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2015-2016
Per ovviare a questo difetto troverete nel manuale un box storiografico sull'argomento, che per non male riassumere. La parola rivoluzione esprime gi l'idea di un cambiamento non solo radicale, ma anche assai rapido; in un libro del 1960 intitolato Gli stadi dello sviluppo
economico l'economista americano Walt Rostow la port alle estreme
conseguenze usando la metafora del take off, cio dell'enorme accelerazione di un aereo al momento del decollo. Oltre a ci, la tesi di fondo
dell'opera che la strada dello sviluppo era una e una sola: quella occidentale, che i paesi sottosviluppati avrebbero dovuto ripercorrere nei
suoi diversi stadi.
Ad essere messa in forse negli anni 80-90 fu per l'appunto la nozione
stessa di rivoluzione industriale in quanto mutamento non solo radicale, ma anche molto rapido. Basandosi su analisi macroeconomiche e
sofisticati modelli quantitativi, vari studiosi sostennero che fino al 1830
la crescita della Gran Bretagna fu pi lenta di quanto si pensasse e vi fu
chi propose di ridefinirla come un'evoluzione, invece che una rivoluzione. Altri obiettarono che i dati aggregati occultano la realt di uno
sviluppo impetuoso ma settoriale, i cui effetti a quel livello non possono essere visibili che a distanza di tempo. Tolte alcune posizioni
estreme, peraltro, le interpretazioni "revisioniste" di quella fase accreditarono s l'immagine di uno sviluppo pi lento e disteso nel tempo,
ma non negarono l'unicit della rivoluzione industriale e il suo valore
di discontinuit storica.
Tuttora aperto, questo dibattito ha in ogni caso favorito una ricontestualizzazione del fenomeno, tradizionalmente situato nel 1760-1830
e opposto alla relativa immobilit dell'economia preindustriale. Se allora lo sviluppo inglese fu relativamente lento, in sostanza, quella fase
cessa di apparire come l'inizio del moderno sviluppo accelerato e autosostenuto, che sembra postdatabile agli anni 1820-1830 e seguenti. Il
periodo precedente perde cos la sua unicit, viene ricondotto entro un
contesto preindustriale di lungo periodo e diviene comparabile con altri episodi di crescita economica coevi o precedenti.
Mentre negli studi sulla rivoluzione industriale si affermava questo
mutamento di prospettiva, il dispiegarsi dei processi di globalizzazione
contemporanei sollecitava lo sviluppo di studi su altre aree del pianeta
e in particolare dell'Asia, che sono state messe a confronto con il vecchio continente. Si cos ridotta quella che Braudel chiam la diseguaglianza "storiografica" fra l'Europa e il resto del mondo e si sono
poste alcune importanti premesse per recidere il nodo gordiano della
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Qua e l, lungo la storia mondiale, si sono cos scoperte svariate rivoluzione industriose: periodi di espansione dei commerci, unit produttive familiari orientate al mercato, specializzazione e divisione del
lavoro, innovazioni tecnologiche, urbanizzazione, aumenti della produttivit agraria e non, crescite del prodotto lordo, incrementi demografici associati per un certo lasso di tempo a standard di vita stabili o
persino ascendenti e infine culture e istituzioni sociali e statali non
sfavorevoli a tutto il resto.
Tali fenomeni sono stati diversamente interpretati: semplificando un
po', c' chi vi ravvisa modelli diversi dalla rivoluzione industriale, che
furono bloccati dall'espansione economica, commerciale e militare occidentale nel XIX secolo, e chi le riconduce a forme di crescita smithiana
fondate sullo sviluppo del mercato e della divisione del lavoro. In entrambi i casi si tratta di sviluppi labour-intensive, fondati cio su un
crescente impiego di manodopera. Se letti come forme di crescita smithiana, tali sviluppi configurano performances pi o meno corpose e
durature, ma comunque a termine. Da Malthus in poi il loro limite
stato individuato nei freni derivanti dal divario tra sviluppo economico
e demografico, tuttora considerati la norma nell'intera storia mondiale
fino al XVIII secolo compreso. In quest'ottica sia la crescita della Gran
Bretagna e di altri paesi europei prima del XIX secolo, sia quelle riscontrate in alcuni paesi asiatici rimangono fenomeni dai limiti, se non invalicabili, storicamente mai superati.
