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L'Ordine dei Frati Predicatori del P.

M.V. Bernadot o.p.


Crediamo fare cosa graditi agli amici domenicani presentare a puntate lopera di M. V. Bernadot
LOrdine dei Frati Predicatori, pubblicata in italiano dalle edizioni IL ROSARIO, Firenze, nel
1958.
La versione che presentiamo non pi quella del P. G. Nivoli o.p., ma stata ampiamente ritoccata.
Premettiamo uno schizzo biografico del padre Bernadot, curato da p. Giorgio Carbone o.p., pubblicato
congiuntamente a una recente traduzione italiana di unaltra opera del p. Bernadot: DallEucaristia alla
Trinit (ESD, Bologna 2004), che raccomandiamo a tutti coloro che desiderano trarre giovamento dalla
Comunione sacramentale.

Presentazione del p. Bernadot


Marie Vincent Bernadot sicuramente molto noto in Francia, ma quasi sconosciuto in Italia. Perci mi
sembra utile presentare brevemente prima la sua personalit e poi questo suo piccolo libro che esercit un
influenza decisiva nella vita cristiana di molti francesi.
Chi Marie Vincent Bernadot
Marie Vincent Bernadot nacque il 14 giugno 1883 nella diocesi di Montauban, una citt a 50 Km a nord di
Tolosa. Dopo essere diventato sacerdote, nel 1906, e vicario della sua diocesi, nel 1912 a ventinove anni
chiese di entrare nellOrdine dei Frati Predicatori attratto soprattutto dalla vita contemplativa. Entr nel
noviziato di san Domenico di Fiesole e poi prosegu i suoi studi teologici a Roma presso lAngelicum.
Ritornato nella sua provincia religiosa, cio la Provincia Tolosana, fu assegnato al convento di
SaintMaximin in Provenza, di cui fu pi volte priore. Durante questi suoi primi anni di vita domenicana
pubblic, grazie allaiuto finanziario di alcuni laici domenicani, due dei suoi pi famosi libri:
DallEucaristia alla Trinit e LOrdine dei Frati Predicatori.
La Vie Spirituelle
Il successo notevole di questi due libri e la triste constatazione della rapida diffusione delle dottrine
materialiste e anticristiane spinsero Bernadot a impegnarsi in unimpresa molto pi ampia e durevole, la
pubblicazione della rivista La Vie Spirituelle, originariamente mensile. Il suo primo numero comparve il 10
ottobre 1919; nelleditoriale Bernadot delineava con precisione il suo programma: Nel momento in cui il
mondo, sconvolto da spaventose sventure, si impegna a restaurare immani rovine e ognuno proclama la
pressante necessit di unazione vigorosa, forse arrivata lora di volgersi ai misteri pi alti e pi intimi
della fede e predicare la vita interiore? Noi abbiamo pensato di s. [...] Se la nostra generazione
profondamente attratta dalle dottrine materialiste che la degradano nel disprezzo dei suoi interessi
spirituali, pi che necessario ricordare costantemente il nostro fine soprannaturale e i mezzi per
raggiungerlo. Bernadot vuole condurre i suoi lettori ad abbandonare la conoscenza superficiale della fede
cristiana per elevarli alla conoscenza, pi approfondita possibile, precisa e pratica, di Dio e dei misteri che
la sua grazia santificante compie in noi: Quanti pochi cristiani e anche quante poche persone pie si
nutrono di ci che la vera vita, del senso profondo dei misteri dellIncarnazione, della Redenzione,
dellEucaristia, dellinabitazione della Santissima Trinit in noi! Una conoscenza seria di Dio necessaria
per il progresso spirituale. Nessuna piet profonda per chi conosce i misteri divini solo in modo
superficiale senza penetrare le formule di fede. Quanto pi unanima si decide a servire Dio, tanto pi deve

impegnarsi a conoscerlo.
Con questa sua rivista Bernadot dar vita a una corrente di spiritualit incentrata soprattutto sulla realt
della grazia santificante e ricondotta alle sue pi autentiche fonti, cio la Sacra Scrittura, i Padri della
Chiesa e i testi dei grandi mistici: san Tommaso dAquino, Taulero, Susone, santa Caterina da Siena, santa
Teresa dAvila.
Il nostro frate domenicano riusc brillantemente in questa grande impresa grazie alla preziosa e costante
collaborazione di molti confratelli, tra cui il francese Garrigou Lagrange e lo spagnolo Arintero.
La Vie Intellectuelle
Un evento decisivo nella vita di padre Bernadot, quasi una seconda conversione, fu la condanna dellAction
francaise, un movimento positivista fondato da Maurras che aveva largo seguito presso i cattolici francesi.
Lo stesso Bernadot non aveva mai nascosto le sue simpatie per lAction franaise. Tuttavia, dopo che il
Papa Pio XI condann severamente questo movimento il 29 dicembre 1926, egli apri gli occhi e ne scopri
gli aspetti anticristiani. Subito si mise allopera e insieme a due suoi confratelli, Lajeunie e Doncoeur, a
Maritain, Lallement e Macquart, pubblic Perch Roma ha parlato, un libro in cui veniva documentato
perch le idee dellAction francaise erano inconciliabili con la fede cattolica.
A partire da questo momento Bernadot ide il progetto di una nuova rivista, La Vie Intellectuelle, che
prolungasse nel tempo le idee di quello scritto e che diffondesse in Francia linsegnamento del sommo
Pontefice.
Fin dal 1927 il Maestro dellOrdine, Garcia de Paredes, incoraggi Bernadot a inaugurare questa seconda
rivista scrivendogli che: Bisogna esporre i punti della dottrina cattolica che illuminano queste questioni
(quelle che la vita moderna pone in modo cos aspro) e cos risolvere alla luce della Verit sempre viva
poich il Verbo di Dio i grandi problemi della vita individuale, familiare, sociale, politica, letteraria e
artistica, nella soluzione dei quali generalmente si mette pi passione che logica. Jacques Maritain diede
un contributo insostituibile alla fondazione di questa rivista: trov i primi collaboratori, ide le rubriche,
scrisse molti articoli e soprattutto ne guid la linea editoriale nei primi anni.
I preparativi per il lancio de "La Vie Intellectuelle" si svolsero tra il 1927 e il 10 ottobre 1928, data in cui
apparve il primo numero. Furono mesi molto entusiasmanti e ricchi di idee, ma, come in ogni impresa
voluta da Dio, non mancarono le croci, le amarezze e i contrasti. Il Papa Pio XI e il nunzio a Parigi, Mons.
Maglione, futuro cardinale segretario di Stato, applaudirono il progetto. Il Maestro dellOrdine, Paredes, in
un primo tempo incoraggi Bernadot, mentre successivamente sembra che non sia riuscito a garantirgli la
libert di inaugurare e dirigere la rivista nel suo Convento di SaintMaximin. Probabilmente in quei mesi
nacquero delle profonde divergenze su questa progettata rivista, per cui il Papa in persona trasfer Bernadot
dalla Provincia Domenicana di Tolosa, che corrisponde alla Francia meridionale, a quella di Parigi.
Finalmente la rivista vide la luce, inizi a guadagnare un numero crescente di lettori e soprattutto a
realizzare con tenacia i suoi propositi: far conoscere il magistero pontificio, giudicare alla sua luce gli
eventi, criticare alla luce del Vangelo sia il capitalismo liberale che il comunismo marxista, reintrodurre la
morale nella vita politica, promuovere unazione dei cattolici che non si lasciasse corrompere da una
preferenza politica e educare a una piet non individualista, ma fortemente ecclesiale.
Le Edizioni Cerf
Molte tra le persone che collaborarono strettamente con padre Bernadot ammiravano in lui non solo il
profondo spirito di preghiera e lo slancio apostolico, ma anche la sua tenacia, la sua perseveranza, per non
parlare della sua natura sognatrice, della sua caparbiet e della sua audacia, che, se anche a uno sguardo
puramente umano potevano sembrare manifestazioni di incoscienza un po infantile, si rivelano, invece,
con il passare del tempo delle straordinarie qualit messe a servizio di Dio e della sua Chiesa.
Infatti, allinizio del 1927 chi avrebbe mai immaginato che dopo neanche due anni il padre Bernadot
avrebbe fondato addirittura una casa editrice destinata a diventare la pi grande casa editrice tra quelle
cattoliche a livello mondiale?

L11 ottobre 1929, a Juvisy, nella periferia di Parigi, nacque la casa editrice Cerf che nei suoi primi dodici
anni di vita fu diretta e animata da padre Bernadot e che pu vantare dei grandi meriti nella promozione
della cultura cristiana anche al di fuori dellarea francofona.
Gli ultimi anni della sua vita
Pio XI appena deceduto. I ricordi riaffiorano nella mia memoria. Egli ha avuto uninfluenza decisiva
nella mia vita almeno negli ultimi dieci anni: ecco quanto padre Bernadot scriveva nel suo diario
allindomani del 10 febbraio 1939. Tutte le grandi imprese editoriali di Bernadot, infatti, furono permeate e
orientate dal grande pensiero di questo Papa. Gi nel 1930 Pio XI nel corso di unudienza privata invit
padre Bernadot a fondare un settimanale, raccomandando anche di fare degli articoli incisivi e corti, che
colpiscono per la loro brevit e chiarezza, perch diceva il Papa nel nostro secolo lattenzione si stanca
presto.
Questo settimanale prender il nome di Sept e vedr la luce soltanto nel marzo del 1934. I suoi obiettivi
saranno gli stessi de La Vie Intellectuelle ma trattati in modo pi giornalistico e rivolti a un pubblico pi
vasto.
Fin dai suoi inizi, Sept entr nel vivo delle questioni politiche e sociali pi accese suscitando numerosi
dibattiti e polemiche, come quando prese posizione sulla guerra dEtiopia e sulla guerra civile spagnola.
Improvvisamente, ii 27 agosto 1937, Pio XI ordin di sospendere la pubblicazione di questo settimanale.
Ancora oggi gli storici discutono sulle ragioni precise di questa scelta del Papa. Tuttavia, padre Bernadot e
1quipe di Sept obbedirono con fedele umilt.
Nonostante questa prova e la sua malattia, padre Bernadot continu a servire appassionatamente la Chiesa e
il Papa attraverso il suo apostolato diffondendo ancora una volta le verit pi feconde della fede mediante
un piccolo libro che ebbe subito un enorme diffusione, La Madonna nella mia vita, e poi con la nuova
rivista La Vie Chrtienne avec Notre Dame.
Intanto la sua malattia si aggravava: scoppiata la guerra, Bernadot si ritir a LabastideLveque, un piccolo
villaggio nella sua regione natale. Consacr le sue ultime forze allevangelizzazione di quella zona, deciso
a non rifiutare alcuna occasione pur di predicare il Vangelo di Cristo e rendere servizio a tutti con grande
generosit, anche nei compiti pi semplici, come fare catechismo, sostituire per alcuni giorni un parroco
assente, celebrare un battesimo.
La paralisi lo colp progressivamente, facendogli perdere luso della parola e lespressivit del volto.
Soltanto la sua intelligenza rimase lucida fino alla fine e con il suo sguardo luminoso pot continuare a
manifestare la sua ardente comunione con la Trinit che aveva vissuto e predicato durante tutta la sua vita.
Mori il 25 giugno 1941.
Fu un grande spirituale e un grande uomo di azione, nonostante la malattia che lo consumava rendendolo
talvolta febbricitante o suscettibile; aveva gli occhi puntati verso il cielo e, cosa rara nellOrdine di san
Domenico, i piedi per terra, con una specie di buon senso appassionato che lo rendeva invincibile.
DallEucaristia alla Trinit
DallEucaristia alla Trinit stato il primo libro scritto da padre Bernadot nel 1917. In esso possiamo
ritrovare sintetizzate tutte le idee che saranno successivamente sviluppate dalla rivista La Vie Spirituelle.
Con grande realismo e precisione teologica Bernadot propone a tutti i cristiani, anche ai laici che vivono
immersi nelle occupazioni pi assorbenti del mondo, la contemplazione, che la pi autentica vita della
Chiesa.
Allora, come oggi, il materialismo e il paganesimo erano dilaganti sotto varie forme. Perci Bernadot
avverte lurgenza di predicare attraverso i suoi scritti i misteri pi alti della fede cristiana, cio la grazia
santificante, le missioni divine nellanima umana, la presenza della Trinit in noi, lunione e la
trasformazione che lEucaristia produce in noi. Egli mostra come tutte queste verit non sono astratte, ma
anzi, quando sono comprese nella loro stupefacente bellezza, sono in grado di orientare e trasformare la
nostra vita. Sono, perci, verit altamente pratiche che ci rendono capaci di ricapitolare tutte le cose in

Cristo (Ef 1, 10).


Molti, a quel tempo, ritenevano che la contemplazione, lunione con Dio, e gli altri aspetti della vita
mistica fossero riservati esclusivamente ai religiosi e ai sacerdoti. Bernadot, invece, insiste nellintrodurre
tutti i cristiani, nessuno escluso, alla contemplazione e alle verit della vita mistica. Anzi insegna che solo
la vita mistica costituisce lessenza della vita cristiana.
Possiamo segnalare anche un altro grande merito di questo piccolo libro: ci fa uscire dal pericolo di vivere
lEucaristia in modo intimistico o individualistico. Innanzitutto perch insegna che grazie allEucaristia
entriamo in una comunione sempre pi stretta con Cristo stesso, e quindi con il suo Corpo mistico che la
Chiesa. E in secondo luogo, perch lEucaristia non solo un incontro personale con Ges Cristo, Risorto,
Sposo, Salvatore e Signore, ma devessere considerata in un contesto molto pi vasto, anzi infinito e
grandioso, perch lincontro con tutta la Santissima Trinit.
Bernadot parla sempre dellEucaristia e della comunione eucaristica, e con ci sembra riferirsi solo al rito
della comunione, cio allultimo momento della Liturgia eucaristica. Non c alcun riferimento alla
Liturgia della Parola, la quale insieme alla Liturgia eucaristica costituisce un solo atto di culto reso a Dio.
Come anche manca qualche riferimento agli altri due momenti della Liturgia eucaristica, cio il rito
delloffertorio in cui vengono preparati il pane e il vino, e la preghiera eucaristica in cui il pane e il vino
sono consacrati o santificati.
La riforma liturgica e la Costituzione sulla divina Liturgia del Concilio Vaticano II hanno rivalutato
limportanza della presenza di Dio mediante la Liturgia della Parola e hanno messo in evidenza che tutta la
celebrazione eucaristica, cio tutta pervasa dallatteggiamento del rendere grazie a Dio per i suoi doni
innumerevoli, ma soprattutto per il mistero della salvezza in Cristo che si rende presente nella stessa
celebrazione. Tutti i momenti della celebrazione sono altrettanto importanti perch in ognuno di essi il
fedele chiamato a vivere la propria partecipazione attiva alla Messa. Infatti, la Chiesa ha una
sollecitudine speciale perch i fedeli non assistano come estranei o muti spettatori a questo mistero di fede,
ma, comprendendolo bene per mezzo dei riti e delle preghiere, partecipino allazione sacra
consapevolmente, piamente e attivamente, siano istruiti sulla Parola di Dio, si nutrano alla mensa del Corpo
del Signore, rendano grazie a Dio, offrendo lostia immacolata, non solo per le mani del sacerdote, ma
insieme con lui imparino ad offrire se stessi, e di giorno in giorno siano perfezionati, per mezzo di Cristo
Mediatore, nellunit con Dio e tra di loro, cosicch Dio sia finalmente tutto in tutti.
Tuttavia, nonostante che padre Bernadot abbia concentrato la sua attenzione sullultimo momento della
Liturgia eucaristica, il suo messaggio non ha perso la sua attualit. Esso pu essere facilmente applicato
allEucaristia, considerata in tutti i suoi momenti, e ci educa a partecipare in modo attivo e pieno alla sua
celebrazione per trovare in essa la fonte autentica e inesauribile della nostra vita spirituale e di ogni nostro
impegno apostolico.
Inoltre, il pensiero di Bernadot ha il grande merito di sottolineare come il fine ultimo dellEucaristia sia
quello di introdurre ogni credente in quel grande ed eterno movimento di lode e glorificazione di cui Cristo
Capo e Sommo Sacerdote.
E infine, chi mai in cos poche pagine stato capace di introdurci al mistero di Cristo in noi, del Cristo
totale costituito da Ges e dalla sua Chiesa, con una tale sicurezza dottrinale e con un tale slancio di gioia?
Padre Giorgio Carbone o.p, Bologna, 22 luglio 2004
p. M.V. Bernadot o.p.

L'ORDINE DEI FRATI PREDICATORI


Capitolo preliminare
Le origini domenicane
Prime origini
Le prime origini dellOrdine dei Predicatori risalgono allanno 1203.

Durante lestate di quellanno, Alfonso IX re di Castiglia mand Diego dAzevedo, Vescovo dOsma, come
ambasciatore presso il Signore della Marca (Danimarca) per chiedere la mano di sua figlia per il proprio
figlio Ferdinando.
Diego prese per compagno di viaggio il Priore del suo Capitolo riformato, Domenico di Guzman, al quale
era stretto da una forte e santa amicizia.
Appena varcati i Pirenei, i due viaggiatori si trovarono in pieno paese deresia, poich leresia albigese
infestava allora il mezzogiorno della Francia. A Tolosa Domenico saccorse che lospite che li riceveva era
un sostenitore della dottrina eretica.
Subito, come racconta il B. Giordano di Sassonia, si dest nella sua anima apostolica il desiderio di
ricondurre sul retto sentiero quel povero traviato. E non fu cosa facile, poich per una notte intera
Domenico dovette discutere, confutare, esporre. Ma se leretico era profondamente radicato nel suo errore,
il Priore dOsma era un santo, ed difficile cosa resistere ai santi.
Quando spunt lalba, leretico aveva ceduto allincanto irresistibile delluomo di Dio e, sconfessando il
suo errore, professava la fede cattolica.
Domenico di Guzman aveva allora circa trentatr anni ed era figlio duna famiglia spagnola molto illustre.
Ma era pi nobile ancora per le virt che praticava fin dalla pi tenera infanzia, in particolare per una
raggiante purezza e per un vivo amore allo studio. Possedeva una chiara intelligenza e una volont forte.
Egli era una di quelle anime nelle quali i pi ricchi doni di natura, fecondati da unalta santit, sono
eccezionale strumento dei pi rari disegni della Provvidenza.
Dio volle ben presto ricompensare lo zelo del suo servitore con una luce che gli fece conoscere il suo
futuro, e gli mostr lopera per la quale egli laveva scelto. Infatti, come assicura Bernardo Guy, fin da
quel momento, il beato Domenico nutr nel suo cuore il progetto di dedicarsi alla salute degli infedeli e di
fondare un Ordine di predicatori per evangelizzare i popoli.
Da quel momento tutta la vita di S. Domenico fu occupata da questo gran disegno: la fondazione
dellOrdine dei Predicatori.
Quando, nel 1205, al ritorno da un secondo viaggio e dopo un soggiorno nella Citt eterna, i due pii
viaggiatori ritornarono nel mezzogiorno della Francia, sincontrarono alle porte di Montpellier coi Legati
del Papa, Arnaldo Amalrico, abate di Citeaux, e i monaci Pietro e Raoul. Da parecchi anni i missionari
pontifici si sforzavano di ricondurre alla Chiesa queste belle province meridionali divenute, nel centro della
Cristianit, un focolare permanente di torbidi e di disordini. Ma senza risultato. I pi perseveranti sforzi dei
Legati fallirono davanti alla tenacia degli eretici e davanti allindifferenza e qualche volta alla complicit
del clero. LAbate di Citeaux lo confessava tristemente: Ogni volta che noi vogliamo esortare gli eretici,
questi ci rinfacciano la vita colpevole degli ecclesiastici. Essi ci dicono: Correggeteli! Altrimenti non venite
a predicarci.
Il B. Giordano aggiunge che i Legati, per stanchezza e per disgusto, volevano rinunziare alla missione che
il Papa aveva loro affidato.
Larrivo del Vescovo dOsma e di S. Domenico cambi faccia alle cose.
I Legati chiesero il loro consiglio sul proseguimento della missione. E il Vescovo rispose esprimendo non
solo il proprio pensiero, ma anche il sentimento intimo del suo amico Domenico: Fratelli miei, non cos
bisogna procedere, additando laccompagnamento magnifico dei prelati, il lusso dei loro vestiti e delle loro
cavalcature. Voi non ricondurrete alla fede, con discorsi, uomini che sappoggiano su esempi. Gli eretici,
per guadagnare i semplici, si coprono delle apparenze della santit, della povert e della penitenza
evangelica. Lo spettacolo della vostra vita del tutto opposta alle esigenze evangeliche non edificher per
nulla, anzi distrugger assai. Nessuno si arrender. Cavate un chiodo con un altro: mettete in fuga una
santit di apparenza con le pratiche duna sincera religione.
Quali consigli dunque ci date voi, ottimo Padre?, dissero i Legati.
- Fate come faccio io, riprende il santo Vescovo. Subito lo Spirito di Dio lo invade, chiama il suo seguito
e rimanda in Spagna la sua gente, i suoi equipaggi e i suoi bagagli.
Tiene con s alcuni chierici, tra i quali Domenico, che egli amava duna speciale predilezione, e dichiara
che intende rimanere nel territorio per predicare la fede.
Diego e Domenico cominciarono subito allevangelizzazione degli eretici, accompagnandola con la pratica

duna perfetta rinuncia e vita evangelica.


Il grande progetto di S. Domenico cominciava a prender corpo. Ma lattuazione completa procedeva con
estrema lentezza e in mezzo a difficolt che avrebbero scoraggiato una volont meno temprata della sua.
Alcuni mesi dopo, il Vescovo rientr nella Spagna e mor, lasciando al suo amico la direzione della santa
Predicazione.
Colui che fu dallora in poi chiamato Fra Domenico si dedic per dieci anni, dal 1206 al 1216, alla
conversione degli eretici. E non risparmi alcun sacrificio.
Consacrando il giorno alla predicazione e la notte alla preghiera, ricorrendo alle pi aspre penitenze, per
fecondare la sua parola di fuoco, egli non cess di percorrere, umile, povero e a piedi nudi, le regioni del
mezzogiorno.
Per meglio illuminare popolazioni ingannate da ministri scaltri e colti, organizz conferenze coi capi
albigesi e disput vittoriosamente contro di essi a Servian, Bziers, Carcassonne, Pamiers, Verfeil,
Montral, Fanjeaux e in altre citt in cui spesso sunivano i miracoli ad appoggiar la forza della sua parola.
Apparentemente i risultati non risposero al suo zelo e alla sua eroica virt. Dovette sopportare molti
oltraggi e minacce, e la sua vita fu molte volte in pericolo. Del resto la Crociata, resa necessaria dagli
eccessi eretici e scatenata dal 1208 al 1215, era ben lungi dal favorire il suo ministero d pace. I cuori,
esacerbati dalla dure repressione dei crociati, diventavano ancora pi ribelli.
In mezzo a questingrata fatica, S. Domenico non perdeva di vista il grande progetto formato nel 1203. Da
quando entr nella Linguadoca fino alla sua morte (1203-1221), non ebbe che un pensiero: la fondazione
dun Ordine di Predicatori. Tutti i suoi passi, i suoi viaggi, i suoi sforzi sono guidati da questo fine, voluto e
ricercato con una chiarezza dintelligenza e con una perseveranza di volont, che fecero scrivere a storici
del nostro tempo che il Fondatore dei Predicatori fu un gran politico. Egli era soprattutto un Santo
appassionato di amor di Dio e delle anime e questo amore, aiutato dalle rare qualit naturali, lo rese capace
di concepire e di realizzare un gran disegno.
Fin dai primi giorni il suo scopo fu ben definito: fondare un Ordine di Predicatori, il cui apostolato si
esercitasse con lesempio della vita e della rinunzia evangelica e con la predicazione della dottrina.
Nel corso dei suoi lunghi viaggi e del suo laborioso apostolato in un paese eretico, egli si era reso conto dei
gravi pericoli che minacciavano allora la societ cristiana e che il clero era incapace di scongiurare. Per
venir in soccorso alla fede minacciata, egli volle fondare un Ordine di apostoli.
Era un progetto del tutto nuovo nella Chiesa.
Fino allora i chierici regolari e i monaci si erano raggruppati attorno ad una chiesa particolare, di cui erano
i ministri ordinari, e sotto lautorit immediata del Vescovo o dellAbate conducevano vita comune nella
pratica della rinunzia perfetta.
S. Domenico, per primo, form il progetto di un Ordine extragerarchico, e cio di una societ di religiosi
che, abbracciando pienamente la vita di penitenza e di contemplazione istituita dagli Apostoli, si
consacrasse allapostolato sotto la diretta giurisdizione del Romano Pontefice.
Essi non sarebbero stati n i chierici di un determinato Vescovo n i monaci di un determinato Abate, ma i
missionari e i teologi del Papa. Essi avrebbero fatto udire la sua voce dovunque egli avesse giudicato utile
affidar loro la difesa della verit.
Avrebbero formato un Ordine essenzialmente apostolico, lOrdine della predicazione universale,
immediatamente soggetto al Sommo Pontefice e da lui inviato in tutto il mondo per istruire i fedeli,
convertire gli eretici, difendere la fede nelle nazioni cristiane e portarla ai popoli non ancora evangelizzati.
Fondazione e approvazione
cosa notevole che un progetto cos nuovo nella Chiesa sia stato concepito subito con una tale limpidezza
di vedute che non ci sia stato bisogno di ritocchi in seguito.
Nel medesimo periodo di tempo si formarono nella Chiesa altre societ religiose che con landar del tempo
presero una parentela spiccata con lOrdine dei Predicatori. Ma nelle loro origini furono tutte fraternite
laiche che, per mescolarsi utilmente al movimento ecclesiastico, dovettero evolversi pi o meno verso la
forma clericale immediatamente adottata dal Padre dei Predicatori.

