzazione dei flussi monetari e la "nuova frontiera" del mercato unico europeo, stanno realmente incidendo sul posizionamento delle banche italiane. Questi fattori hanno influito in maniera virtuosa sul sistema ricombinando, quasi si trattasse di una catena di DNA, le strategie dei diversi attori, da una parte mettendo in discussione le storiche e 159

consolidate gerarchie, dall'altra favorendo processi di integrazione e di funzione. Iniziano a delinearsi quadri prospettici dove, alla forza del singolo attore si contrappone una sostanziale debolezza di sistema, con il conseguente rischio di una marginalizzazione e periferizzazione del mercato italiano. Fusioni e aggregazioni sono benviste perch si ritiene che stare fermi sarebbe suicida, ma nessuno sa se alla fine nascer davvero qualche banca di dimensione ed efficienza europee. Diversi intervistati hanno manifestato la preoccupazione che se questo non succeder il mercato italiano potr trasformarsi in un puro mercato di raccolta del risparmio. Questo , quindi, uno scenario da tenere in considerazione anche perch gli operatori stranieri sono molto interessati al mercato del risparmio italiano in quanto uno dei primi al mondo. E' finito il sistema delle rendite di posizione e dei mercati monopolistici. Il mondo bancario italiano, storicamente protetto e senza concorrenza, oggi chiamato ad un confronto con sistemi, con mercati e con imprese bancarie e di intermediazione di altri paesi che presentano a volte culture economiche finanziarie diverse, modalit organizzative superiori e sistemi operativi a volte molto pi produttivi. Le politiche degli operatori stranieri sono di tipo espansivo anche perch negli anni passati, a differenza degli operatori italiani, tutti impegnati in costose acquisizioni, hanno investito in futuro - in ricerca e sviluppo, in nuove tecnologie e in organizzazione. Oggi, vi sono operatori globali come Merril Lynch con 2.200 postazioni nel mondo in grado di operare su tutti i mercati. La presenza straniera comincia a farsi sentire in maniera considerevole. Sempre pi gli operatori stranieri offrono i loro prodotti su tutto il territorio nazionale. Il rischio della situazione che si viene determinando di una periferizzazione del mercato italiano e dell'investimento del risparmio nazionale in altri mercati. Tutto questo configura una situazione di differenziale competitivo rilevante. Nel momento in cui il mercato italiano si trovato costretto a dover competere con gli altri mercati in una situazione concorrenziale ha mostrato anche difficolt. La difficolt maggiore che, attualmente, il sistema bancario non totalmente operativo sull'estero. Con la liberalizzazione dei mercati successo che il mercato domestico diventato contemporaneamente pi piccolo e nello stesso tempo pi grande. E' diventato pi piccolo perch il tradizionale mercato nazionale, o anche 160

locale, pu diventare oggetto di attenzione e di inserimento di altri operatori e di operatori esteri. E' chiaro che, sotto questo punto di vista, gli operatori domestici trovano un mercato locale e nazionale pi stretto. Nello stesso tempo, il mercato si ingigantito, perch tutto diviene mercato domestico: il mercato europeo il mercato di casa per gli operatori italiani, ma pi in generale, anche il mercato mondiale diviene domestico. La differenza fondamentale riguarda l'operativit degli operatori italiani: pochissimi operatori sono in grado di operare negli altri mercati perch non hanno una cultura di questo tipo. L'Italia uno dei pochi paesi avanzati che non esporta servizi finanziari ma solo titoli di stato, esporta debito e lo vende bene. Solo nella gestione del debito pubblico il nostro sistema di gestione considerato tecnologicamente raffinato. La redditivit delle banche italiane notoriamente bassa rispetto a quella media europea. Le banche inglesi hanno ritorni dell'ordine del 15% ed oltre, una banca tedesca come la Deutsche Bank ha un ritorno intorno al 7-8%, mentre le banche italiane sono spesso sul 3%. C' quindi una remunerazione del capitale assolutamente scarsa ed il problema risulter vieppi aggravato dalla convergenza europea e dal fatto che le banche, come le imprese, come la cultura della societ devono fare i conti con il calo dell'inflazione e con un mercato a bassa inflazione, con il conseguente abbassamento dei tassi di interesse sul denaro e sui titoli di Stato. Questo fa s che il sistema manifesti ulteriori significativi problemi in termini di redditivit, perch il gioco legato allo spread tra tassi attivi e passivi con cui le banche facevano profitto finito. Che il sistema bancario e finanziario italiano abbia tuttora notevoli punti di debolezza fuori discussione. Basterebbe il conforto di qualche numero. Una banca europea rappresentativa come la Deutsche Bank, messa a confronto con i cinque gruppi pi importanti in Italia - Monte dei Paschi, San Paolo, Cariplo, Banca di Roma, BNL - rivela una massa critica pari ad oltre i 3/4 dei cinque gruppi messi insieme: 450 mila miliardi contro i 500-550 mila. Questo rende palese il bisogno di concentrazione intelligente che caratterizza il sistema bancario italiano.
Le privatizzazioni di Banca commerciale, Credito Italiano e Imi hanno rappresentato operazioni di rilevante importanza nel recente passato. La privatizzazione dell'Ina hafacilitato la realizzazione, unitamente alla Banca Nazionale del Lavoro di un importante disegno disaggregazione in occasione della dismissione della

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partecipazione pubblica di controllo del banco di Napoli. Nell'arco del 1997, si sono concretizzate tre operazioni di grande rilievo di privatizzazione di banche detenute da Fondazioni: Istituto Bancario San Paolo di Torino, Ambroveneto-Cariplo e Banca di Roma. La prospettiva dell'euro ha senz'altro contribuito ad accelerare, e le spinte sono lungi dall'essere esaurite. Gli enzimi della quotazione in Borsa, dell'esigenza di generare valore per gli azionisti, di confrontarsi in campo aperto con le maggiori banche internazionali, continueranno a sospingere il sistema verso nuovi assetti; in particolare ritengo che, nell'arco di pochi anni, il numero delle banche italiane indipendenti potr scendere da quasi mille a 100-200 unit. E' da ritenere, comunque, che solo pochi gruppi bancari potranno acquisire le dimensioni minime necessarie per diventare operatori globali nei settori wholesale e di banca di investimento, attraverso idonee operazioni di aggregazione, acquisizione e fusione. In questa prospettiva, occorre riconoscere che sarebbe pericoloso se nessun gruppo italiano riuscisse ad acquisire la massa critica e la redditivit per affermarsi in questi settori e in quello del risparmio gestito come banca globale; ci potrebbe rappresentare un fattore di marginalizzazione dell'intero sistema economico italiano. Per la maggior parte degli operatori bancari, la strada sar comunque quella della specializzazione operativa, offrendo servizi finali di eccellenza alla clientela retail e corporate. Ci, presumibilmente, moltiplicher gli accordi operativi con altri intermediari specializzati, per assicurare comunque la disponibilit di servizi integrati (Rainer Masera).81 Oggi, ogni banca si trova quindi a ripensare alle proprie strategie di sviluppo in un quadro estremamente fluido: privatizzazione della borsa, nascita dei fondi pensione, privatizzazione, crisi della spesa pubblica, arrivo di operatori stranieri, trasferimento su prodotti finanziari del risparmio delle famiglie. La catena del DNA si ricombina attraverso rotture e nuovi filamenti. Se in linea tendenziale, i processi di apertura dei mercati catalizzano i processi di integrazione e diffusione tra gli attori, favorendo economie di scala e la ricerca di massa critica per competere, le interviste permettono di individuare una serie di processi che incidono sull'elemento fondamentale per il sistema rappresentato dal radicamento territoriale.

81. Rainer Masera, Banche: la foresta pietrificata si svegliata, Il Tempo, 27 gennaio 1998. 162

Se si osservano i dati relativi ai processi di fusione e di incorporazione, si nota una tendenziale riduzione del numero degli attori. Dall'Ambroveneto alla Cariplo, dall'IMI al San Paolo, dalla BNL al Banco di Napoli, tutto un fiorire di fusioni al traguardo e in corso, in cantiere, ai primi passi. Ma, se si analizza in profondit questo processo di concentrazione, si pu osservare che ad essere incorporate o fuse sono principalmente le piccole banche locali.82 E spesso si tratta di banche che non si aggregano per necessit, ma per scelta strategica, per creare delle strutture bancarie pi efficienti e capaci di competere:

82. Una ricerca del Mip-Politecnico di Milano ha censito nel periodo 1985-1996, 359 operazioni di fusione, realizzate con varie soluzioni tecniche, di cui ben 143 nell'ultimo triennio. Nel medesimo orizzonte temporale, numerose (79) sono state le operazioni di acquisizione del controllo che, per, non hanno portato ad operazioni di incorporazione. Molte di queste sono state realizzate tra banche di credito ordinario e hanno comportato una variazione della morfologia e dell'assetto del sistema bancario domestico. La strategia di crescita esterna delle banche basata su questo tipo di soluzioni ha visto sostanzialmente primeggiare tra i soggetti pi attivi alcune categorie di operatori: a) da un punto di vista dimensionale, le banche medie, che hanno puntato in modo pi o meno deliberato ad aumentare la propria dimensione, ma soprattutto ad allargare la propria articolazione sul territorio; b) da un punto di vista istituzionale, le Banche Popolari, che hanno optato per soluzioni che consentissero loro di radicare ancor pi la propria attivit sul territorio di partenza; da un punto di vista territoriale, le banche di aree geografiche pi ricche (Nord Ovest e Nord est), che per scelte autonome o per scelte "guidate" hanno acquisito banche operanti su aree geografiche meno ricche (Centro e Sud) con l'obiettivo di differenziare le fonti della propria raccolta attivando canali in contesti ad alta propensione al risparmio. Una considerazione forte che emerge dall'analisi del fenomeno in termini di valore delle operazioni e non in termini di numero delle stesse che l'attivismo ha portato ad un incremento solo marginale e non significativo del livello di concentrazione complessivo del sistema, e, di certo, non paragonabile con quello verificato in altri sistemi bancari. Tutt'al pi, possibile affermare che l'attivismo di questi ultimi anni ha impattato in modo significativo sui mercati locali dove, soprattutto in alcune aree (Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Puglia), il sistema bancario si fortemente rafforzato. Cfr. Marco Giorgino, In banca non paga la via di mezzo. Il Sole 24 Ore, 21 febbraio 1998, pag. 27.

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Se andiamo a vedere la concentrazione delle Popolari in Veneto, notiamo che queste banche stanno producendo un'infrastruttura finanziaria del tutto nuova. Inoltre, la concentrazione delle Casse di Risparmio sull'arco del Nord, che va dalla Cassa di Risparmio di Torino a quella di Verona, a quelle della Marca Trevigiana, di Trieste, e cos via, costituisce un momenti di aggregazione estremamente importante ed innovativo. Stanno venendo fuori degli attori nuovi, pi grossi e pi efficienti. Se si va a vedere, il numero delle banche minori in circolazione continua a diminuire. E sono banche che non si fondono e non si aggregano per necessit, attenzione, ma per scelta strategica. Cio, non si tratta del discorso, per esempio, delle Casse di Risparmio del Centro Italia che cedono a forme di aggregazione perch dicono: "insieme riusciamo a mediare meglio le nostre inefficienze". Qui, invece, il discorso : "insieme riusciamo a fare qualche cosa che pi legato alla dimensione europea" (Carlo Mottura). Cos, ad esempio, la costituzione della holding bancaria Unicredito, ovvero l'alleanza tra le Casse di Risparmio di Torino, di Verona, di Trieste e della Marca Trevigiana, va interpretata come un tentativo di costruire un gruppo bancario radicato in tutte le regioni dell'Italia settentrionale in grado di competere: 83

83. Dopo due anni di questioni infinite e di trabocchetti tra Est ed Ovest, con l'alleanza tra le Casse di Risparmio di Torino, Verona, Trieste, Marca Trevigiana nato il gruppo bancario Unicredito che potr contare entro il 1998 su oltre 1.000 sportelli, 13 mila dipendenti e oltre 60 mila miliardi di raccolta diretta. Attualmente sono pi di 900 suddivisi tra Veneto (44%). Piemonte e Valle d'Aosta (40%), Lombardia (8%), Marche (5%) e altre regioni. Da notare che una delle prime iniziative messe in atto dal nuovo gruppo la partecipazione sostanziosa all'aumento di capitale (un primo aumento da 25 a 165 miliardiriservatoad Unicredito ed un secondo a 200 miliardiriservatoagli attuali azionisti con la possibilit per Unicredito di sottoscrivere le azioni inoptate) della Banca di Bergamo (nata nel 1995), una banca attraverso cui avviare la penetrazione del mercato lombardo e, quindi, unire i tronconi del Nordovest e del Nordest. La holding Unicredito, da semplice contenitore di partecipazioni si sta trasformando in centro effettivo di comando, in una struttura operativa, governata da due consiglieri delegati, Giuseppe Mazzarello (direttore generale a Verona) e Giorgio Giovando (direttore generale a Torino), di cui tutte le varie funzioni, con i rispettivi responsabili, sono state designate. Al centro del gruppo bancario c' la holding che governa e fornisce i servizi, alla periferia ci sono le aziende di credito che lavorano suirispettiviterritori, trasformando il localismo in un vantaggio competitivo. Quello di Unicredito un modello flessibile di aggregazione: le Fondazioni, infatti, conferiscono quote significative delle Casse controllate,ricevendoin cambio partecipazioni della holding, destinata ad essere quotata in Borsa. La formula conserva per il momento l'identit dei singoli istituti, ma consente alle Fondazioni di adempiere all'obbligo di dismissione. Attualmente Unicredito controllata al 43,85% dalla Fondazione Cassa di Verona e la stessa quota detenuta dalla Fondazione Crt. Presumibilmente gi entro il '98, la holding approder in Borsa attraverso una Opv. E' probabile che si costituir un nucleo stabile attorno alle quattro Fondazioni che oggi controllano interamente Unicredito, di cui dovrebbe fare parte le Generali che partner assicurativo dell'intero polo e detiene direttamente il 5% della Cassa di Trieste.

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L'accordo si prefigge di sviluppare un'alleanza fra banche per costituire un gruppo di pi ampie dimensioni. Non prevista alcuna operazione di fusione fra banche, ma solo l'accordo per la razionalizzazione di alcune aree di attivit. E' certo che le maggiori dimensioni del gruppo porteranno benefici alle banche partecipanti in tutti i settori in cui saranno necessari nuovi investimenti. Le varie realt bancarie partecipanti all'accordo offrono il vantaggio di una perfetta complementariet di copertura del territorio settentrionale, essendo le sovrapposizioni delle reti del tutto marginali (Patrizia Monzglio). Attraverso un processo di successive aggregazioni e concentrazioni, viene ridefinito il rapporto tra banche e territorio e a volte si annullano una serie di legami storici ed economici tra comunit locale e banca e viene meno quel rapporto diretto di conoscenza e di fiducia che ne aveva circoscritto e caratterizzato i rapporti: Nel giro di pochi anni, in provincia di Cuneo abbiamo perso quasi tutti i nostri centri di potere bancario locali. La pi grossa Cassa di Risparmio che era quella di Cuneo, una delle banche pi solide d'Italia, si fusa con la Banca del Monte della Lombardia di Milano e la Direzione Generale della nuova banca, la Banca Regionale Europea, stata spostata a Milano. Avevamo la Banca Cuneese, una banca privata locale, ma cinque anni fa si fusa con la Cassa di Risparmio di Verona e, quindi, diventata una filiale di quella Cassa, una grande banca, ma veronese. Abbiamo le quattro piccole Casse di Risparmio locali (Saluzzo, Savigliano, Mondov e Bra) che sono entrate nell'orbita della Cassa di Risparmio di Torino. In poche parole, qui siamo diventati una zona di grande raccolta di risparmio da impiegare altrove. Le banche vengono qui per raccogliere denaro da portare via. E dire che avevamo come banche locali quelle che davano pi garanzia, cio che erano controllate da delle Fondazioni. Nel giro di qualche anno non avremo pi una sola banca locale (Giovanni Ventura). Non a caso, quindi, il processo di concentrazione del sistema bancario pilotato dalla Banca d'Italia, dal Ministero del Tesoro e dal mercato viene vissuto in alcuni casi come una seria minaccia per l'autonomia ed il controllo locale di strutture bancarie con un forte radicamento territoriale come le Casse di Risparmio. 8 4 A tale proposito, ad esempio, Giovanni Pegoretti esprime le sue preoccupazioni:

84. Le Casse di Risparmio costituiscono una componente significativa del sistema bancario, sia sul versante quantitativo che qualitativo. A livello nazionale esse rappresentano circa un quarto dell'intero settore bancario italiano ed esprimono: 165

Il nostro sistema bancario ha bisogno di fare un salto di qualit notevole per adeguarsi al livello competitivo europeo e notoriamente il settore pubblico italiano non molto brillante negli sprint di questo tipo. Il sistema bancario ha necessit anche di ricapitalizzarsi, ma chiaro che i privati non sono disponibili a mettere i soldi nella banca pubblica o a controllo pubblico. Se, quindi, si vogliono rivitalizzare le banche inevitabile che il controllo passi nelle mani dei privati. Come fare? Ci sono due strategie che potrebbero anche essere convergenti. Da un lato, c' la strategia del Tesoro, che spinge per le privatizzazioni, anche se sa che nel mondo delle Casse di Risparmio si incontrano moltissime resistenze: c' ancora il vecchio personale politico, il collegamento col territorio, gli intrecci di vario tipo. Per questo il Tesoro si sempre mosso coi piedi di piombo, facendo due passi avanti e uno indietro. Dall'altro lato, c' la Banca d'Italia che, con la legge bancaria ha riposizionato notevolmente il proprio ruolo, che adesso volto soprattutto alla vigilanza, al controllo della efficienza del sistema. La Banca d'Italia, preoccupata della solidit del sistema spinge, invece, fortemente per le concentrazioni . Noi abbiamo, da un lato, il Tesoro che spinge per le privatizzazioni, anche se lentamente, dall'altro, la Banca d'Italia che spinge per le concentrazioni. Il problema che gli strumenti a disposizione della Banca d'Italia sono molto pi persuasivi ed efficaci degli strumenti a disposizione del Tesoro. Questo significa che le concentrazioni vanno avanti pi rapidamente delle privatizzazioni.

una quota di mercato degli impieghi pari al 21,3% del totale nazionale; una quota di mercato dei depositi pari al 24,5%; una quota di sportelli pari a 1 su 4; una quota di dipendenti pari al 23,6%. L'emanazione del Testo Univo delle leggi in materia bancaria e creditizia ha cancellato la specificit soggettuale delle Casse di Risparmio, ma al di l delle definizioni giuridiche, le Casse restano di fatto enti peculiari all'interno del settore creditizio in virt di una comune matrice storico-istituzionale che ha determinato il progressivo sviluppo di caratteristiche culturali, strutturali e gestionali distinte da quelle delle altre banche. Tra le principali peculiarit vi un profondo radicamento nel territorio di originario insediamento, dove le Casse svolgono tradizionalmente una preziosa funzione di sostegno e di valorizzazione del risparmio. Tale ruolo rimasto invariato nonostante le rilevanti trasformazioni di scenario che sono intervenute negli ultimi anni (dal provvedimento di liberalizzazione dell'apertura degli sportelli bancari, all'ampliamento dei mercati), e sia le casse di Risparmio grandi, che quelle di piccole dimensioni, hanno continuato a privilegiare l'insediamento di proprie filiali e agenzie nelle province di originario riferimento, o al pi (soprattutto gli istituti di maggiore dimensione) in ambito regionale. Un'ulteriore specificit della distribuzione territoriale delle Casse di Risparmio la diffusa presenza nei Comuni di minori dimensioni: ben il 55% degli sportelli bancari dei Comuni con meno di 1.000 abitanti presenta l'insegna delle Casse di Risparmio.

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Questo pu comportare problemi a due diversi livelli. Prendiamo il livello locale e vediamo cosa succede. In tutti gli ambiti locali, la prospettiva della privatizzazione viene vista con il timore che questo comporti la perdita del controllo locale sulla Cassa di Risparmio. E' chiaro che se la Banca d'Italia spinge per concentrazioni rapide, per affratellare tutte le piccole Casse di Risparmio e gli istituti bancari pi grandi e solidi, questo fa sfumare le possibilit che i singoli ambiti locali mantengano il controllo delle Casse, mentre se venisse data la precedenza al processo di privatizzazione, noi avremmo pochi casi perch ci vorrebbero parecchi quattrini e soprattutto ci vorrebbe una disponibilit dei privati, prevalentemente imprenditori, ad investire nelle banche che notoriamente non sono molto redditizie. Per, in alcuni casi sarebbe possibile che questo controllo privato mantenesse anche il controllo della banca nel territorio. A livello nazionale, invece, la situazione pi preoccupante, perch se noi facciamo le aggregazioni - cosa che nel Nord-Est sta andando avanti molto rapidamente - dal punto di vista locale si tratta di una vera e propria sciagura perch prima o poi anche queste aggregazioni andranno privatizzate. Pi grande sar l'oggetto da privatizzare e pi sar il rischio di perdere il controllo sul proprietario finale. Se l'obiettivo quello di mantenere il controllo locale sulla propria banca, chi la compra Cariverona? Si illudono se pensano che possa essere qualche industriale veneto a comprarla. Perch cercare di mantenere il controllo locale delle banche? La banca ha come funzioni da svolgere quelle di trasferire il risparmio verso gli investimenti, di frazionare il rischio per il risparmiatore valutando il rischio dell'investimento, e di selezionare le aziende da finanziare, facendo crescere le pi sane. E' chiaro quindi che una banca locale, svolgendo le proprie funzioni correttamente come una impresa che bada al proprio profitto, svolger un ruolo benefico all'interno dell'economia locale, perch avr gran parte del proprio attivo impegnato sul territorio locale. Il che significa che, anche ragionando da impresa, terr d'occhio le imprese locali. Questo il vantaggio fondamentale del mantenimento del controllo locale. La sfida quella di costruire un sistema bancario robusto e capace di essere competitivo a livello mondiale che riesca a coniugare ed integrare due componenti fondamentali: da una lato, la focalizzazione al territorio, al risparmiatore e alla piccola e media impresa del capitalismo molecolare italiano, e, dall'altro, i vantaggi della dimensione, delle economie di scala, del mettere in comune tutta una serie di strategie di sviluppo, tecnologiche, di servizio, di prodotto, e t c : E' difficile dire se il processo di concentrazione attualmente in atto riuscir ad apportare dei reali benefici al territorio. L'imperativo degli intermediari di avere dimensioni pi grandi perfettamente logico in rapporto alle accresciute dimensioni, anche qualitativi, delle imprese, del mercato e della struttura dell'offerta. Per, mi chiedo se in questo tipo di cambiamento che in atto si possano poi conservare

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quelle caratteristiche di focalizzazione del territorio. Cio, ad esempio, quando la Banca Popolare di Castelfranco Veneto viene incorporata da una Popolare pi grande, il suo territorio non viene probabilmente a perdere un profilo di servizio bancario localizzato e identificato? La concentrazione del sistema bancario italiano, per ragioni varie, di controllo politico, di passaggi di pacchetti di controllo, etc. partita dal basso. Cio hanno cominciato a scomparire le Casse e Popolari pi piccole che erano quelle che avevano un rapporto pi stretto con il territorio e sono nate delle aziende bancarie che non sono n carne n pesce. Infatti, se si mettono assieme tre banche da 5.000 miliardi di intermediazione per farne una da 15.000 cosa si ottiene? Una nuova azienda che ha molti problemi organizzativi e che, comunque, non ha le dimensioni critiche per governare nuovi prodotti, nuove tecnologie, etc. Si creata una struttura che da qui a dieci anni, probabilmente verr rifusa in qualcosa di pi grande. Purtroppo, queste trasformazioni traumatiche le abbiamo avute perch il sistema italiano sempre stato molto individualistico, legato alle individualit locali, cio alla banca di campanile. Mi ricordo che quelli della Popolare di Castelfranco Veneto dicevano: "Noi e quelli di Asolo Montebelluna - trenta chilometri di distanza - non ci parliamo. Perch noi siamo la citt di Giorgione e abbiamo un teatro, invece quelli di Asolo, quando vengono a teatro da noi, non sanno applaudire. Non sanno neanche congiungere le due mani". Questo significa che le operazioni di aggregazione delle strutture finanziarie per territori pi estesi non vengono in modo naturale, perch di fatto portano a creare delle banche che non si identificano con quei territori e che poi, per motivi organizzativi interni, diventano anche disattente. La scelta che stata fatta all'estero , invece, quella di rispettare l'individualit della focalizzazione della singola banca sul territorio, anche di minori dimensioni, creando delle strutture cooperative o collaborative, di alleanza, a stella, robuste, di livello superiore. In Italia, si pu dire che il modello Arca sia stato un modello di successo, ma l'unico che si verificato in Italia. Tra l'altro, non ha avuto la collaborazione delle grandi Banche Popolari. All'estero, questo modello l'hanno sistematizzato, per cui le 700 Casse di Risparmio tedesche sono in grado di distribuire un ottimo prodotto finanziario, nei fondi comuni d'investimento, nelle polizze assicurative, ma non certo la singola unit che capace di fare questo. Lo fa grazie al fatto di partecipare ad un consorzio estremamente robusto. Attenzione: tanto robusto da limitare l'individualit della singola banca nelle scelte strategiche, lasciandola libera in termini di relazione con il territorio. Si pensi, ad esempio, che le Casse di Risparmio tedesche, che sono organizzate a livello di singolo Lander, quindi molto piccole, hanno un sistema centralizzato di formazione, un sistema tecnologico centralizzato, prodotti sofisticati centralizzati, etc. Le banche italiane non sono mai riuscite a sviluppare questo, mentre cercano di ottenere lo stesso risultato modificando le dimensioni. Questo, per, le allontana dal territorio e dalla micro impresa, invece di avvicinarle (Paolo Mottura). Il processo in atto anche indicatore della scarsa attenzione che a volte viene complessivamente assegnata al tema della cooperazione. Ad

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esempio, un sistema come quello delle Banche Popolari che in anni passati aveva "per necessit" dato origine a societ di tipo consortile (si pensi, ad esempio, all'esperienza di Arca),85 oggi appare attraversato da una logica competitiva anche interna che rimette in discussione una serie di alleanze cooperative che erano state realizzate:

85. Le Banche Popolari sono circa una novantina e nel tempo hanno dato vita a degli enti centrali da esse controllati. Liattuale Associazione Nazionale sorta nel 1988 dalla fusione fra la "Associazione Nazionale Luigi Luzzati fra le Banche Popolari" e la "Associazione Tecnica delle Banche Popolari Italiane". Ha lo scopo di valorizzare e diffondere il Credito Popolare e di tutelare il prestigio e gli interessi delle Banche associate, prestando consulenze, favorendo iniziative di studio, promuovendo la costituzione di nuove banche Popolari e la migliore collaborazione tra le associate e tra le stesse e gli Istituti della categoria. L'Istituto Centrale delle Banche Popolari Italiane stato costituito nel 1939 su iniziativa di 6 Banche Popolari (di Cremona, di Intra, di Lecco, di Lodi, di Luino e Varese, di Verona) Nella sua compagine sociale annoverata, oltre ad alcuni organismi della categoria, la totalit delle Banche Popolari italiane. All'Istituto si sono affiancati negli ultimi 40 anni societ autorizzate all'esercizio del credito (Centrobanca, Italfondiario, Italease), societ operanti nel parabancario (Italease e Factorit), nella formazione e sviluppo delle risorse umane (Cefor), nell'intermediazione mobiliare (Centrosim) e nella gestione fiduciaria dei patrimoni e nel corporatefinance(Unione Fiduciaria). Recentemente, Centrobanca ha condotto un'Opa su Italfondiario (che stava attraversando un periodo di difficolt, seguito alla lunga crisi del settore immobiliare), arrivando a controllare il 51%. Inoltre, stato avviato il progetto per un approdo in Borsa di Centrobanca, i cui primi azionisti sono la Novara (30%), la Milano (15%), la Bergamo (8,9%), Anton Veneta (6,3%, ma oggi a capo di Interbanca), Verona (5,5%), Lodi (4,2%), Agricola Mantovana (3,2%), Emilia Romagna (2,2%). Gli azionisti stanno discutendo sull'opportunit di costituire un patto di sindacato per assicurare un nucleo stabile di controllo alla banca. Si discute anche di un possibile accorpamento in Centrobanca di Arca Merchant. Invece, Arca una societ fondata da 12 (oggi, sono 11) Banche Popolari del Nordest (Lombardia, Emilia Romagna e Veneto) - Cremona, Crema, Emilia Romagna, Bergamo, Verona, Antoniana Veneta, Agricola Mantovana, Commercio & Industria, Lodi, Vicentina, Sondrio - che lavora nel campo dell'intermediazione finanziaria attraverso lo sviluppo di fondi di investimento. Oggi, grazie ad accordi con altre 70-75 Banche Popolari i suoi prodotti vengono distribuiti su tutto il territorio nazionale attraverso circa 4.000 sportelli. La massa di gestione di circa 20.000 mld. suddivisa in 18 fondi di investimento. Si , quindi, allargato il network di vendita, ma non l'assetto proprietario che rimane appannaggio delle Banche Popolari fondatrici (cfr. Il successo dell'Arca va stretto alle Popolari, Mondo Economico, 17 marzo 1997, pp. 82-83). Arca sviluppa anche prodotti ad hoc per le banche proprietarie e, in particolare, per la Banca Popolare di Bergamo ha creato 4 prodotti specifici che sono venduti dalla BPB direttamente ai propri clienti: Quello che si vede che la competizione si accentuata. Tanti gruppi esteri sono venuti in Italia ad offrire i loro prodotti al punto che ormai sono abbastanza diffusi anche nella nostra rete distributiva. Le nostre banche affiliate vendono prodotti concorrenti perch vogliono offrire una gamma di prodotti superiore a quella che oggi ha Arca, seppure questa sia gi abbastanza ampia (Simone Bini Smaghi).

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Quando le Banche Popolari erano tutte relativamente piccole, sentivano la necessit di creare degli organismi comuni per affrontare ceri tipi di problemi che non potevano essere affrontati da ogni singola banca. Queste aggregazioni, questi organismi fecero fortuna e furono tanti: Centrobanca per il medio termine, visto e considerato che le banche non lo potevano fare, Italease per il leasing, Arca, nelle sue molteplici attivit, sia come merchant, sia come finanziaria, stata creata proprio perch le banche non potevano operare in questo senso. Ed erano tutte istituzioni che venivano create sia perch le banche avevano dimensioni limitate, sia perch non potevano svolgere queste operazioni, se non costituendo degli organismi specializzati, previsti dalla legge bancaria. Allora era necessario. Adesso siamo in una fase un po' diversa: le banche stanno avendo una struttura e una dimensione che vuole essere un po' pi europea, ecco la spiegazione di tutte queste aggregazioni di Banche Popolari. La Popolare di Bergamo-Credito Varesino ha creato, ad esempio, un gruppo creditizio che ormai conta dimensioni - forse dire europee troppo grosso - ma comunque di dimensione rilevante. Noi siamo fra le prime 15 banche in Italia, quindi siamo sicuramente un gruppo importante, in grado di operare in molteplici settori con proprie societ. Quindi, questi organismi, che prima erano necessari per consentire alle banche di operare a 360 gradi, ora hanno perso molta della loro importanza soprattutto per quelle banche che hanno raggiunto dimensioni tali da consentire loro di risolvere all'interno tutti i problemi citati. Quindi, c', a mio avviso, un processo di disgregazione. Non so se la mia diagnosi sia eccessivamente drastica. E' chiaro che nell'ambito della categoria si verificato questo fenomeno di aggregazione per cui le banche pi importanti hanno raggiunto una dimensione significativa, per restano le banche medio-piccole. Ci sono tutte le Popolari mediopiccole che hanno bisogno di questi tipi di istituzioni e, quindi, c' il dilemma di come risolvere il problema del medio-piccolo e del cercare di mantenere le aggregazioni a livello di categoria, nei confronti delle grandi che tendono a diventare autonome (Enzo Cattaneo). Questa crisi delle societ di tipo consortile delle Banche Popolari avviene proprio nel momento in cui una serie di problematiche - la formazione, l'ingegnerizzazione dei servizi, le tecnologie informatiche, la gestione dei servizi - potrebbero trovare nella forma consortile e cooperativa di collaborazione orizzontale la risposta adeguata alle necessit locali: Le coalizioni non funzionano, le banche italiane hanno costi troppo grandi perch sono piccole e perch hanno un personale che costa troppo, quindi se due banche si mettono d'accordo, i loro costi dopo l'accordo saranno uguali ai costi di prima. Se una banca ne compra un'altra, chiude un centro di calcolo, chiude una direzione generale, razionalizza una rete di sportelli, e il risultato una banca i cui costi sono il 30% di quelli di prima. E' cos che si diventa produttivi, il resto sono cose belle che si dicono nei convegni. Nessuno ha mai risparmiato sui costi di gestione facendo un'alleanza, ma solo con una integrazione, cio con A che compra

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B, B che compra A o che tutti e due si fondono. E' in questo modo che pu avviarsi un processo di ristrutturazione che fa scendere i costi. Anche le esperienze consortili delle Banche Popolari cosa sono state? Il problema che si deve vedere se una cosa molto innovativa in un mercato chiuso e protetto come quello italiano degli anni '80 rimane ancora innovativa e funzionante in un mercato in cui entra la Deutsche Bank, mi spiego? Stiamo parlando di cose che sono grandi dal punto di vista italiano, ma che sono dei pigmei dal punto di vista internazionale, allora rimangono giganti fino a quando le mura rimangono chiuse, ma quando posso investire in euro, ma deve spiegare perch devo andare da una banca italiana? Che vantaggio ho? Se devo investire in lire perch ho i redditi e i debiti in lire vado da una banca italiana che sia brava a gestirmi i debiti e gli asset in lire. Una volta che sono pagato in euro o ho la facolt di essere pagato in euro, una volta in cui i miei debiti sono in euro, allora vado dal pi bravo che c' dovunque esso sia. Non me ne importa niente se la sua base a Glasgow, perch se quello prende qualcuno che parla italiano con cui possibile stabilire le procedure non rischiose di scambio e di transazione a lunga distanza, lavoro con Glasgow. In particolare, l'acquisto di Interbanca da parte della Banca Antoniana Popolare Veneta di Padova ha evidenziato la crisi che attraversa il sistema consortile degli enti centrali di categoria delle Banche Popolari, proprio alla vigilia di un'operazione complessa: l'Opa di Centrobanca sull'Italfondiario che stata finanziata con un aumento di capitale. L'Anton Veneta esprimeva il Presidente dell'Associazione delle Banche Popolari, Aniceto Vittorio Ranieri, che era anche il suo Vicepresidente, e il Presidente dell'Italfondiario, una delle societ consortili pi importanti del sistema delle Banche Popolari. Per fare l'operazione Interbanca l'Anton Veneta andata in rotta di collisione con il sistema di categoria. La dirigenza della Banca ha portato comunque in porto l'operazione perch non riteneva che la soluzione consortile potesse essere ancora valida in un contesto di mercato diventato ormai fortemente competitivo, dove Anton Veneta, Popolare Vicentina e Popolare di Verona, ad esempio, si fanno una guerra dura per accaparrarsi nuove quote di clientela e di business: Gi prima di acquisire Interbanca, eravamo in grado di soddisfare le esigenze della clientela in tema di merchant banking o di finanziamento nel medio-lungo termine attraverso le societ specializzate partecipate di categoria, come Centrobanca, Italfondario o Arca Merchant, nelle quali fra l'altro, avevamo quote di una certa importanza. Ma, gi da tempo, vedevamo i limiti di questa organizzazione. Le operazioni dovevano necessariamente transitare per pi entit giuridicamente distinte con evidenti dispersioni in termini di tempi decisionali e costi per il cliente.

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Cierano anche difficolt di ordine diverso. Con Arca, ad esempio, scontavamo la debolezza della struttura patrimoniale (poco pi di 100 miliardi di capitale) che, nei casi in cui si proponevano operazioni superiori ai 5-10 miliardi, imponeva la necessit di divisione dell'operazione con altri oppure l'abbandono totale della stessa. D'altra parte, ogni sforzo di procedere ad una unificazione delle strutture, da noi propugnata, incontrava resistenze e tempi lunghi di realizzazione. Abbiamo pensato che non si poteva aspettare pi a lungo. Cos, in questo contesto, abbiamo avviato l'operazione Interbanca. Devo ammettere che l'aspetto dei servizi consortili fa parte dei costi che siamo costretti a pagare. Il nostro progressivo distacco dalle strutture di categoria, infatti, stato diretta conseguenza della scelta di autonomia. Ci dispiaciuto, ma non potevamo fare altrimenti. La soluzione consortile, in quest'epoca di globalizzazione e di accesa competizione, a nostro giudizio, non era perseguibile. Abbiamo, inoltre, forse con un pizzico di presunzione, pensato di poter tracciare in questo modo una linea di condotta su cui anche altri potranno presto confrontarsi (Silvano Pontello).

Da notare che se il sistema consortile degli enti centrali della categoria delle Banche Popolari sembra essere in crisi, in pieno sviluppo , invece, il Network Bancario Italiano (Nbi), l'organizzazione di servizio e collegamento strategico tra sette piccole Popolari che ha lo scopo precipuo di conseguire economie di scala negli investimenti in tecnologia e prodotti. A Nbi, presieduto da Adalberto Alberici (docente alla SdaBocconi e all'Universit di Genova), fanno capo la Popolare FriulAdria, la Popolare dell'Alto Adige, la Banca di Piacenza, la Popolare di Puglia e Basilicata, la Popolare Pugliese, la Banca del Popolo di Trapani e la Banca Agricola di Siracusa, da otto anni, Nbi (che ha sede a Milano) fornisce alle associate consulenza strategica e gestionale - con ottica mirata e sinergica - nelle varie aree critiche, dalla finanza all'informatica, dalla formazione aWasset management. Nbi ha recentemente impostato il piano di adeguamento per l'euro in chiave di analisi delle "eurocriticit degli equilibri patrimoniali ed economici delle banche associate. In cantiere vi sono anche progetti-pilota per Yasset management, lo sviluppo di una banca virtuale di gruppo e la sfera dei servizi evoluti alle imprese, in una logica di Hausbank. Nbi sta anche individuando il partner bancassicurativo. Come abbiamo visto, l'altro aspetto fondante nel rapporto col territorio si definisce nel supporto al sistema imprenditoriale e al tessuto delle piccole e medie imprese che le banche, nel loro essere soggetto locale, avevano nella maggior parte dei casi garantito e incentivato. In di172

verse interviste si sostiene la necessit e l'opportunit di favorire un processo di modernizzazione dei rapporti tra banca ed impresa. Si va dall'offerta di servizi bancari e finanziari a supporto dell'export, alla creazione di strumenti, metodologie, tecnologie in grado di affrontare quella serie di problematiche che affliggono il sistema delle imprese: sottocapitalizzazione, passaggio generazionale, redazione, valutazione, finanziamento di progetti industriali, partecipazione della banca al capitale di rischio. Questi strumenti di accompagnamento dell'impresa nei suoi processi produttivi sono principalmente indirizzati al tessuto delle medie imprese italiane. Rimane in questo modo del tutto scoperto il sistema delle piccole e microimprese. C' chi sottolinea come uno dei problemi principali sia soprattutto legato alla non trasparenza dei conti delle piccole aziende, all'evasione fiscale e contributiva. Le banche, non potendo far conto sul fatto che i flussi finanziari rimangano nelle disponibilit dell'impresa, sono costrette a cercare garanzie solide che poi coprono ben poco, specialmente se anche la tutela giudiziaria del creditore lasca e lenta. E devono mettere nel conto, quando valutano l'affidabilit, non solo il rischio di credito normale, ma anche quello aggiuntivo che grava sull'impresa per le irregolarit fiscali. Peggio ancora la situazione dei fornitori di capitali di rischio che non siano anche gestori: non hanno alcuna certezza che i redditi prodotti non vengano sottratti a favore esclusivo di chi ha il controllo dell'impresa. Con questi vincoli la piccola impresa pu contare solo sull'autofinanziamento. Vi chi sostiene che, in funzione dei legami di subfornitura che legano la media impresa al suo intorno produttivo e territoriale, l'azione va principalmente concentrata sulla modernizzazione degli strumenti di credito a favore della media impresa, ci produrr un effetto a cascata sull'indotto. Altri osservatori, invece, ritengono che mentre la grande e media imprenditoria riesce a trovare il credito con relativa facilit e a costi contenuti, l'imprenditoria minore ha troppo spesso difficolt a trovare ascolto e credito, se non a tassi elevati, da parte delle banche, pur essendo questa realt minore diffusa che costituisce la spina dorsale dell'economia produttiva: Secondo me le banche italiane hanno come loro segmento principale la piccola impresa per il semplice fatto che la piccola impresa molto brava a fare le scarpe o i 173

chiodi ma molto scadente in tutto quello che fa finanza Ci sono poi delle storture del sistema fiscale che fanno s che queste piccole imprese sono molto pronte ad indebitarsi. Allora, le banche italiane hanno fatto soldi per tantissimi anni sulle piccole imprese facendosi pagare degli spread francamente estremamente elevati. Poi, se uno parla con un banchiere, questo dir sempre che il suo target la media impresa, ma non bisogna credergli. Non vero! Lui i soldi li fa sulla bottega artigiana. Perch? Perch la media impresa ha cinquanta banche e quando la media impresa ha bisogno di un miliardo piglia il telefono, fa cinquanta telefonate e prende il miliardo che paga meno. Invece, il fabbricante di tomaie molto pi probabile che vada alla banca che ha dietro l'angolo, o al massimo da altre due banche nel paese. Il banchiere li fa l i soldi, poi quando viene intervistato si lucida la medaglietta e dice: "...le medie imprese, ho giocato in borsa, operazioni finanziarie...". Tutte balle! Quello il mercato concorrenziale su cui le banche italiane non sono capaci di guadagnare.

In queste condizioni, le piccole imprese e gli artigiani non stanno ottenendo dalle banche un tipo di trattamento commisurato al rapporto di fidelizzazione da essi intrattenuto:86

86. Una ricerca dell'Eurisko, commissionata nel 1996 da Artigiancassa e presentata in occasione dell'assemblea di Fedart, la Federazione dei consorzi e delle cooperative artigiane di garanzia che nel 1996 hanno garantito oltre 4 mila miliardi di affidamenti, segnala che il rapporto diaffari tra artigiani e banche sia quasi casuale, sebbene poggi sulle solide basi di 55 mila miliardi di crediti erogati ogni anno (l'83% concentrato nel Centro-Nord; il 10% soltanto in regime di convenzione; il 67% del totale dei finanziamenti rappresentato da crediti a breve). Ad esempio, l'artigiano sceglie la banca di cui servirsi utilizzando come primo criterio la vicinanza, che pesa il doppio, quasi il triplo, delle condizioni economiche praticate e dell'efficienza. Ma, gli istituti di credito non sono da meno, se vero che solo il 17% degli artigiani aveva ricevuto nell'ultimo anno delle proposte di nuovi servizi dalla proprio banca, e per giunta relative quasi sempre a prodotti assicurativi e di investimento. Il 61% degli artigiani usa una banca sola e solo nel 31% dei casi va a cercare la banca pi specializzata per la singola operazione. Il ricorso elevato solo in relazione al conto corrente (il 94%), mentre per gli altri servizi bancari scende al 50% (i fidi), al 37% (i bonifici), al 26% (lo sconto di effetti). Meno di un'azienda artigiana su dieci utilizza servizi di finanziamento a medio-lungo termine, leasing, rilascio fideiussioni, operazioni con l'estero. Al mondo bancario, gli artigiani chiedono soprattutto tassi d'interesse pi bassi e poi la valutazione dell'azienda non solo sulla base dei criteri contabili, ma anche delle sue potenzialit. La banca non "entra" nell'azienda, si lamentano, non fa mai domande sull'andamento dell'attivit. Il 69% degli istituti di credito considera le imprese artigiane meno rischiose di altre e il 42% dei direttori attribuisce loro un'importanza medio-alta. L'artigiano non un cliente difficile perch secondo il 63% dei direttori di banca si limita a presentare il problema, lasciando la soluzione interamente nelle mani della banca stessa. Malgrado ci, il trattamento non affatto preferenziale: il 52% degli intervistati ha, infatti, dichiarato di

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Venendo da un territorio come quello di Como che ha un'impresa ogni 10 abitanti ed essendo un uomo che viene dall'artigianato, penso al tipo di rapporto di fedelt che si crea tra il piccolo imprenditore e la sua banca, ad esempio, tra l'artigiano e la Cassa Rurale o la Banca Popolare locale, e mi domando: questa fedelt ripagata fino in fondo? Questo perch l'esperienza che stiamo facendo con l'Artigiancassa per il consolidamento del debito a breve, medio e lungo termine, per passarlo dai 18 ai 36 o 60 mesi, ci sta dimostrando che l'ultimo estratto conto che ci presentano per avere il consolidamento non basato sul prime rate che era stato convenzionato, ma su tassi che sono ancora del 14%. Allora, bisogna concludere che molto spesso questo rapporto di fedelt che si crea tra il piccolo imprenditore e la banca non ripagato. Attenzione, perch su questo ci pu essere la reazione non solo della protesta, ma si pu addirittura innescare il rancore. Accanto a questo, siccome con il sistema delle Camere di Commercio stiamo elaborando, oltre al consolidamento del debito, anche il problema del finanziamento per formare e far nascere nuova impresa, mi chiedo chi preparato ad affrontare il business pian della nuova impresa? Chi lo struttura? Chi lo esamina in rapporto allo sviluppo di quelle nicchie di imprenditoria innovativa che nessuno conosce? (Marco Citterio). Per valorizzare il tessuto delle piccole e piccolissime imprese del capitalismo molecolare le banche dovrebbero ideare degli strumenti di accompagnamento ad hoc: Il sistema bancario per poter cogliere, sotto il profilo del finanziamento, sia diretto che attraverso l'accesso al mercato, la realt delle piccole e piccolissime imprese ha ancora da fare. Qui, si tratta di valutare come fare, perch reputo che diverse banche locali capiscano molto bene questa problematica; per tra il capire e il trovare delle soluzioni, c' una certa differenza. Quindi, il problema vero di fare anche un'osmosi di conoscenza tra il mondo delle piccole e piccolissime imprese e il mondo delle banche, specie quelle locali. C' un problema di reciproca conoscenza, non solo la banca verso la piccola e piccolissima impresa, ma anche queste ultime verso la banca. Una volta, il piccolissimo andava in banca, chiedeva un

non poter accogliere interamente lerichiestedei propri clienti artigiani, quasi sempre a causa della mancanza di garanzie adeguate. Un supporto importante viene, per, dai Confidi. Il 73% delle strutture censite associa mille o pi imprese e nel 90% dei casi stato possibile evadere 1'80-90% delle domande ricevute per la quasi totalit dell'importo richiesto. Il 52% dei finanziamenti concessi alle imprese associate riguarda il breve termine e il 43% il medio-lungo. Tra ifinanziamentiagevolati che rappresentano un quarto del totale, le fonti pi utilizzate sono l'Artigiancassa (44%), la Regione (26%), l'Unione europea (8%), la Provincia (8%), la Camera di Commercio (7%).

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fido, impegnava la casa. Se andava male, partiva anche la casa! Il piccolissimo ha superato adesso questa tipologia di approccio con la banca? La risposta potrebbe essere: "No, perch la banca non ha cambiato la sua mentalit". Allora, c' un problema di avvicinamento reciproco. Che significa anche dare la forma, in taluni casi, di societ di capitali ad aggregazioni di imprese che sono basate su individualit molto piccole. Qui, un campo di innovazione finanziaria, per aiutata dal sistema creditizio. Penso che una domanda conseguente potrebbe essere: in che misura il reclutamento del personale bancario, che ha seguito certi standard nel passato, ancora il metodo corretto? Non sarebbe opportuno che dentro la banca ci fosse anche gente con esperienze d'impresa? La banca impresa, impresa bancaria, ma anche impresa reale, del comparto produttivo. Forse sarebbe utile, il passaggio di competenze dal settore industriale al settore bancario. In Italia taluni casi di questo tipo ci sono stati. Questo, potrebbe essere interessante, perch anche la capacit di percepire le tipologie produttive che consente poi al banchiere di sostenere determinate iniziative. In Italia c' stata una separazione tra chi andava in banca e chi faceva impresa. Chi andava in banca doveva avere una prevalente preparazione giuridicofinanziaria. Chi faceva impresa doveva avere una preparazione di tipo economicoimprenditoriale (Alberto Quadrio Curzio). I rapporti tra banca e territorio interessano necessariamente anche altri attori locali e vanno a incidere sui livelli relazionali delle societ locali. Questi riguardano soprattutto i rapporti tra banca, rappresentanze degli interessi, autonomie locali e autonomie funzionali. In particolare, uno dei nodi cruciali del rapporto tra banca e rappresentanze degli interessi delle imprese senz'altro quello delle garanzie finanziarie per le imprese. Per cercare di favorire un miglioramento del rapporto tra banca e impresa, ad esempio, l'Unindustria Treviso attualmente impegnata in un progetto per il Consorzio Fidi che vede l'associazione parte attiva attraverso l'assegnazione ad ogni impresa di un rating che consente di avere condizioni di credito differenziate. Nicola Tognana illustra il significato dell'iniziativa: Uno dei punti nevralgici avere un sistema finanziario che sia veramente di supporto ad un territorio come il nostro, fortemente orientato agli investimenti e all'export. E' un valore aggiunto che ci serve alla stessa stregua di una dotazione infrastnitturale e alla stessa stregua di un sistema di orientamento e formativo diverso dall'attuale. Proprio sul rapporto banche-imprese, Unindustria Treviso ha recentemente lanciato una nuova proposta: attraverso il nostro Confidi andremo a creare diverse categorie, assegnando un rating a ciascuna impresa, in modo da avere condizioni di accesso al credito differenziate rispetto al livello qualitativo di ogni singola azienda.

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Finora il limite dei Confidi era invece proprio quello di una mancanza di differenziazione nel trattamento alle imprese nel finanziamento: stesso tasso sul conto corrente, sulla prestazione del "salvo a buon fine", circa gli stessi affidamenti. Il risultato era che le aziende pi valide trascuravano il Confidi perch riuscivano ad ottenere condizioni migliori, che altre lo utilizzassero solo parzialmente, mentre restavano solo le imprese pi deboli. E di questo dato teneva conto il sistema bancario nello stabilire le condizioni. Per superare tale situazione, l'idea stata di dividere le imprese in tre categorie, al fine di dare migliori condizioni possibili a ciascuna posizione. Pensiamo che questo sia anche uno stimolo per le imprese per arrivare nella categoria superiore, oltre che un incentivo all'associazionismo all'interno del Consorzio fidi, visto che, come detto, finora molte aziende non hanno ritenuto conveniente utilizzare questo strumento posto che riuscivano da sole ad ottenere sul mercato migliori condizioni. Il rating sar dato una somma di parametri che misurano e valutano il livello di affidabilit quali-quantitativa di una singola impresa.

D'altra parte, c' chi sottolinea l'importanza che ha avuto per lo sviluppo di un'area come il Nord-Est la il collegamento tra sistema bancario locale e i Confidi artigiani:87

87.1 Confidi sono uno strumento importante sia per la garanzia dei crediti, sia per il sistema bancario, sia per le aziende che riescono in tal modo anche ad abbassare il costo medio degli approvvigionamenti di risorse finanziarie. Le insolvenze sono estremamente basse, nell'ordine circa dell' 1% al Nord e del 2% nel Mezzogiorno, con una media effettiva dell'1,2%. Nel 1996 le garanzie della Federconfidi, organizzazione che conta 95 consorzi di garanzia collettiva dei fidi (89 provinciali e 6 regionali) ai quali aderiscono circa 34 mila imprese industriali di piccola e media dimensione, hanno assicurato uno stock di credito pari a 30 mila miliardi. Di questi 5.500 erano in corso alla fine dell'anno precedente, mentre 1.600 rappresentavano mutui ad oltre 2 anni. Perfomances rese possibili da 400 miliardi di garanzie reali ai quali si aggiungono pi di 350 miliardi di fideiussioni. Per quanto riguarda gli artigiani, nel '96, i consorzi di garanzia artigiana della Fedart fidi, hanno coperto 4.134 miliardi di finanziamenti, di cui oltre 2.850 nelle regioni settentrionali. La Fedart fidi, stata creata nel 1993 da Confartigianato e Cna, con l'adesione delle due altre organizzazioni'di categoria, Casa e Claai. La federazione raccoglie 319 confidi, fra consorzi veri e propri e cooperative artigiane di garanzia, con circa mezzo milione di imprese associate. A rivolgersi ai confidi, sono soprattutto gli artigiani settentrionali e, in particolare, quelli veneti, che nel 1996 hanno ottenuto finanziamenti garantiti per 1.109 miliardi, quasi un terzo del totale nazionale. Dietro di loro, i lombardi con 531 miliardi di crediti e gli emiliani con 456 miliardi. Nel complesso il Nord assorbe pi di tre quarti dei finanziamenti che passano dai confidi artigiani, lasciando al Centro soltanto una quota del 18,7% e al Sud le briciole: il 4,9%. Il 60% dei crediti ottenuti nel 1996 stato a medio o lungo termine con un tasso di interesse medio del 9,6%, mentre per il breve termine il costo del denaro stato del 9,8%. Condizioni di credito molto allettanti, se si pensa che si riferiscono a tassi convenzionati, cio applicati in base all'accordo tra banche e confidi.

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Pensando al Nord-Est, un'area da cui provengo - sono, infatti, trevigiano e ho lavorato alla Banca Cattolica del Veneto, dirigendo dall'80 proprio la provincia di Treviso (ho, quindi, vissuto proprio gli anni ruggenti della crescita economica del territorio) - qui la ricchezza e la forza delle banche si affermata in simbiosi con la crescita di ricchezza e di forza dell'economia territoriale, attraverso i prestiti all'artigianato, gli interventi dei consorzi di garanzia, etc. Sono state fatte delle scelte strategicamente importantissime, che hanno consentito l'accesso al credito a tanti piccoli e piccolissimi imprenditori, quasi sempre attraverso i consorzi. Questa stata la molla vincente, oltre, naturalmente, ai fenomeni Benetton, De Longhi, etc. E' in questa funzione di supporto alla crescita imprenditoriale di un territorio che nasce la validit della banca locale, la quale deve essere sempre pronta a capire ad a seguire quelle che sono le esigenze del territorio (Renzo Canal). L'Unione Industriale di Prato cerca di promuovere un miglioramento del rapporto tra banca ed impresa rifacendosi ad un'esperienza del governo francese. L'iniziativa parte dal presupposto che l'imprenditore adeguatamente preparato rappresenta un rischio minore per il sistema bancario. A tale riguardo, in Francia stato attuato un sistema attraverso il quale le imprese e gli imprenditori che hanno seguito appositi corsi di formazione organizzati dalle banche godono di trattamenti bancari privilegiati. L'obiettivo, quindi, del progetto degli industriali pratesi finalizzato ad incentivare la nascita di una nuova cultura d'impresa pi rispondente alle esigenze di una cooperazione trasparente e proficua con il sistema bancario: Come Unione Industriale siamo stati fra gli attori principali del Forum che la Comunit Europea ha promosso nel 1996 a Dublino sul tema dei servizi alle imprese. A questo Forum acquisimmo una notizia che ci piaciuta e sulla quale stiamo lavorando: c' un'esperienza del governo francese per le piccole e medie imprese che parte da un presupposto importante, cio che l'imprenditore preparato costituisce un rischio minore per il sistema bancario. In Francia stato adottato un sistema attraverso il quale le imprese i cui manager abbiano seguito certi percorsi formativi, offrendo garanzia di minori rischi, godono di trattamenti bancari privilegiati, con tassi pi bassi e condizioni pi favorevoli. Questo progetto finalizzato proprio ad incentivare una cultura d'impresa diversa, anche nel rapporto con il sistema bancario. Per quanto ci riguarda abbiamo gi trovato un paio di istituti di credito che ci stanno seguendo su questo argomento. Se, all'interno delle imprese, viene favorito o incentivato un processo di formazione culturale dell'imprenditore, vecchio o giovane che sia, ma anche di acquisire un trattamento bancario privilegiato, questo costituirebbe un grosso passo avanti. A questo progetto ci stiamo dedicando con interesse, perch credo che dall'esperienza francese potrebbe scaturire un'esperienza da ripercorrere anche a livello nazionale (Fabrizio Fabrini).

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E' proprio sulla capacit di fare rete con alcuni attori del territorio locale - le associazioni della rappresentanza degli interessi delle imprese, i Confidi artigiani, le Camere di Commercio, le societ di leasing e di factoring, etc. - che una banca che non ha filiali, se non degli uffici regionali, come l'Artigiancassa88 riesce a svolgere un ruolo importante ed efficace:
Riguardo al problema del consolidamento del debito degli artigiani, noi lo abbiamo affrontato stando a Roma, per abbiamo stabilito un contatto con le Camere di Commercio e con le associazioni e con i Confidi. Credo che ci sia tutta una rete da utilizzare per poter conoscere i problemi del territorio e che occorra trasformare questa rete in un sistema. Non ci devono essere delle reti che fra loro si contrappongono o che si fanno concorrenza su temi che poi troppo spesso sono pi che altro di immagine. Occorre, invece, creare un sistema complementare tra quella che sono le funzioni delle Camere di Commercio, piuttosto che delle Regioni, piuttosto che dei Confidi che danno garanzia e ottimizzare questo sistema per poter arrivare poi a dare veramente soddisfazione alle esigenze del territorio. Chi meglio di una associazione locale degli industriali o degli artigiani conosce gli imprenditori di un territorio, le loro esigenze e le loro capacit. Noi, come banchieri, possiamo dare una valutazione legata all'aspetto del possibile rischio, ma questo non sempre sufficiente. Occorre allora utilizzare veramente queste conoscenze creare sistema (Tito Musso).

88. L'Artigiancassa (Cassa per il Credito alle Imprese Artigiane) , insieme al Credito Artigiano (Gruppo bancario Popolare di Sondrio), l'unica banca italiana specializzata nel finanziamento delle imprese artigiane cos come vengono definite dalla Legge 443/85. Il modello operativo della banca atipico, infatti, non ha rapporti diretti con la clientela finale, cio con le imprese artigiane. L'Artigiancassa interviene per il tramite delle banche e degli intermediari presenti nei territori locali e che concedono i finanziamenti alle imprese artigiane assumendone il rischio. Gli interventi della banca si sostanziano nella concessione, per tramite degli sportelli locali delle banche e di altri intermediari (societ di leasing e factoring, consorzi fidi, etc.) di finanziamenti a tassi agevolati e convenzionati (attualmente, per, questo credito agevolato ha un peso ridottissimo - 5.700 miliardi annui - a fronte della mole di credito ordinario). L'Artigiancassa stata istituita alla fine degli anni '40 come ente pubblico creditizio e le sue funzioni vennero ridefinite dalla Legge 949/52 che ne fece un'agenzia per la gestione delle agevolazioni finanziarie al comparto artigiano. La Legge 489/93 ha disposto la sua trasformazione da ente pubblico creditizio in SpA (1 agosto 1994) e la sua successiva privatizzazione. Attualmente, il capitale sociale detenuto per oltre il 97% dalla BNL, per il 2,5% dalle confederazioni artigiane e per il resto da altre quattro banche.

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La pubblica amministrazione e gli enti locali molto spesso vengono percepiti principalmente solo come clienti e sotto questo aspetto buona parte delle iniziative prodotte dalle banche, dalle sponsorizzazioni, ai contributi, alle manifestazioni, hanno come fine ultimo quello della promozione dei classici servizi di tesoreria.89 Si invece aperto un mercato rispetto a quella serie di problemi che attengono al project financing degli enti locali per la realizzazione di opere strutturali in raccordo con le autonomie funzionali:

89. A tale proposito, occorre ricordare che: L'Italia l'unico paese ad economia avanzata ad avere il sistema della concessione per la riscossione dei tributi basalo sulle banche. In tutti gli altri Paesi europei la riscossione viene svolta direttamente dallo Stato (Gherardo Chir). Oggi, in Italia esistono 62 aziende, per lo pi emanazione delle banche, circa una per provincia, a cui spetta, per conto dello Stato e degli altri enti impositori ricevere i versamenti volontari dei contribuenti e andare a cercare gli inadempienti per mettere in atto le procedure esecutive. Per svolgere queste funzioni, in passato (fino al 1990) affidate agli esattori (tra cui i famosi cugini Salvo di Salemi in Sicilia), le concessionarie ricevono ovviamente dei compensi. Dal racconto del direttore generale dell'Ascotributi, Gherardo Chir, emergono alcuni punti. Innanzitutto, attualmente il sistema della riscossione del tutto inefficiente e porta le aziende concessionarie ad accumulare delle grandi perdite finanziarie, soprattutto al Sud. Esiste un rapporto dell'Ascotributi sul 1995 che stato presentato al Ministro Visco il 25 marzo 1997 (Migliorare l'efficacia e l'economicit del servizio della riscossione, uno studio affidato alla McKinsey). L'associazione ritiene che vi sono dei tassi dierrore di circa il 25-30% nei ruoli (una volta su quattro) e per questo il fisco incassa soltanto il 38%. L'amministrazione finanziaria, nella trasmissione da un ufficio all'altro dei dati sui versamenti dei contribuenti, sbaglia una volta su tre. Le dichiarazioni dei redditi, che sono ancora, nell'era telematica, all'85% su carta, impiegano dai due ai tre anni a transitare su un supporto informatico e presentano, oltre tutto, una notevole quantit di errori formali che vengono per corretti solo alla fine del complesso iter. Nessuna sorpresa, dunque, se alla fine, quando lo Stato chiede il conto ai contribuenti, attraverso l'emissione dei ruoli, la riscossione segni un deludente 38% di efficacia: nel '95 sul totale di 76 milioni di ruoli (per un importo di 35.700 miliardi di lire) il 10% stato "sgravato" cio annullato dall'ufficio che - da solo o su segnalazione del contribuente - si accorto di aver sbagliato; il 52% andato ad alimentare il contenzioso (e il 12% di questo era relativo a falliti). Secondo l'Ascotributi gli aspetti critici del sistema di riscossione sono presenti in ciascuna delle 4 principali fasi, ma le pi inefficienti sono le prime due: 1. la dichiarazione che costa all'Erario circa 200 miliardi all'anno; 2. il versamento che costa all'Erario circa 1.000 miliardi all'anno;

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La Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza diventata una banca di livello nazionale dopo le operazioni strategiche (19 posto fra tutte le banche), ma fortunatamente ancorata al territorio di origine (Parma e Piacenza). Noi ci proponiamo come partner finanziario di tutte le iniziative pi importanti in campo economico, non solo quindi per finanziare, ma anche per svolgere un servizio di project financing sia per gli enti pubblici che per i privati. Il ruolo delle banche, nostro in modo particolare, deve essere questo: mettere a disposizione le loro competenze specifiche

3. la liquidazione che costa all'Erario circa 400 miliardi all'anno e risulta inefficace rispetto alle sue funzioni istituzionali di controllo. I centri servizio, oberati dai controlli formali sulle dichiarazioni per l'inefficacia dei controlli nelle fasi precedenti, riescono solo ad effettuare il controllo formale completo solamente sul 5% delle dichiarazioni selezionate sulla base dei parametri stabiliti dal ministero. Inoltre, nel caso di Iva, Registro ed imposte doganali, solo il 3% dei ruoli viene emesso a distanza di due anni, mentre circa il 50% fa riferimento a tributi di sei anni prima. Un sistema che rischia il collasso perch ci vogliono 18/24 mesi per controllare un anno di dichiarazioni. Ecco, quindi, i presupposti della scarsa efficacia della quarta e ultima fase; 4. la riscossione vera e propria: ai problemi gi elencati va aggiunto il ritardo nell'emissione dei ruoli, l'incidenza dei ruoli successivamente sgravati, i limitati poteri coercitivi a disposizione dei concessionari che riducono il potere deterrente delle procedure esecutive. Secondo l'Ascotributi la struttura e i livelli dei compensi del sistema della riscossione coattiva risultano assolutamente non allineati ai costi (540 miliardi di lire di ricavi a fronte di 1.840 miliardi di costi) ripianati solo in parte dai margini di profitto derivante dai versamenti diretti (530 miliardi) e dal compenso lettera D (540 miliardi). Le perdite nel corso del '95 sono state accertate dallo studio affidato alla McKinsey: perdite che arrivano soprattutto dagli ambiti del Sud e che hanno risentito principalmente del pesante risultato della riscossione coattiva (-1.065 miliardi) e della riscossione per ruolo in sede spontanea (-235 miliardi), parzialmente compensate fai margini positivi relativi ai versamenti diretti (+530 miliardi) e dai compensi per abitante (+540 miliardi). In queste condizioni, l'Ascotributi rifiuta l'affidamento in gestione, sia pure attraverso passaggi graduali, della sola riscossione coattiva e propone un rapporto nuovo di operativit con le banche. Occorre definire la reciproca attivit dei concessionari e delle banche nell'ambito della riscossione spontanea, valorizzando il compito per le banche e quello di rendicontazione e di controllo per i concessionari. Infine, altro fronte apertissimo, poi quello del federalismo fiscale e degli esiti che avr per il sistema dei concessionari (c' il rischio che i Comuni cerchino di riscuotere direttamente i contributi volontari). I concessionari si dichiarano pronti a fornire un'offerta di "servizi integrativi" agli enti locali e invocano un allargamento dell'utilizzo del conto fiscale. L'offerta di Ascotributi ai Comuni di svolgere "servizi integrativi alla riscossione e ausiliari alla soluzione di alcuni problemi gestionali tributari", a cominciare dall'attivit di liquidazione dell'Ici relativa al '94.