In base a questi presupposti la domanda perch l'Inghilterra? deve
dunque essere riformulata, non limitandosi a interrogarsi sulle peculiarit di pi o meno lungo periodo che dettero luogo alla rivoluzione
industriale. Se l'immagine classica della rivoluzione industriale come
unico ciclo di sviluppo moderno e autosostenuto ragionevolmente
scomponibile in due fasi distinte - una prima fase di rivoluzione industriosa e una seconda fase di vera e propria rivoluzione industriale dagli
anni 20-30 dell'800 - i termini del problema cambiano. L'interrogativo
va posto in questi termini: perch in Inghilterra una fase di crescita non
inconsueta fu seguita da un inedito tipo di sviluppo moderno e ci non
accadde in altre situazioni comparabili, europee ed extraeuropee? O,
se si preferisce, perch l'Inghilterra (l'Europa) non si comport come le
altre parti del mondo?
A questo interrogativo Pomeranz ha risposto attribuendo la differenza tra il percorso della Gran Bretagna e quelli di altre aree eurasiatiche, e in particolare del delta dello Yangzi, alla disponibilit di carbon
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estero. Secondo Janet Hunter, in ogni caso, fino al 1850 si notano pochi
segni della divergenza giapponese sopraggiunta dopo il 1868.
I "revisionismi" degli ultimi decenni, in definitiva, hanno svolto un
ruolo molto importante, demolendo gli stereotipi e i miti che da sempre circondavano la storia dei paesi asiatici e ricollocando la rivoluzione industriale nel contesto spaziotemporale che le proprio: quello
della storia del mondo. L'apertura di nuovi orizzonti che ne derivata,
tuttavia, ha reso il dibattito storiografico pi aperto che mai.
Come non sembra improprio postdatare di alcuni decenni l'inizio del
moderno sviluppo accelerato e autosostenuto, land-saving e labour-saving, a tecnologia e consumi energetici entrambi elevati, cos verosimile che la divergenza della Gran Bretagna debba essere anticipata. Ci
confermerebbe le interpretazioni che hanno visto nella rivoluzione industriale non un improvviso take-off, n l'esito gi scritto nelle premesse di un eccezionalismo europeo di lunghissimo periodo, ma lo
sbocco non necessario di precedenti sviluppi "industriosi".
Sul perch tale sbocco non si sia verificato in altri paesi che conobbero sviluppi comparabili a quello delle pi avanzate aree dell'Europa
nordoccidentale e della stessa Inghilterra, con ogni probabilit la discussione destinata a proseguire a lungo. Non sembra tuttavia contestabile che a partire dal XVI secolo l'Europa abbia tratto un vantaggio
decisivo dalla sua espansione navale, militare e commerciale, a fronte
della scelta della Cina di non battere una strada analoga. Il blocco dei
viaggi transoceanici alla met del XV secolo consent alla Cina una forte
espansione dei suoi commerci in Asia, ma la chiuse in una situazione
stazionaria e agevol la conquista di un'egemonia mondiale da parte
dell'Europa. Il controllo dei mari, i traffici intercontinentali e la colonizzazione del Nuovo Mondo non spiegano la grande divergenza ma,
assieme alle guerre condotte dallo Stato inglese dalla met del 700 al
1815 e ai suoi massicci investimenti nella marina, trainarono la potenza
economica britannica e le fornirono i capitali occorrenti allo sviluppo
moderno.
La disponibilit di capitali, l'alto costo del lavoro e quello contenuto
di una fonte d'energia come il carbone rinviano a un punto chiave della
tradizione interpretativa sulla rivoluzione industriale: la tecnologia. Lo
sciame di innovazioni che si concentra in questa breve fase storica
stato giudicato eccezionale per quantit e qualit rispetto ad altre epoche e altri paesi, cosicch il suo ruolo nell'industrializzazione inglese
ed europea stato ancora ribadito.
