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GLI INIBITORI DELL'AROMATASI NEL TRATTAMENTO

ENDOCRINOLOGICO DEL CARCINOMA MAMMARIO


Dr. Gian Paolo Andreoletti, specialista in Oncologia, giornalista scientifico, Bergamo
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Il farmaco principale utilizzato nel trattamento endocrinologico del carcinoma mammario stato per molti anni,
ed per molti versi tuttora, il tamoxifen.. Sempre nuove evidenze cliniche stanno per imponendo gli inibitori
dell'aromatasi (in particolare quelli di nuova generazione) come farmaci ormonoterapici del futuro,
potenzialmente anche in chiave preventiva.

Estrogeni e carcinoma mammario


Gli estrogeni hanno un ruolo definitivamente riconosciuto nella genesi e nello sviluppo del carcinoma
mammario.
Ormai a pi di cento anni fa risale la prima osservazione che la ovariectomia bilaterale (e dunque la
deprivazione estrogenica) in grado di determinare la regressione di carcinomi mammari in fase avanzata in
donne in premenopausa (G.T. Betson: "On the treatment of inoperable cases of carcinoma of the mamma:
suggestions for a new method of treatment, with illustrative cases", Lancet 1896; 2: 104-107). Gli esatti
meccanismi attraverso cui gli estrogeni esercitano un ruolo oncogenetico a livello mammario non sono ancora
stati completamente chiariti. E' probabile che intervengano azioni dirette (alchilazione di molecole cellulari, con
produzione di radicali attivi e danni alla struttura del DNA) ed effetti indiretti (stimolo alla produzione di fattori
di crescita).

Espressione tessutale ed azione biologica dell'aromatasi


L'aromatasi un enzima della famiglia del citocromo P-450, che catalizza la reazione di sintesi degli estrogeni a
partire dagli androgeni (in particolare produzione di estrone da androstenedione e di estradiolo da
testosterone). L'aromatasi presente nelle cellule della granulosa dei follicoli ovarici, e, in modo meno
rilevante, nel grasso sottocutaneo, nel fegato e nel muscolo. La produzione di estrogeni nelle donne in
postmenopausa da ascrivere quasi completamente all'azione delle aromatasi periferiche (cio non ovariche).
Un ruolo determinante svolto in questo senso dalle aromatasi del grasso sottocutaneo: esiste infatti una
relazione diretta tra body-mass index e livelli ematici di estrogeni in donne in postmenopausa. La maggior parte
dei carcinomi mammari esprimono un'attivit aromatasica intratumorale. Tale attivit condiziona fortemente i
livelli intratumorali di estrogeni (giustificando una concentrazione di estradiolo, all'interno del tessuto tumorale,
superiore talora di 10 volte ai valori plasmatici).

Azione biologica degli inibitori dell'aromatasi


Gli inibitori dell'aromatasi inibiscono o inattivano l'enzima aromatasi, determinando conseguentemente
una soppressione totale della sintesi di estrogeni, in particolare nelle donne in postmenopausa. Gli inibitori
dell'aromatasi hanno una azione antiestrogenica totale e dunque sono privi dell'attivit agonistica parziale
propria del tamoxifene, responsabile s di un effetto protettivo a livello di mineralizzazione ossea, ma anche di
un aumentato rischio di neoplasie uterine e di tromboembolie venose. Gli inibitori dell'aromatasi sono classificati
in inibitori di tipo 1(o inattivatori enzimatici steroidei: sono steroidi analoghi dell'androstenedione, che si legano
irreversibilmente al medesimo sito della molecola dell'aromatasi) ed in inibitori di tipo 2 ( o inibitori enzimatici
non steroidei: sono sostanze a struttura non steroidea, che si legano reversibilmente al gruppo eme dell'enzima
aromatasi).

Inibitori dell'aromatasi di prima generazione


Il primo inibitore dell'aromatasi utilizzato nella pratica clinica stata l'aminoglutetimide, farmaco inizialmente
usato come anticonvulsivante. L'impiego della aminoglutetimide nella terapia del carcinoma mammario stato
via via abbandonato per la sua azione inibitoria globale sulla steroidogenesi surrenalica ("adrenalectomia
chimica").

Inibitori dell'aromatasi di seconda generazione


Il principale inibitore dell'aromatasi di seconda generazione rappresentato dal formestane. Il formestane
un composto appartenente agli inibitori di tipo 1 (inattivatori enzimatici). Si tratta di una molecola dotata di
buona efficacia clinica, il cui limite rappresentato principalmente dalla via di somministrazione (iniezione
intramuscolare).