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per organizzare il finanziamento di grandi iniziative, favorendone cos il decollo. Un tempo la banca metteva a disposizione solo finanziamenti e qualche volta partecipava al capitale di societ miste, oggi il compito pi complesso e comprende anche la consulenza per organizzare la finanza e far decollare il progetto. In sintesi si sta passando dal finanziare il cliente al finanziare il progetto. La Cassa si sta muovendo in questa ottica, anche perch siamo convinti che nella misura in cui promuoviamo lo sviluppo del territorio ne trae beneficio la banca stessa che del territorio l'espressione con le sue ampie quote di mercato (Adriano Dotti). Si delinea cos uno spazio strategico che la banca pu percorrere insieme agli enti locali e alle autonomie funzionali dei territori di riferimento: Se analizzato nella logica del triangolo banca-territorio-impresa, l'investimento della banca pu avere un significato solo se non si pone come unico obiettivo il suo problema di rapporto diretto con la singola impresa, ma anche quello di rendere efficiente il sistema delle imprese nel suo complesso attraverso degli investimenti sul territorio. Credo, ad esempio, che in provincia di Como l'impresa trovi difficolt ad operare perch sul territorio non c' una infrastrutturazione adeguata ai tempi. In queste condizioni, utopistico pensare che le banche possano investire, insieme alle autonomie locali e a quelle funzionali, nell'infrastrutturazione del territorio per il sistema delle imprese? Ad esempio, utopistico pensare che un pool di banche possa investire in provincia di Como nella realizzazione della dogana di Ponte Chiasso oppure, in un ambito territoriale pi ampio, nella risoluzione del problema dei collegamenti di Malpensa 2000? Le banche potrebbero realizzare l'autostrada di collegamento pedemontano, visto che il sistema statale, l'Anas o chi per esso non hanno i soldi per realizzare il collegamento del territorio che va da Brescia a questo aeroporto in cui operano 700.000 imprese. Avere una infrastruttura che collega il territorio con l'aeroporto commerciale del Sud Europa forse pi efficiente che fare investimenti per la singola impresa. Per questo gli investimenti bancari devono essere inseriti nella logica del triangolo banca-territorio-impresa (Marco Citterio). Se vero che nell'epoca della globalizzazione conta il punto di partenza, il locale, perch pi si radicati territorialmente pi ci sono possibilit di stare nell'arena mondiale, le banche locali e regionali, in quanto istituti specializzati, riescono a cogliere meglio gli aspetti differenziati della realt locale e in questo senso agiscono per la costruzione di un ambiente sociale, arricchiscono l'ambiente umano di relazioni e significati. All'interno di questo quadro prende forma l'imprenditore sociale,90 cio di un soggetto che assume una visione di medio-lungo 90. Cfr. Caloia Angelo, L'imprenditore sociale, a cura di Luca De Biase, Piemme, Casale Monferrato, 1995. 182

periodo e lavora per la costruzione di consenso attraverso una serie di azioni di accompagnamento dell'economia locale, della realt, degli individui: Una certa interpretazione vuol che qui, nel Nord Italia, si sia verificata una sorta di divisione del lavoro tra Giordano Dell'Amore e Raffaele Mattioli, tra Casse di Risparmio e banche cosiddette laiche. Per cui a Dell'Amore pare che sia stato detto: "Voi Casse di Risparmio occupatevi delle famiglie, della piccola e media impresa, dell'agricoltura, dell'edilizia, della casa e noi, banche commerciali (Comit. Credit, Mediobanca, etc), ci occupiamo dei contatti con le banche intemazionali e della grande industria". In quello che sarebbe stato assegnato a Dell'Amore c' gran parte di quello che intendiamo come "ambiente": la casa, l'agricoltura che diventa ambiente, la piccola e media impresa che radicata nel territorio ed oggi tutto un insieme di infrastrutture dell'intelligenza e della conoscenza (telecomunicazioni, informatica) che divideranno il mondo, non pi tra proletari e capitalisti, ma tra chi sa e chi non sa o non riesce a sapere. Ho scritto un libro dal titolo "L'imprenditore sociale". Chi mai l'imprenditore sociale? E' proprio colui che si prende carico dell'ambiente umano e sociale circostante, che non fa solo l'interesse dell'azionista o del proprietario dell'impresa, ma sa che nell'impresa sono coinvolti non solo gli share-holders, ma pi in generale, gli stake-holders. Egli anche chi si fa carico di una visione di lungo periodo: diventare rapidamente efficiente, passare da un'impresa in perdita ad una in utile semplicemente licenziando met delle persone, non pu essere imprenditorialit efficiente. E' un'ottica speculativa di breve, oggi abbracciata da alcuni manager, spesso i pi al momento pagati. Non so quanta capacit imprenditoriale e manageriale ci sia un queste azioni, anche se riconosco che in determinate circostanze siano necessari "tagli". Molto pi difficile avere un progetto industriale, una visione, una strategia, un posizionamento ed un riordino organizzativo coerente con il nuovo posizionamento. Solo dopo si arriva alla questione del personale, che per non va visto solo come costo, ma anche come risorsa da valorizzare. Ma, cosa pu fare un istituto finanziario nei confronti dell'ambiente e dei progetti infrastrutturali di cui parlano tutti? Certamente pu porsi come advisor, pu porsi come finanziatore, pu porsi come catalizzatore sapendo che qui bisogna coinvolgere soggetti pubblici e soggetti privati, in modo da rendere i progetti infrastrutturali un qualcosa di autofinanziarsi. Project financing una parola inglese che significava essenzialmente che devo guardare a quella infrastruttura e capire se, con una certa politica tariffaria, con una certa capacit di organizzazione e gestione si riesce a restituire quanto si preso a prestito per finanziare l'opera. Qui, per, necessaria una certa professionalit sia della pubblica amministrazione che, deve mettere da parte il diritto amministrativo per assumere competenze pi vicine a quelle industriali, scientifiche e tecniche, sia da parte del banchiere, che deve passare dalla cultura della garanzia reale alla valutazione dei progetti e al rischio di finanziarli sulla base di un'analisi dei costi e dei benefici. Tutto questo contribuisce a trasformare la finanza in uno strumento che guarda all'economia reale, quando per economia reale si intende non solo le iniziative 183

singole, ma il sistema-paese, che in questo caso il sistema territoriale, l'economia locale, ovvero anche il Paese nel suo complesso. L'impegno della realt finanziaria dev'essere a favore di questa necessit di ammodernamento dell'ambiente e delle infrastrutture (Angelo Caloia).

Inoltre, dal racconto di Giuseppe Desiderio, Maurizio Donadelli, Alberto Ferro e Giampaolo Barbetta emerso il progetto della Banca Etica, un'iniziativa che ha come modello alcune esperienze estere (Olanda, Svizzera, Germania, Bangladesh) di istituzioni bancarie vere e proprie, ma in un contesto no-profit, che cio nella intermediazione tipica della banca tra raccolta ed erogazione di denaro applicano dichiaratamente delle condizioni che sono fuori del mercato quanto a remunerazioni, per poter garantire finanziamenti in certi particolari settori ai quali questa iniziativa sensibile; quindi, a condizioni che non sarebbero quelle disponibili da parte del sistema.91

91. La Banca Etica si prospetta come una societ cooperativa che non intende distribuire utili. Per quanto riguarda la forma giuridica, l'alternativa tra Banca di Credito Cooperativo e Banca Cooperativa Popolare stata risolta in favore della seconda a seguito dei contatti informali avuti con la Banca d'Italia che ha avuto paura che questa iniziativa potesse rappresentare un precedente attraverso il quale potessero poi in futuro passare iniziative meno nobili. La forma della BCC sarebbe stata pi in linea con lo spirito dell'iniziativa, visto che si sarebbe trattata di una banca veramente cooperativa che avrebbe potuto godere anche di un pi favorevole trattamento fiscale. Inoltre, il capitale richiesto sarebbe stato di soli 2 miliardi e mezzo contro i 12 e mezzo della Banca Popolare, ma la BCC avrebbe avuto il vincolo del localismo, del territorio ( su questo elemento che la Banca d'Italia non ha voluto mollare), mentre la Banca Etica deve avere per definizione un respiro nazionale. E' stata costituita una associazione che ha coagulato delle forze intorno a questo progetto. Poi sorta una cooperativa denominata Verso la Banca Etica che sta raccogliendo il capitale di rischio richiesto dalla forma giuridica (12 miliardi e mezzo). La cooperativa dovrebbe diventare banca entro il 1998. La Banca Etica nasce come evoluzione di iniziative gi esistenti, soprattutto sul territorio settentrionale (soprattutto in Veneto), le MAG o mutue autogestite. Queste raccoglievano denaro da soci ed erogavano, ma sono state messe fuori gioco dalla nuova disciplina regolamentare emersa a seguito dell'emanazione del nuovo testo unico, la quale ha fatto s che rimanesse preclusa alle cooperative la possibilit di fare attivit finanziaria con raccolta fra i soci. Attraverso questa strada, per molti anni, si erano permesse attivit bancarie abusive: tutto il fenomeno nel Veneto delle Casse Peote, operanti a livello di piccole centro abitato, e in Campania delle Casse di Mutualit. Queste attivit altro non erano, secondo i nuovi regolamenti dell'attivit bancaria, che delle banche abusive: facevano raccolta tra i soci, ma senza alcuna

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Infine, in molti hanno sottolineato la necessit che le banche promuovano anche iniziative in campo scolastico e che abbiano una strategia significativa rispetto al ruolo che potrebbero assumere rispetto ai sistemi locali in rapporto al modello della formazione. Le banche dovrebbero rafforzare il loro rapporto con i centri di ricerca e il sistema delle universit: Oggi, il rapporto tra banche e centri di ricerca, universit e saperi tenue, nel senso che il sistema bancario pu affidare una ricerca, ma non mi sembra che ci sia un rapporto sistematico tra sistema bancario e sistema di ricerca. Ci sono delle eccezioni che sono abbastanza fuori dall'universit, nel senso che i due o tre grandi istituti di ricerca privata che hanno rapporti pi continuativi col sistema bancario sono Prometeia e l'Irs. Altre istituzioni universitarie come la Bocconi hanno dei rapporti di ricerca di tipo continuativo. La Cattolica ha il centro di documentazione bancaria e finanziaria. Tuttavia, considerata la dimensione dei problemi che il sistema bancario ha oggi, anche nei suoi rapporti con il sistema produttivo, probabilmente un rapporto pi organizzato con il sistema della ricerca sarebbe molto opportuno (Alberto Quadrio Curzio). Da un punto di vista territoriale, appare in declino la storica differenziazione dimensionale che suddivideva le banche in piccole, medie e grandi. In una situazione di concorrenzialit e con l'incalzante problema della redditivit, quelle che emergono sono le strategie delle banche e, partendo da questo quadro di riorganizzazione operativa, funzionale e territoriale si possono schematicamente individuare cinque strategie:

vera griglia all'entrata, ed erogavano a chiunque. Oggi, c' un divieto assoluto per le cooperative di raccogliere denaro tra i soci, quindi, sono state messe fuori gioco anche le MAG che avevano il respiro di qualche centinaio di milioni. Questo stesso circuito delle MAG si fatto, quindi, promotore della Banca Etica. Per la Banca Etica, si pone fin da subito come problema cruciale il problema della rete. La Banca dovr cercare una integrazione con banche ordinarie per la distribuzione dei propri prodottifinanziari(emissione di titoli) che comunque dovranno avere una dichiarata remunerazione inferiore ai valori di mercato per poter poi finanziare iniziative no-profit e di commercio equo e solidale. Inoltre, una delle possibilit anche quella di adottare almeno in parte il modello della banca virtuale (anche se qui occorre fare dei notevoli investimenti in hardware). Soprattutto, la banca dovr dotarsi di un management professionale con una grande esperienza nel business bancario, dato che dovr far quadrare i conti lavorando con uno spread bassissimo.

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il presidio funzionale; il localismo mutualistico; il localismo metodologico; la sfida superiore; la banca virtuale. Se vogliamo tentare una territorializzazione di queste strategie, apparir come particolarmente vivace una strategia di rapporto tra banche e territorio nella fascia pedemontana dove, accompagnando le dinamiche dello sviluppo, i soggetti bancari tendono a proporre accordi di rete, anche commerciali, sia tra quelli posizionati sull'arco alpino e quelli che si posizionano verso la pianura. Invece, nella fascia della pianura emerge la tipologia dell'accordo su assi privilegiati e appare un rapporto fortemente innovativo tra banca e territorio. Infine le banche ridefiniscono la propria funzione nelle aree metropolitane ove diventa strategico produrre nuovi servizi per una nuova composizione sociale.

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IL PRESIDIO FUNZIONALE

Il presidio funzionale riguarda banche che producono e distribuiscono servizi universali sul proprio territorio di riferimento. Tendono a rinforzare il presidio territoriale e il radicamento attraverso l'offerta di nuovi servizi, che riguardano principalmente la gestione patrimoniale, la gestione diversificata del risparmio delle famiglie, l'ingegnerizzazione informatica e telematica dei servizi di tesoreria per la pubblica amministrazione. E' una strategia che taglia trasversalmente il mondo bancario, ma che, in considerazione della relativa semplicit di implementazione e delle deboli trasformazioni che interessano l'organizzazione e le professionalit interne riguarda principalmente banche di medio-piccole dimensioni o banche che agiscono su territori con debole dinamica imprenditiva. Un caso senz'altro interessante di banca che segue con grande decisione una strategia di presidio funzionale la Banca Regionale Europea, nata nel 1995 in seguito alla fusione fra la Cassa di Risparmio di Cuneo e la Banca del Monte di Lombardia (fondata nel 1496).92 Operante con 224 filiali in Piemonte, Lombardia, Liguria ed Emilia occidentale. La Banca Regionale Europea, che conta oltre 2.300 dipendenti,

92. Della Banca Regionale Europea, la Fondazione Banca del Monte di Lombardia possiede il 36,5% delle azioni ordinarie cos come la Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo, la quale per ha anche azioni privilegiate per un valore pari al 21,55% dell'intero capitale sociale; per cui la sua quota complessiva risulta del 58,05%. Il restante 5,45% costituito da azioni di risparmio, divise fra circa settemila soci ex Cassa di Risparmio di Cuneo.

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leader di mercato nella provincia di Cuneo e "di riferimento" nell'area di Pavia. A Milano dispone di 28 filiali. Il Condirettore Generale della banca, Pierluigi Gardella ritiene che nella grande ristrutturazione del sistema bancario in atto ci sia spazio per una banca di medie dimensioni come la Banca Regionale Europea a patto che abbia un forte radicamento territoriale, una notevole snellezza organizzativa e sappia offrire prodotti competitivi: Resteranno banche piccole e medie che se riescono a ritagliarsi una loro fetta di territorio e ad avere i prodotti adeguati ai tempi per seguire la clientela su servizi sofisticati come fanno le grandi banche, possono avere uno spazio ancora negli anni a venire. Questo anche per la mentalit della clientela italiana, soprattutto delle province e, quindi, del territorio. Sono convinto che ci saranno ancora delle concentrazioni ad opera delle grandi banche, ma ritengo che se una banca riesce ad avere una capillarit in un territorio limitato alla propria regione o provincia e riesce ad avere i prodotti giusti, pu andare avanti anche senza tanti problemi sul suo conto economico, nonostante la forte concorrenza. Ovviamente questo presuppone che le banche abbiano una grande efficienza organizzativa interna e che si basino su di un'alta qualit professionale dei dipendenti. Anche gli eventuali esuberi possono essere contenuti se si raggiunge una specializzazione sempre pi spinta del personale bancario attraverso la formazione di figure professionali che svolgono mansioni di consulenza. Quindi, il panorama bancario italiano lo vedo fatto da un certo gruppo sempre pi ristretto di grandi banche delle dimensioni dei colossi europei e mondiali che avranno proiezioni anche di partnership anche con altre grandi banche estere. Per, sopravviveranno delle banche di medie e piccole dimensioni che proseguiranno anche bene nella misura in cui riusciranno a ottenere un forte radicamento della loro presenza nel territorio di provenienza, ad esempio, nel nostro caso tutta la provincia di Cuneo, tutta la provincia di Pavia, la Lombardia in genere, e Milano. Se continueremo a tenere fortemente i rapporti radicati con le autonomie locali - abbiamo quasi mille tesorerie - e se riusciremo a dare questi servizi con efficienza

Nei primi tre anni di attivit (1995-97), la Banca ha incrementato di 9.167 miliardi il totale del risparmio intermediato, salito a 27.883 miliardi (con un aumento del 49%), di 2,458 miliardi la raccolta diretta (pari a 9.774 miliardi, +33,6%), di 6.709 miliardi la raccolta indiretta (pari a 18.109 miliardi, +58,9%) e di oltre 1.500 miliardi gli impieghi alla clientela (pari a 5.460 miliardi, +39,1%). Nello stesso periodo i costi operativi in rapporto al totale dell'attivo sono diminuiti dal 3,79 al 3,14%; e in rapporto al margine di intermediazione, dall'84,1 al 59,1%. Il numero dei dipendenti rimasto stabile, ma sono state aperte 28 nuovefiliali,grazie anche a "significativi incrementi di produttivit".

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a questi enti, non si vede il motivo per cui questi debbano abbandonare una banca di medie dimensioni, come siamo noi, per andare con una grande banca. Possiamo continuare ad andare avanti se riusciamo a mantenere fermo il nostro vincolo con il territorio locale, vale a dire con le piccole e medie imprese e le loro associazioni di categoria a livello locale. Abbiamo rapporti con tutte le associazioni di categoria e deteniamo ovviamente delle quote di mercato molto elevate rispetto a tutte le altre banche nel nostro territorio di origine per cui, ad esempio, ci basta un incontro con un'associazione per trovare subito la soluzione ad un prodotto. Se si mantiene questa snellezza organizzativa e se si coltiva la cultura del prodotto finanziario sofisticato, secondo me si pu proseguire anche negli anni a venire. Essere legati al proprio territorio e alla tradizione non vuole dire essere antiquati, perch questo vuol dire uscire rapidamente dal mercato, perch il mercato ogni giorno fa uscire quei competitors che non hanno i prodotti aggiornati, i prezzi adeguati e la qualit. Anche le banche delle nostre dimensioni ormai stanno lavorando molto soprattutto dal punto di vista elettronico. Stiamo pensando alla banca virtuale perch evidente che se il cliente vuole avere dei particolari servizi bisogna seguire le sue esigenze. Quindi, senz'altro la dimensione importante, ma non il punto essenziale per poter seguire le proiezioni, gli sviluppi e i piani di un'azienda o di un gruppo di aziende, perch quando una banca come la nostra ha 1.300 miliardi di patrimonio e, quindi, ha i mezzi gusti per seguire un cliente, quando ha un rapporto raccolta-impieghi del 60% e, quindi, ha ancora un grande spazio per poter seguire i progetti seri e oculati delle imprese, secondo me in una situazione ottimale per poter seguire le aziende del proprio territorio anche in proiezioni europee. Ad ogni modo, al momento qualcosa non deve stare funzionando nel modo giusto rispetto alla strategia delineata da Gardella per la Banca Regionale Europea, se si considera che le associazioni degli artigiani e dei commercianti di Pavia, dove la Banca ha una quota "di riferimento" del mercato, hanno deciso di costituire una nuova banca provinciale. 93 Il progetto gi a buon punto: stato sottoscritto un protocollo di intesa tra artigiani e commercianti, stato deciso di costituirla in forma di SpA e un gruppo di promotori, tra cui con una piccola quota anche l'imprenditore Dario Scotti dell'omonimo riso, ha gi pronti 10 miliardi (servono minimo 12,5 miliardi per partire una banca SpA). Si alla ricerca di un partner bancario che offra un supporto tecnico e di servizio in cambio di una quota massima del 10%. Motori della banca in embrione sono l'Associazione artigiani della provincia di Pavia (3 mila imprese con 8 mila addetti), la Cooperativa artigiana di garanzia (3.600
93. Cfr. M. Ger., CU artigiani di Pavia si fanno la banca in casa, Il Sole 24 Ore, 17 gennaio 1998, pag. 23.

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associati, 25 miliardi erogati nel '97) e la Cooperativa commercianti di garanzia (4.512 associati e 42 miliardi erogati nel '96), quest'ultima nata da una costola dell'Associazione commercianti. L'iniziativa suona come un atto d'accusa ai numerosi istituti che popolano la citt e la provincia. Il documento (Una banca per Pavia) dell'associazione pavese della Confartigianato esordisce cos:
E' risaputo che Pavia vanta un'alta concentrazione di istituti bancari e un elevato numero di depositi a fronte dei quali non sussiste un altrettanto ampia gamma di impieghi e investimenti, che vengono in larghissima parte capitalizzati fuori della provincia. Inoltre, non c' flessibilit, manca la personalizzazione del rapporto ...

Un altro caso interessante di banca che segue una strategia di presidio funzionale quello della Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza, raccontato dal Direttore Generale Fabrizio Ampollini. La Cariparma tra le prime 20 banche italiane.94 Ha un territorio operativo relativamente ampio (310 sportelli localizzati in 21 province con 4.251 addetti): banca leader a Parma e Piacenza (mentre scarsa la sua presenza nel resto dell'Emilia), oltre a vantare presenze significative nella Lombardia meridionale (Mantova, Cremona, Lodi, Pavia) e a Milano. Inoltre, ha una buona presenza in Piemonte, Toscana e Lazio. La scelta operata dalla banca quella di rimanere in periferia. La radice territoriale ritenuta importante e per questo viene mantenuto un rapporto costante con il sistema delle piccole e medie

94. L'attuale Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza il risultato della fusione della Cassa di Risparmio di Parma e della Cassa di Risparmio di Piacenza e Vigevano, dopo che la Cassa di Risparmio di Parma aveva incorporato la Banca Emiliana. La nuova Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza ha poi incorporato la Banca F.lli Ceriana e successivamente il Credito Commerciale (acquistato per 680 miliardi nel 1994 dal gruppo Montepaschi, che presentava bilanci in rosso ed elevate sofferenze). Si trattato di operazioni complesse portate avanti nel corso di tre esercizi a partire dalla fine del 1991 e che hanno riguardato complessivamente cinque banche pre-esistenti oggi unificate nell'attuale banca. Infine, Cariparma possiede il 16% del capitale della cassa di Risparmio di Reggio Emilia con cui sono state avviate alcune iniziative (bancassurance e costruzione di un nuovo e pi ampio magazzino per la stagionatura del formaggio Parmigiano reggiano). Cariparma ha archiviato il 1997 con una buona crescita dei volumi operativi. La raccolta globale ha raggiunto i 50.397 miliardi (+4,7%). La raccolta diretta da clienti ha toccato i 18.316 miliardi (+7%) mentre quella indiretta si attestata sui 32.081 miliardi (+3,5%). Il comparto del risparmio gestito ha registrato progressi sia nell'area gestioni patrimoniali (5.622 miliardi, +56,8%), sia nei fondi comuni (2.206 miliardi, +162%). Dal canto loro gli impieghi diretti sono saliti a 14.172 miliardi (+12,6%) con un tasso di sofferenza netto del 4,3%.

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imprese e con le famiglie, andando incontro alle esigenze degli operatori con servizi nuovi. La Cariparma un gruppo polifunzionale che lavora su una tipologia allargata di prodotti (leasing, factoring, credito fondiario, bancassurance, fondi comuni, gestioni patrimoniali, etc): Noi vorremmo essere sia una banca di territorio che una banca nazionale. Vorremmo fare l'uno e l'altro, che poi sia facile farlo non detto. Le banche pi grandi di noi stanno facendo il percorso inverso, stanno venendo verso gli enti piccoli e medi delle periferie. Noi che in periferia ci siamo e vogliamo continuare ad esserci, siamo interessati al rapporto con la piccola e media azienda, con le famiglie, con i risparmiatori, ma vogliamo anche essere la banca in grado di soddisfare tutte le esigenze finanziarie. Oggi, non ci sono steccati per cui un tipo di operazione o un prodotto interessa solo i grandi o solo i piccoli. Anche i prodotti finanziari offerti devono velocemente adeguarsi alle esigenze sofisticate di piccoli e medi imprenditori che, essendo dinamici, diventano in breve tempo medi e grandi: essi hanno bisogno di banche in grado di accompagnarli in tutto il corso della loro attivit. La nostra banca, pertanto vuol mantenere le radici nel territorio di origine perch lo ritiene un territorio ricco, fertile di iniziative, che produce ricchezza: quindi, una zona economicamente molto attiva. Per, vuole anche assistere le imprese, gli operatori, nell'evoluzione della loro attivit. Per fare questo non pu conservare la struttura di banca locale perch la piccola banca locale per vendere prodotti avanzati deve acquistarli da altri, riducendosi a sportello di vendita e spogliandosi della sua capacit di essere propositiva. Noi riteniamo di essere nella dimensione ottimale per coniugare la capacit di avere legami stretti con il territorio di origine con la capacit di collocare prodotti nostri, quindi studiati ad hoc per quella clientela che pi conosciamo. Il nostro vantaggio rispetto alle grosse banche quello di conoscere meglio la clientela. Siamo strutturati come gruppo polifunzionale, abbiamo una societ di leasing, una di factoring, una di credito fondiario e siamo soci di maggioranza, non assoluta in questo caso, di una societ assicurativa. Abbiamo anche una piccola banca in Francia. Abbiamo dato vita ad una societ per la gestione di fondi, attivit che aumentata per noi al punto che diventa strategico essere attori e non venditori: delegare ad altri la gestione di un patrimonio finanziario cos elevato sarebbe rinunciare alle nostre competenze di base (Fabrizio Ampollini). Vi una sofisticazione della domanda che deve essere costantemente seguita, anche se non sempre facile andare incontro alle necessit del sistema imprenditoriale. C' una difficolt ad essere Hausbank e, a tutt'oggi si pu dire che la banca svolge una funzione importante nella crescita imprenditoriale, mantiene dei rapporti fiduciari, ma oltre una certa dimensione si assiste ad una presenza diversificata degli isti-

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tuti per i grandi competitori. Sempre rispetto alle imprese non si ha la competenza per fare merchant bank e lavorare su un accompagnamento al processo di delocalizzazione, ci si "limita" alle operazioni di import/export: Abbiamo collaborato alla crescita delle imprese piccole e grandi e siamo cresciuti noi stessi. E' evidente che le imprese che diventano grandissime (nella zona ci sono) hanno interlocutori sui mercati internazionali, quindi questo rapporto di unica banca, di Hausbank pu allentarsi. Con le grandi realt aziendali sulla piazza, peraltro, abbiamo rapporti eccellenti di fiducia e di lavoro. Per quanto riguarda i rapporti privati con gli imprenditori, se la banca ha avuto un ruolo importante nella crescita delle loro aziende, naturale che si instauri quel rapporto di fiducia che va a beneficio anche dei rapporti individuali. Per quanto riguarda la presenza internazionale, noi non vogliamo dimenticare che siamo stati Casse di Risparmio locali, che abbiamo rapporti di collaborazione con i principali istituti di credito internazionali, ma che non abbiamo sedi all'estero, fatta eccezione per quella piccola banca francese di cui ho gi detto. L'esperienza acquisita ci porta pi ad accompagnare l'import-export delle imprese locali che non la loro delocalizzazione o comunque i loro investimenti su piazze straniere, cosa questa che riguarda un'attivit di merchant banking che forse non ci propria, sulla quale non abbiamo una competenza particolare. Sotto il profilo delle transazioni commerciali abbiamo fornito tutte le risposte possibili, fermo restando che le banche italiane con filiali all'estero hanno qualche opportunit in pi (Fabrizio Ampollini). Negli ultimi tempi, si parlato molto sulla stampa economica di Cariparma soprattutto in relazione alla difficolt dei rapporti all'interno della compagine azionaria fra gli azionisti parmigiani e quelli piacentini, con questi ultimi che denunciavano "lo strapotere di Parma"- 95 Fino alla fine del 1997 il capitale della banca era diviso nel modo seguente:

95. Cfr. Giovanni Medioli, Comandano un po' troppo, Il Mondo, 25 settembre 1995, pag. 85; V. Mal., Come si cambia a Parma, Il Corriere della Sera, 28 settembre 1995, pag. 25; Walter Dondi, La cassa di Parma nel mirino di Cariplo e Crt?, L'Unit, 7 ottobre 1995, pag. 19; E.B., Cassa Parma punta sul private banking, Il Sole 24 Ore, 16 febbraio 1996, pag. 30; Antonio Quaglio, Cassa Parma verso la Borsa; Silingardi: "Cerco partner", Il Sole 24 Ore, 24 aprile 1997, pag. 35; Antonio Quaglio, CariParma pronta alla Borsa, Il Sole 24 Ore, 26 luglio 1997, pag. 21; Vincenzo Giudice, Piacenza divorzia da CariParma, Il Sole 24 Ore, 29 novembre 1997, pag. 25; Antonio Quaglio, Fondazione Cariparma, Silingardi confermato al vertice, Il Sole 24 Ore, 7 gennaio 1998, pag. 21; Vincenzo Del Giudice, Cariparma, Piacenza scender all'8%, Il Sole 24 Ore, 10 gennaio 1998, pag. 27; Massimo Mucchetti, Parma, ti ho in pugno, L'Espresso, 29 gennaio 1998, pag. 134; N.S., Due promessi sposi per Agricola mantovana, La Repubblica, 29 gennaio 1998, pag. 27; Mario Gerevini, Barn si offre sposa a Cariparma, Il Sole 24 Ore, 31 gennaio 1998, pag. 29.

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51,63% la Fondazione Cassa di Parma e Monte di Busseto, presieduta da Luciano Silingardi (presidente anche della Cassa); 20,7% la Fondazione Cassa di Piacenza e Vigevano (quota che consente di avere un potere di veto nelle assemblee straordinarie della banca); 28% ripartito tra circa 25 mila azionisti; con un "nocciolo duro" informale di circa 700 soci che controllano il 16% e che sono rappresentati nel cda, ma c' anche un vero e proprio patto di sindacato di minoranza animato da un gruppo di industriali locali (il costruttore Emilio Scaccaggia, il farmaceutico Alberto Chiesi, il petroliere Dino Armani, il top manager della Barilla Manfredo Manfredi), a cui partecipa anche la Sai (partner nel business bancassicurtivo), e che raccoglie dal 1996 circa 80 soggetti che controllano circa il 6% del capitale. Dopo una lunga serie di polemiche, di casi clamorosi di dimissioni e di avvicendamenti (da parte dei rappresentanti piacentini), la crisi dei rapporti fra le due Fondazioni diventata insanabile nel dicembre 1997, allorch la Fondazione Cassa di Piacenza ed alcuni imprenditori emiliani aderenti al patto di sindacato di minoranza hanno ceduto per 273 miliardi il 10% del capitale della Cassa al Credito Agrario Bresciano. La Fondazione Cassa di Piacenza scesa al 15%, ma ha successivamente dichiarato di voler scendere all'8%. Solo pochi mesi prima, Silingardi aveva annunciato che la quotazione in Borsa della banca sarebbe avvenuta entro il 1998 e che era intenzione delle due Fondazioni scendere fino al 30%, mettendo in vendita fino al 40% della Cassa.96 Silingardi auspicava la mobilitazione dell'imprenditoria locale affinch potesse essere assicurato il mantenimento della banca sotto il controllo di un nucleo stabile di imprenditori di Parma, di Piacenza, della Lombardia meridionale, del Reggiano. Il Cab ha perfezionato l'acquisto del 10% di Cariparma senza accordo preventivo con la Fondazione parmense.

96. Il 40% sarebbe stato oggetto di un'Opv che avrebbe fruttato circa 1.200 miliardi. Inoltre, era previsto anche un aumento di capitale che avrebbe consegnato alla banca altri 800 miliardi. Quindi, nel complesso, l'operazione avrebbe raggiunto la ragguardevole cifra di 2.000 miliardi. Cfr. Antonio Quaglio, CariParma pronta alla Borsa, Il Sole 24 Ore, 26 luglio 1997, pag. 21.

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I risultati immediati del nuovo arrivo sono stati due. Da un lato, sono stati avviati dei colloqui informali da parte di Silingardi con la Banca Agricola Mantovana (una Banca Popolare), essa pure alla ricerca di rafforzamenti proprietari e di alleanze strategiche. L'idea sarebbe quella di fondere Cariparma e Barn cos da creare una banca di dimensioni corpose e diluire la presenza del Cab. Dall'altro lato, si cominciata a valutare l'ipotesi di un'aggregazione con il Cab, la Cassa di Risparmio di Reggio Emilia e la Banca Popolare dell'Emilia (operazione affidata alle cure della Schroders).97

97. Cfr. Cesare Peruzzi, Cariparma accantona Barn e pensa a un polo con Cab e banche emiliane, Il Sole 24 Ore, 27 febbraio 1998, pag. 35.

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IL LOCALISMO MUTUALISTICO

Le Banche di Credito Cooperativo (BCC), ex Casse Rurali ed Artigiane, sono nate tra la fine dell'800 e il nuovo secolo all'insegna dei valori del localismo ad opera di cooperatori ispirati soprattutto dal cattolicesimo sociale e che miravano a creare delle fonti di credito per le popolazioni rurali ed artigiane alternative al fenomeno diffuso dell'usura.98 Da allora le BCC hanno mantenuto uno strettissimo rapporto con il territorio di riferimento, intrecciando la propria storia con quella delle comunit locali, ma differenziandosi da altre banche locali per il fatto di seguire le logiche della mutualit, cio, come spiega Alessandro Azzi, per:

98. Le BCC, che per oltre un secolo si sono chiamate Casse Rurali ed Artigiane, erano soltanto 44 nel 1890 (la prima fu fondata da Leone Wollemborg nel 1883 nel piccolo villaggio di Loreggia in provincia di Padova) e divennero 2.600 nel 1910, addirittura 3.300 nel '20, quando costituivano quasi un quinto della rete bancaria nazionale. L'orientamento del regime fascista, sfavorevole al movimento cooperativo, si unisce agli effetti della Grande depressione nel ridimensionare la categoria della Casse Rurali ed Artigiane: nel 1940 se ne contano 986, nel 1950 sono scese a 688. In termini di sportelli, la loro quota sul totale nazionale scende dal 14,4% del 1940 all'8,9% del 1950 e seguita a ridursi nei due decenni successivi - diversamente da quanto avviene nel frattempo per le Banche Popolari - toccando un minimo del 7,4% nel 1971. Negli anni pi recenti si osserva una rinascita delle BCC in termini sia relativi che assoluti: sul totale del sistema bancario, i loro sportelli risalgono al 10,1% nel 1994. La culla delle Casse Rurali ed Artigiane fu il Nord-Est, ma il fenomeno attecch anche in alcune aree del Mezzogiorno. Il loro obiettivi erano la lotta contro la piaga dell'usura e la ricerca di una risposta positiva all'ansia di emancipazione di ceti emergenti, fino ad allora marginalizzati dai circuiti finanziari. Piccoli coltivatori, artigiani, commercianti: milioni di italiani che si affacciavano per la prima volta sulla

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l'obiettivo non di massimizzare il profitto e, quindi, il dividendo per il singolo socio, ma di far crescere la comunit locale attraverso condizioni di particolare favore alla clientela e soprattutto ai soci. Essere socio di una Banca di Credito Cooperativo ha un senso in una logica di mutualit, cio avere accesso al credito e ai servizi finanziari a condizioni migliori perch non ci sono distribuzioni di utili tra i soci. Noi gestiamo le risorse della nostra gente riversandole sul nostro territorio e con finalit statutariamente e legislativamente previste che non sono quelle della redditivit del capitale investito, ma della crescita economica e culturale della comunit nella quale ciascuna delle nostre banche opera. Un tema a noi molto caro quello della democrazia economica, in quanto rappresentiamo quasi mezzo milione di socie e abbiamo 6/7.000 amministratori non professionisti che sono una risorsa per tutto il Paese, in termini di crescita economica e culturale. Oggi, le BCC sono societ cooperative senza finalit di lucro. Il loro obiettivo quello di favorire la partecipazione di ogni persona alla vita economica e sociale, metterla nelle condizioni di essere, almeno in parte, soggetto del proprio sviluppo, soprattutto se parte da una condizione di svantaggio. In ottemperanza ai principi cooperativistici e mutualistici stabiliti nei loro statuti, le BCC cercano di risolvere i problemi di chi per forza viene dimenticato dalle grandi banche. Inseguono i piccoli prestiti di pochi milioni e grazie alla migliore conoscenza di persone e attivit possono fare scelte pi mirate e sensibili. Spesso solo presso le BCC che riesce a trovare fiato anche il piccolo artigiano che fa il passo pi lungo della gamba e non riesce ad onorare la cambiale. La locale BCC lo conosce e sa che potr rifarsi. Inoltre, le BCC destinano una parte degli utili in beneficenza e a sostegno delle collettivit locali (dal restauro di chiese, palazzi e monumenti, al potenziamento dell'illuminazione pubblica, alla costruzione di case di riposo, alla sponsorizzazione di attivit sportive, culturali e formative). 99

scena economica, politica e sociale. Fu soprattutto il solidarismo cattolico (ispirato dai vicini modelli tedeschi delle Volksbank e delle Kreditverein) a fare da incubatrice ad un fenomeno socio-economico che fu molto dinamico perch, in fondo, "d'opposizione": al latifondo, al capitalismo selvaggio e protezionista della grande industria, ma anche ad uno Stato primitivo sul fronte del welfare. Attorno ai campanili presero forma cooperative e mutue in cui spesso all'attivit di piccolo risparmio e credito erano strettamente collegati casse sanitarie e previdenziali, centri di promozione imprenditoriale ed edilizia, spacci commerciali, scuole. 99. Cfr. Livio Colombo, Merchant di campagna,A\ Mondo, 24 maggio 1997, pp. 110111.

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Attualmente, quello delle BCC un sistema creditizio complesso, articolato, capillarmente diffuso sull'intero territorio nazionale - circa 600 aziende, oltre il 60% delle imprese bancarie, 480 mila soci, 7/8 mila amministratori, 20 mila dipendenti e 4 milioni di clienti 1 0 0 - e che pu vantare di. buoni risultati economici, soprattutto al Nord, nelle aree pi dinamiche dal punto di vista economico-produttivo: Credo che i risultati della crescita del Credito Cooperativo nell'ultimo decennio possano essere considerati molto buoni, soprattutto nel Nord e nel Nord-Est dove il Credito Cooperativo dispone del 70% della sua realt sia come numeri che come impegno di persone nell'ambito nazionale e dove le nostre banche occupano fasce di mercato non inferiori al 10% in Lombardia, al 10% in Veneto, intorno al 16% in Friuli Venezia Giulia, al 50% in Provincia di Bolzano e al 60% in Provincia di Trento. Questo per noi il Nord-Est e qui i livelli di crescita delle BCC sono notevolmente superiori a quelli del resto del sistema bancario nell'ultimo decennio. La qual cosa mi fa ritenere che, al di l di alcune posizioni di favore di tipo fiscale che riguardano la non tassazione degli utili, questi risultati positivi si giustificano e si spiegano proprio con la forza del radicamento territoriale che per noi un valore imprescindibile (Alessandro Azzi).

100. Da notare che la rete delle BCC composta da 593 banche con un numero complessivo di sportelli che si aggira attorno ai 2.650 e che presidiano saldamente 2.300 comuni con meno di 5.000 abitanti (il 30% del totale). Come ha sostenuto Tommaso Padoa Schioppa, le BCC sono dei "microgiganti" se si considera la combinazione tra la piccolezza dell'azienda e la sua importanza nel mercato locale (cfr. Tommaso Padoa Schioppa, // credito cooperativo in Italia: realt e problemi, Cooperazione di Credito, 152/3 [1996], pp. 223-54). In circa 570 di questi 2.300 comuni, le BCC sono l'unica presenza bancaria e in tutti gli altri si spingono fino al 90% dei volumi di controllo sull'intermediazione e al 60% quello di Hausbank per le imprese del territorio. Di queste 593 banche, circa 550 hanno 4-5 filiali, mentre meno di una cinquantina hanno almeno 20 sportelli, soprattutto in Lombardia (42), Umbria (1), Toscana (2), Emilia (3), Veneto (2). Esiste poi una sorta di vero e proprio gigante della categoria che la Banca di Credito Cooperativo di Roma con 42 agenzie proprie, una raccolta complessiva di 4.520 miliardi, impieghi per 1.445 miliardi e un margine operativo lordo di 68 miliardi nel 1997. Il successo della BCC di Roma dimostra come il credito cooperativo possa rappresentare una soluzione adeguata perfino nelle grandi citt, dove oggi troppo spesso tendono a diffondersi forme di patologia finanziaria. Complessivamente, il sistema delle BCC raccoglie il 7% del risparmio nazionale e ha una quota di mercato degli impieghi del 5,2%. Cfr. Rapporti: Credito Cooperativo! 1-2, Il Sole 24 Ore, 15-16 luglio 1997, pp. 17-20, 19-22.

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Un caso interessante quello della Banca di Credito Cooperativo di Manzano, un'azienda bancaria attiva dal 1957 che conta attualmente 1.800 soci, 130 dipendenti, 11 filiali, con un bacino territoriale che quello del distretto udinese della sedia con le sue aziende che rappresentano il cliente di riferimento della banca. Rispetto alle banche nazionali che operano nel distretto, la BCC di Manzano ha un rapporto privilegiato con le aziende, legate da fili di rete non sempre visibili, per la conoscenza approfondita che ha dei soggetti, il numero e la qualit di informazioni. Dal racconto del Direttore Generale Dino Cozzi, emerge che tale patrimonio di dati se, da un lato, consente alla banca di mantenere un comportamento non oppressivo in periodi di congiuntura sfavorevole del distretto, dall'altro, richiede una costante opera di aggiornamento ed interpretazione: La nostra una banca locale che si rivolge soprattutto al segmento delle piccole e medie aziende. Il nostro collegamento con il territorio ci consente di conoscere gli operatori locali meglio di una banca nazionale. Meglio, significa che abbiamo pi informazione, sia come quantit che come qualit, perch in questo distretto le aziende sono collegate tra di loro attraverso mille fili, mille elementi, non sempre tutti visibili a prima vista. Qui, potremmo considerare come se ci fosse una grande azienda, suddivisa in tanti stabilimenti, in tanti reparti diversi che producono e hanno dei collegamenti fittissimi, non solo di fornitura, ma anche di scambio di informazioni, di competenze, di conoscenza tra di loro. L'elemento che ha consentito la sopravvivenza del distretto , a mio modo di vedere, la concorrenza-collaborazione. C' una viva concorrenza che di stimolo all'innovazione, ma che non esclude anche forme di collaborazione. Ci che noi abbiamo come banca la conoscenza di questa situazione in maniera molto approfondita, molto pi analitica di altre banche. Il problema come far rendere questa conoscenza e questa informazione. A tale riguardo, il discorso diventa paradossalmente pi facile quando il distretto non va bene, piuttosto che quando la congiuntura buona. Nei periodi buoni, infatti, i legami tra le aziende industriali e la nostra banca tendono un po' ad allentarsi. Non si interrompono, ma diventano meno stringenti e le nostre aziende tendono a guardare con pi interesse ad offerte di altre aziende nostre concorrenti. Se il distretto in congiuntura economica non brillante, la minore comprensione che hanno le altre banche della situazione, fa s che diventino immediatamente molto pi caute. Quindi, c' una minore offerta, un'offerta pi difficoltosa del credito e le aziende, immediatamente, riscoprono fino in fondo il valore della nostra presenza. Nei momenti di difficolt la banca locale riscopre fortemente la sua ragione d'essere che quella di sostegno in tutto l'arco della vita dell'azienda. E' chiaro che in quel momento si assume anche dei rischi molto maggiori, perch essendo legata a filo doppio con la realt esterna, se questa va bene, andiamo bene anche noi, se questa va meno bene, ci assumiamo molti rischi anche noi.

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La prerogativa primaria delle Banche di Credito Cooperativo il localismo. In certe zone del Nord, come il Trentino e l'Alto Adige, esiste un autentico modello locale di borgo in cui accanto alla chiesa e al municipio c' la Cassa Rurale. Il radicamento capillare. Nate come banche monocellulari si sono espanse a partire dalla seconda met degli anni '60 (nel 1965, la Cassa Rurale ed Artigiana di Cant101 ha avuto dalla Banca d'Italia l'autorizzazione per la prima filiale in Italia), ma sempre legate al territorio locale. La forza e la fortuna di queste banche stata ed l'attaccamento al territorio. Le BCC godono di una capacit di nicchia con una fortissima caratterizzazione di fidelizzazione e personalizzazione del cliente:

101. La Cassa Rurale ed Artigiana di Cant nata nel 1907 come entit monocellulare, ma operativa come banca soprattutto a partire dagli anni '50 e '60 con lo sviluppo del settore dell'arredamento e del mobile. Incomincia in quel periodo l'espansione territoriale che prosegue con la liberalizzazione degli sportelli. Attualmente la Cassa presente con 20 sportelli in un raggio di 20 km intorno a Cant. Ha 2.200 soci e una pianta organica di 270 dipendenti, assunti in prevalenza negli anni '70-'80, di cui il 15% laureati. L'et media di 33 anni, mentre i quadri hanno 40 anni e sono tutti diplomati. La raccolta, diretta ed indiretta e di quasi 1.800 miliardi, gli impieghi superano i 600 miliardi, mentre la redditivit di quasi 30 miliardi. Le sofferenze sono al 3%. Il Consiglio di Amministrazione composto da nove persone, rappresentanti dell'economia del territorio canturino (industria tessile, settore mobiliero, liberi professionisti, dirigenti d'azienda e commercialisti). Il management partecipa alle sedute del CdA: Prerogativa primaria della Cassa Rurale ed Artigiana di Cant il localismo. Nata come banca monocellulare, si espansa, ma sempre legata al territorio. Nel 1965 Cant ha avuto l'autorizzazione per la prima filiale in Italia. Sino al 1993 la concessione degli sportelli era regolata dalla Banca d'Italia. Con la deregulation tutte le banche hanno aperto sportelli. La Cassa Rurale ed Artigiana di Cant ha provveduto ad insediarsi con nuove filiali sia in zone storiche, sia in zone nuove proseguendo con ritmo accelerato la propria espansione. Tutto questo con l'attenzione ad insediarsi sul territorio come azienda bancaria locale, proponendo alla clientela una costante attenzione e proponendo la possibilit di diventare soci. La normativa permette di aprire sedi secondarie acquisendo 200 soci. Spelta la Consiglio di Amministrazione della Cassa formulare strategie che concilino il localismo con una intelligente espansione. La forza e la fortuna delle Banche di Credito Cooperativo stata l'attaccamento al territorio, la fidelizzazione della clientela, e va dunque costantemente attuata tale vincente politica (Ezio Tettamanti).

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Le Casse Rurali mantengono ancora una forte identificazione con il cliente. C' una forte conoscenza personale dell'imprenditore. C' un rapporto personale solitamente tra l'uomo della Cassa Rurale e l'imprenditore perch si conoscono fin da bambini, perch sono cresciuti nello stesso paese, perch si sa tutto di tutti, eccetera. Per questi motivi, le BCC hanno lavorato rispetto al sistema bancario tradizionale, rispetto alle banche societ per azioni, con una logica di sostegno alla piccola e media impresa dal punto di vista del capitale di rischio. Sarebbe un gran peccato se questo sistema si indebolisse (Lorenzo Kessler). La Banca di Credito Cooperativo di Fano, ad esempio, una banca di piccole dimensioni, nata nel 1911 sulla falsariga delle banche Raiffeisen tedesche per iniziativa di un parroco e in base all'enciclica Rerum Novarum, con lo scopo sociale di formare un'alleanza tra artigiani e agricoltori per evitare che cadessero nelle mani degli usurai. La banca viene successivamente tolta alla Chiesa e inserita nel sistema bancario nazionale che prevedeva una quota dell '80% di soci artigiani e agricoltori. Dal 1987 la Banca ha assunto-la forma giuridica di Sri, per cui i soci sono responsabili per loro impegno azionario, mentre l'applicazione del Testo Unico 385/93 ha consentito di allargare la compagine sociale e, quindi, l'utenza a categorie professionali residenti e a persone giuridiche con sede sociale o secondaria collegata al territorio: 102 Se prima eravamo banca locale, per un poco di periferia e di interesse agricolo ed artigianale, oggi dobbiamo essere la banca locale di tutte le categorie socio-economiche presenti nel territorio. Siamo chiamati a svolgere un compito diverso e per questo ci stiamo organizzando (Antimo Venturelli). La famiglia rimane il suo principale cliente della BCC di Fano, ma dotata di una buona propensione all'investimento. Il suo bacino d'utenza compreso fra i comuni di Fano e Pesaro e 14 piccoli comuni ad essi limitrofi. Opera con 8 filiali e 66 dipendenti (nel 1983 erano 15), di cui 2 dirigenti e 3 funzionari (contabilit, ispettorato, leasing e assicurativo). La raccolta diretta e indiretta di 590 miliardi (la BCC di Fano ha 102. Il 50% dei rapporti attivi di una BCC devono essere fatti con i soci. La competenza territoriale delle BCC limitata ai comuni dove hanno la presenza di uno sportello, ma automaticamente estesa ai Comuni confinanti. Esiste la possibilit di allargare l'area territoriale di propria competenza aprendo una nuova filiale fuori dai preesistenti confini, purch si acquisiscano prima almeno 200 soci con un importo massimo alle azioni detenibili da ogni socio di 80 milioni. Si deve poi procedere ad una modifica statutaria per estendere la competenza territoriale anche ai nuovi territori che si vanno ad acquisire.

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il 20% del mercato, mentre la CariFano ha il 50%), gli impieghi di 162, di cui 85 a medio/lungo termine. Il Roe di 11 miliardi. Il consiglio di amministrazione composto da rappresentanti dell'economia del territorio, tra cui liberi professionisti, artigiani e piccoli imprenditori dei settori metalmeccanico, edile ed estrazione di materiali. In questi ultimi anni, la BCC di Fano si posta l'obiettivo di ridefinire: il territorio di riferimento: l'economia estremamente diversificata dilata il territorio, i cui confini sono disegnati dalla capacit di utilizzare le innovazioni tecnologiche e le opportunit che ne derivano in termini relazionali. Servizi di phone-banking, remote-banking, moneta elettronica, POS, forniti a livello di gruppo dalla holding ICCREA (Istituto Casse Centrali Rurali ed Artigiane), vanno tutti nella stessa direzione: trasformare i limiti in opportunit: L'importante che oltre che la singola BCC funzionino soprattutto le societ di gruppo, perch se tutto questo funziona noi possiamo tranquillamente mantenere la nostra realt locale, anche di dimensioni contenute. Tutto quello che non si riesce a farlo da soli importante che si faccia in gruppo. La holding nata anche per dare una regolamentazione ed esercitare un controllo puntuale su tutta una serie di societ di servizi che prima si muovevano ognuna per proprio conto (Antimo Venturelli). il ruolo della banca: essere banca di riferimento per tutte le categorie economiche del territorio e strutturarsi per saper proporre e vendere i prodotti che soddisfano le esigenze della domanda, la struttura locale utilizza le competenze dell'Ufficio finanziario del gruppo per il comparto titoli, l'Ufficio estero, l'Ufficio fondi comuni (per vendere 8 fondi comuni offerti dalla societ Coogestioni del gruppo Iccrea), 103 la societ Agrileasing del gruppo, l'Ufficio di assicurazioni interno;

103. La societ Coogestioni una societ di servizi del Gruppo Iccrea, nata nel 1984 per operare nel settore del risparmio gestito con 8 fondi comuni di investimento. La sua missione finalizzata al dare un servizio alle BCC presso i cui sportelli i soci delle stesse acquistano i prodotti Coogestioni. La societ ha 40 dipendenti presso la sede di Milano: Coogestioni una societ che gestisce fondi comuni d'investimento mobiliare aperti, sullo schema della legge 77 del 1980. Quindi, il core business di Coogestioni l'istituzione di fondi comuni d'investimento e la loro diffusione sul territorio. Questa missione finalizzata al movimento delle Banche di Credito Cooperativo e, quindi, siamo una societ captive che offre i propri servizi unicamente alla rete degli sportelli delle BCC. Comunque, gradualmente la mission iniziale esplosa.

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il ruolo della domanda: il concetto di "residente" presente nella normativa come criterio di selezione per l'ingresso del cliente-socio, viene anch'esso dilatato ed aggiornato rispetto alla mobilit delle persone che un'economia sempre pi internazionalizzata innesca. Clientisoci tedeschi, residenti perch possessori di seconde case e investitori nel recupero del patrimonio edilizio rurale, diventano anchiessi domanda innovativa e capace di dare reti lunghe alla banca e immetterla sulla strada dell'innovazione con sicurezza. Inoltre, a seguito di viaggi all'estero stato importato il layout degli spazi per il pubblico, dove scompare il tradizionale bancone di ricevimento in piedi del cliente, sostituito da poltroncine e scrivanie. A seguito della riforma normativa del sistema bancario e dell'intensificazione della concorrenza, cambiata anche la logica di azione delle BCC. Ad esempio, prima il riferimento era alla mutualit e alla beneficenza come ricaduta degli utili, mentre minore era l'attenzione al patrimonio. Oggi, le direttive della Banca d'Italia mettono il patrimonio quale termine di paragone per l'operativit bancaria, per cui negli ultimi anni ciascuna BCC stata impegnata ad incrementare il capitale, pur mantenendo una serie di iniziative a livello di partenariato locale. Tale cambiamento incide sulla discrezionalit dell'operatore bancario e sulla possibilit di lavorare su tassi differenziati che in passato consentiva a molte BCC di offrire le condizioni migliori a livello locale:

Siamo partiti con un fondo comune, oggi ne gestiamo otto, e praticamente siamo ormai arrivati ad una seconda generazione di fondi, dei fondi personalizzati per quelle BCC o per quegli enti territoriali del movimento delle BCC che ritengono opportuno poter prendersi carico di un certo budget di distribuzione, che consenta di sopportare economicamente la creazione di un prodotto. Il primo ente per il quale stiamo facendo un prodotto private label la Banca di Credito Cooperativo di Roma, che ha una pregnanza significativa ed una diffusione territoriale che vanno ormai al di l di un contesto cittadino e provinciale, arrivando ad avere delle diramazioni nel Sud della Toscana e in Abruzzo. In aggiunta a quello che il core business, recentemente la societ si cimentata nel settore della previdenza integrativa, elaborando un progetto per l'istituzione di un fondo pensione aperto multicomparto, che vedr la luce non appena le disposizioni legislative e la normativa derivata secondaria ce lo consentiranno (Giorgio Bianchi).

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Negli ultimi due anni abbiamo avuto un Roe intorno al 20%. Questa stata una scelta strategica del nostro Consiglio d'Amministrazione che stata dettata dalla Banca d'Italia sulla base delle normative europee secondo le quali tutta l'operativit della banca si basa su determinati rapporti col patrimonio. E' il patrimonio che fa da paragone per qualsiasi attivit della banca e, quindi, rafforzare il patrimonio un imperativo categorico. Nel caso nostro questo si pu rafforzare solo attraverso gli utili che portati a riserva diventano patrimonio. Questo perch con l'apporto dei soci o dei nuovi soci non si riuscirebbe. Le quote sono minime; si paga 300.000 lire per ogni socio nuovo e, quindi, anche se si fanno 1.000 nuovi soci si portano in cassa 300 milioni che sono insignificanti sotto un certo profilo. La necessit di rafforzare il patrimonio ha portato ad un forte cambiamento della politica della banca. Prima, il Consiglio di Amministrazione tendeva pi a fare una politica di bassi tassi e di condizioni pi accondiscendenti nei confronti della clientela, accontentandosi di utili buoni, ma senza puntare troppo sul rafforzamento del patrimonio. Si cercava di avere un quieto vivere nella zona, di non avere lamentele, di essere sempre i primi con i tassi e, soprattutto, si dedicavano moltissimi mezzi alla beneficenza e alla mutualit. Lo facciamo ancora, perch beneficenza e mutualit sono sempre al nostro primo posto, per il Consiglio ha cambiato completamente politica, stabilendo che al primo posto deve venire il rafforzamento del patrimonio e, quindi, bisogna fare utili da accantonare (Ivan Ghisini). E' in questa logica che va valutata la riorganizzazione dei servizi delle BCC attraverso la formazione di sistemi consortili per l'elaborazione dati, l'esternalizzazione a dei services di alcuni servizi (lavorazione assegni, perforazioni, etc.) e, soprattutto, l'uso della rete regionale e nazionale (ICCREA) per avere in tempo reale le informazioni e i servizi per operare sull'intera gamma dei prodotti bancari: Noi come BCC vinciamo le scommesse sul futuro se operiamo bene sul nostro territorio, senza avere manie di grandezza, e se riusciamo a far lavorare molto bene i nostri istituti di secondo e di terzo grado che sono le nostre federazioni regionali e nazionale, l'ICCREA, che il braccio operativo di tutto il sistema. Sono loro che ci devono risolvere certi problemi. Ad esempio, il problema euro lo devono studiare loro, trovare delle soluzioni tecniche, informatiche adeguate e poi farle calare a noi. Noi paghiamo in funzione della nostra quota parte. Su certe questioni e servizi sono loro che organizzano tutto il sistema. Riguardo all'operativit sui titoli o all'operativit all'estero, sono loro che devono stabilire i contatti con l'Europa e farmi entrare nella rete. Cosa costa costruire la rete? 10 miliardi, io pago una quota parte. Pi loro sono efficienti, pi riesco a dare servizi buoni qui dove, anche se abbiamo delle piccole dimensioni, grazie alla conoscenza della gente, all'inserimento nel comune, ai rapporti che si sono stabiliti, riusciamo ad avere un canale privilegiato con l'operativit, con la gente. E' chiaro che noiriusciamoad essere competitivi con le altre banche nella misura in cui questi organismi di livello superiore funzionano (Ivan Ghisini). 203

La liberalizzazione degli sportelli bancari ha indotto le BCC a modificare il proprio assetto prevalentemente monocellulare, con l'apertura di nuove filiali: Le Casse rurali ed artigiane prima e le BCC poi hanno vissuto tranquillamente per anni anche grazie alla pesantezza e rigidit del sistema generale, oltre che per una serie di agevolazioni fiscali. quando saranno a regime gli attuali processi di ristrutturazione, fusione e consolidamento nel sistema bancario, la concorrenza sar pi agguerrita, per cui molte BCC stanno valutando l'ipotesi di aggregazioni a livello locale per razionalizzare i costi. Ad esempio, la BCC di Diano D'Alba (Cuneo) ha deciso di aggregarsi con le BCC di Vezza d'Alba e di Gallo Grinzane, tutte con oltre un secolo di attivit alle spalle.104 Se l'operazione avr successo, si potr anche pensare ad ulteriori aggregazioni. Il Direttore Generale Giacomo Battaglino, per, esclude l'ipotesi di fare un'unica Cassa della provincia di Cuneo o del Piemonte (complessivamente la provincia di Cuneo conta 11 BCC su un totale di 13 dell'intero Piemonte). Occorre mantenere il radicamento sul territorio, potenziando semplicemente la struttura tecnica, con un allargamento graduale del territorio ed un frazionamento del rischio. Oggi, per le

104. Dalla fusione delle tre banche nascer una banca con una massa amministrata di oltre 2 mila miliardi e impieghi per 650 miliardi, 174 addetti e 25 sportelli collocati nelle pi ricche colline del Piemonte. Pu contare su 25 mila clienti su una popolazione di 200 mila persone (cfr. Augusto Grandi, Lettighe e Roero, fusione a tre in banca, Il Sole 24 Ore, 20 febbraio 1998, pag. 37). Spiega Felice Cerniti, presidente della BCC di Vezza: "L'obiettivo prioritario servire il localismo. Vogliamo essere il punto di riferimento per lo sviluppo economico e sociale di questa terra. Abbiamo deciso di unificare le nostre forze per un interesse generale del nostro territorio e V abbiamo fatto sacrificando gli interessi particolari. I bilanci delle tre banche sono infatti molto positivi per redditivit, patrimonio e crescita dei volumi." Alla fine del 1996, il patrimonio della banca di Vezza superava i 55 miliardi, quello della banca di Gallo Grinzane i 43 miliardi e gli 11 miliardi il patrimonio della BCC di Diano d'Alba. La raccolta del 1997 stata pari, rispettivamente, a 884,3 miliardi, a 751,4 miliardi e a 280,2 miliardi. Carlo Drocco, presidente dalla BCC di Gallo Grinzane, sottolinea che stato il mercato: "con la sua crescente dinamicit e concorrenza, a suggerirci questa decisione per dar vita ad una nuova fase di sviluppo del credito cooperativo nella Langa e nel Roero; le concentrazioni in atto nel settore del credito ci richiedono di ottimizzare risorse, di crescere nella qualit del servizio per offrire un' assistenza personalizzata alle famiglie e ai soggetti economici di un territorio che conosciamo e nel quale ci riconosciamo."

