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certo punto l'autore discute il problema (non credo mai risolto) di come ci si sentirebbe a essere un pipistrello, o un cervello in una vasca, eccetera. Provare per credere, anche in McDowell. Tanto da pensare che questa domanda abbia finito per sostituire presso gli analitici quella che da noi sempre stata considerata la domanda metafisica fondamentale (anch'essa mai risolta): perch la generale l'essere piuttosto che il nulla. Ma, appunto, a parte queste idiosincrasie stilistiche, le tesi di McDowell ci sembrano assolutamente accettabili per un punto di vista continentale, almeno in quanto questo possa considerarsi rappresentato oggi da autori come Gadamer o persino Derrida, McDowell riprende la tesi di Kant: la mente accede al mondo non come una tabula rasa su cui si imprimono le sensazioni prodotte dagli oggetti, bens provvista di un equipaggiamento "a priori" mediante il quale organizza i dati percettivi in un mondo, nel quadro del quale diventa possibile formulare proporzioni generali, tesi scientifiche, ecc. Non bisogna n abbandonarsi al "mito del dato", per cui la mente registrerebbe solo, come uno specchio, l'ordine oggettivo; n, per, credere che la verit di una proposizione consista solo nel suo armonizzarsi con altre proposizioni e con le leggi della logica: questo il "coerentismo", che McDowell rintraccia in Davidson. Il quale peraltro non sostiene certo tesi radicalmente idealiste, ma dice solo che l'esperienza, o la sensazione, non pu mai funzionare come giustificazione di una credenza. Possiamo capirlo, anche banalizzando un po', se ricordiamo che il problema di Kant era appunto capire come da un'esperienza particolare (ho visto una pentola bollire a una certa temperatura) si possa salire all'enunciato scientifico generale (l'acqua bolle a X gradi). McDowell ritiene che si possa sfuggire sia al mito del dato - al realismo ingenuo sia al coerentismo eccessivo scegliendo una via che egli ritiene fedele a Kant, e che forse ai kantisti non appariva del tutto tale, posto che in certe pagine del libro l'autore sembra pensare che le categorie kantiane si applichino al dato della sensazione con un atto affidato alla libert responsabile del soggetto. Il fatto che McDowell non vuole accettare, di Kant, una visione della ragione che gli sembra, giustamente, troppo rigidamente modellata sulla razionalit scientifico-matematica moderna. Insomma: noi ordiniamo bens il mondo secondo schemi e strutture a priori, le quali rendono possibile che una esperienza puntuale di un individuo, inserita in una rete di connessioni logiche condivise, diventi certezza scientifica stabile. Ma questa rete di connessioni non ha la rigidezza di una ragione umana sempre uguale, piuttosto, come McDowell dice riprendendo Aristotele, una "seconda natura", che, diremmo noi, si costruisce storicamente, in ci che anche lui, lasciando da parte pipistrelli e cervelli in vasca, chiama con il continentalissimo termine di Bildung, cultura o educazione. Non siamo, come si vede, affatto lontani dal discorso heideggeriano o gadameriano. Se questa tradizione analitica, ne facciamo parte anche noi, e al diavolo le differenze di stile. Ma temiamo gi che, a dispetto della solida reputazione di cui McDowell gode a Pittsburgh e dintorni, i nostri amici filoanalitici ci diranno che non era proprio questo il libro a cui dovevamo ricorrere per "aprire gli occhi". Attendiamo ulteriori suggerimenti. GIANNI VATTIMO