Degli Ordini religiosi fondati in quella medesima epoca, solo quello di S. Domenico fu sin dal suo nascere
costituito con gli elementi necessari allesercizio dellapostolato, cos come lo esigevano i bisogni della
societ cristiana.
Ci dipese senza dubbio dal genio organizzatore di S. Domenico, ma anche, impossibile dubitarne, dalla
stretta unione colla Chiesa romana, con la quale il Fondatore si tenne in stretta relazione fin dai primi anni.
Per il periodo di sedici anni, dal 1205 al 1221, durante i quali S. Domenico matur ed esegu il suo disegno,
egli fece per ben sei volte il viaggio a Roma per tenere informati i due grandi Papi che occupavano allora la
Sede di Pietro.
Fino a qual punto Innocenzo III e Onorio III contribuirono a precisare il progetto del Priore dOsma? Qual
la loro parte personale nellispirazione della sua opera?
In assenza di documenti espliciti, impossibile verificarlo.
Ma noi sappiamo, per esempio, che quando il Concilio del Laterano, vietando di fondare nuove
congregazioni religiose, parve condannar a morte la fondazione domenicana, fu il Papa stesso che consigli
S. Domenico di mettere i suoi progetti in armonia coi decreti del Concilio ponendosi al sicuro sotto la
Regola di SantAgostino.
In ogni caso il Papato approv gli sforzi di S. Domenico con una decisione e con un calore cos poco
abituale alle lentezza e al riserbo romano, che evidente chesso conosceva a fondo lopera nuova e gli
dava piena fiducia.
Infatti Innocenzo III, fin dal 17 novembre 1206, con lettere ai suoi Legati in Linguadoca, costituisce
Domenico e i suoi compagni Predicatori apostolici. Si trattava di un metodo di vita del tutto nuovo nella
Chiesa.
Il gruppo dei missionari era dei pi umili; Erano poco numerosi: pauci, scrive il B. Giordano di Sassonia. E
ben presto S. Domenico rimase anche pressoch solo.
A forza di perseveranza e solamente dopo nove anni, egli pervenne a raccogliere un piccolo numero di
discepoli, una dozzina circa, che egli radun a Tolosa, fondando cos il primo convento, il 25 aprile 1215
Sembra che la Chiesa non attendesse che questa fondazione, per raccomandar pubblicamente la nuova
milizia.
Alcune settimane dopo, in luglio, il Vescovo Folco approva canonicamente, per la sua diocesi di Tolosa,
lOrdine appena nato con lettere che ci fanno vedere come il carattere dellOrdine fosse gi formato: Noi
istituiamo Fra Domenico e i suoi compagni come Predicatori, per estirpare leresia, lottare contro il vizio,
insegnare la regola della Fede, diffondere i buoni costumi. Essi hanno deciso di vivere nella povert
evangelica e di andare a piedi ad annunziare la parola di Dio.
Nellagosto 1216, al ritorno da Roma, e per consiglio dInnocenzo III, Domenico riunisce a Prouille i suoi
frati (erano allora sedici), e daccordo con loro adotta la Regola di SantAgostino, cui aggiunge delle
Costituzioni pi strette riguardo al cibo, ai digiuni, ai letti e ai vestiti, il cui fondo era improntato ai
costumi dei Canonici Premostratensi, che erano allora il ramo pi diffuso dellOrdine canonicale.
Le nostre Costituzioni scrive il B. Umberto furono estratte dalle Costituzioni Premostratensi. E questa
scelta giusta, perch i Premostratensi riformarono e perfezionarono la Regola di SantAgostino, come i
Cistercensi quella di S. Benedetto. In questa religione essi tengono il primo posto per lausterit della loro
vita, per la bellezza delle osservanze, per il prudente governo duna moltitudine di religiosi mediante
capitoli generali e visite canoniche.
Da ci viene che il beato Domenico e i primi Frati, non avendo potuto ottenere dal Papa la regola nuova e
austera che il loro fervore desiderava, scelsero la Regola di SantAgostino e molto giustamente presero
dalle Costituzioni di quelli cherano i primi nellOrdine canonicale ci che essi vi trovarono di austero, di
bello e di prudente, che poteva convenire al loro scopo: quod arduum, quod decorum, quod discretum.
Non contenti di questo, i Predicatori aggiunsero altre osservanze e nei loro capitoli annuali non cessano
daggiungerne, perch essi desiderano tenere il primo posto tra coloro che seguono la regola di
SantAgostino tanto per linsegnamento e per la predicazione quanto per la santit di vita.
Dopo il convegno, il Fondatore riprese la via di Roma, per ricevere, questa volta, il 22 dicembre 1216, la
bolla pontificia che approvava solennemente lOrdine dei Predicatori: Onorio, vescovo, servo dei servi di
Dio, ai suoi cari figli Domenico, priore di S. Romano di Tolosa e suoi frati presenti e futuri che fanno

professione di vita regolare... Noi acconsentiamo con gioia alle vostre giuste domande, e col presente
privilegio Noi riceviamo sotto la protezione del beato apostolo Pietro e sotto la nostra, la Chiesa di S.
Romano di Tolosa, nella quale vi siete consacrati al servizio divino. Noi stabiliamo che lOrdine
canonicale fondato in codesta chiesa secondo Dio e la Regola di SantAgostino vi sia perpetuamente e
inviolabilmente mantenuto....
Un mese dopo, il 21 gennaio 1217, una bolla molto entusiastica venne a recare a S. Domenico e ai suoi
Frati un nuovo incoraggiamento e a dar loro il titolo che li distinguer nella Chiesa: Onorio, vescovo,
servo dei servi di Dio, ai suoi cari figli, Predicatori nel paese di Tolosa.
S. Domenico rientra in Francia e il 15 agosto 1217 riunisce una seconda volta i Frati a Prouille. Ladunanza
si apre nella gioia: il dolcissimo Padre, come i suoi amavano chiamarlo, era ritornato recando le
benedizioni del Padre comune dei fedeli, lOrdine era fondato, approvato, caldamente raccomandato a tutti
i Vescovi in comunione colla Chiesa romana.
La dispersione
Ma ladunanza termin come nessuno aveva previsto.
Dopo aver di nuovo ricevuta la professione dei Frati, il beato Domenico si mise ad espor loro i grandi
progetti che aveva concepiti per lestensione dellOrdine. Poi facendo sue le parole del Salvatore: Andate
disse loro nel mondo intero a predicare il Vangelo ad ogni creatura! Voi ancora non siete che un piccolo
gregge, ma ecco chio ho gi formato nel mio cuore il disegno di disperdervi. Voi non abiterete pi a lungo
insieme in questa casa.
E annunzia che sta per disperderli nel mondo.
Erano sedici!
Attorno al Fondatore, tutti furono concordi ad accusarlo dimprudenza. Nessuno comprese larditezza del
suo disegno. I suoi migliori amici, il vescovo Folco, Simone di Monfort, gli mettevano sottocchio il
pericolo che si correva a disperdere unopera che cominciava appena: dividerla era un rovinarla.
Ma il beato Domenico racconta Giordano di Sassonia era fermo nei suoi disegni, e raramente gli accadeva
di ritornar sopra una parola che aveva detto dopo averci maturamente riflettuto dinanzi a Dio. In quel
momento agiva sotto lispirazione dello Spirito di Dio, che gli faceva gettare sopra lavvenire uno sguardo
profetico:
Miei Signori e Fratelli, rispose egli a Folco e a Simone non vi mettete in opposizione con me. Io so quello
che faccio. Quando si conserva il grano ammucchiato, si corrompe; ma fruttifica quando si semina.
E tranquillo, in nome di Dio, egli divide lEuropa tra i suoi sedici compagni: Natale e Guglielmo Claret
conserveranno la direzione di Prouille. Pietro e Tommaso Cellani rimarranno a S. Romano di Tolosa.
Quattro altri, suoi connazionali, Pietro di Madrid, Michele di Uzero, Domenico di Segovia, Suero Gomez
ritorneranno nella Spagna. Matteo di Francia, Mannes, Michele de Fabra, Bertrando di Garriga, Lorenzo
dInghilterra, Giovanni di Navarra, Oderico di Normandia andranno a Parigi.
E benedicendoli, dice loro: Andate a piedi, senza danaro. Non vi curate mai del domani. Mendicate il
vostro cibo. Io vi prometto che mai non vi mancher il necessario, ed ogni giorno vi sosterr colle mie
preghiere.
Ed egli stesso, conducendo con s come compagno Stefano di Metz, riprende ancora la via di Roma, questa
volta al fine di fissarvi la sua residenza e scegliere per capitale dellOrdine il centro stesso dellunit
cattolica.
LOrdine dei Frati Predicatori era definitivamente fondato.
M. V. BERNADOT, O.P.

LORDINE DEI FRATI PREDICATORI


Continua la pubblicazione dellopera del p. Bernadot.
Abbiamo pensato di pubblicarne ogni settimana un punto breve ma incisivo, come voleva Pio XI, per
non stancare i lettori e nello stesso tempo per fornire loro un nutrimento costante.
La periodicit mensile troppo distanziata e fa dimenticare il filo del discorso.

Osiamo proporre un consiglio: sarebbe cosa bella determinare giorno e ora della settimana per leggere
e per meditare il testo del p. Bernadot. Diversamente c il rischio che si legga in fretta e lo si accantoni.
Oppure: tira gi il testo, e poi leggilo con comodo, quando ritieni pi opportuno. Al termine ti troverai
un mano un bel libro.

Parte prima
LA PREPARAZIONE ALLAPOSTOLATO
Introduzione
1. Il carattere apostolico dellOrdine
Il Frate Predicatore, per volont di S. Domenico e per lapprovazione della Chiesa, votato al ministero
apostolico. Per amor di Dio egli impiega la sua vita nel salvare le anime.
Ma dovendo scegliere tra innumerevoli opere di carit spirituale, egli ne adotta una come scopo speciale
della sua vocazione: la salvezza delle anime (la salus animarum) mediante la predicazione della dottrina
evangelica.
Il suo primo desiderio quello di dare la verit alle anime, a tutte le anime: ai vicini, esponendo le
ricchezze della fede; ai lontani, cercando di illuminarli e di ricondurli sulla via della salvezza; e anche a
coloro che non hanno ancora ricevuto lannunzio del vangelo e vivono nellerrore. Il Frate Predicatore
essenzialmente un apostolo.
Al dire di S. Tommaso dAquino, fra tutte le opere di carit, la pi perfetta quella che si occupa della
salute spirituale del prossimo. Essa ben pi utile che il soccorso ai bisogni corporali. unopera che
eccelle su tutte le altre, come lanima eccelle sul corpo. Pi di tutte essa mostra la gloria di Dio, il quale
nulla tanto gradisce quanto la salvezza delle anime1.
LOrdine apostolico.
2. In quale senso lordine domenicano apostolico
Ma bisogna intendere bene questo termine apostolico, e conservargli il senso che gli sempre stato dato.
Solo a questa condizione si pu comprendere il carattere specifico dellOrdine domenicano.
Da tempo invalso luso di classificare le varie societ religiose in istituti di vita attiva, dedicati, per
esempio, alla cura dei malati, allinsegnamento, alla predicazione; istituti di vita contemplativa, totalmente
dati alle cose divine; finalmente istituti di vita mista, il cui scopo la contemplazione che fruttifica per
mezzo dellapostolato. E a questi ultimi i teologi riservano il nome di apostolici.
Secondo la dottrina comune che S. Tommaso ha precisato con la sua consueta chiarezza e profondit, gli
istituti dati alla contemplazione vanno collocati sopra le congregazioni di vita attiva, perch la
contemplazione superiore alle opere esterne. E al di sopra di essi, vanno posti gli istituti di vita mista o
apostolici. Infatti, dice langelico Dottore, come pi perfetto illuminare che splendere soltanto2. La
vita mista o apostolica pi completa di quella del puro contemplativo. Essa ha insieme la perfezione della
vita attiva e la perfezione della vita contemplativa.
Come gi abbiamo detto, S. Domenico fond un Ordine di vita mista o apostolica. Da ci derivano
importanti conclusioni:
Anzitutto la predicazione e linsegnamento non sono direttamente lo scopo dellOrdine, perch se
linsegnamento e la predicazione non derivano dalla pienezza della contemplazione, al dire di San
Tommaso, sono opere di vita attiva e non di vita apostolica.
I teologi della scuola di Salamanca dicono che la predicazione e linsegnamento dottrinale che non
provengono dalla sovrabbondanza della contemplazione sono opere di vita attiva...
La religione mista, pi perfetta delle altre, simile alla vita di Ges Cristo, degli Apostoli e dei Vescovi, non
mette al primo posto latto della predicazione o dellinsegnamento, ma anzitutto e principalmente sapplica
alla contemplazione, e poi per riflesso di questa contemplazione si dedica ad opere riguardanti il prossimo.
Senza la contemplazione verrebbe a mancare molta perfezione alla predicazione e allinsegnamento
dottrinale3.

Ne segue che nel nostro Ordine la contemplazione non pu essere considerata come un mezzo, fosse pure il
primo di tutti, per compiere perfettamente il santo ministero. Infatti proprio della vita attiva il subordinare
la contemplazione allazione. Quale la congregazione di vita attiva che non ordina esercizi pii, orazioni,
letture, a volte prolungate, per preparare il religioso a un serio ministero verso il prossimo? Se il religioso
si applica alla preghiera e allo studio, non principalmente per la contemplazione stessa, ma in vista di
unopera di vita attiva, per essere capace di predicare e dinsegnare, la sua applicazione alla
contemplazione si riduce allora alla vita attiva, perch essa si propone principalmente unazione esteriore.
E un simile impegno molto imperfetto, perch non avrebbe una carit perfettamente ordinata, dal
momento che ci che deve essere amato come fine e prima di tutto viene solo in vista di unattivit
esterna4.
3. Qual dunque il fine dellOrdine?
Il fine dellOrdine la contemplazione: non per una pura contemplazione, ma la contemplazione
fruttificante nellapostolato.
Nellopera di S. Domenico la vita contemplativa non ordinata allazione apostolica, come un mezzo
subordinato a un fine, ma essa la produce, come una causa eminente e sovrabbondante5.
Tale propriamente il carattere degli ordini misti o apostolici, presso i quali lapostolato non il fine, ma
leffetto della contemplazione.
La religione mista - dice ancora il Passerini - caratterizzata dal fatto che si propone principalmente e
direttamente la contemplazione, non perch questa contemplazione finisca in se stessa, ma perch, per la
sua forza interiore, essa risplenda e simpegni nelle opere che sono pi gradite a Dio, quali sono quelle che
si occupano della salvezza delle anime.
In una parola, lo scopo dun Ordine misto la contemplazione che si espande e fruttifica nelle anime6.
4. Lordine domenicano si distingue dagli altri ordini
Si veda il posto che lOrdine domenicano tiene nel gruppo deglistituti regolari. Dal secolo XVI, secondo
una nuova concezione della vita religiosa, i fondatori delle congregazioni religiose ordinariamente le
sciolsero dalle antiche osservanze. I loro discepoli non si preparano pi allapostolato, come i chierici degli
antichi tempi, con la preghiera liturgica e con quellinsieme di osservanze, che fino allora aveva
universalmente accompagnato la pratica dei consigli evangelici.
Essi abbandonarono lascesi tradizionale e rinunziarono alla maggior parte delle sue pratiche essenziali, per
esempio alla Liturgia delle Ore del giorno e della notte, ai digiuni prolungati, per attenersi su questo punto
agli obblighi dei chierici secolari e dei semplici fedeli. Essi si sforzano di sostituire il soccorso, che veniva
dalla salmodia corale e dal corroborante esercizio dei lunghi digiuni, con la pratica assidua della
meditazione e dellesame di coscienza. Il loro scopo, nel liberarsi delle antiche osservanze, fu quello di dar
maggior libert al loro ministero.
Il Frate Predicatore rimase fedele al metodo primitivo di formazione apostolica. Egli si prepara al ministero
colla penitenza e colla contemplazione. Lungi dal vedere una opposizione tra lapostolato e le osservanze
claustrali, egli le unisce strettamente nella sua vita e, con numerose generazioni di santi, trova nellascesi
tradizionale un soccorso per lazione.
S. Domenico, prefiggendosi dimpiegare i suoi figli in tutte le fatiche del ministero, avrebbe potuto
domandarsi, come pi tardi altri fondatori, se fosse prudente sottometterli nel medesimo tempo al rigore
delle osservanze regolari. Pare che la questione non si sia affacciata alla sua mente. Non era lui stesso la
soluzione vivente dellantinomia dellazione e della contemplazione? Da lunghi anni, egli univa
intimamente nella sua vita lausterit, lazione e la preghiera. Pregare incessantemente, passar le notti nella
contemplazione, studiare, digiunare, flagellarsi e nel medesimo tempo predicare a tutti, sostenere i fedeli,
combattere leresia, era la sua vita dogni giorno. Anzich trovare un ostacolo nelle osservanze, egli
attingeva da esse la sua gran forza.
Ci chegli fece, lo richiese dai suoi figli. E decise che essi si sarebbero preparati allapostolato mediante le
antiche osservanze, cui aggiunse lo studio.
Prima dessere apostolo, il Frate Predicatore dunque asceta e contemplativo.

Come asceta, egli domanda alla penitenza di purificarlo, di prepararlo alla carit, di proteggere e di far
crescere in lui luomo interiore.
Come contemplativo, nel silenzio egli domanda allo studio delle scienze divine, alla lettura assidua dei
libri santi, alla preghiera privata e liturgica di riempire lanima sua di vita soprannaturale.
Solo allora egli diventa apostolo.
Quando lanima sua piena di vita interiore, riboccante di carit, si rivolge verso i suoi fratelli, per far loro
parte delle sue ricchezze intime. E il suo apostolato protetto dalle pratiche claustrali contro i pericoli
inerenti ad ogni azione esterna, attinge dalla contemplazione unefficacia somma.
Le ore pi importanti del Predicatore, le pi cariche di frutti futuri, in cui egli raggiunge il punto
culminante della sua vocazione, sono quelle che egli impiega nellassimilarsi a Ges Cristo nella
contemplazione.
Ecco leccellenza e il punto pi alto della sua vita.
Con tre parole S. Tommaso riassume la spiritualit domenicana e ne esprime loriginalit: contemplata
aliis tradere (rendere partecipi e comunicare agli altri la propria contemplazione).
Anche altri Ordini antichi o pi antichi di quello dei Predicatori sono votati alla contemplazione. Essi
portano i loro religiosi allunione con Dio attraverso lufficio divino della liturgia delle ore e le osservanze
della regola. Essi si interessano della salvezza del prossimo soccorrendolo ordinariamente con la preghiera
e con la penitenza. Ma non si dedicano, se non in modo secondario, alla opere esterne di carit fraterna.
Allopposto, la maggior parte degli istituti moderni che sono direttamente consacrati allazione hanno
abbandonato le antiche pratiche nelle quali i nostri padri trovavano inesauribili risorse.
LOrdine di S. Domenico unisce in una sintesi superiore queste due concezioni della vita religiosa. Non
n unicamente attivo, n unicamente contemplativo. Esso combina questi vari elementi e li fonde in una
sintesi del tutto nuova.
Nella spiritualit domenicana la contemplazione e lazione, anzich opporsi, si uniscono e si fortificano
reciprocamente.
La contemplazione prepara e produce lazione, lalimenta, la feconda.
Lazione, secondo il pensiero di Santa Caterina da Siena, non altro che una pienezza interiore che
trabocca e si espande.
Verrebbe meno alla sua spiritualit il Frate Predicatore che, confondendo la sua vocazione con quella dei
figli di S. Bruno o di S. Bernardo, si rinchiudesse nella sola contemplazione e cercasse esclusivamente
ununione pi intima con Dio dimenticando di essere destinato alla salvezza dei suoi fratelli.
Ma peggio ancora singannerebbe il Predicatore che si lasciasse trascinare da unazione febbrile verso il
prossimo e lo portasse a trascurare quelle pratiche di vita conventuale che sono ordinate a dare alla sua
azione una forza calma e continua, una sicurezza, unampiezza e un irradiamento soprannaturale, che sono
condizioni indispensabili per un apostolato fruttuoso.
In una parola, il Frate Predicatore si prepara allesercizio dellapostolato abbracciando le esigenze pi
radicali del Vangelo (i consigli evangelici) e mediante la pratica della perfetta rinunzia evangelica e
mediante la vita contemplativa.

Capo I
La radicalit evangelica
1. Lessenza della vita religiosa
La Chiesa ha sempre pensato che la pratica dei consigli evangelici costituisca lo stato normale di chiunque
desidera esercitare il ministero sacro.
I Dottori e i Santi furono sempre daccordo nellinsegnare che questo tipo di vita praticato da Ges e
continuato dagli Apostoli sia il pi conforme alla vocazione dei ministri di Dio e quello che li mette in

grado di compiere pi efficacemente la loro missione soprannaturale.


Secondo S. Tommaso, mediante questo stile di vita apostolica il battezzato si consacra totalmente al
servizio di Dio e si offre a Lui in olocausto7.
Gli Apostoli e i primi sette diaconi vissero in questo modo e dal loro esempio sono derivate tutte le forme
di vita consacrata8.
Questa vita viene detta perfetta perch conduce alla perfezione della carit.
Non si deve dimenticare che molti sono gli ostacoli che ci impediscono di raggiungere la completa unione
con Dio, in cui consiste la perfezione delluomo.
Dagli autori spirituali vengono ricondotti ordinariamente a tre categorie: i beni esterni, i beni del corpo e i
beni dello spirito. Essi distraggono lo spirito e dividono il cuore.
Ebbene, la vita religiosa li allontana. Essa ha il compito di separare luomo da tutto ci che non Dio o di
Dio.
Col voto di povert, il religioso rinunzia ai beni esterni. Abbandona non solo ogni propriet personale, ma
anche il libero uso dogni bene materiale.
Col voto di castit, sacrifica i beni del corpo, rinunzia ad avere una famiglia terrena e si astiene da
qualunque piacere carnale, legittimo in altri stati.
Col voto di obbedienza va ancora pi in fondo: raggiunge lultima radice del peccato sacrificando la sua
libert e sottomette la sua volont, e per ci stesso tutti gli atti della sua vita, ad un superiore rappresentante
di Dio.
Egli fa questa triplice rinunzia, mediante un atto magnifico che lo innalza al punto culminante della
grandezza morale, non per un giorno o per un tempo della sua vita, ma per sempre. Si obbliga alla
perfezione usque ad mortem, come dice la formula della professione domenicana.
Cos sfugge alle intemperie legate alla fragilit e ai ritorni della stanchezza umana.
Fissandosi nella carit perfetta, si lega indissolubilmente a Dio e, per quanto possibile quaggi, partecipa
alla stessa immutabilit dei beati.
I tre voti di povert, di castit e di obbedienza portano dunque il religioso alla santit, alla pienezza
dellamore. Essi gli permettono di rendere a Dio tutto quello che egli ha da lui ricevuto: i suoi averi, i suoi
piaceri, il suo cuore, il suo intelletto, la sua volont, insomma tutto se stesso.
Essi fanno del religioso unostia vivente, santa e gradita a Dio (Rom 12,1).
Per questo S. Tommaso dice che la professione religiosa un olocausto.
I Padri della Chiesa la paragonano al martirio.
I martiri e i religiosi avranno la medesima ricompensa, assicura S. Bernardo: come il martirio, cos la
professione religiosa d tutto per sempre.
Quando il religioso ha pronunziato queste due parole, cos brevi e cos grandi: promitto obedientiam, egli
non appartiene pi a se stesso, nulla pi suo, ma tutto di Dio.
S. Tommaso insegna formalmente che la professione solenne una consacrazione, cos reale e cos
profonda che tutti gli atti del professo appartengono alla virt della religione e appartengono al culto
divino come una specie di sacrificio.
Ciascuno dei suoi atti, per umile che sia, un atto sacro e talmente sopraelevato che, come dice il nostro
Venerabile Taulero, la minima opera che egli fa per ubbidienza molto pi gradita a Dio e vale
incomparabilmente di pi dellazione pi grande che possa compiere, in cui lubbidienza non ha parte.
Tale lessenza della vita religiosa e tale lo stato in cui la Chiesa vorrebbe impegnare tutti i suoi ministri,
i quali, secondo quanto dice S. Pietro, devono essere il modello del gregge.
S. Domenico, fondando lOrdine dei Predicatori, non poteva far altrimenti che basarlo su questa triplice
rinunzia, poich senza di essa non potrebbe esserci vita religiosa.
Ma dando ai suoi figli una missione speciale, indic anche uno speciale modo di metterli in pratica.
Del resto superfluo osservare che, pur restando essenzialmente la stessa, la pratica dei consigli evangelici
riveste diverse sfumature secondo lo scopo che ci si prefigge. Ad esempio, chi si dedica allinsegnamento,
non praticher la povert come il Trappista che coltiva la terra.
Essenzialmente apostolo, il Frate Predicatore pratica i tre voti secondo le necessit dellapostolato. Egli
povero, casto e ubbidiente come tutti i religiosi ma lo cos come deve esserlo un apostolo consacrato alla

salute delle anime attraverso la predicazione della dottrina.


Perci, bench comune a tutti gli Ordini, la pratica dei voti nella vita domenicana ha una sua fisionomia
particolare.

2. La povert
1. La povert religiosa prima di S. Domenico
Nei primi secoli della Chiesa il clero viveva nella povert evangelica. I chierici si sentivano obbligati a
rinunciare ai beni della terra e ad astenersi dal matrimonio.
Infatti non possibile la perfetta vita comune senza mettere in comune tutti i beni e senza vivere quella
stretta dipendenza dallobbedienza nel loro uso che in fin dei conti la nota caratteristica della vita perfetta,
il tratto pi rilevante che manifesta con sicurezza lappartenenza a Cristo.
Ges, nato e morto povero, vuole discepoli poveri e mette la povert come prima condizione della vita
perfetta: Se vuoi essere perfetto, v, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo;
poi vieni e seguimi (Mt 19,21).
Per molto tempo i chierici hanno praticato alla lettera questa perfetta rinuncia e tenevano tutto in comune.
Era la comunit che possedeva e che distribuiva ai chierici le povere risorse necessarie al loro
mantenimento, come si faceva ai primi poveri di Cristo.
Stando a quanto dice il teologo Tommasino le prime deroghe a questa disciplina primitiva sono del secolo
VI. Fu il tempo in cui si cominci a tagliare una parte dallinsieme dei beni della Chiesa, che fino ad allora
erano indivisi, per meglio servire unopera speciale o un chierico.
Labuso inizialmente non era grave. Ma nei secoli IX e X esso si svilupp e fin con invadere tutta la
gerarchia. Ad imitazione dei possedimenti feudali, si vide allora apparire e poi moltiplicarsi quello che si
chiam il beneficio. Come i capi militari si dividevano i frutti delle loro conquiste, cos i ministri
dellaltare si dividevano i beni della Chiesa considerati fino allora come il patrimonio dei poveri. I chierici
si fecero proprietari.
Quando S. Domenico fond il suo Ordine labuso si era generalizzato e radicato gi da un pezzo. La
maggior parte dei Vescovi erano alti signori feudatari, spesso pi occupati dei loro ricchi domini che degli
interessi spirituali del loro gregge. Il gran numero dei beneficiari si addormentava nel godimento delle
proprie rendite.
Divenne fatale che la sacra gerarchia cadesse nellignoranza e nel rilassamento dei costumi e che gli eretici,
specialmente gli Albigesi, si ingegnassero a trarre profitto dalla sua decadenza e suscitassero lira delle
moltitudini e la cupidigia dei principi contro i beni degli ecclesiastici.
Papa Innocenzo III, in una lettera ai suoi Legati in Linguadoca (31 maggio 1204), scrisse: I Pastori sono
divenuti dei mercenari. Pascono se stessi invece dei loro greggi. Cercano solo la lana e il latte delle pecore
e poi lasciano fare al lupo.
vero che nella medesima epoca la povert primitiva era ancor praticata negli Ordini monastici e in quella
porzione del clero che aveva conservato le tradizioni apostoliche. E proprio per questo fu chiamato clero
regolare, a differenza dellaltro, ormai secolarizzato. Questo clero fedele alla vita perfetta si espandeva in
ferventi Congregazioni di canonici, di cui la pi diffusa era quella dei Premostratensi.
Ma se canonici e monaci erano personalmente poveri, le loro Abbazie e priorati invece non lo erano. Le
Comunit di Cluny, di Citeaux, di Prmontr e degli altri Ordini possedevano sovente vasti domini,
secondo le costituzioni pi o meno strette che le reggevano.
2. Il concetto domenicano della povert
Ci voleva altro per rimediare efficacemente alla secolarizzazione del clero a motivo della ricchezza.
Dio ispir il rimedio ai due grandi Patriarchi, che ben sovente la Chiesa si compiace di associare nei suoi
elogi: S. Domenico e S. Francesco d Assisi.
Pi o meno nel medesimo tempo e indipendentemente luno dallaltro, ebbero lispirazione di applicare pi

alla lettera la regola fondamentale della vita religiosa: vendi quello che possiedi (Mt 19,21). E vollero
mettere in pratica in maniera pi stretta la povert evangelica rinunciando ad ogni propriet non solo per i
singoli, ma anche per gli Ordini che fondavano.
Fu unispirazione generosa, che lesperienza rivel magnificamente feconda. Nata nel medesimo tempo nel
cuore dei due Santi, essi la misero in atto ciascuno per conto proprio, senza essersi concertati, mossi
unicamente dal triste spettacolo dei medesimi abusi e dal medesimo sentimento circa i bisogni della Chiesa.
San Domenico allarg pertanto il concetto tradizionale della povert: non contento di spogliare ciascun
religioso, impose alla comunit la rinunzia ad ogni ricchezza. Il convento stesso divenne povero e incapace
di possedere propriet o rendite. Individui e comunit dovevano vivere di elemosine.
Per questo lOrdine dei Predicatori fu chiamato Ordine mendicante.
Il santo Patriarca per primo fu un raro modello di perfetta rinuncia.
Sebbene non labbia espresso con parole, come fece il suo grande amico di Assisi, di fatto per anche lui, al
dire di Santa Caterina, elesse per sposa la Regina povert.
Era impossibile condurre una vita pi povera e pi distaccata. Aveva solo una tonaca, la pi grossolana del
convento. Quando bisognava lavarla, doveva prenderne in prestito unaltra. La sua cella era la pi angusta
e la pi scomoda. Mangiava solo una portata, volendo anche nel cibo regolarsi come i pi diseredati. In
viaggio non usava mai cavallo o vettura, ma andava sempre a piedi, senza denaro, senza provviste, vivendo
di elemosine, coricandosi sulla paglia o su una tavola, felice se era accolto male. Era, come dice il B.
Giordano di Sassonia, un vero amante della povert.
3. La povert mezzo dapostolato
Ora sappiamo perch San Domenico amasse tanto la povert.
Certamente trovava in questo spogliamento assoluto il mezzo di soddisfare il suo incomparabile amore per
Ges povero.
E sapeva pure che la stretta povert sarebbe stata per i suoi figli un efficace mezzo di santificazione
personale.
Ma la storia ci dice anche che nella pratica della rinuncia perfetta egli aveva delle preoccupazioni
apostoliche.
Va detto che San Domenico consider la povert assoluta innanzitutto come un potente mezzo di
apostolato.
Allinizio della sua predicazione in Linguadoca, nel 1206, si era rattristato nel vedere la grande influenza
presso il popolo causata dalle apparenze di povert dei predicatori eretici. E, daccordo col Vescovo
dOsma, persuase i Legati pontifici ad abbandonare il loro apparato di opulenza. Spogliatosi egli stesso di
ogni lusso, inizi la predicazione con la santa povert.
Appena ebbe riuniti alcuni compagni nellapostolato, fece loro condividere il suo genere di vita e li vot
alla mendicit.
E fece questo per dare alla parola santa una maggior efficacia.
Lo spogliamento assoluto del Frate Predicatore e la pratica integrale della dottrina avrebbero toccato i cuori
e avrebbero compiuto quello che la parola aveva cominciato.
Gli uomini sono sempre scossi dal disinteresse. Essi sono cos attaccati ai beni materiali che, quando
vendono un uomo che rinuncia a ci che essi cercano con un ardore mai soddisfatto, ne sono stupiti e ne
rimangono convinti.
Giovanni Joergensen racconta che, dopo la sua conversione, quando andava a trovare un Benedettino
dellAbbazia di S. Bonifacio, gli bastava entrare nella povera cella, di cui tutta la mobilia si componeva di
un tavolo, di un letto, di due sedie e di un inginocchiatoio, perch questo gli facesse pi effetto che interi
volumi apologetici (Vita vera).
La stretta povert, modellando il Frate Predicatore su Ges, sar la sicura garanzia della sua sincerit e far
di lui un apostolo. Infatti lapostolo non solo un uomo che sa e insegna per mezzo della parola. Ma la
sua sola presenza gi unapparizione di Ges Cristo9.