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BCC la concorrenza pi forte ad opera delle altre BCC, per cui arrivando all'aggregazione trarrebbero dei vantaggi immediati in termini di redditivit. 105 Battaglino ritiene che se a livello italiano si arriver alla creazione di 10 grandi banche, si apriranno interessanti nicchie di mercato per le BCC. A tale proposito, cita il caso della Cassa di Risparmio di Cuneo che era la vera banca locale ad Alba; la fusione con la Banca del Monte della Lombardia (divenuta ora Banca Regionale Europea), sostiene battaglino, l'ha portata un po' pi vicina all'Europa, ma un po' pi lontana da Alba. La fusione tra le tre BCC, che avrebbero una massa fiduciaria di circa 2.000 miliardi e, quindi, una presenza pi visibile sul territorio, potrebbero prendere il ruolo prima ricoperto dalla CRC. Il maggior cambiamento arrivato con la liberalizzazione degli sportelli. Un fatto che ha innescato la corsa alle nuove filiali ed ha esasperato la concorrenza anche nelle nicchie che un tempo erano riservate alle piccole banche locali. Passare da organismo monocellulare a 5 filiali una rivoluzione in termini organizzativi e gestionali. La vigente normativa vieta che la competenza territoriale delle BCC sia a "macchia di leopardo". Ci deve essere continuit, quindi in futuro amplieremo la nostra zona a cerchi concentrici, secondo questo criterio. Per quanto ci riguarda abbiamo ampi spazi verso la Valle Belbo e la provincia di Asti. L'espansione non deve essere selvaggia, ma deve svilupparsi secondo un meccanismo di stop and go: si arriva, si consolida il rapporto con il territorio e si procede oltre. Occorre prudenza proprio per il fatto che dobbiamo radicarci sul territorio, altrimenti verrebbe meno la nostra caratteristica distintiva in mancanza della quale non c' motivo che un nuovo cliente venga da noi. Salvo che si acquisisca nuova clientela solo con i prezzi pi favorevoli, con le conseguenze economiche negative del caso. Ci che succede nel mondo bancario ci riguarda profondamente. Se il rimanente sistema si alleggerisce di 30.000 "esuberi", se diventa pi snello, la concorrenza nei nostri confronti sia sul fronte del prezzo e che sulla operativit sar ancora pi agguerrita. Per questi motivi anche stiamo valutando serenamente ipotesi di aggregazione con Bcc locali. Ma, quando noi parliamo di fusioni non lo facciamo per imitare i grandi gruppi, ma per razionalizzare i costi, per quanto possibile. Una

105. E' interessante notare come anche Paolo Nardo, Direttore Generale della Banca di credito Cooperativo del Veneziano di Mira, abbia sottolineato come la riforma del sistema bancario stia imponendo alle BCC di accrescere la propria massa critica attraverso fusioni, aggregazioni e federazioni. Secondo Nardo, per, si tratta di modalit che non riescono a risolvere i problemi in modo adeguato perch l'espansione degli sportelli non implica il fare concorrenza ad altro tipo di banche, ma tra BCC. Quindi, spesso da parte delle BCC c' un raffreddamento delle politiche espansive sul territorio. 205

strada obbligata perch siamo in concorrenza con altri che razionalizzano i loro costi. Se per in Italia si arriver a 10 banche, le nostre nicchie ed i nostri spazi si riapriranno. Fusioni locali, come quella tra la Cassa di Risparmio di Cuneo e la Banca del Monte di Milano (da cui nata la Banca Regionale Europea) hanno portato la Cassa di Risparmio pi vicina all'Europa, ma pi lontana da Alba. Se le BCC albesi si fondessero ricostituirebbero una nuova banca locale, che potrebbe occupare gli spazi lasciati dalla Banca Europea. Le BCC, gi Casse Rurali, erano 720 qualche anno fa, adesso sono 590. Finora le condizioni di mercato hanno consentito di evitare tante concentrazioni, ma se va in porto una fusione fatta bene, che abbia successo, la via sar aperta. Escluderei di arrivare ad organismi troppo grossi, a livello provinciale o regionale, perch diventeremmo banche troppo grosse per essere piccole e troppo piccole per essere grosse. Non dobbiamo diventare piccole casse di risparmio che oggi hanno pi problemi di noi. Dovremo mantenere la nostra filosofia originaria, il nostro radicamento locale cercando semplicemente di potenziare la struttura tecnica, aumentare la zone di operativit, frazionare il rischio, diversificare il mercato, e cos via. Il nostro un problema di costi, non di modelli. Una grossa banca pu permettersi del personale attento anche al rapporto umano? Noi abbiamo affiancato un rapporto personale pi spiccato ad una struttura tecnica pi semplice, ed il modello funziona. Quando una banca diventa grossa il cliente ordinario prova disagio. Oggi, il grande cliente guarda il prezzo, la sofisticazione del servizio, invece il cliente medio-piccolo soffre di inquietudine, ansia, incertezza e da noi trova oltre alla professionalit bancaria - che comunque dovuta a tutti - anche rassicurazione. Non so se una banca con 10.000 dipendenti riuscir in tempi brevi ad educare il suo personale anche per gli aspetti umani. Per noi questo rapporto personale un fatto normale da sempre. Non parlerei di legame affettivo, perch in ogni caso il cliente chiede qualit e prezzo. Intendo dire che mentre il San Paolo oltre alla qualit ed i prezzo emerge per l'immagine e la dimensione, noi possiamo distinguerci con il nostro rapporto personalizzato. Ad Alba ci sono Ferrer e Miroglio per i quali va bene una grossa banca come il San Paolo. Ma, ci sono altre 30.000 persone che possono apprezzare il nostro tipo di comportamento. Ferrer e Miroglio sono una potenza, ma i rimanenti 30.000 abitanti messi insieme non scherzano. In questo senso per noi lo spazio c' (Giacomo Battaglino). Il processo di concentrazione del sistema bancario pilotato dalla Banca d'Italia, dal Ministero del Tesoro e dal mercato viene vissuto come una seria minaccia per l'autonomia ed il controllo locale di strutture bancarie con un forte radicamento territoriale come le Banche di Credito Cooperativo. D'altra parte, i dirigenti delle BCC sono ampiamente consapevoli dei limiti del localismo mutualistico che le loro piccole banche quotidianamente incontrano sul piano operativo. Le BCC hanno una fortissima caratterizzazione di fidelizzazione e personalizzazione

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del cliente, ma non hanno le risorse economiche per sviluppare attivit di servizio e seguire tutti quei processi innovativi che stanno avendo un'accelerazione fortissima. Come si possono, quindi, superare i limiti del localismo, ma non il localismo stesso? Secondo i dirigenti delle BCC si superano con un rafforzamento della sinergia di gruppo, cio della rete, tanto pi per chi, lavorando su piccole dimensioni e non avendo come obiettivo quello di crescere dimensionalmente, solo attraverso la forza di tutto il gruppo e, quindi, della propria rete, pu pensare di reggere alla concorrenza. Se le 600 BCC formassero veramente un unico gruppo, a livello nazionale sarebbero la seconda o terza banca italiana. La prospettiva di sviluppo futuro sembra essere quella di un ragionevole contemperamento tra le autonomie a livello di banca locale e la logica complessiva della razionalizzazione della sinergia di gruppo. A tale proposito, secondo Umberto Dalla Zuanna, per sopravvivere le BCC, sia in Trentino (dove raccolgono il 62% del risparmio totale provinciale contro una media nazionale del 4,7%), come nel resto del territorio nazionale, dovranno per forza di cose rafforzare il loro spirito coalizionale per formare su base regionale e nazionale dei networks pi formalizzati e sofisticati di quelli gi esistenti: La Banca d'Italia, anche se non lo dice esplicitamente, ha come intento quello di creare una decina di poli nazionali per far fronte alla concorrenza europea, tenendo presente che solo uno di questi dieci poli avrebbe comunque le dimensioni per essere a livello degli altri colossi europei. Per raggiungere questo obiettivo si procede, quasi per autorit, a fusioni successive tra banche, distruggendo, secondo noi, una realt che peculiare della cultura italiana tanto quanto quella della piccola e media impresa. Dobbiamo pensare dove saremmo oggi se avessimo distrutto la piccola e media impresa. La Banca d'Italia sta passando sopra anche al credito regionale fatto in Italia da quelle aziende bancarie di medie dimensione caratterizzate da una cultura locale. Sembra quasi che si voglia fare sparire tutto in nome di una logica e di una cultura solo economica. ... A livello nazionale, si pu dire che vi sono oltre 600 casse rurali e noi in Trentino ne abbiamo ancora circa 80 - erano 114 fino a 7-8 anni fa - per almeno sul nostro territorio possiamo dire che sono banche diverse dalle altre, nel senso che la loro forza la loro presenza capillare sul territorio e, quindi, anche la loro capacit di fare raccolta. Obiettivamente hanno dei problemi sull'impiego, ma ci dipende dal nostro sistema economico-produttivo locale che quello che . Tra i due estremi, tra il disegno di grande concentrazione della Banca d'Italia e la pura conservazione del fenomeno cos com', per sopravvivere noi avremo bisogno di creare un sistema dimensionato sul gruppo bancario che deve garantire u207

na certa autonomia alle varie entit locali, centralizzando, al tempo stesso, le strategie e i servizi avanzati. Questo deve avvenire sia per il sistema italiano che per il sistema trentino. ... Il giorno in cui si perder il legame con il territorio, che deriva dalla presenza e dal riconoscimento di una data popolazione con la cassa rurale, finito il credito cooperativo. Quindi la nostra priorit deve essere quella di mantenere il legame con il territorio, arrivando per a centralizzare le decisioni strategiche. In Trentino, l'esistenza della Cassa Centrale delle Casse Rurali Trentine ha come punto di forza la necessit di trasformare l'articolatissima presenza territoriale in massa critica in virt di una cerniera con i centri decisionali. L'obiettivo, secondo il Direttore Generale Eduino Gabrielli, quello di eliminare il concetto di periferia, consentendo una presenza sulla Borsa mondiale in tempo reale, fornendo informazioni finanziarie, gestioni patrimoniali, servizi sull'estero, e t c : ogni sportello di ogni Cassa Rurale della pi sperduta valle alpina collegato con un efficiente centro servizi comune che porta direttamente al cuore del sistema finanziario. 106 Storicamente la Cassa era nata negli anni '60 come "fondo comune di crisi delle Casse Rurali", ma nel 1974 stato ripensato per i servizi di rete: Le nostre funzioni sono specificamente di servizio, perch costituiamo il punto di riferimento di 79 ex Casse rurali ora Banche di Credito cooperativo, nei confronti delle quali produciamo e forniamo tutta una serie di servizi che se fossero prodotti in proprio nelle singole aziende costerebbero troppo e non sarebbero cos efficaci. Gestiamo poi le liquidit residue delle Casse associate, affidiamo anche della clientela, ma operando di supporto alla attivit delle Casse rurali, quando per

106. Le Casse Rurali trentine sono 82 e il Trentino la zona pi bancarizzata d'Italia con uno sportello ogni 1.000 abitanti contro il rapporto di uno ogni 2.500 della media nazionale. La forte presenza operativa delle casse Rurali ha un significato duplice: da un lato, rappresenta l'alto spirito di consulenza, una sorta di Hausbank artigianale, che assiste la comunit locale in diversi aspetti della vita economica; dall'altro, anche un fatto concreto di democrazia economica: avere 66.000 soci su 440.000 abitanti significa "banca di popolo" con quasi 1.000 amministratori (non professionisti) e comporta una grande forza di gruppo con un indice risibile di sofferenze (1,7%): Ogni comunit ha un rapporto molto particolare con la cassa rurale, la percepisce come l'istituto di credito del paese che ne salvaguarda gli interessi economici e non solo, perch interviene anche a sostegno ed a promozione delle attivit ricreative, culturali a supporto dei gruppi giovanili, sociali in genere (Eduino Gabrielli).

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dimensioni o per tipologia (medio-termine, capitale di rischio, etc.) e per specializzazione questo tipo di credito non pu essere gestito o erogato dalle Casse rurali direttamente. Questa rappresenta per un'attivit meno rilevante rispetto a quella di gestione ed erogazione di servizi bancari alle Casse rurali associate. Non operiamo nel comparto della raccolta diretta da clientela, se non da poco tempo, dopo l'avvio dell'attivit di emissione di obbligazioni. La nostra raccolta costituita, come dicevo prima, dalle liquidit delie-Casse rurali, le quali ci affidano in sostanza la quasi totalit delle loro liquidit, oggi attorno ai 1.500 miliardi. Sotto il profilo operativo, abbiamo ampliato la nostra attivit di credito a medio termine, sempre nel rispetto del principio della sussidiariet all'attivit delle Casse rurali. Abbiamo deciso di intervenire anche nel capitale di rischio di alcune imprese sostituendoci, anche in questo caso, alle nostra Associate, impossibilitate, per limitazioni imposte dalla vigente normativa bancaria, a farlo direttamente. Abbiamo assunto anche tutta una serie di partecipazioni nel sistema finanziario e bancario, proprio per mettere le Casse rurali in grado di disporre di servizi e di prodotti che non sarebbe proficuo sotto il profilo economico produrre in proprio. Faccio un esempio: noi proprio recentemente abbiamo assunto un'importante partecipazione nel Mediocredito Trentino Alto Adige, abbiamo agito con l'intento di proporci in prospettiva come il socio bancario di riferimento del Mediocredito locale, la cui propriet ancora per la maggioranza in mano agti enti pubblici, ma in futuro vorremmo che noi, non da soli, ma insieme alle Casse rurali dell'Alto Adige e le Casse venete potessimo assumere gradualmente un ruolo strategico nei confronti di Mediocredito. Mediocredito possiede un indiscusso know how di cui le Casse rurali non dispongono, in particolare nel credito all'industria, nel credito agevolato e neifinanziamentia valere dei fondi messi a disposizione dalla Banca Europea d'Investimenti. Queste sono tipologie di credito che sono precluse alle Casse rurali, per attraverso Mediocredito potremmo disporre anche di questi prodotti da offrire alla clientela. Ci stiamo organizzando per l'emissione di assegni circolari della Cassa Centrale. Nei sistemi di pagamento saremo punto di riferimento per il cosiddetto BIREL (sistema Banca d'Italia di Regolamento Lordo) ossia tutte le Casse si avvarranno della nostra intermediazione per il regolamento delle proprie transazione in stanza di compensazione. Va detto che gi gestiamo il 100% dei servizi dei sistemi di pagamento per conto delle Casse rurali. L'obiettivo quello di accentrare sulla Cassa Centrale tutta una serie di funzioni definibili di back office, dando invece maggiore.spazio alle Casse rurali per la gestione delle attivit di front office, ossia di contatto con la clientela. Disponiamo di una rete informatica che collega tutti gli sportelli delle Casse rurali con noi e su questa rete facciamo viaggiare ormai la quasi totalit def flussi contabili, informatici, ma riusciamo anche a mettere in comunicazione questi punti periferici con i centri decisionali, tipo la Borsa, tipo le SIM, ecc. In Trentino, in ogni paese della Val di Fiemme o della Val di Rabbi c' uno sportello della Cassa Rurale e se uno vuole andar l a fare qualche piccola operazione di Borsa, lo pu fare come lo fa in Piazza Affari a Milano, perch ogni sportello delle Casse-rurali collegatcrm tempo reale, sempre tramite la Cassa Centrale con i mercati finanziari. Abbiamo investito molto e stiamo investendo sempre di pi nella tecnologia informatica per eliminare il concetto di periferia.

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Gli amministratori delle BCC ritengono che le oltre 600 banche disseminate su tutto il territorio nazionale, ma soprattutto nel Nord e nel Nord-Est in particolare, si svilupperanno sempre di pi in una logica di federalismo. Essi considerano la loro organizzazione di categoria un'organizzazione federalistica ante-litteram perch si sviluppa su 15 federazioni che sempre pi dovranno svolgere un ruolo propulsivo: 9 federazioni regionali, 4 interregionali e 2 provinciali.107 Queste, a loro volta, esprimono a livello nazionale la Federcasse che svolge funzioni di indirizzo politico-strategico generale, con compiti di pianificazione e coordinamento dello sviluppo del sistema, rappresentanza sindacale, tutela degli interessi della categoria e gestione delle relazioni esterne. Creare servizi costa molto ed solo in una logica di rete che la singola BCC potr continuare ad operare e ad offrire servizi efficaci ed efficienti alla sua clientela locale: All'interno di un pi ampio circuito, la piccola la piccola banca cooperativa diventa quasi una sorta di sportello leggero o, comunque, una banca leggera. Tutto quello che relegabile va relegato all'esterno. Ad esempio, anche per l'analisi fidi perch la piccola banca deve avere quattro persone all'interno quando possibile comprare questo servizio per 100 mila lire? E' una scelta difficile e complessa, ma

107. Nell'immediato futuro, l'idea di rafforzare le strutture delle Federazioni dando massa critica ad alcune funzioni che le singole BCC non possono pi pensare di svolgere in via autonoma: informatica, finanza, marketing, amministrazione e auditing, formazione e gestione delle risorse umane, sono questi i terreni sui quali le Federazioni intendono verificare la fattibilit di costruire sistemi a rete che non potr essere neutro sugli equilibri strutturali della comunit delle BCC. Azzi ha parlato senza mezzi termini di "riscrittura dei patti federativi", con una pi vincolante relazione contrattuale tra BCC e organismi a monte (cfr. Antonio Quaglio, Credito Cooperativo, pi gioco di squadra, Il Sole 24 Ore, 19 ottobre 1997, pag. 7). Un patrimonio minimo di 5 miliardi e una base sociale minima di 500 soci, un piano strategico formalizzato, l'obbligo a utilizzare i servizi centrali della Federazione e ad accogliere un esponente federale nel proprio collegio sindacale: questo il ticket della BCC del 200: Una piramide organizzativa su due o tre livelli non menoma la tradizione di autonomia dei singoli istituti, ma la esalta consentendo loro di operare col proprio marchio su mercati che la concorrenza renderebbe estremamente difficili. D'altro canto, il potenziamento delle sinergie di gruppo ricalca le tradizionali orme solidaristiche della centenaria cooperazione creditizia in Italia (Alessandro Azzi).

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credo che sia ineludibile. Fare accompagnamento alle imprese difficile: bisogna avere cultura e persone, tutte cose che costano. E' chiaro che ogni singola BCC non pu avere due esperti di finanza di impresa, per nulla vieta che ci sia un gruppo di esperti di finanza di impresa all'interno della federazione che si possono muovere e andare nei territori locali. Allora, se il costo viene ripartito su 10, 15, 20 banche un costo sopportabile per la singola BCC perch sar un ricavo anzich un costofissoall'interno, lo utilizzer al bisogno, e fornir le stesse prestazioni di servizio alla piccola impresa che pu offrire al San Paolo di Torino, con il vantaggio per che la BCC proprio perch la banca locale riesce ad avvicinare il piccolo imprenditore e ad avere con lui un rapporto di fiducia (Lorenzo Kessler). L'Iccrea Holding SpA, costituita nel 1995 sul modello della francese Banque Verte, il gigantesco Crdit Agricole (che il primo gruppo bancario mondiale non giapponese per attivit totali) e controllata da tutte le BCC operanti sul territorio nazionale, la societ capogruppo del sistema delle BCC, alla quale fanno capo le imprese della quale la categoria si dotata nel tempo al fine di sostenere operativamente, con efficienza e qualit l'azione imprenditoriale delle singole banche. La loro missione quella di supportare a tutto campo ogni BCC, aiutandola a potenziare il posizionamento sul mercato locale, ad essere efficiente e competitiva. Le strutture centrali (le Federazioni e il polo Iccrea) puntano a razionalizzare i servizi organizzativi del sistema e ad allargare quanto pi possibile il portafoglio-prodotti per aumentare i ricavi e ridurre i costi. Infine, importante sottolineare che le BCC italiane sono inserite nel sistema del credito Cooperativo internazionale. A livello europeo, la cooperazione di credito rappresenta oltre il 21% del mercato bancario. Fanno parte di questo sistema banche di assoluto livello mondiale, quali il Crdit Agricole francese e la Rabobank olandese. La partecipazione delle BCC italiane negli organismi internazionali destinata a divenire sempre pi determinante con il progressivo realizzarsi dell'Unione Economica Monetaria che rende statico l'accesso ad efficienti servizi di rete per poter guardare all'Europa come ad un mercato domestico inserito in quello globale.

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IL LOCALISMO METODOLOGICO

L'attuale legge bancaria e l'arrivo di operatori internazionali hanno di fatto portato le banche locali con un forte radicamento territoriale, a dover riflettere sul loro ruolo e ad attuare anch'esse strategie competitive. Queste strategie sono caratterizzate da una maggiore sensibilit ai problemi socio-economici e territoriali, da un allargamento del portafoglio di attivit, alla ricerca di standard qualitativi pi adeguati ad una domanda sempre pi differenziata e, infine, dalla ricerca di una crescita delle dimensioni, attivando quelle che Giorgio Zanotto, presidente di una banca in forte espansione territoriale come la Banca Popolare di Verona, chiama "forme di localismo non riduttivo, ma metodologico". Il "localismo metodologico" descrive un comportamento aggressivo nei confronti del territorio, teso a sviluppare assi di sviluppo, di collegamento e di integrazione con banche di aree contigue, che possiedono un forte radicamento sul territorio. E' la strategia che manifesta la maggiore reattivit per le sfide della modernizzazione, che si concentra principalmente nel Nord-Est, lungo l'asse Bergamo-Brescia-Verona-Padova. Le banche che agiscono con strategie di localismo metodologico sono essenzialmente banche a carattere provinciale che tendono a diventare "piccoli giganti": Le strategie della Banca Popolare di Bergamo sono quelle di pensare a mercati pi diversificati, mantenendo peraltro la caratteristica del localismo, perch tutti gli istituti bancari che abbiamo acquisito hanno questa caratteristica: non sono naturalmente delle dimensioni delle banche maggiori, ma nel territorio in cui operano hanno una presenza maggiore rispetto ai grandi istituti di credito. Il dottor Padoa Schioppa aveva definito le Banche Popolari dei "piccoli giganti" e noi vorremmo poter mantenere anche nell'espansione della banca questa caratterizzazione (Emilio Zanetti). 212

La strategia del localismo metodologico ha un proprio asse di espansione, inteso come mercato di raccolta di risparmio nel CentroSud, scendendo lungo l'asse della Via Emilia e della fascia Adriatica; rinsaldano i propri rapporti territoriali attraverso un potenziamento dei servizi all'impresa e a questo scopo divisionalizzano o esternalizzano queste funzioni in modo tale da ottenere una maggiore qualificazione del prodotto e lo sviluppo di specifiche qualit. In questa strategia, assume rilevanza per l'evidente necessit di seguire le imprese nella sua nazionalizzazione la dimensione transfrontaliera. In questo modo prendono forma delle nuove identit regionali a carattere sovralocale. Il "localismo metodologico" ha portato la Banca Popolare di Verona a sviluppare assi di sviluppo, di collegamento e di integrazione con banche di aree contigue che possiedono un forte radicamento sul territorio, che fatta sia di operativit sia di radici dell'azionariato. La risultante di queste filosofie un agire all'interno di un ciclo completo che vede il dislocarsi di tre attori territoriali: la banca, l'impresa e il territorio. Una banca che soltanto 10 anni fa era prettamente locale, con una dimensione di meno di un sesto di quella di oggi (solo otto anni fa era al 34 posto nella classifica delle banche italiane, mentre oggi al 12, con 520 sportelli, 6.100 dipendenti e un Roe dell'8%), ha incominciato ad acquistare altre piccole Popolari, come la Popolare di Arzignano, la Popolare di Castiglione delle Stiviere, la Banca Tamai di Spilimbergo, e poi i passi pi grossi con le aggregazioni della San Geminiano e Prospero e del Credito Bergamasco.108 La Banca Popolare di Verona continua ad essere una banca aggregante, con una strategia di ulteriori acquisizioni che si vogliono a macchia d'olio, nel senso che non si vuole andare a cercare aggregazioni lontane, ma che siano complementari alla presenza territoriale del momento, che vadano a rafforzare le nicchie di lavoro nelle varie aree territoriali in cui la banca gi presente:
108. Con il bilancio del 1997 la Banca Popolare di Verona, con i suoi 50 mila azionisti, ha fatto i primi conti dopo l'operazione Creberg che ha rafforzato la sua posizione tra le prime venti banche italiane. L'utile netto aggregato stato di 295 miliardi, di cui 174 di pertinenza della Bpv e 121 del Creberg. La raccolta complessiva del gruppo stata di 65 mila miliardi: di questi 46 mila (+9,2%) fanno capo a Bpv. Il totale della raccolta indiretta delle due banche ammontato a 36 mila miliardi (di cui 26 mila, +9,3%, della Bpv). L'aggregato riferito al risparmio gestito pari ad oltre 17 mila miliardi (13 mila, +26%, per Bpv). Dal lato degli impieghi, la cifra riferita alle due banche ha superato i 23 mila miliardi (16.500, +10%, per Bpv). L'incidenza delle sofferenze nette sul totale degli impieghi stata del 2%,rispettoad una media del sistema del 9%.

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La nostra realt, che molto ancorata al localismo inteso in un senso non riduttivo, ma metodologico, e il nostro orientamento di conservare la nostra identit di public company radicata sul territorio, nella quale clientela e soci si intersecano e si sovrappongono, ci hanno fatto scegliere linee di sviluppo dimensionale, che sono passate dall'aggregazione di banche confinanti piccole, o dal grande fatto dell'incontro con il Banco San Geminiano e San Prospero, che una realt simile alla nostra, grande presso a poco come noi, in una zona confinante come l'Emilia. Abbiamo creduto di individuare nella logica della territorialit e della continuit territoriale la guida per lo sviluppo, perch quella logica l non faceva attenuare affatto quella identit che veniva dal localismo da cui siamo stati alimentati per 127 anni, anche perch questa logica e questa cultura del localismo era presente in tutte le realt che abbiamo aggregato. In futuro, nella medesima logica cercheremo di integrarci con realt bancarie che abbiano la cultura del localismo e che siano in continuit territoriale. Per tutto questo noi abbiamo una chiave di lettura delle linee di sviluppo, che quindi non sono solo si natura geografica, ma sono di natura - uso una parola impropria - filosofica, legata al modo di percepire la banca, il modo di percepire il rapporto della banca con la realt territoriale. Abbiamo accantonato certe ipotesi di espansione nel meridione, non perch avessimo qualche timore o non tenessimo in considerazione la realt bancaria meridionale, ma perch sarebbe venuto meno quel modo di essere della banca che legato al localismo inteso come identificazione della banca con le esigenze della comunit. Non potremmo mai dire, in una regione dell'Italia meridionale, "la Banca Popolare di Verona la vostra banca". Qui, lo possiamo dire, l no. Siccome crediamo ai valori di questa identificazione della cultura civile ed economica con la banca, abbiamo scelto di crescere in questa logica. La banca non pu crescere da sola se non cresce anche la sua clientela; la clientela non pu crescere se non cresce anche la sua banca o il sistema bancario cui si appoggia. Certo che una grande impresa pu andare a prendere una banca internazionale e appoggiarsi a quella, ma la struttura economica del Nord-Est fatta di piccole, medie e anche grandi imprese. La forza e la tipicit delle economie del Nord-Est fatta di piccole imprese che tendono a diventare medie e di medie imprese che tendono a diventare grandi. Dobbiamo accompagnare le piccole imprese a sorgere e nascere, poi da nascere a diventare medie e da medie a diventare grandi. Nel Veneto abbiamo questo ciclo completo (Giorgio Zanotto). Il radicamento della Banca Popolare di Verona si struttura in un territorio ad altissima economia industriale: a Vicenza la presenza nel distretto di Arzignano consente di servire marmisti e conciari; a Verona controlla il 33-35% del mercato (con Cariverona hanno il 70%); a Modena c' una capillare presenza nel settore delle piastrelle e della maglieria; a Bergamo si intrattengono stretti rapporti con il tessuto industriale locale. E' nel contesto di questo ciclo completo e di questa integrazione tra banca e impresa, favorito dal "localismo metodologico",

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che si pu avviare - secondo Zanotto - anche un meccanismo vero e proprio di Hausbank e di merchant-banking: che non visto come le grandi operazioni di trapasso delle grandissime aziende, perch nessuno vuole fare concorrenza a Mediobanca. Il problema di aiutare a fare un merchant-banking che sia appropriato alle esigenze di questo territorio: passaggio dall'impresa padronale all'impresa allargata e manageriale. C' da fare tutto un grosso lavoro, che anche culturale, non solo tecnico. La banca conosce i problemi dell'azienda e della famiglia e ha quindi la capacit di dialogo e di accompagnamento. Bisogna spingerli ad una evoluzione. Questo tipo di dialogo una ricchezza che serve a rendere pi competitiva l'economia. La banca sviluppa anche un rapporto stretto e competitivo non soltanto con le imprese e i risparmiatori privati, ma anche con le pubbliche amministrazione locali, le autonomie funzionali, le Universit e gli operatori sociali e religiosi attivi nei territori di riferimento: I rapporti con le pubbliche amministrazioni sono sostanzialmente finalizzati all'acquisizione di tesorerie che fino a poco tempo fa erano appannaggio pressoch esclusivo delle Casse di Risparmio. Poi, vi stata una sia pur lenta modifica dell'accesso anche a questa forma di servizio che ha determinato notevoli benefici sia diretti che indotti per le banche e cos risultano attualmente tra gli obiettivi aziendali. A Verona abbiamo acquisito la tesoreria della pi grande azienda municipalizzata della citt che eroga il gas, la luce e l'acqua e siamo in grado di realizzare una forte azione commerciale mediante la domiciliazione delle utenze, servizio che in grado di promuovere una forte fidelizzazione con la clientela. Un altro obiettivo quello della USL per la gestione delle tesorerie e anche in questo ambito stiamo realizzando significativi tassi di crescita. Quelli con le autonomie funzionali sono rapporti tradizionali con una banca come la nostra, strettamente legata alle vicende del proprio territorio. Ad esempio, siamo nel capitale della Societ Autostrada del Brennero, nell'Aeroporto di Verona, nell'Ente Fiera, etc. Abbiamo in essere una collaborazione molto stretta con le Camere di Commercio delle citt dei nostri principali insediamenti (da Verona, Modena, Reggio Emilia, etc.) con cui sono in essere tutta una serie di iniziative congiunte: manifestazioni, corsi, pubblicazioni, e cos via. II complesso di rapporti che in senso lato possiamo definire culturali sono gestiti in prima persona dalla presidenza della banca che determina anche particolari interventi a favore delle strutture didattiche, ad esempio, attraversofinanziamentidi nuove facolt come successo a Verona con l'istituzione della nuova Facolt di Legge. Infine, importante sottolineare che lo statuto prevede che la banca indirizzi una quota parte degli utili d'esercizio afinalitbenefiche e sociali. E l'entit che stata stanziata in questi ultimi anni di circa 7/8 miliardi. Non solo: sempre a livello statutario previsto che una percentuale degli utili disponibili venga specificamente riservata alla Fondazione di beneficienza Banco San Geminiano e San Prospero per sovvenire in modo particolare le esigenze delle diocesi emiliane (Aldo Civaschi). 215

Maurizio Sella, Attilio Viola, Alfredo Zambanini ed Erika Pozzo della Banca Sella di Biella, hanno sviluppato un ragionamento per certi versi analogo a quello di Zanotto. La Banca Sella, insieme con la Biverbanca (Biella-Vercelli, acquisita nel 1997 dalla Comit), la pi importante banca del Biellese.109 La Banca Sella nasce nel 1886 come banca privata fortemente legata al territorio e in perfetta sintonia culturale con l'imprenditoria locale. I Sella, infatti, erano industriali lanieri fin dall'inizio del 1500 e, quando Gaudenzio, con i suoi fratelli e cugini, fonda la banca lo fa su consiglio del famoso zio Quintino per diversificare gli investimenti. Attualmente, i Sella, un centinaio di azionisti, hanno ancora saldamente in mano la loro banca che in pratica diventata l'unica attivit economica della famiglia, a parte un'azienda vinicola e una partecipazione in una filatura. La banca, da sempre caratterizzata da una proverbiale prudenza ("ogni operazione aleatoria di per s vietata", recita lo statuto), rimasta, per scelta precisa, di piccola dimensione fino agli anni '80, quando, a fronte della trasformazine in atto del sistema bancario, per poter restare indipendente ha deciso di crescere, aprendo filiali, oltre che in Piemonte, anche in Valle d'Aosta, a Milano e a Roma, senza rinunciare per alla propria vocazione di banca strettamente legata agli interessi dell'imprenditoria locale. Ed , infatti, sulle esigenze degli imprenditori biellesi che la Banca Sella ha aperto una filiale in Lussemburgo e ha acquisito il controllo di piccole banche stra-

109. La raccolta diretta della banca stata nel 1996 pari a circa 4.800 miliardi, quella indiretta a circa 15.000 miliardi. La banca controlla la societ Gestnord Fondi che gestisce 16 fondi comuni di investimento con una rete di 150 agenti. Ci sono pio la Biella Leasing e la Fidsel che fa gestione di fiduciaria di patrimoni. I dipendenti erano 1.123 come banca (con 97 sportelli) e 1.422 come gruppo bancario. Il Roe della banca era del 10,80%. Bassissimo il tasso delle sofferenze, all'I ,6%, che una riprova dei criteri di estrema prudenza da sempre applicati. Essendo fortemente radicata sul territorio, la Banca Sella opera come Hausbank per-buona parte dell'imprenditoria biellese, con stretti rapporti di conoscenza personale tra aziende clienti e dirigenza della banca, da sempre caratterizzata da una prossimit di tipo culturale con la clientela, date le origini imprenditoriali della famiglia Sella. Questo rapporto fiduciario tra banca e clientela favorito anche dalla continuit del personale, dal momento che i responsabili delle filiali non sono soggetti a rotazione, come invece normalmente avviene con la altre banche.

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niere come la Banque Martin-Maurel di Marsiglia, operante nel Sud della Francia e con uno sportello a Parigi, o la IBZ Investment Bank di Zurigo, una piccola banca svizzera che si occupa soprattutto di gestioni patrimoniali; in Polonia azionista di una banca per assistere i clienti italiani che lavorano sul tessile. Sotto questo profilo, anche le acquisizioni di alcune piccole banche piemontesi, venete, trentine, pugliesi e siciliane, non contraddicono questo orientamento generale.110 La dirigenza della banca, infatti, del parere che sia necessario, proprio per incrementare il valore aggiunto del Biellese, fare in modo che si accrescano le dimensioni della Banca Sella, costruendo una piccola rete di banche locali collegate. Nuove filiali ed acquisizioni non sono da vedere come il venir meno di una vocazione locale della Banca Sella, ma come l'arricchimento in termini di nuovi prodotti-servizi ed un dimensionamento pi efficiente in termini di posizionamento sul mercato mobiliare. La organizzazione della Banca Sella come "gruppo polifunzionale" risponde appunto all'esigenza di raggiungere una completezza del portafoglio servizi in grado di servire una crescente molteplicit di domande della clientela tramite la diversificazione interna delle competenze:

110. A partire dagli anni '80, nell'ottica di una crescita resa obbligata dalla decisione di mantenere l'indipendenza, la Banca Sella ha acquisito il controllo di una serie di piccole banche locali, che in parte sono state fatte confluire nella banca stessa (Cassa Rurale di Caluso), mentre in parte sono state fuse secondo criteri di contiguit territoriale e sotto denominazioni che continuassero ad evidenziare il carattere locale degli istituti - la Banca di Savigliano e Martina in provincia di Cuneo e la Banca Buffa di Ovada in provincia di Alessandria sono state fuse per formare la Banca Piemontese; la Banca Bovio di Feltre in provincia di Belluno stata fusa con la Banca Calderari di Trento che operava in Trentino Alto Adige; la Banca della Capitanata e la Banca Agricola Salentina sono state fuse per formare la Bancapulia; la recentissima creazione della Banca di Palermo che recepisce la situazione precedente della Cassa Rurale di Monreale, in grave crisi. La Banca Sella attua, inoltre, una politica di partecipazioni azionarie in altre piccole banche italiane - Banca Cesare Ponti di Milano, Banca Passadore di Genova e Banca Arditi Galati in provincia di Lecce - che mira a rendere pi stabili gli accordi per la vendita dei prodotti bancario-assicurativi del gruppo Sella.

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La Banca Sella a Biella c' dal 1886, anno in cui stata fondata. Oggi, siamo ancora molto presenti a Biella, ma il nostro gruppo ha interessi non pi solo a Biella, anzi se si pu prendere come parametro di riferimento il numero delle filiali, queste sono gi pi numerose fuori del Biellese, anche se qui continuiamo ad aprire filiali in modo mirato. Nel Biellese siamo certamente una delle realt bancarie pi importanti insieme alla Biverbanca, poi vengono tutti gli altri istituti. Il rapporto della Banca Sella con gli operatori economici del Biellese un rapporto che c' dalla nascita della banca o dalla nascita loro e delle loro aziende. Noi teniamo molto a questo rapporto con gli operatori Biellesi e diamo loro il nostro sostegno, non solo quello normale, cio la concessione del credito, ma anche la consulenza e l'assistenza. Vi sono poi una serie di altre iniziative portate avanti a livello locale a cui noi negli anni abbiamo fornito il nostro supporto. Abbiamo ottimi rapporti con tutte le associazioni di categoria locali e con tutti gli enti locali, e ci teniamo a che siano ottimi perch vogliamo e dobbiamo crescere. Siamo Biellesi e siamo orgogliosi di essere Biellesi, per per crescere dobbiamo anche andare fuori. Andare fuori significa per il nostro gruppo aprire filiali in tutto il Piemonte e la Valle d'Aosta, ma anche aprire filiali nei centri pi importanti quali Milano e Roma. Andare fuori vuole dire fare acquisizioni di istituti di credito nel Nord-Est, la Banca Bovio di Trento e la Banca Calderari di Feltre. Andare fuori anche l'acquisizione di una banca in Svizzera, che opera nel private banking, l'apertura della filiale della Banca Sella a Lussemburgo, oltre ad un importante numero di societ che fanno parte del nostro gruppo polifunzionale e che operano in vari settori finanziari: leasing, factoring, intermediazione, gestione di fondi, societ di ricerca, reti per la vendita porta a porta, e altre iniziative. Molte di queste nuove iniziative consentono di dare del valore aggiunto anche al territorio nel quale siamo nati e nel quale operiamo, perch ad esempio la filiale di Lussemburgo ci consentir di proporre nuovi tipi di servizi ai nostri clienti Biellesi. Sar possibile fare delle operazioni con l'estero che prima non si potevano fare e cos via. D'altra parte occorre considerare che la nostra espansione anche e soprattutto mirata a metterci in grado di offrire ai nostri clienti una gamma di servizi e di prodotti il pi aggiornata possibile, perch ormai la competizione nel nostro settore si fa sulla capacit di offrire al cliente il prodotto e il servizio che gli serve per soddisfare le sue personali esigenze. Io devo avere un portafoglio prodotti-servizi completo, assolutamente completo ed aggiornato, per poter rispondere a tutte le esigenze della clientela, perch ogni cliente ha una visione e una disponibilit di rischio diversa dagli altri. Vi sono poi delle esigenze stagionali. Io, operatore, per poter essere in grado di dare sempre delle risposte alle varie esigenze, devo avere delle dimensioni minime, che tendono a crescere sempre. Bisogna fare dei grossi investimenti, bisogna essere sempre aggiornati. Questo non vuol dire che soltanto i colossi potranno dare un buon servizio alla clientela. Noi non siamo di questa idea, anzi riteniamo che aziende bancarie di medie dimensioni possano essere competitive grazie alla loro elasticit, al loro diverso tipo di organizzazione. Certamente vi sono delle dimensioni minime, al di sotto delle quali molto difficile, molto costoso e non si hanno le risorse umane. In ogni caso, anche una banca piccola al di sotto di quelle dimensioni minime non

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detto che debba necessariamente essere assorbita o comprata da una banca pi grossa per potere dare queste risposte. Essa pu benissimo fare degli accordi commerciali, degli accordi di assistenza con banche pi grosse, che tutelano la sua localit e la sua economia, ma che la mettano in condizione di dare lo stesso risposte adeguate alle esigenze della clientela, risposte che direttamente la banca non riuscirebbe a dare. Ad esempio, per fare la gestione patrimoniale occorre avere una certa dimensione, una certa struttura, un ufficio studi e ricerche. Una banca piccola tutto questo non ce l'ha, per pu fare un accordo di vendita con una banca che invece tutto questo ce l'ha ... (Attilio Viola) A tale proposito, Natale Stefanuto nota come la Banca Popolare di Belluno sia in grado di offrire alla propria clientela una gamma completa di servizi pur essendo nata solo all'inizio del 1995, grazie alla sua appartenenza al grande network delle Banche Popolari: La Banca Popolare di Belluno ha aderito ad un qualificato centro di servizi elettrocontabii, la SEC SpA di Padova, dato che non si poteva ipotizzare che una banca nuova potesse avere un proprio centro servizi visto che i costi sarebbero stati astronomici. A questo centro servizi aderiscono anche alcune tra le maggiori Banche Popolari del Triveneto. Inoltre, la nostra Banca ha aderito al Consorzio Triveneto con sede a Padova, partecipato dalle maggiori Banche Popolari e Casse di Risparmio del Nord-Est, e che ci permette di fornire ai clienti Vhome-banking e altri servizi. La giovane Banca Popolare di Belluno ha dimostrato un grande attivismo in questi suoi tre primi anni di vita: ha aperto sei sportelli che operano in concorrenza diretta con la Cassa di Risparmio di Verona, Vicenza e Belluno. Questo attivismo della PopBelluno legato al fatto che la banca ha trovato in Leonardo Del Vecchio (Luxottica) il promotore pi convinto, insieme ad un folto gruppo (oltre 1700 sono i soci della banca) di imprenditori bellunesi operanti soprattutto nel distretto locale dell'occhiale. Paradossalmente, per, proprio l'evoluzione recente del distretto dell'occhiale bellunese e della Popolare di Belluno dimostra come il "localismo metodologico", fatto di intreccio tra crescita della fabbrica diffusa e banca territorializzata, non basta pi per chi si muove tra localismi produttivi e Wall Street. Il distretto raggruppa 750 imprese, di cui 600 artigiane. A partire dal 1878, quando per merito di Angelo Fresura nasce il primo insediamento produttivo, l'occhialeria andata assumendo una crescente importanza economica nell'area, affiancandosi alle at-

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tivit turistiche e forestali. Questo processo stato, nel corso degli anni, assecondato da delle casse artigiane che hanno accompagnato l'evoluzione delle microimprese. Si incrementato soprattutto nell'ultimo dopoguerra in forma impressionante, come dimostrano questi dati: nel 1951 le unit locali erano 81 con 1.852 addetti, nel 1995 passano a poco meno di 750 con una occupazione di circa 9.000 addetti. Il distretto dell'occhiale rappresenta oltre il 35% delle aziende produttive del bellunese, con un fatturato che supera i 2.800 miliardi con una percentuale di export dell'80%. Crescendo, il distretto artigiano si verticalizzato facendo apparire 5 imprese leader: la Luxottica di Agordo con 2.225 addetti, la Safilo di Longarone con 1.041 addetti, la De Rigo di Longarone con 822 addetti, la Marcolin di Longarone con 455 addetti, la Fedon di Vallesella con 330 addetti. Queste cinque imprese assieme rappresentano l'80% dell'intero fatturato del settore. E' a fronte di questo processo di verticalizzazione, intervenuto nel processo produttivo, che va in pezzi il localismo metodologico, il sistema, cio, della banca locale che accompagna la crescita del tessuto artigiano locale. Infatti, delle cinque imprese leader Safilo quotata alla Borsa di Milano dal 1987, Luxottica (dal 1990) e De Rigo (dal 1995) sono quotate alla Borsa di Wall Street, mentre Marcolin si appresta a sbarcare alla Borsa di Milano con il supporto di Mediobanca e Fedon ha scelto il Nouveau March di Parigi. Luxottica arriva a Wall Street nel 1990 accompagnata finanziariamente dal Credit Suisse First Boston. Sempre attraverso un credito di 2.500 miliardi della stessa banca ha acquistato la catena di distribuzione U.S. Shoes, costruendo cos una propria rete commerciale negli Stati Uniti. Inoltre, assieme ai Benetton, Leonardo Del Vecchio, il proprietario di Luxottica, ha acquistato la catena dei supermercati GS supportato da una rete finanziaria costituita dallo stesso Credit Suisse First Boston, l'Istituto Bancario San Paolo di Torino, la Cassa di Risparmio di Verona e l'Ambroveneto. La De Rigo si quotata a Wall Street attraverso una banca americana e una tedesca: la Merril Lynch e la Deutsche Morgan Grenfell. Certo la banca locale mantiene un suo ruolo, tanto che tre anni fa le stesse imprese leader del distretto, coalizzate, hanno fondato la Banca Popolare di Belluno per supportare il tessuto dell'imprenditoria locale a loro funzionale, ma le reti per competere nella guerra finanziaria vanno cercate altrove nelle banche svizzere, americane e tedesche:

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Se si propone alle imprese italiane la finanza italiana le si marginalizza, ma la risposta la sta gi dando il mercato. L'Associazione dei banchieri esteri ritiene che a Milano il 75-85% del nuovo banking sia in mano agli operatori stranieri e quelli lo fanno da Londra. Bisogna superare l'inerzia culturale che ci porta a continuare a credere che il banking sia tricolore. Il banking non ha colore, perch ormai aspaziale, come non ha colore un web su Internet. Oggi, la media impresa vitale non pensa a risolvere i suoi problemi nel territorio. Il placement delle medie imprese comincia ad essere fatto bypassando tutti i livelli intermedi. Del Vecchio o Natuzzi sono quotati a New York (Piero Bassetti).

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LA SFIDA SUPERIORE

Nel rapporto fra banca e territorio alcuni meccanismi che hanno funzionato per decenni si sono rotti e va allora pensata una dialettica di tipo collaborativo tra le varie componenti dello scenario economico proprio per individuare nuove modalit operative. E' un momento di forte trasformazione del sistema bancario, ma non va confusa la riorganizzazione con i meri tagli di personale e in questo senso il sistema deve iniziare a misurarsi veramente con la redditivit. Le stesse necessit delle imprese e dei privati stanno rapidamente mutando: Rispetto ai profondi e rapidi mutamenti in atto, abbiamo fatto delle valutazioni abbastanza preoccupanti e che hanno prodotto una serie di scelte strategiche orientate a due aspetti: il primo il contenimento dei costi, e il secondo la diversificazione delle fonti di ricavo. L'analisi che sta alla base questa: prevediamo che la convergenza dei tassi di interesse a livello europeo possa determinare nel medio termine una contrazione dei margini della gestione denaro, che attualmente la gran parte dei ricavi dell'attivit bancaria in Italia, di un 15-20%, quindi di una percentuale molto rilevante. A questo si aggiunge il fatto che riteniamo che anche i ricavi dalle attivit dei servizi - le commissioni sui servizi, sui cambi, sui titoli, sui pagamenti, etc. - tenderanno a ridursi a seguito della concorrenza crescente anche da parte di istituzioni bancarie estere. Quindi, nel complesso il quadro dell'andamento del margine di intermediazione delle banche preoccupante. La prima risposta che abbiamo ritenuto necessario fornire quella del contenimento dei costi, spingendo fortemente verso l'efficienza operativa. La seconda risposta quella di cercare di differenziare, diversificare al massimo le fonti di ricavo in modo da contrastare proprio sulla linea dei ricavi da servizi questa tendenza e, quindi, spingere verso quelle aree che sembrano pi promettenti in termini di possibili margini di profitto. In particolare, le due aree verso le quali riteniamo di orientarci sono, da un lato, quella dei nuovi servizi di corporatefinance,di suppor-

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to alla ristrutturazione e alla ridefinizione del passivo di impresa, dall'altro lato, quella della gestione professionale del risparmio. C' una grande domanda che sta esplodendo da quasi due anni di risparmio gestito da parte delle famiglie italiane: E' una domanda che cresce in parallelo al fatto che il tradizionale investimento in titoli di stato diviene via via meno redditizio. La famiglia si orienta sempre verso strumenti di investimento che, per realizzare rendimenti di un certo interesse, implicano livelli di rischio maggiore a quelli ai quali era abituata e che, quindi, i richiedono capacit di gestione professionale del risparmio. In questi due aree ci siamo mossi molto intensamente ottenendo anche dei risultati di buon livello e confortanti, per pensiamo si debba camminare spediti perch la concorrenza non sta a guardare, segue o addirittura si muove in anticipo (Antonio Furesi).

La "sfida superiore" riguarda quelle banche medio-grandi che per dimensione, strutturazione organizzativa, diffusione territoriale sono attraversate da significativi processi di ristrutturazione e tentano la via dell'aggregazione per assumere fisionomie pi consone alla competizione europea. Sono le banche che, organizzate sulla base di modelli organizzativi polifunzionali, cio come sistemi in grado di ampliare la gamma dei servizi offerti (diversificazione operativa) attraverso la costituzione di organismi giuridicamente distinti e funzionalmente specializzati, stanno lentamente occupando anche lo spazio di Mediobanca, collocandosi all'interno di uno spazio operativo molto ampio che pu andare dall'offerta all'impresa di quotarsi in borsa, alla creazione di centri impresa territorializzati operanti su aree omogenee, fino al project financing e alla finanza d'impresa. Questo mutamento oggi reso necessario anche dal diverso atteggiamento del sistema delle imprese: la cultura imprenditoriale si confronta con necessit di piani di sviluppo e di consolidamento dove il problema del credito costituisce uno dei maggiori problemi per la definizione di strategie operative e competitive. Ma, mentre nel passato l'accesso al credito si fondava o su meccanismi di scambio politico o sulle garanzie patrimoniali dell'imprenditore ("cultura del collaterale"), oggi, e sempre pi domani, l'accesso ai finanziamenti sar determinato dalle progettualit e dalla credibilit dell'impresa e dell'imprenditore ("cultura del progetto"). Gli effetti dell'affermazione di una cultura del progetto anche all'interno del mondo bancario sono evidenti e pongono in discussione gli assetti e le gerarchie consolidate. In particolare il segmento delle banche medie e medio-grandi risulta avere maggiore esposizione sul fronte di questi nuovi

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servizi. Di fatto, occupando la fascia alta all'interno del sistema, sono anche le banche pi esposte ai rischi di una colonizzazione dei mercati di capitale, ma anche quelle che possono investire risorse per il potenziamento sostanziale dei servizi. A tale proposito, un caso emblematico quello del Banco Ambroveneto: ' ' '
La strategia del gruppo polifunzionale Ambroveneto prevede una forte presenza nel retati banking in Italia ed in particolare nel Nord Italia, ossia nel Nord Ovest che nel Nord Est, e credo che questa strategia si confermi tanto pi con l'accordo con la Cariplo. Ma, questo non toglie che noi si ricerchi di instaurare una serie di collegamenti privilegiati con aziende bancarie primarie che operano nei mercati dell'Europa centrale ed orientale, e che selezioniamo in funzione della loro idoneit ad assistere la nostra clientela, per agevolare lo sforzo di penetrazione nei mercati da parte delle nostre imprese. Siamo innanzitutto una banca commerciale, ma anche una banca che intende offrire un'assistenza finanziaria completa di investment banking, con una gamma di prodotti di assistenza creditizia nel breve cos come nel lungo-termine. D'altronde, la sfida del futuro nei rapporti con le imprese proprio quella di proporsi come banca di riferimento, come Hausbank, il che significa che si deve avere una gamma completa di prodotti, una capacit di accompagnare l'impresa nei processi di adeguamento e ristrutturazione dei passivi dando il prodotto a medio-lungo termine. Oggi, all'incirca un quarto dei nostri impieghi con la clientela sono a medio-lungo termine e riteniamo che nell'arco dei prossimi anni queste percentuali tenderanno a crescere molto significativamente. Ma, essere una Hausbank significa anche avere un'offerta di servizi nel campo della finanza a-

111. Nel 1997 il Banco Ambroveneto ha avuto un Roe dell'9,83%. Il margine di interesse, in un contesto di tassi e spread in calo, si contratto dell'8,46% a 1.462 miliardi, in compenso il margine di servizi aumentato del 16,85% fino a 1.029 miliardi. Al suo interno le commissioni nette sono cresciute dell'8,6% fino a 706 miliardi, mentre hanno tenuto sia il contributo della gestione finanziaria (209,5 miliardi, -4,34%) e dei proventi diversi (131 miliardi, +0,54%). I ricavi netti non creditizi hanno superato il 41% del margine di intermediazione, che ha registrato un lieve incremento (+0,53%) fino a 2.491,3 miliardi. Uno stretto controllo dei costi ha visto le spese amministrative scendere dell'1,13%. Stabili gli oneri per il personale. Sul piano dell'attivit, la massa amministrata dell'Ambroveneto a fine '97 ha raggiunto i 98.000 miliardi (+8%). La raccolta diretta da clientela rimasta stabile a 31.772 miliardi, di cui 10.561 in titoli, mentre i prestiti subordinati sono a 934 miliardi. La raccolta indiretta a 58.569 miliardi contro i 51.996 di fine '96. Molto accentuato il progresso del risparmio gestito, il cui ammontare salito a 25.868 miliardi (+59%). Gli impieghi economici sono cresciuti del 12% fino a 31.263 miliardi. Le sofferenze (al lordo degli interessi di mora) sono al 4,84% del portafoglio crediti. Cfr. Antonio Quaglio, Ambroveneto, congedo in crescita, Il Sole 24 Ore, 26 febbraio 1998, pag. 31. 224

ziendale, del corporate /mance, avendo la capacit di accompagnare le imprese nei loro processi di securitization e di approccio al mercato dei capitali. Significa avere le capacit di accompagnare le imprese nella loro attivit di penetrazione nei mercati internazionali perch in un contesto di globalizzazione, di integrazione dei mercati evidente che l'impresa non pu prosperare se non difendendo il proprio mercato interno e contemporaneamente cercando sbocchi per la propria produzione all'estero (Giampiero Auletta Armenise). Ambroveneto ha iniziato a porsi il problema del riconoscimento dei bisogni e delle specificit del cliente e rispetto a questo ha sviluppato un proprio progtto- ilProgefto Bravo - che si sviluppa lungo cinque canali e che tende a qualificare sia l'azione della banca che quella del cliente. Si tratta di un progetto che prevede la creazione di "cinque banche nella banca". Il progetto ha comportato la riorganizzazione di una serie di filiali (35) nel 1997 e la loro-trasformazione in centri specializzati per le imprese chiamati "centro impresa". Sono queste filiali che devono raccogliere ed affrontare le "sfide" che riguardano la costruzione di un nuovo rapporto tra banca e impresa, a cui faceva riferimento Giampiero Auletta Armenise. Saranno questi i centri di eccellenza in cui la banca concentrer le sue migliori professionalit. I centri impresa lavoreranno con realt imprenditoriali medio-grandi, mentre le imprese con fatturati inferiori ai cinque miliardi continueranno ad usufruire dei servizi bancari tradizionali. Il tetto dei cinque miliardi, anche se flessibile soprattutto in riferimento al tipo di attivit, costituisce un buon discrimine nella selezione delle aziende: al di sopra di questo fatturato i bisogni delle imprese tendono a farsi sofisticati in materia di credito e di servizi bancari. Quindi, le imprese possono utilizzare due tipi di canale: il retati con i servizi tradizionali per le piccole imprese e i centri impresa per le imprese medio-grandi. Anche i clienti privati e le famiglie sono state segmentate in tre tipologie differenti: la clientela classic a reddito contenuto; la clientela executive con redditi superiori; la clientela private con patrimoni (private banking). Ognuna di queste tipologie di clientela trova poi all'interno di Ambroveneto del personale-adeguatamente formato per seguire i loro specifici problemi e bisogni:
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AlPAmbroveneto abbiamo capito che continuando a fare banca come si fatto fino adesso, come si faceva fino a qualche anno fa, era suicida. Le necessit della clientela sono mutate, sia per quella private che per le imprese. In particolare, poi il comparto privato, che non mai stato sufficientemente curato dalla banca in Italia, si evoluto moltissimo. In genere, in Italia, il sistema si preoccupato da sempre delle imprese e non l'ha fatto neanche con forti dosi d'innovati vita. Le motivazioni sono arcinote: la banca era la centro di ogni eventofinanziario.Chi aveva bisogno di qualcosa dal punto di vista finanziario andava in banca sia per versare che per prelevare e, quindi, il direttore di banca era un ottimo vigile urbano, faceva lo smistatore. Noi siamo partiti dal presupposto che comunque gli individui vanno segmentati, ma attenzione: a prescindere dalla segmentazione alla fine ciascuno esprime delle specificit proprie e vuole essere trattato secondo le proprie specificit. Abbiamo perci pensato di fare cinque banche specializzate in una unica banca. Ecco, il concetto del Progetto Bravo consiste in questo: cinque banche in una banca per curare l'efficacia e l'efficienza del contatto col cliente, nella relazione col cliente. A latere, abbiamo messo in pista un altro progetto, meno conosciuto, ma che comunque parte sempre da Bravo, che riguarda la rivisitazione dell'architettura informatica della banca per renderla agile, per renderla snella, per introdurre novit o comunque per essere sempre pronta alle novit. E' un processo di tipo orizzontale a tutti i vari cantieri che hanno interessato questo megaprogetto Bravo e che si chiama progetto Eccellenza. Si ripropone di rivisitare tutti i processi che vanno dal cliente, dalla distribuzione fino alla fabbrica, fino al punto meno conosciuto della banca. C' poi un altro progetto che chiamiamo "orchestrazione dei canali". Ormai, nel mestiere di fare banca c' una sorta di presenza multipla di canali che vanno coordinati, altrimenti si corre il rischio di focalizzarsi su certi strumenti per produrre servizi che si potrebbero ottenere meglio in altro modo e con costi inferiori. Occorre rendere compatibile la gestione di tutti gli strumenti di vendita. Ma, c' un altro aspetto importante che con Bravo abbiamo ritenuto necessario affrontare: la qualit del credito, con l'obiettivo di ridurre, e di molto, le sofferenze. Abbiamo in corso la rivisitazione del modo di fare credito per renderlo sia pi veloce che pi centrato, sostenendo quelle iniziative che effettivamente sono degne e che, quindi, di per s presentano minori rischi. Infine, Bravo prevede la rivisitazione di tutta la "fabbrica" di produzione dei servizi finanziari. Il privato esprime delle esigenze che vanno curate e che fino adesso non sono state perfettamente soddisfatte. Questo il comparto in cui, a mio avviso, esiste un rischio notevole, pi che nel settore imprese, da parte della concorrenza europea, perch nella tecnica di gestione dei fondi altrove c' maggiore esperienza. La parte pi innovativa del Progetto Bravo, comunque, la riorganizzazione della rete commerciale in cinque banche sono le seguenti - due per le imprese: 1. filiali specializzate per le imprese che chiamiamo "centri imprese". Saranno BOSS e gestiranno i rapporti con le imprese che hanno un fatturato superiore ai cinque miliardi; 2. per le imprese minori abbiamo creato dei responsabili presso le filiali retali; - e tre per i privati:

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1. un canale per la clientela a reddito pi contenuto, cio clientela classic (mass market) per la quale sufficiente una gamma di offerta di prodotti standardizzati a costi competitivi; 2. un canale che invece riguarda la clientela pi abbiente e con un reddito superiore. In questo caso affidata a gestori che chiamiamo "gestori executive" ; 3. un canale dedicato alla clientela ricca che abbiamo chiamato "centro private" per i servizi di private banking che hanno un carattere pi relazionale e richiedono una forte personalizzazione. Il principio basilare qual ? Ciascun cliente deve avere un referente che lo cura. In sostanza i canali sono questi cinque allocati in tre stabilimenti, tre negozi, cio: 1. un negozio retail, dove coesistono il gestore privato classic, il gestore privato executive e il gestore delle imprese retail; 2. una filiale corporate, che il cosiddetto centro imprese, dove operano i gestori delle imprese medio grandi che curano in media un'ottantina di clienti a testa, non i 300, i 400 affidati normalmente, numero elevato per consentire la cura con la necessaria attenzione; 3. un canale private o centro private. Ecco perch dico cinque banche nella banca, ma allocate in tre negozi differenti. Questa riorganizzazione anche la conseguenza del fatto che abbiamo capito che necessario mantenere un contatto forte con il territorio e noi intendiamo farlo. Stiamo perci introducendo una serie di strumentazioni che rendono meno necessario il contatto fisico col cliente, ma solo per quanto riguarda l'interattivit, l'operativit corrente. Per dare cos spazio agli aspetti colloquiali, relazionali e per poter avere pi tempo per capire chi il cliente, in quale contesto ambientale opera e cosa effettivamente si deve fare per lui. In particolare, la creazione dei centri imprese ha come obiettivo specifico di capire effettivamente qual la forma di assistenza pi idonea per il cliente. Abbiamo inteso voltare pagina e cercare la soluzione valutando i progetti. Anche per le imprese minori riteniamo sia necessaria la conoscenza dei processi di vita aziendale, della sua organizzazione, perch per dare dei suggerimenti e per anche procurare, se del caso, delle nuove strade di sbocco, occorre conoscere bene l'impresa. Questo quello che noi abbiamo ritenuto di dover fare. In questo modo pensiamo di migliorare il rapporto banca-impresa. ci sono poi delle imprese grandissime che seguiamo in un "super centro impresa" che qui in direzione centrale. Non sono molte, costituiscono una cinquantina di gruppi, per vuol dire che 400, 500 imprese sul territorio nazionale che si seguono direttamente da qui, da Milano. Sono quelle che comunque utilizzano intensamente strumentazioni telematiche. Sono, come dire, orientate ad una autonomia dei servizi notevole e, quindi, solo per le loro occorrenze iterative sappoggiano nella filiale pi vicina al loro centro di esplicitazione economica (Tommaso Cartone).

Il Progetto Bravo si occupa anche della formazione interna coinvolgendo finora 4.000 degli 8.000 dipendenti dell'Ambroveneto e a
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proposito del processo di riorganizzazione e della struttura territoriale dell'Ambroveneto, Tommaso Cartone, nel riconoscimento delle specificit territoriali, parla di "banca federata", perch ogni area territoriale ha un presidio preciso con una sua parziale responsabilit: Per la formazione del personale abbiamo un'azienda specifica, che chiamiamo La Centrale Formazione, che ha sede a Vicenza. Ha una articolazione di tipo territoriale, cio ha diverse sedi sul territorio, proprio perch riteniamo che comunque il territorio presenti delle specificit. Effettivamente alcuni bisogni del Nordest sono di un certo tipo, al Sud sono di un altro e fare banca federata, senza con questo voler evocare niente di politico, giudichiamo che sia un fatto positivo. Oltre che cinque banche nella banca, dal punto di vista della segmentazione territoriale, possiamo dire che abbiamo 14 banche nella banca, perch ogni nostra area territoriale ha un presidio preciso, di contatto. Le aree sono poi conglobate in tre mega zone territoriali presso le quali sono devolute responsabilit di territorio ben precise che coniughiamo con le responsabilit di segmento, cio di quelle cinque divisioni. E' un meccanismo delicato, complesso. E' un processo continuo che va curato con attenzione. E' proprio sulla capacit di realizzare una "banca federata" che si gioca la scommessa del progetto imperniato sulla holding Intesa, cio dell'aggregazione dell'Ambroveneto, della Cariplo e della Carime per un attivo totale di oltre 250 mila miliardi. In questo caso, come in quello di Unicredito, la holding non svolge soltanto la semplice funzione di custode del controllo delle aziende bancarie, ma si trasforma in centro di comando, divenendo a tutti gli effetti una struttura operativa, governata dall'amministratore delegato Carlo Salvatori. Si viene cos a configurare una struttura complessa ed articolata al cui centro c' la holding che governa e fornisce i servizi, alla periferia ci sono le aziende di credito che lavorano sui rispettivi territori, trasformando il loro radicamento territoriale in un vantaggio competitivo. E' interessante notare che anche banche di minori dimensioni, come ad esempio la Cassa di Risparmio di Perugia,112 stiano seguendo l'esempio del Progetto Bravo dell'Ambroveneto, rivedendo le funzioni della loro struttura distributiva sul territorio e dando vita a strutture specializzate per le attivit corporate:

112. Nel 1996, la Cassa di Risparmio di Perugia ha acquisito la maggioranza del Mediocredito dell'Umbria e attualmente si stanno sviluppando una serie di linee operative e gestionali per rendere sinergico il rapporto tra le due banche. Mettendo
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Io sono di provenienza Ambroveneto e, quindi, conosco bene il Progetto Bravo, ci ho lavorato e poi ho diretto il marketing nell'Ambroveneto dal momento in cui venne fatta la fusione con la Cattolica del Veneto. Il problema oggi che c' ancora una reciproca diffidenza tra banca e impresa. La banca sempre stata chiusa e diffidente nei confronti degli imprenditori a causa soprattutto delle reticenze che hanno spesso caratterizzato il comportamento di questi ultimi. Ancora oggi i bilanci di alcune imprese non sono sempre del tutto chiari e trasparenti-

assieme la struttura della Cassa e quella del Mediocredito si ottiene una realt creditizia di tutto rispetto, considerando che operano in un territorio come l'Umbria che ha solo 800.000 abitanti. La Cassa ha, fra diretta ed indiretta, una raccolta di oltre 6.000 miliardi, mettendoci i 3.000 del Mediocredito si arriva ad oltre 9.000 miliardi. Dal lato degli impieghi, la cassa a poco pi di 2.000 miliardi, mentre il Mediocredito a 2.400-2.500: si andrebbe cos a 4.500-5.000 miliardi di impieghi (dati 1996). Nel corso del 1997 la Cassa ha messo sul mercato un aumento di capitale di 140 miliardi, di cui 38 sono andati alla Fondazione che ha ceduto le sue quote e 101 sono rimasti alla Cassa che nel giro di due mesi, contattando tutta la clientela, li ha ceduti a 12.345 nuovi azionisti: Considerando l'entit della popolazione locale, si comprendono sia lo sforzo che stato fatto dalla Cassa, sia la risposta che questo territorio ha dato. Da tale operazione uscita rafforzata la nostra leadership sul territorio, leadership che per chiunque sar difficile scalfire. Arrivare alla quotazione in Borsa sarebbe l'ideale. Noi eravamo partecipati al 98% dalla Fondazione. Quest'ultima ha ridotto la propria partecipazione al 66%, vendendo circa il 30% del proprio pacchetto azionario. A tutela dei nostri azionisti abbiamo fatto qualcosa. Intanto, l'aumento stato estremamente ripartito: 12.345 per 100 miliardi vuol dire una media di meno di 10 milioni a testa. In secondo luogo, abbiamo creato una posta di bilancio di 4,5 miliardi per acquisto di azioni proprie. Il giorno in cui non riuscissimo pi a realizzare lo scambio fra venditore e compratore, questi 4,5 miliardi a bilancio consentiranno di avere un polmone di un certo rispetto per rispondere a queste esigenze. L'ottica, comunque, quella di arrivare nel tempo alla quotazione. La Cassa di Risparmio di Perugia era fino al 1993 un Ente, poi si trasformata in SpA e oggi ha 12.345 azionisti. Nel giro di quattro anni la virata stata totale. Se prima la cultura della banca era quella dell'ente pubblico o, comunque, dell'ente, oggi la cultura deve diventare quella dell'Impresa. Oggi, non ci sono pi stratege politiche "particolari" a cui rispondere, ma solo strategie di impresa. Senza contare i 12.345 azionisti che sono nostri clienti ed ai quali si deve rispondere. Di ci forse non c' ancora piena coscienza. Ci che oggi richiesto un forte impegno in termini di risultato, di efficienza, di qualit del servizio e di qualit del prodotto: solo cos la struttura pu confrontarsi con la concorrenza e con il territorio. E' questo, credo, il passaggio fondamentale per il futuro delle Casse di Risparmio (Renzo Canal).

