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Il testo seguente si riferisce alla situazione che vive l’Italia dei nostri giorni, quella
degli operai arrampicati in cima alle fabbriche, delle aggressioni razziste, delle rivolte
agricole, delle escort, delle ronde di quartiere, dei neofascisti, dei precari senza un
euro e dei viaggi disperati degli immigrati clandestini.
Già nel secolo scorso, Foucault descriveva i tratti costitutivi di una società in
riferimento al modo in cui la stessa società si esprime con le fasce più deboli e
marginali. In questa ottica emerge chiaramente la configurazione di una società
orientata al massimo profitto economico. In particolare, il volto delle autorità si
manifesta sempre forte con i deboli e debole con i forti.
IL BUIO
C’è un paese dove tutti hanno paura del buio, perchè il buio è la casa dell’uomo nero.
Nel regno dell’uomo nero il buio è illegale. La notte e le giornate grigie sono state
condannate da tutti i tribunali, e sono al primo posto nella lista dei ricercati di tutte
le polizie. Ma notte e giornate grigie sono scaltre, maledettamente furbe, e tutti i
giorni l’una o l’altra o tutte e due, saltano sempre fuori e con loro l’uomo nero.
Quando cala il buio gli abitanti tremano e non escono di casa. L’ansia e l’angoscia non li
fanno dormire. Di notte nessuno dorme nel paese dell’uomo nero, perchè la notte è
fatta per tremare.
Alle prime luci dell’alba, vinti e stanchi, rendono l’anima al sonno e il giorno li trova
addormentati. Al risveglio si riaccendono lampade potenti, perchè le luci basse
generano ombre e anche nelle ombre si nasconde l’uomo nero. Ognuno è circondato
dalle ombre, compresa la propria. Bisogna vigilare di continuo, controllare il proprio
vicino: l’uomo nero potrebbe apparire all’improvviso, bisogna diffidare di tutti,
sopratutto di sè stessi. Tutti vivono da soli nel regno dell’uomo nero.
L’uomo nero
L’uomo nero é l’ultima frontiera nella politica dell’ansia. Semplice e primordiale paura.
Qualcosa di ancora diverso dal terrore, qualcosa di più simile alla goccia che ti cade in
testa e piano piano ti porta incosapevolmente alla pazzia.
Il nostro buffo mondo sta prendendo coscienza dell’esistenza dell’uomo nero. L’ansia
di sicurezza, la paura del proprio simile, il rancore confuso e convulso che trasudano
da ogni dove in questi anni difficili, trovano la propria naturale conclusione nell’avvento
dell’uomo nero. Non ci sarà più bisogno di invocare/creare/inventare emergenze e
pericoli, tutti avranno paura del buio e basterà invocare l’uomo nero perchè ogni
complessa manovra di ingegneria sociale trovi una giustificazione.
L’uomo nero é meglio del terrore, perchè l’uomo nero non ti uccide subito ma ti logora
e ti porta a modificare il tuo sguardo sulla realtà in un’ottica schizoide che alimenta se
stessa.
Nel paese dell’uomo nero può essere vero tutto e il contrario di tutto, l’uomo nero non
ti vuole sempre triste e spento. L’uomo nero porta anche allegria, folli risate che si
alzano fino al cielo. Se non hai un soldo in tasca e la crisi ti divora, devi ridere, perchè
ci vuole ottimismo, altrimenti l’uomo nero arriva e ti mangia. Ma non devi sollazzarti
troppo, perchè l’uomo nero é in agguato e non ci vuole nulla perchè ti rubi il bambino
dalla culla, usurpi il tuo posto di lavoro, rubi il tuo uomo o la tua donna.
Prendendo in prestito brandelli di saggezza in pillole da Kurt Vonnegut, potremmo dire
che in questo mondo delle mille e una oppurtunità di essere divorati dall’ansia, dalla
paura e dall’angoscia, tutto quello che può accadere probabilmente accadrà.
Scansatevi in tempo.
