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http://www.carmillaonline.com/2015/07/25/podemos-il-capitalismo-e-la-fine-del-mondo/

Podemos, il capitalismo e la fine del mondo


di Fabio Ciabatti
Non capite che il problema siete voi? Che in politica non
conta avere ragione, ma avere successo? Questa frase non
stata pronunciata da Frank Underwood in una puntata della
fortunata serie televisiva House of Cards, ma da Pablo
Iglesias, leader di Podemos, la formazione politica spagnola
erede del movimento degli Indignados. La citazione presa
da un discorso pronunciato in unassemblea a Valladolid
(vedi qui la sintesi) in cui si fa uno sconcertante elogio di un
realismo politico a dir poco spregiudicato.
A scanso di equivoci il ritorno di un orientamento realistico,
dopo anni in cui la sinistra non istituzionale si limitata a un
approccio meramente etico o a un velleitarismo estremistico,
pu essere un fattore positivo. Soprattutto perch significa tornare a confrontarsi con il tema del potere e della
sua conquista da parte di un partito che rappresenta una delle novit di maggior rilievo nel panorama politico
europeo e che ha comprensibilmente suscitato molte speranze e simpatie. Ma il potere rimane una brutta bestia:
troppo spesso chi crede di averlo conquistato ne rimane invece soggiogato. Per questo occorre chiedersi se
lestremo pragmatismo professato da Iglesias sia coerente con il radicalismo esibito dal suo partito.
Torniamo dunque al discorso che abbiamo citato in apertura e che continueremo ad analizzare in questo articolo.
Con chi se la sta prendendo Iglesias? Lasciamogli ancora la parola: Potete avere le migliori analisi,
comprendere le chiavi di lettura dello sviluppo economico a partire dal sedicesimo secolo, capire che il
materialismo storico la via da seguire per capire i processi sociali. Ma a che cosa serve se poi ve ne andate in
giro a urlare in faccia alla gente siete proletari e nemmeno ve ne rendete conto? Il nemico non farebbe altro che
ridervi in faccia Perch le persone, i lavoratori, continuano a preferire il nemico a voi.
Tutto il discorso impregnato da un tono di feroce sarcasmo in inquietante continuit con il clima culturale che ha
pervaso gli ultimi trentanni di neoliberismo teso a dileggiare e a distruggere sin nelle fondamenta ogni approccio
classista alla politica e allinterpretazione delle dinamiche sociali. Certo, il bersaglio esplicito di Iglesias il
settarismo di ultrasinistra, ma, date certe caratteristiche di Podemos, sorge il legittimo dubbio che si tratti di un
bersaglio di comodo per raggiungere trasversalmente un altro obiettivo: ridicolizzare chi fa un cattivo uso di un
armamentario teorico-politico per delegittimare tout court larmamentario stesso. Non sorprenderebbe visto
quanto dice Iglesias a proposito delle prossime elezioni spagnole, cio che la battaglia si giocher intorno alla
questione centrale: continuit o cambiamento (Pablo Iglesias, Podemos,la nostra strategia', Le Monde
diplomatique/il manifesto, luglio 2015, p. 7).
Consideriamo una delle caratteristiche pi controverse dal partito di Iglesias: laffermazione del superamento
della dicotomia destra-sinistra (sostituita da quella basso-alto che comunque fa leva su molti dei temi classici della
stessa sinistra). Da una parte abbiamo a che fare con la condivisibile volont di prendere le distanze dalla
discreditata sinistra spagnola, soprattutto con riferimento al Partito socialista. Dallaltra, a mio avviso,
questapproccio pu portare allaffermazione di una logica politicistica, legata a una mera contingenza che rifiuta
di essere appesantita da zavorre identitarie o teoriche. Se lunica cosa che conta il successo, le occasioni che si
presentano giorno dopo giorno vanno prese al volo, costi quel che costi. Il nostro principale obiettivo sono le
elezioni generali di questautunno. Dunque, ogni decisione, ogni situazione deve essere analizzata alla luce di
questo appuntamento elettorale (ivi).
Purtroppo lelogio del successo ci porta a dimenticare che ci pu essere qualcosa di peggiore della sconfitta.
Come scrive Alain Badiou La lotta ci espone alla forma semplice del fallimento (lassalto che non ha successo),
mentre la vittoria ci espone alla sua pi terribile forma: ci rendiamo conto che abbiamo vinto invano, che la nostra
vittoria apre la strada alla ripetizione e alla restaurazione Per una politica di emancipazione, il nemico che