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Occorre migliorare ed intensificare il dialogo fra questi due mondi. Ci si pu ottenere solo attraverso una migliore conoscenza reciproca. Da una parte, la banca deve offrire delle opportunit e dei servizi di assistenza alle idee che ha l'imprenditore. Dall'altra, l'imprenditore deve accettare di rivolgersi alla banca non solo per avere soldi e finanziamenti, ma anche per avere idee e assistenza, in un rapporto di mutua trasparenza e fiducia. Per arrivare a questo cosa si pu fare? Occorre che la banca locale sia molto pi vicina all'imprenditore. Si parlava prima del Progetto Bravo. Noi come Cassa di Risparmio di Perugia stiamo portando avanti l'idea di fare un'attivit di corporate per quanto riguarda le imprese che hanno un certo volume di fatturato. Stiamo cercando di mettere un paletto tra i 10 e i 15 miliardi di fatturato, facendo assistere queste imprese da una struttura specializzata centrale. La chiamiamo "l'isola". Noi riteniamo che sul nostro territorio una struttura centrale sia necessaria per dialogare con queste imprese, pur senza distaccarle dalla filiale. Certi rapporti non possono essere gestiti solo a livello di filiale. Pensiamo, quindi, di creare una struttura a livello centrale che dialoghi in modo specializzato con questi grandi clienti. Stiamo pensando anche di rivedere la struttura dell'assistenza ai privati e alle famiglie. Questa Cassa abituata ad avere la gente che viene dentro la banca, per tradizione. Non si mai curata di fare una segmentazione di mercato, di vedere quali sono i settori del retati pi qualificati, come gestirli, come dare risposte finanziarie. Sono cose che bisogna fare al pi presto, altrimenti si rischia di rimanere tagliati fuori dal mercato. Per questo stiamo pensando di dividere l'area del privato in due grandi segmenti: quelli di un certo standing, quelli cio che sono portatori di un certo volume di ricchezza, e quelli con un volume pi basso. Non per fare una discriminazione, ma per fare un'offerta differenziata di servizi in modo pi adeguato. La segmentazione del mercato indirizzata a dare una migliore risposta alle esigenze degli artigiani e dei piccoli e medi imprenditori. Se io tolgo il corporate dalla filiale, questo significa che tolgo quello che oggi occupa il direttore della filiale. Un direttore di filiale da chi va oggi? Va dalle aziende pi grandi. Se questi clienti gli vengono tolti, lui ha tempo e spazio per concentrarsi sul segmento pi basso. Dentro alla struttura della filiale noi ipotizziamo di avere un gestore di un certo numero di imprese. Pi di 300 non ne pu gestire, ma le gestisce con un sistema premiarne rispetto ai volumi d'affari. Stiamo lavorando per riuscire ad introdurre un discorso di questo tipo. Questo porterebbe ad una maggiore competizione e produttivit. Queste sono secondo me le risposte agli anni difficili che abbiamo davanti (Renzo Canal).

Proprio al fine di migliorare la propria efficienza ed abbassare i costi, la Cassa di Perugia ha dato vita nel 1994 - insieme alla Cariplo e a quelle di Citt di Castello, Spoleto, Foligno, Rieti, Fermo, Pescara, Chieti ed Ascoli Piceno - a Caricentro, un consorzio che gestisce il sistema informatico di base per tutte le casse con le specifiche per ognuna: L'esternalizzazione dei servizi informatici stato un passo importante per noi: scorporare una parte fondamentale dei costi della struttura, ripartendoli con altre banche, d in effetti grandi vantaggi in termini di economie di scala.

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Anche al Credito Italiano si ritiene che il territorio sia ancora uno dei fattori strategici e a tale proposto la strategia della banca quella di creare una pluralit di sistemi distributivi controllati da una banca nazionale, ma che abbiano una forte autonomia dal centro, in modo da sviluppare la capacit di mantenere un radicamento territoriale. Il modello quello del rapporto che esiste tra il Credit e la controllata Rolo Banca 1473.' 13 A distanza di tre anni dall'acquisizione, il Rolo ha conservato intatto il suo "patrimonio" risultando peraltro "la migliore banca regionale italiana",114 secondo Standard and Poor's:

113. La Rolo Banca 1473 sta raccogliendo i frutti delle iniziative attuate sia sul fronte dell'ottimizzazione delle risorse che su quello delle sinergie avviate con il Credit, fra le quali figura anche il riassetto delle partecipazioni. In particolare, significativi progressi sono stati conquistati sul fronte delle sinergie di produzione (salvaguardando le autonomie di distribuzione), riconfermando quelle capacit operative che avevano consentito di raggiungere in netto anticipo gli obiettivi delineati nel '95 in occasione della fusione fra Romagnolo e Carimonte. Nell'ambito del sistema informatico, nei primi mesi del '97 stata costituita Gruppo Credit Servizi, una societ con sede a Lampugnano che, con un investimento di alcune centinaia di miliardi e 600 persone, consentir di arrivare all'appuntamento con l'euro con un sistema adeguato e multibanca. Altre importanti iniziative sono in corso nzWasset management, ove attiva Credit Rolo Gestioni (che sar ribattezzata Europlus Credit Rolo), societ leader in Italia, da cui emaner Europlus Research and Management con la precisa finalit di monitorare le principali Borse europee. Per fare ci Europlus avr sede a Dublino, in Irlanda, e l'organico sar formato da specialisti a cui sar affidato il compito di fornire servizi per la gestione dei portafogli del gruppo. Iniziative di rilievo sono state attuate anche nel parabancario con l'obiettivo di creare entit di grandi dimensioni. Il leasing stato raggruppato nella Locat, societ quotata e leader del settore con una quota di mercato superiore al 13%, mentre l'attivit di factoring confluita nella nuova societ Credit Factorit International. 114. La Rolo Banca 1473, nata nel 1995 a seguito della fusione tra Carimonte Banca e Credito Romagnolo, ha archiviato il 1997 con 516 miliardi di utile netto (+26,5%), il secondo risultato di tutti i tempi del sistema creditizio italiano, appena un miliardo sotto dei 517 messi a segno dal San Paolo nel '96. Si tratta di una performance che consente al gruppo bancario bolognese, che pu contare su 654 sportelli, di raggiungere un Roe del 14%, in linea con gli standard europei e con il programma di miglioramento della redditivit dell'azienda, che indica il Roe al 17% nel '99. Nel 1997, la raccolta complessiva stata di 115.418 miliardi (+8,7%); gli impieghi economici di 26.310 miliardi (+23,6%); una riduzione dei costi operativi (-2,4%) e delle sofferenze (calate al 2,7%, -25%). Il calo del margine da interesse, pari al 4,15 nel '97, stato ben compensato dal risultato dei servizi (+21%), delle commissioni (+37,2%) e di settori come quello del risparmio gestito (+100%). Infine, da notare che nel 1988-'90 la banca intenzionata a procedere a 300 nuove as-

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Secondo noi il territorio assolutamente ancora da ritenere uno dei fattori strategici. Abbiamo diviso la banca in 11 direzioni territorialiche hanno delle forti autonomie sia sulla parte crediti che su quella prezzi, ma hanno anche delle forti autonomie sul modello organizzativo. Sicuramente far banca in Campania e in Calabria diverso dal far banca in Piemonte e, quindi, assolutamente fondamentale per noi conoscere e capire il territorio e presentare delle soluzioni che siano sufficientemente su misura per ciascun territorio. Per questo, ad esempio, abbiamo modificato molto le carriere con 11 direzioni territoriali, facendole diventare molto pi locali in modo da avere una comprensione maggiore delle problematiche territoriali. Peraltro, sono profondamente convinto che i bisogni, cio il mercato, stanno evolvendo in modo talmente rapido che essere confinati a livello territoriale rappresenta un problema. La tipologia di servizi che oggi viene richiesta e che credo che l'intermediario debba proporre al mercato richiede un impegno a far capire il concetto di rischioVendimento alla clientela. Ho qualche perplessit che le aziende che hanno una dimensione prettamente locale, possano avere la capacit di seguire questo sviluppo in modo strutturale, perch bisogna investire in formazione delle risorse umane, in ricerca, in nuovi prodotti, in nuovi servizi, e cos via. Per questo credo che ci debba essere un decentramento organizzativo e delle responsabilit, ma anche che rimanga fondamentale il fatto di essere all'interno di un circuito pi ampio che ha una capacit di investimento molto maggiore. Ad esempio, con il Rolo il disegno esattamente questo: vogliamo assolutamente tutelare e presidiare la specificit del rapporto con il mercato che ha il Rolo, ma vogliamo anche portare al Rolo tutta la nostra capacit di generazione di prodotti e di modelli di relazione (Alessandro Profumo).

L'obiettivo quello di unire la conoscenza del territorio locale e dei bisogni del piccolo e medio imprenditore tipica delle piccole aziende bancarie locali con la maggiore sofisticatezza dei prodotti e servizi che solo una banca di grandi dimensioni in grado di produrre ed erogare. Si richiedono nuove professionalit, ma anche un tasso molto maggiore di imprenditorialit:

sunzioni. E', inoltre, importante sottolineare che dispone di un free capital di 1.600 miliardi. Risorse grazie alle quali perseguire le strategie di crescita lungo la dorsale adriatica, dal Friuli al Salento. Strategie miranti a consolidare, rafforzandolo, il forte radicamento conquistato in alcune fra le principali aree di operativit. Cfr. Cesare Peruzzi, Profitti da record per Rolo Banca, Il Sole 24 Ore, 26 febbraio 1998, pag. 35; Alberto Nosari, A Rolo Banca 1473 spuntano le ali e il Roe vola oltre il 14%, Il Sole 24 Ore, 28 febbraio 1998, pag. 35.

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Stiamo attuando un cambiamento radicale. L'obiettivo quello di vedere il cliente, l'impresa e l'imprenditore a tutto tondo, poi abbiamo delle strutture organizzative e distributive dedicate che sono competenti sulle problematiche successorie piuttosto che sulla gestione dei risparmi dell'imprenditore. Riteniamo che bisogna avere delle competenze specifiche, ma mantenendo una visione unitaria del cliente. Per questo c' un responsabile della relazione che poi attinge alle competenze migliori che devono essere dedicate ai singoli problemi o dell'impresa o dell'imprenditore. Il modello di relazione fra banche e imprese deve necessariamente cambiare e sono convinto che dobbiamo fare un salto di qualit soprattutto in termini di capacit di comprensione della strategia delle imprese e dell'evoluzione del settore. Dobbiamo avere una grande capacit di assumere una responsabilit nei confronti delle imprese e dell'imprenditore diversa rispetto al passato. Questo vuol dire anche avere una capacit di indirizzo come accade in tutti i paesi in cui le banche o il mercato finanziario hanno un ruolo forte. C' da esercitare un ruolo di regolatore che nessuno ha di fatto svolto finora in Italia. Per questo tipo di nuova missione aziendale sono richieste due cose. Da una parte, occorrono delle nuove professionalit. Cambia il business system che si orienta sempre pi nella direzione dell'erogazione di servizi diversi e differenziati, dal risparmio gestito, alle assicurazioni per le famiglie, dalle emissioni alla finanza aziendale per le imprese. Per quanto riguarda la dimensione territoriale, invece, il vero problema che abbiamo bisogno di un tasso di imprenditorialit molto maggiore. Tipicamente in passato le aziende di credito erano aziende comando-controllo. Oggi, invece, al responsabile sul territorio dico: "Devi avere la capacit di capire il tuo territorio e gestirlo nel migliore nei modi". C' una struttura centrale produce diversi servizi e diverse modalit di fare business, mentre la struttura territoriale deve scegliere quella pi adeguata e metterla in atto. Perci, si deve avere pi un imprenditore piuttosto che un esecutore. Si tratta di un salto notevole che in strutture gerarchiche come quelle bancarie qualcosa di molto difficile da realizzare. In passato la direzione centrale diceva: "Tu fai cos" e buonanotte ai suonatori. Oggi, per far capire il cambiamento di filosofia dico: "Tenete presente che la direzione centrale ha una struttura che organizza una sfilata di moda, voi dovete scegliere il vestito che vi va bene e indossarlo" (Alessandro Profumo).

Infine, un caso interessante di banca impegnata a confrontarsi con la "sfida superiore" quello della Banca di Roma, 115 raccontato da Giancarlo Carmignani, Direttore Generale dell'area territoriale Lombardia. Il bacino territoriale della banca localizzato, per tradizione,

115. La Banca di Roma nasce dalla fusione - avvenuta il 1 agosto 1992 - tra Banco di Roma, Banco di Santo Spirito e Cassa di Risparmio di Roma. La Banca di Roma fa parte, insieme alla Banca Nazionale dell'Agricoltura e alla Banca Mediterranea, del Gruppo Bancario Cassa di Risparmio di Roma. 233

prevalentemente nel Centro e Sud Italia, con una presenza significativa verso Nord (circa 330 sportelli, ovvero 1/4 del totale), anche a seguito dell'apertura di nuovi sportelli negli ultimi anni. La politica di apertura degli sportelli e la gi consolidata presenza sul territorio nazionale hanno portato, necessariamente, la Banca di Roma ad un confronto con il tessuto imprenditoriale a cui tende offrire i suoi servizi, un tessuto dalla trama a "sezione variabile" in termini di strutturazione rispetto alle politiche di sviluppo e crescita (investimenti per l'aggiornamento tecnologico, internazionalizzazione, etc). Infatti, se da un lato, la costruzione delle strategie della banca nell'ottica della domanda intende rapportarsi in modo adeguato ad un territorio di estensione nazionale, dall'altro, deve dimostrare di conoscere il collage di contesti locali che compongono quel quadro nazionale, contesti con le loro peculiarit storiche, di tradizione, di innovazione, di composizione sociale e di strutturazione economico-produttiva. Nel caso della Banca di Roma, questa affermazione assume pi i caratteri di una dichiarazione metodologica di principio che di un'effettiva capacit di analisi del territorio e delle sue dinamiche. Per quanto riguarda l'offerta di prodotti e servizi innovativi, la banca intende operare nel settore del risparmio gestito e nel settore assicurativo per il cliente privato (famiglia) e nel corporate banking per le imprese. Gli investimenti messi in atto riguardano sia i supporti informatici (banca telematica) che il livello di qualificazione del personale di front office in termini consulenza alle imprese medie e piccole. A tale riguardo, stata curata la formazione e la motivazione del personale, anche con apposite campagne di incentivazione interna. Inoltre, sono stati assunti o meglio "comprati" interi uffici di provenienza esterna (ad esempio, operatori di finanza estera per operazioni di project financing e per attivit di merchant banking):
Le imprese, fino a poco tempo fa non potevano fare nulla. Tutta l'attivit con l'estero era regolamentata, le attivit sui derivati finanziari erano addirittura vietate. Oggi, naturalmente l'impresa ha una necessit di avere dall'altra parte una persona che in grado di offrirle servizi e prodotti di elevatissima sofisticazione. Le banche non hanno al loro interno esperienza in questo campo, perch questo tipo di attivit normalmente era vietato. In questo settore lo sforzo della banca elevato. Ci siamo aperti alla esperienza di altri settori pi avanzati "culturalmente" acquistando, se mi consentito il termine, la conoscenza di cui eravamo privi. Grazie all'assunzione di uomini provenienti da altre realt, dall'estero o da societ estere o-

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peranti in Italia, oggi la Banca di Roma pu operare anche nel comparto del merchant banking con grande professionalit. Analogamente avvenuto per il project fnancing. Questi comparti sono formati da personale non bancario. Queste specializzazioni non sono state acquisite attraverso la crescita all'interno della banca, ama acquisite dall'esterno, proprio acquisite. Rispetto al panorama bancario italiano, la banca di Roma pu vantare una notevole presenza sulle piazze finanziarie mondiali, come Londra, New York, Chicago, Parigi, nonch in Medio Oriente, Cina, Giappone, Hong Kong, Singapore e Australia, e sulle aree dei Paesi dell'Est e del Mediterraneo dove operano le medie imprese (ad esempio, uffici o filiali in Libano, Marocco, Algeria, a Praga e a Mosca). La filiale a Shangai rappresenta il primo sportello operativo in Cina di una banca italiana, mentre il resto della rete estera costituita da 17 filiali e 9 uffici di rappresentanza a cui si affiancano gli istituti operanti all'estero controllati dalla banca - la Banque Generale du Commerce, la Banca di Roma International, la Banca Italo-Albanese e la Banca di Roma Caribean. Inoltre, rispetto alle politiche di project fnancing, la banca ha stabilito degli accordi informali con banche estere (Paribas e banche inglesi) per cui queste allestiscono il progetto e la Banca di Roma aggiunge, ai soggetti gi interessati all'operazione, gli attori della sua rete disponibili o da coinvolgere: Per quanto riguarda il project fnancing, posso dire che un comparto che avr un enorme sviluppo in futuro, ma delicatissimo. Occorrono delle specifiche competenze che, dobbiamo dirlo, in Italia non abbiamo, ma che ogni banca di un certo livello sta cercando di creare. Le banche che hanno una grande esperienza sono statunitensi, inglesi, francesi. Allora, noi stiamo cercando di imparare, aggregandoci. Abbiamo fatto accordi informali con altre banche e operatori. Abbiamo detto: "Noi non siamo in grado oggi di assumere la leadership del pool, del progetto, dell'equipe, ma siamo disponibili a concorrere con voi in questo rischio valutando quello che voi ci proporrete. Quindi, quando avrete un'operazione, la esaminate, la prospettate e noi possiamo venire con voi. La parte di studio e valutazione, per, la fate voi perch noi non siamo in grado di farla. Noi, d'altra parte, vi assicuriamo che possiamo avere clienti nostri che hanno necessit di un'attivit come questa e ve li portiamo." Stiamo facendo un certo lavoro in questo senso, perch stiamo crescendo insieme. In Italia ci sono state diverse operazioni in questi ultimi tempi che sono state esaminate e portate a termine in questo modo. Le banche all'estero sono molto avanzate in questo senso. Hanno veramente dei supporti di specialisti in grado di gestire queste operazioni. Poi, c' un particolare, bisogna anche saper scegliere gli

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specialisti, gli studi professionali che in Italia non ci sono perch non c' esperienza in questo campo. Ecco perch noi abbiamo seguito questa strada. Noi abbiamo al nostro interno qualcuno che si occupa di questo, che si sta specializzando attraverso la frequentazione e lo studio a fianco di banche estere. Ci accodiamo umilmente, non possiamo fare diversamente, anche perch la sola presenza di specialisti in settori cos delicati che comportano l'assunzione di rischi elevati e per lunga durata, non sufficiente. E' necessario che si formi in banca un'adeguata cultura a tutti i livelli. In primis, occorre che gli organi deputati ad assumere tali rischi acquisiscano la capacit di valutare con rapidit, ma approfonditamente, tutti gli elementi di giudizio necessario. Noi potremmo prendere dal mercato, strapagandolo, il migliore esperto del mondo. Questo dopo un mese in banca non ci verrebbe pi, andrebbe a trovarsi un'altra sistemazione dove l'ambiente di lavoro sia pi vicino alla sua formazione ed esperienza professionale (Giancarlo Carmignani).

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L A BANCA VIRTUALE

Come abbiamo visto, ristrutturare il sistema bancario non significa solo tagliare i costi, ma soprattutto fare nuovi investimenti sia nell'acquisizione di risorse qualificate sia nella riconversione di quelle disponibili. Vince chi pi efficiente e ridisegna le propri procedure, introduce automazione ed in grado di usare canali a basso costo. C' poi la via dell ' outsourcing: le banche sono abituate a fare tutto la proprio interno in modo non specialistico e senza economie di scala; affidare mansioni a societ esterne a pi basso costo diventa, quindi, una via da praticare con successo. Negli ultimi tempi, le trasformazioni all'interno delle banche, e nel rapporto tra loro ed i clienti, si sono susseguite a ritmi sempre pi accelerati. Oggi, nell'era dell'informazione globale, anche il denaro si trasformato in informazione e non ha apparentemente pi bisogno, per essere conservato o trasferito, dei forzieri di una banca o del supporto cartaceo delle banconote. In questo contesto, le banche sono alla ricerca di un nuovo ruolo ancora tutto da definire: Con il crescere delle transazioni elettroniche, le banche rischiano di diventare sempre pi agli occhi del cliente come una sorta di scatola nera, poco pi di una centrale elettronica che risponde solo agli input di una tastiera: il legame di fiducia e conoscenza diretta tra chi affida-il proprio denaro e chi spende conoscenze ed esperienza per farlo "fruttare" tende a divenire meno importante; inoltre, la rapidit con cui l'innovazione tecnologica si afferma, abbassa le barriere d'ingresso per nuovi concorrenti. Vorrei sottolineare, per, come proprio le tecnologie informatiche e la loro convergenza con quelle delle telecomunicazioni stanno offrendo alle banche opportunit totalmente impensabili in passato: grazie alla telematica lo sportello si rende accessibile al cliente dovunque si trovi, non pi solo al cash di-

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spenser per strada o direttamente in negozio, ma persino nel soggiorno di casa. 11 remote e il phone banking si sviluppano e sembrano preludere ad un futuro non lontanissimo in cui vi sar la possibilit di accesso completo ai servizi e alle attivit di sportello grazie all'impiego anche da parte del cliente delle reti telematiche: molte banche sono gi sbarcate su Internet che al momento degno di nota pi per la sperimentazione di nuove tecniche di marketing di comunicazione che come vero e proprio tentativo di home banking. Restano, infatti, da risolvere non pochi problemi legati alla sicurezza ed alla validit degli atti e delle transazioni (Renato Bartesaghi). Per quanto riguarda l'innovazione tecnologica c' chi sottolinea che occorre distinguere tra clientela generica e le imprese. Nel primo caso, infatti, bisogna tenere conto che la societ italiana va incontro ad un fortissimo invecchiamento e con le fasce anziane che probabilmente disporranno di risorse crescenti. Per cui, in questo contesto la strada di una tecnologizzazione spinta da intraprendere con molta cautela: Sull'innovazione tecnologica e sui servizi telematici si sta lavorando molto. Per, le segnalo una discussione molto interessante. Il remote banking, e l'home banking sono tutte cose vere, ma attenzione, se si parla di clientela generica, cio di quelli che hanno depositi, noi dobbiamo tenere conto che abbiamo una popolazione italiana che in fortissimo invecchiamento. E probabilmente sono le fasce pi anziane che disporranno dei redditi maggiori, nei prossimi anni. Parlo in termini relativi e non in termini assoluti, ma sicuramente gli anziani staranno meglio dei giovani per un po', anche se sembra paradossale. Allora, ha senso una fortissima tecnologizzazione quando hai una clientela che istintivamente, per ragioni naturali, comprensibili, legate all'et, in una condizione di partenza di scarsa alfabetizzazione informatica sar sempre pi diffidente rispetto a questo tipo di cose?. Su questo noi abbiamo scritto dei documenti intemi per lanciare qualche segnale di cautela. Non siamo convinti che una banca che pure ha una fortissima dispersione territoriale dei depositi, necessariamente azzecchi la strategia se si tecnologizza al massimo (Marco Camoletto). Ad ogni modo, in tendenza, appare la banca virtuale, che la strategia che riguarda principalmente le societ di assicurazione e gli operatori finanziari che dopo le "avventure" in campo immobiliare, si trovano a dover diversificare la propria operativit ed a cercare nuovi canali di finanziamento. La scelta del virtuale dipende dagli evidenti riscontri dal punto di vista dei costi d'impianto, ma a dettare questo tipo di scelta contribuisce la valorizzazione della rete di promotori di prodotti finanziari presenti sul territorio. Infatti, ai promotori sar richiesto di effettuare quella parte di accompagnamento, alla alfabetizzazione informatica dei clienti, che il vero nodo di qualsiasi progetto virtuale. I promotori finanziari sono dei piccoli imprenditori che hanno come atti-

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vita quella di proporsi in termini di consulenti per la costruzione dei portafogli dei singoli risparmiatori, aiutandoli nella scelta dei mercati, ma soprattutto nella identificazione dei propri obiettivi di investimento, nel timing di investimento, nella valutazione della propria predisposizione al rischio, in modo da costruire con lui un corretto assets allocation. Cos, ad esempio, dal racconto di Giovanni Pirovano e di Vittorio Colussi emerge che la Banca Mediolanum ha una struttura leggera," 6 con costi operativi sotto il 10%, fatta di promotori finanziari che sono disponibili tutti i giorni dalle ore 8.00 alle ore 22.00 e il sabato fino alle ore 12.00. A loro faranno riferimento gli agenti territoriali e si cerca di non fare banca fisica. Nessuno viene assunto e si lavora a risultato conseguito.117 Anche il sistema di formazione in relazione all'obiettivo di diminuzione dei costi: formazione via cavo (Tv) e riguarda la vendita, il fare banca, le caratteristiche dei prodotti e le procedure. Nei primi due mesi di apertura della nuova banca virtuale Mediolanum (novembre e dicembre 1997) i nuovi conti correnti aperti sono stati 10 mila (per un totale depositato di 150 miliardi), ma soltanto il 10% di questi clienti, poco meno di 1.000, hanno gi trasferito il loro titoli sul nuovo conto. Il dossier titoli mediamente di 50 milioni a cliente, per un totale di 50 miliardi. Quando anche l'altro 90% di clienti avr trasferito sul conto Banca Mediolanum il suo dossier titoli, saranno altri 450 miliardi, che andranno ad aggiungersi a quelli che la rete di 3.000 venditori raccoglie gi in Fondi e polizze vita. E questo senza considerare che l'apertura di nuovi conti prosegue spedita, tanto che l'obiettivo di 80 mila posizioni entro l'aprile 1999 potrebbe essere raggiunto in anticipo. Si conta che tutti gli attuali 400.000 clienti del gruppo Mediolanum possano gradualmente diventare clienti della banca.

116. Banca Mediolanum nata a seguito della trasformazione in banca delle reti vendita del gruppo Mediolanum SpA che oltre alla banca formato da altri due pilastri principali, la Mediolanum Vita e la Mediolanum Gestione Fondi. Per il gruppo Mediolanum, l'apertura della banca virtuale chiude il cerchio dell'offerta globale di servizi finanziari. Il gruppo ha raggiunto nel 1997 una massa amministrata di 8.000 miliardi in Fondi, 6.000 in polizze vita e i primi 150 in conti correnti e dossier titoli. 117. Nella banca virtuale i promotori finanziari della Mediolanum hanno una peculiarit rispetto a quelli di Fideuram (Banca Fideuram) e di Dival (Rasbank): ad essi, infatti, dato di conoscere tutti i tipi di rapporto instaurati con il cliente. In questo modo, i promotori diventano come dei "direttori di filiale", ma a provvigione.

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Per le sue caratteristiche innovative interessa principalmente un pubblico familiare metropolitano localizzato in aree residenziali, che non deve ricorrere di continuo alla banca per lavoro. La banca virtuale, infatti, elimina il problema di dover fare le code agli sportelli e di dover rispettare gli orari d'ufficio. Una volta ricevuti i codici di accesso e sicurezza, recarsi fisicamente in agenzia non pi necessario, perch usando il telefono si pu fare qualsiasi operazione bancaria: avere il saldo del conto corrente, leggere gli ultimi movimenti, disporre bonifici, acquistare titoli. Nessuno sportello, operazioni e informazioni via telefono 24 ore su 24, costi competitivi, spese ridotte rispetto alle tradizionali banche. Il modello di banca virtuale l'ultima frontiera del credito, un passo in pi rispetto ai servizi di informazione telefonica on line offerti da qualche tempo dalle principali banche. Banca Mediolanum, Area Banca, Ras Bank, Ing Bank, Banca Manager (joint venture tra Banca di Roma e la Fndai - Federazione nazionale dei dirigenti d'azienda), Banca Generali sono solo i primi istituti di credito virtuale che hanno iniziato l'attivit negli ultimi mesi in Italia. Entro giugno partir anche il Banco Ambroveneto con Proxima, e altri istituti di credito stanno mettendo a punto altre iniziative. Con meno personale stipendiato e minori costi fissi di gestione, questi istituti propongono conti e formule interessanti. I tassi di interesse sui conti correnti, per esempio, sono in genere di due punti superiori. Non mancano poi altri vantaggi: prima di tutto la possibilit di ricevere consulenze finanziarie a casa, grazie alla rete di promotori finanziari e, quindi, di acquistare prodotti come i fondi o di sottoscrivere gestioni patrimoniali e polizze assicurative direttamente dal proprio domicilio. Inoltre, Ras Bank offre prelievi gratuiti dagli sportelli bancomat di qualsiasi banca, in tutta Italia, e rilascia senza spesa la carta di credito CartaS. Banca Mediolanum d la possibilit di ricevere l'estratto conto via fax (pagando 1.500 lire) o di consultarlo direttamente in televisione sul Media Video delle reti Mediaset. Anche Area Banca (legata all'omonima Sim di promotori) garantisce un servizio simile: i clienti possono vedere sullo schermo di casa tutti i dati relativi al conto, ai depositi, al portafoglio titoli usando il Telematch, uno strumento che collega telefono e televisore.

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Nel caso in cui il cliente avesse bisogno di fare delle operazioni "reali", come versare un assegno o ritirare valuta estera, le banche virtuali si appoggiano a sportelli reali. I correntisti di Banca Manager fanno capo alle agenzie di Banca di Roma, Banca Nazionale dell'Agricoltura e Banca Mediterranea. Quelli di Ras Bank al Credito Italiano. Quelli di Banca Mediolanum alla Comit. Area Banca sta aprendo un franchising in tutta Italia una serie di Area Business Center con propri sportelli.

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BANCHE E TERRITORI: ALCUNE CONSIDERAZIONI DI SINTESI

In passato, nell'Italia del Nord il legame tra banca e territorio stato estremamente stretto sia dal lato dei depositi che da quello degli impieghi. I risparmiatori versavano i loro soldi allo sportello bancario sotto casa (molto spesso parte della rete di una banca locale), mentre le banche conoscevano molto bene le imprese localizzate nelle vicinanze dei loro sportelli. Per il futuro, c' la possibilit di vedere una notevole diminuzione dell'importanza del legame tra banca e territorio. Con l'integrazione europea, e la conseguente integrazione dei mercati finanziari, e con l'espansione delle reti telematiche non ci sar alcun motivo necessario per cui il singolo risparmiatore debba affidare i propri risparmi alla banca che ha sotto casa quando invece potr comodamente, attraverso transazioni per via rete telematica, impiegarli in altri modi. Quindi, dal punto di vista dei depositi, dei risparmi delle famiglie, ci potr essere una diminuzione del rapporto tra banca e territorio. Le esperienze internazionali che si vedono di banca a distanza e di banca telefonica sono estremamente significative da questo punto di vista. Per quanto riguarda gli impieghi ci sar forse uno spazio per un legame banca-territorio anche se questo potr essere pi debole rispetto ad adesso. Il piccolissimo imprenditore, che rappresenta una parte importante del tessuto produttivo del Nord d'Italia e che spesso ha un bilancio aziendale poco trasparente, riuscir ad avere del credito soltanto da un banchiere che lo conosce personalmente. Ma, le medie imprese e le piccole imprse pi evolute sono clienti che il sistema di banca locale corre il rischio di perdere, a meno che non riesca ad offrire dei servizi molto buoni a prezzi molto competitivi. Questo le banche italiane faranno fatica a farlo perch sono troppo piccole e, quindi, non possono godere di economie di scala. Bisogner vedere quanto saranno brave a
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sfruttare il servizio di prossimit al cliente come valore aggiunto per il cliente stesso, facendosi cos perdonare i loro costi elevati. Per, alte sono le probabilit che alla fine vincer chi avr costi bassi. Per capire quali possono essere le possibili evoluzioni del rapporto tra banche e territori nel contesto dell'Italia centrosettentrionale conviene forse provare ad osservare l'evoluzione che hanno conosciuto le grandi banche straniere. Si pu notare come queste "da une si stanno facendo trine", organizzandosi in tre business separati. Questa separazione gi evidente sotto il profilo divisionale e in alcuni casi sta diventando addirittura una separazione di tipo societario: c' una banca per le famiglie, una banca per le grandi imprese, una banca per le piccole e medie imprese. C' una logica molto forte dietro questa separazione che riguarda i mercati e le strutture dei costi. In prospettiva, si pu dire che il business bancario per le famiglie e quello per i grandi clienti sono attivit per le quali, per motivi assai diversi, saranno molto importanti le economie di scala. Le banche delle famiglie tenderanno ad erogare prodotti standardizzati con un enorme impiego di risorse informatiche e di reti di telecomunicazioni:
Tipicamente in queste attivit sono forti le economie di scala e, quindi, credo che sia legittimo ritenere che questa parte del business bancario si slegher, probabilmente, in misura crescente dal territorio. Da questo punto di vista, le banche italiane sono in un certo senso in una posizione pi debole di altre perch per vari motivi hanno costi pi elevati e, quindi, i servizi standard di conto corrente che vengono offerti alle famiglie, potranno essere oggetto di concentrazioni in grandi strutture bancarie o addirittura, per alcune parti di migrazioni (Luigi Prosperetti).

Per motivi diversi, ma non troppo, si potrebbe fare un discorso analogo per quanto riguarda l'attivit bancaria corporate, cio nei confronti dei grandi clienti (grandi imprese) che richiedono un range di servizi estremamente ampio. Una grandissima parte di questi servizi sono da espletare su mercati internazionali e, quindi, richiedono che le banche che li offrono abbiano nelle principali piazze finanziarie e commerciali mondiali delle squadre di persone molto specializzate e molto ben pagate. L'operativit globale che su questo mercato richiesta e la grande disponibilit di Information and communication technology, sono delle condizioni necessarie per essere competitivi e richiedono investimenti consistenti:
Bisogna operare in real tinte, avere i sistemi sofisticati di trading e di posizionamento... Tutto, dalla compravendita di titoli alla valutazione dei bilanci, fatto ormai via computer e attivit informatica. La tecnologia rappresenta almeno l'80% della no243

stra attivit. E vogliamo continuare ad essere all'avanguardia, per questo continuiamo ad investire ogni giorno per avere i migliori sistemi. Tra l'altro li costruiamo al nostro interno. Abbiamo un settore che si occupa proprio del disegno dei pacchetti di software, adeguando i programmi alle nostre esigenze (Galeazzo Pecori Giraldi). Nella situazione in cui si trovano le banche italiane, con una diminuzione dei ricavi; .con costi crescenti e con margini in compressione e tassi pi bassi, si pu ipotizzare che lo spazio per nuovi cospicui investimenti per potenziare questo tipo di servizi sia piuttosto ridotto. Naturalmente questo accelerer i processi di ristrutturazione e fusione, ma il distacco competitivo abbastanza grande e pertanto si pu ritenere che la competizione sia veramente difficile. Per questi motivi, gli operatori intervistati ritengono che quello dei servizi ai grandi clienti sia un segmento di business scarsamente difendibile da parte delle banche italiane, salvo che esse non formino delle coalizioni con banche internazionali: Le attivit bancaria nei confronti dei grandi clienti sono soggette a forti economie di scala, per cui mi aspetterei una graduale migrazione di una parte di questo business. Questa migrazione pu essere fatta in molti modi. Un grande cliente pu cominciare ad andare direttamente sulla National Westminster per certi servizi, oppure una banca locale pu vendere al grande cliente i servizi che compra dalla National Westminster... (Luigi Prosperetti) Ci che rimane il business bancario con la piccola e media impresa e con la famiglia benestante che ha delle risorse da investire in modo non banale ed questa la parte di attivit bancaria per la quale il radicamento sul territorio rimane un vantaggio competitivo fondamentale: Quando parliamo di rapporti tra banche e territorio il caso di parlarne in modo disaggregato, analizzando le diverse tipologie di attivit bancarie, mettendo in conto che solo questione di tempo che alcune se ne andranno, migreranno, andranno su Internet e che altre migreranno a Londra e Francoforte, ma che la gran parterimarrlocale soprattutto in Italia Centro settentrionale dove la piccola e media impresa il cuore del tessuto produttivo (Luigi Prosperetti). La partita tra banca e territorio nei prossimi anni si giocher sulla piccola e media impresa e sulle famiglie benestanti che hanno dei fondi da investire in modo non banale. A tale proposito, occorre osservare che le banche regionali dell'Italia settentrionale siano posizionate molto bene da questo punto di vista. E' possibile prevedere, invece, che sulle altre parti del business bancario ci saranno altri attori che, lentamente, ne assorbiran244

no una grande quota. Naturalmente, anche per la banca regionale si pone un problema di economie di scala, quindi possibili ipotizzare che assisteremo a dei processi di concentrazione, di ottimizzazione e anche di riduzione delle reti. Le banche italiane hanno raddoppiato il numero degli sportelli negli ultimi 10 anni. La logica era quella di presidiare il micromercato locale, salvo poi - come nota Egidio Giuseppe Bruno, vicepresidente del Credit118 - aver scoperto adesso che gli sportelli sono troppi: In cinque anni le banche hanno aperto 8 mila nuovi sportelli sul territorio nazionale. Hanno dovuto farlo, non c'era scelta, giacchE chiunque non avesse partecipato alla corsa si sarebbe trovato con una base di clientela erosa dai concorrenti e con quote di mercato saccheggiate. Sta di fatto che abbiamo investito come sistema una cifra non di molto inferiore agli 8-10 mila miliardi; abbiamo creato almeno 30 mila nuove posizioni di lavoro. Oggi, con 23 mila sportelli bancari sul territorio, l'offerta bancaria probabilmente sovrabbondante. In Europa gli sportelli si chiudono; in Italia, prima di aver ammortizzato gli investimenti fatti, ci troviamo ad averne troppi. Si pensi, ad esempio, che in provincia di Como, dove pure c' un'impresa ogni 10 abitanti (1 ogni 4 nuclei familiari) che opera, ci sono 270 sportelli bancari, di cui 52 nella sola Como (82.000 abitanti), 18 a Cant (36.000 abitanti), 15 a Erba (18.000 abitanti). Oppure, si pensi che in provincia di Brescia ci sono ben 16 banche locali con 388 sportelli, mentre altre 35 banche presenti, ne hanno 223, per un totale di oltre 600 sportelli: La proliferazione degli sportelli servita a due fini. Da un lato, il fine strategico di raggiungere maggiore capillarit, probabilmente in parte sbagliato perch poi hanno esagerato anche a causa del perseguimento del secondo fine r cio l'utilizzazione delle risorse. L'apertura di nuovi sportelli rappresentava un modo per dire che si utilizzavano le risorse. Nelle banche, cos come nelle aziende pubbliche, dietro alle cose c' sempre questa vecchia cultura: creare fabbriche di occupazione. E allora se mai trovo una strategia come quella dell'apertura frenetica di nuovi sportelli che forse buona e mi occupa della gente, diventa una strategia meravigliosa. E' come avere un grande tappeto dove mettere sotto la polvere (Marchetti). Nei prossimi anni, gli sportelli diminuiranno inevitabilmente. Inoltre, sar evidentemente richiesta una capacit di innovazione alle banche, una capacit di interpretare i bisogni che richiede uno sforzo di cambiamento, di orientamento al cliente che esse hanno certamente intrapreso, ma che ancora vedono notevoli spazi di miglioramento possibili.
118. Egidio Giuseppe Bruno, Banche italiane, tardi per internazionalizzarsi, Il Sole 24 Ore, 13 febbraio 1998, pag. 35.

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LE FONDAZIONI BANCARIE

Un nodo che delineer in maniera pi chiara il rapporto tra banca e territorio sar l'evoluzione delle Fondazioni bancarie. Queste, normate dalla Legge Amato/Carli n. 218/90 e dal relativo decreto legs di attuazione n.356 s.a., per smuovere "la foresta pietrificata del credito" italiano e, quindi, per modernizzare il sistema delle Casse di Risparmio (oltre che alcune grandi banche come il Montepaschi, l'Istituto Bancario San Paolo di Torino, il Banco di Napoli, etc), attraversano una fase di grande incertezza.119 Non sono delle vere Fondazioni filantropiche all'anglosassone,120 n dei veri azionisti in grado di esigere degli utili perch se le Fondazioni sono delle holdings, allora devono almeno dotarsi di una vera struttura manageriale da holdings. Poche sono le Fondazioni che finora hanno cercato di darsi un assetto, un organizzazione e, soprattutto, dei programmi e delle strategie adeguate.

119. Cfr. Acri, Primo rapporto sulle Fondazioni bancarie, Acri, Roma 1996; Acri-Cnel, Il dibattito sul primo rapporto sulle Fondazioni bancarie: problemi, prospettive, indirizzi, Acri-Cnel, Roma 26 giugno 1996; Acri, Secondo rapporto sulle Fondazioni bancarie, Acri, Roma, 1997. 120. Nel mondo anglosassone, da una parte c' la grant-making foundation e, dall'altra, la community foundation. fra i due tipi di Fondazione le differenze sono evidenti (cfr. Pippo Ranci e Gian Paolo Barbetta, a cura di, Le Fondazioni bancarie italiane verso l'attivit grant-making, Fondazione Giovanni Agnelli, Torino, 1996). Le grant-making foundations intervengono soprattutto sul terreno dei grandi progetti, mirati ad ambiti specifici, nei campi pi diversi - dalla ricerca scientifica alla salute, dall'arte all'assistenza agli indigenti, che spesso rispecchiano le esigenze di im-

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La Legge Amato/Carli ha rappresentato il tentativo di attivare un processo di modernizzazione del sistema bancario italiano in vista dell'inevitabile confronto con il mercato europeo. La Legge Amato/Carli stata nel complesso fortemente innovativa, in quanto ha posto le premesse giuridiche per la privatizzazione di tutte le banche pubbliche e, quindi, la loro trasformazione da "istituzioni" ad "imprese" societ per azioni, prevedendo particolari benefici fiscali per il conferimento dei beni detenuti dagli enti alle neonate SpA. Le imprese bancarie italiane, in gran parte imprese pubbliche, erano cresciute con un ambito di operativit territoriale e/o settoriale relativamente protetto e con un profilo di efficienza molto basso rispetto alla media europea. Anche volendo

magine dei finanziatori. Per, non si tratta di finanziamenti a pioggia perch ciascuna Fondazione individua una ben determinata mission da perseguire e in funzione di questa si dota di un'adeguata capacit per selezionare le organizzazioni da aiutare. In questo modo, quanto pi sar capace di pretendere, come requisito per concedere i fondi, non solo che i programmi portati avanti siano coerenti con le sue finalit, ma anche, e soprattutto, che siano rispettati i rigorosi standard di gestione tesi a garantire un uso efficiente dei fondi erogati; tanto pi ampia potr essere la realizzazione delle sue finalit e, quindi, la sua incidenza sulla realt sociale. Le community foundations, invece, sono di solito espressione di municipi, di contee oppure di organizzazioni sociali: assegnano borse di studio, acquistano attrezzature per ospedali, canalizzano fondi per interventi di tutela ambientale o di promozione culturale e cos via. Secondo Giuliano Segre, Presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Venezia, in termini di politica di bilancio, le Fondazioni italiane debbono cercare di ispirarsi maggiormente al modello della grant-making foundation, orientandosi pi sulla spesa in conto capitale che sulla spesa di parte corrente: Dunque non pi contributi di liberalit, ma interventi strutturali: non un contributo ad un museo, ma la costituzione con il soggetto titolare del museo di una societ di gestione di servizi museali, come la legge Ronchey consente e sollecita; non un contributo ad un teatro, ma la partecipazione alla costituzione delle Fondazioni che il recente decreto legislativo per gli enti lirici impone; non un contributo per il restauro, ma un intervento formativo e di laboratorio per le attivit di restauro, come il mercato ormai richiede; non un contributo alla universit o alle scuole locali, ma la collaborazione alla costituzione di nuove strutture, magari cogestite da pi universit contemporaneamente, come oggi ormai consentito, o la istituzione di stage per studenti medi, in collaborazione con le Agenzie regionali del lavoro; non pi, infine, contributi generici alle organizzazioni volontarie di assistenza e neppure pi erogazioni filantropiche, ma attivazione e guida di centri previsti dalla legge sul volontariato.

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tralasciare le interferenze di tipo politico, era evidente che non erano sufficientemente competitive e per di pi erano quasi tutte sottocapitalizzate. Dal momento che non era possibile n ricapitalizzarle con capitali pubblici, date le condizioni del bilancio dello Stato, n andare sul mercato e chiedere dei capitali per delle banche pubbliche, la privatizzazione divenne la via da seguire anche se, nel corso del dibattito parlamentare, nella Legge Amato/Carli venne inserita una clausola che vincolava le Fondazioni bancarie a detenere il controllo al 51 % delle azioni delle banche trasformate in SpA (clausola che scomparve solo con la legge 474/94 in materia di privatizzazioni). La Legge Amato/Carli introdusse la trasformazione delle banche pubbliche in SpA che la forma giuridica pi adatta a presentarsi sul mercato per raccogliere capitali, per lasci in sospeso il problema della propriet di alcune grandi banche come il Monte dei Paschi di Siena, il San Paolo di Torino, il Banco di Napoli e delle circa 80 Casse di Risparmio tra cui alcune, come Cariplo e Cariverona, di dimensioni notevoli. Questi istituti erano in gran parte enti morali, alcuni erano gi enti in forma fondazionale, altri, sotto forma di associazione, erano enti morali senza fine di lucro che destinavano i profitti alla beneficenza e, quindi, avevano delle proprie finalit di pubblica utilit. Proprio partendo da questo, l'idea inserita nella Legge Amato/Carli fu quella di fare s che questi enti conferissero la propriet dell'attivit bancaria ad un'azienda bancaria costituita sotto forma di SpA, residuando in cambio una Fondazione. Ad ogni modo, anche con questa soluzione sono rimasti in piedi due problemi fondamentali: quale la natura giuridica di queste Fondazioni? Hanno natura pubblica o privata? E' pur vero che la Legge Amato/Carli stabilisce che le Fondazioni hanno piena capacit giuridica di diritto pubblico e privato, ma anche vero che molti di questi enti (ben 42 su 81) erano nati originariamente in forma associativa tra privati (quelli sorti nei territori dell'ex Stato pontificio), dove le istituzioni locali sono a malapena rappresentate,121 e l'unico elemento di pubblicizzazione era
121. Cos, ad esempio, i soci della Fondazione Cassa di Risparmio di Roma, un'associazione privata che nata nel 1836, sono 175, di cui 122 (quasi il 70%) sono "scelti fra cittadini italiani di piena capacit civile, di indiscussa probit e onora-

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stato l'intervento legislativo ai tempi del fascismo per nominare i presidenti e i vicepresidenti da parte del Ministero del Tesoro (mantenuto fino al referendum popolare abrogativo del 1993). Ad ogni modo, importante sottolineare che le Fondazioni si ritengono gi organismi privati a tutti gli effetti, nonostante sia solo il disegno di legge delega Ciampi/Pinza a dirimere ufficialmente l'interrogativo sulla loro natura giuridica; di chi sono le Fondazioni? La risposta pi plausibile sembra essere: di nessuno. Ossia, alcune di queste Fondazioni hanno delle assemblee, alcune le hanno create, ma gran parte hanno solo dei consigli di amministrazione. Negli statuti con cui queste Fondazioni sono state create sono stati stabiliti degli scopi sociali - promozione della ricerca scientifica, istruzione, investimenti a tutela del patrimonio artistico, sanit e volontariato - e sono state stabilite le norme per la nomina del consiglio di amministrazione.122 Quasi ovunque, queste norme hanno ricopiato fedelmente le norme per la nomina dei vecchi consigli di amministrazione delle Casse di Risparmio e, quindi, ci sono enti con diritto di nomina che sono: le Camere di Commercio, le Province, i Comuni e altri soggetti pubblici. E' chiaro che il diritto di nomina non

bilit, annoverabili fra le persone pi rappresentative delle categorie economiche e professionali e dei settori cui si rivolgono le finalit istituzionali dell'ente". Un club di amici di altissimo livello, nel quale, per, non possono essere ammessi gli amministratori di enti locali. I restanti 53 posti sono riservati, ma solo gradualmente (nella misura del 30% di quelli che si renderanno vacanti ogni anno) ad altrettanti enti ed istituzioni (l'Enea, il Cnr, l'Istituto centrale per il restauro, le Universit di Roma, Milano e Napoli, l'Ice, il Poligrafico dello Stato, i consigli degli ordini professionali e le Camere di Commercio, ma pure 17 enti locali, fra cui il Comune di Milano e la regione Lombardia). Un numero analogo di soci ha anche l'Ente Cassa di Risparmio di Firenze, una delle principali Fondazioni che derivano, come quella di Roma, da una forma associativa. Sono 150 in tutto, e di questi, 45 dovrebbero essere designati dagli enti locali e dalle varie istituzioni. Gli altri sono privati cittadini. 122. Bisogna considerare che per quanto riguarda le Casse di Risparmio, l'operazione di separazione fra Cassa e Fondazione stata ultimata entro il 1993. L'ultima operazione di questo tipo ha riguardato il Montepaschi nel 1995. Gli statuti delle Fondazioni non corrispondono ad uno statuto tipo, che non mai stato redatto, ma sono stati approvati tutti contestualmente in pochi mesi dalla Banca d'Italia e, quindi, hanno un tutti imprinting decisamente molto simile.

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implica un diritto di propriet. Infatti, questi sono patrimoni delle varie comunit locali che non hanno mai avuto un vero proprietario, ma hanno solo avuto dei controllori, dei gestori. Una Fondazione non altro che un fondo che viene costituito con un atto di cessione che stabilisce anche due elementi fondamentali: gli scopi per cui devono servire i proventi e le regole per amministrarle, compresa la nomina degli amministratori; ma, se una vera Fondazione nessuno deve averne la propriet. Quindi, il vero problema non attribuire la propriet delle Fondazioni, ma inventare dei meccanismi che garantiscano la rappresentativit e la democraticit della nomina di coloro che le amministrano. A tale proposito, alcuni degli intervistati si sono dimostrati molto scettici riguardo al fatto che le Fondazioni siano un'espressione del localismo in grado di interpretare e rappresentare le esigenze delle collettivit locali. Si sottolinea che non assolutamente chiaro, almeno oggi, chi e cosa legittima queste persone che stanno nelle assemblee e ai vertici di molte delle Fondazioni. Per ora non c' nessuna omogeneit e trasparenza e troppo spesso il sistema con cui esse vengono reclutate e scelte essenzialmente quello della cooptazione fra gruppi ristretti e chiusi di notabili locali. Manca la vera legittimazione della propriet che , invece, caratteristica essenziale delle Fondazioni anglosassoni. Un altro problema che era rimasto in sospeso con la Legge Amato/Carli riguardava le Casse di Risparmio e le banche ex-pubbliche che andavano in qualche modo privatizzate per consentire una loro ricapitalizzazione sul mercato dei capitali e conseguentemente un adeguamento al livello competitivo europeo. Fu subito chiaro che i privati, non solo non erano disponibili ad investire capitali in una banca pubblica, ma neanche in una banca a controllo pubblico. Per questo motivo, con la legge 474/94 in materia di privatizzazioni stato tolto il vincolo del 51% in mano pubblica. Inoltre, il Tesoro, nel tentativo di smuovere la "foresta pietrificata" del sistema bancario ha emanato la cosiddetta "direttiva Dini" (18 novembre 1994), in base alla quale le Fondazioni che controllano le SpA bancarie dovranno cedere sul mercato, entro i prossimi 5 anni, quote rilevanti dei loro istituti di credito, diversificando il proprio attivo in modo che almeno il 50% delle spese sostenute per onorare i fini statutari sia coperto da redditi diversi da quelli derivanti
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dalle partecipazioni bancarie o che non pi del 50% del loro patrimonio sia investito in azioni della banca controllata. Una soluzione quest'ultima che potrebbe far perdere alle Fondazioni il controllo dell'azienda bancaria, ma che sarebbe controbilanciata dall'assenza di imposte sulle plusvalenze realizzate. La direttiva, dunque, mira a favorire la privatizzazione delle banche, ma il Tesoro non impone alle Fondazioni la cessione del controllo, anche se chiaro che offre dei vantaggi fiscali in grado di spingere in questa direzione gran parte degli enti controllanti. Le dismissioni possono avvenire o attraverso un'Offerta pubblica di vendita, come per le altre privatizzazioni, o a "trattativa privata", ma solo nei casi in cui le quote dell'azienda bancaria siano cedute a "banche, societ appartenenti a gruppi bancari, societ finanziarie iscritte all'elenco speciale", o "si intenda costituire un nucleo stabile di azionisti". La direttiva Dini, per, ha anche un altro importante obiettivo "politico": orientare l'impiego da parte delle Fondazioni dei proventi ottenuti con la cessione delle azioni delle aziende bancarie.123 Questi do-

123. A tale proposito, Vincenzo Desario, Direttore Generale della Banca d'Italia, ha osservato che: In questi anni, l'incerta percezione del ruolo delle Fondazioni bancarie e la rilevante entit contabile dei loro patrimoni hanno alimentato aspettative sulla possibilit di soddisfare le crescenti esigenze finanziarie del terzo settore attraverso il sostegno delle Fondazioni bancarie. Si ritenuto che te stesse potessero costituire lo strumento per supplire al ridimensionamento dello Stato sociale. Si argomentato che per ricoprire una posizione centrale nel privato sociale, le Fondazioni avrebbero dovuto attuare rapide dismissioni delle partecipazioni bancarie. Lo stesso quadro normativo e i conseguenti indirizzi normativi hanno alimentato il convincimento che il patrimonio delle Fondazioni fosse sostanzialmente "disponibile" per una pluralit di utilizzi: infatti, l'articolo 15 della legge 266/91 ha introdotto l'obbligo per le Fondazioni bancarie di destinare almeno un quindicesimo dei proventi a fondi speciali costituiti presso le Regioni per sostenere le associazioni impegnale nel volontariato; il Documento di programmazione economica per il triennio 1996/98 sollecita le Fondazioni bancarie a svolgere un ruolo attivo nel processo di privatizzazione delle imprese pubbliche attraverso l'acquisizione di contenute partecipazioni. La piena valorizzazione del ruolo delle Fondazioni bancarie richiede di superare l'atteggiamento che tende a considerarle come un bacino di risorse al quale si pu attingere in modo indistinto o come un complesso di attivit patrimoniali, sulla cui composizione possibile intervenire per perseguire le pi diverse finalit (Vincenzo Desario, Le Fondazioni di origine bancaria, Banca & Lavoro, gennaio-febbraio 1997).

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vranno essere investiti in misura non inferiore al 30% in titoli di Stato italiani o esteri e in titoli obbligazionari e per almeno il 30% in azioni quotate in Italia o all'estero. In alternativa alle due ipotesi precedenti, le Fondazioni potranno acquistare quote di uno o pi organismi di investimento collettivo in valori mobiliari, mentre la parte dei provnti non investiti in titoli o azioni, " destinata alla realizzazione di strutture stabili attinenti ai settori di intervento dell'ente conferente" (tipo la costruzione di ospedali), "ovvero per una quota comunque non superiore al 20% per altre esigenze, previa autorizzazione del Tesoro". In casi eccezionali, invece, "pu essere autorizzato l'utilizzo dei proventi per finalit gestionali dell'ente". L'applicazione della direttiva Dini dovrebbe portare alla progressiva privatizzazione delle Casse di Risparmio ed in questo modo le Fondazioni bancarie sono destinate a diventare delle casseforti con dentro non pi, come stato finora, il pacchetto di controllo delle banche di origine, ma ingenti somme finanziarie. Cos, le Fondazioni dovrebbero diventare uno dei grandi investitori istituzionali del Paese: Le Fondazioni bancarie dovranno investire le ingenti somme finanziarie che derivano dalla privatizzazione dei pacchetti azionari di controllo delle banche. Diventeranno uno dei grandi investitori istituzionali e, per quello che nella natura delle cose, dovranno investire queste risorse secondo criteri di prudenza. Quindi, non tanto andando ad acquisire controlli in altre societ, ma acquisendo, oltre ai titoli pubblici, quote di azioni Telecom, ad esempio. In questo modo possono diventare uno strumento che favorisce la privatizzazione. Dopo aver privatizzato le banche, esse diventano uno strumento, un investitore azionario che pu favorire la privatizzazione delle imprese ancora controllate dallo Stato. Inoltre, esse potrebbero presentarsi anche come investitori in progetti di pubblica utilit. Tenendo fermo il principio che, se fanno questo, devono mettere in conto che stanno facendo un investimento e, quindi, devono aspettarsi che da questo provenga un reddito. Ad ogni modo, l'attivit di investimento delle Fondazioni deve essere condotta secondo il principio che devono investire con prudenza, rimanendo dentro un quadro di rischio accettabile, ragionevole, compatibile con quella che la loro missione di Fondazioni (Claudio Dematt). Entro il 31 marzo del '95 (termine poi prorogato al 30 giugno), inoltre, le Fondazioni dovevano presentare un progetto di modifica degli statuti contenente tra l'altro l'eliminazione o la riduzione della quota dei redditi derivante dalla partecipazione bancaria che va accantonata per il 50% ai fini delle successive ricapitalizzazioni e che non pu scendere sot252

to il 10% finch c' il controllo. Le Fondazioni hanno dovuto adottare un regolamento che specifica i criteri di assegnazione dei fondi e i criteri di scelta dei progetti da finanziare e che prevede, per gli impegni pi onerosi, l'assistenza di un advisor. La direttiva Dini, infine, ribadisce che le Fondazioni "devono restare estranee alla gestione" della banca, ma ricorda loro che "possono" informarsi sulla gestione delle banche partecipate. L'obiettivo della progressiva cessione di banche e Casse di Risparmio da parte delle Fondazioni che attualmente ne detengono il controllo, stato riconfermato dal disegno di legge delega Ciampi/Pinza per il riordino della disciplina civilistica e fiscale delle Fondazioni bancarie e della disciplina fiscale delle operazioni di ristrutturazione bancaria, presentato al Consiglio dei Ministri il 29 gennaio 1997.124 II Ddl reintroduce agevolazioni e sgravi per favorire ristrutturazioni, fusioni e concentrazioni bancarie venute meno con la decadenza della Legge Amato/Carli il 31 dicembre 1995. Le Fondazioni assumeranno a pieno titolo lo status privatistico e si vedranno riconosciuta piena autonomia statutaria e funzionale; ma nell'ambito di funzioni prevalentemente di utilit sociale, ovvero nei settori della ricerca, dell'istruzione, della cultura, della sanit e dell'assistenza. E qui, si inserisce la questione cruciale del rapporto con le SpA bancarie. Nel testo presentato previsto il divieto di detenere partecipazioni di controllo in imprese che non siano "direttamente strumentali" alle nuove finalit. Ma, non c' alcun riferimento all'obbligo di adeguarsi alle disposizioni di legge entro un periodo di tempo prestabilito come, invece, sollecitava chi avrebbe voluto vincolare le Fondazioni a cedere la maggioranza del capitale e a favorire cos la privatizzazione di una fetta consistente del sistema bancario (ad esempio, la proposta di legge presentata dal senatore Franco Debenedetti prevede l'obbligo di vendita in 18 mesi).

124. Il governo ha poi presentato il 12 febbraio 1997 il disegno di legge afirmadel ministro del tesoro Carlo Azelio Ciampi, recante la "delega al governo per il riordino della disciplina civilistica e fiscale degli enti conferenti, di cui all'art. 11, comma 1, del decreto legislativo 20 novembre 1990, n.356, e della disciplina fiscale delle operazioni di ristrutturazione bancaria". Il Ddl, classificato come A.C. n.3194, ha concluso il suo iter presso la Commissione finanze della Camera (dove stato in parte modificato) da cui stato licenziato per l'aula il 18 novembre 1997, dove per approdato solo il 9 marzo 1998, tredici mesi dall'imbarco a Montecitorio.

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Nel Ddl sono indicate soltanto delle scadenze per le agevolazioni fiscali. Per le azioni cedute previsto, infatti, un regime agevolato delle plusvalenze derivanti dalla cessione: nei primi 3 anni esse non verranno tassate; a partire dal quarto e fino al settimo anno l'imposizione sar del 50%; oltre il settimo anno verr meno ogni agevolazione. Infine, il Ddl attribuisce i compiti di vigilanza sulle Fondazioni all'autorit che sorveglier anche gli altri enti no-profit e, prima di allora, al Tesoro. E' previsto che le Fondazioni devolvano ai fini istituzionali una parte di reddito non inferiore al limite minimo stabilito dalla futura autorit di vigilanza (successivamente definito come non inferiore al 50%). E' soprattutto su questo punto e sui poteri dell'Authority che subito dopo la presentazione del Ddl si avviato un vivace dibattito, tuttora aperto, da cui emerge che la vera partita per giungere all'approvazione del Ddl si gioca tutta sui controlli e sui poteri che saranno lasciati ai consigli di amministrazione delle Fondazioni. Alcuni come, ad esempio, Luciano Silingardi, presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza, hanno criticato l'assenza di una chiara ed efficace articolazione riguardo a questo: Non credo sia possibilefissarecriteri universali ed astratti. Ritengo necessario che la redditivit delle Fondazioni venga valutata con un'opportuna griglia a pi variabili: dimensione, area operativa, scala temporale tarata sulla progressiva ricomposizione del patrimonio dopo la dismissione delle banche. Una voltafissatala redditivit minima, che succede se una Fondazione non realizza l'obiettivo? Deve sciogliersi? O pu scegliere di confluire in un'altra Fondazione? E chi lo decide, l'Authority?125 Generalmente, gli amministratori delle Fondazioni bancarie hanno accolto il disegno di legge Ciampi/Pinza come una buona base di partenza per raggiungere una soluzione equilibrata al problema dei rapporti fra Fondazioni e aziende bancarie. In molti, per, considerano necessario che in sede di discussione parlamentare siano chiariti alcuni punti e che la delega sia precisa e vincolante. Alberto Carmi, Presidente dell'Ente Cassa di Risparmio di Firenze, chiarisce quali sono alcuni di questi punti:126

125. Citato in Antonio Quaglio, "Fusioni anche tra Fondazioni", Il Sole 24 Ore, 8 febbraio 1997, pag. 29. 126. Citato in Cesare Peruzzi, Carmi: "L'obbligo di vendere subito far crollare il valore degli sportelli", Il Sole 24 Ore, 9 aprile 1997, pag. 27.

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Il riconoscimento della natura privatistica degli Enti conferenti; la possibilit di decidere in piena autonomia l'opportunit di una parziale e totale dismissione degli istituti bancari; una limitazione dei poteri dell'Authority, il cui controllo dovrebbe essere di legittimit e non di merito. La totale indipendenza degli Enti condizione indispensabile perch questi possano operare al meglio, nell'interesse proprio e delle banche controllate. Basti pensare a quali conseguenze avrebbe sul nostro patrimonio l'obbligo di dismettere in termini cogenti. Il danno sarebbe incalcolabile. Nel disegno di legge vedo rischi di direttive vincolanti. In via generale, nel dibattito che si aperto sul Ddl Ciampi/Pinza, rispetto all'evoluzione del rapporto tra Fondazioni bancarie e banche di riferimento, si possono identificare due differenti posizioni principali. Da un lato, c' una componente di pensiero che considera ancora molto importante il mantenimento alla Fondazione di funzioni, se non pi di attivit bancaria, comunque sempre di regolazione, gestione e di intervento sul territorio attraverso il mantenimento della maggioranza o, comunque, di una quota proprietaria strategica nella banca di riferimento. La Fondazione ritiene che sia ancora suo compito operare per lo sviluppo economico del territorio. Cos, c' chi vede il disegno di legge Ciampi-Pinza sulle Fondazioni Bancarie come un vero e proprio esproprio della capacit locale di fare banca. In particolare, ad esempio, Alberto Roccati, Direttore Generale della Cassa di Risparmio di Rimini,127 sottolinea che sebbene gi oggi il 17,5% della Cassa sia in mano ad azionisti privati e si arriver al 30% nel 2000, a scadenza di un prestito obbligazionario, la Fondazione bancaria, che pu vantare un'origine privatistica, non abbia alcuna intenzione di cedere il controllo: La Legge Amato che ha portato alla ripartizione Fondazione-banca, stata accolta positivamente e noi siamo stati tra i primi ad aprire al capitale privato, tant' che gi da pi di tre anni abbiamo la presenza di azionisti privati all'interno del capitale per il 17,50%. Inoltre, abbiamo in corso un prestito obbligazionario convertibile che, se interamente convertito, porter la presenza dei privati entro il 2000 a circa il 30% del capitale.

127. Al 31 dicembre 1996, la raccolta della Carim ammontava complessivamente a 4.802 miliardi di cui 1.880 miliardi di diretta e 2.922 miliardi di indiretta. Gli impieghi totali ammontavano a 1.213 miliardi. La Carim opera prevalentemente nella provincia di Rimini (44 sportelli), ha due sportelli in provincia di Pesaro, uno in provincia di Ravenna e tre in provincia di Bologna, per di 50 sportelli con circa 470 persone in servizio. Il patrimonio ammontava a 308 miliardi con un utile di esercizio di circa 15 miliardi per un Roe attorno al 5%.