Il B. Umberto de Romans espone con belle espressioni queste medesime idee e mostra in modo particolare
come i beni temporali siano loccasione di uninfinit di distrazioni e di sollecitudini. Lanima ne diventa
schiava e non ha pi quella libert di procedere che le permette di consacrare allopera di Dio tutte le sue
energie vitali.
Dice: Ne testimonio quel santo predicatore che, spogliatosi di tutto, si era per riservato un asinello per
il suo servizio. Egli saccorse che quellasinello richiedeva da lui molte cure: bisognava provvedere al suo
nutrimento, non smarrirlo, assicurarsi che fosse in buone condizioni. In breve, lasinello era per lui una
continua preoccupazione, anche quando egli predicava.
Aver abbandonato ogni cosa per esser libero e trovarsi perpetuamente in pena per un asino parve a questo
santuomo unironia intollerabile. Don il suo asino e fece i suoi viaggi a piedi10.
4. La povert rimane pur sempre un mezzo
In ultima analisi, anche in questo distacco dai beni terreni, il Frate Predicatore vede la santa predicazione
universale, a cui votato per volont della Chiesa.
Collocato di fronte ai beni materiali, egli si domanda in che cosa possano aiutarlo nella salvezza delle
anime. Prende quelli che possono esser per lui un aiuto, non gi per se stessi e per goderne, ma per
servirsene come mezzi per compiere la sua missione.
Egli li usa secondo lordine eterno che destina le creature inferiori a condurre luomo a Dio.
Gli altri beni, quelli che sono un ostacolo al suo apostolato, li respinge.
Talvolta rifiuta perfino di far uso di quelli che sono indifferenti, affinch la sua azione, pi sciolta, sia pi
forte. Il lottatore si libera da tutto ci che pu legare le sue energie.
Questo concetto di povert fa comprendere perch verso la met del sec. XV la Chiesa volle che lOrdine
potesse possedere collettivamente le rendite necessarie alla sua sussistenza.
Diminuita la fede nella gente, la loro generosit era venuta meno. E la mendicit, invece di aiutare
lapostolato, ne era divenuta un ostacolo.
Si pens che si rimanesse ancora fedeli al pensiero del santo Fondatore permettendo al convento la
propriet collettiva. Essa dava ai religiosi, meno numerosi in una societ meno credente, la libert di
attendere allo studio e alla predicazione,
Del resto San Domenico stesso aveva per qualche tempo accettato alcune modeste rendite per il convento
di Tolosa, dal momento che le elemosine in un paese eretico non erano sufficienti per mantenere i frati.
In ogni caso, secondo linsegnamento preciso di S. Tommaso, per noi domenicani la povert non che un
mezzo.
Ma se il Frate Predicatore non mendica pi, nondimeno deve ricordarsi che egli personalmente tenuto alla
stretta povert per il voto che ha fatto e per la fedelt al pensiero di S. Domenico.
La comunit oggi pu accettare rendite, che le assicurano una sussistenza conveniente. Ma queste non
possono essere accresciute indefinitamente senza andar contro il pensiero del Fondatore. Per decreto di
Sisto IV il convento domenicano non divenuto unabbazia, ma resta convento di un Ordine mendicante.
I Predicatori non possono dimenticare che quando la necessit obblig San Domenico ad accettare alcune
rendite nella regione di Tolosa, devastata dalla guerra albigese, fu stipulato che i Frati ne usassero solo
secondo la stretta necessit e distribuissero il resto ai poveri.
Non vi forse un punto delle Costituzioni sul quale il nostro santo Fondatore abbia insistito maggiormente
quanto questo. In molte circostanze egli ha energicamente manifestato lorrore che provava quando vedeva
un religioso attaccato alle ricchezze.
Il suo ultimo pensiero fu per questa santa povert, che egli tanto aveva amato, e che voleva lasciare
allOrdine, come il suo onore e il pegno della sua fecondit. Disse ai suoi figli in pianto attorno al suo letto
di morte: Miei amati fratelli, ecco leredit che vi lascio come a miei figli: abbiate la carit, conservate
lumilt, possedete la povert volontaria.

3. La castit

1. La purezza esemplare di San Domenico


Il Beato Angelico, pittore di Fiesole, non manc mai di proiettare sulla fronte del suo padre S. Domenico
una stella raggiante. Essa sta a significare la radiosa purezza del Patriarca dei Predicatori, di cui tutti i
contemporanei subirono la straordinaria attrattiva.
La Beata Cecilia, sua figlia spirituale, racconta che gli usciva dalla fronte e tra le sopracciglia una certa
luce radiosa che attirava il rispetto e lamore.
Sulla cenere in cui spir, una delle sue ultime parole fu in favore della castit: Figli miei, la misericordia
di Dio mi conserv fino ad oggi una carne pura e una verginit senza macchia. la custodia di questa
virt che rende il servo di Dio gradito a Cristo e che gli d gloria e credito davanti agli uomini.
Perci egli organizz la vita religiosa dei suoi figli in modo da mantenerli in una perfetta purezza e renderli
capaci di mescolarsi al mondo senza contrarne le lordure.
La vita domenicana assale direttamente tutti i nemici della purit. Quelli che vengono dal corpo, mediante
la mortificazione dei sensi, lastinenza, il digiuno, le discipline, le veglie, la durezza del letto.
Quelli che vengono dallo spirito, mediante la disciplina dellimmaginazione, mediante lo studio, la
preghiera e la contemplazione, che occupano tutte le ore del religioso e lo strappano alla disoccupazione.
Finalmente i nemici esterni, mediante la solitudine del chiostro e il silenzio.
Se lo stesso scopo dellOrdine esclude un isolamento totale, la Regola si guarda dallabbandonare il
religioso nellesercizio del ministero: essa lo segue da per tutto, regolando le sue relazioni necessarie e, con
la sua larga e ferma sorveglianza, cerca di avvolgere il Predicatore con i principali benefici della clausura.
2. La protezione della Madonna
S. Domenico, per la purezza dei suoi figli, fece assegnamento al di sopra di tutto sullo speciale patrocinio
della Santa Vergine, Madre dogni purezza. L Ordine consider sempre questo patrocinio come il suo pi
potente appoggio soprannaturale.
Lantichit domenicana ricca di fatti meravigliosi che dimostrano lamabile vigilanza della Madre di Dio
su coloro che Ella chiama: Mio Ordine, Ordo meus11.
Vi era in Lombardia una pia donna devotissima della Vergine, che conduceva una vita solitaria. Avendo
saputo che era stato fondato un nuovo Ordine di predicatori, concep un vivo desiderio di veder qualcuno di
quei frati. Ora accadde che fra Paolo, predicando in quelle contrade, venisse a passare in quel luogo
insieme al suo compagno. Secondo il costume si fermarono presso la religiosa e le rivolsero qualche pia
esortazione. Questa donna si inform a qual Ordine appartenessero, ed essi le riposero che erano
dellOrdine dei Predicatori. E considerando che essi erano giovani, belli e convenientemente vestiti, prese a
disprezzarli, pensando che uomini di tal sorta, percorrendo il mondo, non potevano conservar a lungo la
loro virt. Ma, la notte seguente, la Vergine le apparve con volto corrucciato e le disse: Ieri mi offendesti
gravemente: credi tu che io non possa custodire i miei servitori, che corrono attraverso il mondo per salvare
le anime, anche se siano giovani? Sappi che io li presi sotto la mia speciale protezione, e ti mostrer quelli
che ieri disprezzasti. E, alzando il suo manto, Ella fece vedere alla pia solitaria una moltitudine di frati, e
fra quelli i medesimi di cui aveva ella sospettato il giorno innanzi12.
3. La castit una grazia particolare dei domenicani
Alcuni pii autori scrissero che S. Domenico, nella cui bolla di canonizzazione si afferma che mor
conservando linnocenza battesimale, ottenne dalla Madonna per il suo Ordine la grazia di manifestare
specialmente la virt angelica, come altri Ordini hanno la grazia di manifestare particolarmente la povert
e lubbidienza.
Le Vitae Fratrum riferiscono che un religioso, avendo udito in poco tempo la confessione generale di
cento Frati, ne trov pi di sessanta che avevano conservata la perfetta purezza del corpo e dellanima13.
Il nostro pi gran teologo S. Tommaso dAquino, che per la sua ammirabile purezza fu soprannominato il
Dottor angelico.

Il nostro primo martire canonizzato S. Pietro da Verona, la cui innocenza di vita attirava nella sua cella la
visita dei Santi del Cielo.
Uno dei nostri pi potenti missionari, S. Giacinto, per la raggiante santit fu il favorito della Vergine.
Uno dei nostri pi illustri predicatori, S. Vincenzo Ferreri fu chiamato lAngelo del Giudizio tanto per lo
splendore della sua purezza quanto per la sua formidabile eloquenza14.
Il primo dei nostri artisti fu chiamato Fra Angelico a causa del suo candore verginale.
Infine va ricordata la serafica Vergine di Siena, il fiore della nostra numerosa scuola mistica.
Tutti portano sulla fronte il segno della verginit.
4. Castitas transfusiva
Certamente tutti i veri cristiani onorano e riproducono questa virt, della quale il Padre Lacordaire diceva
che caratteristica della Chiesa.
Tuttavia il Frate Predicatore deve aver per lei un culto speciale: cos volle S. Domenico, cos esige la sua
vocazione apostolica.
Il Frate Predicatore, fu scritto, devessere lAngelo della verit. Bella parola che esprime bene la sua
sublime vocazione e nel medesimo tempo il motivo per cui S. Domenico raccomand tanto ai suoi figli
questa ammirabile virt.
LOrdine della verit devessere lOrdine della castit.
Nessuna cosa dispone meglio alla verit che la castit. Lanima che non ha mai ubbidito alle volutt
carnali, assicura S. Alberto Magno, possiede per ci stesso unintelligenza pi pura e meglio disposta alle
cose celesti.
Inoltre va sottolineato che la castit esercita sui popoli un prestigio unico; irradia e conquista. Essa una
delle pi grandi forze al servizio di una causa.
per questo certamente che lo stemma dellOrdine simboleggia lideale domenicano nellirradiamento
duna stella: esso dice al Predicatore che per distribuire i puri splendori della verit, deve allontanarsi dalla
carne e dal mondo.
Quindi il figlio di S. Domenico si sforza di praticare il suo voto di castit nella sua maggior perfezione,
prima di tutto per i motivi che obbligano ogni cristiano, e di pi perch la castit guadagna i cuori a Ges
Cristo. Per essere meglio apostolo, egli segue lietamente le tracce del suo beato Padre, del quale Giacomo
da Varazze scriveva che la sua castit era comunicativa: castitas transfusiva.

4. L'obbedienza
1. Fondamento della vita religiosa
La prima parola che disse Ges entrando in questo mondo fu una parola di piena obbedienza alla
volont di Dio, suo padre: Ecco, io vengo, o Dio, per fare la tua volont (Ebr 10,7).
Simile la prima parola di chiunque entra nellOrdine di S. Domenico, la parola che fa il Predicatore:
Prometto obbedienza fino alla morte.
il voto pi essenziale alla sua vita, il solo che sia enunziato nella formula della professione. Egli
promette obbedienza a Dio, alla B. Vergine Maria, al B. Padre Domenico e al Maestro dellOrdine.
Son presto dette queste due parole: Prometto obbedienza; ma quale pienezza di senso! Esse
inquadrano tutta quanta la vita del Predicatore, simpadroniscono di tutte le sue potenze, determinano la
natura e la misura del ministero da esercitare, i mezzi da usare; regolano il minimo dei suoi atti fino alla
morte.
2. I grandi servizi resi a motivo dellobbedienza
Indispensabile condizione e fondamento dogni vita religiosa, lobbedienza lo particolarmente della
vita domenicana. Grazie a Dio, i Predicatori se ne ricordarono durante tutta la loro lunga storia.

Lobbedienza stata una delle grandi forze dellOrdine.


Un rapido sguardo alla storia della Chiesa dal secolo XIII in poi sufficiente per mostrare gli immensi
servizi che essi hanno reso alla causa di Dio per essersi stretti unanimemente attorno al loro Maestro
generale, che li faceva stare uniti al Papa.
La forza dellobbedienza salv lunit del loro Ordine. Gli storici fanno notare che lOrdine di S.
Domenico il solo che abbia conservato lunit del governo, mentre tutti gli ordini antichi, a motivo delle
varie riforme, si sono divisi in parecchi rami. Esso si sparse per tutta la terra, senza che un solo ramo si
staccasse dal tronco.
La forza dellobbedienza salv ugualmente lunit nello spirito religioso, nella dottrina, nellazione.
In grazia dellobbedienza, i frati predicatori effettuarono per pi secoli la santa predicazione
universale cos ardentemente desiderata da S. Domenico; svilupparono nel mondo intero le Missioni
intraprese fin dallinizio del secolo XIII, e ancor oggi fiorenti; fecero conoscere e praticare la preghiera del
Rosario da parte di tutta la Chiesa. Dal punto di vista dottrinale, basta nominare la dottrina di San
Tommaso, per dire i servizi resi alla teologia cattolica.
Per lobbedienza il nostro Ordine si potrebbe definire: un carisma organizzato e servito fino alla morte
da migliaia di uomini coraggiosi.
3. Caratteri dellobbedienza domenicana
Come avviene per ogni elemento della vita religiosa, anche lobbedienza del Frate Predicatore ha il suo
carattere speciale, facile a determinarsi, secondo la dottrina delle Costituzioni e i commenti o la pratica dei
nostri Santi.
Per il voto dobbedienza, il Frate Predicatore si d al suo superiore o meglio a Dio stesso, per unopera
precisa: la salvezza dei suoi fratelli.
Per meglio assicurare questopera egli offre la sua libert, interamente. Promette il suo tempo e le sue
forze, la sottomissione sempre pronta e fiduciosa del suo corpo a tutte le pene e fatiche, della sua volont a
tutti i comandi, finalmente di tutto se stesso a ci che il superiore giudicher bene di ordinare per la gloria
di Dio.
Il sacrificio domandato pu anche giungere fino alla morte, se la carit o la salute delle anime lo esige.
Non vi obbedienza pi estesa. Nulla sfugge al suo ambito. Per caratterizzarla, il B. Umberto de
Romanis scrisse che deve essere universale senza alcuna eccezione (universalis sine exceptione).
Egli aggiunge: semplice senza discussione (simplex sine discussione). Il Frate Predicatore si
proibisce anticipatamente ogni discussione, perch discutere il comando un diminuirlo e togliergli la sua
energia, perch lopera divina richiede operai risoluti, ardenti, e il cercar dei limiti allobbedienza un
allentarne e spezzarne lo slancio. Lautorit e lobbedienza confidano luna nellaltra, senza timore di
eccedere la misura e saccordano reciprocamente, proprio come nella famiglia saccordano lautorit del
padre e lobbedienza dei figli.
Difatti lobbedienza domenicana ha un carattere familiare.
Il Superiore il padre di tutti i suoi religiosi. Egli tiene il posto di Dio nel convento, compie la funzione
di Cristo. Ha piena autorit, ma unautorit che cerca di farsi amare pi che farsi temere.
Come il padre nella famiglia, egli deve governare mediante larmonico accordo del timore e
dellamore, della forza e della dolcezza, e meritare, come S. Domenico, il doppio titolo di Consolatore dei
Frati e di Zelatore della regolarit. Il nostro B. Padre puniva le colpe con energia e nondimeno
imponeva le penitenze con tanta dolcezza e benignit che i frati le accettavano volentieri15.
Il B. Umberto de Romans non vuole Prelati indolenti che lascino addormentare lautorit: come quei
Vescovi, dice, che i pittori rappresentano seduti sulla loro cattedra, nellatto di dormire pacificamente e di
lasciarsi cadere dalle mani il bastone pastorale. Lautorit sia forte.
Ma aggiunge: sia nel medesimo tempo amante e paterna. Perch, se si correggono i cattivi col timore,
si correggono i buoni con lamore. Lobbedienza diventa perci pi facile, e, come vuole la Regola, lieta,
libera, filiale, escludendo ogni sentimento di servit.
Il Frate Predicatore obbedisce, non come il servo che teme la minaccia, n come il cadavere che si

lascia muovere meccanicamente, ma come il figlio amante che adatta la sua volont alla volont del padre
suo.
Obbedienza che non si rassegna, ma che fa amare lo stato di dipendenza, perch esso garantisce contro
le deviazioni della volont propria.
Obbedienza che va incontro al Superiore nel quale il religioso vede un protettore contro le cadute
sempre possibili, un sostegno alla sua debolezza.
Obbedienza che sacrifica di buon animo le idee e le convenienze personali e si rimette, lietamente,
filialmente, a colui che Dio ha deputato per dirigerlo.
Tale il carattere tradizionale dellobbedienza domenicana: essa familiare. Stretta e senza riserva, ma
anche senza durezza. Essa armonizza il rispetto dellautorit e una lieta libert, la libert dei figli di Dio.
Nel nostro Ordine, dice graziosamente Santa Caterina da Siena, la disciplina tutta regale; perci la nostra
religione tutta larga, tutta gioconda, tutta odorifera16.
4. Lobbedienza nelle attuali costituzioni
(Riteniamo utile proporre il testo delle attuali costituzioni dellOrdine domenicano sullobbedienza. Ci
si accorge subito che, al di l dello stile, il contenuto lo stesso, segno questo della fedelt dellOrdine alla
propria storia e al proprio carisma).
n. 17 1. Agli inizi dellOrdine, san Domenico chiedeva ai suoi frati che gli promettessero vita comune
e obbedienza. E lui stesso, con molta umilt, si sottoponeva alle disposizioni e specialmente alle leggi che
il capitolo generale dei frati aveva stabilito dopo matura riflessione. Invece, fuori dell'ambito del capitolo
generale, sia pure con modi affabili ma fermamente, esigeva da tutti una obbedienza volontaria in tutto
quello che lui, come superiore dell'Ordine, ordinava dopo aver riflettuto a lungo. Difatti la vita comune,
per mantenersi fedele al suo spirito e alla sua missione, deve fondarsi sul principio dell'unit che
costituito appunto dall'obbedienza.
II. Ed proprio per questo motivo che nella nostra formula di professione pronunciamo una sola
promessa: quella di obbedire al maestro dell'Ordine e ai suoi successori secondo la legislazione dei frati
predicatori; cos si salva l'unit dell'Ordine e della professione, unit che dipende dall'unit del capo a cui
tutti devono obbedire.
n. 18 I. Con questa professione imitiamo in modo tutto particolare Cristo che fu sempre soggetto alla
volont del Padre per la salvezza del mondo, e cos ci uniamo pi intimamente alla Chiesa, alla cui
edificazione ci siamo consacrati insieme con i confratelli, per il bene comune della Chiesa e dell'Ordine,
sotto la conduzione dei superiori che in umano servizio rappresentano l'operare di Dio.
II. Questo bene comune ci si manifesta anche nelle aspirazioni religiose e apostoliche della comunit
e nella illuminazione interiore dello Spirito Santo che aiuta ad assolvere la missione dell'Ordine.
III. I nostri frati sono tenuti ad obbedire ai loro superiori in tutto quello che riguarda la Regola e le
nostre leggi. Al contrario, non siamo tenuti, anzi non possiamo obbedire in ci che contro i
comandamenti di Dio, i precetti della Chiesa e le leggi dell'Ordine, o in quelle cose nelle quali il superiore
non autorizzato a concedere dispense. Nel dubbio tutti dobbiamo obbedire.
n. 19 I. Tra i consigli evangelici, il voto pi importante quello di obbedienza con cui la persona si
consacra completamente a Dio e le sue azioni si avvicinano di pi al fine della professione che consiste
nella perfezione della carit, senza dimenticare che nell'obbedienza incluso anche tutto ci che riguarda la
vita apostolica.
II. Dal momento che con l'obbedienza ci uniamo a Cristo e alla Chiesa, ogni sforzo e ogni
mortificazione che facciamo per metterla in pratica come un prolungamento dell'oblazione di Cristo e
acquista valore di sacrificio sia per noi personalmente che per la Chiesa: nella consumazione di questo
sacrificio si compie tutta lopera della creazione.
III. Lobbedienza con cui ci innalziamo interiormente al di sopra di noi stessi, utilissima per

acquistare la libert interiore propria dei figli di Dio e ci dispone a donarci con la carit.
n. 20 I. Il bene comune in forza del quale i frati sono vincolati all'obbedienza, esige anche che i
superiori si mostrino ben disposti ad ascoltare le loro opinioni e che anzi, quando si tratta di questioni di
maggior rilievo, ne discutano con loro, ferma restando la loro autorit di stabilire quello che si deve fare. In
tal modo tutta la comunit, come un corpo solo, pu orientarsi verso il fine comune della carit.
II. Siccome lo Spirito Santo dirige la sua Chiesa anche con speciali talenti e carismi, i superiori,
nell'esercizio della loro autorit, sappiano riconoscere molto attentamente i doni particolari dei frati,
giudichino e indirizzino quelli che, secondo le circostanze e le necessit, lo Spirito Santo elargisce
nell'Ordine per il bene della Chiesa. Perci sia nell'intraprendere nuove opere sia nel proseguire quelle gi
iniziate, entro i limiti del bene comune e secondo l'indole di ognuno, si riconosca ai frati la congrua
responsabilit e si conceda loro la conveniente libert.
III. Il superiore, nella ricerca della volont di Dio e del bene comune, "non si ritenga felice per la
potest di comandare; ma per la sua carit messa a servizio degli altri e cerchi di ottenere non una
sottomissione servile, ma un libero impegno.
IV. A loro volta i frati collaborino fraternamente coi loro superiori con spirito di fede e di amore per la
volont di Dio; con lealt si sforzino di entrare nel loro ordine di idee e con fattiva ponderazione facciano
quello che viene loro ordinato. Nel compimento del loro dovere facciano s che la loro obbedienza sia
pronta e precisa senza dilazioni, e semplice senza discussioni inutili.
Tutto il nostro Ordine e i singoli religiosi sono soggetti al Romano Pontefice come a loro supremo
superiore, e sono tenuti ad obbedirgli anche in forza del voto di obbedienza (Can. 499 1).
n. 23 Se per il bene dellOrdine o della Chiesa necessario affidare un incarico ad un frate anche con
grave pericolo della sua vita, questo non lo si faccia mai senza prima aver sentito linteressato. Dopo di che
il superiore deve agire con molta prudenza non senza aver prima assunto informazioni e sentito il parere di
religiosi prudenti.

5. La penitenza
1. Senza penitenza, non c azione soprannaturale sulle anime
Il Frate Predicatore si dedica a praticare la penitenza per due motivi principali:
Come religioso, egli cerca di riprodurre il mistero della croce, perch nello stato presente la perfezione
in questo mistero: Se qualcuno vuol venire dietro a me - dice il Salvatore porti ogni giorno la sua croce.
Come sacerdote e pastore danime, egli simmola con Ges per salvare il mondo e per espiare i peccati
del popolo.
Strana illusione laspirare ad essere degno ministro del Redentore e prestargli unefficace
collaborazione senza voler associarsi alla sua Passione mediante la mortificazione universale! Io devo
compiere nella mia carne - diceva lApostolo - quello che manca alla passione di Cristo per il suo corpo
che la Chiesa. una legge che non ammette eccezione: senza penitenza, non c azione soprannaturale
sulle anime.
Nella vita del Frate Predicatore, S. Domenico diede un largo posto alla penitenza. Se ne possono
distinguere le diverse pratiche in osservanze di regola e in osservanze di consiglio.
2. Le osservanze di regola
Vi sono osservanze di regola che riguardano direttamente il corpo: il digiuno da sette ad otto mesi
dellanno, lastinenza perpetua, luso esclusivo della lana alle carni, lalzata di notte per lufficio canonico.
E vi sono osservanze di regola che sono piuttosto mortificazioni spirituali, come il Capitolo delle colpe,
il silenzio e molti altri obblighi della vita regolare. Abbiamo gi riferito il testo del B. Umberto che spiega

come i Predicatori presero dalla Costituzione dei Canonici Premostratensi quello che essi vi trovarono di
austero (quod arduum) e come aggiunsero molte altre osservanze.
Ma le forze umane hanno un limite. Come un uomo votato alle fatiche talvolta opprimenti del ministero
apostolico potr abitualmente abbandonarsi a tanto dure penitenze? Come impedire che le osservanze,
almeno in certi casi particolari, nuocciano allapostolato, fine essenziale dellOrdine?
S. Domenico previde la difficolt. Per conciliar tutto, austerit, studio, apostolato, pose in capo alle
Costituzioni la legge della dispensa: Il Superiore avr il potere di dispensare i Frati secondo che
giudicher conveniente, specialmente nelle cose che potrebbero impedire lo studio, la predicazione e il
bene delle anime.
La vita ascetica domenicana in vista dellapostolato, e quindi da esso regolata.
Spiega il B. Umberto: Gli statuti dellOrdine non devono essere osservati con una rigidezza tale da
impedire allOrdine di raggiungere il suo scopo principale. Ogni volta che gli esercizi penitenziali
contrarieranno lapostolato, e solo nella misura in cui saranno un ostacolo, essi cederanno il passo a un
bene superiore.
Questa legge della dispensa un elemento essenziale, il cui funzionamento assicura la normale attivit
dellOrdine.
Nella vita quotidiana essa rischiara agli occhi del Predicatore limportanza pratica di ciascuno dei suoi
doveri e subordina gerarchicamente i diversi capitoli delle Costituzioni. Egli organizza i diversi elementi,
salda lelemento contemplativo con lelemento apostolico e adatta le osservanze alla vita attiva.
Questa legge permise a S. Domenico di innalzare lopera sua come un edificio. Egli non aveva avuto
modelli precedenti da imitare e non ebbe che poche imitazioni. Tale edificio tanto ardito quanto
armonico. Questo Ordine ad un tempo ascetico, contemplativo e apostolico, in cui lausterit prepara la
contemplazione che si espande nellazione.
Da questo si vede come la discrezione sia uno dei tratti distintivi dello spirito domenicano. Al quale
nulla vi di pi avverso che quello spirito di sciocca uguaglianza, che reclama per ciascuno i medesimi
diritti e richiede i medesimi doveri.
Dio non ha ripartito in misura diversa i doni di natura e di grazia?
La Regola vuole che il Priore si sforzi dimitare larte divina nel governo delle anime e gli mette in
mano lo strumento delicato della dispensa, per il quale tutti gli elementi sono coordinati per concorrere alla
pienezza dellapostolato. Il Superiore un Padre che deve reggere i suoi figli con larghezza di pensiero e di
affetto e con pari fermezza, e trattar ciascuno secondo i suoi bisogni e i mezzi che ricevette da Dio.
Scrive SantAgostino nella sua Regola: Venga distribuito a ciascuno di voi dal vostro superiore non in
maniera uguale per tutti, perch non avete tutti la medesima salute, ma piuttosto a ciascuno secondo le sue
necessit.
certo che il Superiore deve far in modo che ciascuno dei suoi religiosi segua la via regia
dellausterit, poich essa la via normale dei Predicatori.
Ma, nellinfervorare la buona volont di tutti, egli terr conto delle differenze fisiche e morali, delle
forze e dei bisogni, per misurare il lavoro e il riposo.
Si guarder dal distribuire uniformemente lausterit e la dispensa. Piuttosto distinguer la vocazione
particolare dei suoi figli, la loro forza e la loro debolezza, ci che hanno ricevuto e ci che danno. In una
parola, egli applicher i mezzi per ricavare da ciascuno il bene particolare, che Dio da lui aspetta per la
salute del mondo.
3. Pratiche penitenziali di consiglio
Sono quelle che le Costituzioni non impongono strettamente ma che si contentano di consigliare con
calore.
Il loro uso talmente entrato nella vita domenicana che necessario parlarne per tracciar la fisionomia
completa del Predicatore.
Le Costituzioni raccomandano con forza al Maestro dei novizi di comunicare ai suoi discepoli lo spirito
di austerit o di insegnarne loro la pratica:

Il Maestro abbia diligente cura nellinsegnare a tutti i novizi di esercitarsi con zelo nella disciplina
regolare, affinch imparino il modo di vincere le passioni illecite e i vizi attraverso la custodia dei sensi e la
mortificazione. Inoltre che sappiano che cosa siano lausterit, i digiuni, i cilizi e le discipline.
In ogni tempo queste pratiche penitenziali furono in onore nellOrdine.
S. Domenico aveva dato lesempio. Camminava a piedi nudi per tutte le vie, salvo nellattraversare le
citt, e mendicava il suo pane di porta in porta, beveva lacqua delle fonti, era paziente in ogni avversit, e
spesso sorrideva alle ingiurie. A Segovia si venera la grotta, ove i ritirava la notte per pregare e per
flagellarsi. Quando dimorava a Santa Sabina o a S. Nicol di Bologna, passava la notte in chiesa. Prostrato
sui gradini dellaltare, si flagellava tre volte per notte fino a sangue e prolungava la sua veglia e la sua
preghiera finch le forze glielo permettevano. Se la fatica era troppo grande e il sonno reclamava i suoi
diritti, si appoggiava al muro o si coricava per un istante su una pietra sepolcrale che copriva la salma del
papa Alessandro.
I figli seguirono coraggiosamente lesempio del loro Padre. Quando noi celebriamo la festa di un santo
dellOrdine e succede pi volte alla settimana alla lettura delle lezioni delluffizio siamo sicuri di udire ci
che fu chiamato il ritornello del secondo notturno, il racconto del medesimo martirio volontario:
domava la sua carne con vigilie, digiuni, flagellazioni e altri esercizi17.
Questa nota dausterit una di quelle che stabiliscono lunit nellestrema variet dei Santi
domenicani.
Per la grazia di Dio, la storia contemporanea su questo punto richiama al pensiero quella dei tempi
primitivi. Lo storico del P. Lacordaire non ebbe lardire di raccontare le segrete penitenze che simponeva
lillustre Predicatore. Tuttavia il poco che ne disse colm di stupore quelli che avevano ammirato solo
lincomparabile eloquenza delloratore di Notre Dame, senza sospettare lausterit del religioso. possibile
qualcosa di pi commovente, nella sua semplicit, di quella croce di legno rizzata contro un pilastro della
cripta dei Carmelitani, a cui il Restauratore in Francia dellOrdine domenicano si faceva appendere per ore
intere, a fine di rassomigliare pi da vicino al divin Crocifisso?
Uno degli uditori del P. Besson, colpito dallirradiamento della sua austerit, esclamava: E un
crocifisso che parla!. Questuomo cos dolce e dalla conversazione cos soave era in realt un gran
penitente: La mobilia della sua cella consisteva in una tavola di abete, su cui erano aperti alcuni libri di
teologia; due rozze sedie e, in un angolo, una cassa in forma di bara che gli serviva da letto; il fondo era
guarnito di pietre e di pezzi di legno; un volume in foglio di SantAgostino teneva le veci di guanciale, e
una coperta di lana, distesa sul letto, celava i suoi strumenti di penitenza e lo avvolgeva durante la notte: l
prendeva il suo riposo da sano e da malato18.
Sicuramente non ogni Predicatore tenuto a ripetere sopra se stesso ciascuno di questi esperimenti
durissimi alla natura ma soavi allanima generosa. Per dallesempio unanime dei suoi Padri, egli deve
ritenere che la via normale della sua formazione interiore la via dellausterit.
4. La penitenza non il fine dellOrdine. Resta pur sempre un mezzo.
La misura di tale austerit risponder alle speciali attrattive della grazia, specialmente alle indicazioni
dellobbedienza. Perch queste penitenze, che il libero amore aggiunge ad osservanze gi austere, devono
essere, come tutta la vita domenicana, moderate dalle necessit dellapostolato. Lobbedienza le regola e
loro impone quella giusta misura, quella saggia ponderazione, che tiene i religiosi lontani tanto da un
ascetismo esagerato quanto dalla mollezza. Essa li mantiene nei limiti di quellammirabile discrezione,
nemica del troppo come del troppo poco, tanto raccomandata dai nostri Santi. Dice S. Tommaso: La
macerazione del corpo non gradita a Dio se non in quanto viene praticata con la discrezione necessaria:
essa deve padroneggiare la concupiscenza senza opprimere la natura19.
Parimenti laustero S. Vincenzo Ferreri ricorda ai suoi fratelli che difficilissimo serbare la misura
nella penitenza e che una delle pi temibili astuzie del demonio quella che ad un religioso fervente
suggerisce delle astinenze e delle veglie esagerate, atte a indebolirlo e a renderlo inetto al ministero20.
Il ministero apostolico in realt la ragione dessere del Predicatore, il supremo fine chegli non deve
mai perdere di vista. La penitenza, dopo averlo liberato dai suoi legami naturali e alleggerito del suo peso

umano, diventa per lui un mezzo per raggiungere questo fine.