Inibitori dell'aromatasi di terza generazione


Gli inibitori dell'aromatasi di terza generazione sono rappresentati dall'anastrozolo (Arimidex),
dal letrozolo (Femara) e dall'exemestane (Aromasin). Tali composti non influenzano in modo significativo la
steroidogenesi surrenalica (e non modificano quindi i livelli basali di cortisolo ed aldosterone) ed hanno il
vantaggio di poter essere somministrati per via orale. L'anastrozolo ed il letrozolo sono inibitori dell'aromatsi di
tipo 2 (inibitori non steroidei). Essi hanno una emivita plasmatica di circa 48 ore. L'exemestane invece un
inibitore dell'aromatasi di tipo 1 (inattivatore steroideo). La sua emivita plasmatica di 27 ore. Gli inibitori
dell'aromatasi di terza generazione hanno dimostrato negli studi preclinici una elevata potenza (superiore di tre
ordini di grandezza rispetto a quella dell'aminoglutetimide), associata ad una buona tollerabilit .

Controindicazioni all'uso degli inibitori dell'aromatasi


L'utilizzo degli inibitori dell'aromatasi controindicato:

Nelle pazienti in premenopausa: gli inibitori dell'aromatasi inducono, nelle donne


in premenopausa, un aumento della secrezione di gonadotropine, a causa del
ridotto feedback degli estrogeni a livello ipotalamico ed ipofisario. In alcuni

esperimenti su animali, gli inibitori dell'aromatasi determinano in premenopausa


un aumento delle dimensioni e del peso delle ovaie.
Nelle pazienti con recettori ormonali negativi: le donne con carcinomi mammari
che risultano privi di recettori per gli estrogeni sono usualmente non responsive ai
trattamenti ormonali.

Uso degli inibitori dell'aromatasi nel trattamento adiuvante


post-chirurgico del carcinoma mammario
La terapia adiuvante postchirurgica standard, nel carcinoma mammario con recettori estrogenaci positivi,
rappresentata dal tamoxifene, alla dose di 20 milligrammi al giorno per un totale di 5 anni di trattamento. Tale
tipo di terapia consente di ottenere una riduzione globale di mortalit del 25%, con effetti particolarmente
importanti nelle pazienti con interessamento linfoghiandolare ascellare. L'aumentato rischio di sviluppo di
carcinomi uterini e di fenomeni tromboembolici, connesso con l'utilizzo di tamoxifene, ha tuttavia spinto gli
studiosi a mettere a punto nuove strategie terapeutiche. Sono stati avviati vari trial clinici per testare il possibile
ruolo degli inibitori dell'aromatasi di terza generazione nel trattamento adiuvante del carcinoma mammario in
donne in postmenopausa. Il primo e pi importante di questi trias lo studio ATAC (Arimidex and Tamoxifen
Alone or in Combination), condotto su 9366 pazienti. (ATAC Trialists' Group: "Anastrozole alone or in
combination with tamoxifen versus tamoxifen alone for adjuvant treatment of postmenopausal
women with early breast cancer: first results of the ATAC randomised trial", Lancet 2002; 360:
1520)
I risultati preliminari di questo studio, dopo un follow-up mediano di 33 mesi, hanno dimostrato una
piccola ma statisticamente significativa riduzione nei tassi di recidiva neoplastica (87% contro 89%) nelle donne
che assumono anastrozolo, rispetto a quelle arruolate nel gruppo tamoxifene. I dati a 4 anni, analizzati al
convegno di San Gallen 2003 ed evidenziati nell'International Consensus Panel, confermano questa tendenza:
prolungamento della sopravvivenza libera da malattia pari all'86,9% per le pazienti in trattamento con
anastrozolo e dell'84,5% per quelle in terapia con tamoxifen, con riduzione degli effetti collaterali farmacoindotti nel gruppo anastrozolo. L'associazione tamoxifen - anastrozolo non sembra offrire vantaggi aggiuntivi
all'utilizzo dei singoli composti. Lo studio ATAC ha evidenziato anche una minore incidenza di neoplasie
mammarie controlaterali nelle pazienti in terapia con anastrozolo rispetto a quelle in trattamento con tamoxifen
(0,3% contro 1%). Bench la terapia adiuvante con tamoxifene rimanga al momento il trattamento standard
nelle pazienti con recettori estrogenaci positivi, il trattamento con inibitori dell'aromatasi pu rappresentare,
sulla base dei risultati dei recenti studi clinici, una valida alternativa in donne con rischio tromboembolico
elevato o con scarsa tolleranza al tamoxifen. La FDA americana ha infatti recentemente approvato l'anastrozolo
per il trattamento adiuvante del carcinoma mammario "early" in pazienti in postmenopausa con recettori
estrogenaci positivi, in particolare quando il tamoxifen risulti controindicato.

Uso degli inibitori dell'aromatasi nel trattamento neoadiuvante


del carcinoma mammario localmente avanzato
La possibilit dell'utilizzo di una terapia endocrina, con finalit citoriduttive, prima dell'intervento
chirurgico, rappresenta un argomento di grande interesse clinico. Piccoli studi clinici non randomizzati, in
donne in postmenopausa con carcinomi mammari di diametro >3 cm e con recettori estrogenici positivi, hanno

evidenziato che la somministrazione per alcuni mesi di anastrozolo, letrozolo o exemestane in grado di
determinare riduzioni del volume tumorale superiori a quelle ottenibili con tamoxifen, consentendo nella gran
parte dei casi il ricorso ad una terapia chirurgica conservativa.

