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IL PROBLEMA DEL MALE NEI SAGGI DI TEODICEA DI LEIBNIZ.

Giovanni Scarafile

Nella teodicea di Leibniz convergono e sono sistematizzati i tradizionali temi di cui la 1. riflessione filosofica si avvalsa per rispondere al problema del male. Allinterno di tale molteplicit di argomentazioni, la mia attenzione si soffermata sulla nozione di male fisico. Nella concezione leibniziana, il male fisico considerato congiuntamente al male morale ed al male metafisico. Esso, inoltre, rappresenta una dimensione non secondaria, ma essenziale del male, stante la problematicit che da esso direttamente emana:
In realt non possibile negare che nel mondo esista il male fisico (che ci sia sofferenza), che esista il male morale (che ci siano cio crimini) e che, inoltre, quaggi il male fisico non sia sempre distribuito in proporzione al male morale, come sembra 1 che la giustizia richieda .

Tuttavia, la mia convinzione che proprio la interdipendenza, pocanzi richiamata, tra 2. le tre dimensioni del male rischi di subordinare la concezione di male fisico alle altre due dimensioni del male e, conseguentemente, di condurre ad una non adeguata comprensione del dolore e della sofferenza, correlati primari del male fisico2.
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G. W. Leibniz, Saggi di teodicea, Discorso preliminare, 43, a cura di G. Cantelli, Rizzoli, Milano 1997, p.114. 2 Sulla nozione di male fisico, stato scritto: In breve, sarebbe facile aggiungere qualche paragrafo alla teodicea di Leibniz. Ma non ne abbiamo affatto voglia. Il filosofo pu compiacersi di speculazioni di questo genere nella solitudine del suo studio; che cosa penserebbe davanti ad una madre che ha visto morire il suo bambino? La sofferenza una terribile realt, ed un ottimismo insostenibile quello che definisce a priori il male, anche ridotto a ci che effettivamente, come una diminuzione di bene. H. BERGSON, Le due fonti della morale e della religione, tr. it. di M. Vinciguerra, Edizioni di Comunit, Milano 1962, p. 256. Sedici secoli di teodicea (la scienza teologica che si propone di esimere dalla responsabilit di Dio la presenza del male nel mondo e che nata ben prima che Leibniz ne inventasse il nome) non sono riusciti a dare una spiegazione a questa che la forma pi abietta del male: la sofferenza ferocemente gratuita, di pura malvagit, di irriducibile perversit, inflitta allinnocente che non ha mai potuto n potr mai peccare. P. PRINI, Perch il male? Note di un approccio al suo mistero in AA. VV., Giobbe: il problema del male nel pensiero contemporaneo, Assisi, 1996, p.18. significativa in questo contesto linterpretazione razionale del male che nellepoca moderna ci presenza Leibniz. Si tratta di un grandioso tentativo di spiegare la sofferenza alla luce di una concezione astratta invece di coglierla nel suo momento fondante che consiste nellesistenza concreta del singolo aperto alla trascendenza esistenziale. [] In questa impostazione metafisica del male viene sacrificata la realt profonda della responsabilit tipica della realt irripetibile del singolo e al suo posto si fa strada un senso di grigio fatalismo. G. PENZO, Lessere delluomo come essere-per-lasofferenza in SOCIET FILOSOFICA ITALIANA, Filosofia del dolore, Matera 1991, p. 46.