Ma se per lesagerazione o per la singolarit essa lo distogliesse, lo collocherebbe fuori della sua
vocazione.
Il Frate Predicatore, dopo aver espiato per se stesso, dirige appunto verso la salute delle anime
lefficacia della sua penitenza, ad esempio del suo Padre S. Domenico, che faceva tre parti del suo sangue,
che versava nelle sue cruente discipline: la prima per i suoi peccati, la seconda per i peccati dei vivi, la
terza per i peccati dei defunti. Cos S. Pietro da Verona si flagellava per convertire pi sicuramente gli
eretici. Cos il P. Lacordaire sinfliggeva o si faceva infliggere nel Capitolo di Flavigny incredibili
umiliazioni o sanguinose flagellazioni, a fine di soffrire per giustizia per espiare, soffrire per amore per
dar prova.
Quando si tratta di salvare il mondo con Ges, il religioso potrebbe esitare di fronte alla penitenza
redentrice? Le anime salvate, Dio glorificato! Ecco la ricompensa al centuplo. Allora le pi dure penitenze,
per il fortunato giustiziato, sono la fonte dincomparabili gioie intime. Perch il Predicatore si getti con
trasporto nella via delle sante austerit, gli basta solo vedere che lo spettacolo della sua vita ridesta il
sentimento del pentimento e del sacrificio, e sforza gli uomini a ricordarsi che Dio morto sulla Croce.

Capitolo II
LA VITA CONTEMPLATIVA
1. Perch il Predicatore un contemplativo
Perch egli consacrato al ministero apostolico. Se vi una certezza saldamente stabilita
dallinsegnamento della Chiesa e dallesperienza dei Santi, questa: che la vita attiva una manifestazione
esterna della vita contemplativa; per esser feconda, lazione non pu far senza la contemplazione.
Gli Apostoli, modelli a cui un religioso deve sempre ritornare se vuole raggiungere lideale della sua
vocazione, quando vollero definire le loro funzioni, parlarono della contemplazione e del ministero delle
anime, ma collocando la contemplazione al primo posto: Noi invece ci dedicheremo allorazione e al
ministero della parola (At 6,4).
Tutta lantichit ecclesiastica visse secondo queste parole: i chierici facevano la vita contemplativa.
Quando Eusebio volle spiegare ai pagani chi sono i chierici della nuova religione, li defin come coloro
che vivono nella rinunzia a tutte le cose della terra e, sciolti dalle cure temporali, sapplicano alla
contemplazione delle cose eterne.
Alla fine del secolo V, Giuliano Pomerio scrivendo un trattato della vita dei chierici lo intitola: De vita
contemplativa. Vita clericale e vita contemplativa erano sinonimi. E chi ignora che per lunghi secoli la
preghiera liturgica tenne il primo e pi largo posto nella vita di tutti i ministri di Dio, anche di quelli che si
occupavano pi attivamente delle opere di carit? Ancora nel secolo XIV, tutte le ore canoniche erano
dovunque solennemente celebrate e difficilmente si sarebbe trovato un curato di campagna che, circondato
dai suoi chierici, non cantasse ogni giorno nella sua chiesa almeno la Messa e i Vespri, e non si levasse la
notte per il canto del Mattutino.
Il ministero straordinariamente fecondo del clero primitivo si nutriva dunque di unabbondante
contemplazione. S. Tommaso non fa altro che riassumere questa lunga esperienza dei Santi, quando con la
sua ordinaria precisione scrive: La vita attiva, nella quale vengono comunicate le realt contemplate
attraverso la predicazione e linsegnamento, presuppone unabbondanza di contemplazione.
Si pu dire che questa verit la nota fondamentale delle Costituzioni domenicane. S. Domenico volle
che la vita quotidiana dei suoi figli fosse una vita contemplativa, cio una vita di raccoglimento, di studio, e
di preghiera: il silenzio facilita lo studio, lo studio nutre la preghiera, la preghiera attira la carit, anima
dogni apostolato; perch lo zelo - dice ancora S. Tommaso - un amore intenso (Somma teologica, I-II,
28, 4).
La contemplazione lanima dellapostolato domenicano. LOrdine non potrebbe rinunciarvi senza
diminuire di altrettanto lefficacia delle sue opere. Senza vita contemplativa tutto colpito di sterilit: lo
studio perde il suo senso profondo, le opere si vuotano dello spirito di carit, perch la contemplazione la

grande sorgente non solo dellamore, ma anche dellintelligenza.


Privato di questa sorgente vivificante, lOrdine intristisce, si dissecca come un albero piantato in una
terra arida, troppo povera per nutrirlo. Forse formerebbe ancora professori sapienti, capaci di dotte lezioni e
di libri eruditi, ma lezioni e libri impotenti a produrre la piet. I suoi Predicatori non distribuirebbero alle
anime se non eloquenza umana, sterile.
Per evitare questa sventura davere un Ordine di religiosi, la cui scienza non fosse rivolta alla piet e le
cui opere non fossero penetrate di soprannaturale, S. Domenico diede alla preghiera un cos largo posto, e
le Costituzioni raccomandano in maniera pressante ai Priori di mantenere nei Conventi le solennit
dellufficio divino, il canto, le processioni ed altre cerimonie prescritte, persuasi che Dio onnipotente
spander ben pi larghe benedizioni sulla predicazione e sul ministero dei Frati cui una pi lieta devozione
render pi assidui al lavoro. I predicatori - aggiunge il B. Umberto - attingono dalla contemplazione
quello che versano poi nella predicazione.
Il figlio autentico di S. Domenico un contemplativo. Non la scienza o leloquenza che lo
caratterizzano anzitutto, ma lamore della preghiera. Prima di tutto egli cerca di fortificare in se stesso
luomo interiore, al fine di essere radicato e fondato nella carit e riempito di tutta la pienezza di Dio (Ef
3,14). Egli penetrato di questa convinzione che lapostolato, anzich agitazione, lespansione della vita
interiore, lirradiamento di unanima tutta piena di Dio, la cui vita trabocca e si comunica ad altre anime.
Egli serba come regola di condotta quotidiana le brevi parole del sublime testamento di S. Domenico: In
fervore spiritus consiste: rimani nel fervore dellamore.
2. La casa della contemplazione
il nome che un antico cronista dava al convento dei Predicatori: Domus contemplationis.
Poich il Frate Predicatore prima un contemplativo, S. Domenico volle creare per la sua formazione
dei luoghi adatti alla vita contemplativa, avvolti di silenzio e di preghiera.
Il convento domenicano, come lo organizzano le Costituzioni dellOrdine, potrebbe definirsi: una casa
religiosa fatta per la contemplazione.
Anche nella sua disposizione materiale, il convento deve favorire la vita interiore21. Dordinario accanto
alla chiesa, centro della vita conventuale, si sviluppa il chiostro. Il chiostro circonda un cortile silenzioso e
ricopre le tombe dei Frati defunti. Luogo sacro che solo si attraversa pregando. Intorno vi sono i luoghi
regolari: la sacrestia, il refettorio, il capitolo, la biblioteca. Sopra, il Dormitorio, largo corridoio sul quale si
aprono tutte le celle dei religiosi.
Le Costituzioni vogliono che questinsieme sia costruito senza lusso, senza decorazioni inutili. Ma non
escludono una certa eleganza di forma, perch il bello facilita lo slancio dellanima. Le Vitae Fratrum
raccontano che Fra Guy, dopo la sua morte, fu ricompensato del bel chiostro che aveva innalzato. E non
mancarono Frati artisti per arricchire linterno del convento, il chiostro soprattutto, di belle opere darte,
che dovevano aiutare i religiosi a sollevarsi a Dio.
Su tutti questi luoghi, il raccoglimento, la pace.
Difatti si tratta di allontanare ci che S. Tommaso segnala fra i principali ostacoli della contemplazione:
tumultus exteriores. Appena entrato il novizio impressionato dal silenzio, uno dei primi obblighi della vita
domenicana. Con quale stringente gravit raccomandano le Costituzioni la santissima legge del silenzio!.
I frati tacciano ordinano esse, enumerando i luoghi regolari, dove mai una parola devessere pronunziata:
la chiesa, il chiostro, il refettorio, la cella. Se a volte bisogna assolutamente parlare, si far con rapide
parole e come silenziosamente. In refettorio il silenzio perpetuo; solo il Maestro Generale e i vescovi
possono permettere che vi si parli. La cella un santuario; nessuno vi entra, nessuno vi parla mai, il
religioso in essa vi deve solo leggere, scrivere o pregare.
Nel convento non si deve udire alcun rumore, alcuna parola. Tutto tace nel luogo della pace. Quanto
sarebbero qui fuori di posto le futili conversazioni del mondo! Anche quando vi si parla, non vi si deve udir
altro che parole tutte interiori, parole piene che rivelano gli ordinari pensieri di quelli che sono abituati alle
cose divine e il culto chessi celebrano nel santuario intimo dellanima.
Infatti la Regola impone il silenzio materiale come un mezzo per raggiungere uno scopo pi elevato, il

raccoglimento interiore. A che serve il tacere cogli uomini, essere sobrii di conversazioni se, dietro il
mutismo delle labbra, le voci interne fanno strepito? Pi ancora che alle labbra, ai sensi che la Regola
vuole imporre silenzio, allimmaginazione, alla sensibilit! Lideale chessa ci propone, quello di S.
Domenico, di cui gli antichi cronisti ci riferiscono questo magnifico elogio: Linguae observantissimus
custos non nisi cum Deo aut de Deo loquebatur (osservantissimo custode della lingua, non parlava se con
Dio o di Dio); quello di Santa Caterina da Siena, che conversa senza posa con Ges nella sua cella
interiore, pur attendendo alle opere pi svariate; quello di S. Tommaso dAquino, che riferisce tutti i suoi
studi e ciascuno dei suoi pensieri a Dio: quello di S. Alberto Magno, che scrive ai suoi fratelli: Il religioso
che penetra in se stesso oltrepassa se stesso e sale veramente verso Dio.
Raccogliamoci dunque lungi dai divertimenti mondani per fissarci nella luce della contemplazione.
In verit, il Frate Predicatore, nel suo convento, consacrato al silenzio.
2. La casa della contemplazione (segue)
Dordinario il novizio arriva agitato, con lanima in preda allinquietudine. Il primo beneficio del
convento dargli la radiosa calma del silenzio. Tutto cospira a fargli dimenticare i vani tumulti del di fuori
e lo spinge a cercare il trionfo nel regno interno. Se egli non unanima mediocre, una di quelle anime
tiepide, che mancano di profondit e di mistero, ben presto ama questo silenzio che comincia col mettere
ordine in lui stesso e a poco a poco lintroduce nella pace.
Nel medesimo tempo chegli protetto contro le forze malefiche, che assediavano lanima sua, una
misteriosa potenza viene a commuoverlo. Tutto lo allontana dal mondo, tutto lo solleva a Dio. Egli si sente
circondato dal soprannaturale. La preghiera si eleva da per tutto, ad ogni ora. Sovente nel giorno ed anche
in piena notte, la campana lo chiama al gran dovere della lode divina. Da tutti i luoghi di questa casa abitata
dallo Spirito sale verso di Lui un canto chegli non si stanca di ascoltare, che lo trascina, il canto delle
anime in cerca di Dio, eterno motivo dellamore.
Fin dal primo giorno egli si trova in presenza di esempi viventi. I suoi nuovi fratelli gli mostrano ad
ogni istante quale quella via chegli deve percorrere. Li vede ad ogni ora tendere verso quellideale
comune. Tutti i loro pensieri, tutti i loro atti ad esso convergono. E da questo sforzo collettivo, da
questardore comunicativo irradia una forza piena di speranza. Irresistibilmente il novizio obbedisce a
questa chiamata che sale da tutte le cose e da tutti i cuori, a questordine di divenire perfetto. Si sente
trascinato in un vasto movimento, il cui termine Dio. Vede chegli continua una lunga tradizione. Quando
attraversa i chiostri, cammina sulle tombe. Un gran soffio di storia passa e lavvolge. I minimi gesti dei
novizi, che armonizzano un medesimo pensiero e una pari generosit, svelano la bellezza della tradizione;
essi riallacciano i figli ai loro padri. Cos pregava S. Domenico, cos glinnumerevoli figli che Dio gli
suscit nel corso dei secoli. Tutti diedero alla loro fede unespressione identica. Tutti formano una cosa
sola, confusi nella generosit del medesimo sacrificio, nella formula duna preghiera simile.
La Regola viene e simpadronisce della sua vita, nella quale essa ispira i minimi particolari,
organizzandoli tutti in ordine a Dio, dando a tutti, anche ai pi infimi, qualcosa di santo.
Imponendogli la povert, la castit, le rinunce dellobbedienza e le austerit della penitenza, essa
rimuove laltro ostacolo alla contemplazione, segnalato ancora da S. Tommaso: la veemenza delle passioni
(vehementia passionum). La pratica della Regola purifica nel medesimo tempo e il corpo e il cuore e lo
spirito.
Al Predicatore basta osservarne tutti i punti per essere elevato ad un grado eminente di vita interiore,
per la virt degli sforzi, che questa fedelt suppone e per la fecondit della grazia, di cui la Regola come
il canale. Datemi un Frate Predicatore che osservi la sua Regola fino allultimo jota - diceva il papa
Giovanni XXII ed io lo canonizzo senza bisogno daltro miracolo.
Per il figlio di S. Domenico una forza immensa il sottomettersi ad una tale disciplina. Essa lo libera,
lo trascina, lo solleva. E per questa Regola, scritta e sperimentata da innumerevoli Santi e cos
prodigiosamente feconda, che la vita domenicana, per usare una parola delle Costituzioni, apparisce come
una bella cerimonia: pulchra cerimonia: vita larga, piena, gioconda, armonicamente bella, fonte
inesauribile della gioia intellettuale ed affettiva.

I giorni del Predicatore si svolgono nella pace della regolarit, nella gioia delle rinunce e della carit
fraterna. Estraneo alle cure e ai piaceri del mondo, sciolto dalle sollecitudini della vita esteriore, schivo da
ogni volgare distrazione, nel corso delle sue ore di volontaria solitudine, egli non vede e non sente se non
quello che vi di divino nel mondo. Raccoglie tutto ci che gli parla di Dio. Effettua lunit di vita:
compenetra tutto di divino. In questa pace del chiostro dove lausterit e la castit preparano lanima sua
alla verit, egli veglia, sta in ascolto: quando viene Dio, egli ode meglio la sua voce.
Ora Dio viene spesso. Dovunque e in ogni istante Egli si d allanima che lo desidera: durante lo studio
che la carit vivifica, nel chiostro, nel coro, nella cella. La cella il rifugio tutto pieno di Dio, il luogo
abituale della contemplazione del religioso e delle sue pi abbondanti conversazioni intime. Al Predicatore
fervente essa parla sempre, e d lezioni che solo essa conosce. Il P. Lacordaire assicurava daver scoperto
nella sua angusta cella un orizzonte pi vasto che il mondo.
Veramente la vita domenicana tal quale la costitu S. Domenico, luminosa, larga e disciplinata, austera e
gioconda, rivela e dona Iddio. Il convento domenicano il luogo favorevole al riposo e allespansione
dellanima. La preghiera si svolge liberamente. Lo studio, calmo e sereno, ivi profondo e fruttuoso.
davvero la pax operosa richiesta da SantAgostino. Se unanima generosa vien a rifugiarvisi, la sua
influenza, sufficientemente sostenuta, produrr una vita forte e piena, una vita armonica e feconda.
Dopo aver preparato il Predicatore allesercizio dellapostolato, questa stessa vita conventuale lo
protegger contro lesaurimento del ministero. Al ritorno dai suoi viaggi apostolici, egli verr nel
raccoglimento e nella pace della sua cella a ritemprarsi per nuove fatiche.
Il convento gli offrir il necessario riposo; il raccoglimento lo arricchir di nuove provvigioni di vita;
lanima sua si far nuova. Rifatto e di nuovo provvisto, egli potr ripartire senza pericolo per la conquista
delle anime22.
SantAntonino aveva fatto scrivere sulla porta duna cella: Silentium est pater Praedicatorum. Infatti
nel silenzio del suo convento il Frate Predicatore riempie lanima sua della vita soprannaturale, che deve
distribuire agli uomini. E fu davvero un pensiero geniale quello che guid il Patriarca dOsma allorch, con
lintento di formare degli apostoli, cominci ad immergere i suoi figli nella vita contemplativa23.

3. Lo studio
1. Lo studio nella vita domenicana
I Frati devono avere la massima applicazione allo studio: leggere e meditare di giorno, di notte, in
convento e in viaggio, e sforzarsi di tenere a memoria tutto quello che potranno24.
Difatti lo studio uno dei primi mezzi che permettono allOrdine di conseguire il suo scopo.
Certamente - dice il B. Umberto - lo studio non il fine dellOrdine, ma eminentemente necessario per
predicare e per operare la salute delle anime; senza lo studio non possiamo n luno n laltro. Infatti
come possibile predicare la dottrina, insegnare, discutere, confutare, senza una preparazione seria e
metodica?
Per questo S. Domenico costitu la vita dei suoi figli in modo tale da favorire lo studio imposto come un
obbligo di regola, unoccupazione necessaria e permanente.
Al suo ritorno da Roma, dove aveva ottenuto lapprovazione di papa Onorio - Teodorico dApolda
che lo racconta - egli riun i suoi compagni ed espose loro lo scopo dellOrdine nuovo: che studiassero e
predicassero (ut studerent et praedicarent).
Perci uno dei primi obblighi del Priore di vigilare affinch gli studi siano sempre in pieno vigore e
gli studenti applicatissimi. Egli conceder le dispense utili affinch la fatica proveniente dalle osservanze
non rallenti lo zelo dei Lettori o lapplicazione degli studenti. LUfficio stesso devessere cantato
brevemente e senza strascichi, per non impedire lo studio25.
Secondo le necessit momentanee del ministero, il Frate Predicatore vedr rallentarsi lobbligo delle
diverse osservanze regolari; ma non sar mai dispensato dallobbligo dello studio, tanto esso
fondamentale nella vita domenicana. Il Gaetano esagerava senza dubbio, quando affermava che ogni
domenicano, il quale non consacri quattro ore ogni giorno allo studio, in stato di peccato mortale. vero

nondimeno che sarebbe totalmente fuori di strada e in grave colpa contro la sua Regola quel Frate
Predicatore che non amasse il lavoro intellettuale.
Una delle maggiori cure dellOrdine, nei suoi inizi, fu quella di organizzare studi completi quantera
possibile e di stimolare i Frati al lavoro intellettuale. Nessunaltra societ religiosa aveva ancora fatto
questo fino a tal punto. Non appena San Domenico ebbe stabilito i suoi primi figli a Tolosa, fece loro
frequentare la scuola episcopale di teologia. Dopo di lui, i Maestri Generali gareggiarono di zelo coi
Capitoli per metter lOrdine alla testa del movimento intellettuale del Medio Evo.
Ai giorni nostri, lOrdine ha serbato fede alla sua vocazione scientifica e, come per il passato, domanda
ai suoi figli di darsi con ardore allo studio; e lumeggia il suo blasone con la parola cos feconda: Veritas.
Per il Frate Predicatore il dogma la terra solida, incrollabile, su cui egli appoggia tutte le sue opere,
tutta la sua azione. Terra di una inesauribile fecondit: scavata da teologi quali un Alberto Magno, un
Tommaso dAquino, essa rivela tesori immensi; coltivata dai predicatori e dai mistici, essa sadorna duna
splendida fioritura, fa germogliare il frumento, che d il pane alle anime e fa sbocciare i fiori damore, gli
slanci dun Enrico Susone, duna Caterina da Siena.
Per lunghi anni prima dessere impiegato nel ministero, il Frate Predicatore deve subire una
preparazione grave e metodica. Non si procede alla maniera moderna per la sua iniziazione scientifica. La
sua educazione si fa lentamente, tradizionalmente, secondo lantico metodo scolastico che form le pi
grandi menti della Chiesa.
Giunto verso i ventanni al noviziato, non dedicato al ministero se non verso i trenta. Durante questi
anni, lontano da tutto ci che potrebbe dividere il suo sforzo o rallentare la sua attenzione, egli raccoglier
con una docilit intelligente e attiva glinsegnamenti del passato, imparer a conoscere ed amare il lavoro
dei padri suoi, ci chessi fecero e che non pi da fare; crescer secondo il loro spirito, nel rispetto
dellopera loro. Allorch verr il momento di produrre il suo sforzo, invece di distruggere, egli penser ad
aumentare la ricchezza tradizionale e a fornire il suo contributo personale al tesoro accumulato dai suoi
padri.
In ogni tempo, nellOrdine, il religioso ebbe lagio di dedicarsi allo studio: Il tempo non fece loro
difetto - scrive Mons. Douais degli studenti domenicani dei secoli XIII e XIV. Tre anni passati nello
Studium artium, tre anni nello Studium naturalium, tre anni con ogni rigore nello Studium theologiae, cio,
nove anni consecutivi consacrati a studi, che cominciavano verso il ventesimo anno. Di pi, per i Frati
meglio dotati e giudicati atti a divenir maestri a loro volta, tre anni passati nello Studium solemne, oppure
anche tre anni passati nello Studium generale, cio in tutto quindici anni durante i quali lo studio era, dopo
la preghiera, loccupazione principale, unica, necessaria...
Bisogna ancora aggiungere che il Frate Predicatore, per quanto avesse varcato la soglia delle scuole,
non cessava dessere studente; egli era tale per professione, se cos posso dire, poich presente in convento,
era tenuto ad assistere a tutte le lezioni. Cos la sua intelligenza era continuamente coltivata, tenuta desta al
contatto dun maestro abile e sperimentato26.
Oggi, se lorganizzazione scolastica stata modificata, per piegarsi alle necessit moderne, essa
consacra sempre molti anni allo studio delle scienze sacre e resta vero il detto che il Frate Predicatore
studente per professione.

3. Lo studio
2. Loggetto principale dello studio
Tuttavia, per importante che sia, lo studio non lo scopo della vita domenicana. Se le Costituzioni non
risparmiano alcun incoraggiamento per spingere i Frati al pi intenso lavoro intellettuale, esse non
insistono meno nel serbare allo studio il suo posto e il suo carattere: Il nostro studio deve tendere
principalmente e ardentemente ad aiutare lanima del nostro prossimo.
Il Frate Predicatore non lavora come il dilettante che si compiace nel suo sapere e lo serba per s,
neppure solamente come il monaco, che cerca nei libri nuovi motivi per amar Dio. Egli ha di mira una
scopo preciso: la salvezza delle anime. Utilia potius quam curiosa, diceva il Beato Umberto. E poich la

teologia, prima dogni scienza, ordinata alla salute delle anime, il grande sforzo del Frate Predicatore sar
diretto allo studio dei libri teologici. Le Costituzioni, con questespressione, intendono anzitutto la Sacra
Scrittura, il cui studio fu tanto raccomandato da S. Domenico27, la teologia propriamente detta e la storia
sacra.
Non detto che il Frate Predicatore non possa aprir altri libri che questi. S. Tommaso dAquino non
sdegnava di cercar prove della fede perfino negli eretici e nei pagani. La scienza del suo maestro, S.
Alberto Magno, si estendeva a tutti i soggetti profani e gli permise di comporre una vera enciclopedia del
sapere umano dei suoi tempi.
Il Frate Predicatore potr darsi alle scienze ausiliarie della teologia ed anche ad altre che hanno con
essa solo relazioni pi remote. Per meglio difendere la Chiesa, lOrdine non temer di assicurare ad alcuni
dei suoi figli una larga e completa formazione scientifica. Ma lo studio della teologia rimarr sempre lo
studio fondamentale, e le altre scienze non saranno coltivate se non nella misura richiesta dalle necessit
apostoliche. Con tanta maggior cura saranno richiamate allo scopo dellOrdine, che la salute delle anime,
quanto pi esse potrebbero allontanarlo28.