Uso degli inibitori dell'aromatasi nel trattamento del carcinoma


mammario metastatico
Diversi studi clinici multicentrici in doppio cieco hanno ormai dimostrato che gli inibitori dell'aromatasi di terza
generazione (in particolare letrozolo, ma probabilmente anche anastrozolo ed exemestane) sono superiori al
tamoxifen come trattamento endocrino di prima linea del carcinoma mammario avanzato con recettori
estrogenaci positivi. Essi sono in grado di determinare una maggiore regressione tumorale ed un pi
prolungato periodo di controllo della malattia, imponendosi come uno dei principali avanzamenti terapeutici
degli ultimi anni in ambito senologico. Gli inibitori dell'aromatasi di terza generazione si sono anche dimostrati
superiori al megestrolo acetato nella terapia endocrina di seconda linea del carcinoma mammario
avanzato, con una pi bassa incidenza di effetti collaterali.

Uso degli inibitori dell'aromatasi nel trattamento preventivo


del carcinoma mammario
L'effetto anti-estrogenico degli inibitori dell'aromatasi giustifica, da un punto di vista concettuale, una loro
azione inibitoria sullo sviluppo di neoformazioni tumorali mammarie. I risultati preliminari dello studio ATAC
suggeriscono in effetti un possibile ruolo degli inibitori dell'aromatasi nel trattamento farmacologico preventivo
del carcinoma della mammella. Come detto precedentemente, questo importante trial clinico ha evidenziato una
minore incidenza di neoplasie mammarie controlaterali nelle donne in terapia adiuvante con anastrozolo rispetto
a quelle in trattamento con tamoxifen (0,3% contro 1%), dopo un follow-up mediano di 33 mesi. Anche
se l'efficacia preventiva degli inibitori dell'aromatasi sembra essere dunque superiore a quella del tamoxifen,
ulteriori studi clinici sono in ogni caso necessari per definire il loro potenziale utilizzo nella chemioprevenzione
del tumore mammario in donne ad alto rischio

Effetti collaterali degli inibitori dell'aromatasi


L'impiego dell'aminoglutetimide, inibitore dell'aromatasi di prima generazione, stato fortemente limitato dalla
sua interferenza con i processi steroidosintetici a livello surrenalico. Gli inibitori dell'aromatasi di ultima
generazione presentano viceversa una specificit di azione quasi completa, con effetti pressoch nulli sui
valori basali di cortisolo ed aldosterone. L'anastrozolo, il letrozolo e l'exemestane hanno evidenziato un buon
profilo di tollerabilit, con scarsa incidenza di effetti collaterali.
Vampate di calore, secchezza vaginale, dolori muscoloscheletrici e cefalea sono talora descritti, ma comunque
con intensit lieve. L'effetto collaterale principale legato all'utilizzo prolungato degli inibitori
dell'aromatasi rappresentato dall'osteoporosi (che viceversa il tamoxifen non determina, in quanto
dotato di attivit estrogenico-agonistica parziale a livello osseo). Ci determina una maggiore incidenza di
fratture ossee nelle pazienti trattate con inibitori dell'aromatasi, rispetto a quelle curate con
tamoxifen. L'osteopenia indotta dagli inibitori dell'aromatasi pu essere prevenuta con l'assunzione
concomitante di bifosfonati.

Gli inibitori dell'aromatasi possono anche provocare un aumento del colesterolo totale ed HDL. Ulteriori studi
sono per necessari per chiarire il significato clinico di tali modificazioni del quadro lipidico.

Conclusioni
Gli inibitori dell'aromatasi hanno dimostrato una elevata efficacia nel trattamento (terapia neoadiuvante, terapia
adiuvante, terapia di prima e seconda linea del carcinoma avanzato) delle neoplasie mammarie con recettori
estrogenaci positivi, in donne in postmenopausa. La loro buona tollerabilit li rende farmaci discretamente
maneggevoli ed adatti, almeno per quanto fino ad oggi noto, a trattamenti prolungati.

BIBLIOGRAFIA

I.E. Smith et al.: "Aromatase Inhibitors in Breast Cancer", N Engl J Med 2003; 348:24312442.

P.E. Goss et al. " Aromatase Inhibitors in the Treatment and Prevention of Breast Cancer", J
Clin Oncol 2001; 19: 881-894.

A. Buzdar: "Advances in Aromatase Inhibition: Clinical Efficacy and Tolerability in the


Treatment of Breast Cancer", Clin Cancer Res 2001; 7: 2620-2635

Questa review clinica stata realizzata grazie al contributo di

AstraZeneca

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