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Francesco Lamendola

la delusione il grande setaccio che fa la differenza tra gli esseri umani


Gli antichi Romani non avevano la parola, e quindi neanche il concetto, corrispondente a delusione. Per indicare linganno, parlavano di fallacia, oppure di ludificatio, ma questultimo vocabolo nel senso di beffa; altrimenti dicevano, semplicemente: spes decepta, speranza delusa. La delusione, come lintendiamo noi moderni, non , tuttavia, solamente una speranza delusa. I Romani erano un popolo molto pratico, molto concreto: una speranza delusa una cosa, la delusione tutta unaltra cosa. Lidea di delusione non si riferisce ad una singola esperienza negativa, o a due, o a tre; ma rimanda a una categoria pi vasta, che pu abbracciare tutto un certo atteggiamento nei confronti della vita e dellesistente. Un antico Romano si poneva un certo fine, un certo obiettivo; e, se non lo raggiungeva, parlava di spes decepta. Certo, esisteva anche il concetto di taedium, ma meno generico di quel che non si creda: non tanto taedium vitae, quanto piuttosto taedium laboris, per esempio (avversione al lavoro: Quintiliano); oppure taedium belli (disgusto per la guerra: Livio); o, anche, taedium movere sui (rendersi odioso: Tacito). Insomma, la delusione, cos come noi la concepiamo oggi, una cosa tutta moderna: il vuoto esistenziale, il disincanto del mondo; che deriva, s, da singole esperienze negative, ma che poi le generalizza e ne fa un vero e proprio atteggiamento filosofico. La delusione sta dilagando e sta diventando alla moda nei salotti buoni dellintellighenzia, specialmente dallEsistenzialismo in avanti. Non parliamo poi della generazione post sessantottesca, che ha visto crollare uno dopo laltro, e nella maniera pi deludente, tutti i propri miti; e che si adattata alla nuova situazione, dominata da un consumismo becero e da un ritorno al privato in chiave ultra egoistica, con molti rimpianti e con segreta cattiva coscienza. S: la professione del deluso dalla vita una attivit che rende, e oseremmo dire che quasi divenuta dobbligo, fra gli intellettuali i quali, oggi, svolgono la funzione che fu gi di Petronio alla corte neroniana: quella di arbiter elegantiae. Alla generazione dei disperati alla Sartre e a quella dei ribelli alla Cohn-Bendit, succeduta ora una generazione di delusi, di stanchi, di nauseati dalle cose di questo basso mondo; il che non impedisce loro, il pi delle volte, di ritagliarvisi una nicchia pi che confortevole, sfruttando appunto la loro filosofia della delusione. Per fortuna ci sono anche delle voci fuori dal coro, talvolta di personalit autorevoli, che non seguono questo comodo andazzo. Bei tempi, quelli in cui un settimanale popolare senza pretese culturali, come Gente, pubblicava le riflessioni di un filosofo della statura di Nicola Abbagnano; solo pochi decenni sono passati, ma sembra che sia trascorso un secolo. Bei tempi, quelli in cui un editore serio e intelligente, che pubblicava sia libri sia riviste periodiche, sapeva trovare spazio in queste ultime per le migliori penne che scrivessero allepoca (ed era passato gi qualche anno da quando, su Il Corriere della Sera, scriveva un certo Pier Paolo Pasolini). Oggi, sulla stampa periodica popolare, si trovano quasi solo volgarit e sciocchezze. In uno dei suoi articoli, semplici nella scrittura, ma profondi nel contenuto, e quindi popolari nel senso migliore della parola, intitolato Dove ci porta il nuovo pessimismo, Abbagnano svolgeva una acuta riflessione sul fenomeno del pessimismo cronico e alla moda ostentato da tanti, troppi