3. Lo studio
3. Caratteri dello studio
Le Costituzioni, del resto, vegliano, affinch lo studio non possa mai diventare un ostacolo col
diventare un oggetto di curiosit o vana compiacenza. Esse vogliono che il suo primo carattere sia quello
desser pio. Tale la condizione della sua utilit.
Dio non voglia chesso sia un ostacolo alla contemplazione! Ogni libro deve parlarci di Dio. Dio che
dobbiamo cercare da per tutto, essendo il nostro primo ufficio quello di scoprire in ogni creatura
limmagine o le tracce del Creatore.
Lo studio del Frate Predicatore non devessere un semplice lavoro intellettuale, una speculazione
astratta e fredda. Sarebbe un intendere assai male lo scopo delle Costituzioni. La verit studiata deve
discendere nel cuore, prender possesso dellanima fino nel suo ultimo fondo e divenirvi un principio
dazione sovrana ed universale.
I nostri primi Padri chiamavano lo studio lectio, ed era per loro il primo gradino della scala che fa salire
a Dio: lectio, meditatio, oratio, contemplatio. Essi la cominciavano nellintelletto e la proseguivano nel
cuore. Cos studiava S. Domenico: Dopo la refezione - racconta il Padre Lacordaire riassumendo gli atti
della canonizzazione - egli si ritirava in una camera per leggere il vangelo di San Matteo o le epistole di S.
Paolo che sempre portava con s. Si sedeva, apriva il libro, faceva il segno della Croce e leggeva
attentamente. Ma ben presto la parola divina lo rapiva fuori di s. Faceva gesti come se parlasse con
qualcuno. Pareva ascoltare, disputare, lottare; sorrideva e piangeva alternativamente; guardava fisso, poi
abbassava lo sguardo, poi parlava sommessamente, poi si percoteva il petto. Passava incessantemente dalla
lettura alla preghiera, dalla meditazione alla contemplazione. Ogni tanto baciava il libro con amore, come
per ringraziarlo della felicit che gli procurava, poi immergendosi sempre pi in quelle sacre delizie, si
copriva il viso colle mani e col cappuccio.
Cos ancora studiava S. Tommaso, che ai suoi allievi poteva fare questa candida confidenza: Io non ho
mai letto un libro che lo Spirito Santo non mabbia aiutato a capirlo e a raggiungervi la profondit dun
mistero. Il suo segretario e testimone di tutta la sua vita, Fra Reginaldo, rivelava agli studenti di Napoli il
segreto del suo immenso sapere: Miei fratelli, quando il mio Maestro viveva, mi proib di rivelare le
meraviglie di cui ero testimone: non solo dal suo genio naturale che gli derivava la sua meravigliosa
scienza, ma anche dalla sua orazione. Ogni volta che voleva studiare, argomentare, insegnare, scrivere o
dettare, egli pregava con un profluvio di lacrime, segretamente, la Verit divina che abita nellintimo, ed
per il merito della sua preghiera che i suoi dubbi si risolvevano. Se gli si affacciava un dubbio si dileguava
mirabilmente. Si vedeva nellanima sua lintelligenza e il cuore armonizzare le loro libert, comandarsi e
servirsi alternativamente. Il cuore, mediante la preghiera, meritava il contatto di Dio; lintelligenza, che
fruiva di questo contatto, godeva di unalta intuizione, tanto pi luminosa quanto con maggior ardore il

cuore amava.
Beato quel Frate Predicatore che sa comprendere che lo studio cos praticato la sorgente a cui
salimenta inesauribilmente lo zelo apostolico e che, fedele alla grazia della sua vocazione e associandosi
alle lunghe generazioni domenicane, si mette alla sequela dei suoi Padri, ripetendo con essi le parole del
Salmista: Ingrediar in veritate. Come loro, egli guster quella gioia profonda, piena damore e
dammirazione, che SantAgostino chiamava: Gaudium de veritate, suprema felicit dellanima umana.
Dante lesprimeva in tre mirabili versi: Luce intellettual piena damore - Amor di vero ben pien di letizia Letizia che trascende ogni dolore.

4. La preghiera liturgica
Un frate domandava al B. Giordano di Sassonia: meglio attendere alla preghiera o applicarsi allo
studio?. E il Maestro gli rispondeva: Che cosa meglio, mangiar sempre o bere sempre? Evidentemente
preferibile far luno e laltro successivamente. Ugualmente anche per quanto mi chiedi.
Il Frate Predicatore infatti non si determinerebbe mai allapostolato senza la preghiera.
A che gli servirebbe la scienza, se non fosse vivificata e fecondata dalla carit? I dotti sono numerosi e i
santi sono scarsi, perch molti dotti imprigionano la verit nella loro mente senza permetterle di penetrare
il cuore. Per s, la scienza non determina allazione, e meno ancora al dono di s. Senza la carit, essa non
far mai un apostolo.
E non basta neppure a fare un contemplativo. La contemplazione religiosa, bench risieda
essenzialmente nellintelletto, comincia e finisce nella volont. Perch si ama Dio, si vuol conoscerlo:
perch si conosce, si ama di pi. Lamore il principio e il fine, ed lamore, quaggi almeno, che forma la
perfezione ultima della vita.
Il Frate Predicatore non entrer dunque pienamente nella sua vocazione a meno che la conoscenza
chegli ha di Dio per mezzo dello studio cessi desser astratta, per divenire una scienza viva e attiva, una
scienza che ama e per conseguenza si dedica e si dona.
Ma la carit un dono di Dio, per la sua stessa natura, fuori della nostra portata; e si ottiene con la
preghiera. Ecco perch la preghiera, nella vita religiosa, e nella vita domenicana in particolare, tiene un
cos largo posto. Essa ha per scopo di attirare la carit che vivificher e feconder la scienza.
Ora le Costituzioni cimpongono la preghiera sotto una doppia forma: ufficiale e privata. La prima,
determinata dalla Chiesa, la preghiera liturgica; la seconda era designata dai nostri Padri col nome di
orationes secretae.

4. La preghiera liturgica
1. La liturgia e la vita quotidiana
S. Domenico, bench destinasse i suoi figli a tutte le opere dellapostolato, non pens mai a scioglierli
da quello che S. Benedetto chiama lopus Dei. Egli considerava la preghiera liturgica come la preghiera
propria del religioso. Avrebbe temuto di diminuire il suo Ordine, se non avesse scritto in capo alle
Costituzioni il testo: De Officio Ecclesiae. Pare a lui che un chierico regolare, che non faccia della
preghiera liturgica il suo primo dovere, non meriti affatto il suo nome. E tutto quanto il popolo cristiano
allora pensava come lui. La piet conservava ancora le sue forme tradizionali.
Le Declarationes che spiegano le Costituzioni primitive parlano della Solemnis divini officii recitatio; e
ci indica che S. Domenico voleva il culto esterno circondato di bellezza. Egli adott lUfficio canonicale
con tutti i suoi riti e col suo cerimoniale tradizionale, col canto, manifestazione necessaria dellamore:
cantare amantis est29. Volle che dai conventi del suo Ordine salisse perpetuamente una vera lode di gloria.
Perch prima di tutto, luffizio corale, preparazione o complemento del sacrificio eucaristico, da cui non
devessere separato, la solenne espressione del culto divino, la voce del popolo cristiano interpretata dalla

Chiesa, voce dadorazione, di lode, di preghiera e di perdono.


Infatti la Liturgia che regola la vita quotidiana del Frate Predicatore. Studi, ricreazioni, perfino il
riposo si svolgono nei limiti determinati dalleconomia dei divini uffici.
Nel cuore della notte la campana chiama i Frati allufficio di Mattutino: mentre le tenebre coprono il
mondo, essi vegliano e pregano per far salire la lode a Dio, riparare i delitti e i disordini notturni: ufficio
commovente che scuote lanima nelle sue profondit. Allalba essi ritornano ad offrire le primizie del
giorno nuovo cantando Prima. Sette volte al giorno, il ritorno regolare delle Ore li fa inginocchiare
periodicamente a piedi dellaltare: Terza, Sesta, Nona, Vespri alternativamente li ritemprano nel fervore ed
impediscono loro di scordarsi di Dio. Finalmente, ritornato il momento del riposo, ancora la preghiera
liturgica che chiude, con la Compieta, sempre solennemente cantata, la giornata chessa apr col Mattutino.
Come si vede, la preghiera liturgica forma la trama della vita domenicana. I nostri Padri la regolarono
in modo chessa avvolgesse i lavori del religioso. Ci essi fecero con un disegno ben definito.
Oggi, in certi conventi, dove si smussato il senso liturgico, sinclina a raggruppare la recita di
parecchie parti dellufficio a fine di avere poi lunghe ore di studio non interrotto e quindi, si crede, pi
utile. Ma ci un deviare dallo spirito primitivo e un cambiare gli antichi costumi.
I nostri Padri seguivano le tradizioni apostoliche e recitavano ciascuna Ora nei diversi momenti del
giorno e della notte. Vedevano essi meglio di noi la stretta relazione della preghiera e dello studio. Se
frapponevano regolarmente lo studio con la preghiera liturgica, non intendevano sacrificarlo: sapevano che
per questo sarebbe stato pi fruttuoso.
Il ritorno frequente al Coro impedisce allo studio di essere un semplice lavoro intellettuale, una
speculazione astratta e fredda; e mantiene il contatto intimo con Dio e trattiene i Frati nella
contemplazione. Se il religioso si dedica allo studio raccomandato dalla sua Regola, quello delle scienze
sacre, lUfficio, lungi dallinterrompere il suo lavoro, ne il complemento; esso lo compie fecondandolo;
perch la verit che il Predicatore cerca nei libri, la trova in Coro, nelle formule liturgiche, non pi astratta,
ma viva, avvolta damore, pi suggestiva, pi penetrante.
In realt, con una psicologia finissima che i nostri Padri procuravano queste frequenti interruzioni
dello studio propriamente detto. Certo essi avevano per il lavoro intellettuale un gusto tanto vivo, quanto si
pu avere oggi, e nello studio delle scienze sacre ottenevano dei successi che noi difficilmente riusciamo ad
uguagliare. Essi non disprezzavano dunque lo studio; ma lesperienza aveva loro insegnato che appunto
durante quelle stazioni liturgiche lanima assimila il frutto del lavoro, e la verit dalla testa scende al cuore,
dovessa si riscalda e suscita le risoluzioni che governano la vita.
Quando studi, - diceva S. Vincenzo Ferreri - ogni tanto mettiti in ginocchio e fa salire a Dio una breve
e ardente preghiera, oppure esci dalla cella, va in chiesa, nel chiostro, l dove lo Spirito Santo ti guider:
con una preghiera vocale o semplicemente coi tuoi gemiti e cogli ardenti sospiri del tuo cuore, implora il
soccorso divino, presenta allAltissimo i tuoi voti e i tuoi desideri, chiama i Santi in tuo aiuto... Poi
richiama alla memoria quello che stavi studiando, e allora ne avrai unintelligenza pi chiara. Ritorna allo
studio e di nuovo alla preghiera, combinando i due servizi. Con questalternativa, tu avrai il cuore pi
fervente nella preghiera e la mente pi illuminata nello studio.
Cos studiava S. Tommaso. Il grande dottore faceva il minor uso possibile delle dispense, a cui gli
davano diritto le sue lezioni e la composizione delle numerose opere. E non contento dessere assiduo al
Coro, vi giungeva prima degli altri e vi faceva delle lunghe dimore. Quando gli si domandava perch
interrompesse il suo lavoro, rispondeva: Rinnovo la mia devozione per elevarmi poi pi facilmente alla
speculazione.

4. La preghiera liturgica
2. Liturgia, apostolato, vita interiore
Parimenti essi non videro mai nella preghiera liturgica un ostacolo allapostolato. Anzi, ad esempio di
S. Domenico, giudicarono che la vita attiva trovasse nellincessante preghiera liturgica la sua pi solida
base. E chi meglio di questi infaticabili apostoli poteva conoscere le affinit della preghiera e dellazione?

I figli di S. Domenico ricevettero la solenne recita dellUfficio come un mezzo dApostolato. La


liturgia per loro una potenza dintercessione e il metodo autentico di santificazione che li prepara
allesercizio del ministero.
Il Frate Predicatore, chierico regolare e apostolo, costituito mediatore tra Dio e luomo. Ebbene
anzitutto in Coro chegli compie questa gran funzione. Ivi egli rappresenta lumanit ed dalla Chiesa
deputato per offrire in nome di tutti il tributo necessario di lode.
Magistrato della preghiera, egli adora, prega, domanda perdono. E perch, in quel momento, egli la
voce della Chiesa, la sua supplica acquista unefficacia sovrana. Nuovo Mos, disarma la collera di Dio.
Quando in seno alla notte il figlio di S. Domenico lascia il suo duro letto e attraverso i chiostri oscuri si
reca in Coro per recitare Mattutino, egli ha coscienza di meritare il suo titolo di Predicatore. Capisce che
anche in quellora distribuisce la verit alle anime e che le sue preghiere, simili alle onde misteriose della
telegrafia senza fili, se ne vanno attraverso il mondo, effluvi viventi e guaritori, a seminar la vita e a
risuscitar i morti.
Per un ammirabile contraccambio, nel medesimo tempo chegli santifica santificato. Quando si
compenetra dei riti, delle cerimonie, delle parole sacre, sente subito la vita divina crescere nellanima sua e
il suo essere soprannaturale svolgersi secondo i disegni di Dio. Alla sua intelligenza la preghiera liturgica
fornisce un alimento abbondante e scelto. Continuamente il suo cuore stimolato dalle formule sante, tutte
ardenti di fervore, la sua volont spronata dagli esempi di Ges e dei Santi ogni giorno ricordati. Giorno e
notte, la preghiera liturgica lo mette in contatto con lAutore e col Modello dogni santit. Infatti la
missione della Liturgia di continuare e di dare Ges, tal quale ce lo fa conoscere lApostolo: Christus
heri et hodie et ipse in saecula.
Questa triplice esistenza di Cristo nel seno del Padre, nella sua vita mortale in mezzo agli uomini e
nella Chiesa attraverso i secoli, la Liturgia la manifesta e la comunica. Durante tutto il ciclo liturgico, al
Frate Predicatore che segue con intelligenza e con fede le cerimonie sante, Ges apparse sullaltare come
in realt, vivente, e nellatto di rinnovare i misteri della sua immolazione sotto il velo dei riti sacri: a grado
a grado si svolgono i misteri della sua nascita e della sua infanzia, della sua vita privata e della sua vita
pubblica, della sua Passione e della sua morte, della sua gloria e della sua vita mistica nella Chiesa e nei
Santi. E per celebrar questi misteri, si presentano le pi belle formule, le pi ardenti damore, le pi
suggestive, le pi commoventi, e il pi delle volte anche formule divine, poich sono tolte dalla Scrittura.
Senza sforzo, lanima fa suoi questi pensieri e questi sentimenti; sappropria le ammirabili preghiere
delle pi nobili, delle pi sante anime, riunite dalla Chiesa nel Breviario e nel Messale. Segue Ges,
lammira, lama, partecipa al suo sacrificio, sunisce a lui; e a forza di rinnovare notte e giorno questo
commercio coi misteri divini, finisce col non pi vivere se non con Ges e per mezzo di Ges. Nutrita ad
ogni ora di alimenti divini dalla Liturgia, i suoi sentimenti, i suoi pensieri e la sua vita son diventati divini30.
Cos per lunghi secoli si formarono tutti i Santi: essi seguirono le vie liturgiche.
In queste anime, qual potenza dintercessione e despansione! Esse operano in tutto ci che le circonda,
focolari che riscaldano e illuminano. Basta unanima contemplativa per convertire ambienti ribelli alla
piet, come a volte bast un convento, dove fioriva la preghiera liturgica fervente, per trasformare intere
regioni. Si moltiplichino questi luoghi della preghiera liturgica, in cui si rifugiato lantico spirito della
Chiesa, sorgenti abbondanti da cui la vita soprannaturale a fitte ondate si espander sul mondo!31.

5. Le orazioni segrete
Questo il nome che il B. Umberto, nel Commento alla Regola, d ad un altro genere di preghiera: le
orazioni in cui ciascuno, prostrato davanti a Dio, pu versare in una completa libert la sovrabbondanza
dellanima sua.
La storia ci dice quanto nei primi tempi dellOrdine queste preghiere fossero in onore.
Il nostro Beato Padre era solito rimanere in chiesa dopo la Compieta. Fatti rientrare i Frati nel
dormitorio, egli trascorreva la notte in preghiera piangendo e gemendo. A volte i suoi singhiozzi e i suoi

gridi destavano i Frati che riposavano in vicinanza e li commovevano fino alle lacrime.
Il B. Giordano di Sassonia aveva dal Signore ricevuto una grazia speciale dorazione che nulla poteva
fargli trascurare, n le cure della sua funzione di Maestro dellOrdine, n le fatiche dei viaggi; n alcuna
sollecitudine. In convento egli aveva labitudine di pregare a lungo, in piedi, colle mani giunte, cogli occhi
alzati al cielo. Restava cos, senza sedersi n muoversi affatto, per lunghe ore, specialmente dopo il canto
della Compieta e del Mattutino. In viaggio come in convento, era tutto immerso in una contemplazione che
linondava di delizie. Tutto il tempo che non impiegava nel recitare lufficio o nel trattare affari seri coi
Frati, lo consacrava alla contemplazione.
Tale era il fervore dei primi Frati che nulla pu darne unidea. Essi prolungavano la loro preghiera dalla
notte allaurora. Di rado, anzi mai la chiesa era senza qualche Frate in orazione, a tal punto che, per essere
sicuri di trovarli subito, i portinai andavano a cercarli in chiesa. Attendevano lora della Compieta come
una festa. Finito lufficio, dopo aver salutata la Regina ed Avvocata del nostro Ordine, essi prendevano
dure discipline, poi ciascuno faceva come dei pellegrinaggi di altare in altare, prostrandosi con umilt e
piangendo con tanta compunzione che le loro grida damore sudivano di fuori. Dopo il Mattutino pochi
ritornavano ai loro libri, meno ancora a letto; essi preferivano correre allaltare della beata Vergine, attorno
al quale si vedeva talvolta una triplice fila di Frati, che con slanci di fervore ammirabile raccomandavano e
lOrdine e se stessi. Nessuno potrebbe dire la loro devozione alla Madonna. In cella si tenevano dinanzi la
sua immagine e quella di Ges Crocifisso, affinch sia leggendo, sia pregando, sia addormentandosi, fosse
loro facile rimirarle e ottenere uno sguardo di misericordia (Vitae Fratrum).
Si metteva in pratica il consiglio del B. Umberto: I Frati sapplichino alle orazioni segrete con fervore,
perch esse sono un segno manifesto di santit.

5. Le orazioni segrete (segue)


Ma, si dir, che metodo usa il Frate Predicatore per far orazione? Nessuno, risponderemo noi. E per
buona fortuna. Noi pensiamo come il santo Abate di Solesmes, Don Guranger: Dio ci liberi dagli uomini
di sistemi e didee convenzionali!. E come Santa Giovanna di Chantal che scriveva: Il gran metodo
dorazione non averne nessuno... Se andando allorazione fosse possibile rendersi una pura capacit per
ricevere lo spirito di Dio, questo basterebbe per ogni metodo, lorazione si deve fare per grazia e non per
artifizio32.
Che certi metodi recenti, che hanno dei santi per autori e che del resto la Chiesa ha lodati, meritino
rispetto e rendano servizio a tante anime, nulla di pi certo; ma essi sono fatti per anime che vivono in
condizioni che non sono le nostre e rispondono a tuttaltri bisogni. Lo svolgimento normale della nostra
spiritualit segue una diversa tendenza.
Abbiamo veduto come S. Domenico organizz la vita quotidiana di suoi figli: tutto in essa converge
verso la contemplazione. Non avrebbe certo avuta lidea di ridurre lorazione ad alcuni istanti determinati.
Trattenersi con Dio, contemplare, doveva essere il fondo stesso dellesistenza. tutta quanta la giornata
che le Costituzioni consacrano a Dio.
Quando il Frate Predicatore obbligato al silenzio, perch egli dimentichi il mondo e se stesso, e
perch nel raccoglimento ascolti Iddio; quando per ubbidienza deve studiare a lungo la Sacra Scrittura e i
libri teologici, non si tratta certo duno studio arido e astratto, ma dun lavoro in cui il cuore avr il suo
posto come lintelletto, in cui lanima si nutrir, si immerger nella bellezza dei divini misteri; lavoro che
devessere una preghiera esso stesso. La preghiera deve sostenere e tutto penetrare. Preghiera liturgica,
orazioni segrete, lectio divina si suppongono a vicenda, si chiamano, si compenetrano e quasi si
confondono. Isolarle, metterle in un geloso parallelo sarebbe un falsare leconomia domenicana. Lo studio
sia pio, la preghiera sia nutrita di verit, e lamore verr, lamore che conduce allunione, scopo supremo
della vita soprannaturale.
Cos per la preghiera e per lo studio che si sostengono reciprocamente, studiando per meglio amare,
pregando per meglio studiare, lanima domenicana si solleva a Dio, senza scosse e senza rumore, giunge
alla vera contemplazione.

5. Le orazioni segrete (segue)


Si noti bene che, se la spiritualit domenicana non usa metodo sistematico, non si deve dire che essa
non si conformi ad un ordine e che non osservi una disciplina. I nostri Santi ci lasciarono delle raccolte di
meditazioni fatte per intero. Eppure quale unit nelle loro vedute! Qual sicurezza nella loro ubbidienza alla
grande tradizione mistica che gi Dionigi il Mistico chiamava la tradizione sacerdotale!
Se si vuole, essi hanno un metodo, ma largo, libero, giocondo: quello della Chiesa, che sempre santific
le anime con la liturgia, quello che si pot definire con pari giustezza e forza: il metodo autenticamente
istituito dalla Chiesa per assimilare le anime a Ges33. Essi pensarono che le verit, approfondite nello
studio, assimilate nellorazione, cantate senza fine nella preghiera liturgica avevano una grazia somma per
sollevare a Dio unanima gi purificata dal silenzio e dalle austerit del chiostro e per farla entrar nel
mistero di Cristo e delladorabile Trinit.
Come si vede, lascetica domenicana non cerca di formare dei santi secondo una formula unica imposta
a tutte le anime. Essa non vuole dar una piega, n imporre una data formazione.
Un giorno Nostro Signore disse a Santa Caterina da Siena: Sai che cosa sei tu e che cosa sono io? Se
impari queste due cose, sarai felice: tu sei quella che non sei, e io sono Colui che sono!.
La spiritualit domenicana in germe in queste parole, che indicano la sua pratica fondamentale:
stabilire lanima di fronte a Ges, modello dogni santit, affinch lo conosca e si trasformi mediante la
vista di lui; applicarla alle grandi e profonde verit, sorgenti dellazione; riempirla di luce per infiammarla
damore.
Qui ancora lOrdine applica il suo motto: Veritas. Anzitutto ci vogliono idee, idee forti, idee piene,
perch dalle idee nascono gli atti e perch una verit, quand veramente padrona dellintelligenza, finisce
col governare la vita.
Di qui i caratteri della piet domenicana:
Eminentemente disciplinata e forte, perch essa satura di dogma e sempre appoggiata sulla verit che
la preserva dagli errori; umile, di unumilt tanto pi sicura in quanto che nasce, non dai ritorni incessanti
su se stesso, ma dalla considerazione della divina maest: Io sono Colui che sono, tu sei quella che non
sei.
Nondimeno, eminentemente libera. Perch il conoscimento fa nascere lamore. E che cosa c di pi
libero che lamore? Giacch la sensibilit domata e sottomessa allamore divino, perch non lasciarle i
suoi slanci, non permettere di dare ali allamore? Di qui una mirabile variet nei Santi domenicani.
Ciascuno conserva la sua fisionomia distinta, le sue tendenze personali, le sue virt preferite, e, sotto le
medesime fattezze di famiglia, tradisce le differenze della schiatta, dellambiente, delleducazione. Sono
tutti segnati della grande nota domenicana: lo zelo delle anime mediante lapostolato dottrinale; ma
ciascuno aggiunge la sua nota personale: un Vincenzo Ferreri, la foga e lintransigenza spagnola; un Enrico
Susone, la dolcezza e la malinconia renana; una Caterina da Siena, larmonia e gli ardori della terra
italiana.
Finalmente, piet eminentemente confidente e gioconda.
Dalla grande idea tomista: Dio anzitutto! nasce una mistica confidente, che dilata le facolt umane e le
dispone mirabilmente allapostolato. La formazione teologica del Frate Predicatore lo abitua a considerare
la perfezione soprannaturale da un alto punto di vista, a vivere soprattutto mediante le sommit
dellanima. Dio ci ama, ci ama infinitamente e in tutti i modi ci attrae a s. Un solo mezzo efficace di
rispondere a questamore: la confidenza, labbandono. Bando pertanto a quei mezzucci che mantengono
lanima fissa sopra se stessa! Bando a quei ritorni incessanti sopra se stesso, il cui pi chiaro risultato il
mantenere l'egoismo. Sursum! In alto! l'anima domenicana si slanci, quale allodola che spicca il suo volo,
che sale con celere sbattere dali nella luce, pi in alto, sempre pi in alto! Mio Dio, dilatate l'anima mia!
supplicava Santa Caterina da Siena.
Questa la preghiera del Frate Predicatore egli desidera la dilatazione della vita. Nellintelletto, una
dottrina forte e piena; nel cuore, un amore ardente, profondo; fuori, opere vigorose, leali, ardite.

CAPITOLO III LE MISSIONI


Quando avremo costituito lOrdine - diceva S. Domenico a uno dei suoi primi compagni - noi andremo a
portare la fede presso i Cumani (popolazione pagana delle regioni balcaniche allora giustamente rinomata
per la sua crudelt).
Per tutta la sua vita, il santo Patriarca fu tormentato dal desiderio di andarsene lontano ad evangelizzare i
popoli pagani e a versare il suo sangue per Ges Cristo. La Provvidenza gli rifiut questa gioia.
Ma il suo spirito apostolico pass nellanima dei suoi discepoli, e ci che il Padre non aveva potuto
compiere, lo eseguirono i figli con un ardore e con un successo fino allora inaudito nella Chiesa. Si pu
dire senza esagerazione, che il mondo intero ud la parola dei missionari domenicani. E qual quellangolo
della terra che non sia stato irrigato da loro sangue?
Secolo XIII e XIV
Levangelizzazione degli infedeli talmente nello spirito domenicano che essa cominci fin dai primordi
dellOrdine, e subito dopo si svilupp in proporzioni prodigiose.
Fin dal 1220, S. Domenico invia verso la Polonia e la Slesia quattro giovani religiosi, di cui uno, S.
Giacinto, da Dio predestinato per portare il nome di Cristo fino nelle pi remote contrade, ha la gloria
daver dato lo slancio apostolico verso lOriente e il Settentrione e di essersi, per il primo, gettato in piena
barbarie.
Alla testa di alcuni Frati che lo seguono e di altri che egli ben presto arruola in gran numero percorre prima
la Prussia, la Pomerania, le coste del Baltico, la Danimarca, la Svezia, la Norvegia, regioni ancora barbare.
Da per tutto, infaticabilmente, egli predica, battezza, fonda chiese, fabbrica case religiose. Quando i Frati
che egli ha dovunque suscitati e stabiliti in numerosi conventi si trovano sufficienti per compiere la
conversione di quei paesi gi immensi, linfaticabile apostolo discende verso il mezzogiorno: evangelizza
la Russia bianca, lUcraina, i popoli rivieraschi del Mar Nero e quindi, sempre instancabile, annunzia il
Vangelo ai popoli della Poldavia, della Volinia, della Lituania, e di nuovo porta lardore della sua parola su
tutte le rive del Baltico.
Non possibile narrare tutte le fatiche di questuomo e dei suoi compagni, n la somma incalcolabile di
patimenti che dovettero soffrire, n i loro successi.
Durante questo tempo, nel 1221, il B. Paolo fonda la Provincia dUngheria, i cui Frati sapplicano subito ad
evangelizzare i popoli balcanici, reputati feroci per i loro istinti.
Il B. Ceslao porta la fede nella Boemia, nella Bosnia e nella Slesia, e ottiene un successo cos rapido che,
fin dal 1227, il Convento che egli fond a Praga conta ben 126 religiosi.
I Frati della Provincia di Spagna passano nel Marocco e ben presto predicano su tutta la costa barbarica
fino allEgitto.
Le stesse contrade pi settentrionali, la Groenlandia, lIslanda, vedono il bianco abito dei Predicatori, e in
alcuni anni 27 conventi domenicani sinnalzano in quelle contrade ove, poco prima, il nome di Ges noti
era mai stato pronunziato.
Un immenso slancio trascinava la turba dei Predicatori allapostolato e al martirio. Veramente lo spirito
apostolico di S. Domenico riviveva nei suoi figli.
Chi non conosce la sublime scena che vide il Capitolo generale di Parigi nel 1228?
Il Maestro Generale, Beato Giordano, avendo bisogno di missionari, ne domand ai membri del Capitolo.
Egli non aveva ancora finito di parlare che tutti i Frati erano prostrati ai suoi piedi, in venia, supplicandolo
con le lacrime ad inviarli.
E Fra Pietro di Reims, allora Provinciale di Francia, si prostr con i suoi religiosi e disse al Maestro: O
lasciatemi questi Frati, o permettetemi di seguirli nel martirio.
Alcuni anni pi tardi, il B. Umberto de Romans fu testimone di un simile spettacolo.
Poich Innocenzo IV aveva chiesto dei Frati per mandarli presso i Tartari, il Maestro fece conoscere i
desideri del Pontefice al Capitolo della Provincia di Francia: Allora - racconta Gerardo di Frachet - si
presentarono Frati cos ragguardevoli e in cos gran numero che tutti si misero a piangere. Fletus mirabilis

Capitulum illud occupavit. Gli uni piangevano di gioia, perch, avevano ottenuto il permesso di partire; gli
altri piangevano di dolore, perch loro era stato rifiutato il permesso.
Iniziato lapostolato missionario nel vicino e medio Oriente fin quasi dallinizio dellOrdine, ben presto i
Domenicani ebbero numerose case in Grecia, Cipro, Terra Santa, a Tiflis e altrove. Questi missionari erano
detti Fratres peregrinantes, e nella seconda decade del secolo XIV, essendo straordinariamente aumentati,
venne istituita per essi la Congregazione dei Frati Pellegrinanti per Cristo presso gli infedeli.
La sete del martirio diventava anche troppo comunicativa presso i figli di S. Domenico e spopolava i
conventi dEuropa, sicch i Papi dovettero adoperarsi per regolare questo mirabile ardore.
Nulla spaventava quegli intrepidi Pellegrinanti. Essi partivano sempre a gruppi e a piedi, col bastone in
mano, valorosi fanti della povert volontaria, come si esprimono i testi primitivi: pedites in voluntaria
paupertate; senza denaro, mendicando il pane di giorno in giorno, non portando nella loro bisaccia che
alcuni libri santi, praticando sempre con rigore le pi austere osservanze dellOrdine, il silenzio, lastinenza
e il digiuno.
Che cosa avrebbero potuto temere? Essi non av vano che unambizione; versare il loro sangue per Ges
Cristo.
In pochi anni, avendo gi occupate le contrade dellEuropa ancor barbare e una gran parte dellAfrica e
lAsia, essi avevano raggiunto i limiti del mondo e, il 23 luglio 1253, il papa Innocenzo IV poteva
indirizzare una Bolla ai Frati Predicatori missionari nei paesi dei Saraceni, dei Greci, dei Bulgari, dei
Cumani, degli Etiopi, dei Siri, dei Gazareni (abitanti del Chersoneso Taurico), dei Goti, dei Licociensi
(rivieraschi del Ponto Eusino), dei Ruteni, dei Giacobiti, dei Mossulioti, dei Tartari, de Nubii, dei
Georgiani, degli Armeni, degli Indiani, degli Ungheresi della grande Ungheria e degli altri popoli infedeli
dellOriente.
Un secolo dopo la fondazione dellOrdine, lentusiasmo domenicano per correre alle missioni lontane era
ancora tale che il papa Giovanni XXII esclamava: Veramente questi Frati furono creati per brillare e
illuminare nella Chiesa di Dio!.
E cos fu per lungo tempo.
Disgraziatamente, nella seconda met del seco lo XIV le stragi della Peste nera, aggravate dai lunghi
turbamenti del Grande Scisma dOccidente. paralizzarono questa magnifica espansione. Quasi tutti i
missionari perirono sotto gli attacchi del terribile flagello. Nei suoi quindici conventi della Persia, per
esempio, la Congregazione dei Pellegrinanti non conserv in tutto se non tre religiosi, che i conventi
dEuropa, rovinati anchessi, erano incapaci di soccorrere.
La peste nera cagion nellOrdine, come in ogni altro luogo, stragi spaventose e lo ridusse ad uno stato di
desolazione. Per citar solo alcuni esempi, nella Provincia di Provenza la peste port via 370 Frati durante la
quaresima del 1348. A Marsiglia, perirono tutti. A Firenze 80. A Pisa, 40. A Lucca, 30. Tuttavia il flagello
non pot spegnere totalmente lo spirito apostolico. Vi furono ancora dei missionari domenicani. Nel 1371,
Gregorio XI ne manda un gruppo importante in Asia. Nel 1405, il Vescovo di Pechino era un domenicano:
parimenti nel 1433, il Vescovo della Groenlandia. A due missionari domenicani Tamerlano affid la sua
famosa lettera al re di Francia Carlo VI conservata negli archivi nazionali.