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Pi che sulle innovazioni in s, gli studi recenti hanno peraltro insistito su quella che nel 2002 Joel Mokyr (I doni di Atena. Le origini storiche dell'economia della conoscenza) ha definito useful knowledge: un
ambiente culturale ricettivo, nutrito di cultura laica d'lite ma largamente diffuso nella societ e veicolo della diffusione delle innovazioni.
Le tesi di Mokyr, per il quale l'ascesa dell'Europa deriv da una knowledge revolution dovuta al pensiero scientifico da Bacone in poi e
alla cultura dell'Illuminismo, sono state criticate per non aver collocato
il problema in un contesto globale fondato su comparazioni con l'Asia,
ma il rilievo di tali fenomeni non sembra sottovalutabile. Secondo Eltjo
Buringh e Jan Van Zanden la produzione e la domanda di libri erano
ad es. molto pi sviluppate in Europa che in Cina e in Giappone. Una
valutazione, questa, estesa da Van Zanden ad altri aspetti dell'elaborazione e dello scambio di useful knowledge, che differenziavano l'occidente europeo dal resto dell'Eurasia sin dal basso Medioevo.
Si potrebbe continuare a lungo. Ancor pi della pertinenza dell'una
o dell'altra interpretazione, tuttavia, di questo campo di studi in eterno
fermento il caso di sottolineare la costante rispondenza alle sollecitazioni del presente. Come il recente sviluppo dei paesi asiatici ha stimolato la ricerca sulla loro storia e un confronto tra questa e quella europea, cos il revisionismo evoluzionista degli anni Ottanta riconducibile alla fase di crisi aperta dallo shock petrolifero del 1973. C' anche
da chiedersi quanto il concetto di rivoluzione industriosa debba a modelli di crescita contemporanei, come quelli basati sui distretti industriali.
Allo stesso modo l'emergere della questione ambientale ha suscitato
nuove indagini sul collo di bottiglia delle economie preindustriali costituito dall'energia, che hanno tenuto conto anche dei fattori climatici.
Da questo punto di vista, secondo Paolo Malanima, la prospettiva risulta meno ottimistica di quanto appaia ponendo la useful knowledge
al centro della scena: la Cina, dove i consumi energetici erano pi bassi
e la produttivit dei suoli pi alta, reag all'incremento demografico intensificando il lavoro e comprimendo il tenore di vita. Resa pi vulnerabile da una situazione diametralmente opposta, fra il 1750 e il 1820
l'Europa nordoccidentale soffr una grave crisi energetica dovuta sia
alla crescita della popolazione, sia a un abbassamento delle temperature, alla quale rispose attingendo a fonti d'energia minerali e imboccando la strada dello sviluppo moderno.
Se il puzzle della rivoluzione industriale ancora lontano da ricomporsi, in definitiva, un salto di qualit stato prodotto dalle ricerche
degli ultimi decenni, che hanno rinnovato l'intera questione perch
l'hanno ricollocata in un contesto di lungo periodo e in una dimensione
spaziale planetaria: ne hanno fatto, in altre parole, un capitolo della
storia del mondo. A giustificare il susseguirsi di nuovi studi basterebbe
in ogni caso una sola considerazione: comunque la si legga, la rivoluzione industriale si conferma come la pi importante cesura della storia dell'umanit. Al suo confronto neppure i grandi mutamenti dell'epoca neolitica reggono il confronto.
Gli studi pi recenti hanno mostrato che l'immagine di un'economia
preindustriale malthusiana sostanzialmente stagnante non che la
drastica semplificazione "binaria" di una realt ben pi complessa, fatta
di ricorrenti periodi di sviluppo in svariate parti del globo. Fino al XIX
secolo, tuttavia, il reddito pro capite della comunit umana non sembra aver mai superato se non di poco un decimo di quello attuale. Solo
da allora la situazione radicalmente mutata, sia pure ai prezzi elevatissimi pagati dalla maggioranza della popolazione mondiale per la
grande divergenza. quanto mostra con chiarezza la figura che segue.