Il senato approva il pacchetto razzista
Il martedì del 3 febbraio 2009 da vita alla più importante svolta securitaria in Italia,
con l’approvazione del “pacchetto sicurezza”. Per Maroni (ministro dell’interno) con gli
immigrati «bisogna essere cattivi». In un momento importante per il futuro dei
migranti in Italia, nella notte tra sabato e domenica primo febbraio, pochi giorni prima
del voto finale in Senato sul ddl sulla sicurezza, tre ragazzi di buona famiglia davano
fuoco ad un clochard di origine indiana che dormiva nella stazione di Nettuno.
Cercavano un barbone a cui fare uno scherzo, hanno detto poi, per «provare una forte
emozione e finire una serata».
Iscrizione anagrafica
Sarà richiesta per l’iscrizione o la variazione della residenza anagrafica, la
certificazione dell’idoneità alloggiativa.
Moltissime abitazioni, anche tra quelle reperibili dietro ricco compenso nel mercato
privato, non potranno rispondere a questo criterio. Ecco uno dei provvedimenti che
andranno ad intaccare i diritti dei cittadini migranti, dei comunitari e degli stessi
cittadini italiani.
Rimesse di denaro
I cosiddetti servizi di money transfert avranno l’obbligo di richiedere il permesso di
soggiorno e di conservarne copia per dieci anni. Inoltre dovranno comunicare
l’avvenuta erogazione del servizio all’autorità competente nel caso riguardi un
soggetto sprovvisto di permesso.
Cancellazione anagrafica
E’ prevista dopo sei mesi dalla data di scadenza del permesso di soggiorno.
O forse no. Forse, con questo altro passaggio, dopo i provvedimenti già approvati
nell’estate e gli ultimi decreti su asilo e ricongiungimenti entrati in vigore a novembre,
ci saranno semplicemente milioni di cittadini (circa 4 milioni) con meno diritti, meno
garanzie e una rabbia, neppure molto nascosta, pronta a farsi spazio.
Cosa abbiano a che vedere con la sicurezza gli ostacoli introdotti nelle procedure per i
ricongiungimenti familiari, il divieto di contrarre matrimonio se privi di permesso, il
prolungamento dei tempi per l’acquisizione della cittadinanza, o i nuovi vincoli per
l’iscrizione all’anagrafe, rimane veramente oscuro.
Fa invece sorridere, se non fosse inserita in un contesto di così pesante restrizione
dei diritti, la proposta per cui, per scoraggiare gli ingressi non autorizzati di persone
che sono disposte a pagare il prezzo della vita per una speranza e per un futuro
migliore, viene introdotto il reato di ingresso e soggiorno irregolare, punito con
l’ammenda da cinquemila a diecimila euro, vista l’impossibilità di incarcerare migliaia di
persone (come era previsto nella proposta iniziale).
Oscuro rimane anche il legame tra i test di italiano e di conoscenza delle leggi del
nostro paese, che i nuovi arrivati dovrebbero sostenere al momento dell’ingresso, ed il
loro "grado di disponibilità all’integrazione". Ma c’è poco da stupirsi visto che lo stesso
esecutivo è stato capace di introdurre una discriminazione positiva transitoria per
"aiutare" i bimbi non cittadini italiani nel percorso scolastico.
I migranti in questo paese sono già pienamente inseriti nel tessuto sociale, produttivo,
scolastico, economico e spesso anche politico.
E sembra proprio siano rivolte a questi, a chi già contribuisce alla crescita della
società che ci circonda, le nuove norme introdotte. Nuovi e insuperabili ostacoli
burocratici, nuovi ed inutili adempimenti amministrativi, per le quali la vita di molti
diventerà impossibile.
Cosa vuol dire essere nuovi cittadini di questo paese nell’era della crisi globale?
In primo luogo significa pagare 200 euro di tassa per ogni pratica di rinnovo o rilascio
del permesso, per le richieste di cittadinanza o per i ricongiungimenti.
Ma vuol dire soprattutto il tentativo di scaricare sui migranti, mentre il mondo
incorona un figlio di immigrati alla presidenza degli Stati Uniti, il prezzo di
un’economia globale ingestibile, di mercati finanziari che hanno saputo continuamente
e strutturalmente forzare le regole scritte proprio dagli stessi giocatori, di un
welfare state incapace di dare risposte a milioni di lavoratori precari perennemente in
cerca di reddito senza diritti e garanzie.