(CAPITOLO III LE MISSIONI continua)


Le Missioni dal principio del secolo XVI
Ma, durante il secolo XV, lOrdine, sotto limpulso dun gran numero di santi che Dio gli concesse, si
riprese e fiorendo di nuovo losservanza dei primi tempi, anche lo slancio apostolico verso le missioni
risorse bello, forse pi bello ancora che alle origini.
I primi anni del secolo XVI aprirono lera novella dellApostolato. Era lepoca ardente in cui Cristoforo

Colombo scopriva lAmerica, in cui Vasco De Gama passava il Capo delle Tempeste, in cui Albuquerque
offriva al suo re limmenso impero delle Indie.
Dovunque penetrarono gli arditi esploratori, i Domenicani li seguirono e molte volte anche li
oltrepassarono.
Durante questo periodo moderno, si distinguono come tre grandi correnti dapostolato domenicano: la
corrente spagnola verso le Americhe, la corrente portoghese verso le Indie, e, un secolo pi tardi, la
corrente diretta soprattutto dalla nuova Provincia delle Filippine verso lEstremo Oriente.
NEL NUOVO MONDO.
Appena i conquistatori spagnoli erano sbarcati in America, i Frati Predicatori di Salamanca arrivavano per
levangelizzazione degli indigeni.
Il primo gruppo discese a San Domingo nel 1510 e fond il famoso convento di Santa Croce, donde
dovevano uscire tanti apostoli e martiri.
A capo di qualche mese, convertiti glIndiani di San Domingo e arrivati nuovi missionari, gli arditi
Predicatori partirono per la conquista spirituale dellAmerica.
Nel 1512, essi sono a Portorico; nel 1513, nel Venezuela, ove cadde il primo martire del Nuovo Mondo, il
B. Francesco di Cordova; nel 1520, nel Panama; nel 1526, nel Messico dove ventanni dopo lOrdine
contava 43 centri di missioni; nel 1529, nel Per; nel 1530, nel Guatemala, dove fabbricarono la prima
chiesa e il primo convento; nel 1529, nella Nuova Granata; nel 1534, nellEquador; nel 1541, a Vera Paz;
nel 1542, nella Florida; nel 1552, nel Cile.
In tutti questi paesi, le loro fatiche furono immense e ammirabili i loro successi. Interi popoli furono
condotti alla fede mediante le loro predicazioni. La storia racconta, per esempio, che in tre mesi S.
Lodovico Bertrando battezz diecimila Indiani della Nuova Granata.
Quando gli avventurieri, che avevano invaso il Nuovo Mondo, si misero a commettere gli abominevoli
eccessi che la storia ha bollato, fu gloria dei Predicatori il levarsi in massa contro di essi, per proteggere gli
indigeni.
Per primi essi fabbricarono per gli indigeni degli ospedali e delle scuole; fondarono le universit di
Messico, Lima, Quito, Santiago. Nulla di grande si fece nel Nuovo Mondo - scrive lo storico Melendez senza lintervento dei figli di S. Domenico. la medesima testimonianza che rendeva loro pi tardi papa
Clemente X: LOrdine di S. Domenico sembra aver ricevuto dal Cielo in eredit la gloriosa missione di
condurre alla cognizione del vero Dio e di assoggettare alla Chiesa romana limmenso popolo dAmerica
(Bolla del 16 aprile 1671).
LOrdine diede alla Chiesa il primo martire del Nuovo Mondo: il B. Francesco da Cordova; la sua prima
santa: Santa Rosa da Lima; i primi evangelizzatori del Per, di Portorico, del Venezuela, del Guatemala, di
Vera Paz, della Nuova Granata, dellEquatore e del Cile.

(CAPITOLO III LE MISSIONI continua)


IN ASIA. Durante questi medesimi anni, altri Frati Predicatori si espandevano, dietro ai conquistatori
portoghesi, nelle regioni nuovamente scoperte dellAsia. Quando, nel 1503, Alfonso Albuquerque partiva
da Lisbona per lEstremo Oriente, conduceva con s cinque Domenicani, il cui zelo ottenne magnifici
risultati: sulle coste di Malabar, a Cochin, essi innalzarono il primo convento, centro di evangelizzazione
delle regioni di Coulam con un tal successo che il Papa stabil presto un Vescovo per dirigere quella novella
chiesa.
Due anni dopo, nel 1505, altri missionari vennero in soccorso dei loro Fratelli ed estesero rapidamente le
prime conquiste. Due nuovi centri di evangelizzazione furono stabiliti a Ormuz e a Goa.
Di l i Predicatori irradiarono in tutti i sensi. A Ormuz, allentrata del golfo Persico, Fra Giovanni del Santo

Rosario fond un gran convento destinato ad essere il punto di partenza dei missionari di Persia e di
Arabia.
A Goa, Fra Domenico di Souza stabil il convento di Santa Caterina, il cui irradiamento fu immenso: i suoi
missionari portarono la fede nel Coromandel, a Ceylon, alle isole della Sonda, a Malacca. In questultimo
paese il successo fu cos rapido che, nel 1549, lOrdine contava 18 conventi che evangelizzavano
sessantamila cristiani. Questi conventi alla loro volta diventarono delle riserve dapostoli per le pi remote
regioni dellIndocina, della Cambogia, del Siam, dellAnnam, del Tonchino e della Cina.
II primo martire della Chiesa nel Siam un Predicatore, il ven. Girolamo della Croce, martirizzato nel
1556.
LOrdine diede alla Cina il suo primo martire, San Francesco de Capillas, martirizzato nel 1648, e il suo
primo apostolo nei tempi moderni, il Ven. Gaspare della Croce, il quale pi felice di S. Francesco Saverio,
riusc a varcare le frontiere allora formidabili del Celeste Impero, nel 1555.
Il primo Cinese che sia pervenuto al sacerdozio e allepiscopato anche un Predicatore, il P. Gregorio
Lopez.
Altri Predicatori si espandevano in Africa, evangelizzando le coste mediterranee, il Congo, la Guinea e la
Costa dOro, le regioni sulle rive dello Zambese, il Madagascar, i Cafri del Mozambico ecc.
Era unopera immensa. Tutto il mondo infedele era affrontato nel medesimo tempo. LOrdine di S.
Domenico - dice il P. Lacordaire non aveva mai presentato un cos grande spettacolo. Chi lavesse visto
dallalto e con un solo sguardo, come Dio, non avrebbe creduto possibile che un cos piccolo numero di
uomini potesse parlar tante lingue, occupar tanti luoghi, dirigere tanti affari e dar tanto sangue.
E nondimeno il campo dellApostolato domenicano si estese ancora per la fondazione di una nuova
Provincia, di cui la storia giustamente gloriosa nella Chiesa, la Provincia del Santo Rosario delle
Filippine.
Nel 1564, Michele Lopez de Lagaspe simpadron dellisola di Luzon e fond a Manila una colonia
spagnola. Era una posizione mirabile per la diffusione del Vangelo nellEstremo Oriente: a breve distanza,
a settentrione, le isole del Giappone e Formosa; ad occidente limmensa Asia, il Tonchino, il Siam, la
Cambogia, a mezzogiorno le innumerevoli isole dellOceania.
Subito i Predicatori, sempre attenti a coglier occasioni di nuove missioni, accorsero e fondarono a Manila il
convento che doveva estendere cos lontano il regno di Ges Cristo e versar tanto sangue per la fede.
Di l essi irradiarono in tutti i sensi: verso il 1570, discesero nella Cambogia, nel Siam e salirono in Corea.
Nel 1590 riuscirono a penetrare in Cina, dove presto parecchi fra loro ebbero la felice sorte di dare il loro
sangue per Ges Cristo.
Nel 1596 intrapresero levangelizzazione della Cocincina, del Tonchino e dellAnnam, ove per parecchi
secoli, non dovevano cessare di dar dei martiri alla Chiesa.
Nel 1601, penetrarono nel Giappone. l che la Provvidenza riserbava loro i pi gloriosi e i pi sanguinosi
trionfi.
Nulla di pi grande negli annali della Chiesa che la storia di questi martiri del Giappone messi a morte al
principio del secolo XVII: Alfonso Navarrete, Lodovico Flores, Angelo Orsucci, Francesco Morales,
Giacinto Orphanel e i loro numerosi compagni; e quegli altri quattro, martirizzati nel 1637, che si
mostrarono cos magnifici nelle loro torture che Alessandro di Rhodes li nomin i pi grandi martiri del
Giappone: Guglielmo Courtes, Michele di Ozarata, Antonio Gonzales, Vincenzo della Croce. LOrdine
ebbe allora la gioia di dare alla Chiesa dei martiri a centinaia.

CAPITOLO IV LINSEGNAMENTO
Lorganizzazione dellinsegnamento

Per quanto gi largo fosse lapostolato per la predicazione universale e le missioni in paesi barbari, S.
Domenico apr ai suoi figli un nuovo e quasi altrettanto vasto campo dazione: linsegnamento.
Poich dava loro per vocazione di predicar la dottrina, egli doveva obbligarli a studi profondi, che li
rendessero capaci di esporre la verit davanti ai pi dotti uditori cos come davanti ai pi semplici; di
difendere la religione scientificamente, se era necessario, confutando i sofismi dellerrore e pi ancora
rivelando le misteriose e abbondanti ricchezze del dogma cristiano.
Perci, fin dai primordi, lanci i suoi figli in pieno movimento universitario. Nel 1215, appena giunti a
Tolosa, egli li manda a frequentare la scuola vescovile di teologia. Due anni dopo, quando li disperde per il
mondo, dirige i due principali gruppi alla volta delle due grandi citt universitarie di quel tempo, Parigi e
Bologna, per predicare senza dubbio, ma anche, dicono i cronisti, per studiare.
E per meglio conseguire lo scopo che egli prefiggeva al suo Ordine, si applica lui stesso ad arruolare i suoi
discepoli specialmente negli ambienti intellettuali delle grandi universit.
Il Beato Reginaldo e il B. Giordano lo imitano con un tal successo che in breve, in grazia degli
innumerevoli professori e studenti guadagnati alla vita religiosa, i Predicatori da discepoli passano a
maestri e aprono delle scuole su tutti i punti dEuropa.
Era un rendere un immenso servizio alla Chiesa.
In quel tempo, aglinizi del secolo XIII, la societ cristiana attraversava una crisi dottrinale spaventosa. Le
scuole monastiche ed episcopali, che fino allora avevano provvisto alleducazione intellettuale del clero,
erano in piena decadenza o estinte.
Solo alcuni grandi centri, Parigi specialmente, facevano monopolio della vita intellettuale dEuropa.
Ne risultava nel clero unignoranza a volte estrema e negli ambienti universitari un pericolo inquietante per
lortodossia, perch la recente entrata delle opere di Aristotele commentate da Avicenna e da Averro
turbavano gli spiriti gettati in piena effervescenza e tentati di costituire con esse una filosofia
fondamentalmente opposta al pensiero cristiano. Senza tener conto che numerose sette, Catari, Albigesi,
Poveri di Lione, attive e amanti delle dispute, si valevano delle circostanze per sedurre popolazioni, che il
clero ignorante non sapeva istruire.
Alla societ cristiana mancavano scuole e un insegnamento solido e ordinato.
vero che il Papato, gi da un certo tempo, si sforzava di porre rimedio ad uno stato di cose inquietante.
Ma senza buon successo.
Il terzo Concilio ecumenico del Laterano (1179) aveva promulgato decreti organizzanti linsegnamento, ma
erano rimasti lettera morta.
Il quarto Concilio del Laterano (1215) tentando di riprendere lopera, aveva severamente ricordato
allepiscopato il sacro dovere che gli incombeva di assicurare linsegnamento, e perfino aveva ordinato
lapertura di una scuola, almeno, di grammatica, per diocesi e di una scuola di teologia per archidiocesi. I
Papi si erano impegnati di persona o per mezzo dei loro Legati per lesecuzione di questi decreti essenziali;
ma avevano ottenuto ben poco. Lepiscopato si mostrava sempre pi incapace di risolvere il grave
problema ad un tempo scolastico e dottrinale.
S. Domenico venne a dar la soluzione.
Disperdendo i suoi sedici compagni, aveva loro promesso di sostenerli colla sua preghiera. Difatti, dice il
B. Giordano, la virt di Dio li accompagn per moltiplicarli.
un fatto assai straordinario la rapida diffusione di questOrdine apostolico e dotto. In alcuni anni, questo
grande Ordine sciam su tutti i punti dEuropa e segnatamente in Francia, perch fu esso senza pari per la
stima che godeva nel mondo colto.
Quattro anni dopo la dispersione (1221), il Fondatore, convocando a Bologna il primo Capitolo Generale,
vedeva attorno a s i rappresentanti di otto province che contavano gi parecchie migliaia di religiosi.
Ancora alcuni anni e il Maestro Generale governer circa seicento conventi e quindicimila religiosi.
Orbene ciascun convento domenicano era una scuola di teologia. Anzitutto, casa di studio intensivo: Fratres
- dicono le Costituzioni primitive - in studiis taliter sint intenti ut de die, de nocte, in domo, in itinere,
legant aliquid, vel meditentur (I Frati siano talmente intenti negli studi che di giorno, di notte, in casa, in
viaggio sempre leggano o meditino).
Pi ancora, vera casa dinsegnamento: le medesime Costituzioni proibiscono esplicitamente di stabilire un

convento senza avere un dottore che insegni ai Frati e ai chierici secolari che vorranno istruirsi: Conventus
sine Priore et Doctore non mittatur.
Si vede subito la conseguenza: lEuropa, coprendosi di conventi domenicani, si copriva di grandi scuole
teologiche. Per citare solo un esempio. net mezzogiorno della Francia, nel territorio attuale della Provincia
di Tolosa, lOrdine aveva aperto, al principio del secolo XIV, cinquantadue scuole teologiche e tre
Universit o studia generalia. Siamo oggi best distanti dallavere linsegnamento sacro distribuito con tanta
profusione.
Quindi i Vescovi fecero subito e dovunque unaccoglienza calorosa ai Predicatori e li attirarono nelle loro
citt episcopali per predicare e per insegnare. Il 22 aprile 1221, il Vescovo di Metz scrisse al suo popolo
per annunziargli lerezione di un convento di Predicatori: Questo convento sar di aiuto non solo ai laici,
ma soprattutto ai chierici nella conoscenza della scara dottrina. Ed esso ad emulazione di quanto il Papa
ha dato a Roma e a molte sedi arcivescovili e vescovili.
Infatti i Papi si presero a fianco un maestro domenicano per insegnare la teologia. Egli fu pi tardi
chiamato Magister Sacri Palatii e le sue attribuzioni si accrebbero. Il Maestro del Sacro Palazzo fu sempre
un domenicano, come sono domenicani nella Suprema Congregazione del S. Uffizio il Commissario e due
suoi Soci.
Facendo allusione a questi impieghi riservati ai Predicatori, Benedetto XV scriveva il 29 ottobre 1916: ... i
Pontefici romani attribuirono sempre allOrdine dei Predicatori certi uffici determinati, creati per la tutela
della Fede, e per Tendere una testimonianza pubblica allintegrit della loro dottrina.

(CAPITOLO IV LINSEGNAMENTO
Lorganizzazione dellinsegnamento - continua)
Era il mezzo provvidenziale per eseguire i decreti dei Concili.
Cinquantanni dopo la fondazione, lOrdine, divenuta la prima potenza intellettuale dEuropa, e contando
pi di cinquecento professori, assicurava linsegnamento in tutte le nazioni cristiane. Il gran dizionario
Larousse sottolinea con una parola originale questa grande opera domenicana: S. Domenico fu in
Europa il primo ministro della Pubblica Istruzione.
In grazia di esso, il formidabile problema scolastico era risolto: S. Tommaso poteva congratularsene contro
coloro che trovavano troppo grande il posto dato ai nuovi venuti: Anche oggi - rispondeva a Guglielmo di
santAmore - voi, secolari, siete rimasti incapaci di eseguire i decreti del Concilio del Laterano insegnando
la teologia in ciascuna chiesa metropolitana, laddove, grazie a Dio, i religiosi hanno aperto scuole molto
pi numerose di quel che si esigeva (Contra impugnantes Dei cult., XXI).
Alcuni maestri di questa prima generazione sono fra i pi grandi della loro et: il B. Rolando di Cremona,
il B. Ugo di San Caro, primo cardinale dellOrdine, il B. Ambrogio da Siena, Pietro di Tarantasia, futuro B.
Innocenzo V, il B. Moneta da Cremona, S. Raimondo di Peafort, ecc.
Dopo il problema scolastico, lOrdine stava per risolvere il problema dottrinale.
Alla Chiesa, come abbiam detto, mancava un insegnamento teologico ordinato. In filosofia e in teologia la
confusione era quasi tanto completa quanto in politica: come innumerevoli baroni e grandi signori
riducevano lEuropa in un mosaico di principati indipendenti e spesso nemici, cos, pressa poco, una
moltitudine crescente dopinioni divideva il campo del pensiero filosofico. Era lo sbocconcellamento e per
conseguenza la debolezza. Nessuno fra i Padri della Chiesa era giunto ad innalzare un edificio totale della
teologia. Dopo mille e duecento anni di lavori, i loro scritti sparsi nel passato rassomigliavano alle rovine
dun tempio che non in fabbricato, ma a rovine sublimi, che attendevano con la pazienza dellimmortalit
la mano dellarchitetto. Larchitetto doveva uscire dalle ceneri di S. Domenico (Lacordaire, Memorie per
il ristabilimento dellOrdine, Cap. IV).

LOrdine dei Predicatori fece alla Chiesa lincomparabile dono di una filosofia solidamente stabilita e di
una teologia organizzata nellunit di un punto di vista universale.
LOrdine stesso lo ricevette da due dei suoi pi illustri figli, Alberto Magno e soprattutto Tommaso
dAquino.
Questi, comprendendo che la metafisica la scienza delle scienze e il principio unificatore dellordine
intellettuale come dellordine materiale, si accinse a costruire una metafisica cristiana. Aiutandosi con i
sistemi anteriori, specialmente dellaristotelismo, che egli purific dei suoi gravi errori, costitu una
filosofia, il primo e il solo sistema scientifico che si sia mai integralmente adattato al pensiero cristiano. Su
questa filosofia, egli coordin il pensiero teologico, fino allora disperso. Innalz un edificio che si pu dire
eterno, perch le sue basi sono gli eterni dati che nulla pu scuotere, i dati empirici o razionali di prima
evidenza.
Quandegli si spense, nel 1274, la teologia era ordinata ed una; il pensiero cristiano, strappato alle
fluttuazioni di inconsistenti sistemi e protetto contro le avventure, aveva ricevuto una sublime forza.
Sino dalla fine del secolo XIII, la luminosa dottrina tomista aveva invaso il mondo delle scuole e posto il
suo dominio sulla massa degli spiriti. Lesercito dei professori domenicani del resto lavorava a divulgarla e
vi riusc cos bene che, al principio del secolo XIV, la scuola domenicana occupava incontestabilmente la
preminenza intellettuale in Europa. Frater Jacobe, - diceva al suo confratello Giacomo di Viterbo, pi tardi
arcivescovo di Napoli ( 1308), il celebre Generale degli Eremitani di SantAgostino, Egidio di Roma,
morto arcivescovo di Bourges - Frater Jacobe, si Fratres Praedicatotes voluissent, ipsi fuissent scientes et
intelligentes, et nos idiotae, et non comniunicassent nobis scripta Fratris Thomae (Fratello Giacomo, se i
frati Predicatori avessero voluto e non ci avessero comunicato gli scritti di fra Tommaso, solo loro
sarebbero intelligenti e sapienti, mentre noi saremmo ignoranti).

(CAPITOLO IV LINSEGNAMENTO - continua)


Alcuni Maestri della Scuola Tomista
impossibile seguire lo svolgimento progressivo dellinsegnamento domenicano fino ai giorni nostri:
sarebbe un far la storia di sette secoli di insegnamento filosofico e teologico. Si pu riassumerla dicendo
che lOrdine di S. Domenico si propose sempre per scopo principale di conservare e di svolgere la dottrina
tomista.
Esso, riconoscente del tesoro che la Provvidenza gli affid, si accinse a difenderla con tenacia, a propagarla
con uno zelo indefesso, e a svolgerla negli scritti dei figli spirituali del Dottor Angelico, esercito
innumerevole e potente, che si convenne di chiamare Scuola Tomista.
Ecco la grande scuola teologica.
LOrdine dei Predicatori - dice Suarez S. J. - forn tanti valorosi difensori della fede che vi furono
pochissimi scrittori di qualche rinomanza, notevoli per la loro dottrina, che non appartengano alla famiglia
domenicana.
Non si possono citare che alcuni nomi dopo quello dAlberto Magno, il quale si fece allUniversit di
Parigi il primo difensore della dottrina tomista.
Nel XIV e XV secolo: Herv il Bretone, Durando dAurillac, Giovanni Capreolo ( 1444), princeps
thomistarurn, il B. Giovanni Dominici, SantAntonino ( 1459), Pietro Niger ( 1481), Giovanni di
Torquemada.
Alla fine del secolo XV, lattivit intellettuale dellOrdine si svolge ancora, per proiettare durante i due
secoli seguenti un magnifico splendore. I Predicatori fanno parte di tutte le universit dEuropa ed essi
medesimi aprono ventisette universit propriamente domenicane (Capitolo generale del 1551) dove
insegnano professori di gran rinomanza.

Quelle di Spagna si distinguono fra tutte per maestri incomparabili: Francesco di Vittoria ( 1546),
Domenico Soto ( 1560), Melchior Cano ( 1560), Pietro de Soto ( 1563). Bartolomeo di Medina (
1581), Luigi di Granata ( 1588), Domenico Bagnez ( 1604), Tommaso di Lemos ( 1629). Giovanni di S.
Tommaso ( 1644).
Le Province francesi oppongono al Protestantesimo, al Giansenismo e allincredulit crescente, dei teologi
di cartello: Giovanni Nicolai ( 1663), Vincenzo Gontenson ( 1674), Vincenzo Baron ( 1674), Antonio
Goudin ( 1695), Giacomo Gurinois ( 1681), Antonino Reginald ( 1676), Giovanni Battista Gonet (
1681), Antonino Massouli ( 1706), Renato Billuar t (1751, belga).
In Italia brillano fra molti altri: Serafino Capponi ( 1514), Silvestro da Ferrara ( 1526), il Gaetano (
1534), Sante Pagnini ( 1546), Bartolomeo Spina ( 1546), Tommaso Badia ( 1553), Ambrogio Caterino
( 1553), Paolino Bernardini ( 1585), Domenico Gravina ( 1643), Vincenzo Gotti ( 1740), e nel corso
dello stesso secolo XVIII: Tommaso M. Ferrari, Giuseppe Orsi, Antonino Valsecchi, Tommaso Mamachi,
Tommaso Cerboni, Daniele Concina ecc.
Lo stesso vecchio mondo non bastando pi allattivit intellettuale dei Predicatori a misura che essi
facevano penetrare la fede cristiana nelle due Americhe recentemente scoperte vi fondavano le prime
grandi Universit che il Nuovo Mondo abbia vedute, simili a quelle che essi dirigevano in Europa, tanto
alla loro vocazione essenziale il predicare la dottrina: nel 1538 a San Domingo; nel 1612 a Santa F di
Bogota; nel 1645 a Manila; nel 1681 a Quito; nel 1721 allAvana.
Se le devastazioni della Rivoluzione del 1789, in Francia prima, poi successivamente in tutte le nazioni
europee, portarono una notevole diminuzione dellattivit domenicana, la Restaurazione intrapresa in
Francia dal P. Lacordaire ed estesa ad altre Province dal P. Jandel, richiam con la primitiva osservanza le
antiche tradizioni intellettuali. Oggi lOrdine ha ristabilito la sua organizzazione scolastica e la maggior
parte delle Province posseggono degli Studia, alcuni dei quali non hanno nulla da invidiare alle Universit.
Esso ha creato parecchie Scuole Superiori di scienze sacre dovunque rinomate: a Roma la Pontificia
universit Angelicum, a Friburgo la Facolt di teologia, a Gerusalemme la Scuola biblica nel medesimo
tempo che numerosi periodici destinati alla diffusione della sua dottrina teologica.
Con i suoi professori e scrittori, lOrdine ha contribuito in larga misura al rinnovamento degli studi sacri
nellinsegnamento ecclesiastico. I nomi di parecchi suoi figli degli ultimi tempi possono essere collocati
con onore accanto a quelli dei loro padri: Zigliara, Gonzales, Guillermin, Schwalm, Denifde, Lepidi,
Buonpensiere, Lagrange, Gardeil, Arintero, Marin Sola, Sales, Pgues, Sertillanges, McNab, Cordovani,
Zacchi, Fanfani, Daffara ecc...
Non citiamo che gli scomparsi, perch, per una preziosa grazia di Dio, la generazione presente prosegue
con un successo ogni giorno pi notevole quel gran movimento della restaurazione tomista sotto lalta
direzione del Papato, che si compiace di render omaggio allattivit dei Predicatori: 0ggi ancora - scriveva
nel 1913 il gran Pio X - noi vediamo in questOrdine illustre molti uomini celebri, sempre fedeli al gran
Dottore che non invecchia mai, mettere in una magnifica luce e difendere con forza i dogmi e le istituzioni
cristiane (Lettera del 6 luglio 1913).

(CAPITOLO IV LINSEGNAMENTO - continua)


Caratteri dellinsegnamento domenicano
Se si vogliono distinguere le note caratteristiche dellinsegnamento domenicano, quelle che lhanno
contraddistinto in tutti i tempi, bisogna dire che un insegnamento ad un tempo ardito e tradizionale: di
unarditezza umile, appoggiata sulla ragione e sempre docile alla fede.
alla ragione umana illuminata dalla rivelazione e guidata dalla Chiesa che S. Tommaso affid lincarico
di organizzare la scienza teologica.