Elaborazione da A. Maddison, World Population, GDP and Per Capita GDP, 1-2003 AD (agosto 2007), http://www.ggdc.net/maddison/ [Dati in $ internazionali Geary-Khamis 1990]
un'altra fra le pi originali ipotesi di periodizzazione della storia contemporanea, quella di Barraclough. Negli stessi anni in cui Hobsbawm
avanzava la sua proposta interpretativa, nella sua Guida alla storia contemporanea Barraclough non si limitava a formulare il criterio di metodo al quale ci siamo richiamati, ma elaborava una proposta di periodizzazione della storia contemporanea che assumeva tra i suoi punti di
riferimento essenziali proprio la seconda rivoluzione industriale.
Non che egli collocasse l'inizio dell'et contemporanea nei decenni
a cavallo del 1900: al contrario, ne spostava decisamente in avanti il
momento iniziale, scrivendo che un mondo nuovo era definitivamente
entrato in orbita intorno al 1960. A suo giudizio, tuttavia, il passaggio
dall'et moderna all'et contemporanea era avvenuto nel corso di una
lunga fase di transizione iniziata intorno al 1890, durante la quale avevano cominciato a delinearsi le forze che avevano modellato il mondo
contemporaneo. negli anni che immediatamente precedono e seguono il 1890 scriveva che la maggior parte degli sviluppi che differenziano la storia contemporanea da quella moderna comincia ad
evidenziarsi.
A differenza degli storici economici e degli economisti che discutevano del carattere pi o meno rivoluzionario della prima e della seconda rivoluzione industriale, Barraclough non partiva peraltro dal
passato per arrivare al presente, ma viceversa. E il presente, ossia gli
inizi della storia contemporanea quali si erano profilati all'indomani
della seconda guerra mondiale, era caratterizzato innanzi tutto da alcuni fenomeni di rilievo fondamentale:
1. il netto ridimensionamento del ruolo dell'Europa nel mondo;
2. il crollo del vecchio imperialismo e il processo di decolonizzazione
dell'Asia e dell'Africa, con i suoi corollari di sottosviluppo e sovrappopolazione;
3. l'emergere di due nuove grandi potenze, gli Stati Uniti e l'Unione
sovietica;
4. l'affermarsi di un sistema di relazioni internazionali a carattere
planetario, che assunse un carattere bipolare appunto per effetto
della ascesa delle due superpotenze;
5. quella che Barraclough chiamava rivoluzione termonucleare, riferendosi essenzialmente ai mutamenti strategici derivati dall'uso
delle armi atomiche, sperimentato dagli americani nel 1945 sulle
citt giapponesi di Hiroshima e Nagasaki.
Dell'energia atomica e di altre innovazioni tecnologiche sviluppatesi
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con la seconda guerra mondiale, invero, l'autore non trascurava neppure le applicazioni civili: con notevole capacit di prefigurazione scriveva infatti: con ogni probabilit l'energia atomica, l'elettronica e l'automazione condizioneranno la nostra vita ancora pi profondamente
di quanto abbiano fatto la rivoluzione industriale e le scoperte scientifiche della fine del XIX secolo. Su questo punto tuttavia sospendeva il
giudizio, considerandolo prematuro, e per adesso noi faremo altrettanto anche se a distanza di 40 anni abbiamo fondati elementi per dire
che non aveva torto.
Rilette oggi, peraltro, alcune delle pagine di Barraclough appaiono
naturalmente datate: cos per il bipolarismo Usa-Urss, da lui considerato come uno scenario acquisito e in qualche modo immodificabile,
cos anche per la sua insistenza sul 1960 come punto d'avvio dell'et
contemporanea. Che comunque, come vedremo, ipotesi non molto
distante da altre elaborate in seguito. Se si considera che questo autore
scriveva di fenomeni a lui contemporanei e dunque di difficilissima valutazione, tuttavia, indugiare su punti del genere sarebbe ingiusto. Ci
che pi colpisce, in ogni caso, invece la sua notevolissima capacit di
interpretazione del tempo nel quale viveva.