deve essere temuto maggiormente non la repressione per mano dellordine stabilito. Esso linteriorizzazione
del nichilismo e la crudelt illimitata che pu venire con la
sua vuotezza (Alain Badiou, Lhypothse communiste,
Lignes, 2009).
Esistono molteplici e illustri esempi nella storia del
movimento operaio di volontaria condivisione della
sconfitta: da Marx che, dopo aver frenato, appoggia
pubblicamente la Comune di Parigi nonostante la
consapevolezza della sua ineluttabile disfatta, al ben pi
tragico destino di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht che
Pablo Iglesias, leader di Podemos
decidono di condividere la sorte segnata della rivolta
spartachista.
Il punto che si pu decidere di condividere la sconfitta, anche fino alle pi estreme conseguenze, qualora ci si
senta parte di un corpo collettivo, di una comunit di destino, accettandone tutte le implicazioni. Il sentimento
dellappartenenza di classe pu essere definito proprio in questi termini, anche se sarebbe inutile nascondersi
che questo sentire negli ultimi trentanni si ridotto ai minimi termini nel mondo occidentale. Ma non perch siano
venute meno le limitazioni che derivano dallappartenere alle classi. Tuttaltro: la mobilit sociale in questi anni
diminuita fortemente. Quella che venuta meno la fiducia nella possibilit di modificare collettivamente il
proprio destino. Tale speranza non pu prescindere dalla capacit di metabolizzare collettivamente le sconfitte e
di viverle come fallimenti momentanei, parziali, che possono dare il la a nuove battaglie per conseguire in
prospettiva la vittoria. La sconfitta pu essere infatti un momento rivelatore: al di l degli errori soggettivi, essa,
come ci ricorda Slavoj iek, ci mette di fronte al sistema come totalit e ai limiti concreti che esso ci impone, agli
oggettivi rapporti di forza.
La convinzione che le classi non esistano pi ci separa dunque dal senso di condivisione di un destino. Ci pu
condurre allassolutizzazione della logica meramente politica e al mero elogio del successo. Non a caso Iglesias
non fa mistero di ispirarsi a un pensatore come Ernesto Laclau, per il quale la razionalit politica sembra agire in
una sorta di caos primordiale in quanto presuppone un sociale antagonistico caratterizzato da uninsopprimibile
eterogeneit. In qualche modo per Laclau vale quanto sosteneva Margaret Thatcher: la societ non esiste.
Soltanto che mentre per la Lady di ferro esistevano solo gli individui e le famiglie, Laclau concepisce una
molteplicit di gruppi che si costituiscono, si alleano e si contrappongono secondo logiche meramente politiche.
Presupposta una pluralit di gruppi sociali con richieste tra di loro in conflitto, la costituzione di un popolo, latto
politico in senso proprio secondo Laclau, avviene attraverso la costruzione di una catena di equivalenze tra le
diverse domande insoddisfatte che, di fronte a un potere istituzionale ostile, costituisce una frontiera
antagonistica dicotomica. Lelemento decisivo per lunificazione delle domande comunque lemergenza di un
significante vuoto, termine lacaniano con cui Laclau intende una domanda particolare che in maniera contingente
assume il valore delluniversalit: possiamo parlare di unidea forza sufficientemente ambigua da poter essere
interpretata in modo compatibile con le differenti domande, ma capace di suscitare un investimento affettivo
sufficientemente forte da supportare unarticolazione egemonica. La politica di classe di ascendenza marxiana
altro non sarebbe quindi che una delle possibili costellazioni egemoniche affermatesi nellottocento e nel
novecento. Di conseguenza non in alcun modo necessario cercare di riprodurla o attualizzarla alle presenti
condizioni storiche.
In sostanza per Laclau la societ non pu essere oggetto di totalizzazione (in questo senso anche per lui la
societ non esiste). Potremo dire anche che non possibile rappresentare la societ nel suo complesso come un
sistema organico con le sue leggi di sviluppo, tali da definire a priori, per quanto astrattamente, interessi comuni
di classe e potenziali alleanze. Laclau infatti sostiene che, in senso proprio, non si pu parlare di capitalismo
quale realt oggettiva: di fatto il capitalismo una costruzione del movimento anticapitalistico (Ernesto Laclau,
La ragione populistica, Laterza, p. 226).
Ha un che di paradossale affidarsi a un pensiero che nega loggettivit del capitalismo quando questa simpone
trionfalmente, con poche eccezioni, come minimo da trentanni; quando decenni di vittoriosa lotta di classe
dallalto della borghesia hanno peggiorato nettamente le condizioni di vita delle classi lavoratrici senza riuscire
ancora a soddisfare la necessit di sfruttamento del lavoro da parte del capitale perch questa
oggettivamente senza fine. Lo scoppio di una crisi capitalistica devastante nonostante il trionfo della borghesia ci
ricorda ancora una volta che il sistema si scontra con le sue contraddizioni oggettive o, per dirla con Marx, che il

limite del capitale il capitale stesso.