Così la competizione si scarica in basso: i migranti diventano contendenti nella ricerca
di un lavoro e più in generale pericolosi per l’ordine pubblico, il problema abitativo che
investe milioni di persone, da chi ha contratto un mutuo a chi si è affidato al mercato
privato, a quanti sono in disperata attesa di un alloggio a canone sociale, non può non
prevedere l’esclusione dei migranti dall’accesso al contributo per l’affitto, come
l’assistenza e gli ammortizzatori sociali, non possono che essere riservati ai cittadini
italiani.
Perché? Non è certo una cosa nuova quella dell’individuazione del nemico, del pericolo,
del contendente che compete nella spartizione delle briciole.
Sicuramente la politica e l’informazione in questo hanno sempre giocato un ruolo non
poco rilevante. Ma il vero nodo è però il fatto che, dentro alla crisi, alimentare e
riproporre continuamente la guerra tra contendenti trova un terreno sicuramente
disponibile su cui posarsi.
Se da un lato si ripropongono quindi norme pesanti, in nome della sicurezza, nel
tentativo di disegnare i migranti come soggetti pericolosi, dall’altro, si comprimono i
loro diritti fino a ridurli ai minimi termini. Senza però fare i conti con il nuovo aspetto
che hanno assunto oggi le nostre città ed il nostro paese. Milioni di persone che qui
hanno scelto di vivere, crescere e costruire il loro futuro, fino a quando saranno
disposte a caricarsi sulle spalle tutto questo?
Già da tempo momenti di inedita visibilità degli invisibili hanno preso forma. In molte
occasioni, a Castelvolturno, a Milano, a Parma e a Rosarno gli esempi più eclatanti,
abbiamo assistito a segnali di indisponibilità.
Migliaia di fabbriche sono in chiusura, migliaia di persone verranno licenziate, in larga
parte migranti e così non potranno rinnovare il permesso di soggiorno per quel ricatto,
che neppure il precedente esecutivo ha mai messo in discussione, che lega il titolo di
soggiorno al contratto di lavoro. Che ne sarà di migliaia di lavoratori, ormai
professionalmente formati e specializzati, che verranno sottoposti a decreto di
espulsione?
Le stesse associazioni degli industriali pongono questo problema: la necessità di
sospendere la legge Bossi-Fini, di eliminare quel vincolo che la crisi rischia di rendere
un boomerang anche per chi ne ha sempre tratto vantaggio. Anche le organizzazioni
sindacali hanno colto la drammaticità di questo orizzonte.
Fermare il nesso tra diritto di soggiorno e contratto di lavoro non sarà però una
questione facile da affrontare. Certamente non saranno sufficienti qualche sciopero e
qualche tavolo di trattativa.
Come sempre sarà la forza dei soggetti coinvolti, le mobilitazioni intorno al tema della
scuola sono in questo senso una indicazione, a determinare la possibilità di "non pagare
la crisi", di affermare nuovi diritti, di arginare il razzismo che va diffondendosi.
E se qualcuno ha sempre proposto di fermare l’immigrazione, mentre altri ne hanno
sempre riscontrato la preziosa utilità per il mercato del lavoro, oggi rischiamo di
scoprire come dietro a tante braccia, ci siano progetti di vita, con tanto di famiglie al
seguito, di relazioni sociali strette ed affermate, di figli inseriti a scuola, di voglia di
sentirsi partecipi nella costruzione, ma anche delle decisioni, del paese in cui viviamo.
Dei veri e propri nuovi cittadini.
I Respingimenti
Il 7 maggio 2009 dieci anni di politiche di cooperazione tra Italia e Libia sul contrasto
dell’immigrazione irregolare, incondizionate sul piano dei diritti umani, hanno iniziato a
produrre i prevedibili frutti: da quel giorno in poi a decine, a centinaia, donne, uomini e
bambini sono stati trasferiti in Libia dalle autorità italiane, tramite consegne dirette
alle autorità libiche o un trasporto forzato sino a Tripoli. Si tratta di persone
intercettate nel Mar Mediterraneo mentre tentavano di raggiungere l’Europa in fuga
da conflitti armati, povertà estrema, persecuzione, torture e altre violazioni dei
diritti umani.