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La nostra Fondazione vede in modo molto critico l'attuale processo di privatizzazione delle Casse di Risparmio ed il disegno di legge Ciampi. La nostra - a differenza di altre Fondazioni bancarie del Nord Italia a suo tempo create o promosse da enti pubblici - una Fondazione di origine privatistica. La Cassa di Risparmio ha sempre proceduto in autonomia senza alcun intervento o supporto di tipo pubblico. La nostra Fondazione ritiene che la banca sia uno strumento essenziale per promuovere lo sviluppo economico della zona in cui opera. In questo senso, il sostanziale obbligo di alienare le azioni della banca considerato ingiusto sotto i profili etico e giuridico e farebbe venire meno il suo compito originario. La circostanza che la Fondazione debba privarsi della banca per imposizione di legge contrasta poi con i principi fondamentali del mercato aperto e concorrenziale il cui interagire decreta la competitivit o meno della banca e le capacit del soggetto che la gestisce. Nei fatti il disegno di legge Ciampi contiene un obbligo a vendere. Si tratta quasi di un esproprio cherispondeprobabilmente all'esigenza di arrivare a costituire accorpamenti in campo bancario costruendo nuove realt di dimensioni maggiori. All'estremo opposto, c' una linea di pensiero che ritiene che le Fondazioni di origine bancaria siano essenzialmente degli enti no-profit che debbono operare nei settori previsti dalla legge e, quindi, considerano che il fatto che esse possiedano nel loro attivo patrimoniale azioni di una banca sia quasi del tutto accidentale. Anzi, questa corrente di pensiero ritiene che le Fondazioni debbano al pi presto separarsi dalle banche diriferimentoattraverso una quanto pi possibile rapida dismissione dei pacchetti azionari detenuti per ottenere dei cespiti che rendano di pi, (dato che il Roe di molte banche basso) e che, quindi, possano consentire di avere maggiori redditi da impiegare per quelli che sono i compiti istituzionali delle Fondazioni di tipo filantropico.128 Questa posizione rafforzata dal fatto che, per quanto riguarda la destinazione dei ricavi, il Ddl Ciampi/Pinza prevede che questi siano destinati ad iniziative di pubblica utilit, intese come iniziative nel campo della formazione, della sanit, dell'aiuto alle categorie sociali deboli:

128. Le Fondazioni bancarie hanno da sempre avuto per statuto il compito di devolvere una parte degli utili ad iniziative sociali. Tuttavia,finoraquesta formidabile macchina finanziaria ha girato a bassissimo regime. Nel 1995 si sono toccati 354 miliardi, una somma irrisoria che si spiega sia con il basso Roe di molte banche che con il fatto che molte Fondazioni preferiscono utilizzare gli utili per ricapitalizzare le banche. La maggioranza di questi fondi (28,6%) viene impiegata nell'arte e nella cultura. Seguono l'istruzione (15,9%), l'assistenza sociale (15,1%), i fondi speciali per il volontariato (11,1%), la sanit (9,6%), la promozione delle comunit locali (7,9%), la ricerca scientifica (4,1%), lo sport (2,6%) e la tutela dell'ambiente (0,3%). Spesso e volentieri questi fondi sono stati distribuiti a pioggia, senza una precisa logica.

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Per quanto riguarda la destinazione dei ricavi, le Fondazioni dovrebbero divenire, in qualche misura, uno strumento, uh braccio per intervenire nel settore del welfare, in un momento in cui il welfare ha a sua disposizione sempre meno risorse di provenienza pubblica. Se le cose si dipanano in questo modo, tra tre o cinque ani avremo un certo numero di Fondazioni che sono investitori istituzionali, che investono anche in iniziative che possono essere di promozione dello sviluppo o di integrazione dei servizi sociali e che destinano, poi, i frutti dell'investimento ad integrazione del sistema welfare che, invece, viene via via contenuto da parte dello Stato. (Claudio Dematt).

Comunque, anche su questo punto, il dibattito ancora aperto. Infatti, secondo Giuliano Segre, Presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Venezia, oggi possibile identificare tre principali posizioni riguardo al tipo di evoluzione che dovrebbero avere le Fondazioni in rapporto alle attivit economiche, sociali e culturali in cui investire i propri patrimoni.129 Ci si divide tra chi ha pi forti legami con la Cassa di riferimento e, quindi, preferisce interpretare il ruolo di braccio operativo assistenziale della stessa; chi, invece, punta autonomamente ad essere regolatore nella produzione di servizi pubblici economici "nella promozione - in senso lato - del capitale umano, nel rendere fruibili risorse artistiche e naturali, nello stimolare la ricerca" (tesi del Prof. Gianni Tomolo);130 infine, chi segue la soluzione prospettata dal Prof. De Rita che ritiene che le Fondazioni debbano sostenere le imprese innovative nei sistemi locali, quelle che producono beni immateriali come i servizi alle imprese:
Nel mondo delle Fondazioni delle Casse dei Risparmi cos come ci sono diversi orientamenti riguardo al comportamento da tenere rispetto alle azioni bancarie, ci sono diversi orientamenti riguardo a cosa devono essere le Fondazioni. Innanzitutto, quanto pi stretto il legame con la banca di riferimento, tanto pi la Fondazione viene vista di fatto come il vecchio ufficio beneficenza che deve erogare a seconda delle richieste che il territorio avanza, anche operando in una funzione di supplenza nel contesto di un arretramento dallo stato sociale. I sostenitori di questa linea propongono che le Fondazioni entrino prima di tutti nei settori che lo Stato abbandona o dismette.

129. Cfr. Giuliano Segre, Fondazioni attive nel sociale, Il Sole 24 Ore, 8 aprile 1997, pag. 6. 130. Cfr. Gianni Toniolo, Si. cambia al servizio di tutti, Il Sole 24 Ore, 25 febbraio 1997, pag. 6.

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In secondo luogo, c' una linea alla Toniolo, che un estremista delle attivit fondazionali, che sostiene che le Fondazioni debbano contribuire a costruire punti di eccellenza nell'ambito delle attivit fondazionali in senso stretto, cio nell'arte, sanit, istruzione e ricerca scientifica. In terzo luogo, c' una linea alla De Rita che dice: "attenzione, le Casse dei Risparmi non hanno operato al fine di dare beneficenza nella storia, ma al fine di creare lo sviluppo economico con il radicamento locale, con l'intreccio con le attivit economiche minute, l'artigianato, il commercio, la piccola attivit di sviluppo, che poi ha fatto cespuglio, ha fatto rete." De Rita ritiene che occorre stare attenti perch se adesso le Fondazioni diventano o una grande Ipab, cio danno solo beneficenza, o diventano solo un grande centro di ricerca, al territorio non viene dato niente. Ci sarebbe solo, per un verso, l'assistenza ai poveracci e, per l'altro, l'assistenza agli intellettuali, senza alcun intervento per la promozione dello sviluppo economico del territorio locale. Ma, se le Casse di Risparmio hanno contribuito in modo determinante allo sviluppo locale, sostenendo le imprese industriali, oggi lo sviluppo locale non pi solo produzione materialmente definita, ma fatto anche di molte componenti immateriali, di formazione della persona e del gusto, ad esempio, pi della qualit di progettazione che non della competenza meccanica. Si tratta di cose che non hanno un rilievo bancario immediato, avendo a che fare con il settore dell'acquisizione di competenze, la crescita culturale, la diffusione delle conoscenze, perci potrebbero essere oggetto dell'intervento delle Fondazioni (Giuliano Segre). La tesi del Presidente del Cnel Giuseppe De Rita assegna alle Fondazioni un ruolo di strutture dedicate allo sviluppo locale. 131 Da questo punto di vista, De Rita considera il Ddl una sorta di "esproprio" da parte dello Stato nei confronti delle comunit locali: lo Stato si prende i soldi, obbliga le Fondazioni a non fare pi i banchieri e gli impone pure i settori in cui investire. De Rita teme che per le Fondazioni si ripeta quanto gi successo in passato per le Ipab, le Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, la cui istituzione risale alla legge Crispi del 1890 e che dal 1974 sono passate sotto la competenza delle Regioni. 132 Secondo De Rita, pur nella loro futura veste di Onlus, cio Organizzazioni non lucrative di utilit sociale, le Fondazioni bancarie:

131. Cfr. Giuseppe de Rita, A rischio di esproprio, Il Sole 24 Ore, 19 febbraio 1997, pag. 6. 132. Le Ipab sono nate nell'Ottocento o anche prima da atti di liberalit e lasciti di benefattori (come il caso, ad esempio, del famoso "Pio albergo Trivulzio" di Milano o dell'"Opera pia dei poveri vergognosi" di Bologna), o a volte di origine religiosa. La prima legge sulle "congregazioni di carit" - o Opere pie - risale al 1807, 258

Non dovranno limitarsi a compiere interventi nel settore socio-assistenziale. Al contrario, riprendendo la loro pi vera tradizione, dovranno continuare ad essere fattori di sviluppo dell'economia locale. Purtroppo questa prospettiva non ha trovato per ora spazio nel disegno di legge Ciampi, ma sarebbe veramente triste se le Fondazioni si trasformassero in nuove Ipab. Gi la direttiva Dini spingeva le Fondazioni a ingabbiarsi nei settori della formazione, della sanit, della cultura, della ricerca; e il Ddl del Ministero del Tesoro accentua quella logica aggiungendo ai quattro citati anche il settore dell'assistenza alle categorie sociali deboli. Siccome si tratta dell'unica innovazione programmatica che si operata nel testo (per il resto prosieguo tecnico-fiscale in vista del processo di dismissione) la cosa non pu essere casuale, ci deve essere una seria spinta a far diventare le Fondazioni bancarie nuovi soggetti di gestione del sociale, e del sociale pi marginale. In questa prospettiva, che forse vivo con personale timore, pu sorgere il pericolo di un'altra statalistica espropriazione: l'espropriazione cio delle funzioni economiche delle Fondazioni, la fine della loro funzione di propulsione dello sviluppo locale. Ricordiamoci tutti che le Fondazioni bancarie sono le eredi del patrimonio economico e finanziario accumulato negli anni dalle varie comunit locali; e sono soprattutto le eredi di quelle responsabilit allo sviluppo locale che ha caratterizzato decine e decine di classi dirigenti locali. Spostare tali classi dirigenti a responsabilit sociali certamente un obiettivo di crescita complessiva del sistema; ma anche una loro non utile deresponsabilizzazione nei confronti dell'economia locale.

quella che le rese enti pubblici del 1890 per iniziativa di Francesco Crispi. A quell'epoca furono censite quasi 22.000 Ipab, e quasi 29.000 nel 1900. Poi il numero comincia a scendere. Se ne registrano 12.000 nel 1932 e 9.400 nel 1965, per arrivare a poco pi di 5.500 rilevate oggi da un'indagine del Ciriec (Centro di ricerche sull'economia pubblica, sociale e cooperativa). La riduzione di numero di questi ultimi anni dovuta in parte ad una mortalit provocata spesso da gestioni inefficienti, ma anche dall'uscita dall'universo Ipab di alcuni sottogruppi. Alcune sono state incorporate da enti pubblici previdenziali ed assistenziali, quelle di tipo associativo sono diventate private, quelle di assistenza scolastica e gli enti ospedalieri sono confluite nei rispettivi comparti e cos pure quelle pi legate a confessioni religiose. Ci che rimane, comunque, ha un valore stimato in 50 mila miliardi, anche se questo patrimonio in larga parte ignoto e trascurato. Ma, il livello e la qualit di queste attivit sono estremamente diversificati. Esistono Ipab efficienti e ben amministrate, che gestiscono servizi sanitari e assistenziali per anziani, bambini, portatori di handicap e danno un contributo prezioso alla rete di protezione sociale del loro Comune e della loro Regione; e ce ne sono altre che sopravvivono stentatamente, magari erogando modesti sussidi ad altri enti o organizzazioni o semplicemente fornendo qualche alloggio e qualche terreno da coltivare a persone bisognose. In regioni come l'Emilia Romagna, la Lombardia, il Veneto, la Liguria e in comuni come Roma, Padova, Reggio Emilia, le Ipab gestiscono la met delle istituzioni di assistenza esistenti. Cfr. Carlo Clericetti, // tesoro dimenticato delle Ipab, La Repubblica Affari & Finanza, 28 aprile 1997, pp. 1, 10.

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... Forse potrebbe essere compito del Parlamento riflettere sul problema che ho voluto qui sollevare: o lasciando libere le Fondazioni di regolare nelle loro carte statutarie il rapporto tra funzioni di copertura sociale e funzioni di supporto dello sviluppo economico locale; oppure inserendo nella definizione degli scopi delle Fondazioni (lettera a dell'articolo 2) anche una frase che permetta alle Fondazioni di occuparsi, come stato nel passato, di sviluppo economico locale. Io naturalmente preferirei la prima strada, perch resto fiducioso nella capacit delle classi dirigenti locali di definire il proprio ruolo; ma almeno sulla seconda si dovrebbe camminare, se non vogliamo indulgere, cento anni dopo le Ipab, alla tentazione di espropriare le responsabilit delle comunit locali. Nelle nuove condizioni, secondo de Rita, tre sembrano essere i modi attraverso i quali le Fondazioni bancarie possono vivere un rapporto con il territorio adeguato ai tempi:

stare dentro i grandi sottosistemi regionali (ad esempio, partecipare al capitale azionario delle grandi imprese locali che operano nell'economia globalizzata); stare dentro le direttrici di "rete lunga" (autostrade, telecomunicazioni, et); stare dentro le "reti corte" delle reti per le infrastrutture (fiere, interporti, porti, aeroporti, et). Intanto, aspettando di vedere quali indicazioni usciranno dalla conversione in legge del Ddl Ciampi/Pinza, alcune Fondazioni hanno cominciato ad allentare il loro rapporto con la banca di riferimento, mentre altre ne hanno perso addirittura il controllo (ad esempio, accaduto alla Fondazione Cariplo, alla Compagnia San Paolo, agli enti che controllavano Banco di Sicilia, Banco di Napoli e Banca di Roma; fra i grandi, resta fuori solo il Monte dei Paschi), incassando in alcuni casi anche cifre notevoli. Basti pensare alla Fondazione Cariplo che, a seguito dell'accordo Cariplo-Ambroveneto, ha incassato, al netto della partecipazione all'aumento di capitale della nuova capogruppo bancaria Intesa (di cui ha un pacchetto del 29%) e delle tasse, 6.660 miliardi da investire secondo criteri di prudenza. Inoltre, altri 300 miliardi di liquidit erano nelle casse della Fondazione da prima dell'operazione Intesa e nel portafoglio sono rimaste partecipazioni importanti come il 3% di Ina, il 9,9% di Imi (destinato a diventare il 4,7% di Imi-San Paolo), lo 0,4% di Mediaset, azioni della Banca d'Italia, immobili ed opere d'arte. 260

La Fondazione ha successivamente acquistato lo 0,6% di Telecom e ha dichiarato la sua disponibilit ad rilevare una quota della Aem, l'azienda energetica municipale di Milano, che il Comune si appresta a privatizzare con la vendita del 49%. Inoltre, nell'immediato, la Fondazione intende riservare un po' di attenzione a buoni e obbligazioni emessi dagli enti locali e dalle municipalizzate. Una quota pari al 6% del patrimonio (600 miliardi) sar destinata ai cosiddetti program related investments, cio "finanziamenti a tassi d'interesse pari all'inflazione, a favore di progetti strutturali e infrastruttura!i locali di interesse pubblico". La Fondazione Cariplo ha cominciato a dotarsi di un organigramma direzionale, con la previsione di sviluppare delle strutture interne per il supporto tecnico e il monitoraggio dell'attivit di investimento, anche se ha deciso di dotarsi di un advisor permanente (la Fondigest del gruppo Intesa) e di affidarsi ad una pluralit di gestori esterni. L'advisor ha il compito di presentare agli organi della Fondazione delle proposte periodiche di asset allocation. Queste dovranno tenere conto soprattutto di due esigenze: uno stretto controllo dei rischi e, pi che la massimizzazione dei redditi, una loro continuit di flusso. Non compito della Fondazione quello di amministrare l'operativit sui mercati, ma quello di fornire linee generali ai gestori e tenerli sotto controllo, per poter rispondere del proprio lavoro istituzionale. Questo significa attivare i gestori nella costruzione di un portafoglio diversificato nei vari segmenti del mercato azionario ed obbligazionario, ma senza escludere focus particolari. Entro il 1998, con l'arrivo dei primi utili, la Fondazione Cariplo dovr anche impostare una strategia di intervento come ente non profit. Tra rendimento del portafoglio mobiliare e dividendi da Intesa, Imi-San Paolo e Ina, la Fondazione potrebbe disporre di alcune centinaia di miliardi all'anno (si punta ad un minimo di 250 miliardi). A tale proposito, la Fondazione Cariplo prevede di operare come una classica grant-making foundation di alto profilo e, al tempo stesso, di costruire una community foundation per ogni provincia lombarda pi quella di Novara. Queste opereranno in stretto contatto con la Fondazione anche progettando e gestendo interventi mirati di "pubblica utilit" a favore delle comunit locali (i tre enti pilota saranno probabilmente istituiti a Sondrio, Bergamo e Mantova). In questo modo, si cercher di trovare un maggiore bilanciamento nel rapporto tra "interventi a pioggia" e progetti di ampio respiro: 261

Fintanto che la Fondazione Cariplo era tutt'uno con la banca, la sua mission, se si va a vedere nello statuto, era quella di promuovere lo sviluppo tramite la raccolta del risparmio e la concessione di crediti ad iniziative economiche, in particolare delle categorie meno agiate. In questo modo, la mission di utilit sociale era fortemente intrecciata con quella di promozione dell'attivit economica. Con questa separazione, la parte di intervento sull'attivit economica viene riportata alle leggi di mercato, mentre la parte di mission che invece aveva pi a che vedere con l'intervento sul tessuto sociale in una logica non strettamente economica, viene portata fuori e viene messa in capo alla Fondazione. Addirittura, le Fondazioni che saranno ben gestite distingueranno le due parti: il momento dell'investimento, che dovr essere fatto all'interno di una logica economica, e il momento dell'erogazione, che dovr essere fatto secondo la logica dell'utilit sociale. Quindi, da un punto di vista istituzionale, un'operazione di separazione delle funzioni e di focalizzazione: una fa l'uno, l'altra fa l'altro. E questo, secondo me, non pu che essere positivo. Questa nuova configurazione avr, poi, delle ricadute proprio nelle modalit stesse dell'operare delle Fondazioni. E mi riferisco sostanzialmente alla natura dei finanziamenti che vengono erogati: devono essere finanziati progetti che abbiano una valenza annuale o pluriennale? Questo stato un problema anche in passato e riguarda il tipo di politica che si adotta nel fare gli interventi nel campo sociale. Si tratta di vedere se si adotta una politica di interventi spot, che si susseguono uno dopo l'altro, di breve periodo, o se, invece, le Fondazioni saranno capaci di darsi linee di intervento con tempi pi lunghi. Ad esempio, la Cariplo sistematicamente presente, da anni, a sostegno della Scala e, quindi, non si tratta di un'operazione spot, ma di lunga durata; Cariplo ha, di fatto, iscritto dentro al proprio Dna che una parte del suo lavoro quello di contribuire alla Scala. Quando ero alla Fondazione ci eravamo posti questo problema e sono dell'opinione che bisogna modificare le proporzioni, bisogna inserire, maggiormente, progetti a respiro pi lungo. Per bisogna stare attenti a negare l'utilit degli interventi spot a pi a breve termine. Ad esempio: c' da dare una mano ad una comunit che sta costruendo le strutture per poter continuare ad operare, facciamo l'intervento spot, poi la comunit deve stare in piedi con le proprie gambe. E' giusto intervenire per mettere in moto un processo che per, in seguito, deve autoalimentarsi. E qui diventa doppiamente produttivo. Mettiamo che ci sia da restaurare un monumento. E' un'operazione spot. Si restaura e poi si dice basta. Quindi, probabilmente il mix che va modificato. Va portata una quota pi consistente, ma non totalitaria, di risorse verso interventi a respiro pi lungo, ma deve essere conservata la capacit di intervento su singoli progetti, su iniziative che emergono all'oggi al domani. Se arrivano gli albanesi in Italia, c' il problema di dare una mano a risolvere questo problema. L'anno prossimo non arriveranno gli albanesi, ma pu esserci il problema di un alluvione, di un terremoto, etc. (Claudio Dematt).

Uno dei piani prioritari in cantiere della Fondazione Cariplo punta sul capitolo formazione e ricerca. In fase molto avanzata di studio c', 262

infatti, un maxi-finanziamento a favore del sistema delle Universit lombarde, che potrebbero ricevere dalla Fondazione una cifra vicina ai 400 miliardi. Beneficiarie dell'intervento sarebbero l'Universit Cattolica, con 120 miliardi, la Bocconi (per la ristrutturazione i una parte della sede), per 100 miliardi, il Politecnico (per altri 130-150), l'Universit di Pavia e quella di Castellanza. L'intervento dovrebbe scattare attraverso il meccanismo del fondo rotativo previsto dalla Fondazione, che funziona come un prestito (per la durata di 6-7 anni) ad un tasso d'interesse minimo, pari al tasso d'inflazione. La Compagnia di San Paolo ha inaugurato il nuovo corso degli investimenti di parte dei circa 4.500 miliardi incassati dalla vendita della sua banca, l'Istituto San Paolo di Torino (di cui mantiene il 20,54% del capitale, per un valore di 1.650 miliardi, che dovrebbe diventare il 10,8% di Imi-San Paolo), decidendo di diventare azionista della Fiat (2,2%, per un controvalore di 422 miliardi).133 Inoltre, ha acquisito lo 0,6% della Telecom (circa 300 miliardi) e si dichiarata disponibile a rilevare una quota dell'Azienda energetica municipalizzata di Torino (il Comune ha deciso di avviare la dismissione del 43% del capitale). Per quanto riguarda, invece, i campi di intervento previsti dal suo statuto, la Compagnia ha deciso di incominciare ad operare per grandi progetti. La prima iniziativa sar la partecipazione attiva all'operazione del raddoppio del Politecnico di Torino, per il quale previsto un costo complessivo di circa 640 miliardi, 140 dei quali per il primo lotto, i cui lavori dovrebbero essere avviati all'inizio del 1999. Per i grandi progetti e per le attivit statutarie (fra l'altro impegnata per il restauro di pa-

133. Occorre considerare, inoltre, che alla Compagnia fa capo anche la San Paolo Holding Bank alla quale continuano a restare in portafoglio altre partecipazioni: il 3% dell'Ina e il 10% dell'Imi (che dovrebbe diventare il 4,7% di Imi-San Paolo), che fanno parte dei rispettivi nuclei stabili, il 17% della Hambros, il 6% di Efibanca, if 15% della Milano Assicurazioni, il 7,7% della Compar, il 6,3% di Finmeccanica, il 4% di Autogrill e le quote delle finanziarie regionali (Finpiemonte e Finaosta). La Holding, nonostante molte attese in questo senso, per ora non verr incorporata dalla Fondazione. Lo impedisce di fatto la normativa fiscale, che discrimina il trattamento tributario a favore degli enti non commerciali (come sono le Fondazioni secondo il Ddl Ciampi/Pinza) e le societ commerciali, com' la San Paolo Holding Bank.

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lazzo Reale e l'aziendalizzazione dell'ospedale Molinette di Torino e per il Centro nazionale di Adroterapia oncologica a Milano con la Fondazione Tera), la Compagnia di San Paolo potr contare a regime, su disponibilit annue pari a circa 120-150 miliardi, reddito derivante da un patrimonio di 4.500 miliardi. Gianni- Merlini, Presidente della Fondazione, ha chiarito gli obiettivi che l'ente si propone:134 La Compagnia potrebbe concentrare il suo impegno sullo sviluppo delle strutture specificatamente destinate alla ricerca avanzata nelle telecomunicazioni, esplorando anche la possibilit di un intervento in forme consortili con altri soggetti pubblici o privati. L'impegno della Compagnia, che comporter l'esborso di decine di miliardi, motivato anche dalla sua volont di sostenere..e valorizzare le eccellenze dell'area. Sia il Politecnico sia le competenze nel settore delle tic sono eccellenze di Torino. Infine, anche la Fondazione Cassa di Risparmio di Venezia - il cui patrimonio formato da 65 miliardi liquidi e dal 22% (valutato circa 670 miliardi) della holding Casse Venete (il 78% in mano alle Fondazioni delle Casse di Risparmio di Padova e di Rovigo), che controlla le Casse di Risparmio di Padova, Rovigo e Venezia e la Banca Agricola di Cerea - ha scelto una sua strada da percorrere. La Fondazione veneziana atipica perch gi da qualche anno giuridicamente distinta dalla Cassa di riferimento e perch opera in un contesto che ha una specificit in Italia: a Venezia c' una storia ed un'esigenza internazionale di produrre beni pubblici che non si determinano attraverso le.dinamiche economiche tradizionali. Pertanto, la Fondazione ha scelto di operare in modo guardingo nei settori della ricerca, della cultura e dei servizi di eccellenza con la formula dell'accompagnamento. Secondo il suo presidente, Giuliano Segre, fondamentale il fare squadra con chi ha alte specializzazioni gi maturate, la Fondazione Cini, la Fondazione Querini-Stampaglia, la costituenda Venice International University di San Servolo:

134. Citato in Rodolfo Bosio, S. Paolo, la Compagnia sceglie Telecom, Il Sole 24 Ore, 30 luglio 1997, pag. 21.

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11 fatto di essere a Venezia e che il rapporto tra la nostra Fondazione e la Cassa si sia molto allentato fa s che l'orientamento della Fondazione sia pi spostato sul piano della produzione di beni pubblici. Qui, a Venezia c' una forte spinta per un impegno di tipo culturale. Si tratta di una citt che stata una capitale fino a 200 anni fa, e che oggi ha ancora un ruolo di capitale culturale a livello mondiale. Per questo il nostro consiglio orientato a fare s che questa sia una vera Fondazione culturale. In concreto, l'operativit di questa Fondazione stata molto guardinga, perch immaginare che, poich si ha una certa disponibilit di fondi, si possa operare nel campo culturale, o della ricerca, o dell'istruzione in un contesto territoriale di questo tipo senza incappare subito in qualcuno che le stesse cose le ha gi fatte, o le ha fatte addirittura meglio, molto difficile: quindi, abbiamo scelto una strada di fiancheggiamento a quello che strutture veneziane gi stanno facendo. Gli esempi possono chiarire la nostra linea d'azione. Con la Fondazione Cini stiamo per costituire una Fondazione comune che si chiamer Scuola di San Giorgio e che avr il compito di operare nell'ambito del restauro dei beni culturali. Non dei beni culturali fissi, non degli immobili, ma con la vocazione specifica del restauro della voce, che significa il restauro delle colonne sonore dei films, o le incisioni dei dischi, tutte cose che hanno anche poi un versante commerciale, perch il restauro di una colonna sonora si vende e si vende bene alle televisioni perch altrimenti non possono usare il vecchio film. Con un'altra Fondazione cittadina importante, la Fondazione Querini-Stampaglia, abbiamo messo in piedi una struttura di gestione dei servizi museali: loro hanno un museo e abbiamo costituito un'associazione fra le due Fondazioni che ha come compito di gestire i servizi museali. A tale proposito, di recente stato emanato un decreto che riprende quanto diceva la Legge Ronchey sul ruolo delle Fondazioni bancarie nella gestione dei servizi museali. Con le universit di Monaco di Baviera, di Barcellona e una americana abbiamo costituito un soggetto che si chiama Viu (Venice International University), che una struttura con una splendida base immobiliare, l'isola di San Servolo, sede di un ex-ospedale psichiatrico che ora potrebbe diventare una struttura di residenzialit per tutto il lavoro di ricerca universitaria. Insomma, cerchiamo di fare le cose insieme ad altri attori gi presenti, perche la maniera per potersi radicare in questo territorio, dove nessuno ha la primogenitura culturale. Questo l'impianto all'interno del quale la Fondazione spende i suoi soldi che derivano, in parti pi o meno uguali, dai 65 miliardi di liquido e dai 670 miliardi di azioni, che danno entrambi, grosso modo, un rendimento sui 5 miliardi l'anno (Giuliano Segre).

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Capitolo Quarto BANCHE E NUOVE PROFESSIONALIT

Vi la sensazione che ci troviamo di fronte ad un sistema che fa difficolt a definire nell'ultimo periodo le linee di sviluppo e le strategie. La forte fibrillazione cui le banche sono sottoposte, la modifica dei prodotti, la ridefinizione delle politiche bancarie a seguito della caduta verticale dei tassi di interesse, l'aumentata concorrenzialit impongono un riassetto profondo delle funzioni della forza lavoro e delle professionalit:
In questo momento c' l'esigenza di mutare il tipo di professionalit presenti in banca, ma ritengo che esistano degli spazi per poter ritornare, non so bene se fra un anno, due, tre o cinque a crescere, perch la domanda di servizi finanziari e assicurativi nel nostro Paese sicuramente ha ancora degli spazi amplissimi da occupare (Corrado Faissola).

In questo senso non vi una linea di azione comune, vi sono piuttosto comportamenti che sottendono scenari ipotetici, che possono grosso modo essere richiamati nelle seguenti riflessioni: cambia la richiesta di nuove professionalit, soprattutto in relazione alla specificit di azione dell'istituto bancario, a seconda che questo si occupi di imprese, di privati, di giovani, di donne, di anziani, di immigrati, di patrimoni familiari, di gestione delle operazioni d'azienda. In sostanza, il mutamento di professionalit segue l'articolazione dei bisogno e l'estrema sofisticazione dei prodotti bancari e soprattutto finanziari; pi in generale, quindi, occorrono nuove figure istituzionali, soprattutto per i grandi istituti o per reti di istituti minori, fuori o dentro gli 269

istituti bancari stessi, che abbiano capacit previsionali. Ad esempio, si ritiene che una figura centrale per il futuro possano essere i sociologi, cui attribuire la costruzione degli scenari, che delineano le tipologie dei clienti, che tracciano i bisogni, che delimitano il campo d'azione territoriale dei soggetti della banca: un ruolo strategico del marketing rispetto alla banca:
Abbiamo bisogno certamente di diverse figure professionali. Innanzitutto, alle spalle bisogna avere un'organizzazione fatta soprattutto di analisti, che esaminando le diverse opportunit nel mondo offrano a chi poi in contatto con il pubblico le informazioni per fare delle scelte. Dunque, alle spalle analisti, mentre ci vogliono consulenti finanziari a livello di contatto con il pubblico. Il consulente finanziario un terminale intelligente di un'organizzazione. Per quanto riguarda gli analisti ci sono quelli che lavorano nell'area studi, analisi, titoli, obbligazioni, mercati internazionali, etc. Qui, occorre avere alle spalle una struttura organizzativa fatta di persone che siano in grado di avere la percezione dell'andamento dei mercati e delle societ per poter veramente offrire delle opportunit (Giancarlo Carmignani).

in crisi la visione ragionieristica del fare banca, segno di uno spostamento delle funzioni richieste verso professionalit nuove che di volta in volta e rispetto alle specificit della banca, possono essere di tipo previsionale (ricerche di mercato e nuovi prodotti), di tipo ingegneristico (investment banking), di tipo comunicazionale (promotori finanziari), di tipo commerciale (venditori di prodotto), di tipo informatico (phone banking, Internet), di tipo progettuale (strategie di reti), di esperti di software o di singolo prodotto (una sorta di broker per il cliente), di tipo legislativo (il rapporto con i sistemi bancari internazionali): Quanto poi di questa necessit riesca ad essere oggi soddisfatto il sistema bancario un'altra questione. Il problema, ci sembra di capire, non riguarda tanto il sistema d'istruzione, anche se va ritenuto fondamentale, quanto il grado di competenza relativamente allo spezzone di specializzazione entro cui si lavora. Il panorama dei dipendenti degli istituti bancari, tralasciando le merchant banks, che hanno un approccio diverso, per buona parte ancora composto di diplomati, con quadri consistenti anche di persone con la sola licenza media.
Le assunzioni avvengono attraverso selezioni; sono richiesti, quali titoli di studio, il diploma di ragioniere o la laurea in economia, scienze bancarie, legge. Ma, gli aspetti che vengono esaminati nei colloqui di valutazione riguardano parti270

colarmente le capacit di relazione, poich abbiamo bisogno di personale da dedicare principalmente alla rete vendita. Ricerchiamo persone in possesso di determinate attitudini personali, su cui inserire poi un nostro percorso di formazione. Disponiamo di un centro di formazione che si avvale di formatori interni ed anche, ed in misura significativa, di formatori e consulenti esterni, in relazione alle diverse iniziative e pacchetti di corsi proposti. Abbiamo una lista di corsi che prevede circa un centinaio di titoli: non poco! L'anno scorso il nostro organico si avvantaggiato di interventi formativi mediamente pari circa a quattro giornate/uomo. Possiamo quindi dire che la formazione (non addestramento tout court), uno dei nostri punti forti: si tratta di una formazione incentrata sullo sviluppo della cultura aziendale, sulla risposta ai bisogni, cos come da noi interpretati, e sulle missions, cos come strategicamente definite (Pio Bussolotto).

Di certo finito il meccanismo di cooptazione, o di assunzione per conoscenza o per linee ereditaria, che caratterizzava soprattutto i grandi istituti o le banche estremamente territorializzate, proprio perch la banca ha bisogno di soggetti effettivamente competenti, con professionalit che sempre meno possono essere acquisite, attraverso un processo di formazione interna, come avveniva precedentemente:
Nelle banche italiane il ricambio degli uomini difficile. Basta vedere ci che sta succedendo. Le grandi banche che vogliono cercare di riorganizzarsi e migliorare la propria redditivit, il management lo ricercano al di fuori, nelle societ di consulenza aziendale come la Me Kinsey che diventata la fornitrice di Osculati alla Banca d'Italia, di Passera all'Olivetti e poi all'Ambroveneto, di Profumo al Credito Italiano (Corrado Faissola).

Gli effetti che si stanno producendo a seguito dell'introduzione di una cultura imprenditoriale nel sistema bancario, oltre che riferiti al sistema nel suo complesso, si riproducono anche all'interno delle singole banche. Alcune banche, anche di minori dimensioni, come la Cassa di Risparmio di Mirandola, ad esempio, si stanno dotando di nuove professionalit in grado di gestire il rapporto sia con i clienti privati che con i clienti imprese. Rispetto al cliente privato, la Cassa ha istituito il consulente di famiglia che un po' come il "medico di famiglia", che ha una professionalit da generalista, ma con la capacit di indirizzare al servizio coerente con la domanda posta. E' sempre a disposizione, riceve su appuntamento, visita il cliente a casa o in azienda. D indicazioni soprattutto su piani famiglia, dinamiche previdenziali, gestione del risparmio, turismo, consulenza immobiliare:
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Nel cosiddetto private banking, cio nell'attivit bancaria nei confronti del cliente privato, in ogni filiale ci siamo dotati di un nuovo strumento: il consulente famiglia. Chi il consulente famiglia? E' come il medico di famiglia, cio quella figura professionale che gode della fiducia delle famiglie e alla quale queste si rivolgono quando hanno dei problemi di carattere finanziario o di tipo operativo. Quindi, la professionalit del consulente famiglia di tipo generico. Non uno specialista - gli specialisti operano alle spalle del consulente famiglia - e si confronta costantemente con tutti i clienti che entrano nella nostra banca. Il cliente privato entra in banca e trova una persona disponibile a fare una chiacchierata in ogni momento sulle sue problematiche finanziarie. Siccome noi crediamo che il futuro delle banche sia pi nei servizi che nell'intermediazione denaro, questo consulente famiglia non si occupa pi solamente di trasferire la sua cultura professionale e finanziaria alla famiglia, ma si occupa anche di dare un'assistenza in campo previdenziale, attraverso una gamma molto articolata di supporti e prodotti che vanno dalle polizze assicurative ai fondi ad accumulo, anche dando la piccola consulenza, spiegando cio qual la dinamica previdenziale, facendo dei calcoli - siamo dotati di software in questo senso - per il lavoratore dipendente, su quelli che potranno essere le sue prospettive previdenziali alla luce delle normative attuali. Quindi, diamo una consulenza a tutto campo. Adesso abbiamo aggiunto anche quella sul turismo, che un settore che incontra un grande interesse da parte del cliente - le nostre sono zone ricche e, quindi, di persone che viaggiano per tutto il mondo per turismo ce ne sono tantissime. I nostri consulenti famiglie sono capaci di dare una consulenza di tipo turistico perch sono stati formati adeguatamente. Inoltre, viene offerta anche una consulenza di tipo immobiliare. Noi conosciamo tutto ci che avviene nel nostro territorio in termini di acquisti, di prezzi e tutto ci che ruota intorno al settore immobiliare. I nostri consulenti famiglie sono in grado di assistere i nostri clienti nei loro investimenti immobiliari. Abbiamo, quindi, una serie di servizi che vengono dati gratuitamente al cliente, affinch possa chiarirsi le proprie idee in merito ai suoi programmi. Poi, naturalmente, il nostro istituto a disposizione per fornire tutti i prodotti che gli servono per soddisfare le sue esigenze. Questo il nostro nuovo front office. Prima il front office era costituito dagli sportellisti, che non svolgevano un'attivit pi ampia di quella di cassiere. Oggi, abbiamo trasformato il front office, introducendo questa nuova figura e automatizzando al massimo, invece, l'attivit del cassiere. Cio, per noi, il cliente, quando entra in banca per un'operazione ordinaria, deve trovare, degli sportelli completamente automatizzati che gli possono consentire di fare l'operazione in 20 secondi e andarsene. Se, per, ha altri tipi di esigenze, deve poter trovare una persona che ha tutto il tempo per dialogare con lui, senza che ci siano file da fare, perch pu prendere appuntamento, e se non ha tempo, il nostro consulente va a casa del cliente. Il nostro dipendente segue un gruppo di famiglie che si sono affidate. Lui il promotore di incontri, attraverso telefonate, attraverso quel rapporto di amico di famiglia di cui parlavo prima. Questo il rapporto che abbiamo instaurato con il nostro cliente privato e questo significa sottolineare il nostro ruolo di banca locale in modo diverso da quello di un tempo (Gennaro Murolo). 272

Inoltre, per quanto riguarda il rapporto con le imprese, la Cassa di Risparmio di Mirandola si organizzata con un servizio specializzato interno in grado di seguire il rapporto banca-impresa in termini innovativi. Si cos dotata dello specialista per la finanza straordinaria in grado di fare un'analisi dell'andamento aziendale. Ma, la banca ha sviluppato anche una clientela corporate partecipata e lavora per il passaggio culturale degli operatori bancari (dal sistema delle garanzie al sistema della valutazione delle idee progettuali) organizzando dei periodi di permanenza nell'impresa che favoriscono anche una contaminazione della cultura dell'impresa per quanto riguarda il controllo di gestione, la gestione dei flussi di cassa e.L'ottimizzazione degli investimenti: Quando abbiamo avviato la prima operazione di partecipazione al capitale di un'impresa, ci siamo avvalsi di risorse esterne. Sarebbe stato davvero poco producente dotarsi di risorse interne e, quindi, fare degli investimenti, senza avere la certezza di avere centrato il bersaglio e di avere una continuit in questo tipo di attivit. Per, oggi, vist-che le'operazioni sono destinate a moltiplicarsi, abbiamo organizzato un servizio specializzato interno. Tra le altre cose, abbiamo scoperto che questo contatto diretto tra banca e impresa amplia notevolmente la cultura dei nostri operatori. Questi hanno fatto esperienza lavorando, in questo frattempo, all'interno delle aztendeindustriali e hanno capito come funziona un'azienda industriale. Perch la realt che il mondo bancario ha visto finora le aziende industriali solo ed esclusivamente attraverso delle carte e delle garanzie. Noi abbiamo capito che qualcosa doveva essere cambiato perch il sistema delle garanzie ha portato il mondo bancario italiano all'indice di sofferenza impieghi pi alto della sua storia, l'I 1,5%. Gli strumenti che abbiamo usato-fino ad oggi per valutare il rischio d'impresa non sono assolutamente adeguati, non danno la certezza del ritorno del nostro investimento. Allora dobbiamo trovarne dei nuovi. Questo significa, da una parte, ampliare la cultura industriale all'interno della banca, e questo-ce lo danno i nostri partners industriali, i quali ci consentono di mandare i nostri ragazzi a fare dei periodi di formazione all'interno delle lore aziende. Cos oggi, i nostri operatori sanno che cosa vuole dire la valutazione di un magazzino, la costruzione di un business pian di un'azienda, il rapporto tra il fatturato di un'azienda con il mercato specifico di quell'azienda o la verifica delle quote di mercato, della concorrenza e dei parametri dei valori dell'azienda da noi partecipata con quelli delle concorrenti. Insomma, entrano in una dinamica culturale che molto diversa da quella che abbiamo avuto finora. I nostri ragazzi cominciano, oggi, a manifestare questo tipo di professionalit, grazie proprio a questa collaborazione che si instaurata, anche sotto questo profilo. Quindi, questo investimento ha anche un ritorno in termini di formazione del nostro personale, non soltanto un ritorno economico in senso stretto. Siamo molto contenti.

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Noi, poi, portiamo all'interno dell'azienda la nostra cultura del controllo gestione, che nelle aziende industriali non sempre presente, la nostra cultura finanziaria, l'attenzione ai flussi di cassa, alla dinamica del migliore utilizzo delle eccedenze nei flussi di cassa e, quindi, l'ottimizzazione delle somme che rimangono non utilizzate, anche per brevi periodi. Portiamo nelle aziende la nostra cultura bancaria e finanziaria, e la nostra abitudine alle valutazioni dall'interno attraverso il controllo gestione. C', quindi, uno scambio di culture, un vero e proprio dialogo, dal quale io ritengo noi usciremo rafforzati nella nostra professionalit, comprendendo meglio la dinamica del settore industriale, e loro, forse, miglioreranno la loro professionalit, capendo meglio la dinamica del mondo finanziario. Noi registriamo che c' una crescita da entrambe le parti. Naturalmente ci deve essere l'apertura mentale di consentire questo tipo di dialogo sulla formazione reciproca. Noi, finora, per, questo l'abbiamo trovato (Gennaro Murolo). Quasi tutte le banche hanno attuato, o quantomeno avviato, dei programmi di esodo incentivato per il personale che ha gi maturato l'et pensionabile. In parte queste persone vengono sostituite con personale nuovo. Le nuove assunzioni sono soprattutto destinate a quei settori innovativi (la finanza, il corporate, il marketing, etc.) che possono dare valore aggiunto o comunque indirizzare la banca su nuove strade di business. A tale proposito, occorre considerare che una fetta rilevante della nuova generazione di operatori bancari di medio ed alto livello, soprattutto quelli attivi nei settori della finanza aziendale e straordinaria, fonda la propria azione su competenze professionali acquisite all'estero e su capacit relazionali e in questo senso si differenziano dal tradizionale personale bancario. La Bocconi ha fatto dei passi avanti, per non c' dubbio che in questo campo la formazione teorica ha un ruolo relativamente pi limitato, quello che conta la formazione sul campo. Siccome in Italia non possibile farla perch non c' questa attivit, o si va a Francoforte o si va a Londra. Principalmente si va a Londra, tanto vero che nelle merchant banks londinesi ci sono moltissimi italiani che hanno fatto carriera l e che, pur essendo giovani, hanno fior di stipendi. Le banche italiane hanno sempre privilegiato l'anzianit nel dare i riconoscimenti, quindi la gente in gamba non ci sta; e soprattutto hanno ambiti di responsabilit che terrorizzano i nostri banchieri, perch a un giovane non vogliono dare responsabilit operative. Allora, un giovane dopo un po' si stufa e va in una merchant bank internazionale, che invece gli d spazio professionale (Pietro Gennaro). Risultano strategiche le risorse personali che attengono all'etica, alla professionalit e alla capacit di sviluppare rapporti interpersonali. In particolare, nel settore della finanza aziendale elemento essenziale per il succes-

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so la capacit di origination, cio di contattare la clientela potenziale mediante un'estesa rete di rapporti con il mondo imprenditoriale, per sviluppare contatti utili all'ottenimento di mandati, sia di vendita che di acquisto. In quanto portatori di nuove culture e di nuovi codici culturali, si percepiscono come un vero e proprio ceto sociale, una "neoborghesia", con compiti di accompagnamento culturale all'interno delle strutture in cui operano. Ad ogni modo, sul piano della tipologia delle risorse umane della loro organizzazione lavorativa, le banche italiane si trovano a fronteggiare un grave ritardo rispetto alle banche degli altri paesi europei. In Italia manca la possibilit di una formazione non solo teorica, ma anche sul campo e questo ha comportato che molti giovani italiani lavorino su piazze estere. In questa situazione, l'elemento di maggiore debolezza sembra essere quello legato al fatto che le leve interne del potere manageriale siano in gran parte delle banche nelle mani di un management anziano, che si formato ed cresciuto professionalmente nel contesto del mercato protetto dell'assenza di competizione. Finch non cambieranno i vertici delle banche, e di riflesso le politiche nei confronti del personale, gli assetti organizzativi e le culture di riferimento dei soggetti, il sistema rimarr bloccato:
Una grande maggioranza di banche italiane ha un management vecchio. Alla National Westminster, ad esempio, c' una regola che non pi del 3% del personale deve avere pi di 50 anni. Se si vanno a vedere le banche italiane come sono combinate come et media dei dipendenti e, soprattutto, come et del top management c' da non essere molto ottimisti per il futuro. Per cambiare, per riprendere un'azienda e rivoltarla da cima a fondo, si ha bisogno di giovani. I vertici delle banche italiane sono fatti da persone molto brave, ma sono persone anziane. Se uno ha fatto banca in un certo modo per 35 anni non la persona pi indicata per rivoltare la banca. Pu anche essere una persona intelligente, ma la sua cultura, i suoi cromosomi spingono in un'altra direzione. Il sistema bancario italiano risente ancora della vecchia impostazione culturale italiana per cui pi vecchio sei meglio . Questo esattamente l'opposto di quello che succede nel resto del mondo in vari tipi di istituzioni tra cui le banche, per cui vale il principio del pi bravo sei meglio . Una volta parlavo di banchieri internazionali operanti in Italia con un collega italiano e di una certa banca mi dice "la persona pi brava che hanno il signor x: lo riconosci perch non si lava mai i capelli, ha i blue jeans bucati e guadagna sette miliardi l'anno perch lui su quella roba l quello che ne sa di pi al mondo, quanti anni ha? ventotto". Prima che un banchiere italiano col doppio petto grigio faccia entrare uno cos nella sua organizzazione e gli dia, non i soldi perch quelli glieli danno, ma il potere passeranno dieci anni. Il potere in Italia ce l'hanno i vecchi e se lo tengono stretto. Prima che

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un vecchio dia il potere ad un giovane ce ne vuole. Gli d i soldi per tenerlo buono, ma il potere non glielo d. Sono fattori culturali molto pesanti. Quello della formazione delle risorse umane adeguate al tipo di competenze che oggi vengono richieste un nodo importante da sciogliere. Oggi, nella piazza di Londra esistono molte opportunit per i giovani italiani che si formano in ambiente stimolante e gratificante. Chi potrebbe essere attratto da un sistema cme quello italiano che impenetrabile su alcune posizioni dirigenziali ai giovani e dove scarse sono le chances di rapida carriera e di reddito? I giovani italiani rimangono a Londra proprio perch non ci sono chances, non c' permeabilit all'interno del sistema, non c' reale mobilit nel management: Quello della preparazione, delle risorse umane un punto fondamentale. In un libero mercato dei capitali, della tecnologia, del fisco, ma anche delle risorse umane, il modello italiano di capitalismo non rappresenta un modello appetibile per nessuno dei giovani veramente in gamba. Oggi, un giovane in gamba va a Londra. Esce dall'Universit e chiede a pap e mamma di aiutarlo a sostenere lo sforzo per stare a Londra. A Londra trova tutto quello che qua non troverebbe. In che senso? Trova innanzitutto un sistema molto selettivo, di rete informativa, di scambio di informazioni diffusissimo ed efficiente, per cui si sanno molto bene le cose. Si ha un sistema di assunzione, di training, di corsi, di seminari estremamente diffuso, capillare. Non esistono dei centri, ma esistono tante opportunit che sono in gran parte private. Banche che ti offrono lo stage per tre mesi, per poi uscirne, saltare in un'altra banca, etc. Per cui ti presti anche a gratis per una serie di mesi, o di anni, a fare un po' il free-lance sul mercato e ti costruisci nel tuo curriculum vitae delle tacche sul fucile, ti metti tante tacche che allafineti aprono la porta. Se la porta si apre, entri in un mercato del capitale che il vero mercato del capitale europeo. Entri in un mondo dove sostanzialmente non paghi tasse sul tuo primo stipendio e, quindi,rientridallo sforzo del pap e della mamma pi velocemente. Si tratta di un sistema estremamente incentivante per i giovani, che sono pagati molto perch vengono anche "usati" molto, nel senso che lo sfruttamento di queste risorse intensivo. In poco tempo acquisisci molte competenze e, se ti va bene, anche molto denaro. Ora, che tipo di capacit attrattiva pu avere il sistema del capitale italiano, delle imprese italiane, vis--vis questi giovani? Bisogna che aumenti la permeabilit dei quadri dirigenti a questi giovani. Londra piena zeppa di giovani italiani, probabilmente un po' viziati, ma sicuramente disponibili nel momento in cui fossero offerte delle chances serie di poter essere un po' in pista. Perch il problema per cui rimangono l, che non vedono chances di dimostrare di essere bravi e di poter crescere professionalmente. Quello che spesso accade che rientri e poi rimani l. Non c' permeabilit e mobilit all'interno del sistema (Davide Grignani). Non un caso che siano soprattutto le banche del Nord-Est (da Bergamo fino a Padova) quelle che hanno un atteggiamento pi aggressivo

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nei confronti del territorio, da una parte, e rispetto all'individuazione di nuove strategie competitive, dall'altra. Le banche sono delle aziende che riflettono la cultura delle zone in cui operano e nel caso del Nord-Est c' una evidente sovrapposizione tra vitalit del tessuto imprenditoriale e dinamismo del sistema bancario. Se si analizzano alcuni dati elaborati nel Rapporto Assicredito 1997135 emergono alcuni eie-menti interessanti che riguardano in particolare le banche del Nord-Est. Fra le banche italiane, quelle del Nord-Est sono, insieme a quelle del Nord-Ovest, quelle dove ancora l'occupazione cresce, anche se di poco. Ma, ci che forse pi interessante il tasso di turn over, c' un alto tasso di entrata e c' un alto tasso di uscita. Quindi, l'immagine che si ha guardando l'andamento del personale delle banche del Nord-Est di processi di rinnovamento delle strutture, degli uomini e delle donne - perch molte sono donne. Nelle banche del Nord-Est c' un processo di femminilizzazione pi forte che nella media delle banche italiane e occorre ricordare che una maggiore presenza femminile nelle aziende di credito molto frequentemente associata ad un maggior peso e sviluppo delle funzioni commerciali. Ma, le banche del Nord-Est sono anche quelle in cui la scolarit del personale pi elevata: se si mettono insieme il diploma di scuola media superiore e quello di laurea, infatti, si arriva quasi al 90% del personale. Ad ogni modo, nei prossimi anni la banca si trover a dover fronteggiare un grande mutamento nel rapporto con i clienti dal punto di vista generazionale. La prospettiva di medio-lungo periodo rispetto alla quale le banche si muovono quella di offrire gli stessi servizi e completare il loro pacchetto prodotti, ma raramente c' una riflessione forte riguardo alla possibilit che gli odierni quindici-ventenni hanno un rapporto completamente diverso con lo strumento informatico e che tenderanno ad allargarne l'uso. Si passa da una produzione della fiducia attraverso il rapporto faccia a faccia a collegamenti impersonali dati dalle reti informatiche. E' questo un passaggio decisivo che investir il sistema bancario soprattutto nella tendenza a processi virtuali di comunicazione. Il cliente del futuro cercher di non spostarsi e non solo per una diminuzione dei costi come avviene oggi per le relazioni bancarie con le imprese ed effettuer le operazioni direttamente da casa.
135. Luigi Prosperetti e Giancarlo Durante, a cura di, Rapporto Assicredito 1997; Retribuzioni e costo del lavoro nelle banche italiane ed europee, Assicredito, Roma, 1997.

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Verr nello stesso tempo messo in discussione il riferimento tradizionale del sistema; il cliente andr dove trover le condizioni migliori in un contesto in cui la contrattazione sar scarsamente discrezionale per il personale bancario e, quindi, preferir aprire un conto dove il costo di tenuta pu essere minore di quello italiano. Un riferimento consentito dal consolidamento dei collegamenti in rete, convalidato oggi dal successo della banca in rete Internet. In tendenza, questo far divenire obsolete alcune funzioni di front office, senza privilegiare quelle di back office, perch il back office bancario sempre stato quasi esclusivamente di tipo puramente impiegatizio: Ilfrontoffice dovr essere fatto in modo diverso perch il cassiere o lo sportellista di tipo tradizionale andranno gradualmente a scomparire. ... Il back office deve sparire perch i sistemi informatici avanzati che si stanno ormai affermando, sia pure con qualche rischio legato alla ancora eccessiva novit, dovrebbero consentire all'intera struttura della banca di trattare una sola volta tutte le operazioni che vengono fatte, cosa che purtroppo oggi ancora non avviene per molte operazioni. Nel prossimo futuro, quindi, il back office non dovrebbe sostanzialmente esistere pi (Corrado Faissola). Ma, pi in generale, vedr il sistema bancario costretto ad una trasparenza maggiore rispetto al cliente e sar costretto ad adeguarsi pi in generale culturalmente alla nuova fase.

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Capitolo Quinto SCENARIO E NODI CRITICI

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Se vogliamo tentare, in chiusura di questo rapporto un minimo di scenario, ci appariranno otto nodi critici: l'Europa; le sofferenze e il Roe; le difficolt nell'accompagnamento al fare impresa; il sistema fiscale; le banche e la borsa; il costo del lavoro e gli esuberi; il rapporto tra banche e assicurazioni; i nuovi mercati e i nuovi prodotti.

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L'EUROPA

Non ci sono dubbi che le banche saranno gli operatori economici che pagheranno il prezzo pi caro per l'euro. 136 Man mano che si avvicina la data fatidica del 1 gennaio 1999, a partire dalla quale gli istituti di credito si sono impegnati a garantire alla clientela la completa operativit anche nella nuova moneta, i responsabili dei progetti euro delle varie banche si stanno rendendo conto che le stime iniziali sugli investimenti necessari per l'adeguamento del sistema alla nuova moneta erano troppo ottimistiche. Nel 1995, la Federazione delle Banche Europee (Fbe) individuava nel 2% dei costi operativi la spesa per entrare nell'Unione Monetaria Europea (Ume), cio, a livello di sistema creditizio nazionale, circa 45 mila miliardi di lire in quattro anni. Ma, questa stima non tiene conto, per esempio, del fatto che, per tutto il periodo transitorio, conviveranno sistemi e procedure di gestione di due divise: euro e lira. Per molte banche italiane si parla di una incidenza in termini di costi operativi anche doppia, rispetto a quella stimata dalla Fbe. ' 3 7 Se fosse cos per tutte significherebbe che da qui al 2002 sarebbe destinata all'adeguamento all'euro quasi la met dell'utile netto annuo del sistema bancario nazionale.

136. Norbert Walter, capo economico della Deutsche Bank, confidava in una intervista a II Sole 24 Ore (14 luglio 1997) che nei dibattiti pubblici intorno all'euro era solito iniziare col dire che i banchieri sono di fatto contrari alla moneta unica perch perderanno profitti e posti di lavoro. A tale proposito, cfr. anche Eurofobia allo sportello, Mondo Economico, 28 aprile 1997, pp. 8-15; Daniela Polizzi, Sbancate dall'Euro, Il Mondo, 7 giugno 1997, pp. 94-96. 137. L'Abi, dalla seconda met del 1995, ha dato il via ad un progetto che vede impegnati centinaia di esperti provenienti dal sistema bancario e dalle istituzioni,

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L'impegno per l'adeguamento all'euro sicuramente gravoso, ma in realt il vero costo-euro per le banche italiane si annida nel lato "ricavi" del conto economico, in particolare laddove confluiscono i proventi dell'attivit bancaria classica. La riduzione del margine d'interesse, degli spreads, la diminuzione dei ricavi legati alle operazioni sull'estero, alle attivit finanziarie denominate in valuta e alla compravendita di divise, incideranno pesantemente sul margine di intermediazione di ogni istituto. Basti pensare che una simulazione compiuta dall'Abi sui bilanci del biennio '95-'96 mostra che con margini simili a quelli europei il sistema bancario italiano avrebbe registrato 10 mila miliardi di minori ricavi con l'attuale struttura operativa e di costi. La Comit {Tendenze monetarie, giugno 1997) ha stimato una riduzione del margine di interesse compresa tra 8 mila e 18.500 miliardi a seconda delle modalit di calcolo; una precedente simulazione Assbank {Lettera Assbank, febbraio 1997), costruita a partire dai tassi medi franco-tedeschi, era giunta a conclusioni mediane, stimando una flessione del margine di interesse di oltre 13 mila miliardi. Secondo Giuseppe Zadra, Direttore Generale dell'Abi:
suddivisi in numerosi comitati tecnici, ognuno dei quali volto ad analizzare uno specifico aspetto dell'impatto dell'euro sulle banche nazionali. Le principali voci di spesa sono quelle per l'adeguamento dei sistemi informatici, la formazione e la comunicazione. Si stima che saranno necessari 900 milioni di dollari (oltre 1.600 miliardi di lire) al sistema bancario italiano per gestire la migrazione alla valuta europea nel suo complesso. Per la Banca di Roma il complesso dei costi delle risorse interne impiegate nel progetto e della formazione da qui al 2002 pari a 175 miliardi di cui 99 destinati all'adeguamento del sistema informatico, 39 alla formazione interna, 12 alla comunicazione. Per la Popolare di Milano l'impegno complessivo pari all'incirca al 4% dei costi operativi: 70 miliardi, di cui 40 per l'informatica, 10 per il marketing e la comunicazione, 5 per la formazione, 5 per la modulistica. La BNL ha stanziato 165 miliardi, mentre la Comit ha gi iniziato a spendere gli 85-90 miliardi previsti da qui al 2000 (2,5% dei costi operativi), di cui oltre 55 in information lechnology, un settore il cui adeguamento per iniziato nel 1990. Proprio a causa della revisione in atto di tutto il sistema informativo a livello di gruppo non sono possibili valutazioni per il Credit, mentre Cariplo prevede di spendere fino al 1999 circa 70 miliardi, il 50% dei quali nell'informatica, il 20% nella formazione e comunicazione, il 30% come costo delle risorse interne dedicate. L'Ambroveneto ha messo in bilancio 200-250 miliardi (compresi per gli investimenti da effettuare in vista dell'anno 2000) di cui il 55% nell'informatica, voce nella quale la consulenza esterna ha inciso per il 5%. La stima orientativa del San Paolo di Torino di 110-130 miliardi dal 1997 al 2002 (65% in informatica, 20% in formazione, 155 in comunicazione), di cui il 60% verr speso entro il 1999. Cfr. Campi Lorella, L'Europa? Pesa almeno 37, CorrierEconomia, 19 gennaio 1998, pag. 11.

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In condizioni gestionali invariate, la prevista convergenza dei tassi potrebbe provocare una caduta del 37% circa del risultato lordo di gestione dell'intero sistema bancario italiano. Per quanto riguarda i cambi, le stime Abi prevedono che la riduzione dell'attivit intra-UE (pari in media a circa il 60% del totale) potrebbe dimezzare i profitti derivanti da tali fonti per gli istituti maggiori, mentre per quelle pi piccole operare in cambi rischierebbe di diventare addirittura antieconomico dopo il 1999.138 Prometeia, pur non quantificando l'impatto sul bilancio delle banche del solo passaggio all'euro, stima che nel 1999 l'utile del sistema caler del 14%, e questo nonostante gli effetti positivi in termini di minore tassazione dell'introduzione dell'Irap. Per assorbire i costi dell'euro e coprire la chiusura del margine d'interesse tutte le banche stanno puntando sul risparmio gestito, un settore in continua espansione, e sui servizi alle piccole e medie imprese. I tempi di ristrutturazione del sistema bancario e finanziario italiano, quindi, sono necessariamente stretti e sono essenzialmente quelli della moneta unica, dell'euro, perch finch esiste un diaframma valutario, questo consente di mantenere dei margini di interesse attivi e passivi diversi rispetto a quelli praticati negli altri Paesi e sistemi bancari europei. Questi margini si stanno riducendo rapidamente in Italia, ma rimangono pi alti di quelli prevalentemente praticati nel resto dell'Europa comunitaria. Con l'euro, non ci sar barriera valutaria, i tassi saranno necessariamente simili e le banche italiane dovranno essere capaci di adeguarsi al nuovo ambiente competitivo o sparire. Si richiede alle banche italiane di fare molto in fretta questo adeguamento che altrove iniziato gi negli anni '70. L'euro, infatti, un potente fattore di accelerazione di modifiche del contesto competitivo che erano gi in atto e che si sarebbero in ogni caso manifestate.

138. L'Abi stima che vi potrebbe essere una riduzione degli utili lordi di gestione sui cambi di 89 miliardi (quasi il 50%) per il Credit, di 88 per la Comit, di 56 per la BNL, di 52 per il San Paolo, di 39 per la Banca di Roma, di 31 per il Montepaschi e di 28 per la Cariplo. Nel suo insieme, il sistema bancario italiano rischia di perdere 383 miliardi legati ai risultati di gestione sui cambi, il 37% del totale (Cfr. Bancaria, febbraio 1998).

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Ma, saranno tutte le banche in grado di rispondere alla sfida dell'euro? L'euro rappresenta un grande impegno per la revisione che obbliga a fare dell'intero "sistema banca", dell'assetto del "conto economico" e, quindi delle strategie aziendali, della cultura e delle professionalit del personale, del modo di fare e di presentarsi, delle alleanze da dover stringere per superare i punti di debolezza o per esaltare quelli di successo. Il passaggio all'euro destinato a mutare l'intero scenario competitivo di riferimento, costringendo la banca a ripensare la propria strategia in termini di collocazione sul mercato, di tipologia di clientela, di "fare o comprare" (make or buy) banca. L'impatto dell'euro, quindi, sar quello di riproporre con pi forza le questioni di cui da anni si parla e cio il ripensamento del modo di "fare" banca. Nel nuovo contesto, ben pochi potranno fare tutto e ciascuno dovr scegliere consapevolmente quali prodotti fornire direttamente ai propri clienti e quali altri fornire indirettamente o non fornire affatto. Secondo alcuni, si tratta di una sfida che la rilevanza degli investimenti richiesti obbliga a considerare come un'opportunit, fino a proporre l'interrogativo, che pu sembrare un paradosso, se non convenga coglierla nel suo senso totalizzante: Riguardo, ad esempio, al sistema informativo, occorre valutare se non sia il caso di ripensarlo interamente orientandolo al cliente, a supporto di una struttura che funga essenzialmente da tramite fra chi necessita di prodotti finanziari e chi li produce, in grado ovviamente di fornire un'assistenza a elevato contenuto professionale; oppure, riguardo ai prodotti, se non sia il caso di occuparsi solo della loro promozione e vendita e non pi della ideazione, lasciando tale incarico a entit specializzate; a ancora, riguardo alla logistica e all'impiego del personale e alla sua prevedibile riconversione, se non sia il caso di alleggerire ulteriormente il peso delle presenze territoriali statiche a favore di presidi dinamici ("promotorifinanziari"ad alta qualificazione), grazie ad applicazioni (sviluppate anche in ambiente Internet-Intranet) che consentono di sfruttare l'innovazione tecnologica e la telematica verso una sempre pi decisa virtualizzazione dei processi affrancata da limiti spazio-temporali, da vincoli di piattaforma hardware, in regime di assoluta sicurezza (Pier Giorgio Picceni). Altri sottolineano che il grosso rischio che il sistema bancario italiano sta correndo quello di una sostanziale sottovalutazione di un fenomeno che dovrebbe condurre ciascuna banca a riproporsi le ragioni della propria esistenza nel nuovo mercato europeo: La verit che il fenomeno dell'euro porta ad un cambiamento del business system tale da modificare i fattori chiave di successo del sistema bancario. Torna
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ad avere un grande valore il fatto di saper assumere dei rischi. Ma, il vero problema capire quali saranno i tempi del cambiamento perch il sistema bancario italiano composto in maggioranza da aziende piccole dimensionalmente, sovracapitalizzate dal punto di vista monetario ed in mano pubblica. In queste condizioni anche possibile che si distrugga del valore per anni senza che nessuno richieda un cambiamento nel modello di gestione. Dopo di che sono assolutamente convinto che le scadenze arriveranno e che saranno devastanti per il sistema bancario italiano (Alessandro Profumo).