si vuol piuttosto dire che [il problema della sofferenza] non viene preso in considerazione come fenomeno esistenziale. Esso viene infatti trattato in modo indiretto , in quanto viene ricondotto secondo i canoni della logica della sicurezza, alla problematica metafisica del male. si pu cos dire che il fenomeno esistenziale della sofferenza venga in certo qual modo raggirato. (Id., p. 44). Se si dice che il male, che legato agli individui mezzo onde Dio ricava un bene pi alto, ci sar vero per il complesso delle cose; ma intanto il male nellindividuo-persona resta male, e lindividuo in quanto si fa strumento di male resta infelice. Nonostante la messa in valore da parte di Dio del male commesso, resta che lindividuo che lo subisce o lo produce, ne rimane preso al punto da riceverne una impronta, forse, incancellabili. R. LAZZARINI, Il Male nel pensiero moderno. Le due vie della liberazione, Perella, Napoli 1936, p.328. il male individuale, per la monade virtualmente mal combinata, virtualmente universale, e soltanto diventando altra da s, essa potr sperare di sostituire al suo pessimismo universale un ottimismo altrettanto universale. (Id., p.269) Si nasce come si muore, da soli, e quando io soffro, sono io che soffro, e la comprensione o incomprensione degli altri sempre per me astratta e lontana dalla mia viva esperienza. Ogni vita una vita individuale, e come tale ad essa appartengono gioie e sofferenze, che non sono quelle delle altre esistenze. E se le monadi non hanno finestre quanto al processo della conoscenza, non ne hanno nemmeno quanto al processo morale e alle sofferenze dello spirito. (Id., p.268) Pensando al sofferto disincanto di Voltaire legittimo e inevitabile domandarsi se uno dei limiti pi vistosi degli Essais non sia appunto quello di non prendere sul serio il dolore. [] evidente come per tale via Leibniz finisca implicitamente con lo svuotare di ogni contenuto specifico la riflessione sul problema dei mala mundi e del dolore, risolvendola per un verso nel male metafisico [] e per laltro nel male morale. S. SEMPLICI, Dalla teodicea al male radicale, Cedam, Padova 1990, p. 49. Insomma il Male [] grande, forte: ma non si d da solo. Diretta conseguenza di tale tesi, linterrogativo che nasce spontaneo questo: chi convive col Male? Chi se ne lascia segnare, o ne coglie comunque il suo darsi nel mondo? La prima risposta sar, per molti, probabilmente la seguente: tutti gli esseri senzienti possono essere testimoni del Male in azione. S. MORAVIA, Lesistenza e il Male in ID., Lesistenza ferita, Feltrinelli, Milano 1999, p. 176. il male non si presta ad essere trattato sub specie teoretica. Per poco che lo si esamini da vicino, ci si accorge che esso si identifica, in tutte le sue accezioni, con la sofferenza: la quale nel numero di quei fatti della sfera oggettiva dellindividuo che sono evidenti e afferrabili solo in detta sfera, e pensati fuori di l perdono facilmente la loro consistenza. La coscienza morale, la volont, certe manifestazioni del sentimento (lamore, ad esempio, e la tendenza estetica) sono, o sono state, oggetto normale della filosofia. Hanno dato adito a quel processo di generalizzazione, di astrazione razionalizzatrice, che tipico dellattivit speculativa: forse perch, sin dagli esordi di questa, si potuto immaginare che esistesse un correlato fuori dellindividuo, in un mbito universale, o addirittura in Dio. Non cos quella particolare sensibilit che chiamiamo sofferenza: essa non pu venir colta che come fenomeno, nel vivo del singolo soggetto che la subisce. G. MORSELLI, Fede e critica, Adelphi, Milano 1977, pp. 17-8. Senonch, ci di cui luomo comune vorrebbe avere contezza, proprio il concreto male. il rimanente che la sostanza delle cose sia necessariamente perfetta, che solo il bene esista al cospetto di Dio pu anche non interessarlo affatto. Il problema dato per lui dalla sofferenza che tenuto a sperimentare quaggi, la sofferenza con i suoi innumerevoli volti e la sua uguale ine-

Dolore e sofferenza, infatti, non possono essere colti nella loro esatta entit se non come fenomeno, allinterno quindi della dimensione esistenziale del singolo soggetto che patisce. Ogni interpretazione di tale immediato ed originario esperire rischia di alterarne gli elementi costitutivi. La razionalizzazione del male, soprattutto del male fisico, dunque, non pu essere disgiunta da un atteggiamento finalizzato ad accogliere il darsi del fenomeno. Diviene indispensabile pluralizzare il male, cogliere cio il Male nel luogo e nei modi in cui esso si manifesta. Come ha osservato recentemente Moravia, prima di rispondere alla domanda sullUnde Malum, necessario muovere dallinterrogativo sui Quomodo Mala. Non si pu affrontare la questione del male se si troppo lontani dalleffettivo theatrum Iniquitatis3. Inoltre, lirrompere del dolore, lintensit della esperienza corrispondente, il senso dei limiti cui introduce la cognizione del dolore fanno della sofferenza un fattore determinante sulla valutazione dei dati del reale, sulle decisioni del soggetto e sullorientamento nella mondit circostante4. In questo senso, il dolore esperienza individuale e individualizzante. Come ha scritto Morselli:
per quanto ne sappiamo il male sempre e soltanto una caratteristica della sfera individuale (la sofferenza). E ci basta, daltronde; a rendere male il male, non occorre di pi che la sua presenza e inevitabilit per noi: che fuori di noi non si dia, che ai fini e nei riguardi della totalit regni larmonia e la perfezione, un discorso che ci lascia indifferenti, visto che la totalit dellessere unistanza che ci sfugge, e quindi non ci concerne5.