intellettuali, sia italiani che stranieri (in: N. Abbagnano, La saggezza della vita, Milano, Rusconi, 1985, 30-31): Tutte le strade sembrano portare ad un pessimismo facile e comodo che d lapparenza, a chi lo sostiene, di essere accorto e alla moda. facile infatti giudicare il mondo umano, nella sua totalit, sulla scorta dei fatti di cronaca, dellincertezza e dei conflitti politici, delle difficolt economiche e dellimmoralismo dominante. Ed comodo trarre da questi fatti la linea di condotta della rinuncia e del conformismo. Perch preoccuparsi, lottare difendere i valori della vita quando tutto va male? Meglio acconciarsi alla realt, fare come fanno tutti, occuparsi soltanto dei propri interessi egoistici e vivere giorno per giorno nella ricerca del massimo piacere. E cos i mali in base ai quali si condanna il mondo pessimisticamente, diventano i beni che orientano e dominano la vita dei singoli e delle comunit. Se il vecchio pessimismo, quello difeso dalle religioni e dalle filosofie tradizionali, invitava gli uomini allascetismo, cio alla rinuncia dei beni mondani, il nuovo pessimismo non fa che invitare ala ricerca disordinata e squallida di tali i beni. questo il vicolo cieco in cui vanno a finire certi indirizzi della vitae della cultura contemporanee. Ma finire in questo vicolo cieco significa per luomo chiudersi le porte dellavvenire. La lotta per la vita, che luomo ha ingaggiato da che venuto al mondo, retta dalla speranza, e dal coraggio che la speranza alimenta. Si lotta per lintegrit fisica e morale di se stessi e dei propri cari, per ottenere e difendere il proprio lavoro, per mantenere in vita la comunit sociale e politica cui si appartiene. Si lotta contro il sopruso e la violenza, contro linvidia e la gelosia, per acquistare un minimo di pace e di serenit e per la possibilit di godere delle cose belle che si preferiscono. La lotta per la vita non contente tregue e abbandono perch anche ci che si conquistato si pu perdere da un momento allaltro. Ma appunto per questo la speranza la sua forza maggiore, la condizione essenziale della sua riuscita. Ci che lintelligenza calcolatrice prospetta come una possibilit per lavvenire diventa la meta effettiva dello sforzo umano solo perch mette in opera la speranza attiva e fattiva deluomo. Nella sua forma radicale, la rinuncia alla speranza, la disperazione, porta solo alla distruzione di s, con il suicidio o con la droga. Ed anche nelle peggiori condizioni possibili, luomo si aggrappa alla vita se un barlume di speranza gli si prospetta per lavvenire. La personalit forte, luomo coraggioso non quello che si limita soltanto a vedere il pericolo o la difficolt. quello che conta sulla sua forza per vincerli e spera, appunto, che la sua forza abbia la meglio. Certo, la delusione non solo un gioco, e magari un gioco redditizio per pseudo-intellettuali che scimmiottano, fuori tempo, Humphrey Bogart in Casablanca, occhio spento e piega della bocca allingi, ovviamente con limmancabile sigaretta fra le labbra. anche qualcosa di tremendamente serio per milioni di persone che non si divertono a giocare con essa, o che, quanto meno, non lo fanno consapevolmente; ma che in essa trovano il loro tormento e perfino la loro pi amara e segreta soddisfazione. Una soddisfazione sterile e proibita, certo; ma che farci: qualcosa sempre meglio di niente. Vivere nella delusione angosciante e conduce ad una sorta di tranquilla disperazione, che spoglia il mondo della sua bellezza e lo consegna al grigiore e alla monotonia di ci che non desta pi meraviglia, di ci che non fa mai battere il cuore. Ci deludono le persone; ci deludono le situazioni; ci deludono i luoghi, le professioni e perfino il tempo libero. Le cose non sono come ce leravamo immaginate, come le avevamo a lungo desiderate; insomma, tutta una frana. Eppure, a ben guardare, bisogna pur avere lonest intellettuale di riconoscere che, in moltissimi casi, la nostra delusione la conseguenza inevitabile di un errore di valutazione da parte nostra, di una aspettativa esagerata e, in gran parte, ingiustificata. Si rimane delusi perch ci aspettava qualcosa che non esiste, qualcosa che non era assolutamente realistico attendersi.