Se vero che a livello europeo potranno esserci solo 15-20 global players, lo sviluppo della dimensione e dell'efficienza interna sar la parola d'ordine degli istituti di credito maggiori, che si candidano a competere a livello internazionale. Mentre tra le banche regionali e locali, che dovranno ricorrere all'outsourcing per le attivit che diverr antieconomico fare in casa, sopravvivranno quelle che riusciranno a "fidelizzare" segmenti di clientela, creandosi nicchie di mercato. In mezzo a queste due categorie c' un gran numero di realt destinate a scomparire con l'inizio del nuovo millennio, o per effetto di fusioni o perch verranno assorbite dai grandi e piccoli giganti. L'ingresso nell'Urne porta con s una capacit delle banche di assumere una dimensione conforme ad un sistema competitivo in cui non assodato il parallelismo banca-territorio. Di certo, fare banca su una dimensione internazionale non significher abbandonare la dimensione territoriale, ma anche qui verr operata una selezione tra chi sapr interpretare i fabbisogni locali e sapr metterli in circuito e chi si limiter a fornire semplici servizi di raccolta. La sfida quella di costruire un sistema bancario robusto, capace di essere competitivo a livello mondiale che riesca a coniugare ed integrare due componenti fondamentali: da una lato, la focalizzazione al territorio, al risparmiatore e alla piccola e media impresa del capitalismo molecolare italiano, e, dall'altro, i vantaggi della dimensione, delle economie di scala, del mettere in comune tutta una serie di strategie di sviluppo, tecnologiche, di servizio, di prodotto, etc. Si prevede un sistema con due, tre, quattro istituti di dimensioni internazionali che per processi di accorpamento successivo arriveranno a controllare pi del 50% del mercato, alcuni istituti regionali ed una rete di sportelli locali sull'esempio del sistema tedesco che facciano la raccolta: 286

L'Italia ha bisogno di quattro grandi banche, di venti banche regionali molto forti e di 100 o 200 banche locali. Ognuna nel suo settore pu andare bene ed essere brava. Per la banca regionale o locale non deve pretendere di aprire uno sportello a New York (Alfonso Iozzo). Dello stesso avviso anche un osservatore attento come Alberto Quadro Curzio: Nel prossimo futuro si tratter di vedere se alcune banche italiane potranno aspirare a diventare grandi banche intemazionali. Oggi, mi pare che la prima banca italiana non sia tra le prime venti al mondo. Invece, le banche molto radicate sul territorio non hanno nessun bisogno di diventare banche intemazionali e possono continuare a fare il loro servizio in quello spazio territoriale, come d'altronde succede anche in paesi pi avanzati del nostro. Quindi, da un lato, ci saranno alcune banche che si accorpano e crescono, dall'altro lato ci saranno delle banche radicate sul territorio che continuano a fare il loro lavoro di servizio al territorio. Se dal punto di vista del mercato interno, il problema sar quello della razionalizzazione e della riorganizzazione funzionale e di rete, non regge l'equazione banca piccola-estromissione dal mercato. Per evitare semplificazioni superficiali, sappiamo che negli Stati Uniti, accanto a dieci, quindici grandi operatori nel campo bancario e finanziario, continua ad operare una miriade di banche locali e regionali essenzialmente dedite al dettaglio. Il processo di globalizzazione mette in luce che si sta tanto meglio nell'arena mondiale, quanto pi radicati e solidi si localmente. In Italia, molto dipender dall'evoluzione del sistema, dalla segmentazione del mercato, dal riposizionamento dei vari operatori e dal peso che sapr esercitare la struttura policentrica che caratterizza il tessuto socio-economico-produttivo: Credo che il discorso debba essere estremamente equilibrato, perch da un lato esistono problemi di dimensione e quindi di massicci investimenti che richiedono una dimensione delle banche, ma dall'altro lato non bisogna dimenticare qual la struttura economica decentrata del nostro paese che richiede, quindi, un certo pluralismo. Trovo che assolutamente folle, sia la difesa sottodimensionata del piccolo, sia la concentrazione assoluta. Il nostro paese un paese molto ricco e molto articolato e quindi per essere servito bene richiede una pluralit di operatori. Naturalmente ogni operatore deve raggiungere il massimo dell'efficienza. Penso che sia un gravissimo errore ridurre drasticamente il numero degli operatori, cos come un errore cercare di difendere delle strutture sottodimensionate. E' proprio l'economia italiana, la civilt, il tessuto che si andato formando che richiede que287

sto in molti settori, non solo nella finanza. Si pensi, ad esempio, alla difesa del nostro patrimonio artistico: non avrebbe alcun senso concentrare tutto in due grandi musei (Enrico Filippi). D'altra parte, anche nell'industria si diceva fino ad un decennio fa che la tecnologia "di per s" avrebbe condotto alla formazione di grandi imprese. Diversamente - ne abbiamo prova ogni giorno - la tecnologia si sviluppata proprio nella direzione della flessibilit, della modularit. Non un caso, quindi, se molti dirigenti dei "piccoli giganti" ritengono che la dimensione sia un falso problema e puntano tutto, o quasi, sulla leadership territoriale. Crescere bello, ma anche piccolo importante. La cosa fondamentale essere ben radicati, con una buona presenza sul proprio territorio e, soprattutto, importante che si abbiano idee chiare sul proprio futuro: Il problema dimensionale un falso problema. Ognuno deve essere possibilmente leader o co-leader sul proprio territorio. Non ci sono altre strade per fare al tempo stesso attivit propulsiva dell'economia e, quindi, delle banche all'andare alla ricerca di leadership sul territorio. ... L'importante essere leader sul proprio territorio, essere legati al proprio territorio, la dimensione un aspetto che, pur avendo importanza ai fini di realizzare certe economie di scala, a mio giudizio, non essenziale per il sistema bancario italiano.... La presenza capillare sul territorio un grandissimo vantaggio competitivo (Corrado Faissola). Ad ogni modo, anche quando emergeranno a seguito del processo di concentrazione in atto, i nostri 4 o 5 "campioni nazionali" saranno assai differenti da quelli degli altri paesi europei. I principali gruppi bancari esteri sono fortemente internazionalizzati, mentre i nostri saranno grandi banche nazionali con nessuna o scarsissima presenza internazionale (con l'aggravante che la nostra economia fatta in modo consistente di piccoli e medi esportatori). Con l'euro, per gli stranieri spariranno il rischio tasso e il rischio valutario, ritenuti finora troppo volatili per l'Italia e, quindi, l'attenzione per le condizioni di insediamento nel nostro Paese crescer molto. C' chi, come Egidio Giuseppe Bruno, Vice Presidente del Credit, ritiene che in queste condizioni sia ormai tardi per le banche italiane per internazionalizzarsi:139

139. Bruno Egidio Giuseppe, Banche italiane, lardi per internazionalizzarsi, Il Sole 24 Ore, 13 febbraio 1998, pag. 35.

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Ci siamo impegnati ad aprire sportelli in casa e non potevamo farne a meno, proprio nell'esatto momento in cui culminava su scala planetaria la corsa alla globalizzazione finanziaria. L'improvviso scatenarsi della competizione spingeva le banche verso una maggiore .attenzione alla riduzione dei costi. Le reti estere, a lungo lasciate al di fuori del core business e trasformatesi sovente in fiori all'occhiello decisamente poco redditizi, venivano sottoposte a sostanziali cure dimagranti. A questo punto il ritardo accumulato tanto. L'unione economica e monetaria con l'avvento del mercato unico dei capitali alle porte. Che fare? In estrema sintesi, ritengo che oggi ai banchieri italiani sottoposti alla sfida di una concorrenza estera non pi lontana e impercettibile, si ponga un'alternativa tutto sommato abbastanza semplice. Possiamo scegliere tra strategie di internazionalizzazione, intesa come espansione all'estero delle nostre attivit tramite acquisizioni e aperture di filiali e strategie di integrazione, ovvero di sviluppo mirato di attivit specifiche, realizzato sia tramite uno sviluppo orizzontale (ad esempio allargamento della base patrimoniale mettendo assieme pi gruppi bancari), sia tramite lo sviluppo verticale di specifici rami di attivit. L'internazionalizzazione stata la scelta compiuta da molte grandi banche francesi, tedesche e olandesi. Ha costi molto elevati, molto rischiosa e pu arrivare a essere fatale. Abbiamo tutti sotto gli occhi le vicende di istituti come li Credit Lyonnais, Paribas, Deutsche Bank, Dresdner Bank, che dopo ingenti investimenti miranti a un'esplosione a 360 gradi sono state costrette o hanno preferito ridefinire in maniera pi selettiva i propri obiettivi. Per noi un'opzione di questo tipo non proprio disponibile. L'integrazione , invece, un processo - diciamo cos - pi analitico, che comporta scelte selettive, ed la via da percorrere per chi, tra i gruppi italiani vuole mantenere una sua autonomia operativa e raggiungere una soglia critica minima a livello europeo. L'integrazione orizzontale, con la costituzione di gruppi italiani di maggiori dimensioni, e quindi soltanto quelli pi allineati agli standard "globali", pu innanzitutto favorire una maggiore efficienza della funzione distributiva. L'obiettivo la realizzazione di reti di sportelli di assoluto valore. Teniamo presente che nel nostro Paese l'abbondanza e la diffusione del risparmio sono tali che il valore delle reti bancarie efficienti particolarmente elevato. In definitiva si pu mirare a essere una efficiente rete distributiva che collochi anche (o soprattutto) prodotti fatti altrove da soggetti pi efficienti. L'integrazione verticale, che si sviluppa lungo linee di prodotto, pu invece avere luogo attraverso alleanze e accordi con gruppi esteri. In un quadro dove dell'industria manifatturiera la distribuzione vale molto, possiamo affidarci all'esterno per la produzione senza temere di vedere ridotti eccessivamente i nostri margini. A tale proposito, c' chi intravede la possibilit che l'internazionalizzazione del sistema bancario italiano possa svilupparsi attraverso la formazione di alleanze transnazionali tra banche regionali operanti in territori i cui tessuti economici-sono caratterizzati da un alto grado di

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complementariet (ad esempio, il Veneto e la Baviera). In questo modo, si produrrebbe una rifocalizzazione del sistema bancario non tanto in chiave nazionale, quanto su nuove aree regionali, ma in una dimensione europea: Non so se sia corretto assumere come riferimento il sistema Italia piuttosto che il sistema Germania o il sistema Francia, perch i fenomeni economici e, quindi, della produzione e del consumo, ormai sono talmente interconnessi per cui non credo che si possa facilmente ragionare sul fatto che ci sia una differenza netta tra l'impresa tedesca e quella italiana. Di fatto, probabilmente ragionerei per sub-aree o regioni economiche, l'impresa del Veneto e quella della Baviera. I territori economici si vanno ridisegnando in funzione di affinit ed interconnesioni particolari. Ecco perch, dal punto di vista bancario, troverei molto sensato - e penso che emerger in futuro - che si creino degli intermediari, o delle coalizioni intermediarie che hanno delle affinit rispetto a questi territori economici da definirsi. Allora, piuttosto che vedere una grande alleanza fra la Deutsche Bank e una grande banca italiana, vedrei molto di pi, ad esempio, una partnership robusta tra una banca di qua e di l di un confine, che ormai ha solo un senso amministrativo. Ci sono delle banche che stanno gi facendo questo ragionamento, sia in Veneto che in Piemonte. Cio, la focalizzazione territoriale di queste banche, per esempio, molto pi sull'asse Veneto-Baviera che su quello Veneto-Marche. Le Marche vengono percepite pi distanti della Baviera, e in questo, probabilmente, il mercato unico, dal punto di vista bancario, determiner una progressiva gravitazione centripeta del sistema bancario settentrionale italiano sempre di pi verso un baricentro europeo e una defocalizzazione rispetto al Meridione. Salvo che il Meridione mantiene ancora una un'attrattiva rilevante in termini di raccolta di risparmio e, quindi, finisce per essere il retrobottega dove si possono acquisire ancora dei fattori produttivi a prezzo pi basso. Per, cos come sono impostate oggi le cose, il vero futuro si gioca probabilmente nella riaggregazione di queste aree economiche. Nel momento in cui questo si comincia a delineare, indubbiamente, anche le banche dovranno assolutamente ragionare in questi termini. Infatti, se uno va vedere, la Banca Friuladria, ad esempio, ragiona in termini di partnership estera, non di partnership italiana. E ci sono altri esempi di questo tipo. Probabilmente sono le prime avvisaglie di un futuro che andr a prodursi rapidamente. Il problema, con ogni probabilit, costituito dalla grande complessit di allineamento. Perch adesso noi ragioniamo di mercato unico dei servizi finanziari, per anche se le legislazioni finanziarie tendono ad avere una forte convergenza, grazie all'azione dell'Unione Europea, poi, sottostanti, restano dei sistemi di governo delle relazioni industriali, sistemi fiscali, etc. che sono profondamente diversi. Quindi i dislivelli tra i vari Paesi e le varie regioni europee sono ancora estremamente marcati. Per questo molto difficile capire dove andr a prodursi questa rifocalizzazione su nuove aree regionali (Paolo Mottura).

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LE SOFFERENZE E IL ROE

Il livello delle sofferenze del sistema bancario italiano nel suo complesso molto alto: oltre 123 mila miliardi, con un rapporto sofferenze impieghi dell'11,7%. Ma, il problema dei bad loans accumulati durante la crisi industriale e finanziaria del '92-'93 riguarda soprattutto le banche del Sud e alcune grandi banche a vocazione nazionale.140 Nel territorio centro settentrionale le sofferenze bancarie delle banche di media e piccola dimensione, infatti, si posizionano intorno al 3%, mentre quelle che superano il 4% sono considerate gi un po' azzardate nel

140. Le sofferenze delle banche italiane sono passate dagli oltre 54.000 miliardi del 1992, ai 70.000 del 1993, ai 91.000 del 1994, ai 110.000 del 1995, ai 120.000 del 1996, per superare i 123.000 nel 1997. Se si tiene conto dell'ammontare complessivo delle sofferenze e degli incagli e lo rapporta al totale degli impieghi emerge come per il sistema creditizio italiano, o perlomeno per una larga parte di esso, il rischio di credito costituisca un vincolo forte all'operativit, un "peso" destinato ad incidere sui bilanci dei prossimi anni. Alla fine del 1996, ultimo dato ufficiale disponibile in modo articolato per aree geografiche e dimensionale delle banche, il rapporto in questione era pari al 14,1% per il totale delle banche; ma la gamma di variazione va dal 6,3% che si registrava in Piemonte o dall'8,6% in Trentino Alto Adige e dall'8,7% in Friuli Venezia Giulia, al quasi 38% della Sicilia. Tutte le regioni del Mezzogiorno, d'altra parte, registrano valori molto elevati del "rischio credito", nella maggior parte dei casi superiori al 30%.

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dare i prestiti. E il Roe, uno dei principali indicatori di redditivit,141 in media intorno al 10%, con punte del 14%, mentre il Roe medio del sistema bancario nazionale si ferma al 3% circa. Tra le grandi banche a vocazione nazionale, il Credito Italiano, forse fra queste quella pi brillante, si attestato intorno al 4,5% nel '96 e per il '97 i dati preconsuntivo dicono che si in linea con le previsioni, cio il 7% (l'obiettivo per il 1998 l'll%). Al Nord, le banche di piccole e medie dimensioni sono le cosiddette banche di provincia e rappresentano l'altra faccia delle piccole e medie imprese, del tessuto produttivo pi dinamico, sano e redditizio dell'economia italiana. Il triangolo dell'eccellenza ha il suo punto di snodo nel territorio lombardo-veneto, si incunea al Nord e si allarga in basso nell'Emilia Romagna. Secondo molti degli intervistati, il sistema dell'erogazione del credito sulla base delle garanzie reali e l'alto tasso di sofferenze del sistema bancario italiano sono le due facce della stessa medaglia. La banca ha l'esigenza di avere anche un approccio garantista, in quanto deve garantire i suoi depositanti, per occorre che si introduca nella gestione del credito la consapevolezza che la garanzia reale reale solo fino ad un certo punto, perch la vera garanzia che un'impresa pu dare nei confronti dei suoi finanziatori la capacit di saper svolgere la sua funzione di impresa, di saper guadagnare. Non c' impresa se non c' capacit di profitto e se c' capacit di profitto c' evidentemente anche la capacit di fare fronte ai propri impegni. Molte garanzie reali, nel momento in cui l'impresa non pi in grado di fare fronte ai suoi impegni, l'esperienza degli ultimi decenni ha ampiamente dimostrato, che poi in un certo senso si svuotano. Infatti, se garanzia extra-aziendale (ad esempio, il patrimonio immobiliare della famiglia dell'imprenditore) de-

141. Il Roe, ovvero il return on equity, un indice che fornisce una misura sintetica del rendimento netto dei mezzi propri impiegati nell'esercizio dell'attivit aziendale e, dunque, della redditivit del capitale di rischio; in pratica indica la. remunerazione di ogni unit del capitale conferito dai soci. Si ottiene mettendo in rapporto l'utile netto di esercizio con il capitale di rischio (o capitale netto) investito nell'impresa.

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ve fare i conti con gli alti e i bassi del ciclo immobiliare. 142 Ma, anche se la garanzia lo stesso stabilimento, quale pu essere il suo reale valore? E' difficile che ci sia un altro imprenditore pronto ad acquistarlo a quello che il valore dei debiti. La garanzia reale, se garanzia aziendale, si svuota quando l'azienda va in crisi: La spiegazione della crisi di molti grandi gruppi bancari, come il Banco di Napoli, sta nel fatto che gli attivi sono spesso assai nebulosi, con dei volumi reali molto inferiori a quelli che sono dichiarati. Molte banche hanno degli attivi che sono sovrastimati a seguito della sopravvalutazione del valore delle garanzie reali presentata da coloro a cui esse hanno prestato denaro. Queste garanzie, al momento effettivo, si dimostrano non realizzabili. Se una banca ha un'ipoteca su dei capannoni che per nessuno comprer mai perch la tal zona andata in crisi, i capannoni diventano soltanto dei muri e non sono pi dei beni appetibili. La banca ha una garanzia, il capannone, ma se l'azienda fallisce, pu anche diventare di sua propriet, ma che se ne fa la banca del capannone? (Fabio Taiti). Recessione e finanza degli anni '80, speculazione immobiliare e tante sofferenze sospette di essere state "dazioni ambientali" nell'Italia di Tangentopoli e della malavita organizzata. 143 C' di tutto tra le scorie che le banche italiane si sono lasciate alle spalle in anni di write-offs,

142. Questo punto ben sottolineato da Luca De Rita: Anche avere un grande e moderno palazzo come quello in cui ci troviamo, che pure ha un valore intrinseco, non una garanzia sufficiente per una banca, perch la crisi del settore immobiliare cosa ha comportato? Questo palazzo, che magari poteva valere 100 miliardi nel '91, oggi a fatica lo vendi a 50. Se ti avevo affidato per una cifra congrua, per 100 miliardi, oggi sono esposto, a 50. In pi, questo immobile aveva delle caratteristiche reddituali, di affitti, per gli inquilini che cierano dentro, che con il tempo non si sono mantenute. 143. Un recente studio di Luigi Donato e Donato Masciandro (cfr. Donato Masciandro, Le sofferenze del Sud sono un problema nazionale, Il Sole 24 Ore, 29 gennaio 1998, pag. 31) sui rapporti tra sofferenze e irregolarit bancarie ha mostrato che: comportamenti irregolari sono stati i fattori determinanti per l'insorgere della gran parte delle crisi bancarie conclamate; su base territoriale il fenomeno crisi/irregolarit gestionali sembra riguardare in modo pi rilevante le banche meridionali; vi un numero significativo di crisi/irregolarit gestionale negli ultimi anni.

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pi spesso sulle spalle dei contribuenti che su quelle degli azionisti.144 Crisi strutturale dell'immobiliare in Europa; soldi troppo facili dati a Ferfin, Premafin, Cameli-Gerolimich, Uno Holding, Polli, Sottrici-Binda, Unipar, Ferdofin, Mandelli, Acqua Marcia, Efim, Finmeccanica, Iri, Federconsorzi, Dalle Carbonare, etc; migliaia di PMI soffocate dalla congiuntura; vere e proprie speculazioni avventurose andate male.145 La storia contemporanea delle grandi crisi e pulizie creditizie in Italia comincia nell'82, con un crack vero e proprio: quello del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi. Un buco di 1.200 miliardi di allora, di fatto figlio della bancarotta di Michele Sindona. Si trattava di cattiva gestione, mista ad intrighi di mafia e P2. ' ^ Molto meno spettacolare, ma pur sempre da 1.700 miliardi lordi, fu la crisi della Cassa di Risparmio di Prato nell'87 avvenuta a causa dell'attivit di merchant banking condotta in modo dilettantesco in un distretto tessile molto concentrato ed espostissimo al ciclo.

144. La Banca d'Italia calcola che dagli anni '80 in poi i salvataggi bancari in Italia sono costati circa 8 mila miliardi di lire, lo 0,4% del Pil. Si tratta indubbiamente di lina cifra notevole, ma tutto sommato contenuta se si considera che il risanamento del sistema della Casse di Risparmio degli Stati Uniti (le Savings and Loans Associations) ha comportato una spesa di circa 160 miliardi di dollari, "quanto il costo della Seconda Guerra Mondiale". Il salvataggio del Credit Lyonnais e del Credit Foncier in Francia costato dai 40 ai 50 mila miliardi di lire. Il piano di salvataggio del sistema bancario giapponese raggiunge la fantastica cifra di circa 400 mila miliardi di lire. 145. Per capire bisogna tornare alla seconda met degli anni '80 quando cominciata l'esplosione degli impieghi. Le banche italiane, contagiate dall'euforia della finanza facile di quegli anni, hanno cominciato a concedere crediti con manica molto larga. Cos gli impieghi che nel 1987 erano fermi a 347 mila miliardi sono arrivati alla fine del 1991, a 565 mila miliardi con una crescita media del 16% annuo. E' stata una corsa verso il baratro. I finanziamenti crescevano, all'incirca, di 10 punti pi del Pil, quindi della ricchezza della nazione. Quei soldi, cio, non andavano a supportare lo sviluppo produttivo, ma solo operazioni speculative e iniziative dall'incerto destino. Quando a partire dalla met del '90, cominciata la recessione, gli imperi costruiti sul debito si sono sgonfiati. In molti casi, la situazione diventata insostenibile dopo la bufera valutaria dell'estate 1992.1 tassi bancari sono volati alle stelle e solo dopo molti mesi sono cominciati a scendere. Negli ultimi anni gli impieghi hanno rallentato vistosamente il passo sia perch le imprese di maggiori dimensioni hanno fatto maggiore utilizzo di fonti alternative di finanziamento, non ultimo il ricorso diretto al mercato, sia perch, in generale, aumentata la capacit di autofinanziamento delle imprese favorita dalla crescita delle esportazioni. 146. Dopo 15 anni si chiusa il 25 novembre 1997 la liquidazione del Banco Ambrosiano. Un crack da 1.193 miliardi (del 1982) che tre lustri di lavoro in mezzo mondo dei liquidatori ha ridotto alla cifra finale e definitiva di 220 miliardi.

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Nel 1989 la volta della BNL di Nerio Nesi a crollare sotto i colpi deWAtlantagate, i 4 mila miliardi di crediti erogati da Chris Drogoul all'Iraq di Saddam Hussein. Dopo un primo clean up da 498 miliardi nei conti dell'89, il bilancio della BNL resta in difficolt fino al '95, quando il Tesoro reintegra il patrimonio facendo confluire nell'istituto l'Artigiancassa. Nel frattempo, anche Giampiero Cantoni costretto a lasciare la presidenza della banca perch risultato coinvolto nell'inchiesta sulla bancarotta della Mandelli di Piacenza, il gruppo di cui BNL era stata robusta finanziatrice. La ripulitura definitiva del conto economico e dello stato patrimoniale dai retaggi del passato e, in particolare, dagli ultimi effetti del crack di Atlanta, avvenuta solo nel bilancio 1997 in vista della privatizzazione con un write off compreso tra i 1.700 e i 2.400 miliardi. Dopo Atlanta, infatti, i vertici della banca (peraltro nel pieno rispetto del codice) hanno passato a perdite, oltre al capitale, solo il 25% degli interessi di mora relativi alle sofferenze, lasciando il rimanente 75% all'attivo. Ora, per, l'imminente privatizzazione consiglia loro di ripulire il conto economico: ci significa mandare la banca in rosso nel 1997, ma far emergere il valore nel 1998, l'anno della vendita, a vantaggio dei futuri azionisti privati. Altri amministratori di banche hanno poi dovuto lasciare i loro incarichi negli anni '90, tutti risucchiati di fatto dai rossi profondi in cui erano piombati i rispettivi istituti. Ferdinando Ventriglia, "// vicer del Banco di Napoli", muore a fine '94 subito dopo essere stato silurato dalla Procura per abuso d'ufficio. La pulizia del bilancio era gi cominciata nella primavera del 1993, con perdite per 1.147 miliardi. E' proseguita nel '95 (3.155 miliardi) e nel '96 (1.651 miliardi), dopo che ben 12 mila miliardi di crediti di dubbio realizzo sono stati scorporati in una bad bank. Al Banco di Sicilia lo stato di crisi stato dichiarato fin dal '93 (849 miliardi di rosso) e resta fino al faticoso pareggio contabile raggiunto nel '96, dopo sbilanci per altri 900 miliardi. Al Sud, dove le sofferenze sono endemicamente al di sopra del 20%, difficile distinguere tra la debolezza strutturale dell'economia e le pressioni-infiltrazioni del crimine organizzato nelle imprese e nelle banche. Sicilcassa (liquidata e fusa nel Banco) storia recente: oltre 2.500 miliardi di buco (di cui 1.000 ripagati dal Fondo interbancario di garanzia dei depositi) e terri295

bili sospetti sugli affari illeciti sostenuti di fatto fondo perduto. La soluzione alla crisi dei due istituti isolani stata trovata aggregando le due banche fra di loro e facendo arrivare da Roma il Mediocredito Centrale come socio di riferimento e relegando la Regione al ruolo di azionista di minoranza. La Commissione europea ha recentemente avviato la procedura formale di infrazione per gli illeciti e non notificati aiuti pubblici all'operazione di fusione del Banco di Sicilia con Sicilcassa: sotto accusa sono l'intervento del Mediocredito, gli anticipi della Banca d'Italia e il conferimento Irfis. Il Calabria (la regione italiana pi rischiosa in assoluto sul piano creditizio) si sfascia Caricai, che nel '96 d fondo a migliaia di miliardi di sofferenze con 520 miliardi di disavanzo spesate dalla Cariplo, che nel '93 ha "salvato" a prezzo pieno anche Caripuglia; un istituto che ha avuto oltre 1.000 miliardi di perdite negli ultimi quattro anni. Il conto complessivo stato pagato nel '96 dalla stessa Cariplo che ha chiuso il bilancio quasi in pareggio. In questo modo, la Cariplo ha visto appannarsi per la prima volta in quasi due secoli la sua proverbiale solidit e profittabilit, spendendo gran parte del suo risultato operativo (2 mila miliardi) per archiviare l'avventura nel Mezzogiorno. Roberto Mazzotta, l'ultimo presidente della Cariplo pubblica, era stato traumaticamente allontanato fin dal '94, ma per una vicenda di tangenti del tutto estranea alla gestione della banca. Per presunto falso in bilancio e conflitto di interessi stato, invece, chiesto il rinvio a giudizio per Piero Schlesinger, ex-presidente della Banca Popolare di Milano. 147 Lascia la presidenza nel '93, dopo 23 an-

147. Le motivazioni del magistrato sono pesanti: Schlesinger ed altre 22 persone (ex amministratori, sindaci e dirigenti della banca) sono state rinviate a giudizio per i presunti falsi nei bilanci della BPM per gli esercizi che vanno dal 1989 al 1993 e che sono stati = . quantificati in 617 miliardi (che hanno consentito di distribuire 279 miliardi di utili in realt non conseguiti). Il Pm ha chiesto il rinvio a giudizio per le ipotesi di concorso in falso in bilancio e illegale distribuzione degli utili. Inoltre, il Pm ha accusato Schlesinger di avere "omesso di astenersi dal voto-in occasione delle ripetute delibere" relative ai finanziamenti alle societ del gruppo Ferfin-Montedison (la BPM arriv a finanziare il gruppo fino ad una punta di 1.300 miliardi, risultando essere la banca proporzionalmente pi esposta) "pur avendo egli un interesse in conflitto con quello della banca poich era legale di fiducia d Raul Gardini" e avere agito "analogamente nell'ambito dei rapporti creditizi della Popolare di Milano con la Gardini srl, controllata dallo stesso Gardini". Nel primo caso, sempre secondo il magistrato, le perdite provocate alla banca sono risultate superiori a 220 miliardi, nel secondo assai inferiori: circa 2,5 miliardi.

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ni, con conti in difficile pareggio. L'anno dopo i successori scaricano 391 miliardi di perdite, in gran parte dovuti a crediti inesigibili. Ma, nel setaccio finisce anche lo sfortunato acquisto dell'Imi, una societ di leasing rivelatasi un colabrodo. Era stata ceduta per 107 nel 1988 alla Bpm dalla Ifm miliardi (ma l'"affare" costato poi alla Bpm 220 miliardi di perdite), cio da tre bancarottieri (Aldo Selvaggi, Roberto De Gaetano e Cristiano Mancini, condannati rispettivamente a 12, 8, 7 anni di carcere dal tribunale di Milano nel 1996) tra i pi spregiudicati della Milano d'assalto degli anni '80. Pi lunga e dolorosa stata la sofferenza della Popolare di Novara, la pi grande cooperativa creditizia d'Europa con 162.000 soci. Troppi finanziamenti all'immobiliare e una partita - i crediti concessi in Svizzera a Florio Fiorini - troppo grande per Piero Bongianino, l'amministratore delegato che venne anche arrestato per il crack Sasea. Fino ai primi anni '80, la Banca Popolare di Novara era una grande banca di raccolta con scarse capacit di impiego. Dalla seconda met degli anni '80, anche a seguito di sollecitazioni da parte della Banca d'Italia, ha modificato radicalmente la propria strategia, dandosi una struttura di gruppo polifunzionale e assumendo numerose partecipazioni in societ bancarie e non, sia in Italia che all'estero, con un investimento complessivo di circa 1.000 miliardi, dimostratosi poi scarsamente produttivo o addirittura una perdita. Il maggiore dinamismo all'attivit d'impiego della banca impresso dagli amministratori, anche a costo di assumere un maggiore grado di rischio, infatti, si largamente basato sul progressivo allargamento del credito "finanziario" accordato a grandi gruppi (Ligresti,148 Della Valle, la Sasea di Fiorini, etc.) che successivamente sono passati attraverso delle grandi difficolt, mentre la vocazione

148. L'esposizione della Banca Popolare di Novara verso il gruppo Ligresti-Premafin di 190 miliardi in tutto e all'inizio del 1998 la banca ha aderito alla convenzione interbancaria proposta da Mediobanca nel dicembre '97 per la sistemazione dei debiti del gruppo Ligresti-Premafin. Il s della Novara era uno dei quattro compresi da una clausola sospensiva della convenzione che riguardava anche il Fonspa (700 miliardi di crediti), la Sga (la bad bank del Banco di Napoli, 600 miliardi) e la Cariplo (101 miliardi). Erano questi gli istituti esposti principalmente con mutui ipotecari verso la Premafin (cfr. Antonio Quaglio, Popolare di Novara, s al piano Ligresti, ma con garanzie sulle azioni Sai, Il Sole 24 Ore, 19 febbraio 1998, pag. 37).

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tradizionale della Banca era quella del credito "commerciale" alla piccola e media impresa. Il tentativo di trasformazione da banca tradizionale "addormentata" (come "banca delle banche", cio con una posizione di forte datore sull'interbancario) a vocazione locale o regionale a banca dinamica e aggressiva con ambizioni nazionali e internazionali stato effettuato senza modificare la struttura della banca (ad esempio, tutta l'attivit era accentrata a livello di Direzione Centrale, senza che vi fosse un reale dialogo con le sedi periferiche) e ha portato alla sua profonda crisi, con risvolti anche di carattere giudiziario. Per tre anni (dal '92 al '94) la Bpn cerca di salvare il salvabile, con pareggi risicati e perdite a singhiozzo, anche il vecchio Lino Venini, richiamato in servizio, deve arrendersi. Per salvare l'autonomia della banca e coprire le grandi sofferenze maturate, si giunti negli ultimi due anni alla dismissione di alcune banche controllate e all'incorporazione di altre. I nuovi amministratori, in carica dal 1996, si sono trovati a dover ristrutturare radicalmente una situazione pregressa che ha visto chiudere il bilancio con una perdita di 321 miliardi a livello di banca e 384 a livello consolidato, per arrivare a costruire una banca nuova, con condizioni di operativit in grado di garantire nuovamente livelli adeguati di redditivit:149
La banca fino all'inizio degli anni '80, diciamo fino al 1982, stata una grossa banca di raccolta con scarse capacit di impiego. Tant'E vero che era considerata una banca un po' addormentata, cio una banca che raccoglieva denaro e lo prestava alle altre banche o lo investiva in titoli di Stato, quindi con propensione a correre rischi molto bassa. C' stato un cambiamento a quel punto su spinte diverse: sono cambiati gli uomini di vertice e si cambiata completamente politica. La banca ha fatto un passo molto lungo, nel senso che nel giro di pochi anni ha realizzato un'imponente politica di acquisizioni, sia rilevando alcuni istituti che stavano andando abbastanza male, sia espandendosi in settori nuovi, ad esempio acquisendo la partecipazione di maggioranza dell'Ince, l'Istituto Nazionale di Credito Edilizio, sia espandendosi all'estero.

149. Dai 321 miliardi di perdite del '95 - l'esercizio della grande pulizia dei conti - la Novara approdata nel '96 ad un pareggio sostanziale (4,6 miliardi di utile). Per il 1997 il bilancio salda in attivo netto per 43,2 miliardi. La raccolta diretta da clienti a fine '97 ha toccato i 24.362 miliardi (+5,3%), mentre quella indiretta a 40 mila miliardi (+17%). Gli impieghi economici sono saliti del 3,9% fino a 17.921 miliardi. Le sofferenze lorde sono all'I 1,9% del portafoglio totale, mentre quelle nette sono all'8,9%. I dati continuano a scontare il pesante residuo del contenzioso immobiliare dell'Ince, incorporato.

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In Italia, la Banca ha fatto delle acquisizioni in Sicilia (Banca Popolare di Catania), in Campania con il Credito Campano e poi successivamente con la Banca Sannitica. Ha comprato la Banca Popolare di Lecco e la Cofilp (Compagnia Finanziaria Ligure Piemontese). Ha preso la maggioranza dell'Ince, un istituto piuttosto grande basato a Roma. All'estero, a Londra, ha comprato la filiale del gruppo Sfe di Parigi, un gruppo a cui partecipavano banche internazionali e per l'Italia la Bnl, che stata trasformata in Banca Novara U.K. Ltd. agli inizi degli anni '90 e poi in filiale di Londra della Banca Popolare di Novara. In Lussemburgo stata creata una filiale a cui poi stata aggiunta una banca di diritto lussemburghese, la Banca Novara International S.A. Un'altra acquisizione fatta all'estero stata quella della Banque de l'Unione Maritime e Financire S.S. (Bumf) a Parigi. Sempre negli anni '80, stata acquistata dal gruppo Bagnasco una banca svizzera, la Interpopolare, poi trasformata in Banca Novara Suisse S.A. Tutte queste operazioni che sono state realizzate negli anni '80 e nei primi anni '90, hanno portato la banca ad investire, grosso modo, non meno di 1.000 miliardi in attivit che dovevano permettere di creare una maggiore redditivit. In realt, sia per le situazioni oggettive in cui operavano queste unit, sia per i cambiamenti di mercato, si verificato che questi investimenti sono stati meno produttivi del previsto, anzi, in molti casi hanno creato delle minusvalenze. La redditivit della banca non cresciuta, ma diminuita. La Banca Popolare di Novara era abituata a pagare dei lauti dividendi agli azionisti. Pensi che nel periodo d'oro si pagavano dividendi nell'ordine di 1.000 lire su azioni che avevano un valore nominale di 500 lire, anche se le quotazioni di mercato erano ovviamente molto pi alte. In queste condizioni, la dirigenza di allora si trovata nella necessit di cercare degli impieghi alternativi redditizi. E qui, stato compiuto uno degli errori strategici che hanno portato la banca alla situazione di crisi evidenziata nel bilancio 1995. Si cercato di fare il grande salto, passando da una banca con una scarsa cultura di "controllo dei rischi", abituata all'impiego tradizionale nei confronti della piccola e media azienda, ad un istituto pronto ad intervenire in operazioni non di carattere commerciale, ma finanziario per gruppi in rapida espansione, quelli naturalmente disposti a pagare i maggiori tassi; magari gruppi dotati di un consistente patrimonio immobiliare, ma portati a realizzare operazioni "speculative" che, all'atto pratico, con la crisi del settore, si sono trovati a corto di liquidit. Quindi, tra la met degli anni '80 e il '92-'93 c' stato lo sviluppo abnorme di questo tipo di attivit, ma i fatta in precedenza, senza modificare la struttura della banca. Un conto fare la banca di raccolta, un conto fare la banca di impiego, soprattutto quando si tratta di impieghi non di natura commerciale, ma finanziaria, che, quindi, vanno analizzati in maniera diversa e ben pi approfondita, risultato inevitabile di tutto questo stato che ad un certo punto scoppiato il bubbone. Sono nate vicende di carattere giudiziario e le partecipazioni che avevano pi valore sono state cedute, come la Banca Popolare di Lecco che passata alla Deutsche Bank, mentre altre sono state gestite attraverso dei processi di fusione nella banca Popolare di Novara.. Oggi, la Banca Popolare di Novara si trova ad essere non pi a capo di un gruppo diversificato, ma una banca di tipo universale che si molto smagrita rispetto alla situazione precedente, fermo restando che il nucleo centrale, cio le filiali in Italia, c' ancora tutto (Alberto Cracchi).

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Infine, consistenti svalutazioni e rettifiche su crediti e partecipazioni nei bilanci del 1997 sono state dichiarati dal San Paolo di Torino per 2.300 miliardi (senza peraltro scivolare nel rosso di bilancio, ma l'utile netto crollato dai 517 miliardi del '96 ai 52 miliardi del '97 che saranno accantonati a riserva) e dalla Banca di Roma per 2.794 miliardi. Il write-off di 2.300 miliardi del San Paolo (gran parte dei quali frutto della persistente crisi del settore immobiliare: "in un mestiere che non era e non il nostro e che infuturo non faremo pi"), che avviene alla vigilia della fusione con l'Imi (alla quale " bene presentarsi leggeri, senza pesi"), rappresenta una scelta di discontinuit, chiaramente favorita dagli amministratori espressi dai nuovi grandi soci privati (IfiIfil, Imi, Santander, oltre a Montepaschi, Kredietbank, Ina, Hannover), ma che ha lasciato a bocca asciutta i piccoli azionisti che si aspettavano il pagamento di un dividendo. L'operazione trasparenza ha fatto sorgere molti dubbi. Ci si domanda come sia possibile che tutta questa "zavorra" sia da far risalire al momento successivo alla privatizzazione della banca (l'Opv risale solo al maggio 1997). La privatizzazione del san paolo cronaca troppo recente per non indurre a chiedersi quanti di questi 2.300 miliardi avrebbero potuto essere individuati prima dell'ultima grande offerta pubblica di vendita e defalcati dal valore chiesto ai privati dall'azionista pubblico. Complessivamente la banca ha svalutato crediti per 1.100 miliardi e ha contabilizzato altre minusvalenze legate a perdite su partecipazioni e cessioni azionarie. Le sofferenze sono salite del 4% a 4.299 miliardi.

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LE DIFFICOLT NELL'ACCOMPAGNAMENTO AL FARE IMPRESA

Oggi, non si riscontra una capacit di legare maggiormente l'idea imprenditoriale alla banca se non nelle situazioni di distretti o di sistemi produttivi localizzati o da parte delle medie imprese. A volte la banca sembra continuare a preferire un sistema d'impiego che trova giustificazione nel sistema di garanzie patrimoniali. In molti sottolineano il fatto che le banche hanno una cultura ancora basata sulle garanzie reali e una scarsa predisposizione a selezionare e a concedere prestiti in base al merito dei progetti, delle idee e dei business plan,[50 anche se fanno notare che la legislazione vigente (soprattutto di tipo fiscale) scoraggia la presa di conoscenza - da parte della banca - della reale situazione aziendale. La normativa fiscale favorisce la sottocapitalizzazione perch la tassa sul patrimonio netto colpisce ci che viene messo a capitale, mentre quella sul reddito d'impresa consente di dedurre tutti gli interessi passivi sul debito. A rendere complesso il rapporto banca e impresa interviene, quindi, anche la tanto dibattuta questione della trasparenza dei conti delle imprese:

150. C' chi, come Luca De Rita, sottolinea come ancora oggi molte banche non richiedano alle imprese a cui fanno credito la presentazione di un business pian: C' ancora una grossa carenza di valutazione da parte delle banche delle possibilit che pu avere una societ. Il business pian sarebbe un ottimo strumento per consentire alle banche di valutare il rischio di impresa. Molto meglio delle "garanzie statiche" che un imprenditore o un'impresa possono offrire, il business pian identifica le "garanzie dinamiche", cio le possibilit di redditivit dell'impresa nel tempo. Ma, il business pian non viene mai richiesto. Io ho fatto pratiche di fido per centinaia di miliardi, non mai stato chiesto un business pian. Venivano chieste solo le valutazioni delle garanzie immobiliari che venivano date a sostegno. Il business pian non ci stato richiesto neanche dagli agenti di cambio o dalla Consob quando abbiamo fatto la quotazione in Borsa.

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Laddove prevista la deducibilit fiscale (ai fini delle imposizioni sul reddito di esercizio) degli interessi passivi corrisposti a terzi, non si incentiva certo la capitalizzazione delle imprese, bens l'indebitamento. E' ben vero che, simmetricamente, questa anche una modalit per accertarli e/o imputarli in capo ai percepenti, ma resta il fatto che comunque le imprese, a prescindere da altre politiche o valutazioni, sono incentivate a non autofinanziarsi, ma semmai distribuire il reddito prodotto, eventualmente facendolo poi rientrare, con altre modalit, a sostegno di indebitamenti. D'altra parte, una ulteriore mano a disincentivare la capitalizzazione delle imprese avvenuta con l'istituzione dell'imposta patrimoniale sulle imprese (DL 394/92 del 1/10/92 convertito in Legge n. 461 del 26/11/92) la quale, evidentemente, tassando il capitale e, dunque, il risparmio accumulato, a parit di investimenti comporta l'indesiderabile aumento dell'indebitamento. Con questa imposta, la cui istituzione persegue finalit chiaramente note a tutti, non si accertano tra l'altro i redditi in capo ad altri soggetti. E' noto che la struttura fiscale statuale non incentiva l'attrazione dall'esterno delle imprese del capitale di rischio, ma singolare che non incentivi almeno il trattamento del risparmio generato dalle imprese al loro interno, salvo norme congiunturali. Infine, c' anche l'imposizione fiscale sulle successioni che d una "terza mano" per incentivare la "non capitalizzazione" delle imprese. Infatti, quale che sia la struttura giuridica delle stesse e la diversa "cartolarit" del rapporto societario, se l'impresa a carattere familiare, la tendenza , per intuibili motivi, a tenerla sottocapitalizzata. D'altronde, le conseguenze sono il ricorso ad "algoritmi" particolari, ad alta specializzazione professionale, per ridurre l'imposizione successoria. Conseguenze finali: tutto ci non incentiva per nulla la capitalizzazione delle imprese cosiddette a base familiare. Le indebolisce, in quanto tali, finanziariamente; probabilmente ne limita lo sviluppo dimensionale, per quanto ne concerne gli investimenti e conseguentemente nei volumi di produzione. Buon ultimo: tutto questo pone un problema in pi all'operatore bancario, quando sarebbe interesse di tutti, Stato "in primis", avere imprese sane e ben capitalizzate, perch le stesse conseguentemente offrirebbero, invariato il resto, probabilmente maggiore base contributiva indiretta e, nel medio-lungo periodo, un sistema finanziario (e dunque bancario) pi sano. La capitalizzazione delle imprese un problema sul quale da tempo si dibatte. Infatti, sono molto diffuse affermazioni del tipo: le grandi imprese sono sottocapitalizzate; lo sono, anche se relativamente di meno, pure quelle medie-piccole; il maggiore indebitamento avviene, ovviamente, con ricorso al sistema bancario; quanto all'articolazione temporale dello stesso, il tutto troppo sbilanciato sul breve termine ("breve termine" molto formale e poco sostanziale). Un interrogativo: poi vero tutto questo? Tenter di dare una risposta contro tendenza, limitata almeno alle medie e piccole imprese e suffragata dalla mia esperienza operativa. Se superiamo il concetto di "capitalizzazione in senso stretto" - quella che siamo abituati a dedurre dalle situazioni dei conti che periodicamente le imprese ci sottopongono - e proviamo a "redigere mentalmente" un consolidato "impresa-famiglia/e sottostante/i", sappiamo che quanto sopra abbastanza meno vero. Per quanto concerne il Veneto, lo sviluppo in questi anni del risparmio, esternamente

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manifestantesi in beni di investimento di tipo civile, la ricchezza finanziaria (affidata in gestione fiduciaria all'enorme rete degli sportelli bancari), quell'altra ben maggiore intermediata dagli stessi per finanziare la spesa e/o i "deficits" pubblici di parte corrente, anche se in larga parte in capo a mani dell'"operatore famiglie", pur sempre attribuibile alla loro fonte, cio alle imprese. Di qui, l'imperativo, nell'interesse comune, della loro "sanit-robustezza", che (sia ben chiaro) non dipende unicamente dal loro grado di capitalizzazione, ma certamente e non poco anche da questo, che credo sia un valore da perseguire. Di qui due osservazioni. Credo che una riflessione attenta sulla imposizione fiscale successoria sull'asse ereditario, comunque costituito, ma rappresentativo di "capitali netti di impresa", andrebbe attentamente rimeditata; perch voler indebolire "la gallina che fa le uova" o comunque impedire che "faccia uova pi ricche?"!. La preservazione delle fonti di produzione di valore aggiunto di tipo reale (leggasi imprese) ingenera miglioramenti anche nel sistema finanziario (Gino Dianin). L'imprenditore italiano non ha voglia di pagare le tasse: ritiene che siano troppo alte e che lo Stato gli restituisca poco o nulla di quei prelievi. Di conseguenza, riluttante a dare una rappresentazione di bilancio improntata al quadro fedele. Qualsiasi banca si ritrae, e giustamente, di fronte a comportamenti opachi dell'imprenditore. Il risultato una frammentazione del rapporto tra banca e impresa, con piccole e medie imprese che spesso lavorano anche con 15 banche contemporaneamente. Nessun istituto vuole impegnarsi a fondo, e cos l'indebitamento aziendale viene diviso con il sistema del multiaffidamento. Questo sar anche un modo per ridurre il rischio, ma per le aziende significa maggiori costi. Ci che incide sul mancato intreccio tra banca e impresa la mancanza di un meccanismo fiduciario reciproco: per l'imprenditore la banca non ha una mentalit e le competenze per valorizzare le idee d'impresa nuove e le necessit di investimento, per la banca, l'imprenditore non ha la necessaria trasparenza, anche fiscale, che necessaria per operazioni di queste dimensioni, oltre a tendere ad una pratica di pluriaffidamento: Il problema di fondo sta nel fatto che l'imprenditore italiano, ancorch auspichi sostanzialmente di avere un intermediario nel suo territorio, molto spesso mantiene con questo una relazione pi sul conflittuale che sul collaborativo. Se andiamo a vedere l'impresa minore, che poi quella che costituisce soprattutto nel Nordest l'ossatura rilevante del tessuto economico, di fatto non appena cresce, cerca di differenziare molto le sue relazioni bancarie. In sostanza, non mette la singola ban-

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ca nelle condizioni di diventare un partner finanziario per lo sviluppo e per questo c' un ritardo della maturazione culturale in ordine a tutte quelle tipologie di fare banche che sono tipiche dell'estero, cio il venture capital, il merchant banking, etc. L'imprenditore italiano vede le banche come dei fornitori di capitale e, visto che il capitale ha un prezzo, quante pi banche riesce a mettere in concorrenza, tanto pi basso il prezzo del capitale che paga. Di fatto, in questa logica, le banche, soprattutto quelle locali, finiscono per essere imprigionate in un modello di intermediazione povera, cio raccogliere depositi, pagandoli il meno possibile, essere possibilmente efficienti avendo i costi di produzione pi bassi possibile, per dare il capitale al prezzo il pi conveniente possibile, dato il livello di rischio. Per questo un modello di intermediazione finanziaria che, indubbiamente povero di contenuto di servizio. Tant' vero che si osserva che le imprese di medie e grandi dimensioni tendono, se possibile, a sviluppare una domanda anche su intermediari esteri, perch questi sono percepiti come pi ricchi di servizi. Per, attenzione, nel sistema italiano si dovuto tenere una distinzione precisa: il banchiere impresta i soldi, e l'imprenditore ne fa l'uso che ritiene pi opportuno (Paolo Mottura). Occorre, come ha sostenuto nella sua intervista Giuliano Graziosi, che si avvii un processo di "responsabilizzazione bilaterale", sia della banca che dell'imprenditore. La banca deve diventare l'interlocutore critico dell'imprenditore, mentre quest'ultimo deve offrire maggiore trasparenza. Lo spostamento della banca da luogo di accesso al credito o luogo di raccolta di risparmio a luogo per l'erogazione di servizi complessivi per le aziende o per i soggetti fruitori richiede un cambiamento che non deve per riguardare solo il "comportamento" delle banche, ma anche quello degli imprenditori che ancora oggi non vedono la banca come soggetto di fiducia e preferiscono lavorare con pi istituti contemporaneamente: Il problema in Italia che anche i pi piccoli imprenditori hanno un'enormit di rapporti con istituti bancari. Non c' il concetto di Hausbank come in Germania o in Francia. Quindi, la banca non entra nella vita dell'azienda e ha un rapporto molto distaccato con il cliente. D'altro canto il frazionamento dei rapporti bancari presenta anche dei risvolti economici, infatti, fare un'analisi approfondita di un'azienda costa dei soldi, in personale ed altro, e alla fine se si vanno a fare i conti, l'analisi che viene fatta per sapere se un rapporto buono o no costa molto di pi di quello che si ricava da questo rapporto. Questo un grosso problema che va risolto. Il rapporto con il cliente deve essere su basi di maggiore reciprocit: la banca deve avere fiducia nell'imprenditore, l'imprenditore deve avere fiducia nella banca che lo assiste oltre che finanziandolo anche dandogli dei consigli. Finora grossi segni di modifica non ci sono stati. Se ci fosse stata una maggiore conoscenza del cliente, certi grossi dissesti forse non ci sarebbero mai stati. Ci deve essere una profonda analisi dello stato economico-finanziario del cliente e una conoscenza del settore in cui opera, di come si sta muovendo. Queste analisi sono anche nell'in-

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teresse del cliente perch se lo fa con spirito collaborativo, pu anche dare dei consigli preziosi. Ogni azienda deve avere nella banca un alleato. Per, scomodo per l'imprenditore. Ci sono dei vantaggi, ma vincola. Non che l'imprenditore pu fare tutto quello che gli pare. La banca gli pone delle condizioni. Ci sono i pr e i contro (Piero Gnudi).

Questa situazione ha dei riflessi negativi anche per quanto riguarda l'azione di accompagnamento da parte delle banche delle imprese interessate ad intraprendere percorsi di internazionalizzazione:
Quando un imprenditore italiano va all'estero, il suo concorrente tedesco ha al fianco l'uomo delia banca, ma in una realt dove la banca in quanto Hausbank partecipe nel capitale, nei rischi e nei profitti dell'impresa. E', quindi, logico che sulle grandi iniziative dell'azienda, sulle importanti commesse, et, viva e sia consapevolmente presente con il suo apporto e la sua consulenza finanziaria. Con ci non intendo sottrarmi alle critiche, perch questa situazione reale, un problema di cultura, di preparazione, che peraltro origina da una situazione di fatto che va rimossa e modificata (Pio Bussolotto).

Dimensionalmente, il sistema imprenditoriale italiano fatto di non pi di alcune centinaia di medio-grandi imprese leader internazionalizzate e per la banca sembra essere questa la dimensione su cui poter ipotizzare le operazioni di investment e di quotazione borsistica. A seguito di fenomeni quali la globalizzazione dei mercati ed il fisiologico ricambio generazionale, in Italia la cultura finanziaria in fase di rapida evoluzione e si sta avviando un processo di sensibilizzazione della struttura imprenditoriale verso modelli pi simili a quelli dei paesi industriali avanzati, con particolare riferimento ad un rapporto pi equilibrato tra mezzi propri e mezzi di terzi ed alle esigenze di trasparenza che l'apertura del mercato comporta. E', quindi, destinata a crescere, da parte della media impresa, la domanda di capitale di rischio e di accesso al mercato dei capitali, con il conseguente ampliamento delle attivit e delle opportunit per gli intermediari finanziari, sia in termini di servizi, sia in termini di intervento diretto nelle operazioni di finanza straordinaria. Tale processo sar certamente favorito dall'introduzione di una normativa fiscale "permanente" (Irap e dual income tax) destinata ad incentivare la capitalizzazione delle imprese e potr registrare una rapida accelerazione dall'auspicata istituzione di un mercato borsistico di "secondo livello" (Metim o simile) per la quotazione di titoli azionari emessi da imprese di medie dimensioni. 305

Le imprese, soprattutto quelle di dimensioni medie, stanno manifestando esigenze completamente nuove rispetto al passato che molto spesso non sono percepite dalle banche e, quindi, non ricevono risposte. Questa mancanza di risposte all'origine dei problemi nel rapporto banca-impresa. Oggi, sempre pi la cultura imprenditoriale si confronta con necessit di piani di sviluppo e di consolidamento per cui il credito costituisce uno dei problemi maggiori per la definizione di strategie operative e competitive. Ma, mentre in passato l'accesso al credito si fondava o su meccanismi di scambio politico o sulle garanzie patrimoniali dell'imprenditore ("cultura del collaterale"), oggi, e sempre di pi domani, l'accesso ai finanziamenti sar determinato dalle progettualit e dalla credibilit dell'imprenditore ("cultura del progetto"):
Il mondo imprenditoriale generalmente molto critico verso il sistema bancario italiano e non perde occasione per sollecitare le banche a rinnovare il proprio ruolo, specialmente nei confronti delle imprese familiari di medie dimensioni. Da parte loro, le banche replicano con i dati inequivocabili delle sofferenze. Gli imprenditori ribattono che molte sofferenze non esisterebbero se le banche sostenessero le imprese in base ad un esame serio dei progetti industriali e non ragionando con la burocrazia delle garanzie. A loro volta le banche buttano sul tavolo i pesanti salvataggi di questi anni. Ora, per me il problema non quello di decidere che siano i buoni o i cattivi, ma riconoscere che entrambi i contendenti sono accomunati dallo stesso problema: il ridursi della capacit di creare valore da parte del sistema delle imprese. Solo da questa consapevolezza possono nascere le soluzioni. Per le banche, l'offerta di servizi avanzati nel settore della finanza aziendale rappresenta una scelta strategica irrinunciabile per poter sviluppare, nei fatti e non solo nelle intenzioni, un nuovo rapporto con le imprese e con gli imprenditori, intrecciando relazioni stabili che possono dare origine a proficue sinergie, derivanti dal fondersi di professionalit di imprenditori e banchieri che, coadiuvati anche da una fiscalit meno ostile nei confronti del capitale di rischio, insieme attivino un circolo virtuoso che favorisca la crescita delle imprese medie e, quindi, dell'occupazione (Daniele Pilchard).

In tale contesto, il presente quadro normativo - in particolare la disciplina sull'assunzione di partecipazioni in imprese non finanziarie da parte delle banche (delibera CICR del 22/6/93) e la possibilit di istituire fondi comuni di investimento mobiliare di tipo chiuso (Legge 344/93) - ha in s tutti i presupposti per una radicale trasformazione della relazione tra il sistema bancario e le imprese: 306

L'aver stabilito la possibilit, per la banca, di assumere partecipazioni in imprese industriali, secondo il mio parere, non significa tanto aver fornito al banchiere uno strumento aggiuntivo per la propria operativit, bens aver rimosso un ostacolo al pieno dispiegarsi di un approccio globale nei confronti delle problematiche finanziarie d'impresa. La possibilit di svolgere il ruolo di financial problem solver, di per s un fatto rivoluzionario, presuppone tuttavia per la banca la propensione alla condivisione, sia pur temporanea, del rischio imprenditoriale, come naturale conseguenza della disponibilit a sostenere operazioni di finanza straordinaria in un'ottica di sviluppo dell'impresa (Daniele Pilchard). Gli spazi operativi tradizionalmente riservati al sistema bancario si sono ampliati e l'orientamento di fondo quello di diversificare la gamma dei prodotti/servizi per poter dare un contributo significativo allo sviluppo delle imprese, fidelizzando il cliente e dando origine ad un rapporto ispirato al modello di Hausbank: Nel rapporto con le imprese da parte delle banche ci sono differenziazioni e strategie diverse. Non c' pi un'unica strategia di fondo. Il modello precedente era: "Affido tante imprese per una quota bassa". C'era addirittura una grande banca che diceva: "Non devi mai affidare pi delle prime tre banche; devi essere la quarta, cos il rischio abbassato". Infatti, aveva un rischio basso. Questa ricerca di abbassamento del rischio, per, comporta una grande frammentazione. Questa strategia rimane valida anche oggi, ma sta prendendo piede un poco di pi la logica delVHausbank tedesca che dice: "Il rischio lo posso abbassare facendo un'altissima selezione delle imprese ed entrando pesantemente nell'impresa". Per poter seguire questa strategia c' un problema di competenze perch, mentre tutti gli affidamenti fino adesso sono stati fatti sul bilancio, ora occorre entrare nella valutazione strategica del mercato e del management: "Mi fido o no che questo management possa poi trovare ed implementare una strategia?" (Mariano Marchetti). Strategie risolutive comportano grandi cambiamenti e questi comportano, inevitabilmente, grandi resistenze. E' indispensabile che le banche possiedano una volont di apprendimento finalizzata al cambiamento, al "fare banca", intermediazione creditizia e valutazione delle imprese in un'ottica prospettica: Sono le barriere culturali all'interno delle banche che di fatto ostacolano l'ampliamento degli spazi di operativit. Anche se nelle banche tali barriere culturali sono in via di superamento, almeno a livello di alta direzione, resta da colmare il gap organizzativo e professionale, non essendo facile creare dal nulla strutture specializzate e motivate all'assunzione di rischio, dovendo necessariamente ricercare all'esterno uomini con esperienza nel settore della finanza straordinaria, del venture capital e degli investimenti nel capitale di rischio, i quali sono oltretutto abituati ad operare sul mercato con spirito imprenditoriale, quindi in base a logiche decisionali del tutto estranee ai meccanismi burocratici ed ai sistemi di incentivazione della banca.

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Per la banca risulta, quindi, indispensabile possedere volont di apprendimento ad operare in campi diversi dalla tradizionale attivit di intermediazione creditizia, sviluppando la capacit di valutare le aziende in un'ottica prospettica e promuovendo un cambiamento di mentalit che porti al banca, in questo particolare settore di attivit, ad abbandonare la "cultura del collaterale" in favore della "cultura del progetto", cio della capacit di capire la fattibilit e le potenzialit di un progetto industriale e di valutare le qualit manageriali, nonch etiche, dell'imprenditore. Da parte sua, l'imprenditore deve essere disposto a sposare la "cultura della trasparenza" (certificazione dei bilanci, informativa corretta e puntuale, etc.) accettando i costi "impliciti" che tale scelta comporta e che spesso rappresentano, insieme ad aspetti puramente psicologici, il reale, anche se non dichiarato, motivo del pregiudiziale rifiuto all'ingresso di soci terzi, siano essi investitori istituzionali o il mercato dei capitali in genere (Daniele Pilchard). Resta ancora del tutto aperto il problema del rapporto tra banca e piccola e piccolissima impresa che rappresenta il grosso del tessuto imprenditoriale dell'Italia del Nord e che attualmente non investe in ricerca, non ha una struttura commerciale, non ha una proiezione sull'estero e va a traino della media e grande impresa. Le banche stanno faticosamente acquisendo una cultura corporate, ma per il momento su fasce di clientela dal fatturato alto. Al momento Vaudience che ha un piccolo imprenditore nelle banche molto limitata, ma c' chi ritiene che se le banche vogliono lavorare sul serio in questo settore devono guardare ai fatturati di 2, 3, 4 miliardi: Lo spessore delle Pmi, adeguate a raccogliere i servizi alle imprese che una banca come la San Paolo in grado di offrire veramente bassissimo. C' uno strato sottile di imprese che hanno una certa capacit di stare sul mercato e che cercano la presenza all'estero attraverso penetrazioni e allargamenti di quote di mercato. Ed questo l'interlocutore classico della banca. Per, sono poche. Al di sotto, c' una serie di imprese che operano pi che altro nella subfornitura e che hanno dei bisogni tuttora assai limitati. Spendono molto poco in ricerca, non hanno nessuna struttura commerciale, hanno una sostanziale assuefazione rispetto alla grande impresa che, peraltro, siccome sta ristrutturandosi, le costringe ad affrontare dei problemi per i quali loro sono pochissimo attrezzate. Le banche stanno acquisendo una cultura corporate e, quindi, stanno predisponendo dei prodotti finanziari che dovrebbero essere confezionati "su misura", ma per il momento, stanno facendo questo su fasce di clientela che hanno un fatturato troppo alto rispetto alla possibilit di rendere veramente remunerativi questi servizi. Se si vuole lavorare sul serio, bisogna capire che il fatturato rilevante diventa quello sui due-tre-quattro miliardi. Robe basse. D'altra parte, se si guardano i dati sull'export, per fare un solo esempio, nel solo mese di ottobre ci sono state 16.000 imprese che hanno fatto movimenti di export e 22.000 di import. Ci rendiamo conto? Queste sono imprese che hanno un fatturato limitatissimo (Marco Camoletto).