Fortress europe
Le deportazioni sono diventate una parte integrale del sistema delle Regime europeo
sull’immigrazione. Centinaia di rifugiat* e di migranti sono forzatamente deportat*
ogni giorno per fare ciò che le persone hanno fatto per milioni di anni: emigrare alla
ricerca di una vita migliore, scappare dalla povertà, dalle persecuzioni, dagli abusi,
dalle discriminazioni, dalla guerra. Il diritto di viaggiare e vivere dove si vuole è
negato a tutti e tutte coloro che hanno un diverso colore della pelle, passaporto e
conto in banca. Queste persone sono trattate come ‘criminali’ e incarcerati in prigioni
speciali che chiamano con altri nomi(centri di identificazione ed espulsione). Gli abusi
razzisti e sessisti e la violenza fisica, agiti dalla polizia che si occupa di immigrazione
e dalle guardie private, sono istituzionalizzati e legittimati dall'uso della forza nelle
operazioni di deportazione.
Dietro le deportazioni si nasconde un misto di razzismo, nazionalismo e imperialismo in
un contesto di capitalismo globale: mentre il capitale e i cittadini dell'Unione Europea
e degli altri paesi del “primo mondo” sono liberi di viaggiare dove vogliono, gli altri dal
lato sbagliato dei confini costruiti artificialmente, i cui paesi sono fatti a pezzi dai
privilegi europei e dal capitalismo e dalle conquiste imperialiste, sono illegali,
criminalizzati e impediti nell'esercizio dei diritti fondamentali. Loro semplicemente
cessano di essere persone; diventano “immigrati illegali”, che si “trattengono troppo a
lungo”, e di cui si può fare a meno quando non si ha più bisogno di sfruttare il loro
lavoro o quando cercano di rivendicare i propri diritti. Come conseguenza, le lotte
comuni e le comunità sono divise e prevale una cultura di sospetto e della sorveglianza.
Chi ci è entrato ha avuto modo di toccare con mano rabbia, dolore e violenza.
L’estensione a sei mesi del tempo massimo di detenzione ha acuito ancora di più la
disperazione, che spesso si traduce in tentativi di suicidio, in vite che si frantumano
nel silenzio e nell’indifferenza.
Chi ha ascoltato la voce di quelle e quelli che, in maniera ipocrita, vengono chiamati
“ospiti”, riuscendo a sfondare il muro impenetrabile di invisibilità che nasconde i
destini di persone costrette in gabbia, può affermare con nettezza che i C.I.E. sono
irriformabili.
Perché è inaccettabile restare rinchiusi per il solo fatto di aver varcato una frontiera
per necessità, per il solo fatto di esistere e aspirare a un futuro migliore. L’esistenza
dei C.I.E. si colloca nel disegno di chi vuole uomini e donne migranti in perenne
condizione di ricattabilità, impossibilitati ad accedere a percorsi di regolarizzazione,
scorie finali di chi è espulso dal circuito produttivo dopo essere stato sfruttato e
costretto alla clandestinizzazione.
Gabbie e cemento, nascondono destini spezzati, tentativi di rivolta, furore legittimo e
repressione sistematica. Gli enti gestori, che da queste strutture guadagnano milioni
di euro macchiati di sangue, provvedono a far trovare ambienti puliti alle delegazioni
che riescono a entrare. Ma basta guardare negli occhi gli uomini e le donne che stanno
dietro quelle sbarre, per ritrovarsi in faccia una realtà nascosta e rimossa.
Gli effetti concreti di questo delirio securitario colpiscono naturalmente le fasce più
deboli della società come studenti e precari.
Perché non possiamo essere liberi di vivere la nostra città? Qual’é il motivo per cui
dobbiamo essere fermati e identificati in un momento qualsiasi di ordinaria socialità?
Uno dei ragazzi ha ovviamente chiesto quale potesse mai essere il motivo della
richiesta di riconoscimento, ricevendo in risposta esclusivamente spintoni e scossoni…
chi rimarrebbe fermo, immobile davanti ad una aggressione di questo tipo? Non noi e
giustamente non questi ragazz*, oltretutto stanchi di questi comportamenti da parte
della polizia e dell'apparato repressivo tutto, di questo Stato che continua ancora e
sempre a volere tutt* noi zitt* e rinchius* nelle proprie case, piegat* alle volontà del
sistema.