Quindi il primo carattere della dottrina tomista quello dessere eminentemente razionale: in questo
senso anzitutto che essa usa il metodo di ragionamento speculativo, lantico metodo scolastico, il cui
abbandono ha sempre cagionato la confusione del pensiero filosofico e la decadenza teologica; soprattutto
perch essa fondata sulle verit prime, su dati eterni, si pu dire, basi necessarie della ragione cos come
del dogma.
Dottrina cos razionale che sembra non essere se non il buon senso illuminato dalla fede. E per questo
motivo, essa ponderata, schivando lesclusivismo dei sistemi, attribuendo la sua giusta parte alla materia
e allo spirito, pieghevole, comprensiva, aperta in tutti i sensi, ospitale ad ogni idea giusta, desiderosa di non
esprimere se non la verit integrale, la verit comune, universale. Il pi bel titolo del suo fondatore non
quello di Doctor communis, dottore universale?
E perch si sente posta sopra una base incrollabile, essa una dottrina ardita. Ogni dottrina vivente
assimilatrice, sempre in cammino. Perci la formazione tomista ha dato ai Predicatori di tutti i tempi il
gusto del progresso e delliniziativa.
Essi si sforzarono di vivificare il detto di S. Tommaso sul progresso delle scienze: Ad quemlibet pertinet
superaddere id quod deficit in consideratione antecessorum (Ognuno ha il compito di aggiungere quello
che manca alla riflessione di coloro che lo hanno preceduto).
Poich essi cercano la scienza non per la scienza, ma per le anime che vogliono illuminare, una delle loro
cure costanti fu di cercare, una delle loro grazie fu di discernere, per ogni epoca, nella verit immutabile,
laspetto che poteva illuminare i bisogni nuovi. La stessa esistenza dellOrdine era il frutto di uniniziativa
di S. Domenico cos straordinaria che fece esitare i Romani Pontefici: da queste origini, i Predicatori
serbano il gusto delle iniziative ardite.
Dal punto di vista intellettuale, la prima di queste iniziative fu di associare lo studio alla vita religiosa.
Novit cos feconda di conseguenze, che la fondazione domenicana divenne una delle grandi date della
storia intellettuale dEuropa.
Fino al secolo XIII la vita monastica ed anche canonicale non era necessariamente legata allo studio. Il
vero monaco - dice S. Benedetto - vive del lavoro delle sue mani.
S. Francesco dAssisi diffidava dello studio, come di un pericolo, e pose nella sua regola che quelli che non
avevano studiato prima dentrar in religione, non dovevano cercar di farlo poi.
Invece S. Domenico sopprime per i suoi figli ogni lavoro manuale e li scioglie da ogni cura materiale,
affinch siano esclusivamente applicati allo studio, ormai obbligo fondamentale del religioso, sua
occupazione universale e permanente. Il convento diveniva una casa di studio. Iniziativa capitale che,
presto seguita dalla maggior parte dei grandi Ordini religiosi, stava per trasformare lo stato intellettuale
dellEuropa.

(CAPITOLO IV LINSEGNAMENTO
Caratteri dellinsegnamento domenicano- continua)
Iniziativa negli studi biblici. AllOrdine domenicano - scrive Vercellone - dovuta la gloria davere, per il
primo, rinnovato nella Chiesa gli esempi illustri di Origene, di S. Girolamo, mediante il culto ardente della
critica sacra. Infatti fin dal 1230, i Predicatori sapplicarono alla correzione del testo biblico corrotto dai
copisti, e crearono le Concordanze: lavori immensi intrapresi dal B. Ugo di San Caro colla collaborazione,
si dice, di cinquecento religiosi di San Giacomo di Parigi, pi tardi ripresi dal Convento dOxford, e
parecchie volte riveduti da illustri esegeti.
Il primo commento totale della Bibbia fu pubblicato dal medesimo Ugo di San Caro, e S. Tommaso
rinnov la critica biblica applicandole un metodo nuovo, pi largo e pi razionale, cosi che i suoi
contemporanei lo soprannominarono Expositor. un Predicatore, fra Pietro Schwarz che nel 1490,

pubblica la prima grammatica ebraica; ancora un predicatore, Agostino Giustiniani, che prima di tutti,
con un colpo dimmensa audacia, riunisce in un solo tutto, che chiam Octaple, i due Testamenti scritti
nelle cinque lingue principali: ebraico, caldaico, greco, latino e arabo (Sisto da Siena, Bib. sanct.).
Ai nostri tempi non forse ancora lOrdine di San Domenico che ha creato a Gerusalemme la prima
Scuola Biblica e la prima Revue Biblique?
Iniziativa nello studio del diritto canonico. S. Raimondo di Peafort, terzo Maestro Generale dellOrdine,
che per primo raccolse tutte le Decretali dei Papi per formarne il Corpus juris, e colla sua Somma dei casi
di coscienza fond la casistica, che SantAntonino, altro Predicatore, doveva condurre alla perfezione.
Iniziativa nello studio delle lingue orientali. Fin dai primordi, i Predicatori intuiscono la necessit della
cognizione delle lingue per lapostolato e per lesegesi. I primi, e per molto tempo i soli, fondano scuole
dorientalismo. Nel 1236, la Provincia di Terra Santa conta parecchi di questi Studia linguarum, le prime
Scuole bibliche, in cui si insegna il greco, il caldaico, lebraico, larabo e le lingue asiatiche. Pochi anni
dopo, altre se ne aprono a Tunisi, a Murcia, a Barcellona, a Tiflis, a Bagdad. Da queste scuole usc Fra
Raimondo Martin il cui Pugio fidei, capolavoro dapologetica, fond lorientalismo biblico.
Iniziativa nello studio della storia. I Predicatori diedero lo slancio e fornirono i primi modelli delle grandi
collezioni di vite di santi: fin dal 1240, Bartolomeo di Trento pubblica il suo Liber epilogorum in gesta
sanctorum; nel 1243, Giovanni Mailly lAbbreviato in gestis et miraculis sanctorum; un p pi tardi,
Bernardo Guy. lo storico pi considerevole del suo tempo lo Speculum Sanctorale. E chi non conosce
lincantevole Leggenda Aurea del B. Giacomo da Varazze?
Iniziativa anche nello studio delle scienze profane. Nel corso del secolo XIII, tre domenicani: Alberto
Magno, Vincenzo di Beauvais, Tommaso di Cantimpr saccinsero a raggruppare in una vasta sintesi tutte
le cognizioni del loro tempo e crearono vaste enciclopedie; opere ammirabili, non solo per il lavoro
prodigioso che suppongono, in un tempo in cui bisognava percorrere lEuropa a piedi in cerca di rari
manoscritti, ma anche per limmenso sapere di cui danno prova.
Iniziativa nella diffusione e nella volgarizzazione della scienza sacra. In pieno secolo XIII, Fra Lorenzo
dOrleans compone il primo trattato di filosofia che sia comparso in francese. Nel 1274, il B. Umberto
redige ad uso dei Padri del Concilio Generale di Lione una memoria in cui, fra altre cose, domanda un
compendio della dottrina cristiana per i fedeli. la prima menzione del catechismo della Chiesa. I suoi
fratelli compirono questo voto, e diedero alla luce parecchi catechismi; poi, ed un fatto da notarsi per la
sua grande importanza sociale, pubblicarono, nonostante tenaci opposizioni, le prime versioni della Bibbia
in lingua volgare: in francese, in catalano, in italiano, in tedesco, in armeno.
Furono ancora i Predicatori che cominciarono a divulgare con squisiti capolavori di linguaggio popolare le
sublimi lezioni della teologia ascetica e mistica, come il B. Giordano da Pisa, il Cavalca, il Passavanti, S.
Caterina da Siena, il B. Dominici, SantAntonino, il Taulero e il B. Susone.
Iniziativa nello studio della filosofia e della teologia. Quando apparvero i Predicatori, per quanto strano ci
paia oggi il fatto, n i preti, n i religiosi erano ammessi agli studi filosofici, riservati ai semplici chierici e
ai laici. I Predicatori rifiutarono di ammettere questo ostracismo, che li poneva in stato dinferiorit
intellettuale e organizzarono in casa loro gli studi filosofici.

(CAPITOLO IV LINSEGNAMENTO
Caratteri dellinsegnamento domenicano- continua)
Vi furono delle resistenze, delle opposizioni, delle denigrazioni, ma essi non se ne curarono. A quelli che
possono riuscirvi e trarne profitto per la scienza sacra - diceva il B. Umberto - bisogna rallentare le briglie e
lasciar libero il campo. Laxandae sunt habenae circa studium huiusmodi. I Predicatori si vendicarono del
cattivo umore dei loro avversari, come gi dicemmo, rinnovando il mondo filosofico, dotando la Chiesa di

un sistema ordinato, pieghevole e potente sul quale venne ad appoggiarsi la teologia.


Qui ancora, qui soprattutto, bisogna dirlo, nel vasto campo del pensiero teologico, si esercit la feconda
iniziativa dei Predicatori.
Lopera dottrinale di S. Tommaso fu una rivoluzione in teologia, e urtava talmente di fronte i sistemi fino
allora adottati che sollev opposizioni tanto rumorose quanto tenaci. Nel 1277, il Vescovo di Parigi,
Stefano Tempier e lArcivescovo di Cantorbery, Roberto di Kilwarby, non arrivarono forse fino a
condannare certe proposizioni tomiste? Pi tardi, quando fu necessario difendere, oltre la teologia, anche le
stesse fonti della teologia, un Frate Predicatore, Melchior Cano, cre la scienza dei Luoghi teologici, di cui
rest il principe incontestato.
I Predicatori dunque, durante i sette secoli del loro insegnamento, compirono bene il dovere definito da S.
Tommaso: ad quemlibet pertinet superaddere id quod deficit in consideratione antecessorum. Essi
precettero, ma camminarono sempre nella via tradizionale, secondo il senso cattolico: secundum doctrinam
Ecclesiae intelligentis sane, cos come diceva il loro maestro cos saggio nella sua arditezza che i suoi
contemporanei lo chiamavano Prudentissimus frater Thomas.
La loro dottrina tradizionale: il suo secondo carattere fondamentale. Tale in certo modo per necessit,
poich le vietalo di scostarsi dalla linea tracciata dal Dottor Angelico, i cui principi, nelle scuole
domenicane, sono chiamati a formare tutte le menti e lumeggiare tutte le scienze. San Tommaso resta il
punto di partenza e darrivo, di questardito naviglio amante dellalto mare.
La dottrina di S. Tommaso - dice il P. Lacordaire - il succo che scorrendo nelle vene dellOrdine gli
conserva la sua potente originalit. Chi non lha studiato pu esser domenicano per il cuore, ma non per
lintelligenza.

(CAPITOLO IV LINSEGNAMENTO
Caratteri dellinsegnamento domenicano- continua)
Nessuno, nellOrdine, chiamato a formare dei discepoli, se non ha fatto giuramento di dare un
insegnamento conforme ai principi tornisti. Da parecchi secoli, il libro di testo scolastico degli studenti
domenicani non altro che la Somma Teologica spiegata pagina per pagina: metodo cos efficace per la
sicurezza e per la continuit della dottrina che la Chiesa la fece sua e la impose alle Universit cattoliche e
ai Seminari.
Fin dal 1313, un Capitolo Generale ordina che si legga S. Tommaso nel medesimo tempo che Pietro
Lombardo, allora imposto ad ogni professore.
Ma, per ragioni di necessit scolastiche, solo nella seconda met del secolo XV lOrdine pot stabilire
linsegnamento diretto ed esclusivo della Somma Teologica.
Ora di questa dottrina tomista, dottrina ufficiale dellOrdine, la Chiesa romana attesta che essa non se non
la coordinazione e come lespansione, della pi pura tradizione cristiana. Dallavere profondamente
venerato i santi dottori, - scrive magnificamente Leone XIII - S. Tommaso pare aver ereditato lintelligenza
di tutti. Gli insegnamenti dei Padri, come le membra di un gran corpo, erano tutti dispersi. Egli li riun, li
fortific luno con laltro, li classific in un ordine ammirabile, e finalmente diede loro un cos magnifico
sviluppo che lopera sua resta la forza e lornamento della Chiesa.
Questa dottrina - afferma Innocenzo IV - ha sopra tutte le altre, eccettuata quella dei Concili, la precisione
dei pensieri e la giustezza dellesposizione a tal segno che chiunque labbraccia sicuro di non traviare e
chiunque se ne allontana gi sospetto derrore.
Tal la dottrina eminentemente cattolica che fu in ogni tempo quella dei Predicatori. Il Papato attesta
ancora la fedelt domenicana allinsegnamento del pi gran teologo della Chiesa, e questa affermazione dei
Romani Pontefici per lOrdine il pi prezioso degli elogi.

(CAPITOLO IV LINSEGNAMENTO
Caratteri dellinsegnamento domenicano- continua)
Quello che in questOrdine degno di lode scrive Benedetto XV - meno ancora laver nutrito nel suo
seno il Dottor Angelico che il non aver mai deviato in seguito, neppure di unidea, dal suo insegnamento
(Lettera del 29 ottobre 1916).
Finalmente, se si vuol finire di qualificare la dottrina tomista, bisogna aggiungere che essa vivificata da
ci che S. Paolo chiama il senso di Dio. Quelli che lorganizzarono si giovarono nel loro lavoro degli
intimi suggerimenti della loro piet e scrutarono le profondit di Dio tanto col cuore quanto con
lintelletto.
Tutti gli illustri Dottori domenicani, che abbiamo nominato, erano grandi religiosi, nei quali le grazie
ufficiali del Dottorato erano fecondate dalle ispirazioni dellintimit divina.
Molti furono collocati sopra gli altari: il B. Pietro di Tarantasia (Innocenzo V), il B. Ambrogio da Siena, il
S. Alberto Magno, S. Tommaso dAquino, S. Raimondo di Peafort, SantAntonino, il B. Enrico Susone, il
B. Dominici.
Gli altri, senzaver ricevuto gli onori ufficiali della canonizzazione, gettarono vivi splendori di santit;
alcuni sono anche onorati di un culto popolare: il B. Rolando di Cremona, il B. Ugo di San Caro, il B.
Moneta, il Ven. Taulero, il Ven. Luigi di Granata.
Chi non comprende che una tale schiatta di Dottori, che un intimamente la santit con la scienza, dovette
lasciare una tradizione di insegnamenlo? Essi fecero intendere ai loro fratelli, e con gli esempi e con la
parola, che la teologia una scienza vivente, che per possederla non basta piegarsi sopra manoscritti con
occhi di sapiente, ma che bisogna amare con tutto il cuore la Verit e in ogni studio, come diceva S.
Tommaso, cercare ut semper plus et plus cognoscatur Deus. Le questioni oziose siano rimosse: Bisogna
fischiare, diceva il grande iniziatore del secolo XVI, lo spagnolo Fra Bartolomeo di Medina, bisogna
fischiare il Maestro in teologia che, agitando questioni complicate per sfoggiare la sua abilit letteraria,
trascura ci che fa fiorire la piet e la carit.
Il vero tomista riconduce tutto a Dio e pervade di soprannaturale la sua scienza. Tutto ci che egli tocca, le
minime particelle di verit che considera, le anima con un vasto movimento di pensiero e di cuore che fa
capo a Dio. Se fedele al metodo del Maestro, egli non studia nulla se non sotto la luce di Dio, in Deo, in
summo rerum vertice.
Dio prima di tutto: tale il principio unificatore della teologia tomista. Anche quando fa le sue indagini pi
speciali e fruga i misteri dellazione umana, essa lo fa sempre sub ratione Dei. Altre scuole di teologia
preferiscono dare soluzioni partendo dalla libert umana. Il tomista parte sempre da Dio e lumeggia tutti i
problemi con la luce di quella grande idea direttrice che, dopo aver dato un orientamento speculativo, fa del
sistema un insegnamento vivente, generatore di piet attiva, che scaturisce come da s dalle sorgenti
profonde del dogma. La teologia tomista una scienza pervasa di alta contemplazione.
una grazia straordinaria, la pi segnalata forse dei benefizi che la Provvidenza prodig allOrdine dei
Predicatori, che le migliaia dei suoi teologi, da Alberto Magno fino a quelli encomiati dagli ultimi Papi,
cos diversi di schiatta, di tempo e di genio, si siano incontrati nellunita di un punto di vista universale, per
innalzare insieme quel grandioso edificio intellettuale, in cui i Papi invitano la cristianit a venire ad
imparare la dottrina autentica: cattedrale vasta, potente ed elegante, dalle vetrate accese dai raggi che vengono da ogni parte, dallalto per la contemplazione, dal basso per lo studio, da ogni lato per la tradizione,
ospitale e ampiamente aperta a tutti, alla moltitudine e agli eletti, che vi trovano una profusione stupenda di
ricchezze intellettuali e soprattutto vi trovano Iddio nascosto, che presiede e distribuisce la Vita. Una casa
di luce. Per le intelligenze, la pi bella delle case di famiglia della Chiesa.

Parte terza I nostri modelli


I nostri modelli
Perch un Ordine sia perfettamente costituito, gli occorre una teoria, una disciplina, e dei modelli; in altri
termini, unidea da attuare, dei maestri che ne insegnino lapplicazione, e dei modelli che, mostrandola gi
applicata, alimentino il coraggio.
LOrdine di S. Domenico possiede questi tre elementi fondamentali.
Lidea che egli deve attuare nel mondo, labbiamo esposta nelle pagine precedenti: lapostolato dottrinale
che ha la sua sorgente nella contemplazione.
La disciplina che lo guida e lo sostiene fissata nelle sue Costituzioni elaborate nel corso dei secoli dai
Capitoli Generali e approvate dalla Chiesa.
I modelli sono i santi che, avendo adottato il suo ideale, riuscirono a tradurlo a perfezione e la cui vita e
influenza salutare sul popolo cristiano provarono non solo che possibile vivere interamente secondo
lideale domenicano, ma ancora che utile alla Chiesa che nel suo seno vivano degli uomini secondo
questideale.
I santi domenicani sono legione: Io credo veramente - scrive il Segneri - che lOrdine di S. Domenico
diede pi santi al cielo che libri alle biblioteche.
Il loro primo beneficio di mostrarci la via: essi sono guide. A quelli che serbano lanima attenta, essi
parlano. Ci insegnano a vivere. Voci innumerevoli, irresistibile appello del passato che prevarr sempre
contro una deviazione particolare. Che cosa domandano essi? Di proseguire, sotto i loro consigli e con la
loro assistenza, il compito per cui essi vissero e soffrirono; di mantenere la tradizione domestica e di
trasmetterla ai posteri, pura comessi ce la lasciarono, ma arricchita del nostro contributo, vestita della
medesima nobilt, diretta nel medesimo senso di perfezione.
La nostra forza di essere loro solidali. Non abbiamo che a seguirli, per esser certi di compiere lopera che
Dio da noi attende.

(I nostri modelli - continua)


CAPITOLO I S. DOMENICO
Tutte le pagine di questo libro, intese a tracciare la fisionomia del Frate Predicatore, asceta, contemplativo,
apostolo, non parlano insomma che di S. Domenico. Esse rivelano un poco lanima sua. Ciascuna risente
della sua influenza, ed egli ne presso a poco lunico soggetto.
La Provvidenza volle infatti che questo ideale del Predicatore, nello stesso momento in cui era concepito,
fosse pienamente effettuato da colui che Essa aveva predestinato per manifestarlo al mondo. Fondatore
dellOrdine, S. Domenico rest di esso il pi perfetto modello, sicch a ciascuno dei suoi figli, che vuole
pienamente entrare nello spirito della sua vocazione, basta contemplarlo, per avere i lineamenti essenziali
della fisionomia morale da acquistare.
Numerosi sono i santi che, allombra del chiostro, si dedicarono alla penitenza e alla contemplazione. Pi
numerosi forse quelli che si consacrarono alla vita attiva nellesercizio delle opere di carit spirituali. Ma
rari assai quelli che condussero ad un tempo la vita attiva e quella contemplativa.
S. Domenico fu di questi ultimi: riprendendo lideale completo lasciato dagli Apostoli, spinse fino
allultima perfezione la contemplazione e lazione armonicamente fuse nella sua vita.

Fu contemplativo al pari dei pi profondi mistici, e visse a lungo nel silenzio. Studiando nellUniversit di
Palencia, canonico nel capitolo di Osma, egli tacque per trentacinque anni. Il rigore delle sue austerit non
fu superato. Io non ho mai veduto un uomo in cui la preghiera fosse pi abituale, attestava lAbate di S.
Paolo di Narbona. Passava le notti insonni, piangendo e gemendo sopra i peccati altrui.
Fu un uomo tutto di Dio, tutto in Dio, che simmerse pi che di solito non si sappia fare in quelle chiarezze
soprannaturali, che la Scrittura chiama inaccessibili.
Per conoscerlo, bisogna frequentarlo con assiduit e nella pace, perch, nella moltitudine dei santi, non vi
chi sia ad un tempo pi tranquillo e pi profondo, pi forte e pi mansueto. Era chiamato il dolcissimo
Padre.

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CAPITOLO I S. DOMENICO- continua)
Il primo aspetto sotto cui egli appare, la profondit. Quando lo contempli, silenzioso nei chiostri di Osma
o prostrato ai piedi degli altari di Santa Sabina, o quando cammina per le strade dietro al gruppo dei suoi
figli, ti senti il cuore internamente attratto e come forzato a tacere davanti a tanta semplicit e profondit.
Ma ecco che questo silenzioso, questo penitente cos immerso nella contemplazione fu anche un uomo
dazione, che diede al suo secolo un impulso decisivo. La contemplazione aveva acceso nel suo cuore un
fuoco divorante: lo zelo delle anime.
Il beato Domenico aveva una sete ardente della salute delle anime ed uno zelo senza limiti a loro
riguardo.
Dio gli fece comprendere che bisognava lasciar esplodere questo zelo.
Una notte che pregava nella basilica di S. Pietro, ebbe una visione. Gli Apostoli Pietro e Paolo, principi
dellapostolato, gli apparvero. Pietro gli consegna un bastone, Paolo un libro, e tutti e due gli dicono: Va e
predica, Dio ti ha eletto per questo ministero.
Senza interrompere la sua contemplazione, egli dunque usc dai suo silenzio e part a piedi nudi, senza
danaro, senza risorse, alla merc degli uomini e della Provvidenza. Parecchie volte percorse a piedi
lEuropa occidentale, predicando a chiunque gli si presentava, nelle borgate, nelle citt, nelle Universit.
Era cos fervente predicatore che di giorno e di notte, nelle chiese, nelle case, nei campi, per le vie, egli
non cessava di annunziare la parola di Dio, raccomandando ai suoi fratelli di fare altrettanto e di non mai
parlare se non di Dio.
Fu come unesplosione di vita divina. Il fuoco che ardeva nel suo petto trabocc. Le verit che aveva
tesoreggiate nei suoi anni di raccoglimento uscirono allora dal suo cuore insieme con rampe damore, che
commossero i cuori pi induriti.
Bast questuomo solo per metter sottosopra le nazioni cristiane. I cronisti del tempo ci raccontano che il
secolo ne fu capovolto. In alcuni mesi, nellItalia settentrionale, egli convert pi di centomila eretici. Tanto
la potenza di Dio irradiava da questuomo!
II suo ufficio fu quello del Verbo, mio unigenito Figliolo - rivel Dio Padre a Santa Caterina da Siena. Egli apparve al mondo soprattutto come un apostolo, tanto erano potenti la verit e lo splendore con cui
egli seminava la mia parola, dissipava le tenebre e spandeva la luce.

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CAPITOLO I S. DOMENICO- continua)


Figura completa.
Se si considera la sua vita interiore, egli pari ai pi grandi mistici; se si pone mente alle sue opere,
lemulo dei pi grandi nomini dazione.
Egli consacr le notti alla pi fervente contemplazione e i giorni allapostolato pi attivo.
Fond un Ordine di religiose claustrali, consacrate alla preghiera perpetua, e un Ordine di Predicatori, in
cui tutto converge verso lazione.
Dottore, egli espose la teologia nel palazzo dei Papi.
Uomo intraprendente, organizz egli stesso il suo Ordine e ciascuno dei suoi conventi.
Missionario, non cess di percorrere la Spagna, la Francia e lItalia. Predicatore, conquist le turbe come i
maestri delle Universit. Fu il consigliere dei Papi come degli uomini di guerra.
Questo contemplativo seppe unire al pi profondo sentimento delle cose divine il senso pi giusto e pi
pratico delle cose umane.
La medesima luce illuminava ai suoi occhi lideale e la realt, sempre coerente nei suoi atti. Luce
soprannaturale da cui era inondato ogni aspetto delle cose. Egli viveva e si muoveva in questa luce che
unific la sua vita.
Fu della razza di quei grandi intellettuali, anzitutto appassionati di riflessione, ma che passano poi
allazione per lo stesso amore del loro pensiero, per attuare le loro chiare idee in opere forti che essi
dirigono con risoluzione.
Alla sua dolce e forte figura non manca alcuna bellezza: purezza danima, lucidit di mente, potenza di
volont, tenerezza e soavit di cuore, profondit nella contemplazione, energia e pieghevolezza nellazione,
nulla esaurisce la grande immagine di questo Capo, che fu altres Padre e Dottore.
Gregorio IX nella bolla di canonizzazione dice di lui: Pastor et Dux in populo Dei factus.
La liturgia canta di lui: Tu fosti la fiaccola della Chiesa, Dottore di verit, Predicatore della grazia.
In ogni circostanza apparve grandissimo.
Dopo sette secoli il suo pensiero continua a guidarci, la sua opera a sostenerci.
Dio stesso volle fare il suo elogio nella famosa visione di cui favor Santa Caterina da Siena.
Caterina vide lEterno Padre. Dalla sua bocca usc il Verbo, suo Figliolo diletto, e mentre ella lo
contemplava, S. Domenico usc dal petto del Signore mentre si faceva udire una voce:
Ecco, figlia mia, che io generai due figliuoli: luno per natura, laltro per adozione. In quel modo stesso
che il mio Figliolo per natura fin nella sua condizione umana ubbidiente fino alla morte, cos il mio figliolo
per adozione, Domenico, mi ubbid in tutto dalla sua nascita fino alla sua morte. Tutte le opere sue furono
conformi ai miei comandamenti e, sino alla fine della sua vita, conserv pura e immacolata linnocenza che
gli avevo conferita nel battesimo.
In quel modo che il mio Figliolo per natura fece udire la sua voce nel mondo rendendo alta testimonianza
alla verit che io avevo posta sulle sue labbra, cos il mio figlio per adozione predic il Vangelo agli eretici,
agli scismatici, a tutto il popolo fedele.
Il mio Figliolo per natura invi i suoi Apostoli a portare il Vangelo a tutte le creature; e il mio figliolo per
adozione continua e continuer ancora a inviare i suoi frati a predicare alle nazioni sotto il giogo
dellobbedienza e della disciplina da lui stabilita. Ecco perch, per un privilegio speciale, lui e i suoi
interpreteranno sempre fedelmente la mia parola e non se ne scosteranno mai.
Il mio Figliolo per natura fece concorrere alla salute delle anime le sue parole, le sue azioni, tutta quanta la
sua vita. Il mio figliolo per adozione si dedic senza riserva, colla sua dottrina e con i suoi esempi, a trarre
le anime dalle insidie del demonio, che sono lerrore e il peccato. Perch il suo scopo principale, fondando
il suo Ordine, fu di strappare le anime dalla schiavit dellerrore e del peccato per condurle al
conoscimento della verit e alla pratica di una vita virtuosa e cristiana. Per tutti questi motivi io lo
paragono al mio Figliolo per natura.
Tal il Padre e il primo modello dei Predicatori.