A partire dalla quale, possiamo a questo punto seguirlo nel suo percorso a ritroso nel tempo, per vedere quali fossero le forze al cui dispiegarsi si dovette l'apertura della fase di transizione tra et moderna ed
et contemporanea da lui collocata tra il 1890 e il 1960. I due pi rilevanti fattori di cambiamento venivano individuati da Barraclough nella
seconda rivoluzione industriale e nel cosiddetto nuovo imperialismo
ad essa strettamente connesso.
Fu in seguito al dispiegarsi di questi fenomeni che: 1) il sistema delle
relazioni internazionali europeo prese ad evolversi verso un sistema
mondiale; 2) dopo la guerra del 1914-18 si svilupparono una societ e
una democrazia di massa; 3) nuovi movimenti e regimi fascisti da un
lato, comunisti dall'altro lanciarono una sfida ai valori liberali del secolo precedente e alla stessa democrazia. Sulla base delle trasformazioni prodotte dalla seconda rivoluzione industriale e dal nuovo imperialismo, l'azione reciproca di tali fenomeni port infine al trapasso da
un'epoca all'altra. Da questo punto di vista, a giudizio dell'A., il periodo
successivo alla prima guerra mondiale era interpretabile come storia
della tenace resistenza opposta al mutamento dal vecchio mondo moderno, e di tale resistenza il lungo periodo di guerre conclusosi nel 1945
poteva considerarsi il dato saliente.
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fu costituita dall'inizio di una ristrutturazione industriale volta 1) a razionalizzare le imprese per alzarne la produttivit e fronteggiare cos la
discesa dei prezzi; 2) a instaurare un maggior controllo sul mercato per
limitare i danni della concorrenza. Tale processo si esplic in primo
luogo in una spiccata tendenza alla concentrazione industriale. Molte
imprese cio si fusero e molte altre dovettero chiudere, talch il loro
numero diminu e aumentarono viceversa le loro dimensioni.
Un ulteriore passo fu compiuto con la costituzione di cartelli per
concordare i livelli dei prezzi e trust (integrazioni di aziende operanti
nello stesso settore), che determinarono situazioni di oligopolio e talora addirittura di monopolio. La concentrazione fu dovuta anche al
forte fabbisogno di capitali determinato dalle accresciute dimensioni
delle aziende e dalla necessit di effettuare onerosi investimenti per
elevarne la produttivit. Tale fabbisogno fu coperto dalle banche miste (insieme di risparmio e di investimento), con il risultato un'accentuata compenetrazione fra industria e finanza. Anche la struttura delle
aziende mut; alla fine del secolo le societ per azioni erano divenute
la struttura prevalente, con il risultato che le Borse valori divennero i
luoghi nevralgici dello sviluppo economico. Il volume dei capitali investiti fu in relazione con un'eccezionale innovazione tecnologica: si
pensi soltanto alla costruzione delle prime centrali elettriche o all'invenzione del motore a scoppio.
Impetuoso fu inoltre lo sviluppo di industrie destinate a rivoluzionare la produzione perch fondate su fonti di energia e materie prime
nuove: quella elettrica, appunto, e quella chimica (dalla raffinazione
del petrolio agli esplosivi, dai tessuti artificiali ai coloranti e ai concimi
chimici). Rapidissima fu anche la crescita di una gigantesca industria
degli armamenti, sostenuta dalle ordinazioni degli Stati e connessa alle
loro politiche protezionistiche.
L'innovazione tecnologica si differenzi da quella dei periodi precedenti per lo stretto rapporto che si stabil tra economia e scienza: a
un'innovazione scaturita anzitutto dall'esperienza pratica si sostitu
una sistematica applicazione della ricerca scientifica alla produzione.