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IL SISTEMA FISCALE

Incide profondamente nella redditivit del sistema bancario. La competizione con gli altri istituti europei prevederebbe una riduzione consistente della tassazione sul reddito che presenta un'aliquota effettiva del 56% nel sistema italiano contro il 37% della media europea. E' anche vero che i pi avveduti capiscono che "non ce lo possiamo permettere" se valutato rispetto ai fabbisogni del sistema paese: Non possibile che la mia banca si ritrovi nel contesto europeo a competere con quelle della Francia, Germania o Inghilterra in cui la fiscalit incide tra un minimo del 28% e un massimo del 34%, mentre ha una fiscalit totale del 73%, se sommo gli oneri di fiscalit allargata, di imposte dirette ed indirette, di contributi sociali che la banca sopporta. Non possibile! nel 1996 ho chiuso il bilancio con 137 miliardi di utile netto e ho pagato fiscalit per 316 miliardi. Quindi, ho prodotto utili lordi per 450 miliardi e 316 sono andati in fiscalit. Se fossi stato in Germania, ne avrei pagati 120 e 196 miliardi sarebbero potuti essere maggiore utile per la banca o 2-1,5 punti per cento in meno di tasso di interesse sui prestiti alle imprese. L'alta fiscalit determina una forbice pi ristretta in termini di condizioni per finanziare l'economia e lo sviluppo economico. Purtroppo, siamo in una fase in cui sar difficile modificare questa situazione anche perch non c' la volont politica di andare in questa direzione. La politica non capisce questo problema Non basta il solo rispetto dei parametri di Maastricht per andare e stare in Europa. Il problema quello delle condizioni di operativit che devono essere omogenee a livello europeo (Guido Leoni). Ad ogni modo, nel nuovo contesto competitivo a dimensione continentale, obiettivo prioritario deve essere l'armonizzazione del nostro sistema normativo e fiscale a quello europeo. In molti segnalano il peso gravoso di tutta una serie di incombenze che gravano sulle banche italiane: ci vogliono 5 anni per recuperare un credito, le banche devono mantenere uffici con decine di persone per rispondere alle richieste dell'autorit giudiziaria,

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i contributi sul credito agevolato vengono corrisposti con anni di ritardo mentre le banche li devono riconoscere immediatamente all'utente. Tutto ci si traduce in una penalizzazione del Roe del sistema bancario italiano: Credo che per i prossimi anni la politica economica e creditizia dovrebbe seguire una linea che si pu riassumere in una sola indicazione: l'armonizzazione del nostro sistema normativo e fiscale a quello europeo. Questo vuol dire che se si deve competere in un nuovo mercato unificato, quello europeo appunto, le condizioni per operarvi devono essere uguali per tutte le imprese. Non ci devono essere discriminazioni o condizionamenti che rendano la mia operativit non competitiva rispetto a quella dei miei concorrenti insediati in altri Paesi. In altre parole, le condizioni possono anche essere negative e svantaggiose, ma devono essere uguali per ogni operatore. Solo in questi ultimi tempi la mia Banca (come tutto il sistema bancario nazionale nel suo insieme) si dovuta occupare dei nuovi criteri di sicurezza richiesti dalla Legge 626, delle norme sull'usura, della nuova legge sulla riservatezza, a cui si aggiungono gli altri oneri gi in essere che riguardano l'antiriciclaggio, le norme circa la sicurezza degli ambienti, tutta una serie di provvedimenti normativi, anche giusti, non dico di no, ma che pesano sia in termini organizzativi (basti pensare al fatto di dover istruire 4.000 persone ogni volta che viene emanata una nuova disposizione) e che rappresentano oneri economici diretti che naturalmente non possiamo ribaltare sulla clientela, ma che pesano non solo sui nostri risultati economici, che vengono in tal modo ad essere penalizzati rispetto ad altre realt, ma anche sull'operativit stessa della banca (Aldo Civaschi). In molti si lamentano del grande costo degli assolvimenti formali di tipo burocratico-amministrativo. C' una forte richiesta di una vera semplificazione: In questi ultimi anni c' stato certamente un processo di burocratizzazione spaventoso. La mia banca spende 10 miliardi all'anno solamente per adempiere a tutte le operazioni imposte dalla legge antiriciclaggio. Basti pensare anche alle quantit di adempimenti derivanti dalla recente legge sulla sicurezza del lavoro. Mi domando se quando vengono fatte queste leggi, venga fatta un'analisi dei costi/benefici. Certamente un paese civile deve essere regolato da norme che tengano conto della tutela dei vari interessi pubblici, ma spesso queste norme sono molto complicate, per cui costa pi il rispetto formale della norma che quello sostanziale. E' stata fatta una enunciazione tipo: bisogna semplificare tutto. Poi tutte le norme che vengono fatte sono ancora pi complicate. Questo ha un costo enorme (Piero Gnudi). Da notare che molti degli intervistati si sono lamentati del fatto che le Banche di Credito Cooperativo godono di alcuni privilegi di tipo fiscale. Le BCC, infatti, non pagano le imposte sugli utili non distribuiti. Sono soprattutto gli operatori che operano nei territori a grande diffusione di BCC, come le province autonome di Trento e Bolzano, che si

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lamentano, arrivando a definire "drogato" il regime di concorrenza da parte delle onnipresenti BCC: Il problema della contrazione degli spread generalizzato e presente a livello nazionale. Per quanto concerne, invece, il costo o il ricavo dei servizi, ci troviamo di fronte ad un grave problema. Per altre realt territoriali italiane diciamo che in generale non vi dovrebbero essere grosse difficolt a far pagare i costi dei servizi. Qui, da noi la realt molto diversa e decisamente pi problematica, in quanto siamo in presenza della "variabile Casse Rurali". Cosa significa praticamente? Le Casse Rurali risaputamente godono di esenzioni fiscali ormai del tutto ingiustificate, quali la non imponibilit delle somme destinate alle riserve indivisibili che si traduce pertanto in un autofinanziamento in esenzione di imposta, fronteggiare la concorrenza di un'entit economica che nella provincia di Bolzano e, quindi, in un territorio relativamente piccolo, dispone di 170-180 sportelli, per noi di per s difficile, immaginarsi se aggiungiamo i privilegi fiscale, come ripeto ingiustificati, da loro attualmente goduti. A questo dobbiamo aggiungere un ulteriore vantaggio competitivo costituito dal fatto che le Casse Rurali in pratica non sono soggette al vincolo della "riserva obbligatoria" in quanto pochissime raggiungono il limite dei 200 miliardi di raccolta soggetta, al di sotto della quale non esiste l'obbligo di versamento alla speciale "riserva obbligatoria" presso la Banca d'Italia. Questi fatti chiaramente determinano uno squilibrio del sistema della concorrenza e, quindi, uno stravolgimento delle normali regole del mercato Guido Collini). La discesa dell'inflazione e degli spreads sta creando seri problemi a tutte le banche, ma in Trentino Alto Adige il recupero di redditivit da offerta di servizi viene ostacolato dallo squilibrio normativo: le Casse Rurali non distribuendo dividendi e non avendo prelievo fiscale fanno tutti i servizi gratuitamente ai clienti. Questa competizione squilibrata costringe le altre banche a contenere i costi, il personale, lo sviluppo territoriale per cercare una fonte di reddito dalla diversificazione del risparmio gestito: Purtroppo la liberalizzazione arrivata con 20 anni di ritardo, specialmente per noi che non potevamo aprire sportelli senza l'autorizzazione non della Banca d'Italia, ma della Provincia, che decideva in base a criteri politici e non economici e ha avvantaggiato le Casse Rurali. Noi avevamo grossissimi problemi ad aprire sportelli, mentre ricevevamo l'autorizzazione per l'apertura di uno sportello ogni 2 o 3 anni, le casse Rurali nel frattempo ne aprivano 10; perci anche questa potenza delle Casse Rurali sia in Alto Adige che nel Trentino, che hanno circa il 50% delle quote di mercato,... e poi non pagano le tasse ..., mentre noi oltre il 53% dell'utile lo diamo allo Stato, loro neanche una lira e cos si son costituite un patrimonio enorme e possono vivere di rendita. In queste condizioni anche molto difficile farsi pagare i servizi. Le casse Rurali non hanno bisogno di fare utili perch non distribuiscono dividendi, aumentano solo il loro gi consistente patrimonio e perci fanno tutti i servizi gratuitamente (Klaus Mahlknecht).

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LE BANCHE E LA BORSA

Una valutazione sul sistema bancario e finanziario italiano non pu che assumere come presupposto che non si ha un paese ad economia avanzata e solida se non c' un sistema finanziario avanzato e solido. In Italia entrato in crisi il vecchio modello che vedeva il sistema finanziario basato soltanto sul rapporto banca-impresa (oltre ai trasferimenti dello Stato nei settori protetti) e la separazione tra borsa e banca. In sostanza, un sistema di economia reale finanziato quasi esclusivamente con il credito non pi all'altezza dei tempi. Occorre far sviluppare degli intermediari che abbiano la capacit di essere vicini all'emittente e all'investitore. Un sistema finanziario che vede completamente estranei, anzi in conflitto tra di loro, la borsa e la banca un sistema che non dialettizza produttivamente il rapporto, mentre invece il rapporto banca-borsa potrebbe essere un rapporto interessante anche per i processi di innovazione. Il punto pi cruciale che finito il sistema delle rendite di posizione ed il sistema dei mercati monopolistici. Il principio di concorrenza e la globalizzazione ormai interagiscono come fattori di modernizzazione del sistema. E' successo che la Borsa che era mercato monopolistico e viveva nella sua piccola dimensione di club per poche famiglie, e il sistema bancario che viveva in un ambiente protetto senza preoccupazione di concorrenza alcuna, oggi si trovano a confrontarsi quotidianamente con sistemi, con mercati e con imprese bancarie e di intermediazione che hanno culture molto pi avanzate, modalit organizzative superiori e sistemi operativi molto pi produttivi. Tutto questo configu312

ra una situazione di differenziale competitivo rilevante. Nel momento della verit in cui la comparazione competitiva con gli altri mercati diventata una realt concreta, si fanno evidenti i limiti del nostro sistema bancario e finanziario. Lo scenario ci informa che il sistema non ancora attrezzato per competere e qui sta la durezza della sfida: I tempi sono stretti perch gli altri mercati sono partiti a riorganizzare le proprie strutture molto prima e stanno investendo tantissimo per attrezzarsi alla competizione: stanno investendo nel marketing, nell'innovazione e nell'organizzazione. Hanno politiche espansive e sotto questo aspetto c' un interesse enorme da parte di tutti gli operatori del mondo al mercato italiano. Non c' dubbio che il mercato europeo sar un mercato pi integrato, ma gli operatori del mercato europeo sono le case di investimento, i grandi brokers che hanno la loro sede europea a Londra e le loro case madri negli Stati Uniti, piuttosto che in Giappone. La realt economica ci dice che in realt il nostro mercato sar aggredito dal capitalismo finanziario americano, svizzero, giapponese, etc. Quindi, siamo gi in sostanza in una competizione globale a tutti gli effetti e la foglia di fico giuridica solo una foglia di fico. La dimensione vera non pi l'Europa, ma la dimensione della competizione il mondo e tutti i processi che si vanno manifestando sono di tipo mondiale e globale. Qualche dato pu illustrare questo tipo di trend: la regolamentazione dei mercati sempre pi portata alla standardizzazione delle regole perch c' oramai un evidente conflitto fra la dimensione globale del mercato e la dimensione locale degli ordinamenti borsistici. Quando Merril Lynch ha 2.200 postazioni operative nel mondo evidente che ha la necessit di operare con gli stessi standard a Milano e a Manila. Non possibile mediare continuamente l'ordinamento locale in tutti i paesi in cui questi operatori globali operano. La forza del mercato stesso tende in qualche modo a far saltare il meccanismo ancora spezzettato degli ordinamenti. Inoltre, c' una forte spinta ad organizzare i mercati con operativit di 24 ore su 24 che tipica della dimensione globale. Praticamente si opera prescindendo dai fusi orari. Infine, c' una forte spinta nelle Borse ad organizzare tutta una serie di operazioni, come il clearing ed il setting, in una dimensione globale (Benito Boschetto). In particolare, per quanto riguarda la Borsa, il problema che si pone quello di essere una struttura ancora fortemente radicata nella realt locale, ma al tempo stesso punto fortemente interagito e interconnesso con un sistema mondiale, per entrare nel quale c' la necessit di essere efficienti. Se non si efficienti nello stesso modo, con le stesse caratteristiche e con gli stessi standard degli altri mercati, la Borsa di Milano sar tagliata fuori e rimarr un "mercatino" locale che operer finch sar possibile in modo sostanzialmente autarchico, ma il grosso del business sar gestito da ope-

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ratori esterni che si insedieranno in Italia e porteranno un'offerta ed una domanda di dimensioni mondiali con il conseguente rischio che non solo l'Italia non riesca ad essere competitiva negli altri mercati, ma non riesca neanche a difendere il suo mercato del risparmio: Cosa significa che Merril Lynch istalla un branch office con 100 persone? Che porta una rete di interconnesioni di 2.200 postazioni operative in tutto il mondo e, quindi, un desk di offerta che comprende tutti i prodotti di tutti i mercati del mondo in continua. Il risparmiatore che fino ad oggi aveva i Bot, i Cct, Fiat e Generali, da adesso potr investire nei mercati dell'Estremo Oriente, dell'America Latina, etc. Questo vuol dire tante cose. Ad esempio, mi sono trovato a Vignola con 300 operatori tra investitori, risparmiatori ed imprenditori. Eravamo io, il caporedattore de // Mondo e degli operatori della Fleming, una casa di investimento che opera in 60 paesi del mondo, con dimensioni di capitalizzazione simili alla Borsa Italiana. Io ho parlato delle possibilit di investimento nella Borsa italiana, mentre questi gli hanno parlato per un'ora delle possibilit di investimento nel Far Est. In realt, era accaduta una cosa molto semplice: la Cassa di Risparmio di Vignola, consapevole dei propri limiti e dei propri bisogni, nell'incapacit di operare sui mercati mondiali ha fatto una joint venture con la Fleming, operatore globale, e offre alla propria clientela sia i tradizionali servizi bancari che un operatore globale con un'offerta globale. La conseguenza di questa evoluzione evidente: all'interno di questa platea vi era un mercato del risparmio significativo che nel sistema tradizionale incrociava le esigenze dell'impresa attraverso l'intermediazione della banca con quelle del risparmiatore. Adesso il meccanismo si sconvolge completamente, per cui il risparmiatore sempre attraverso la banca non finanzia l'impresa, ma l'operatore del Far Est. In un sistema di questo genere il rischio vero che l'Italia non riesca, da una parte ad essere competitiva negli altri mercati, ma non riesca neppure a difendere il suo mercato del risparmio che stato 'asset fondamentale dello sviluppo economico. Il modello italiano era abbastanza singolare perch consentiva alle banche di fare il 91% del proprio bilancio sul credito, quando negli altri sistemi bancari questo valore era intorno al 50% e la restante percentuale era sui servizi avanzati, ma consentiva di finanziare l'impresa. Adesso si rischia che le banche non abbiano pi i soldi per finanziare l'impresa se il risparmio prende altre strade (Benito Boschetto). La risorsa capitale in futuro sar sempre pi scarsa soprattutto se pensiamo agli indebitamenti degli stati e dei sistemi bancari, ai bisogni dei paesi emergenti per finanziare lo sviluppo e di quelli avanzati per finanziare le ristrutturazioni. La domanda di capitali sar enorme e, da qui, la sua scarsit. Un Paese come l'Italia che ha un mercato del risparmio cos rilevante ha un asset formidabile per lo sviluppo, ma sar anche un asset che in un sistema aperto non potr essere garantito se non dall'efficienza del proprio mercato. L'errore immaginare che possa funzionare il modello banca-impresa come quando il mercato era chiu-

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so e presidiato. Ma, in un mercato aperto, invece, una banca d'affari internazionale come la Fleming offre a Vignola investimenti nel Far Est e operatori di altri mercati possono attirare i nostri capitali, rompendo cos la connessione tra risparmio, impresa e territorio: Ai tedeschi, ad esempio, non interessa quotare nella loro borsa imprese estere, ma stanno facendo un'operazione di investimento colossale per collegare gli intermediari esteri al loro mercato, perch il loro obiettivo quello di finanziare il loro listino, le imprese tedesche. Per questo offrono facilitazioni enormi agli intermediari stranieri che si collegano in remote link con il loro mercato. C' quindi una strategia aggressiva nei confronti del mercato italiano che rischia di ritrovarsi senza materia prima per finanziare le proprie imprese. Il sistema perch riesca a tutelare la struttura di base deve essere efficiente, tenendo conto di un fatto importante: l'offerta di investimento da parte degli operatori internazionali rappresenta anche una opportunit per le imprese italiane. L'unico problema che una cosa un operatore giapponese o americano che finanzia il Brambilla emiliano, un'altra se questo viene finanziato dalla Cassa di Risparmio locale. Nel momento in cui fattori di carattere generale dovessero imporre un ridimensionamento degli investimenti da parte dell'operatore globale probabile che la prima cosa che questo taglia sono gli impegni periferici. In un sistema cos strutturato, il piccolo imprenditore avr anche una maggiore offerta da parte degli operatori internazionali, ma si tratta anche di un'offerta relativamente precaria. E' molto pi garantito il piccolo imprenditore se c' un rapporto diretto che, per, deve essere efficiente. La via dell'efficienza in questa dimensione una via obbligata anche per garantire i sistemi locali. Per questo la modernizzazione del sistema finanziario un elemento di garanzia per il futuro dell'economia del Paese (Benito Boschetto). Mai la Borsa italiana ha avuto le chance di modernizzazione e di sviluppo che ha oggi. La nostra Borsa una delle Borse pi moderne, organizzativamente parlando, ma che ha ancora residui culturali antichi: l'opacit, le societ che non comunicano adeguatamente, alcune scatole cinesi, un peso eccessivo degli adempimenti di tipo puramente burocratico, tutti elementi che devono essere cambiati. Inoltre, mancano ancora alcuni dei players fondamentali di un mercato moderno come i fondi pensione. L'Italia tra le economie avanzate quella che ha il pi alto gap fra capitalizzazione di Borsa e il Pil: ha il 5% del Pil dell'OCSE e l'l,5% di capitalizzazione di Borsa nell'OCSE: Guardando alle cifre direi che chi intravede la tendenza dell'Italia di diventare periferia dell'Europa dal punto di vista finanziario non molto lontano dal vero; nel senso che la Borsa italiana capitalizza oggi un quinto di quella francese e meno di quella spagnola o coreana, per fare alcuni esempi. Apparentemente, quindi, la Borsa non in grado di rappresentare un quadro fedele del tessuto industriale della

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nazione. D'altro canto, esiste anche la preoccupazione di vedere i nuovi potenziali emittenti privilegiare, nel momento in cui optano per la quotazione dei propri titoli, lo sbarco sui mercati esteri piuttosto che su quello domestico (Claudio Poli).

Un Paese ad economia avanzata dovrebbe avere il 5% di PIL ed il 7% di economia finanziaria, perch in questo modo finanzia anche gli altri paesi. Questi dati sottolineano il recupero enorme che l'Italia deve fare in termini di sviluppo dell'economia finanziaria.151 Abbiamo un mercato del risparmio ricchissimo, che ci pone ai vertici dei paesi avanzati, abbiamo un grosso debito tendenzialmente in riduzione che liberer risorse significative anche per investimenti produttivi. A questi dati di carattere strutturale si devono aggiungere una serie di fattori importanti, come lo sviluppo dei fondi pensione, la privatizzazione della Borsa (la Borsa SpA partita il 2 gennaio 1998) e la riforma della corporate governance (21 febbraio 1998). Se il sistema bancario investir nella nuova Borsa, valorizzandola, potr spingere le imprese a rivolgersi al mercato e non solo al credito. Inoltre, c' una riforma fiscale che entrer presto in vigore che far scomparire uno degli ostacoli principali del ricorso delle imprese al mercato, perch elimina il differenziale di vantaggio fiscale che veniva concesso al capitale di credito rispetto al capitale di rischio. Infatti, fino ad oggi non c'era la convenienza da parte delle imprese ad entrare in Borsa. Inoltre, il vantaggio fiscale portava le imprese ad occultare i profitti, a gonfiare il debito e, quindi, si realizzava un paradosso unico al mondo, al pi ricco mercato del risparmio faceva riferimento il pi indebitato sistema produttivo.
151. Alla fine del 1997 la Borsa di Milano era sesta in Europa e undicesima nel mondo con 600 mila miliardi di capitalizzazione. Ma, nonostante il poderoso rialzo vissuto nel '97, Piazza Affari rappresenta ancora solo il 31% del Pil nazionale contro il 171% di Londra o il 113% di Amsterdam. Mentre il Pil dell'Italia contribuisce per l'I 1% al totale europeo (ponendo il Paese al quarto posto in graduatoria), la capitalizzazione di Borsa nel contesto continentale pari esattamente alla met, 5,6%. Inoltre, alla fine del 1997 la Borsa di Milano contava 213 societ quotate, 4 in meno rispetto all'anno precedente (nonostante che ci siano state 14 nuove quotazioni). A Londra i titoli quotati erano 2.502. A Tokyo, 1.791. A New York, 2.242. Nelle borse tedesche, 2.696. A Parigi, 862. A Zurigo, 428. Persino a Madrid le societ quotate erano molte di pi: 388. Il problema ha a che fare con la struttura proprietaria delle societ italiane, ancora saldamente legata alla famiglia e poco propensa al mercato. Dalle relazioni della Consob si evince che in ben 130 societ quotate, che rappresentano oltre 60% della capitalizzazione di Borsa, la quota di maggioranza concentrata in una sola mano superiore al 50%. La quota media detenuta nelle societ del listino di Milano dal primo azionista pari addirittura al 51,9%.

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Secondo Massimo Capuano, amministratore delegato della Borsa SpA, si potr avere una rapida crescita della Borsa italiana solo se la si rende veramente rappresentativa delle punte di diamante dell'industria nazionale, puntando ad avere matricole di qualit nei settori economico-produttivi in cui l'Italia leader riconosciuta a livello continentale e mondiale: Ci sono aziende e ci sono settori dove l'Italia o pu essere leader europeo. Penso all'alimentare, all' entertainment, alla moda, alla componentistica dove la tecnologia italiana molto avanzata. Abbiamo individuato una cinquantina di aziende che avrebbero le potenzialit per diventare blue chips, esperimento una leadership in ambito europeo. Ci siamo posti l'obiettivo di ampliare il listino, non solo quantitativamente, ma anche e soprattutto in termini qualitativi, garantendo buone condizioni di liquidit - obiettivo cui gli intermediari potranno dare un contributo fondamentale - e preservando l'immagine complessiva del mercato.152 E' assai probabile che la Borsa di Milano possa avere un ruolo importante anche con l'euro, ma non facile immaginare che le piccole e medie imprese italiane si possano quotare in gran numero, anche in presenza del passaggio generazionale e nonostante che l'Eurisko, in uno studio commissionato dal Consiglio di Borsa nel 1997, sostenga che delle 120 mila PMI tra i 20 e i 500 addetti almeno 11 mila abbiano i requisiti per accedere alla quotazione. Inoltre, in molti hanno sottolineato il fatto che la Consob privilegia dei controlli di natura essenzialmente formale ed amministrativa con una richiesta spesso eccessiva di materiale cartaceo del tutto inutile e che crea soltanto grandi difficolt e alti costi per le PMI: Sono molto gravose e onerose da un punto di vista amministrativo le disposizioni Consob per essere quotati. Significa avere delle strutture all'interno delle aziende che si occupano soltanto del rispetto degli adempimenti formali previsti dalle normative e dai regolamenti. Non ci mai stato chiesto il nostro budget, ma ogni tre mesi bisogna comunicare se i soci o gli amministratori si sono comprati una o due o tre azioni della societ. Noi non dobbiamo mai dire cosa stiamo facendo, con che numeri e qual il nostro programma, ma i controlli sono solo ed esclusivamente rivolti al rispetto formale delle normative. Non sono richiesti dei dati prospettici. In America, per quello che so, completamente diverso. Hai degli analisti sul collo che studiano e valutano criticamente i tuoi programmi e devi comunicare i risultati trimestrali. Quindi, la periodicit con cui si stabilisce l'andamento dell'impresa molto pi stringente (Luca De Rita).

152. Citato in Antonella Olivieri, "Una Borsa del made in Italy", Il Sole 24 Ore, 22 gennaio 1998, pag. 33.

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Mai come oggi la Borsa italiana ha avuto delle chance cos buone per il suo sviluppo, ma mai come oggi ha avuto di fronte uno scenario cos competitivo, una sfida talmente dura da rendere problematico il successo. Non affatto detto che la sfida possa essere vinta. Si definisce uno scenario nel quale sopravviveranno soltanto le realt pi significative: in Europa ci sono venti Borse e fra qualche anno saranno ridotte a cinque-sei, mentre le rimanenti non conteranno pi nulla.

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IL COSTO DEL LAVORO E GLI ESUBERI

Esposto alla competizione europea e globale il sistema bancario italiano si trova ad essere inadeguato ed inefficiente. Ci si interroga su quale sia l'origine del gap competitivo e su quali siano i fattori negativi da rimuovere. Come abbiamo visto finora, molti sono i problemi di fondo, tra cui spiccano, per il loro peso, la rigidit dei costi e la tassazione sul reddito. Per quanto riguarda il costo del lavoro, in base agli ultimi dati ufficiali disponibili (relativi al 1994), sono stati calcolati in Italia 107 milioni per addetto contro una media europea pari a 93 milioni.153 L'imposizione complessiva del fattore lavoro, il cosiddetto nucleo fiscale e contributivo rappresentato dagli oneri sociali pi le imposte sul reddito una delle cause determinanti della differenza: in Italia essa pari al 69% rispetto alla retribuzione lorda contro una media europea pari al 62%. Ci significa che il costo del lavoro per ogni lira di attivit intermediate dalle banche pari all'1,54% in Italia contro una media europea di 1,16% e, cio, maggiore quasi di un terzo:
153. E' importante ricordare che il primo a lanciare l'allarme sul costo del lavoro in banca stato il Governatore della Banca d'Italia, che nella primavera del 1997 chiam a raccolta i principali banchieri del Paese, sottolineando che cos non era pi possibile andare avanti. Le banche italiane, disse in quell'occasione il Governatore, sono ad un bivio: o riescono attraverso una trattativa con i sindacati a riportare la dinamica dei costi, in particolare quella relativa al personale, entro livelli europei, oppure rischiano di essere progressivamente estromesse dal mercato dalle grandi banche europee, meglio attrezzate, con margini di guadagno superiori e con dimensioni notevolmente pi elevate. L'allarme del Governatore, che invest del problema anche Palazzo Chigi, mise in moto la lenta macchina delle trattative tra banchieri e sindacati, arrivati alla stretta finale solo dopo quasi nove lunghi mesi di incomprensioni, rotture, scioperi, che fino all'ultimo hanno messo in discussione la firma dell'accordo quadro siglato il 28 febbraio 1998.

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Non abbiamo mai detto che le difficolt del sistema bancario dipendano solo dall'alto costo del lavoro. Noi abbiamo rappresentato e misurato i vari svantaggi competitivi del nostro sistema rispetto al quadro europeo con cui ci confrontiamo. Per quanto riguarda il costo del lavoro, emerge chiaramente che tale costo ha un'incidenza sul margine di intermediazione pi alta del 20-25% rispetto alla media europea. E' un dato statistico. Basta prendere le analisi nazionali o internazionali e si vede subito la realt delle cose. Il sistema bancario ha un problema di costo complessivo per singolo dipendente, tale costo ha due componenti: il cosiddetto cuneo fiscale, Inps e Irpef, e lo stipendio effettivamente percepito. Abbiamo illustrato questo dato alle autorit competenti ed ai rappresentanti dei lavoratori (Giuseppe Zadra). Ma, quello che viene considerato il vero fronte dello svantaggio competitivo del sistema bancario italiano non tanto nel costo del lavoro, quanto nella mobilit del fattore lavoro, ragion per cui in molti ritengono che il vero fronte delle politiche di recupero dell'efficienza sia quello della rigidit del mercato del lavoro: Il primo dato obiettivo la necessit di ridurre il costo del lavoro che nell'ordine di 35.000 miliardi. Per ridurlo si pu intervenire sia sul costo del personale, sui sulla flessibilit. Il secondo elemento che nel nostro sistema ci sono pi addetti che nella media degli altri sistemi. In estrema sintesi esiste un problema di mercato del lavoro. Dobbiamo avere degli strumenti per accompagnare i lavoratori in uscita, occorre, dunque, pi flessibilit (Giuseppe Zadra). All'estero il problema dei costi delle banche viene spesso affrontato attraverso dei drastici interventi di ristrutturazione organizzativa che implicano il licenziamento in tronco di migliaia di dipendenti. Si pensi, ad esempio, che a seguito della fusione delle due banche svizzere Ubs ed Sbs, che dar vita al secondo gruppo bancario al mondo, ci sar un taglio di organici di 13 mila posti nei prossimi quattro anni. In Gran Bretagna, in dieci anni il sistema bancario ha ridotto di 90 mila unit su 400 mila il personale. Negli Stati Uniti, l'adozione delle nuove tecnologie ha comportato un taglio di un milione e mezzo di cassieri. In Italia, comunque, gli esuberi sembrano costituire un problema solo per i grandi istituti; 154 la maggior parte degli istituti medio-piccoli 154. Una delle grandi banche che maggiormente afflitta dal problema dei costi e degli esuberi di personale senz'altro la Banca di Roma:
La Banca di Roma nasce dalla fusione di tre banche che se fosse avvenuta negli Stati Uniti, dove questo tipo di fusioni sono abbastanza ricorrenti, avrebbe consentito di mettere in libert migliaia di dipendenti, mentre da noi per ragioni giuslavoristiche questo non stato possibile. Quindi, il problema della banca di Roma di

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denunciano a volte una carenza di personale. Nel Nord e nel Nord-Est in particolare, al momento di banche che hanno esuberi, almeno apparentemente, non ce ne sono e i problemi sembrano essere soprattutto altri: quelli di mettere tutti i lavoratori in condizione di poter seguire al meglio le modifiche organizzative, e le trasformazioni che investono il settore e le singole imprese bancarie. D'altra parte assai probabile (dato che nessuno ha finora avuto il coraggio di andare a verificare dove sono i 30.000 esuberi di cui si parla) che ci sia una consistente fascia intermedia di personale - di impiegati e funzionari - che deve essere riconvertita perch rimasta spiazzata dalla tecnologia informatica dal basso e dalla tecnologia finanziaria dall'alto. Secondo le organizzazioni sindacali dei lavoratori del credito, questo obiettivo non pu essere raggiunto senza il coinvolgimento diretto del sindacato e la possibilit per i lavoratori di assumere una responsabilit diretta nel capitale di rischio delle imprese. A tale proposito, gi il protocollo d'intesa tra ABI e organizzazioni sindacali dei lavoratori, firmato il 4 giugno 1996, aveva stabilito che non il problema degli esuberi il problema centrale del settore creditizio, ma semmai la sua modernizzazione con relazioni sindacali pi efficienti. Tale orientamento stato confermato con l'accordo quadro tra l'ABI e i sindacati di categoria siglato il 28 febbraio 1998, un accordo, che secondo i firmatari, destinato ad aprire nuovi scenari per il sistema creditizio italiano, facendo sentire i suoi effetti sul rinnovo dei contratti dei bancari, dei funzionari e dei dirigenti, riducendo sensibilmente il costo del lavoro sui bilanci delle banche. La trattativa tra la delegazione dell'ABI, guidata da Maurizio Sella, e i sindacati bancari, Fisac-Cgil, Fiba-Cisl, Uib-Uil, Fabi, Falcri e

avere un eccesso di personale. Il nostro Direttore Generale dice che su 23.000 persone, ce ne sono almeno 4.000 di troppo. Io credo che se oggi nascesse una nuova banca a presidio dello stesso territorio con lo stesso volume d'affari, probabilmente 15.000 persone sarebbero sufficienti. L'eccesso di personale ha cominciato a trovare soluzione adesso con i prepensionamenti. Noi avevamo oltre 24.000 persone prima, quindi sono gi uscite 1.50011.700 persone e ne sono state assunte un certo numero. La banca ha un suo programma strategico in questo campo, quello di riuscire entro il 1999 a far uscire ulteriori 3.000 persone e ad assumerne almeno 1.500 giovani, dotate di un grande entusiasmo e di una cultura adeguata al nuovo modo di fare banca (Giancarlo Carmignani).

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Sinfub, si trascinata per nove lunghi mesi, durante i quali pi volte si arrivati ad un passo dalla rottura definitiva. Il tema pi spinoso stato quello della riduzione del costo del lavoro.155 Altro punto molto delicato stato quello relativo alla retribuzione con il "raffreddamento" della dinamica salariale. 156 Anche la definizione delle norme relative al Fondo sugli esuberi ha rischiato pi volte di minare la trattativa. Per i banchieri, infatti, l'accompagnamento alla pensione dei bancari considerati in esubero, doveva essere calcolato solo sulla base dell'anzianit effettiva, mentre i sindacati chiedevano comunque il riconoscimento di un'anzianit lavorativa di 35 anni. L'accordo quadro ha stabilito che saranno creati due Fondi senza oneri per lo Stato, uno per la generalit delle banche e uno per quelle di Credito Cooperativo. Essi saranno istituiti presso l'Inps e gestiti da comitati "misti". 157 L'accordo ha inoltre

155. L'ABI nei suoi documenti stata sempre molto severa. Secondo i banchieri, infatti, il taglio dei costi, escluso l'aumento del carico fiscale dovuto all'Irap, doveva essere inizialmente di 5 punti percentuali, in modo da abbassare il rapporto tra margine d'intermediazione e costo del lavoro dal 44,8% al 39%, un livello cio pari alla media delle grandi banche europee. Dopo settimane di discussione, l'ABI ha abbassato le sue pretese ad una riduzione compresa tra il 4,10 e il 4,50%. I sindacati, invece, sono rimasti trincerati dietro la richiesta di un taglio ai costi compreso tra il 3,3 e il 3,7%. Alla fine stata raggiunta l'intesa su una riduzione del rapporto tra margine d'intermediazione e costo del lavoro compresa tra il 3,7 e il 4,1% rispetto ai livelli del 1997, portando il rapporto tra queste due voci dal 44,8% attuale, al 40,7-41,7%, contro una media europea del 39% circa, e con un risparmio a livello di sistema fra i 3.015 e i 3.340 miliardi. Il solo costo del lavoro dovrebbe calare tra l'8,259 e il 9,152%. 156. La delegazione dell'ABI ha proposto il congelamento tout court delle retribuzioni per due anni. I sindacati, invece, hanno chiesto di spostare la soluzione del problema all'avvio della trattativa per il rinnovo contrattuale vero e proprio, ma rifacendo i conti sempre sulla base dell'accordo di luglio sulla politica dei redditi. L'intesa di luglio servir a determinare gli aumenti generali, mentre stato stabilito che in sede aziendale crescer notevolmente il peso delle componenti variabili sulla retribuzione. 157. In via ordinaria, i Fondi serviranno a coprire un importo pari al 60% della retribuzione lorda mensile dei dipendenti interessati da programmi di riqualificazione, riduzione dell'orario o sospensione temporanea dell'attivit. In via straordinaria, invece, i Fondi erogheranno assegni per il sostegno al reddito e la contribuzione figurativa dei lavoratori in esubero per un massimo di 60 mesi: i dipendenti con 30 anni di anzianit potranno ottenere quindi un trattamento pensionistico equiparato a chi ne ha 35.1 Fondi saranno finanziati, per le prestazioni ordinarie, con un contributo ordinario dello 0,50% del monte salari, di cui lo 0,375% a carico dei datori

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stabilito il principio che la flessibilit negli orari di lavoro e di sportello un'esigenza funzionale al miglioramento dell'efficienza e della produttivit delle aziende. Aumenteranno, quindi, part-time e mobilit interna e arriveranno contratti a tempo determinato e di formazione lavoro e il lavoro interinale. La definizione di due soli contratti, uno per i dirigenti e i funzionari di livello pi alto (quelli a cui attualmente riconosciuta una maggiorazione di grado superiore a 9) e uno per gli altri funzionari, i quadri e il resto dei bancari, invece dei tre precedenti (dirigenti, funzionari, bancari), infine, ha provocato un duro scontro con la Federdirigenti (30 mila tessere), che ha anche abbandonato il tavolo delle trattative e ha proclamato uno sciopero. In base all'intesa, il numero dei dirigenti crescer, includendo una parte degli attuali funzionari con grado pi elevato. Nascer, inoltre, una nuova categoria, denominata "quadri direttivi", che sar articolata in quattro livelli retributivi e comprender gli ex quadri e gli attuali funzionari di livello pi basso e rientrer nel contratto degli altri dipendenti. In questo modo, il nuovo regime contrattuale destinato a managerializzare una fetta consistente degli attuali funzionari, con l'obiettivo di aumentare le occasioni di crescita professionale ed imprenditoriale.

di lavoro e lo 0,175 a carico dei lavoratori. Nel caso di cassa integrazione, stato invece previsto un contributo addizionale - a carico dei datori di lavoro - in misura non superiore all' 1,50% del monte salari. Riguardo al Fondo per la gestione degli esuberi si registra il dissenso da parte delle piccole banche del Nord-Est. Spiega Nereo Terreran, Direttore Generale della Banca Popolare di Cividale: Ragionare e muoversi come un'impresa e non come un'istituzione per le piccole banche, come la nostra, un modo di essere indispensabile. L'oculatezza nella gestione operativa e delle risorse umane una costante della nostra ultracentenaria storia bancaria, altrimenti non saremmo sopravvissuti. Per questo, guardiamo con preoccupazione al fenomeno degli esuberi nel sistema bancario e all'istituzione di un apposito fondo prevista dall' accordo. Gi il fondo obbligatorio di tutela dei depositi ci penalizza non poco quando accadono vicende come quelle di Sicilcassa, togliendoci risorse necessarie in un momento che ci richiede investimenti, in vista dell'ingresso nell'euro, e una nuova fase di espansione operativa. Non vorrei che il nuovo Fondo esuberi finisca per penalizzare proprio quelle aziende che dell'oculatezza hanno fatto la regola della propria attivit a vantaggio di quelle che, invece, hanno seguito altre strade.

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L'accordo quadro stato definito da coloro che lo hanno firmato un "mutamento profondo e radicale", una "rivoluzione culturale". Cambia la figura tradizionale del bancario, fino ad oggi un privilegiato invidiato, abituato agli automatismi di carriera e di salario, deve diventare un "imprenditore", con una quota di rischio in busta paga. Chi lavora in banca dovr accettare una progressiva crescita della parte variabile della retribuzione rispetto a quella fissa: se la banca far utili, aumenter anche la busta paga del dipendente. In questo modo, la gestione delle risorse umane diventa finalmente una leva competitiva fondamentale anche per le aziende di credito italiane. L'importanza dell'accordo quella di fornire un quadro innovativo all'interno del quale, chi ne sar capace, potr cambiare in profondit i sistemi organizzativi e retributivi, passando dalla amministrazione alla gestione delle risorse umane. Resta da vedere ora cosa accadr quando si tenter di tradurre in norme vigenti l'accordo quadro al momento della trattativa vera e propria per il rinnovo del contratto dei bancari. I 330 mila dipendenti del settore, destinati a ridursi proprio grazie al Fondo sugli esuberi, attendono con ansia. Il tema degli esuberi, in un sistema bancario di presidio territoriale, riguarda, soprattutto, i processi di accorpamento di banche e i processi di acquisizione dove il problema quello del "corpo centrale" e delle funzioni di direzione che devono essere concentrate. Ad ogni modo, diverse esperienze dimostrano che queste problematiche possono essere risolte positivamente senza il trauma dei licenziamenti, attraverso la concertazione tra direzione d'impresa e organizzazioni sindacali, ma anche, e soprattutto, attraverso la ricerca di nuove soluzioni di tipo imprenditoriale da parte delle banche stesse. A tale proposito, un caso senz'altro interessante quello della Banca Anton Veneta, nata nel 1995 a seguito della fusione della Banca Antoniana e della Popolare Veneta. La fusione, tenendo presente che le due banche avevano sede: e direzione generale a Padova, a poche centinaia di metri di distanza l'una dall'altra, avrebbe generato circa 250 duplicazioni di funzioni e, quindi, di esuberi. Fin dall'inizio, per, questo stato uno dei punti maggiormente analizzati e a cui si cercato di dare una soluzione innovativa: In questi anni abbiamo fatto di tutto - incorporazioni, apertura di sportelli, struttura di gruppo con banche indipendenti che partecipano o che sono parzial324

mente o totalmente controllate. Abbiamo fatto anche una fusione, unica nel sistema bancario, tra due banche di medie dimensioni della stessa citt. Questo ha posto il problema delle eccedenze derivanti dai servizi centrali (ispettorato, servizi esteri, servizi titoli e cos via). Non potevamo risolverlo all'americana mandando a casa duecento, trecento persone, anche perch, in virt delle nostre origini, il rapporto tra territorio e banca era strettissimo: le direzioni generali erano tutte nel nostro territorio originario. Qui, il management ha fatto un volo di fantasia e ha cercato nuove frontiere e nuovi settori in cui poter reimpiegare le persone che altrimenti sarebbero state in esubero. I potenziali esuberi sono stati trattati come "risorse liberate" da impiegare in nuovi settori in precedenza non ben presidiati o inesistenti come la finanza d'impresa e il risparmio gestito. Formazione specializzata, nuova struttura organizzativa, collegamenti con societ controllate del gruppo bancario e sviluppo della professionalit sono state le motivazioni risultate decisive per i nostri collaboratori. E' un'operazione che riuscita e, quindi, credo che il problema degli esuberi sia risolvibile in ogni azienda purch il management che dirige l'azienda abbia fantasia, capacit e non sia fatto di citrulli capaci solo di dire: "voglio tagliare delle teste" (Natalino Oggiano). Il problema degli esuberi collegato anche alla necessit che oggi ha la banca di stabilire un nuovo rapporto con il cliente attraverso l'erogazione di nuovi servizi e, quindi, alle difficolt che si incontrano nel riconvertire il proprio personale a svolgere queste nuove funzioni. Le banche hanno molto personale, ma, soprattutto, hanno molto personale dedicato a servizi semplici di back-office, a basso valore aggiunto (ad esempio, a spuntare tabulati), mentre non hanno sufficiente personale di front-office capace di interagire con la clientela sulle tematiche dei nuovi prodotti/servizi di risparmio gestito, bancassicurazione, e t c : Le persone che hanno pi di 45 anni molto spesso non sono pi convertibili e diventano esuberi, perch bisognerebbe mandarli in giro a fare i venditori di servizi nuovi, che non capiscono perch non li hanno mai vissuti. Bisognerebbe prima insegnare loro a fare un mestiere che non conoscono. Molti, infatti, sono abituati a lavorare dietro alla scrivania o dietro il bancone. Adesso alcune banche hanno abolito finalmente il bancone, hanno creato anche fisicamente dei luoghi di contatto pi aperti con il cliente. Faticosamente stanno arrivando anche a questa manifestazione visibile del desiderio del cambiamento del rapporto con il cliente. Per, le persone che hanno vissuto 20 o 25 anni il mestiere in un certo modo non si riesce a convertirle. Per esempio, al San Paolo mi hanno detto che hanno fatto una conversione di alcune centinaia di persone, ma il doppio di quel numero risultato inconvertibile. Un migliaio l'hanno dovuto passare al prepensionamento. Non credo, almeno da quanto mi dicono anche altre banche, che ci sia la possibilit di pensare a soluzioni alternative. La maggior parte delle banche resiste a tenerli l, perch gli costerebbe troppo metterli fuori e, quindi, sopravvivono le vec-

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chie strutture e procedure che allontanano il cliente e rendono pi inefficiente il servizio. Invece, per rendere efficiente l'organizzazione si devono mandare a casa quelle persone che a seguito del cambiamento esterno sono ormai diventate delle risorse inefficienti e non pi utilizzabili. E' un dramma dal punto di vista personale e sociale che non credo sia risolvibile n con la semplice difesa dell'esistente, come stanno facendo parecchie banche pi tradizionali, perch questo ha degli effetti devastanti sui bilanci, n dando delle nuove chances. Effettivamente qualcuno riesce a riconvertirsi, ma una minoranza, il resto deve trovare strade diverse al di fuori della banca. In alcuni casi pu avvenire ed avvenuto. Molti dei cosiddetti promotori finanziari sono degli ex-impiegati che mordevano il freno a dover mettere i timbri sugli assegni o sulle ricevute allo sportello e che, quindi, sono stati felici di avere avuto un'opportunit per imparare a fare un mestiere nuovo. Ma, erano quelli che avevano gi quella propensione. Coloro, invece, che avevano scelto l'attivit bancaria perch era tranquilla, aveva l'orario di ufficio e la sicurezza di fare un mestiere perfettamente controllato e di cui conoscevano le regole, si trovano improvvisamente di fronte ad un mondo sconvolto: non ci sono pi regole e devi inventarti il tuo rapporto con il cliente giorno per giorno. Sono uomini o donne che si sentono e sono perduti (Pietro Gennaro). Dal racconto autobiografico di Giancarlo Carmignani emerge con chiarezza il mutamento radicale intercorso nel modo di "fare banca" e conseguentemente del tipo di risorse umane che sono necessarie oggi rispetto ad un passato tutto sommato relativamente recente: Oggi, da assumere sono i giovani, perch non hanno un pregresso di una banca diversa in cui operare, hanno un grande entusiasmo e si possono trovare persone con delle motivazioni, ma soprattutto con una cultura pi adeguata, sia per il livello di studio, sia per una capacit di apprendimento superiore (sanno, ad esempio, gi usare l'informatica. Quando affronto con i miei collaboratori questo tema, ricordo sempre che sono stato assunto tanti anni fa perch avevo alcune caratteristiche, ma soprattutto perch apparivo persona educata e seria. Questa era la tipologia richiesta, perch era un mondo assolutamente piatto e persone con troppa iniziativa rompevano questo equilibrio. Diciamo che quando il punto di forza il ripetersi quotidiano non ci vuole disturbo, bisogna rispettare le norme e le gerarchie. Quando sono stato assunto, mi ricorso che allo sportello parlavo facilmente con i clienti e sono stato richiamato dal capo dell'ufficio perch sorridevo troppo. Questo d l'idea della banca di allora. Le banche hanno avuto un forte sviluppo degli organici negli anni '80 e in quel periodo sono state fatte molte assunzioni, mentre dopo non si pi assunto quasi nessuno. Normalmente, queste persone sono state assunte con quelle caratteristiche, perch in quel momento andavano bene quelle caratteristiche. La banca, per, oggi totalmente cambiata perch cambiata la sua funzione, cambiato il suo ruolo, sono cambiate le sue attivit. Io ricordo sempre, per dare un'idea della forte differenza che c' tra Fieri e l'oggi, che il massimo sforzo che doveva fare il bancario allo sportello fino a non 326

molto tempo fa era quello di illustrare la differenza tra il libretto e il conto corrente, conto corrente vincolato e conto corrente libero. Immagini oggi quando si presenta allo sportello un cliente che dispone anche solo di 100 milioni ed ha la possibilit di scegliere tra il libretto ed il conto corrente, i fondi, ma quali fondi? Le obbligazioni, le gestioni patrimoniali, i titoli di Stato, le operazioni particolari. Voglio dire che ad ognuno l'addetto allo sportello dovrebbe essere in grado, sulla base delle esigenze del cliente, di offrire il giusto prodotto, conoscendone tutte le caratteristiche, anche fiscali, saper offrire cio una consulenza globale. A tale proposito, interessante sottolineare come in provincia di Cuneo venga segnalato un tipo di esubero di personale del tutto particolare: nelle banche locali, infatti, c' una sovrabbondanza di personale "introverso", frutto di politiche di assunzione del personale che negli anni scorsi privilegiavano la riservatezza come criterio di selezione. Nella nuova situazione di mercato competitivo, in cui la banca deve attuare aggressive politiche di marketing sul territorio, il vecchio personale "introverso" si dimostra inadeguato per svolgere un tale compito: Le banche hanno dei problemi perch non trovano gente che vada in giro a vendere i prodotti. I problemi che abbiamo di esuberi che vengono denunciati dovuto a tutto un settore di "assunzioni introverse". In passato, infatti, la banca cercava gli introversi, perch c'era il segreto bancario e, quindi, si riteneva che la riservatezza, il carattere chiuso dovesse essere la qualit pi importante di un dipendente. Chi andava la bar, chi andava troppo a ballare non andava bene. Adesso la banca ha bisogno di estroversi perch deve vendere e questa nuova esigenza crea le eccedenze (Giovanni Ventura). C' anche una seconda questione: il problema degli esuberi riguarda da vicino il processo di esternalizzazione di alcune funzioni bancarie e soprattutto di quelle funzioni che possono essere svolte (con un meccanismo che richiama da vicino quello della subfornitura di filiera) in altri Paesi, con costi del lavoro nettamente pi bassi. Ad esempio, vi sono banche che pensano di fare il trattamento degli assegni in Bangladesh o in India, sul modello della Swissair, che ha trasferito il centro di elaborazione dati in queste aree del Far East.

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IL RAPPORTO TRA BANCHE E ASSICURAZIONI

Negli ultimi anni, le banche hanno dimostrato di essere in grado do ottenere degli ottimi risultati nel campo assicurativo, oltre che nel business dei fondi comuni.158 Si assistito, infatti, alllesponenziale crescita, tuttora in corso, della cosiddetta "bancassicurazione", la via bancaria alla gestione e vendita delle polizze assicurative nel comparto Vita. La gara per la conquista di questo comparto sta vivendo in Italia una fase decisiva, in cui il sorpasso della realt della bancassicurazione sul canale di vendita tradizionale sembra essere sempre pi vicino e i termini della competizione stanno assumendo una forma completamente nuova. In gioco c' un mercato che dovrebbe svilupparsi dai 166.500 miliardi di riserve assicurative di fine '96 a 233.800 miliardi a fine '99. E in questa crescita la parte del leone dovrebbe farla proprio il sistema bancario a scapito delle tradizionali compagnie, ma anche delle reti di promotori finanziari. Nel 1997 il settore dell'intermediazione finanziaria, con ci intendendo il canale bancario e quello dei promotori finanziari ha superato, nel comparto dei nuovi premi Vita individuale, quello

158. Fino a pochi anni fa, nel settore vita, grazie alla precedente normativa bancaria che scindeva crediti a breve da quelli a medio e lungo termine, la concorrenza tra le compagnie di assicurazione e le banche non esisteva. La banca era specialista nel risparmio a breve, mentre la compagnia di assicurazione nel risparmio a lungo. Nel momento in cui si passati a fare banca universale, le banche hanno iniziato ad interessarsi a tutta la gamma del risparmio, partendo dai certificati di deposito per arrivare alle polizze assicurative.

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tradizionale, che sceso al 49%. Una crescita, questa, dovuta soprattutto alle grandi banche che, seppure partite in ritardo rispetto alle realt minori, hanno ora dato impulso alla raccolta premi allo sportello. Le banche, spinte anche dalla necessit di andare a riempire gli spazi lasciati vuoti da chi fuggito dai titoli di Stato, si sono concentrate in un nuovo segmento del pi ampio mercato del risparmio gestito. I numeri, d'altra parte, parlano chiaro: in termini di incrementi percentuali, il 1977 pu, infatti, essere battezzato l'anno degli aumenti a due cifre. Montepaschi Vita (partecipata dal Gruppo Montepaschi e dalla Sai) si colloca ormai all'ottavo posto nella classifica per patrimonio delle gestioni separate del settore Vita con 3:389,6 miliardi (dati a marzo '97) e una "velocit" di crescita anno su anno, che la pi alta (+28%) del gruppetto di testa composto dalle prime dieci compagnie. Con lo scendere delle dimensioni salgono poi ulteriormente le percentuali di crescita: BNL Vita salita, nello stesso periodo del 78% fino a superare i 1.500 miliardi; San Paolo Vita passata da 1.019 a 1.498 miliardi (+47%). e Carivita (Gruppo Cariplo) ha aumentato il proprio patrimonio del 51,6%. In rapida ascesa anche Arca Vita (Banche Popolari), con un aumento del 61%, Eurovita (Casse di Risparmio), con un +58,3% e Duerre Vita (Rolo Banca 1473), con un incremento annuale del 70,2%.159 Tutte le grandi banche sono ormai operative nel settore della bancassicurazione con la sola eccezione di Cariverona che stata ferma per problemi con l'Antitrust, ma che prender il via entro il 1998.16

159. Lo stesso discorso vale per quelle compagnie che si avvalgono, nella distribuzione dei propri prodotti, di una rete di promotori finanziari. Due esempi valgano per tutti: la Milano, grazie alla propria rete San Paolo Invest, ha messo a segno un +27,1%, collocandosi al dodicesimo posto a quota 2.322 miliardi, e la Prime Augusta Vita ha avuto un incremento del 40%, raggiungendo quota 1.866 miliardi. 160. Le Generali sono il partner strategico di Unicredito (Cariverona-Crt) e quali siano le potenzialit d'urto di quest'asse lo ha detto l'Antitrust, congelando inizialmente il piano di bancassicurazione per presunta posizione dominante nel Nord-Est. E' con Unicredito che le Generali hanno tra l'altro tenuto nel loro alveo la banca di casa, la Cassa di Trieste, spezzando l'assedio locale di Allianz. Paolo Biasi, Presidente di Unicredito, chiamato nel cda delle Generali, ha gi annunciato che la compagnia di Trieste sar socia di rilievo nel futuro nocciolo duro del gruppo bancario.

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La banca ha l'enorme vantaggio di essere, per il cliente, comoda come mezzo di pagamento e meno costosa. D'altra parte, il business assicurativo conviene alla banca per almeno tre motivi: molto remunerativo in termini di commissioni di vendita (pi degli stessi fondi comuni); produce utili che arricchiscono il bilancio consolidato; contribuisce alla fidelizzazione della clientela. Quella della fidelizzazione una parola d'ordine sempre pi strategica per le banche. L'idea allungare la vita media del rapporto col cliente dagli attuali dieci ai 15-20 anni, proponendogli una gamma di soluzioni per tutte le sue esigenze. Lo spazio di crescita enorme e su questa strada la nuova frontiera dovrebbe essere anche in Italia - dopo i successi realizzati in Francia, paese all'avanguardia nella bancassicurazione in Europa la vendita allo sportello di polizze a copertura dei rischi legati all'auto e all'abitazione. E, infatti, i gruppi stanno muovendo i primi passi: Comit con le Generali hanno lanciato una polizza auto, Credit con Ras vende polizze per malattie e casa, Arca ha creato una compagnia per il ramo danni. Il proliferare dell'offerta di prodotti bancassicurativi crea un problema di formazione per i bancari che stanno allo sportello. Ma, questi devono essere formati non tanto sulle caratteristiche tecniche del prodotto, quanto sull'atteggiamento da tenere verso il cliente, cio la capacit di focalizzarsi sulle sue esigenze e l'individuazione dello strumento giusto per soddisfarle. Le banche oggi vincenti vendono contemporaneamente polizze vita, fondi comuni e gestioni patrimoniali: tre prodotti che secondo vecchie logiche si cannibalizzano e che, invece, possono crescere insieme, in un'ottica di sviluppo della clientela, di produzione di nuova ricchezza. Pioniere nel proporre le polizze vita come servizio di gestione del risparmio stato il Montepaschi, primo istituto nel '91 a fare bancassicurazione in Italia, grazie ad un accordo con il Crdit Agricole, leader europeo del settore.161 Non si tratta di un semplice matrimonio fra lo

161. Il Crdit Agricole, la prima banca francese, in otto anni, partendo da zero, ha creato la seconda compagnia Vita, la Predica, che gestisce oltre 16 mila miliardi di raccolta premi.

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sportello-distributore e la compagnia-progettista. Il modello di bancassicurazione sperimentato con successo dal Montepaschi e poi seguito da tutti implica una completa ridefinizione del prodotto assicurativo: la sua estrema semplificazione, con l'introduzione di caratteristiche che rispondono ai bisogni del cliente, quindi pi flessibilit, durata pi breve, meno rigidit per i disinvestimenti, meno costi. In questo modo, queste polizze possono essere vendute allo sportello non da specialisti, ma dai normali addetti al servizio titoli, sostenuti da mirate campagne di marketing. Se il Montepaschi leader storico della bancassicurazione italiana, altre banche si stanno facendo sotto negli ultimi tempi. Ad esempio, il Credito Italiano sta bruciando le tappe nell'inseguimento. Il suo approccio a tutto il business del risparmio gestito, da cui dipendono anche i recenti successi nella vendita delle polizze, vincente perch incentrato sulla segmentazione della clientela, che per il Credit ora si divide in tre fasce: universale, a elevato reddito (patrimoni oltre 500 milioni) e primaria privata (oltre 10 miliardi). Ognuna ha il suo interlocutore: dal gestore universale (ex consulente titoli) al private banker. Se come abbiamo visto, oggi le banche si dimostrano capaci di operare anche nel mercato assicurativo con successo (le compagnie di bancassicurazione rappresentano ormai circa un quarto della raccolta totale), rimane da capire quali possano essere le loro effettive prospettive nel medio e lungo periodo in questo settore. Sono state le banche con i loro sportelli che nel ramo Vita hanno rotto il monopolio delle agenzie delle compagnie assicurative, offrendo prodotti pi convenienti con costi pi bassi per i consumatori. Come rispondono le compagnie assicuratrici all'offensiva delle banche? Sotto la spinta della liberalizzazione europea del luglio '94, dell'apertura alla concorrenza estera (uno dei primissimi gruppi italiani, RasLloyd Adriatico, controllato dal colosso tedesco Allianz) 162 e delle
162. Mentre per ora le banche straniere sono entrate soltanto i segmenti altamente qualificati del lavoro bancario, l'apertura verso l'estero del mercato assicurativo italiano dimostrata dal fatto che il 30% del fatturato fa capo ad imprese estere. A partire dagli anni '80 molti assicuratori esteri hanno assunto posizioni di rilievo in Italia, mediante importanti operazioni di acquisto, quali: Allianz - Ras, Winterthur - Intercontinentale, Veneta - Sapa, Uap - Allsecures, Mutuelle du Mans - Nazionale, Mercury - Salda, Swiss Re - Unioras. La penetrazione del mercato italiano da parte delle compagnie estere ha seguito strade diverse:

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banche, negli ultimi anni, molte compagnie si sono andate a cercare nuovi canali di affari nell'ambito della cosiddetta linea persone che raccoglie singoli individui e famiglie. In pratica, tutt'un tratto gli assicuratori hanno cominciato ad allargare la loro offerta proponendo ai clienti oltre alle polizze classiche anche altri tipi di prodotti, tra cui quelli agganciati ad indici di Borsa, a premio unico, a capitalizzazione. Contratti che nella maggior parte dei casi presentano un taglio medio di premi decisamente pi elevato. Questo significa che la polizza Vita sta a poco a poco amplificando il suo raggio di azione: non raccoglie pi solo quella parte del reddito corrente dei cittadini che ogni anno viene indirizzato alla previdenza ( questo il filone principale dei contratti presente nel portafoglio delle compagnie). Ma, si rivolge anche, e con sempre maggiore decisione, a fette consistenti di risparmio che le famiglie o il cittadino hanno messo da parte: le polizze di capitalizzazione prevedono, infatti, un premio minimo elevato e rappresentano a tutti gli effetti una nuova strada di impegno del risparmio privato, alternativo agli strumenti tradizionali: In questo momento nel mercato italiano, pi del 25% dei capi famiglia possiede una polizza Vita. Una famiglia su quattro ha una polizza Vita. A me sembra molto. Non diffusa come il conto corrente, ma bisogna considerare che molto spesso il conto corrente pi che uno strumento di risparmio una comodit. Il conto corrente un po' come la bicicletta, ce l'hanno tutti. Il conto corrente serve anche per chi non ha soldi, per fare le entrate e le uscite, per emettere assegni, etc. Invece, la polizza vita un atto di risparmio consapevole e sono ormai diffusissime fra tutti i ceti sociali che compongono questo Paese (Paolo Brugnoli). Secondo Alfonso Desiata, per capire il tipo di risposta delle compagnie di assicurazione occorre chiarire che il terreno di scontro/incontro tra banche e assicurazioni quello della gestione attiva del risparmio che richiama immediatamente un'altra considerazione di fondo che Desiata chiama "senilizzazione della ricchezza finanziaria" :

Tutte le strade sono state utili. Spesso si creato dapprima un ufficio di rappresentanza, lo si poi trasformato in un branch e, infine, si magari comparata un'impresa di assicurazioni italiana. A volte il percorso stalo inverso, come nel caso dell'Allianz tedesca che ha comperato la RAS, la seconda compagnia italiana (Alfonso Desiata).

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Oggi, ormai, una persona pu trovare un nuovo lavoro a 65 anni, al momento del pensionamento. Se teniamo presente che si comincia ad accumulare ricchezza a partire da un'et grosso modo pari ai 50 anni perch prima, quando si pi giovani, non ci si riesce a causa soprattutto delle spese e degli oneri sociali e fiscali, una persona che raggiunge i 65 anni di et pu fruire dei risparmi accantonati, ottenere la pensione e pu magari anche ricevere qualche eredit dai propri parenti. Ecco, allora, che si verifica il fenomeno della senilizzazione della ricchezzafinanziaria,al quale si accompagna l'abbandono di quella riservatezza che una volta caratterizzava il risparmio e la sua gestione. Ricordo, ad esempio, un quadro fiammingo che mostrava un uomo che contava le monete e al moglie che lo guardava con molta circospezione e con molto ritegno. In passato il risparmio veniva tenuto nell'ombra, come testimoniano alcune espressioni che sono arrivate sino a noi, come la bas-de-laine francese (i risparmi nel materasso), o il risparmio sotto terra degli scozzesi. Oggi, la gestione attiva del risparmio diventata una vera e propria industria. Si vuole avere una gestione collettiva del risparmio, non pi una gestione individuale. Allora, sono tre i vertici che si occupano di questa gestione: le banche, le compagnie di assicurazione vita e i fondi comuni di investimento. In ogni paese c' chi sta perdendo e chi sta guadagnando terreno velocemente su questi tre poli del triangolo. Negli anni scorsi in Italia, chiaramente, la banca aveva perso terreno nella gestione del risparmio familiare, mentre le compagnie di assicurazione e i fondi comuni di investimento avevano guadagnato. Adesso assistiamo ad una reazione delle banche per cercare di riconquistare quote di questo ampio mercato (Alfonso Desiata). Se ci sono ampie possibilit di cooperazione tra banche ed assicurazioni, molte sono anche le aree in cui vi pu essere un'accesa competizione tra questi due attori finanziari: Per quanto riguarda i rapporti tra banche e imprese assicuratrici, sul piano della collaborazione da qualche tempo si realizzato un nuovo modello di distribuzione per quanto riguarda prodotti vita standardizzati, che si sta estendendo adesso anche ai cosiddetti prodotti danni. Insomma, si cominciano a vendere agli sportelli bancari anche polizze per la casa e per l'auto. Credo che sotto questo aspetto i rapporti tra banche e imprese assicurative si stringeranno di pi, tutto questo favorir anche la messa in vendita di nuovi prodotti. Ci non toglie che ci potr anche essere competizione. Per esempio, per quanto riguarda i fondi pensione tra i soggetti abilitati ci stanno le banche, le Sim, Fondi comuni e le compagnie di assicurazione. Quindi, su questo mercato potr esserci competizione. Le compagnie di assicurazione potranno operare nel settore assicurativo, in quello dei fondi pensione, dando prestazioni a tassi minimi garantiti, quello che non possono fare altri competitors, ma nello stesso tempo possono operare con una Sim di gestione e, quindi, essere concorrenziali con le stesse banche. Tutto questo dovrebbe favorire il consumatore, in questo caso colui che titolare di una pensione a scadenza e che fa parte di un aggregato che si chiama fondo pensione (Luigi Amato Molinari). 333

Ampi sono i margini di evoluzione del mercato assicurativo. Nei prossimi anni, con il ridimensionamento e la ristrutturazione del welfare state, si apriranno nuovi spazi di mercato per le assicurazioni:163
E' evidente che gli assicuratori abbiano interesse a seguire i progressi della riforma dello stato sociale. Mi pare, per, che sinora ci siano state pi parole che sostanza, perch la sostanza, purtroppo, tocca i veri e propri interessi della gente. E' chiaro, comunque, che molteplici sono gli aspetti che riguardano il mestiere degli assicuratori: la previdenza, ovviamente, la sanit ed anche l'assistenza. Proprio con riguardo all'assistenza, il settore assicurativo ha di recente predisposto alcuni prodotti molto raffinati, concepiti appositamente per fornire un supporto alle persone anziane non autosufficienti. Ad esempio, prodotti che raddoppiano la rendita da corrispondere qualora si verifichi il caso di non autosufficienza. Un altro caso quello dell'handicap: abbiamo predisposto polizze adeguate anche per i portatori di handicap. Chiediamo solo che lo Stato esenti dalle imposte le rendite che vengono versate in questi casi, perch non mi sembra una cosa dignitosa che una famiglia che assiste un anziano di 85 anni o un portatore di handicap debba pagare le imposte su un imponibile pari al 60% della rendita. Il problema della sanit, poi, drammatico: ci sono diversi progetti di riforma in atto, ma credo che ci debba muovere con gradualit, al fine di individuare un'area di gestione privata del settore sanitario. Lo Stato dovrebbe fare marcia indietro in alcune aree, non in tutte, ovviamente. Oggi, occorre ripartire dai costi. Gli assicuratori hanno al riguardo progetti adeguati per riconquistare il territorio, con idee molto chiare. Infine, c' il problema della previdenza. In quest'area, finalmente, si ritornati a fare i conti con la realt. Siamo evidentemente a favore dei progetti di riforma che legano le prestazioni pensionistiche ai contributi versati, nonch alla speranza di vita degli assicurati che aumentata notevolmente, specie per le donne,

163. L'ANIA, l'Associazione Nazionale delle Imprese Assicuratrici, ha una sua proposta per riformare il sistema pensionistico basata su cinque imperativi: l'unificazione dei regimi pensionistici; la possibilit di cumulare la pensione di anzianit con i redditi da lavoro (in modo da aumentare il gettito contributi e le imposte versate); l'applicazione generalizzata del sistema contributivo; la riduzione della copertura (oggi al 62% della retribuzione); l'introduzione di nuovi principi per le pensioni di anzianit. Secondo PANIA, oltre ai requisiti dei 35 anni di lavoro, e dei 57 anni di et, occorre correggere l'importo della pensione di anzianit tenendo conto della speranza di vita (un concetto statistico) dell'interessato: pi si giovani quando si va in pensione, pi basso l'importo percepito. 334

rendendo ancor pi necessaria una diminuzione delle prestazioni. Se in passato, infatti, i contributi pagati potevano essere sufficienti per godere di una pensione per una vita residua di 10 anni, oggi, quando a 60 anni si ha una speranza di vita di altri 20 anni, i contributi versati non sono certamente pi sufficienti. Quando Bismark diede avvio allo stato assistenziale in Germania, nella seconda met del secolo, stabil che la pensione si sarebbe ottenuta al raggiungimento dei 65 anni di et. Oggi, fanno sorridere le manifestazioni di protesta di chi afferma di avere il diritto alla pensione a 50 anni solo per aver pagato contributi per 30 anni. Considerando la speranza di vita a 50 anni, i contributi versati sono, infatti, del tutto insufficienti per garantire una rendita pensionistica decorosa per il resto della vita. Spero che si riesca a riequilibrare il sistema anche perch c' da cambiare un tipo di cultura radicata: la gente si era abituata a sistemi fissi, posti di lavoro sicuri che oggi non esistono pi perch il mondo cambiato. Gli imprenditori tendono sempre pi a delocalizzare gli stabilimenti produttivi dove il costo del lavoro pi basso. L'Italia rischia di diventare un paese che ha tutti gli svantaggi di un paese moderno e nessun vero vantaggio (Alfonso Desiata). Il progressivo allungarsi della speranza di vita, il progresso sempre pi rapido della medicina e l'acquisita stabilizzazione finanziaria rendono le polizze Vita sempre pi utili, ma solo nell'ottica del risparmio, a breve e a lungo termine. 164 La tendenza ad arricchire i contratti assicurativi di contenuti finanziari , quindi, in atto da tempo; quella di affiancare alle polizze i fondi di investimento e le attivit di gestione patrimoniale una realt anche per i grandi gruppi assicurativi italiani. Di fatto le compagnie di assicurazioni stanno cambiando pelle, diventando degli animali sempre pi ibridi: un po' assicurazioni, un po' banche e un po' assset managers. Molti gruppi assicurativi sentono la necessit di ampliare l'attivit verso il risparmio gestito e verso i servizi bancari, magari telefonici come hanno fatto Mediolanum, Ras e Generali. 1 6 5 Si
164. Anno dopo anno, nel settore assicurativo, il ramo vita rosicchia quote di mercato a spese dei rami danni. Il ramo vita, infatti, passato da una quota di mercato del 25,4% nel 1990, al 30,14% nel 1993, per toccare il 36,7% nel 1995 e, quindi, superare il 38% nel 1996. Nel 1995, questo segmento assicurativo, un tempo marginale, ha superato in termini assoluti l'incasso del comparto auto, ossia del settore che sempre stato il numero uno dell'industria delle polizze. 165. L'apertura delle nuove banche, figlie del sistema assicurativo, destinato a scardinare il metodo classico di fare banca e di fare banca fisica e banca dai tempi fissi. Probabilmente si caratterizzeranno come banche clienti o banche famiglie, con particolare riguardo alle professioni di lavoro autonomo e al piccolo imprenditore. Il personale sar formato via cavo e verificato sui risultati. Non ci sar personale di filiale dipendente. Saranno gli odierni promotori finanziari a incorporare le funzio-

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p o t r e b b e arrivare alla n a s c i t a di g r u p p i bancassicurativi con u n ' u n i c a veste istituzionale, c o m p l e t i delle loro attivit finanziarie, in grado di " c a t t u r a r e " il cliente e fornirgli tutti i servizi in t e m a di r i s p a r m i o . Il diffondersi della b a n c a s s i c u r a z i o n e h a fatto sorgere qualche d u b b i o rig u a r d o a l l ' o p p o r t u n i t di tener separate istituzionalmente la funzione della b a n c a e quella d e l l ' a s s i c u r a z i o n e Vita: In alcuni ambienti accademici tedeschi si ritiene certamente plausibile un unico istituto che integri in s le due funzioni. Io, invece, sono contrario perch, ad esempio, la gestione degli assets nelle imprese assicurative molto prudente, mentre nelle banche l'attivit di gestione degli attivi si affianca a quella tradizionale di prestito che presenta rischi specifici che possono ripercuotersi sul complesso dell'attivit. Si tratta di culture profondamente diverse, per cui non condivido le opinioni tedesche. D'altra parte, mi si risponde che si pu cambiare la cornice di sicurezza che ha la banca, si pu trasferire alla banca il sistema di garanzie tipico del settore assicurativo, ossia la tecnica che garantisce all'assicurato che al compagnia non fallisca, che si chiama margine minimo di solvibilit. E' un sistema che venuto dalla Finlandia, dalla Polonia, passato per la Germania ed arrivato a Trieste, ove l'ha elaborato il grande professore De Finetti. Tale tecnica poi diventata legge europea. E' tale sistema che si sta cercando di trasferire oggi alle banche. Sottolineo, per, che c' ancora oggi una netta mentalit separatistica sotto questo profilo: rivolgersi ad una compagnia di assicurazione cosa diversa che entrare in banca (Alfonso Desiata).

ni di intermediazione tra banca e reti distributiva dei servizi. Sembra essere quella che pi si avvicina ad una logica di banca in cui vengono a perdersi le possibilit di remunerazione, date dal semplice differenziale dei tassi di interesse o dalla intermediazione monetaria sulla valuta, ma che ragioneranno sui nuovi prodotti finanziari. La bancassicurazione si presenta come il sistema di sicurezza per il futuro e dovr rispondere con capacit di navigazione, nella ridda pi che consistente di offerte: / nuovi prodotti, utilizzando la tecnologia dei prodotti assicurativi che hanno alcune caratteristiche di salvaguardia per il cliente - dare cio un rendimento minimo garantito o salvaguardare il capitale investito - propongono anche alla popolazione finanziariamente meno evoluta la possibilit di accedere con maggiore sicurezza, ad esempio, al mondo della Borsa italiana ed internazionale; questi sono senzialtro nuovi prodotti nel mondo finanziario. Direi che poi moltissimo si gioca sui nuovi modi di comunicazione. Tutte le ricerche concordano sul desiderio del cliente di sapere di pi del mondo finanziario. Diciamo che va fatta cultura sia in ambito finanziario che assicurativo. Ritengo che il cliente si sa stancato di essere consideralo in ambito finanziario-assicurativo "quello che paga perch tanto c' qualcuno che gli ha detto: fidati che ci penso io" ; lui vuole fidarsi perch il rapporto di fiducia essenziale per poter scegliere, per vuole anche capire che ha ragione a fidarsi (Oreste Porreca).