Che cosa c di male a sognare una realt pi bella, pi poetica, pi seducente di quella dogni giorno? Nulla; purch si sia ben consapevoli che la cosa comporta dei rischi. Noi possiamo puntare allideale per quanto riguarda noi stessi, nel senso che possiamo sforzarci di lavorare su di noi allo scopo di trascendere la nostra condizione presente ed accedere a un livello superiore di esistenza; ma non abbiamo alcun motivo di aspettarci la stessa cosa dagli altri. Troppo spesso tendiamo a scambiare la realt per i nostri desideri; troppo spesso crediamo di essere in perfetta sintonia con laltro, di pensare e sentire alla stessa maniera, di volere gli stessi obiettivi, mentre le cose stanno altrimenti. Quando, poi, sopraggiunge linevitabile delusione, ci sentiamo feriti, ingannati, traditi; ma, a voler essere veramente onesti, non sono poi molti i casi in cui quel senso di inganno e di tradimento davvero giustificato. La verit che, molto pi spesso di quel che non si creda, abbiamo fatto tutto da soli. Daltra parte, la delusione pu diventare un comodo atteggiamento mentale per giustificare la nostra rassegnazione, il nostro essere rinunciatari e la nostra diffidenza sistematica nei confronti della vita. Agendo cos, per, non facciamo altro che castigare ulteriormente noi stessi: perch ogni porta che chiudiamo davanti a noi, per amarezza o per paura di subire una nuova delusione, una occasione di apertura e una possibilit di essere felici cui volontariamente rinunciamo, e senza nemmeno aver provato a lottare. Certo, aprire delle porte sempre un rischio; e bisogna imparare a farlo con qualche cautela, con qualche accortezza; spalancarle e gettarsi oltre di esse, senza sapere minimamente che cosa vi sia al di l, non una forma di coraggio, ma di follia. E tuttavia, rimane il fatto che solo correndo qualche rischio noi possiamo esperire delle ulteriori possibilit di evoluzione spirituale, di arricchimento della nostra anima. Nulla di ci che ha valore, nella vita, ci viene regalato; ma sempre deve essere il risultato di un impegno, di uno sforzo, di un sacrificio. In questo senso crediamo si possa dire che la delusione un grande setaccio che separa il grano dalla pula e fa la vera differenza tra gli esseri umani. Tutti gli esseri umani, infatti, devono fare i conti con essa, o prima o dopo; ma quello che importa che ne sappiano uscire ancora integri nel proprio equilibrio spirituale, nel rispetto di se stessi e nella capacit di guardare al mondo con stupore, ammirazione e gratitudine. Quelli che si piegano sotto il suo peso, che imprecano e maledicono il mondo, che vanno in cerca dei colpevoli cui addossare la propria delusione, magari per vendicarsi, non hanno superato la prova e accumulano scoraggiamento e amarezza, forse rancore, che condizionano negativamente tutta la loro vicenda terrena. Essi sono gli sconfitti della vita, un esercito sterminato che non raccoglie chi non abbia avuto successo esteriore, ma chi ha mancato loccasione di trasformare le proprie delusioni in fattori di crescita e di consapevolezza spirituale. Questo esercito di sconfitti ammorba laria con le vibrazioni negative che promanano dalle delusioni in esso accumulate: vibrazioni a bassa frequenza che tendono a riprodurre, in una incessante spirale distruttiva, emozioni e sentimenti negativi quali frustrazione, senso di impotenza, rabbia, desiderio di vendetta. Noi tutti, per vivere bene, avremmo bisogno di essere avvolti e carezzati da vibrazioni ad alta frequenza, che solo le energie positive sono in grado di mettere in circolo, attraverso lapertura, lentusiasmo, lo stupore, la gioia, la contemplazione della bellezza. Una sala da concerti ove una folla rapita in estasi ascolta un brano organistico di Bach, una vera e propria sorgente di energie positive e, quindi, di vibrazioni ad alta frequenza. Una folla abbrutita dalla noia, dallansia, dalle preoccupazioni, dalla delusione, come lo quella che si muove nello squallore di una grande citt congestionata dal traffico e resa invivibile da rumori e da odori sgradevoli, rilascia ondate di energia negativa e, perci, di vibrazioni a bassa frequenza, che tendono ad autoalimentarsi incessantemente. Il segreto comprendere che la scelta di vivere allInferno o in Paradiso dipende sostanzialmente da noi stessi. Possiamo coltivare la speranza e la gioia anche in un contesto sfavorevole; e, viceversa, potremmo lasciarci sopraffare dalla delusione e dalla negativit anche in una situazione di per s favorevole. Abbiamo pi potere di quel che non crediamo e, quindi, anche pi responsabilit. 3

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