3. Nella lettura del libro di Poma, Impossibilit e necessit della teodicea, la mia ipotesi di lavoro non fu confermata. Poma riteneva infatti sufficiente il richiamo ad una serie di motivazioni6, per risolvere il problema della minore considerazione del problema del male fisico nei Saggi di teodicea.
luttabilit, ed egli vorrebbe sapere come ci si giustifichi, e se si giustifichi. (Id., p. 30). Nella teoria implicito un asserto che ci lascia, a dir poco, perplessi. I fatti di quaggi, gli esseri e gli eventi di questo mondo, devono venir misurati col metro che loro proprio, giudicati in termini e con criteri naturali e umani e non da un punto di vista che li trascenda. []. Siffatto punto di vista ci dovrebbe venir precluso, logicamente, visto che siamo semplici uomini; e allora sarebbe pi congruo ammettere che per giustificare il male dobbiamo considerarlo un mistero, come vuole la religione. (Id., p. 35). 3 Cf. S. MORAVIA, Op. cit., p. 176. 4 Anzitutto, la sofferenza essenzialmente unesperienza consistente nel sentire ostacolo e lacerazione, ci fa sentire inadatti al mondo circostante. Da questo mondo ci vengono stimoli ad un movimento riadattatore, ma nella sofferenza gli stimoli ci sorprendono e provocano uno scompenso, una sorta di discontinuit, una sconfitta che nellimmediato ci impoverisce, ci fa sentire mancanti. Sentiamo di essere impari, percepiamo la debolezza del nostro essere, ci sentiamo soli, impariamo la finitezza e sentiamo di dover reimparare noi stessi, gli altri e la natura. [] Propriamente la sofferenza umana non che occasioni immediatamente un corpo di saggezza; lesito immediato, anzi, uno sviamento forte, un depistaggio dal nostro consueto pensare la vita; illumina diversamente la nostra vita, impone una rettifica, una critica della nostra comprensione di noi, degli altri, del mondo naturale, perfora e riassetta le nostre credenze, ci ricompatta con la realt e specialmente con la nostra finitezza A. ZANARDI, La sofferenza: senso del limite e occasione in SOCIET FILOSOFICA ITALIANA, Filosofia del dolore, Matera 1991, pp.59-60. 5 G. MORSELLI, Op. cit., p. 39. 6 Leibniz dimostra senza dubbio una minor preoccupazione nel trattare in teodicea il male fisico che non nel trattare il male morale. Ci crea seri problemi di comprensione e di accettazione per la sensibilit diffusa tra i nostri contemporanei, che invece sollecitata soprattutto dallo scandalo del male fisico. Si pu considerare la maggior preoccupazione per il male morale che non per il male fisico come una particolarit della sensibilit culturale che Leibniz condivide, del resto, con la tradizione cristiana; o forse si deve considerare come particolare la sensibilit contemporanea, che si scandalizza