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In effetti, le imprese di assicurazione per ora si muovono con prudenza nei confronti delle banche. Assumono presenze relativamente modeste nel capitale delle banche. A loro interessa un aspetto che nell'economia bancaria marginale, quella del collocamento delle polizze assicurative. Le compagnie siglano degli accordi con le banche per vendere polizze, non per svolgere attivit bancaria. Comunque, la sensazione che anche la banca in fondo non desideri trasformarsi in assicuratore. Usa l'assicurazione come uno strumento, come un prodotto o una gamma di prodotti per fidelizzare la propria clientela e per darle un servizio completo. Non si vede ancora nessuno che sotto la veste di banchiere voglia fare l'assicuratore, perch, come sostiene Desiata, " un mestiere che le banche non conoscono" . 166 La valutazione della sicurezza nell'affidamento dei clienti aziende, il risk management, il project financing e, soprattutto, il processo fideiussorio ("che noi assicuratori consideriamo sbagliato", sottolinea Desiata) sono alcuni degli ambiti in cui le banche potrebbero adottare con profitto le tecniche assicurative. Un po' come successo per il margine di solvibilit, un concetto (e un obbligo di legge) nato nella cultura assicurativa e poi lentamente adottato sotto altre forme e altri nomi, anche dal mondo bancario.

166. Anche riguardo agli accordi di distribuzione commerciale e alle joint-ventures di bancassicurazione il discorso aperto. Finora ci sono state esperienze positive ed - altre negative. Si dice che il mondo della banca e quello assicurativo siano culturalmente diversi: Questa della bancassicurazione una storia infinita. Ci sono opinioni molto varie su questo punto. Ci sono esperienze andate bene, altre andate malissimo. Si dice che la cultura dei due mondi molto diversa, che la banca non vende volentieri prodotti assicurativi che non conosce e che non garantisce direttamente, perch teme di avere un danno reputazionale. Perch se il cliente che compra la polizza al San Paolo poi aspetta sei mesi il rimborso per un incidente d'auto, se la prende anche con il San Paolo (Marco Camoletto). Anche il banchiere Renzo Canal conferma che diversi ostacoli debbono ancora essere superati prima di poter arrivare ad una eventuale integrazione fra questi due mondi: // rapporto banca - assicurazione avr sicuramente un futuro. CU avvii sono stati incerti, ma la banca come canale di distribuzione dei prodotti assicurativi ha gi ottenuto importanti risultati. Attualmente si distribuisce solamente il ramo vita, non solo perch pi facile, ma perch c' ancora, non pienamente risolto, un aspetlo di dannosit e rischio nel ramo danni per la banca. Quando una banca si

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Se il settore bancario italiano atteso da una fase di profonda ristrutturazione e forte consolidamento (ci sono oltre 900 banche), il settore assicurativo questo processo di ristrutturazione e consolidamento lo ha gi ampiamente conosciuto. In Italia ci sono circa 260 compagnie assicuratrici, ma le prime 7-8 hanno 1'80-90% del mercato, mentre le altre hanno posizioni di nicchia. Il vero punto debole delle compagnie italiane rimane la loro proiezione e, quindi, diversificazione internazionale, limitatissima e non sempre di qualit: persino le Generali, operative in oltre 40 Paesi, hanno ottenuto nel '96 il 70% dei ricavi all'estero, ma il 70% degli utili in Italia.167 Qualcuno, come Mediolanum, non ha per il momento intenzione di allargarsi oltrefrontiera, mentre l'Ina si disimpegnata all'estero.

trova davanti ad un cliente a cui ha assicurato i danni e succede il danno e l'assicurazione non paga, la banca perde anche il cliente. Questo ci che gli assicuratori devono capire. Molte banche hanno fatto esperienze negative in questo senso. Hanno assicurato attraverso i loro brokers, intere categorie artigiane o commerciali. Ma, cosa poi successo? Quando qualcuno degli assicurati ha avuto un danno, l'assicurazione si messa a contestare e a sollevare obiezioni. Il risultato stato che la banca ha perso il cliente. Ci non toglie che infuturo la vendita di polizze attraverso il canale bancario assumer una importanza a dir poco decisiva. Le assicurazioni probabilmente diventeranno semplicemente produttrici di polizze che verranno immesse sul mercato soprattutto attraverso il canale bancario. Proprio in virt di tale evoluzione necessario che le compagnie assicurative accettino di comportarsi diversamente per quel che concerne la liquidazione dei sinistri ed i sistemi di risarcimento danni. In altre parole, debbono stabilire ed applicare criteri di liquidazione pi trasparenti e meno cavillosi di quelli attuali. I clienti delle assicurazioni hanno presentato nel 1995 quasi 16.000 reclami all'Isvap, l'organismo di vigilanza sul sistema assicurativo, che recentemente ha richiamato le compagnie a porre maggiore attenzione al cliente, in un quadro di trasparenza ed efficienza. Desiata ritiene che questa sia un'esigenza sentita dalle compagnie e spiega i motivi che portano ad eventuali ritardi nei pagamenti dei danni: Certamente una maggiore attenzione al servizio assicurativo, al cliente, il punto principale della nostra politica che anno dopo anno deve progredire. Ma, vorrei aggiungere che quando si dice o si denuncia che le compagnie pagano in ritardo, la responsabilit non nostra. Le assicurazioni non posticipano i pagamenti per problemi finanziari, ma per questioni ben pi serie. CU eventuali ritardi, infatti, sono determinati dalla necessit di verificare che non ci siano comportamenti perniciosi. Cio vogliamo liquidare i danni veri, non possiamo subire o tollerare comportamenti che definiamo impropri, per non dire qualche cosa di peggio. 167. Non ha caso nella seconda met del 1997 Generali ha cercato di acquisire il controllo di una grande compagnia francese, la AGF, ma dopo un braccio di ferro con l'Allianz ha dovuto cedere il passo alla compagnia tedesca. In cambio, per,

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In Italia, il settore assicurativo annovera 46.000 dipendenti, tra personale amministrativo e produttori. In pi ci sono 24.000 agenti e ogni agente ha in media due sub-agenti. In totale, dunque, il settore assicurativo pu contare su oltre 100.000 operatori.
Oggi, in Italia la novit che il settore assicurativo, nato come settore monocanale dal punto di vista distributivo, ha conosciuto un progressivo ampliamento dei canali: siamo stati gli unici che dagli agenti ci siamo ampliati ai broker prima e alle banche poi, mentre si stanno sviluppando in modo abbastanza consistente anche i promotori finanziari. Se consideriamo i prodotti assicurativi e i relativi canali distributivi, possibile costruire idealmente una matrice che classifichi i prodotti secondo la loro complessit e li ponga in relazione ai canali. La vendita di polizze semplici, ad esempio un polizza furto della bicicletta, pu prescindere dall'esistenza di professionalit assicurativa. Per i prodotti banali, il servizio al momento della vendita modesto, per cui ad essi possono essere associati canali distributivi relativamente semplici. Se ci si sposta sulla matrice, ad una crescente complessit del prodotto corrisponder un maggiore bisogno di consulenza per la clientela e, conseguentemente, un maggiore costo di distribuzione: dalle famiglie alle piccole e medie imprese, fino ad arrivare alla Nasa che deve assicurare il lancio dei propri razzi nello spazio. In quest'ultimo caso non ci si pu certamente rivolgere all'agente, ma necessario rivolgersi agli uffici di una grande compagnia di assicurazione che ha disposizione ingegneri competenti ed atti a definire la copertura pi idonea. Egualmente, nei confronti, ad esempio, dei piccoli imprenditori non ci si pu limitare, come sovente accade, ad offrire coperture generiche, magari senza franchigia per favorire il cliente, quando sarebbe invece opportuno predisporre garanzie specifiche atte a coprire il cliente contro i danni veramente rilevanti in grado di pregiudicare l'andamento della sua impresa. Allora, pi il prodotto complesso, maggiore la professionalit richiesta per il collocamento. Mi sembra corretto, quindi, che i costi di distribuzione varino in funzione del grado di professionalit necessaria. I costi totali di distribuzione del settore assicurativo sono dunque una sommatoria delle commissioni relative a prodotti semplici, collocati con organizzazione semplice, e prodotti complessi, distribuiti con un'organizzazione complessa (Alfonso Desiata).

Generali ha ottenuto dalla AGF una compagnia tedesca, la AMB, e alcune compagnie francesi di piccole dimensioni (Gpa Vita, Gpa Iard e Proxima che facevano parte del gruppo Athena). Questa soluzione ha consentito alla Generali di entrare in forze soprattutto sul mercato tedesco, che il pi importante mercato assicurativo europeo, diventando il quarto gruppo assicurativo europeo dopo Axa-Uap, Allianz-AGF e Zurich-BAT. Nel 1998 con la tedesca AMB e con le compagnie francesi di Athena, Generali avr 60 mila miliardi di premi (+40% rispetto al 1997), con mille miliardi di utili e 168 mila azionisti (cfr. Alberto Nosari, // Leone di Trieste alle grandi manovre, Il Sole 24 Ore, 21 febbraio 1998, pag. 31.)

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Da tempo la raccolta premi delle grandi compagnie, basata sulle tradizionali reti di agenti, piuttosto statica, salvo l'eccezione Alleanza. Al primo posto c' l'Ina, la prima compagnia italiana, che ha soprattutto due problemi: da svariati anni perde quote di mercato e ha una bassa redditivit aziendale soprattutto per l'eccessivo peso degli immobili sul patrimonio. L'intervento del management si concentrato finora, con successo, nella crescita della redditivit aziendale, lasciando in secondo piano il recupero di quote di mercato e nel 1996 l'Ina ha rischiato di perdere, per una manciata di miliardi, il primato che deteneva fin dalla sua nascita nei primi anni del secolo. L'acquisto dalla BNL della BNL Vita - l'ottava compagnia con 580 miliardi di raccolta nel 1996 - e l'acquisizione del controllo del Banco di Napoli rappresenta senz'altro il colpo capace di dare una sterzata. In questo modo, l'Ina fa il suo ingresso in forze nel segmento pi dinamico della raccolta premi, quello della bancassicurazione, ma da una posizione di forza in termini di assetto proprietario rispetto al partner bancario:168

168. L'Ina stata una delle prime compagnie di assicurazione italiane a tentare di allacciare alleanze con il sistema bancario. Uno dei primi accordi fu fatto tra la fine degli anni '80 e gli inizi degli anni '90 con la BNL, ma fall per motivi extra-aziendali. In seguito, venne siglato un accordo con al Banca di Roma, ma anche questo andato a monte rapidamente per le lentezze delle procedure burocratiche e anche per le incompatibilit concorrenziali sorte a seguito del processo di privatizzazione dell'Ina a cui parteciparono attivamente anche alcune grandi banche. La combinazione "in progress" BNL-Banco di Napoli-Ina rappresenta in Italia in primo caso di bancassicurazione in senso proprio - l'integrazione in unico gruppo di banche e assicurazioni - che in Europa sempre meno un esperimento e sempre pi una realt (ad esempio, Ing, Crdit Suisse e Winterthur, Se-Banken e Trygg Hansa). Il San Paolo di Torino ha rifiutato - in sede di privatizzazione - un'ambiziosa offerta di collegamento "globale" col gruppo Allianz. In seguito, quest'ultimo ha messo nero su bianco le sua intenzioni sul gruppo Credit-Rolo, ma stato per ora "stoppato" dalla Banca d'Italia. Gli altri casi sono per ora poco pi che accordi di distribuzione che possono incarnarsi in fortunate joint-ventures.

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Pur essendo stati tra i primi a lanciare l'idea della bancassicurazione, siamo gli ultimi a realizzarla. I precedenti accordi con BNL e Banca di Roma non hanno funzionato per una debolezza della struttura societaria. Adesso sta partendo il discorso Banco di Napoli-BNL, quindi siamo ancora agli inizi, per questa un po' la nostra risposta. Entriamo nella banca non pi con un accordo commerciale, ma da proprietari. Cio ci compriamo BNL Vita da BNL e acquisiamo il controllo del Banco di Napoli. Questo ci consente di sviluppare la bancassurance, avendo la banca come rete, ma essendo proprietari, avendo noi il controllo dell'operazione. Quindi, riteniamo di avere un po' colmato il gap vis--vis i competitors e, forse, anche di averli sopravanzati, perch loro hanno degli assetti distributivi che nel tempo credo dovranno essere rivisti, perch quelli commerciali non sono, per natura, duraturi e quelli dljoint venture, a loro volta, non sono, per natura, stabili. Questa un po' la nostra risposta. Questo vuol dire che crediamo che nel settore Vita, nel quale il canale bancario oggi sta giocando un ruolo determinante. E' il canale che cresce al pi alto tasso e pu mantenere questa velocit ancora per un po', poi si stabilizzer, ma comunque rimarr un canale forte (Lino Benassi)

Le polizze vendute in banca hanno sconvolto il mercato da vari punti di vista. Ormai chiaro che la rete tradizionale di agenti non in grado di reggere l'urto delle banche: queste ultime vendono polizze a basse commissioni (5% e addirittura 1,5% per le nuove index-linked), mentre loro sono abituati a "caricamenti" ben superiori per mantenere la loro costosa struttura. Gli agenti non riescono a competere con le banche che sono diventate il centro di smistamento del risparmio, anche di quello assicurativo. La novit che gli istituti di credito non intercettano pi solo il flusso di risparmio aggiuntivo annuale, ma anche il patrimonio gi consolidato, magari investito in Bot e titoli di Stato. Non pi dunque gli striminziti due milioni-due milioni e mezzo delle classiche polizze, ma 10, 20 e anche 40-50 milioni. Dovunque d'obbligo per tutti, se non vogliono perdere posizioni, ripensare alla strategia e ritarare la rete commerciale. Una cosa non facile per le grandi compagnie assicuratrici, anche se il settore assicurativo ha aperto in questi ultimi anni nuovi canali di distribuzione: le banche, naturalmente, ma anche il telefono e, in via sperimentale e limitata, Internet. Le compagnie si sono trovate talmente a proprio agio in queste tecnologie telematiche da diventare protagoniste, proprio in Italia, nel settore delle banche telefoniche, il pi lontano dalla loro attivit tradizionale. Le stesse tecnologie sono state applicate ai servizi resi alla 341

clientela: perizie e liquidazioni dei sinistri. E, soprattutto, la gamma dei prodotti stata ampliata enormemente: dalle polizze danni e Vita si passati al risparmio gestito (fondi di investimento, soprattutto) fino ai servizi bancari. Secondo Lino Benassi, in futuro non esister pi un prodotto universale che vada bene, cio, per tutti i consumatori, ma ci saranno pi prodotti con le loro reti di vendita suddivisi rispetto alle specifiche esigenze dei vari segmenti di clientela: la rete tradizionale che si rivolge alla clientela che non ha un conto in banca; la rete bancaria che sar utilizzata da coloro che hanno un conto in banca, ma che non necessitano di servizi altamente specializzati; la rete dei promotori che indirizzata a coloro che richiedono prodotti personalizzati; la rete di distribuzione telematica, anche se questa non potr soppiantare l'attuale modo di lavorare prima dei prossimi 10 anni: Oggi, noi abbiamo il canale tradizionale delle agenzie e degli agenti generali che tuttora il canale pi forte in termini di quote di mercato, ma anche quello che cresce meno perch il pi grande e il pi vecchio, con strutture di costo pi elevate. Va, evidentemente, ammodernato. Poi, c' il canale bancario. Inoltre, c' quello relativamente pi moderno dei promotori finanziari, che abbiamo sviluppato negli ultimi anni. Il Banco di Napoli e la BNL hanno le loro reti di promotori, ma anche noi abbiamo la nostra che prevalentemente concentrata sul Nord e, quindi, nel prossimo futuro ci sar la possibilit di razionalizzare al meglio i tre canali che potremmo definire comunque tradizionali, le forze di terra che occupano gli spazi dove ritengo ci sia relativamente poca sovrapposizione, perch i clienti bancari, alla fine, sono abbastanza pochi, i clienti della Compagnia sono molti, ma non necessariamente sono quelli bancari e non necessariamente sono quelli di quella banca con la quale hai un accordo privilegiato. Quindi, il tasso di penetrazione reciproca molto basso. E cos con quello dei promotori. Il presidio del territorio continuer ad essere per i prossimi anni base preponderante. Infine, naturalmente, bisogna fare attenzione ai nuovi canali virtuali, telematici, che oggi, sostanzialmente, non esistono, e che, sicuramente, nel tempo acquisiranno sempre pi un grande importanza. Per, abbiamo davanti parecchi anni. Cio, il direct selling, Yhome banking, con la telematica, Internet e via discorrendo, non sono da sottovalutare, ma non possono essere risposte per i prossimi 10 anni. Quelli sono strumenti che verranno utilizzati dalle nuove generazioni, non certo dalle vecchie generazioni e occorre considerare che oggi la formazione del risparmio viene dalle persone anziane, non certo dai giovani. Quindi, quei canali l per svilupparsi e soppiantare i canali attuali, ci impiegheranno una generazione piena, non certo 5 anni.

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Credo che il futuro ci porti ad una soluzione a matrice in cui hai i prodotti e le reti, o viceversa, le reti e i prodotti. Per ogni tipo di cliente ci sar il giusto prodotto da vendere con la giusta rete. Non esiste aprioristicamente un prodotto che va bene per tutte le reti o una rete che va bene per tutti i prodotti. Quindi, si debbono avere tutti i prodotti e tutte le reti. Poi, per ogni prodotto si identificher la rete giusta. Evidentemente, un determinato prodotto lo venderanno anche altre reti, ma un po' il discorso della seconda marca, della terza marca all'interno di un prodotto guida. Qui, stiamo parlando sostanzialmente di retali e di prodotti finanziari di consumo, invece che della casa o dei danni, ma anche per questi non credo che ci sar un diverso approccio in futuro. Quindi, le reti le devo avere, la sovrapposizione la debbo subire, ma alla fine la mia azione di marketing deve avere quella forza per capire a monte quale prodotto va con quale rete, o quale rete va con quale prodotto. Solo in quel modo servo il cliente con il prodotto giusto al prezzo giusto. Perch altrimenti gli do il prodotto giusto ad un costo sproporzionato o ad un prezzo sbagliato. Questa un po' la linea che ci deve condurre e che si sta mettendo in moto. Allora, la rete tradizionale, si occupa della clientela non bancarizzata, molto piccola, sostanzialmente di chi non ha conto in banca. La rete bancaria serve chi ha conto in banca, ma si accontenta di un prodotto di massa. La rete di promotori serve sicuramente chi ha conto in banca, ma che richiede un servizio personalizzato. Quindi, gi questa divisione, oggi, fa s che si possano servire in modo differenziato tre fasce di reddito diverse. Mano a mano che entriamo con prodotti diversificati, poi, evidentemente, i prodotti X chiedono alti caricamenti e quindi non possono essere venduti dalla rete dei promotori. I prodotti Y richiedono bassi caricamenti e non possono essere venduti dalla rete degli agenti. Poi tutte le reti devono diventare molto pi efficienti in termini di carico, costi fissi, etc. Oggi, non lo sono, perch non avevano concorrenza e vendevano prodotti diversi. L'agente vendeva una polizza a 20 anni. Quindi un caricamento del 15% distribuito su 20 anni era oneroso, ma pi o meno sostenibile. Vende una polizza da 500.000 lire o vende una polizza da 5 milioni, il costo uguale. Il caricamento incide in maniera sproporzionata. Diventa teoricamente usura. Ma, fare un trasferimento bancario da 5.000.000 lire a Londra o fare un trasferimento bancario da 50.000 lire a Londra costa uguale. 3.000 lire di spese di qua uccidono il trasferimento, 3.000 lire di spese di l non esistono. Questo un po' l'assetto verso cui tendere. Il vantaggio della vecchia rete che vende un prodotto ad alto valore aggiunto. Vende la vera polizza Vita o Danni. Un conto vendere una polizza Danni complessa per l'industria, per la municipalit, un conto vendere la polizza Auto all'impiegato. Quest'ultima, infatti, la si pu vendere anche attraverso la rete bancaria o telefonicamente. Una polizza Vita complessa non la si pu vendere al telefono. Figli, amanti, morti, non che uno entra al botteghino e d le 500.000 lire. Dal mio punto di vista, la rete tradizionale deve solo migliorare la struttura dei costi, l'efficienza distributiva, dotarsi di una organizzazione sul territorio di competenza molto pi capillare, con struttura di costi flessibile. Ma, la rete principe, cio non una rete che verr soppiantata nei prossimi anni. Soffrir, nel senso che crescer di meno, verr staccata da tutti, ma il business cali non glielo pu portare via nessuno. Non certo una rete bancaria.

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Anche Generali, che pur hanno manifestato nel corso degli ultimi anni una dinamicit maggiore dell'Ina, non hanno ancora individuato una strategia, in attesa forse di un completo riassetto della galassia assicurativo-bancaria di Mediobanca. Le intese con Comit, prima con la societ di gestione di Fondi Genercomit e poi con la compagnia Assiba, non hanno dato i frutti sperati. Generali ha cos potuto sfruttare finora relativamente poco rispetto alla sua mole, il canale bancario, ma un riassetto che preveda, ad esempio, come si ipotizza, il controllo della Comit da parte delle Generali cambierebbe le cose. Il perch presto detto. Le intese fra banche e compagnie funzionano bene quando una delle due ha il controllo dell'altra, meno bene quando il rapporto paritetico. La banca, infatti, in una posizione di forza: vende soltanto quel che vuole vendere, e la gamma di prodotti va dai Fondi comuni alle gestioni patrimoniali e alle polizze vita. Per questo non ha mai funzionato il rapporto Ina-Banca di Roma e solo ora che l'Ina controlla il Banco di Napoli pu sperare di spingere la vendita delle polizze. Per questo, invece, vanno benissimo le compagnie create e controllate dalle stesse banche. Nel frattempo, Generali ha acquisito Prime e poi, cos come hanno gi fatto Ras e Mediolanum, ha dato vita ad una sua banca, la Banca Generali, nata il 14 gennaio 1998 con un capitale di 50 miliardi, ma che passer in breve tempo a 80 miliardi, a cui partecipa con un 10% la Cassa di Risparmio di Trieste. Presidente stato nominato Francesco Taranto ed un segnale della stretta relazione che ci sar tra la Prime, di cui Taranto amministratore delegato, e la banca. Con un investimento di alcuni miliardi stato predisposto il cali center e Banca Generali render progressivamente disponibili, a partire dalla primavera, i propri servizi a dipendenti, agenti e promotori finanziari del gruppo, mentre i servizi alla clientela privata saranno offerti a partire dalla seconda parte dell'anno. Per la nuova banca previsto il traguardo di almeno 100 mila clienti nei primi tre anni, con un obiettivo di break-even al terzo anno. La banca avr come primo bacino di penetrazione sul mercato i clienti del gruppo: quelli Prime, che sono 80-90 mila, quelli Generali, che sono alcuni milioni e gli oltre 100 mila clienti Genertel, la compagnia telefonica del gruppo triestino. Con la banca, le Generali vogliono dare integrazione alla loro linea di servizi per consentire alla
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clientela di dare un recapito sicuro a quella parte del risparmio che dedica agli investimenti. Inoltre, Generali ha puntato sulla sua controllata Alleanza che, con un'organizzazione del tutto particolare, ha saputo in questi anni crescere a ritmi notevoli, andando ad insidiare il primato dell'Ina. La singolarit di questa rete sta nell'avere un gruppo di 3.000 venditori professionisti che, al contrario di quelli delle altre compagnie, sono dei dipendenti.169 Questi guidano e controllano una rete minuta di 15 mila venditori porta a porta che , pur con un turn over altissimo risulta vincente: il suo segreto sta nel visitare ogni mese i propri clienti per agevolare i pagamenti che diventano cos l'occasione per proporre nuovi prodotti. Alleanza ha negli ultimi 7-8 anni mantenuto la quota di mercato del 12%, mentre l'Ina passava dal 27 al 12%. 170 Il Gruppo Sai costituito da una pluralit di compagnie di assicurazione Danni e Vita che hanno preso origine dalla casa madre, la Sai, che nel 1996 ha celebrato i 75 anni di attivit. Negli ultimi anni ha definito una serie di importanti accordi di bancassicurazione. Tre sono le grandi alleanze con: il Monte dei Paschi di Siena, che si concretizza in tre compagnie di assicurazione (Montepaschi Vita, Ticino e Ticino Vita); la Banca Popolare di Novara, attraverso una partecipazione paritetica nella Novara Vita ed una del 10% della BPN nella Nuova Maa Assicurazioni; la Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza, di cui la Sai azionista, e con la Cassa di Reggio Emilia, con un controllo comune sulla compagnia Po Vita.

169. A parte l'Alleanza, infatti, le compagnie di assicurazione vendono i loro prodotti/servizi non attraverso una rete diretta, ma una rete in appalto che si sostiene attraverso il sistema dei "caricamenti" sulle polizze. Si tratta di un sistema che viene considerato pi flessibile e meno costoso di quello degli sportelli bancari. 170. Certamente non irrilevante per spiegare il successo di Alleanza la sua presenza nel patto di sindacato del Banco Ambroveneto che ha portato ad una redditizia esclusiva distributiva con la rete del Banco. L'Alleanza oggi il quarto perno del patto di sindacato di Intesa, la holding che controlla AmbroCariplo, ed ha raggiunto anche un accordo per l'acquisto del 50% di Carivita, cio al raddoppio su Cariplo-Carime della esclusiva distributiva gi operante col Banco.

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Una delle caratteristiche dello sviluppo della Sai consiste nell'aver coltivato innumerevoli rapporti commerciali con banche locali per comuni iniziative di marketing utilizzate sia dagli agenti della compagnia che dagli sportelli delle stesse banche. Il Gruppo si poi sviluppato con l'acquisizione di Nuova Maa, avvenuta nell'ottobre 1995, una compagnia che ha storicamente una posizione importante nel mercato Auto, specialmente nel Nord. Ha, inoltre dato origine ad una serie di nuove compagnie Vita e danni, come Innovazione Vita, Vita S e Pronto Assistance per il ramo assistenza. I premi consolidati nel 1992 erano poco pi di 2.000 miliardi, mentre il 1997 stato chiuso con oltre 4.700 miliardi. Per Luciano Roasio, la strategia di crescita della Sai strettamente legata al rafforzamento della rete di vendita sul territorio e si sta anche valutando l'ipotesi di introdurre all'interno delle agenzie uno sportello bancario "leggero": La nostra strategia si basata sul rafforzamento della nostra rete di vendita rendendola capillare. Abbiamo, infatti, oltre 940 agenzie in appalto e circa 1.400 subagenzie. In questi anni, poi abbiamo potenziato la nostra organizzazione di vendita dando vita alle "agenzie polifunzionali" con le quali i nostri agenti possono offrire anche prodotti di tipo finanziario, spesso con la consulenza di un promotore finanziario. Si tratta di fondi di investimento, leasing, mutui, polizze vita ad alto rendimento analoghe a quelle vendute in banca. Abbiamo anche creato una societ di gestione di nostri fondi di investimento, come la sai Investimenti. Un'idea che prima o poi finiremo per realizzare sar l'inserimento nelle agenzie di uno sportello leggero di tipo bancario ove il cliente possa svolgere le operazioni bancarie pi semplici come la raccolta ed i conti correnti. Per i prodotti bancari importanti evidente che ci si affider sempre alla filiale delle banche nostre alleate. Il recepimento delle direttive europee ha cambiato e sta cambiando molti modi di lavorare nel settore assicurativo. La liberalizzazione ha creato una corsa allo sportello bancario che ha fatto proliferare la presenza della banca sul territorio. Questo ci ha agevolati nel momento delle alleanze perch anche noi avevamo fatto una politica di presenza capillare sul territorio. E' chiaro, per, che nel momento in cui la banca si mette a vendere assicurazioni diventa un pericoloso concorrente. Da un lato, quindi, la liberalizzazione per noi stata una opportunit che abbiamo concretizzato con le alleanze bancarie, da un altro lato, ci ha stimolati a rafforzare le nostre agenzie affinch avessero pi strumenti per competere sul territorio anche con le banche. La liberalizzazione, comunque, sta costando tantissimo alle banche. Ha creato una corsa allo sportello bancario che ha fatto proliferare la presenza della banca sul territorio. Ma, mentre noi abbiamo agenzie in appalto e, quindi, paghiamo il prodotto venduto su base provvigionale, le banche hanno delle strutture dirette con costi fissi. Bisogna poi tenere conto che il numero di clienti dello sportello bancario molto pi basso rispetto a quello delle agenzie di assicurazione, anche se, il numero dei contatti-clienti che ha lo sportello bancario infinitamente pi elevato dei contatti di un'agenzia (Luciano Roasio).

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Infine, un caso interessante per comprendere le nuove strategie competitive delle compagnie di assicurazioni senz'altro quello della Fondiaria sotto la gestione di Roberto Gavazzi.171 Gli elementi fondamentali su cui dovr avvenire il turnaround della Fondiaria sono: un rinnovato accordo internazionale con Morgan Stanley (che non preclude altre possibilit), la creazione di una banca telematica e di una rete di promotori e la stipulazione di accordi di distribuzione con aziende di credito regionali. Inoltre, il programma strategico di Gavazzi (e della McKinsey) per Fondiaria comprende tagli e riduzioni di costi, ma ha alla base una collaudata strategia di sviluppo: l'espansione verso il risparmio gestito. L'obiettivo quello di correggere i punti di debolezza del gruppo: uno squilibrio dell'attivit verso i Danni a scapito del Vita e l'assenza di bancassicurazione; un rapporto con gli agenti "generoso anche dal punto di vista politico", perch si spingeva quasi fino a "una inaccettabile cogestione operativa"; e un sistema informatico "complesso, pesante e inefficiente". Questi fattori negativi, secondo Gavazzi erano solo parzialmente bilanciati dai punti di forza: dimensioni adeguate, una rete di 2 mila agenzie, un know-how riconosciuto nei Danni e marchi affermati. Il futuro sar frutto immediato di questa analisi: uno sviluppo pi selettivo nei Danni nel quale sar predominante il ruolo degli agenti; e, soprattutto, un rilancio del Vita (con uno sviluppo del 10-15% annuo), affiancato dall'attivit dtWasset management. Fondiaria ha lanciato nuovi prodotti, ha da poco acquisito una societ inattiva, ma autorizzata ad operare nei fondi di investimento (la Schroder Fondi), costituir una banca telefonica per completare la gamma (ad imitazione della Rasbank), creer o acquister una rete di promotori, stringendo diverse intese di distribuzioni con banche regionali e dar vita ad una partnership con un'asset manager internazionale. L'obiettivo di raggiungere in due anni 2 mila miliardi di premi Vita e, contando sulle sole forze del gruppo, 6 mila miliardi di patrimoni gestito. Sar per importante, a questo scopo, affiancare ad una met almeno delle 2 mila agenzie un promotore finanziario: e in questo modo Gavazzi spera di ricollocare, su base volontaria, una parte dei 920 dipendenti in esubero. Altri, se

171. Cfr. R. So., Fondiaria punta sulle gestioni ed esclude aumenti di capitale, Il Sole 24 Ore, 12 novembre 1997, pag. 35; Alberto Nosari, Fondiaria: un '97 in profondo rosso prima della schiarila, Il Sole 24 Ore, 10 gennaio 1998, pag. 33.

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vorranno, potranno invece "ripensarsi" come periti o agenti, magari con un flusso di attivit in qualche modo garantito dall'azienda. Il rapporto con gli agenti, diventato negli ultimi tempi molto conflittuale, sar modificato con la graduale introduzione di un nuovo mandato: l'obiettivo quello di ridurre l'incidenza delle provvigioni sui premi di circa tre punti in 3-5 anni, premiare i produttori che producono contratti "in utile" e penalizzare quelli con un andamento tecnico negativo. Per ripulire il portafoglio, Gavazzi ha disdettato 250 mila contratti. Esuberi, pulizia del portafoglio, fusione tra Milano e Previdente e ripensamento della gestione puntano ad un unico obiettivo, gi annunciato: un Roe del 10% in tre anni.

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I NUOVI MERCATI E I NUOVI PRODOTTI Riguarda in particolar modo la necessit di trovare mercati a maggiore remunerativit, e quindi a maggior rischio per mantenere un "buon prodotto per la clientela". Il problema dei nuovi prodotti finanziari deve comunque sposarsi con un alto livello di rassicurazione per il risparmiatore, che diluisca la paura dei crolli. Il che non preserva dalla vacuit della bolla dei movimenti finanziari mondiali, ma questo un altro grande problema che non riguarda il rapporto tra banche-imprese e banche territorio: Nella cultura italiana non c' il concetto di diversificazione degli assets. Una famiglia che avesse Bot a 3 mesi, un Cct a 5 anni e un Btp a 10 anni, si considerava sufficientemente diversificata. Noi stiamo cercando, invece, di costruire per il nostro risparmiatore una logica diversa, una logica da investitore, perch oggi per ottenere dei ritorni superiori bisogna partecipare a rischi superiori, bisogna investire in aziende e bisogna diversificare in diverse aziende, in diversi mercati, in diversi Paesi. Finalmente si crea la possibilit di fornire dei servizi. Il valore aggiunto di un servizio come un fondo comune di investimento sta probabilmente nella difficolt o nell'impossibilit per un risparmiatore di poterlo riprodurre in prima persona. Se la famiglia incomincia a credere di dover destinare il 25-30% dei propri assets in attivit, invece che in acquisto di debiti, in acquisto di azioni, e, se decide di farlo ha bisogno di un contenitore come quello dei fondi, e dell'assistenza di un team di gestione. Questo lo sviluppo che noi vediamo, uno sviluppo in cui la famiglia avr una diversificazione sempre maggiore verso gli assets internazionali, verso le azioni. E' un passaggio molto difficile perch c' da impostare una fase di formazione e crescita dall'ente collocatore al sottoscrittore su quelle che sono le regole dell'investire in attivit e nei mercati azionari. Diventare investitore qualcosa di profondamente diverso dall'essere risparmiatore, richieder tempo e potr essere agevolato da una riforma pensionistica che impone di ragionare con "time and not timing" (Mauro Alberto Castiglioni).

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Inoltre, per quanto riguarda il rapporto con la clientela costituita dalle piccole e medie imprese, occorre notare come in molte realt bancarie alcune funzioni siano ancora troppo distinte fra loro: il marketing, quando c', spesso soltanto un marketing della segmentazione e le vendite spesso non sono collegate con la valutazione anticipata del rischio. Questo certamente non favorisce la relazione con il cliente. Si impone, quindi, un marketing del cliente come condizione per la comprensione dei bisogni per la fornitura di quei servizi che effettivamente il cliente e il mercato chiede. C' una carenza di marketing del cliente che deve essere colmata. Nel rapporto con il cliente, chi gestisce quel cliente dovrebbe essere capace non solo di vendere dei prodotti e dei servizi - un prestito a tassi competitivi o dei servizi che la banca in grado di offrire - ma anche di comprendere effettivamente la gamma dei bisogni che il cliente esprime per poter fare una politica di segmentazione e di offerta dei prodotti e dei servizi che sia effettivamente concentrata sulle esigenze della clientela. Un pi efficace orientamento alle piccole e medie imprese ed una esatta comprensione dei loro bisogni diviene sempre pi un importante vantaggio competitivo perch chi le conosce meglio sar in grado di acquisirle come clienti: Gli istituti di credito sono oggi chiamati a ripensare completamente le proprie strategie e decidere quale ruolo dovranno svolgere nel nuovo mercato integrato europeo: quali prodotti vendere, a quali clienti, con quali standard qualitativi. Sar, infatti, fondamentale focalizzarsi su specifici segmenti di mercato, poich nella futura arena competitiva sar pressoch impossibile riuscire a svolgere l'attivit bancaria generalista. Dal canto suo, il Credito Bergamasco si sta preparando ad affrontare i cambiamenti in atto attraverso il perseguimento di precisi obiettivi strategici: lo sviluppo consistente di tutte le attivit che generano commissioni: lo scopo quello di potenziare fortemente la componente dei servizi cos da contrastare la continua contrazione del margine di interesse in un contesto di tassi in discesa; per raggiungere tale obiettivo, si stanno sviluppando nuovi prodotti, cos da ampliare la gamma dei servizi offerti alla clientela, puntando, in particolare, su quelli a pi alto valore aggiunto per il cliente; non meno importante il gi avviato processo di trasformazione del risparmio amministrato in risparmio gestito; infine, un contributo positivo alle commissioni nette atteso dai nuovi canali integrativi di distribuzione;172

172. Il Credito Bergamasco ha deciso di rispondere ai molteplici cambiamenti che stanno interessando il settore bancario italiano, ripensando il proprio modo di essere e 350

perseguimento della flessibilit organizzativa: nell'ambito del nostro istituto si deciso di rispondere alla necessit del sistema bancario italiano di allinearsi agli standard europei, ripensando completamente il modo si essere e di fare banca, dotandosi di una struttura organizzativa pi snella e flessibile, in grado di gestire il cambiamento, anzich di subirlo ed in grado di migliorare la capacit di relazione con il cliente la cui soddisfazione costituisce un fattore critico di successo nel futuro scenario competitivo. Con queste finalit, stato avviato un progetto d reengineering volto a garantire una completa rilettura della banca che privilegi l'efficacia e che valorizzi ancor di pi la focalizzazione sul cliente e sullo sviluppo commerciale. Nella fase di pianificazione del progetto, infatti, si ritenuto che lavorare soltanto sulle procedure ed i livelli di efficienza rappresentasse una soluzione gi percorsa, i cui benefici apparivano limitati in una banca, come la nostra, che gi vanta un buon livello di efficienza operativa. La rilettura dei principali processi bancari, dunque, stata effettuata mantenendo il focus sul cliente e sull'efficacia. In particolare, si perseguita la segmentazione della clientela, essendo convinti della necessit di fornire risposte sempre pi differenziate e mirate ad una clientela sempre pi esigente. Si sono cercati criteri di differenziazione che facessero riferimento ai fattori di acquisto del cliente e che permettessero di evidenziare i veri vantaggi competitivi del Credito Bergamasco. La reingegnerizzazione rappresenta anche lo strumento attraverso il quale la nostra banca si doter di quella flessibilit organizzativa essenziale per continuare ad operare in un contesto in cui la gestione del cambiamento non pu che divenire un atteggiamento strutturale. Il cambiamento richiesto dal progetto mette tutti in discussione ed sicuramente molto complesso: presuppone formazione, modifiche organizzative, strumenti di controllo, strumenti di programmazione commerciale, sistemi di incentivazione, una diversa gestione delle risorse umane... Il risultato atteso una banca "agile", focalizzata sul valore aggiunto e sul cliente a tutti i livelli, flessibile e reattiva ai mutamenti di mercato e allineata a standard operativi europei (Giorgio Brambilla).

Tutte le banche, anche quelle di minori dimensioni, si stanno dotando di nuove professionalit in grado di gestire in modo diverso il rapporto sia con i clienti privati che con i clienti imprese. C' chi ha introdotto la figura del consulente di famiglia che un po' come il "medi-

di fare banca. A partire dal 1996, infatti, sono stati implementati i progetti relativi alla realizzazione della banca telefonica ("Pronto Creberg") della rete di promotori ("Creberg Sim") che: rappresentano due importanti strumenti che permetteranno alla banca di attuare strategie commerciali pi aggressive ed incisive in un mercato sempre pi dinamico e competitivo, una volta a regime, i nuovi canali distributivi saranno pienamente integrati con l'attivit delle fdiali e, allo stesso tempo, consentiranno alla banca di conquistare nuovi segmenti di mercato (Giorgio Brambilla).

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co di famiglia", che ha una professionalit da generalista, ma con la capacit di indirizzare al servizio coerente con la domanda posta soprattutto su piani famiglia, dinamiche previdenziali, gestione del risparmio, turismo, consulenza immobiliare. C' anche chi ha introdotto la figura dello specialista per la finanza straordinaria che in grado di fare un'analisi dell'andamento aziendale. Il problema che oggi il servizio di queste figure professionali ancora quasi completamente gratuito. Le banche incontrano grandi difficolt a imporre al cliente il pagamento dei servizi. Il cliente abituato a ritenere che certi servizi debbano essere gratuiti e, quindi, la gratuit (anche a scapito della qualit) uno degli elementi che vengono pretesi. Il passaggio necessario per il futuro abituare il cliente al pagamento dei servizi, anche se gi oggi in alcuni casi la bont dell'offerta permette di avere delle performances significative. Di solito, vengono offerte due soglie: la prima, di indirizzo, gratuita (la consulenza orientativa), la seconda, il servizio, a pagamento: Questo sistema che noi stiamo attuando attraverso l'introduzione del consulente di famiglia e dello specialista per la finanza straordinaria, e che parrebbe essere un po' incerto dal punto di vista reddituale, invece ci ha portato, l'anno scorso, ad avere un aumento dell'utile di bilancio del 40% rispetto all'esercizio precedente. Questo ci ha poi consentito, a sua volta, di distribuire un dividendo maggiore del 40% rispetto all'anno precedente. Quindi, i risultati ci sono perch i nostri stretti legami con il territorio, sia rispetto ai privati che rispetto alle aziende, comportano la potenzialit di vendita di tutta una serie di prodotti che la banca ha, nel suo portafoglio, e quindi provoca una crescita dei proventi da servizi. Oggi, nel nostro conto economico, sotto la voce ricavi, abbiamo il 65% circa di proventi da intermediazione denaro e il 35% circa ci proventi da servizi. Il nostro obiettivo di arrivare al 50 e 50 in modo che i proventi da servizi sostituiscano nel nostro bilancio il calo ineluttabile dei proventi derivanti dall'intermediazione denaro. D'ora in avanti, la redditivit la banca la scopre attraverso la vendita dei servizi. Questo, per, significa anche che in un'area ricca come la nostra, ci deve essere un passaggio culturale del cliente rispetto al pagamento dei servizi. Ci sono servizi che offriamo gratuitamente, e sono i servizi di ordine generale. E' chiaro che poi dal momento in cui il cliente compra un prodotto o chiede un servizio particolarmente sofisticato, gli chiediamo di pagarcelo. Siamo molto rigidi, cio nel momento in cui vendiamo, non un servizio di promozione, ma un servizio teso ad avere un reddito, questo reddito lo pretendiamo. Il nostro cliente si abbastanza abituato a questo sistema, certamente non subito. Lo stiamo abituando e finora stiamo ottenendo dei buoni risultati. Lo dimostra il fatto che i nostri proventi da servizi sono costantemente in crescita almeno da cinque o sei anni, cio da quando abbiamo cominciato questa politica, con un ordine di aumento annuale del 20-25%.

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Quindi, il nostro cliente si sta abituando all'idea che il primo approccio, cio quello che gli consente di capire quali sono i servizi e i prodotti di cui ha bisogno e che noi gli possiamo dare, deve essere gratuito, perch deve essere messo in grado di decidere se poi chiedere un servizio a pagamento. Ma, nel momento in cui lui chiede qualcosa di specifico, perch ha capito ci di cui ha bisogno, deve pagare il servizio (Gennaro Muralo). Infine, nella nuova situazione di mercato aperto e competitivo, muta il rapporto tra globale e locale, soprattutto la dimensione locale chiamata ad un confronto con la dimensione globale. Questa situazione comporta per le banche il dover fare delle scelte operative abbastanza precise: la segmentazione della clientela produrr delle risposte ai bisogni su diverse scale territoriali. Questo creer bisogni diversificati e la produzione di servizi mirati al tipo di clientela Specifica. Le banche sono, quindi, chiamate a rinforzare il rapporto con la clientela e il territorio locale per offrire dei servizi che servono per stare nel gioco pi globale: Quando si dice che stiamo entrando, o siamo entrati, sempre di pi in un'economia globale, questo non significa affatto che le imprese e le banche si debbano mettere ad operare a tutto campo, su scala mondiale. Non significa affatto questo. Perch, eventualmente, soltanto alcune grandi imprese ed istituzioni svolgeranno quel ruolo. Vivere in un ambiente globale significa prendere decisioni inquadrandole in una scala mondiale, ma calandole poi in una visione del territorio che si va a coltivare. Ad esempio, posso lavorare soltanto a Sondrio, ma so che il gioco un gioco mondiale e, quindi, ne tengo conto. Mi posiziono su Sondrio avendo capito che alcuni operatori di Sondrio, giocando sulla scala mondiale, si serviranno da me, ma si serviranno, per una parte dei loro servizi, anche da qualcuno che li segue nei loro bisogni mondiali. Avendo capito, quindi, che in questo gioco posso operare a livello locale, ma che il mio posizionamento a livello locale deve tenere conto di questo gioco. Detto questo, si capisce benissimo la relazione che ci deve essere tra economia locale, strategia locale e strategia internazionale. A me viene da dire che, proprio perch andiamo nella direzione di un'economia globale, deve diventare pi sofisticata, pi raffinata la capacit di collegamento con il territorio e con i bisogni locali. Cosa significa questo? Significa che in questo contesto, i vari clienti che insistono su un certo territorio si segmentano, si dividono; e all'interno dei vari clienti, anche i bisogni si segmentano, alcuni di questi bisogni vengono soddisfatti da operatori che operano su scale complessive pi ampie, altri invece da chi opera su scala locale. Allora, chi vuole seguire quei clienti localmente, li deve seguire nelle esigenze molto meglio di prima. Per andare al concreto, non che Cariplo diventa pi forte se comincia ad aprire filiali ih Brasile o negli Stati Uniti, ma neanche per sogno, anzi. Iti un'economia globale, Cariplo deve essere capace di essere profondamente legata al proprio territorio, capace1 di seguire i propri clienti, poi pu fare

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proiezioni fuori. E solo se fortemente legata al proprio ambiente, riesce a difendersi dalla concorrenza che arriva dal di fuori. Quindi, ci pu essere questo modello: all'interno di questo nuovo scenario competitivo su scala globale, le banche devono trovare un rapporto molto pi in profondit, molto pi incisivo, di servizio della loro clientela storica; e l dove lo possono - ma solo dove possono - devono offrire ai loro clienti dei servizi che servono loro per stare nel gioco pi globale. Ma, in alcuni casi, devono anche sapere che non possono soddisfare quei bisogni, non possono dare quei servizi; saranno altri ad offrirli. Ma, siccome li devono lasciare fare ad altri concorrenti, devono rinforzarsi sui servizi che si trattengono, perch altrimenti perdono i loro clienti del tutto. Quindi, interpretato bene, questo obbliga a mettere le radici molto pi in profondit, altro che a lievitare dal territorio! (Claudio Dematt).

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TESTIMONI PRIVILEGIATI CITATI NEL TESTO

Ampollini Fabrizio, Direttore Generale della Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza Anatra Matteo, Direttore della Pianificazione e Controllo Territoriale della Cassa di Risparmio di Verona, Vicenza, Belluno e Ancona Verona Auletta Armenise Giampiero, Direttore del Centro Studi e Pianificazione del Banco Ambrosiano Veneto - Milano Attili Aldo, Direttore della Cassa dei Risparmi di Fermo Azzi Alessandro, Presidente della Federazione Italiana Casse Rurali ed Artigiane - Roma Barbetta Giampaolo, Promotore di "Verso la Banca Etica" e Direttore dell'IRS - Milano Bartesaghi Renato, Condirettore Generale del Credito Valtellinese Sondrio Bassetti Piero, gi Presidente della Camera di Commercio di Milano Battaglino Giacomo, Direttore Generale della Banca di Credito Cooperativo di Diano D'Alba (Cuneo) Bauli Alberto, Presidente della Bauli SpA - Verona Benassi Lino, Amministratore Delegato Ina - Roma Benelli Nevio, Direttore Generale della Cassa di Risparmio di Trieste Bianchi Giorgio, Direttore Generale della Coogestioni - Milano
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Bini Smaghi Simone, Direttore di Arca Fondi - Milano Boschetto Benito, gi Direttore Generale della Borsa di Milano Brambilla Giorgio, gi Amministratore Delegato del Credito Bergamasco di Bergamo e Direttore Generale della Banca di Roma Brugnoli Paolo, Vice Direttore Generale delle Assicurazioni Generali - Venezia Buongiorni Giorgio, Vice Direttore Generale Vicario del Banco di Desio e della Brianza - Desio (Milano) Bussolotto Pio., Amministratore Delegato della Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo SpA - Padova Caloia Angelo, Presidente del Mediocredito Lombardo di Milano e Presidente dell'Istituto per le Opere di Religione (IOR) - Citt del Vaticano Cambursano Renato, Deputato, membro della Commissione Finanze della Camera dei Deputati Camoletto Marco, Direttore dell'Ufficio Studi dell'Istituto Bancario San Paolo di Torino Campaioli Paolo, Direttore Generale della Cassa di Risparmio di Firenze Canal Renzo, Direttore Generale della Cassa di Risparmio di Perugia Capo Giuseppe, gi Direttore Generale di Assicredito e Vicepresidente del Cnel Roma Capra Claudio, Responsabile del Mercato Mobiliare di Nord-Est Brescia Carmignani Giancarlo, Direttore Generale Area Territoriale Lombardia della Banca di Roma - Milano Carraro Mario, Amministratore Delegato della Carraro SpA di Campodarsego (Padova) e gi Presidente dell'Assindustria Veneto Cartone Tommaso, Condirettore Generale del Banco Ambrosiano Veneto - Milano
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Castiglioni Mauro Alberto, Direttore Generale della Cisalpina Gestioni - Banca Popolare di Brescia - Milano Cattaneo Enzo, Condirettore Centrale della Banca Popolare di Bergamo - Credito Varesino - Bergamo Checchetto Alfredo, Vice Direttore Generale della Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo - Padova Chir Gherardo, Direttore Generale dell'Ascotributi - Roma Cigliana Giorgio, Presidente del Censis - Roma Citterio Marco, Presidente di Unioncamere Lombardia e della Camera di Commercio di Como - Presidente dell'Associazione Artigiani della Provincia di Como Civaschi Aldo, Direttore Generale della Banca Popolare di Verona Banco San Geminiano e San Prospero - Verona Collini Guido, Vice Direttore Generale della Cassa di Risparmio di Bolzano Colussi Vittorio, Direttore Commerciale e Marketing del Gruppo Mediolanum - Milano Cozzi Dino, Direttore Generale della Banca di Credito Cooperativo di Manzano (Udine) Cracchi Alberto, Direttore Centrale della Banca Popolare di Novara Crimaldi Basilio, Dirigente dell'Ufficio Studi, Pianificazione e Controllo della Cariplo SpA - Milano Dalla Zuanna Umberto, Direttore della Federazione Trentina Cooperative - Trento De Rita Luca, Responsabile Finanza del Gruppo Fincasa - Roma Defendati Enrico, Dirigente Programmazione e Controllo del Credito Emiliano di Reggio Emilia Dematt Claudio, Vicepresidente della Cariplo - Milano Desiata Alfonso, Presidente dell'Associazione Nazionale fra le Imprese Assicuratrici e dell'Alleanza Assicurazioni - Milano 359

Desiderio Giuseppe, Estensore del progetto tecnico della Banca Etica, Professore a Contratto di Legislazione Bancaria all'Universit di Venezia Cai Foscari e Avvocato - Roma Di Dio Stefano, Responsabile dell'Ufficio Marketing di Interbanca SpA - Milano Dianin Gino, Direttore Generale della Banca Popolare di Marostica Donadelli Maurizio, Vicepresidente di "Verso la Banca Etica" Marghera Dotti Adriano, Direzione Territoriale di Piacenza della Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza Esposito Francesco, Segretario Generale Falcri - Roma Fabrini Fabrizio, Segretario Generale Ente Cassa di Risparmio di Prato e Presidente dell'Unione Industriali di Prato Faissola Corrado, Consigliere Delegato del Credito Agrario Bresciano - Brescia Ferro Alberto, Promotore di "Verso la Banca Etica" - Mestre Filippi Enrico, Presidente della Cassa di Risparmio di Torino Freddi Giulio, Vicepresidente dell'Associazione Industriali di Mantova Furesi Antonio, Funzionario del Banco Ambrosiano Veneto - Milano Gabrielli Eduino, Direttore Generale della Cassa Centrale delle Casse Rurali Trentine - Trento Gardella Pierluigi, Condirettore Generale della Banca Regionale Europea - Milano Garzia Augusto, Segretario Generale della Sinfub - Roma Gennaro Pietro, Presidente della PGA-Strategia ed Organizzazione Milano Ghisini Ivan, Direttore Generale della Gassa Rurale e Artigiana di ' Castelgoffredo

Gnudi Piero, Vice Presidente della Banca del Monte di Bologna e Rimini e Consigliere di Amministrazione del Credito Romagnolo - Bologna Gornati Luciano, Vice Direttore Generale della Cassa di Risparmio di Verona, Vicenza, Belluno e Ancona - Verona Grandi Paolo, Direttore del Mediocredito Lombardo - Milano Graziosi Giuliano, gi Amministratore Delegato della Stet - Roma Grignani Davide, Responsabile del Settore Advisory della Banca Paribas - Milano Imbert Federico, Managing Director della Chase Manhattan Bank Milano lozzo Alfonso, Direttore Generale del Gruppo Bancario San Paolo di Torino Kessler Lorenzo, Gestimpresa - Milano Leoni Guido, Direttore Generale della Banca Popolare dell'Emilia Romagna - Modena Lorenzoni Ferruccio, Presidente della Federdirigenticredito - Roma Mahlknecht Klaus, Direttore Generale della Banca Popolare dell'Alto Adige - Bolzano Marchetti Mariano, Studio Tesi - Milano Marzliak Franco, Direttore Generale della Banca Popolare di Trento Mazza Angelo, Direttore Generale della Banca Popolare di Lodi Meacci Sergio, Amministratore Delegato di Databank - Milano Merlo Renato, Direttore Pianificazione e Controllo della Banca Popolare di Asolo e Montebelluna (Treviso) Molinari Amato Luigi, gi Presidente e Amministratore Delegato del Gruppo Fondiaria-Milano Assicurazioni - Milano Monzeglio Patrizia, Capo Ufficio Piani e Sviluppo della Banca CRT Torino 361

Mottura Paolo, Professore all'Universit L. Bocconi - Milano Murolo Gennaro, Direttore Generale della Cassa di Risparmio di Mirandola (Modena) Musso Bruno, gi Presidente dell'Ansaldo - Genova Musso Tito, Direttore Generale dell'Artigiancassa - Roma Nardo Paolo, Direttore Generale della Banca di Credito Cooperativo del Veneziano - Mira (Venezia) Oggiano Natalino, Vice Direttore Generale della Banca Antoniana Popolare Veneta di Padova Parrillo Giovanni, Responsabile dell'Ufficio Analisi Grandi Operatori del Servizio Studi e Relazioni Esterne della Banca Nazionale del Lavoro - Roma Pecori Giraldi Galeazzo, Presidente e Amministratore Delegato della Banca Morgan Stanley SpA - Milano Pegoretti Giovanni, Presidente della Fondazione delle Casse di Risparmio di Trento e Rovereto Petroni Mario, Direttore Generale della Banca Agricola Mantovana Mantova Picceni Pier Giorgio, Direttore Generale Principale e Responsabile del Servizio Organizzazione e Sistemi Informativi della Banca Popolare di Sondrio Pilchard Daniele, Responsabile Finanza Aziendale della Caboto Sim - Milano Pirovano Giovanni, Direttore Generale del Programma Italia Investimenti Sim del Gruppo Mediolanum - Milano Poli Claudio, Direttore Generale della Albertini & C. SIM SpA - Milano Pontello Silvano, Direttore Generale della Banca Antoniana Popolare Veneta di Padova Porino Elio, Segretario Generale dell'Unione Italiana Bancari - Roma 362

Porreca Oreste, Responsabile del Servizio Marketing sella Societ Reale Mutua - Torino Pozzo Erika, Direttrice dell'Ufficio Studi della Banca Sella - Biella Profumo Alessandro, Direttore Generale del Credito Italiano - Milano Prosperetti Luigi, Professore di Economia Industriale all'Universit Commerciale Luigi Bocconi - Milano Quadrio Curzio Alberto, Preside dalla Facolt di Scienze Politiche dell'Universit Cattolica del Sacro Cuore di Milano Ragaini Renzo, Responsabile del Settore Finanza della Banca Cesare Ponti - Milano Renzacci Mario, Presidente della Fondazione della Cassa di Risparmio di Citt di Castello (Perugia) Roasio Luciano, Direttore Generale della Sai - Torino Roccati Alberto, Direttore Generale della Cassa di Risparmio di Rimini Roveraro Gianmario, gi Amministratore Delegato della Akros Finanziaria SpA - Milano Segre Giuliano, Presidente della Fondazione della Cassa di Risparmio di Venezia Sella Maurizio, Amministratore Delegato della Banca Sella di Biella e Vicepresidente dell'Associazione Bancaria Italiana Semprini Stefano, Direttore Generale della Banca Popolare Udinese Udine Sette Angelo, Direttore Generale della Banca Popolare FiulAdria Pordenone Stefanuto Natale, Direttore Generale della Banca Popolare Bellunese - Belluno Steffani Gianfranco, Segretario Generale della Fabi - Roma Taiti Fabio, gi Amministratore Delegato della Banca Toscana e Amministratore Delegato del Censis Servizi - Roma 363

Terreran Nereo, Direttore Generale della Banca Popolare di Cividale Tettamanti Ezio, Direttore Generale della Cassa Rurale ed Artigiana di Cant (Como) Tognana Nicola, Presidente di Unindustria Treviso Valdembri Alberto, Direttore Generale della Banca San Paolo di Brescia Vender Jody, Amministratore Delegato della Sopaf - Milano Ventura Giovanni, Segretario Generale della Uib-Uil di Cuneo e Segretario Generale della Uil di Cuneo Venturelli Antimo, Direttore Generale della Banca di Credito Cooperativo di Fano (Pesaro) Venturino Mario, Vice Direttore Centrale della Cassa di Risparmio di Genova Verrini Luigi, Presidente della Cassa di Risparmio di Carpi Viola Attilio, Condirettore Centrale della Banca Sella di Biella Zadra Giuseppe, Direttore Generale dell'Associazione Bancaria Italiana - Roma Zambanini Alfredo, Vicedirettore Centrale della Banca Sella - Biella Zanetti Emilio, Presidente della Banca Popolare di Bergamo - Credito Varesino - Bergamo Zanotto Giorgio, Presidente della Banca Popolare di Verona - Banco San Geminiano e San. Prospero - Verona Zonin Gianni, Presidente della Banca Popolare Vicentina - Vicenza

Allegati

COMPOSIZIONE DEL GRUPPO DI LAVORO DEL CONSORZIO A.A.STER CHE HA REALIZZATO IL RAPPORTO DI RICERCA

La ricerca stata realizzata da un Gruppo di lavoro del Consorzio AASTER di Milano, diretto da Aldo BONOMI che, insieme ad Alessandro SCASSELLATI, ha curato la stesura del Rapporto. Le inchieste territoriali sono state realizzate da: Bruno BRUNA Gianmario FOLINI Guendalina DELL'ANNO Claudio DONEG Chiara MENATO Federico MORO Luca ROMANO Vanna TESSORE

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Fotocomposizione e Stampa: Tip. RINASCIMENTO - Roma Progetto Grafico di copertina: O COMMUNICATION - Roma Collana Laboratori Territoriali Finito di Stampare il 31411998

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