La ricerca fu sempre pi stimolata e orientata dall'industria, che cominci anche a dotarsi di laboratori per produrla in proprio. Scienza e
tecnologia furono dunque alla base della ristrutturazione delle imprese
realizzatasi in questi decenni per fronteggiare il calo dei profitti. Oltre
all'ammodernamento degli impianti, un aspetto essenziale di tale processo fu costituito da un impiego sempre pi efficiente e razionale delle
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Zimbabwe, nel 90 di Zanzibar, nel 92 dell'Uganda. Lo Zambia e il Nyassaland furono unificate nella colonia della Rhodesia.
La Francia, dopo aver represso nel 1870-71 una rivolta in Algeria, stabil nel 1881 un protettorato sulla Tunisia, subito dopo avere colonizzato la Costa d'Avorio. Si estese poi nel bacino del Congo, in Dahomey,
Senegal, Ciad e conquist tra il 1883 e il 1896 il Madagascar. Nel 1885 il
Portogallo istitu in colonia i suoi possedimenti in Mozambico e in Angola. Il Congo divenne possesso personale del re del Belgio e la Germania si mosse nel 1884 nel Togo, nel Camerun e qualche anno dopo in
Tanganika, per espandersi poi a est in Tanzania e a sudovest in Namibia. Gli insuccessi italiani permisero all'Etiopia di rimanere l'unico
grande Stato indipendente dell'Africa, ma l'Italia si estese in parte della
della Somalia e nel 1911 in Libia.
Molte di queste linee di espansione si incrociavano e infatti provocarono accesi contrasti diplomatici. Acuto fu lo scontro di interessi fra
la Francia, che ambiva a unire i suoi domini dell'Africa occidentale ai
suoi scali in Africa orientale, e l'Inghilterra, che puntava a congiungere
da nord a sud l'Egitto ai possedimenti in Africa orientale e australe,
sino alla colonia del Capo. Fu da queste contrastanti mire che nacque
l'incidente di Fashoda, il pi noto dei contrasti interimperialistici. Nel
1898 una colonna militare francese e una inglese arrivarono a fronteggiarsi e i due paesi parvero sull'orlo della guerra. La crisi si risolse per
la rinuncia della Francia, ma l'episodio mostr come controversie in
apparenza trascurabili attorno a lontani territori coloniali coinvolgessero il cuore delle politiche di potenza.
Ma la base degli imperi bianchi rimase l'Asia. La Russia si estese nel
Turkestan nel 1876-85 e alla fine del secolo occup la Manciuria e Port
Arthur. Gli olandesi aggiunsero Sumatra ai loro domini di Giava e del
Borneo. La Francia, che gi nel 1863 aveva stabilito il suo protettorato
sulla Cambogia, si estese negli anni '80-90 nell'Annam e nel Laos. La
Germania partecip nel 1886 alla spartizione della Nuova Guinea (con
Francia, Olanda e Inghilterra) e si impadron nel 1899 delle isole Caroline, Marianne e Palaos. Quanto agli inglesi, essi colonizzarono la Birmania (1885-87) parte del Borneo (1888), le Samoa, le Nuove Ebridi e
altri territori minori.
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I risultati di questo processo furono eccezionali: unico paese extraeuropeo in grado di competere con l'Occidente sul suo stesso terreno, in breve tempo il Giappone sarebbe divenuto una grande potenza
economica e militare. La modernizzazione burocratica ed economica
non fu per tale anche sul piano del sistema politico. Sino al 1889,
quando l'imperatore concesse una costituzione sul modello tedesco, il
Giappone non aveva un parlamento; poi ne ebbe uno basato su un suffragio ristretto all'1% della popolazione, in cui il potere rimase sempre
in mano al partito governativo.