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CAPITOLO II I SANTI
Gli Ordini religiosi - scrive il P. Lacordaire - sono il maggiore sforzo della Chiesa, per vincere il mondo a
forza di abnegazione e per conseguenza di santit.
LOrdine di S. Domenico non ha fatto il suo dovere su questo punto?
Alla storia spetta il rispondere. Quelli che conoscono gli annali dellOrdine sanno che poche famiglie
religiose ebbero la ventura di dare al Cielo tanti santi. Un vero esercito di Predicatori, che la voce della
Chiesa o quella del popolo cristiano ha proclamati beati, circonda duna corona donore e di gloria il
Patriarca dOsma: Papi, Vescovi, Dottori, missionari, vergini, martiri.
Si domandava al papa Clemente X quanti santi lOrdine diede alla Chiesa: Quanti santi nella famiglia dei
Predicatori? - rispose egli, - conta le stelle del cielo, se puoi.
Fin dalla sua fondazione - scriveva Clemente XIV - questOrdine glorioso fu come un campo fertile, che
non cess di dare alla Chiesa uomini eminenti in dottrina e in santit.
E Pio IX: Dalla famiglia dei Predicatori, come da una miniera inesauribile, non cessano di uscire uomini
illustri per la loro santit. Veramente lOnnipotente fece grandi cose per questOrdine e larricch di santi.
Il P. Savonari, teatino, scrisse che, nello spazio di ventanni, tremila Frati Predicatori sono morti in concetto
di santit. Pio IX e Leone XIII collocarono sugli altari 120 figli di S. Domenico, come per mostrare che la
fecondit domenicana era lungi dallessere esaurita.
Quindi si dovette rinunziare a dare una festa speciale a ciascun santo dellOrdine, e celebrare la loro
memoria in una festa collettiva, che nella liturgia domenicana porta il nome di Tutti i Santi dellOrdine.
Nella bolla che listituiva, Clemente X scriveva: giusto che lOrdine celebri in un giorno speciale la
festa di tutti i suoi santi, perch, se noi volessimo assegnare un giorno proprio a ciascuno, bisognerebbe per
loro soli comporre un nuovo calendario.
Ora non vi nulla di pi vario di questimmensa assemblea dei santi domenicani. Tutte le condizioni vi
sono rappresentate. Ciascuno vi pu trovare dei modelli.
Vi si vedono Papi: S. Pio V, il B. Innocenzo V, il B. Benedetto XI, il B. Benedetto XIII.
Cardinali: il B. Ugo di San Caro, il B. Giovanni Dominici.
Vescovi: SantAntonino, il B. Giacomo da Varazze, il B. Agostino da Lucera, il B. Bartolomeo di Breganze,
B. Andrea Franchi.
Dottori e teologi: S. Tommaso dAquino, S. Alberto Magno, S. Raimondo di Peafort.
Scrittori mistici: il B. Enrico Susone, il Ven. Taulero, il Ven. Luigi di Granata, Santa Caterina da Siena.
Predicatori: S. Pietro da Verona, S. Vincenzo Ferreri, il B. Reginaldo dOrleans, il B. Giovanni da Vicenza,
B. Ambrogio Sansedoni.
Missionari: S. Giacinto, S. Lodovico Bertrando, il B. Paolo dUngheria, il B. Alfonso Navarrete, il B.
Angelo Orsucci, il B. Guglielmo Courtet.
Fratelli coooperatorii: S. Martino de Porres, S. Giovanni Massias, il B. Simone Ballacchi, il B. Giacomo da
Ulma.

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CAPITOLO II I SANTI - continua)

La variet non meno mirabile se si considerano le loro origini. Siccome lOrdine diffuso per tutta la
terra, non vi popolo presso cui esso non conti personaggi eminenti in santit.
forse la sua pi bella gloria laver fatto sorgere santi da tutti i punti dei globo, anche dal suolo ingrato
delle nazioni barbare ed ancor pagane. Citiamo il nome dalcuni soltanto:
In Italia: S. Pietro da Verona, S. Tommaso dAquino, SantAntonino, S. Pio V, B. Alberto da Bergamo, B.
Ambrogio da Siena, B. Raimondo da Capua, SantAgnese di Montepulciano, Santa Caterina da Siena,
Santa Caterina de Ricci.
In Francia: B. Reginaldo dOrlans, B. Bertrando Garrigue, B. Umberto de Romans, B. Innocenzo V, B.
Guglielmo Arnaud, B. Nicola de Rochefort, B. Andrea Abellon, B. Guglielmo Courtet.
In Spagna: S. Domenico, S. Raimondo di Peafort, S. Vincenzo Ferreri, S. Lodovico Bertrando, S.
Francesco de Capillas, B. Alvaro di Cordova, B. Francesco de Possadas.
In Portogallo: B. Pelagio, B. Egidio, B. Pietro di Santarem, B. Pietro dAveiro, B. Vincenzo di Lisbona, B.
Gondisalvo di Guimaraens, Beata Giovanna.
In Germania: S. Alberto Magno, B. Enrico di Colonia, B. Giordano di Sassonia, B. Enrico Susone, B.
Giacomo dUlma.
In Inghilterra: B. Lorenzo, B. Brizio, Beata Eufemia.
In Irlanda; pi di cento martiri di cui la Sacra Congregazione tratta attualmente la Causa.
In Belgio: B. Oddone di Gand, B. Servazio di Lovanio, B. Giovanni Lammens, B. Antonino Timmermans,
Beata Margherita dYpres.
In Olanda: S. Giovanni di Gorcum, Beata Geltrude.
In Danimarca: B. Rano di Dacia, B. Steno.
In Polonia: S. Giaciuto, B. Ceslao, B. Sadoc e 48 compagni, B. Berengario di Cracovia, B. Bernardo di
Halicz, B. Ermanno, B. Stanislao, B. Felice di Sirardz.
In Boemia: Santa Zedislava, B. Corrado di Praga.
In Ungheria: S. Margherita, B. Paolo e compagni, B. Fromento, B. Maurizio, Beata Elisabetta, Beata Elena.
In Svizzera: B. Corrado di Costanza, Beata Matilde di Stans.
A Malta: B. Andrea Xueres.
In Russia: B. Maynard, Beata Costanza.
In Armenia: B. Bartolomeo il Piccolo.
In Etiopia: B. Filippo di Sceva, Beata Arsenia.

In America: Santa Rosa da Lima, S. Martino de Porres, S. Giovanni Macias, Beata Anna degli Angeli.
NellAnnam: B. Giuseppe Uyen, eati Vinronzo Yen, Domenico Hanh, * Tommaso De, B. Pietro Tu, B.
Giuseppe Carib, e numerosi altri indigeni beatificati da Leone XIII e poi canonizzatio da Giovanni Paolo II.
Nel Tonchino: B. Pietro Thac, B. Giuseppe Tang, B. Vincenzo Liem.
Nel Giappone: B. Gaspare Cotenda, B. Vincenzo della Croce, Beati Paolo e Michele Fimonoya, B.
Domenico Xohioya, B. Giovanni Tomaki, B. Lodovico Misaci, e una ventina daltri giapponesi che Pio IX
ha collocati sugli altari.

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CAPITOLO II I SANTI - continua)
Come facilmente si vede, questa moltitudine abbraccia tipi diversissimi. Non ce ne son due che siano
simili. Lideale domenicano, largo e comprensivo, ammette facilmente queste differenze di stirpe e di
temperamento, ma, nel medesimo tempo, definito e fermo, esso risolve la moltiplicit nellunit.
Poich secoli e paesi diversissimi lavorano ad arricchirlo, limmenso coro dei santi domenicani vario. Ma
esso resta uno perch tutti quelli che lo compongono portano il segno distintivo dei figli del Patriarca
dOsma.
Qualunque siano state le loro origini o le loro funzioni, i nostri santi furono dei contemplativi-apostoli.
Attinsero in una contemplazione abbondante e ininterrotta il gusto e la forza delle fatiche apostoliche.
Inoltre la loro contemplazione riveste un carattere speciale: appartenenti ad un Ordine la cui divisa
Veritas e i cui forti studi teologici mantengono la vita intima, essi, se cos si pu dire, hanno una santit di
luce. Vanno a Dio specialmente per la luce. Quello che essi cercano da per tutto la Verit, ma la Verit
prima, il Verbo vivente, il Verbo fatto carne che abit cogli uomini.
Perci tutti si segnalarono per un culto appassionato della Santa Umanit di Ges, soprattutto nelle sue
grandi manifestazioni, la Passione e lEucaristia.
Un sol fatto basta a mettere in luce la devozione domenicana alla Passione di Ges: fra i Santi dellOrdine,
vi sono circa 90 favoriti delle stimmate. Quanto allEucaristia, tutti conoscono la parte che ebbe il B. Ugo
di San Caro e S. Tommaso dAquino nellistituzione della festa del Corpus Domini. La Confraternita del
SS. Sacramento, fondato e propagata dai Predicatori, dipende dal Maestro Generale dellOrdine.
Essi verificano a maraviglia le parole di S. Paolo: Divisiones quidem gratiarum, unus autem spiritus (Vi
molteplicit di carismi, ma uno solo lo spirito). Nella famiglia spirituale di S. Domenico, vi la divisione
delle grazie nellunit dello spirito.
A tutti questi grandi nomini, che ci tracciarono la via noi dobbiamo unassoluta sottomissione e una filiale
gratitudine. Son quelli che fecero lOrdine e lo mantennero in uno stato di fedelt cos costante al suo
ideale che in seguito non pu scordarlo per molto tempo. Essi lo fanno conoscere nella sua verit
manifestando la sua vita intima. Sono la sua prima ricchezza, lesplicazione della sua durata, in sua tutela
per sempre.

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CAPITOLO III I MARTIRI


Il martirio la suprema testimonianza che luomo possa rendere alla verit. Conveniva e pare fosse anche
necessario che lOrdine custode della Verit le desse questa testimonianza del sangue, poich, secondo il
detto di Pascal, si crede pi volentieri ai testimoni che si fanno scannare.
S. Domenico non ebbe la ventura di versare il suo sangue per Cristo; ma lo desider ardentemente.
Parecchie volte, durante il suo apostolato in Linguadoca, pot credere che gli eretici stessero per
procurargli questa gioia tanto desiderata. Un giorno, siccome rimaneva calmo di fronte alle peggiori
minaccie: Non hai tu paura della morte? - gli chiesero gli eretici stupiti -. Che farai se noi ci
impadroniamo di te? Egli diede loro questa sublime risposta: Vi supplicher di non mettermi a morte a
un tratto, ma di amputarmi ad uno ad uno le membra, per prolungare il mio martirio; vi domander di
ridurmi al punto di non esser pi che un tronco senza membra, di strapparmi gli occhi, di ravvoltolarmi nel
mio sangue prima di finirmi, a fine di conquistare una pi bella corona del martirio. Segli conosceva un
villaggio dove la sua vita fosse in pericolo, vi correva e lo attraversava cantando. Anzi, se era oppresso
dalla fatica, si coricava lungo la strada e dormiva.
Un giorno tra Prouille e Fanjeaux, lo aspettavano assassini, imboscati in una strada incassata. Domenico ne
ebbe sospetto e part tutto lieto. Ma quando essi lo videro arrivare intrepido e brioso, gli eretici capirono
che trucidandolo avrebbero messo il colmo alla sua felicit, e rinunziarono al loro progetto: A che pro, dissero - fare il suo tornaconto? Non sarebbe un giovargli e soddisfare i suoi vivi desideri?.

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CAPITOLO III I MARTIRI - continua)
I figli furono pi felici del loro Padre. A migliaia ebbero la felice ventura di morire per Cristo.
LOrdine non aveva ancora dieci anni di esistenza che gi aveva data la testimonianza del sangue.
Cominciarono gli eretici a procurargli questa gloria. La generosit dei Predicatori nel condurre la lotta
contro leresia, sulle indicazioni del Papato, loro valse di esser perseguitati con rabbia da tutto ci che
allora lavorava per la distruzione della societ cristiana.
Numerosi furono i martiri. Essi caddero in ogni parte, in Francia, in Italia, in Spagna, in Ungheria, in
Austria, in Dalmazia, in Boemia; in tutta lEuropa il sangue domenicano scorse a rivi.
Dal canto loro i Barbari si adoperavano accanitamente a dare ai figli di S. Domenico la suprema felicit che
ambivano. Soprattutto nei paesi di missione Cristo fu glorificato dal sangue dei Predicatori.
Fin dal 1226, i Beati Domenico e Alberto sono martirizzati nei paesi balcanici.
Nel 1242 il B. Paolo con i suoi 90 compagni.
Nel 1261 duecento Frati in Egitto.
Verso il medesimo tempo, un centinaio di Frati in Tartaria.
Nel 1260 a Sandomir il B. Sadoc e i suoi 48 compagni. La loro morte celebre nellOrdine. Una notte,
dopo Mattutino, il lettore aveva appena aperto il Martirologio, quando ad un tratto egli esita, sbalordito,
con gli occhi fissi sulla prima riga, scritta in lettere doro: Sandomiriae passio quadraginta novem
martyrum. I Frati erano sopraffatti dallo stupore. Altri e poi altri vollero accertarsi. Era scritto cos! Fra
Sadoc, rapito, esorta i suoi figli a morire con coraggio e tutto il giorno seguente le quarantanove vittime
segnate dalla Provvidenza si prepararono al sacrificio. Infatti quel giorno stesso, i Tartari simpadronirono
della citt. Era la sera, dopo Compieta. Secondo luso dellOrdine, i Predicatori cantavano la Salve Regina.
I Tartari penetrarono nella chiesa e li trucidarono. Il loro ultimo grido fu un grido di speranza e di amore
verso la Madre di Dio: Spes nostra, salve.

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CAPITOLO III I MARTIRI - continua)
Da quel tempo presso i Predicatori, ogni volta che un religioso giunge allora estrema, i Frati si radunano
attorno al suo letto per cantar dolcemente la Salve Regina, il canto della confidenza che lo addormenta
nelle braccia della Madonna, Regina e Madre dellOrdine.
Anzich scoraggiarlo, questi fatti stimolarono lardore apostolico dei figli di S. Domenico. Un insaziabile
desiderio di soffrire per Cristo li spingeva fino ai confini del mondo. Si faceva a gara a chi ottenesse il
permesso di partire per le contrade reputate le pi pericolose, sicch i Maestri Generali e i Papi stessi,
dovettero adoperarsi per moderare questa sete di martirio.
Abbiamo, purtroppo, perduto il nome di molti di questi felici Predicatori, ma sappiamo che furono
numerosissimi.
Non era tuttavia che un principio. Durante tutto il secolo XIV e XV, gli eretici e i Tartari continuarono ad
immolare i Predicatori al loro odio del vero Dio.
Ma pi ancora quando il Protestantesimo ebbe scatenata la guerra religiosa sulle nazioni cristiane e quando
la scoperta delle Indie ebbe offerto un nuovo campo dapostolato ai missionari, il numero dei martiri si
moltiplic gloriosamente. Allora - dice il P. Lacordaire - tra i due mondi si gareggiava a chi spandesse pi
largamente il sangue domenicano. I Protestanti lo versavano a torrenti in Europa. LAmerica, lAsia,
lAfrica loffrivano in sacrificio ad altri errori. LOrdine di S. Domenico non aveva mai presentato un cos
grande spettacolo. Chi lavesse visto dallalto e con un solo sguardo, come Dio, non avrebbe potuto credere
possibile che un cos piccolo numero di uomini potesse parlare tante lingue, occupar tanti luoghi, dirigere
tante opere e versar tanto sangue...

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CAPITOLO III I MARTIRI - continua)
E nondimeno, pochi anni appresso, Santa Teresa annunziava, dopo una visione, una nuova era di martiri
domenicani: Essendo io in preghiera, vicino al SS. Sacramento, racconta ella nella sua Vita - S. Domenico
mi apparve con un gran libro in mano, e mi disse di leggervi certe parole scritte in grossi caratteri ed io
lessi questo cenno: Nel tempo avvenire, questOrdine fiorir e avr molti martiri.
La profezia si verific: da Santa Teresa in poi lOrdine diede alla Chiesa altre centinaia di martiri.
Nel corso dei secoli XVII, XVIII e XIX, il sangue domenicano scorse di nuovo a rivi in tutto quanto il
mondo: in Francia, in Irlanda, in Inghilterra, in Fiandra, nei Paesi Bassi, in Polonia (dal 1648 al 1672
soltanto, la provincia di S. Giacinto diede 444 martiri alla Chiesa), in Russia, in Lituania, nellArmenia, in
Algeria, in Etiopia, nello Zambese, nel Monomotapa, nel Madagascar, a San Domingo, nella Guadalupa,
nel Cile, nel Per, a Vera Paz, nel Messico, nelle Filippine, nelle isole della Sonda, a Timor, nel Bengala,
nellIndostan, nellisola di Solor, nellisola dEnde, sulla costa del Malabar, nel Siam, nel Tonchino,
nellAnnam, a Formosa, in Cina, nel Giappone.
LOrdine diede alla Chiesa: il primo martire dAmerica il B. Francesco da Cordova, il primo martire del
Per, Ven. Vincenzo di Valverde; primi martiri di Vera Paz, i venerabili Domenico di Vico e Andrea Lopez;
il primo martire della Cina, S. Francesco de Capillas; il primo martire di Formosa, San Francesco di S.

Domenico; il primo martire del Sian, San Girolamo della Croce; il prillo martire francese del Giappone, il
B. Guglielmo Courtet.

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CAPITOLO III I MARTIRI - continua)
LOrdine Domenicano in ogni secolo ha dato un generoso contributo di sangue per la testimonianza della
Fede. Dai Martiri dei primi secoli, caduti sotto il terrore dei Tartari o la scimitarra musulmana, a quelli
vittime degli eretici Paterini, Boemi e Protestanti dal secolo XIII fino al XVI, a quelli numerosissimi
trucidati dai Russi scismatici nel sec. XVII, fino a quelli che hanno versato il loro sangue durante le
persecuzioni in Cina ed in Giappone, nella rivoluzione francese e nelle altre rivoluzioni dei due ultimi
secoli, essi raggiungono il numero di circa 1600, dei quali alcune centinaia sono stati elevati agli onori
degli Altari col titolo di Santi o di Beati.
Grazie a Dio, non vi un paese nel mondo che i Predicatori non abbiano irrigato col loro sangue. E tutto fa
sperare che la Provvidenza loro continuer la felice ventura di dare la suprema testimonianza dellamore:
non gran tempo che ventisei figli di S. Domenico venivano crocifissi in Cina, e Pio XII, durante il suo
Pontificato, ha collocato sugli altari 25 martiri domenicani.
Quando si pensa che per una bont affatto gratuita di Dio, il Frate Predicatore diventato il fratello di tanti
santi, gloriosi o ignoti, i cui meriti lo portano e lo strascinano, egli sente ravvivato il suo coraggio e gli pare
che lanima sua si dilati.
Sarebbe a lui possibile il lasciar che si spenga il ricordo degli antenati? Eccolo, questo ricordo, sempre
attivo, incessantemente ravvivato dalle loro opere e dai luoghi in cui essi vissero; questo ricordo che
solleva luomo pi mediocre al di sopra delle sue miserie e lo stabilisce nelle regioni delleroismo. Esso
impone un dovere e obbliga al merito; la loro fortezza obbliga alla fortezza; la santit dei padri decreta la
santit dei figli. Per questo ricordo il pi umile dei religiosi sente di far parte di un Ordine, cio a dire, di
una societ retta da leggi pi che umane, arricchita di una tradizione inesauribile, animata da un soffio
spirituale.
Ogni generazione ha consegnato a quella che lha seguita una tradizione sempre pi ricca di virt e di
verit. Noi attingiamo le nostre forze da un tesoro accumulato da migliaia di Predicatori che, per sette
secoli, consumarono la loro vita nella pratica della forte disciplina regolare e nelle apostoliche fatiche. Noi
ne viviamo. Il Frate Predicatore non ha da mendicare lezioni e una formula di vita. Qual regola, pi che la
sua, potrebbe dargli il senso della grandezza cristiana? Quale storia, pi che la storia dei suoi padri,
potrebbe fargli comprendere la fecondit del sacrificio religioso, stimolare il suo zelo e far nascere nel suo
cuore pi larghe ambizioni?
Noi abbiamo una tradizione e viviamo avvolti nei ricordi: ecco la nostra forza. Quale il Convento che non
possa citare un nome, una lista di nomi illustri? Nelle nostre celle vissero dei santi; e dei martiri vi si resero
degni del loro sacrificio: noi vi possiamo raccogliere il loro spirito. Qui il Frate, quando ricorda,
testimonio di grandi vite. Se egli serba lanima sua attenta, vede sorgere dai chiostri, ove egli medita, non
sterili ricordi, ma chiamate energiche, perpetuo rimprovero a quei che esitassero, ode le voci amate dei
grandi antecessori: Vieni dietro a noi, figlio del nostro spirito! Raccogli la nostra eredit, accresci lonore
del nostro nome!.

CONCLUSIONE

LOrdine ha durato. Il 22 dicembre 1216 Onorio III lo confermava colla sua suprema autorit,
considerando, diceva, che i Frati saranno i campioni della fede e la luce del mondo. Sette secoli sono l per
attestare se le speranze del gran Papa si siano avverate. Che cumulo di rovine da quegli inizi tormentosi del
secolo XIII! Rivoluzioni repentine e sanguinose, evoluzioni lente e profonde cambiarono lo stato dei popoli
e soffocarono istituzioni e dinastie, che si promettevano lunghe speranze: chi potrebbe contarle in questo
processo di tempo? Ogni secolo assistette a qualche gran funerale. Ciononostante lOrdine dei Predicatori
restava saldo, come una schiatta forte e fedele a se stessa, schiatta di monaci, di dottori, di apostoli e di
martiri che non vuole spegnersi. La storia conosce poche istituzioni che abbiano resistito a tante et
contrarie. Dopo sette secoli, questa si trova, identica a se stessa, sempre nuova e feconda, e pronta a
prolungare indefessamente la sua perpetua giovinezza.
Con questo passato noi formiamo le nostre speranze. Santa Teresa assicura che lOrdine di S. Domenico
uno dei soli che sussister sino alla fine del mondo per lottare contro lAnticristo (Profezia citata negli atti
della Canonizzazione, c. XXX). Noi vogliamo crederlo. Qualsiasi difficolt non pu spegnere le nostre
speranze. Abbiamo trionfato su tante dure prove. Fin dai primi giorni e in tutto il corso della sua esistenza,
lOrdine dovette lottare, ma non cess di formare dottori e santi. Esso ne forma ancora: Pio X ha collocato
sugli altari undici domenicani, Benedetto XV tre, Pio XI due, Pio XII ventisei.

SAN TOMMASO, Somma teologica, II-II, 188, 4.


SAN TOMMASO, Somma teologica, II-II, 188, 6.
3
SALAMANTICENSES, Dello stato religioso, Disp. II, dub. III, p. III, n. 31. E proseguono: Per una vita
attiva che proceda dalla contemplazione non bastano alcuni atti di preghiera, come una meditazione, un
esame di coscienza, il ricordo della presenza di Dio, un ritiro di qualche giorno ed altre cose simili che si
chiamano ordinariamente esercizi. Infatti non c' vita religiosa, per attiva che s'immagini, che non abbia
questi esercizi e altri pi importanti. Inoltre anche tanti laici nello stato matrimoniale li praticano, come lo
dimostra l'esperienza. Una vita attiva procede dalla contemplazione e conseguentemente contiene
eminentemente la perfezione della vita puramente contemplativa e qualcosa di pi quando essa prescrive ai
suoi figli i mezzi appropriati alla contemplazione, come la clausura, il silenzio, la mortificazione dei sensi,
la penitenza, il digiuno, le veglie, la salmodia, le pie letture ed altre cose simili. Una vita religiosa che
compie queste pratiche, e non le interrompe se non quando bisogna aiutare il prossimo con la predicazione
e con l'insegnamento dottrinale, una vita religiosa che professa la vita mista, cio discendente dalla
contemplazione all'azione. Tale il caso (per non citare che un esempio) dell'Ordine dei Frati Predicatori il
quale, quantunque sembri ordinato anzitutto all'insegnamento dottrinale, tuttavia non solo impiega tutti i
mezzi appropriati alla contemplazione che abbiamo enumerati, ma li fa precedere a tale
insegnamento(Ibidem).
4
PASSERINI, O.P., De hominum statibus et officiis, in ultimas septem quaestiones, II-II, 188, 6.
5
Ibidem.
6
Ibidem.
7
SAN TOMMASO, Somma teologica, II-II, 186, 1.
8
SAN TOMMASO, De perfectione vitae spiritualis, 17.
9
LACORDAIRE, Vita di S. Domenico.
10
Cf. MORTIER, Hist. des Maitr. Gen., t. 1, pp. 485 486.
11
DANZAS, Les temps primitifs de lOrdre de S. Dom., t. II, p. l9.
12
Vitae Fratrum (Ferrua), n. 38.
13
Vitae Fratrum (Ferrua), n. 168.
Questo interessante, perch sta a significare che un gran numero di quelli che abbracciarono lOrdine si
erano sempre conservati puri. Solo una minoranza era entrata dopo aver macchiato linnocenza battesimale
(nota del traduttore).
14
Nel processo di canonizzazione numerosi testimoni dichiararono che egli non aveva mai perso la grazia
del Battesimo.
2

15

Cfr. Atti di canonizzazione..


S. CATERINA DA SIENA, Dialogo, c. 158.
17
vigiliis, jejuniis, flagellis et aliis cruciatibus carnem suam affligebat.
18
CARTIER, Le P. Besson, Poussielgue, t. I, p. 259.
19
SAN TOMMASO, Somma teologica, II-II, q. 88, a. 2, ad 3.
20
S. Vincenzo Ferreri, La Vita spirituale, II, c. IV.
21
Si fabbricarono sopra la terra angusti palazzi; si eressero mausolei sublimi; si fecero a Dio delle dimore
quasi divine; ma l'arte e il cuore dell'uomo non si spinsero mai pi innanzi che nella creazione del
monastero (LACORDAIRE, Vita di S. Domenico, c. VIII).
22
dovere del Priore di vigilare affinch il religioso dedito al ministero non si esaurisca per eccesso di vita
attiva; egli deve impedire ogni sovraffatica e procurare ai suoi religiosi un tempo di ritiro. Il Padre
Lacordaire scriveva al Priore di Nancy, nel 1846: Un punto di grandimportanza che i Frati non
predichino oltre misura, senzaver il tempo di raccogliersi e di preparare i loro discorsi... Bisogna che i
religiosi abbiano una parte del loro tempo consacrato al ritiro e alla meditazione, a fine di ritemprarsi nello
studio, nella penitenza e nella sottomissione.
23
Le Costituzioni domenicane impongono un anno di noviziato, durante il quale il novizio studia lo spirito
dellOrdine, la sua tradizione, e si forma alla vita religiosa. Al termine dellanno, egli fa professione
semplice per tre anni, ed immediatamente applicato agli studi, dimorando nello studentato sotto la
direzione di un Padre Maestro. Dopo i tre anni, salvo disposizioni particolari, chiamato a far professione
solenne, e, se possiede le condizioni fissate per li studi, pu ricevere gli ordini sacri. Egli lascia lo
studentato quand sacerdote. Ma il religioso non mai applicato al ministero se non dopo compiuto il
corso dei suoi studi teologici e dopo un esame speciale in vista del sacro ministero.
24
Costituzioni primitive.
25
Costit. 573. Spiegando questo testo, il B. Umberto fa questa giusta osservazione: In questo passo, le
Costituzioni non pongono lo studio al disopra della preghiera, ma gli sacrificano soltanto la possibilit
esagerata di questa. Difatti preferibile avere un ufficio breve con lo studio, anzich un ufficio lungo ma
che impedisce di studiare, e ci a cagione dei numerosi vantaggi dello studio (De vita regulari, t. II, p.
37).
26
DOUAIS, Essai..., pp. 113-144.
27
Et quia sine sanctarum notitia Scripturarum perfectus praedicator nemo esse potest, (S. Dominicus)
hortabatur fratres ut semper in novi et veteris Testamenti lectione essent (Thierry dApolda).
28
S. TOMMASO, Somma teologica, II-II, 188, 6, ad 3.
29
Il canto domenicano il canto liturgico, tal quale fu raccolto nella prima met del secolo XIII. il canto
gregoriano, ma con sfumature proprie e certe abbreviazioni che lo rendono pi sobrio, pi rapido e in certo
modo pi virile e meglio appropriato ad un Ordine dapostoli.
30
La liturgia domenicana contiene certe antifone ed inni che non si trovano altrove e che figurano tra le
bellezze dogni liturgia: per esempio linno di Compieta: Christe qui lux es et dies, la cui melodia cos
commovente nella sua mesta dolcezza, o lammirabile responsorio: Media vita. Si racconta nella vita di S.
Tommaso che quandegli sentiva cantare questultimo responsorio, ogni volta questa tragica e sublime
invocazione gli strappava le lacrime: Nel mezzo della vita, noi siamo nella morte... Non ci rigettare nel
tempo della vecchiaia. Quando verr meno la nostra forza, o Signore, non ci abbandonare. Dio santo! Dio
forte! Santo e misericordioso Salvatore non ci abbandonare allamara morte! .... Siffatti gridi dellanima,
sostenuti e sollevati da un canto che ne moltiplica lardore, danno ai nostri uffici una grandezza
commovente.
31
Nel suo bel libro, La vita dei chierici nei secoli passati, Don Paolo Benoit scrive queste righe suggestive:
La grande preoccupazione degli antichi vescovi per convertire e santificare le anime era di stabilire e
mantenere presso di loro un numeroso e fervente presbiterio. Non credevano necessario mettere ad ogni
istante un prete in rapporto con questo e con quel fedele. Non cera bisogno di moltiplicare, come nei tempi
moderni, ci che si chiama le opere, e di associarvi i laici perch subissero il contatto e linfluenza
ecclesiastica. Bastava stabilire nei centri un collegio fervente di santi ministri del Vangelo. La spettacolo
delle loro preghiere incessanti e della loro santa vita era una potenza contro cui nulla poteva reggere, che
16

finiva col convertire i pi ribelli e riusciva a sollevare fino alle pi sublimi virt le anime favorite di grazie
pi grandi (p. 102).
32
Oeuvres. t. II. p. 260.
33
DON FESTUGIERE, La liturgie catholique, Maredsous, 1913, p. 119.

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