Nel frattempo, la lettura degli scritti di Leibniz, i colloqui con il Prof. Thurner dellUniversit di Innsbruck mi suggerirono di considerare con maggiore attenzione la rilevanza del tema dellindividualit7 nel contesto del pensiero di Leibniz e, pertanto, le conseguenze che, dalla assunzione di tale paradigma, sarebbero derivate allo studio della nozione del male 4. Nello stadio attuale della mia ricerca, sto valutando la presenza in Leibniz della associazione male fisico individuo. Da quanto letto sinora, mi sembra che tale dimensione, fondata su una considerazione reale e non elusiva del dolore, sia presente in almeno tre momenti: a: una corrispondenza con Eckhard; b: un passo tratto dal cap. XXI dei Nuovi Saggi; c: una parte del commento di Stensen alla Confessio Philosophi. a) Una corrispondenza del 1677, diretta ad Arnold Eckhard, consente di affermare che la reale portata del dolore non era sconosciuta a Leibniz. Il dolore, argomenta Leibniz, non una semplice privazione, non una quantit negativa. Esso qualcosa di positivo e non pu essere considerato come semplice assenza di piacere:
Io: quindi anche che il dolore una perfezione? Egli: che il dolore non qualcosa di positivo, ma privazione della tranquillit, cos come le tenebre sono privazione della luce. Io: che mi sembra che non si possa dire che il dolore privazione del piacere pi di quanto si possa dire che il piacere privazione del dolore. Che invece tanto il piacere quanto il dolore sono qualcosa di positivo. E che molto differente il rapporto del dolore con il piacere da quello delle tenebre con la luce. [] il dolore non esiste per la sola eliminazione del piacere8.

pi per il male fisico che per il male morale, condizionata dal dellideale eudemonistico nella cultura etica e nel sentire comune europeo degli ultimi tre secoli. A. POMA, Impossibilit e necessit della Gli Essais di Leibniz, Mursia, Milano 183.
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prevalere delluomo

teodicea. 1995, p.

Sullattenzione per la individualit quale cifra del filosofare leibniziano, stato scritto: quando ci si collochi nellambiente filosofico dellultimo Seicento europeo, essa [la monade] appare come una visione rivoluzionaria ed anticipatrice perch inserisce sul tronco del vecchio ontologismo scolastico e del pi recente razionalismo cartesiano lesigenza fresca, viva ed originale della individualit, di quellindividualit che il Rinascimento aveva divinato e sublimato in apoteosi, ma senza definirne e svilupparne il concetto e i caratteri, che la scienza moderna da Galilei in poi, per un lato, e lempirismo inglese dei Bacone, degli Hobbes e dei Locke cercavano dattingere, ma non riuscivano a giustificare filosoficamente. E. CIONE, Leibniz, Libreria Scientifica Editrice, Napoli 1964, pp. 196-7. Il desiderio di risolvere la realt in un tessuto di individui indipendenti gli uni dagli altri, laspirazione a restituire allempiria e alle caratteristiche individuali dei fenomeni il giusto ruolo che ad essi compete in una considerazione scientifica rigorosa, sono altrettante indicazioni di una tendenza nominalistica o fortemente concettualista che, al pari dellistanza platonizzante, opera nel pensiero di Leibniz. M. MUGNAI, Introduzione , in G. W. LEIBNIZ, Nuovi saggi sullintelletto umano, a cura di M. Mugnai, Editori Riuniti, Roma 1982, pp.11-12 .
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Die philosophischen Schriften von Gottfried Wilhelm Leibniz, hg. Von C. I. Gerhardt, 7 voll., Berlino, Weidmann, 1875ss.; rist. Hildesheim, Georg Olms, 1960s., I, p. 214, la sottolineatura mia.

b) Il secondo riscontro tratto dai Nuovi Saggi sullintelletto umano. Nel cap. XXI, Leibniz si domanda cosa determini la volont ad agire. Mentre Filalete, esponendo le tesi di Locke, ritiene che ci che determina di continuo la scelta della nostra volont allazione successiva sar sempre lallontanamento dal dolore9, Teofilo, presentando le tesi di Leibniz, sostiene che la vera inquietudine costituita dalla piccole percezioni insensibili che si potrebbero chiamare dolori non appercepibili []. Questi piccoli impulsi consistono nel liberarsi continuamente dei piccoli impedimenti, cosa alla quale la nostra natura lavora senza che vi pensiamo10. Cosa si pu evincere da questo brano? Leibniz riconosce e tributa il giusto ruolo al dolore. Dal passo citato, emerge anche che non esiste soltanto il dolore consapevole. Il dolore, in quanto componente delle piccole percezioni, viene innalzato a movente inconscio dellazione. In tal modo, il suo ruolo diviene ancora pi pervasivo. Inoltre, riferire il dolore alle percezioni insensibili non privo di conseguenze. Come ha infatti sostenuto Mugnai, nella introduzione alla edizione italiana dei Nouveaux essais:
ho anche osservato che in virt delle variazioni insensibili, due cose individuali non potrebbero essere perfettamente simili, e che devono differire pi che per numero. []. Questa conoscenza delle percezioni insensibili serve anche a spiegare perch e come due anime umane, o altrimenti di una medesima specie, non escano mai perfettamente simili dalle mani del Creatore, e come ciascuna racchiuda sempre il proprio originario rapporto con il punto di vista che avr nelluniverso. Ma questa gi una conseguenza di quanto ho osservato riguardo a due individui: che cio la loro differenza sempre pi che numerica11.