Assumere fino in fondo questi dati significa comprendere che ogni ricerca del compromesso con il capitale si
muove su un terreno quanto mai fragile e che, oggi pi che mai, occorre prendere di petto la logica del sistema
nel suo complesso. Un obiettivo da fare tremare i polsi, di fronte al quale spesso ci si rifugia in una sorta di
rimozione che impedisce di vedere e tematizzare la realt per quello che . Ma ogni rimozione ha il suo prezzo:
ci cui si nega lesistenza continua a sussistere indisturbato e viene assunto implicitamente come dato di fatto
non trascendibile. A tal proposito iek afferma: La politica post-moderna ha sicuramente il grande merito di
ripoliticizzare una serie di domini prima considerati apolitici o privati; ma resta nondimeno il fatto che ci, in
realt, non ripoliticizza il capitalismo, in quanto il concetto e la forma del politico, entro cui tali politiche operano,
sono fondate sulla depoliticizzazione delleconomia (in Judith Buthler-Ernesto Laclau -Slavoy iek, Dialoghi
sulla sinistra, Laterza, p. 99).
Dopo questo lungo giro teorico, torniamo al discorso di
Iglesias citato in apertura. Pensate che avrei qualche
problema ideologico nei confronti di uno sciopero selvaggio
di 48 o di 72 ore? Neanche per idea! Il problema che
organizzare uno sciopero non ha nulla a che fare con quanto
grande sia il desiderio mio e vostro di farlo. Ha a che fare con
la forza dei sindacati, e sia io che voi siamo insignificanti in
materia In questo paese ci sono solamente due sindacati
che hanno la capacit di organizzare uno sciopero generale:
la CCOO e la UGT [sindacati confederali spagnoli ndr].
Mi piacciono? No. Ma cos come stanno le cose, e organizzare uno sciopero generale molto difficile La
politica non ci che io o voi vogliamo che sia. ci che , ed terribile. Terribile. Ed per questo motivo che
dobbiamo parlare di unit popolare, ed essere umili.
Il discorso di Iglesias ancora una volta ambivalente. Da un parte abbiamo, di nuovo, a che fare con un sano
realismo; dallaltra, il realismo rischia di trasformarsi in una rinuncia ad aggredire il fondamentale nodo dei
rapporti tra capitale e lavoro. Se siamo ininfluenti su questo piano, come dice Iglesias, dislocare la prassi politica
interamente sul piano dell'unit popolare (il popolo di Laclau) e, in ultima istanza, su quello della contesa
elettorale, la risposta giusta? Non un caso che Podemos preferisce parlare della Casta piuttosto che del
capitalismo. vero che la versione podemista delle Casta ha una caratterizzazione politico-economica, mentre
quella grillina ha una connotazione esclusivamente politica. Ma si tratta di un mero cambio di linguaggio ai fini
dellefficacia comunicativa? Oppure abbiamo a che fare con un sostanziale cambiamento concettuale che porta a
rimuovere il problema dei problemi, ovvero il capitalismo?
Qualcuno una volta ha detto che pi facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo, ci ricorda
Fredric Jameson (New Left Review, n. 21, maggio-giugno 2003, p. 76). Lo stesso vale anche per una delle pi
radicali espressioni della politica contemporanea europea? A tale proposito, al di l di ci che questo partito dice
di s, pu essere utile guardare a quello che effettivamente fa, prendendo in considerazione le forme
organizzative scelte, perch queste hanno un forte legame con gli obiettivi concretamente perseguiti. Anche da
questo punto di vista Podemos ha una connotazione ambivalente. Da una parte il partito di Iglesias, accoglie
molto dei modelli politici dominanti: marketing, comunicazione, leaderismo, maggiore attenzione ai media che al
radicamento territoriale, un uso quasi aziendale della Rete che allarga le possibilit di partecipazione (a colpi di
click) della base, rendendola per quasi del tutto ininfluente sulle decisioni del vertice (Loris Caruso, Pi di
Podemos vince il modello Barcellona, il manifesto, 25.5.2015). Si tratta insomma di un modello costruito per
vincere le elezioni, ma difficilmente adatto per realizzare, una volta al governo, cambiamenti veramente radicali.
Daltra parte, lo stesso Podemos nelle elezioni amministrative che lo hanno visto vittorioso grazie alle coalizioni
elettorali con i movimenti sociali, ha adottato una forma organizzativa che non rifiuta del tutto questi meccanismi
presi a prestito dai modelli politici dominanti, ma li integra con ci che essi escludono: la mobilitazione, il
conflitto, il radicalismo, la centralit del sociale, il coinvolgimento attivo e costante della base gi militante e di
quella potenziale (ivi).
Personalmente dubito che i due modelli possano essere meramente giustapposti. Loggettiva difficolt di
riprodurre sul piano nazionale quello che riuscito a livello locale conferma la problematicit di questo
meccanico accostamento. Molta strada si dovr ancora fare per trovare delle soluzioni soddisfacenti a questo
problema. Ma non partiamo da zero. Credo si possa dire che le sperimentazioni pi avanzate sul terreno della

sinergia tra forze politiche, sindacali e movimenti sociali si trovino nellAmerica Latina degli ultimi ventanni. Sar
forse un caso che proprio l si cominciato parlare di Socialismo del XXI secolo iniziando a prefigurare, pur tra
mille incertezze e difficolt, la fine del capitalismo, piuttosto che la fine del mondo?

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