Gli aspetti illiberali del sistema giapponese e la continuit col passato feudale furono acuiti da scelte come quella di potenziare l'esercito,
cui alla fine del secolo si arriv a devolvere il 49% delle spese statali, e
dalla forte diffusione di un'ideologia nazionalista. Ne deriv un'aggressiva politica espansionista e militarista. Gi nel 1872 Tokyo aveva fatto
un intervento negli affari interni della Corea. Nell'84 vi intervenne di
nuovo e infine nel 1894-95 la sottrasse alla Cina, impadronendosi anche
di Taiwan. Poi, desideroso di punire la Russia, che occupando la Manciuria gli aveva sottratto una ambita via di espansione, nel 1904 il Giappone la attacc e le inflisse una bruciante sconfitta, la pi grave che un
paese extraeuropeo avesse mai riportato su una grande potenza. La vittoria accentu il ruolo delle forze armate e le tendenze imperialiste del
paese, che si impose come potenza di peso non trascurabile - la prima
non occidentale - sul piano internazionale.
Di segno opposto fu l'esito dell'impatto occidentale in Cina. Gi le
due guerre dell'oppio avevano costretto il Celeste Impero ad aprire i
suoi porti alla penetrazione commerciale delle grandi potenze. Due decenni dopo il commercio estero cinese era controllato per pi di tre
quarti dagli inglesi, mentre Russia e Francia cominciarono a sgretolare
l'impero, impadronendosi della Manciuria e dell'Annam. Anche contro
la debolezza dell'impero e la sua soggezione all'imperialismo, tra il 1898
e il 1901 la Cina fu sconvolta da una nuova grande rivolta, al tempo
stesso xenofoba, nazionalista, anticoloniale e reazionaria, la cosiddetta
rivolta dei boxer. I rivoltosi delle societ segrete che diressero il moto
si opponevano alla dinastia Qing, ma si ribellarono anche agli stranieri
e alla modernizzazione da loro portata. Un corpo di spedizione internazionale riport tuttavia l'ordine in Cina con massacri indiscriminati.
Il Celeste impero evit insomma la spartizione, ma non il declino:
nel 1911 una sollevazione proclam la repubblica, ma il suo leader Sun
Yatsen fu costretto a dimettersi dai grandi potentati agrari e militari
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della sterminata periferia cinese. Iniziava cos il caos del periodo che fu
detto dei signori della guerra. La Cina imperiale, esaurita dall'assalto
concentrico dell'imperialismo, era finita per sempre e la sua sconfitta
stata considerata come un punto di non ritorno sulla strada del processo di globalizzazione.
La questione cinese particolarmente significativa per comprendere
il fenomeno dell'imperialismo. Quando le truppe tedesche partirono
per la Cina, il Kaiser Guglielmo II si produsse in un proclama che fece
epoca, il cos detto discorso degli Unni. Secondo le sue parole, i cinesi avrebbero dovuto ricordare per secoli la lezione loro impartita;
non si sarebbero dovuti fare prigionieri; la violenza sarebbe stata giustificata dal fatto che le truppe europee svolgevano un compito superiore di difesa della civilt. questo un ulteriore connotato dell'imperialismo: l'idea che, come anche si diceva, i dieci comandamenti non
valevano a sud del Nilo, che la civilt occidentale dovesse necessariamente diffondersi in tutto il pianeta.
La complessit del fenomeno imperialista non consiste solo nel differente e a volte contraddittorio rapporto fra lo sviluppo economico dei
diversi paesi e la loro aggressivit nella lotta per la spartizione del
mondo: oltre ai paesi capitalisticamente pi avanzati, anche paesi relativamente arretrati o agli inizi del processo di industrializzazione furono tra i protagonisti della spartizione. Le grandi imprese della politica estera, le costruzioni di ferrovie asiatiche e africane, il mantenimento di guarnigioni a migliaia di chilometri di distanza dalla madrepatria corrispondevano a costi elevatissimi e, dunque, a pressioni fiscali
crescenti.
Il problema del consenso alla politica imperialista era dunque essenziale ed in questi termini che vari studiosi hanno spiegato alcuni processi di democratizzazione messi in atto nelle grandi potenze. Di qui
quello che stato chiamato imperialismo sociale, cio la realizzazione di politiche di riforme (ampliamento del suffragio, miglioramento di alcuni servizi sociali ecc.) rivolte a cementare l'interesse pratico dei cittadini all'interno con una politica estera aggressiva.
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