Le percezioni insensibili, insomma, contribuiscono a determinare lindividuo. Porre in essere un raccordo tra percezioni insensibili ed individualit e tra percezioni insensibili e dolore non significa forse supporre lesistenza di uno stretto rapporto tra dolore e individuo? c) Nella Confessio Philosophi, nel giustificare lesistenza dei peccati, Leibniz chiama in causa larmonia universale delle cose. Il nunzio apostolico in Germania, Stensen, che nel 1677 lesse lopera di Leibniz, appunt in margine le seguenti considerazioni:
Una cosa che, dato il miscuglio delle virt e dei vizi, si possa formare una serie di questo insieme ovvero del tutto, altra cosa che invece si impongano singole virt o singoli vizi ai singoli individui o che li si permetta a quanti lo vogliono. Allo stesso modo, una cosa che, partendo da un certo miscuglio di consonanze e dissonanze, si possa formare unArmonia, altra cosa che siano prescritte alle singole persone, che volontariamente lo accettano, le loro consonanze e dissonanze12.

Il significato pi profondo delle considerazioni dello Stensen che la razionalizzazione del male non pu comportare lannichilimento della dimensione individuale del problema del male stesso. La teodicea si trova di fronte ad un limite che non pu valicare, se non perdendo di significato. Il riconoscimento di tale limite, per, non comporta laffermazione della insufficienza generalizzata di ogni teodicea. Ritengo, anzi, che i tentativi di spiegare con lausilio della ragione il problema del male siano ineludibili per ogni seria ricerca filosofica.

G. W. LEIBNIZ, Nuovi saggi, cit., Roma 1993, p. 180. Ibidem. M. MUGNAI, Op. cit., pp. 51-2. 12 Cf. G.W. LEIBNIZ, Confessio Philosophi, a cura di Francesco Piro, Cronopio, Napoli 1992, p.24.
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5.

Le caratteristiche della teodicea sono ben note:


Occorre cio che il problema del male sia posto a partire da proposizioni univoche: Dio onnipotente, la sua bont infinita, il male esiste; che il fine dellargomentazione sia apologetico: Dio non responsabile del male; che lo strumento impiegato ed il punto pi importante sia quello della logica della non contraddizione e della totalizzazione sistematica13.

Ritengo per che una teodicea che voglia affrontare sul serio la sfida del male, non possa prescindere dal suggerire soluzioni significanti per lindividuo. A questesito sarebbe potuta giungere la teodicea leibniziana, se il filosofo di Lipsia avesse tradotto nella sua teodicea, lattenzione per la individualit che anim il suo filosofare. Pertanto, la teodicea di Leibniz pu esser dichiarata insufficiente non tanto in nome di unistanza a s estrinseca, ma in quanto in essa non si portano a compimento le premesse fondamentali della stessa filosofia di Leibniz. La ragione filosofica che si cimenta nel tentativo di giustificare Dio dallaccusa di essere lautore del male si trova di fronte ad un bivio: o labisso della finalit, dellamore di Dio, dellarmonia totale o labisso della vita senza ragioni. La soluzione del dilemma non risiede n in una dichiarazione dinabilit della ragione n nel riferimento esclusivo ad una delle soluzioni prospettate, ma piuttosto nella imprescindibilit di una costante tensione bipolare tra le due soluzioni. In ultima analisi, razionalizzazione del male ed attenzione per lindividuo devono divenire compatibili. In tal senso, il prosieguo della mia ricerca potrebbe essere riassunto dalle brevi ma suggestive considerazioni di Morselli:
Bisogna, ragionando, convincersi che il ragionamento non sufficiente14.

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S. SEMPLICI, Op. cit., p. 7 G. MORSELLI, Op. cit., p.156.

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