Michela, Lorenzo e Riccardo sono stati malmenati, ammanettati e portati via verso la
questura, dove soltanto verso le 15 del giorno dopo l'avvocatessa (ma non i genitori) ha
potuto incontrarli e accertarsi delle loro condizioni. Il 12 aprile, nel corso della
sentenza che decide la convalida o meno dell'arresto, si è deciso per una
scarcerazione e due arresti ai domiciliari...
Tutto ciò significa sopratutto rabbia, che scaturisce dal nostro primario bisogno di
muoverci nella nostra città, più in generale di riprenderci i nostri spazi, di esprimere
dissenso... di vivere e di farlo in libertà!
All'interno di questo sfondo, il sabato di pasqua due pattuglie di polizia vengono fatte
oggetto di lanci di bicchieri di plastica e cori di insulti, non è la prima volta ma il
sindacato della polizia alza un polverone e richiama tavoli sulla sicurezza, zone rosse e
polizia ovunque.
Naturalmente la politica locale, progressista e illuminata, appoggia questo delirio
securitario. Questione generazionale: L'insistenza con cui negli ultimi anni si è gridato
al degrado del centro storico di Perugia è parallela all'attacco dello stile di vita di chi
lo frequenta dove alcool e droga come questioni da risolvere con la repressione e i
fuori sede come fattore di disturbo. Con i fatti dell'ultima settimana poi la questione
generazionale è esplosa, non siamo più solamente dei bamboccioni perditempo, ma
addirittura veniamo dipinti come balordi alcolizzati che tengono in ostaggio la città
contro i cittadini (commercianti e anziani) che si lamentano.
Come se noi non fossimo cittadini: paghiamo in nero l'affitto delle loro case, lavoriamo
con contratti capestro nei loro esercizi commerciali e sosteniamo con lavoro sotto
pagato o gratuito le iniziative culturali e gli eventi della città. Il fatto è che nel
dibattito pubblico locale student* e precar* non sono considerati come una delle parti,
ma come ospiti e stranieri. Non viene in alcun modo considerata la nostra capacità
produttiva e la stessa struttura del Welfare regionale non fa altro che andare a
sostegno delle famiglie numerose, ignorando ogni ipotesi di sostegno all'individuo.
Non ci stupisce questo ruolo della polizia e dei media, piuttosto ci stupisce l'estrema
debolezza di una classe dirigente che ha governato in maniera continuata le istituzioni
locali dal secondo dopoguerra. Schiacciata dal continuo allarme sulla sicurezza si
ritrova, nel momento dell'abuso di potere, senza forze per controllare il territorio,
per fare quella svolta necessaria a contrastare la questura.
Un luogo come il centro storico vissuto da figure sociali irrappresentabili nella politica
tradizionale, come student* e precar*, diviene ingestibile per i partiti ed i sindacati e
diviene un campo di scontro, senza mediazioni, tra il potere sovrano, repressivo e
violento, e chi vive il territorio. Allora dentro questo quadro si può vedere come il
luogo pubblico del centro storico sia interno ai conflitti sociali di questa città e come
si possa scatenare una battaglia per una birra in compagnia con le proprie sorelle, con i
propri fratelli. La sfida della polizia è chiara: “siamo noi a gestire il centro storico,
senza nessuna mediazione istituzionale”.
Tocca agli student* e precar* tirarsi fuori dal controllo inventando nuove forme di
conflitto e soprattutto di costruendo nuove relazioni con la forza per re-inventare il
territorio.
Sabato 17 Aprile, nella stessa piazza in cui una settimana prima si abbatteva la
repressione delle forze dell’ordine, viene gridato che la città è di chi la vive! Con una
presenza costante nel centro storico della città si riesce a riprendere ciò che è
nostro, ciò che è nostro desiderio e ciò che è nostro diritto: vivere una socialità
serena negli spazi pubblici, comuni, che ci appartengono perché sono di tutti e tutte,
perché li viviamo tutti i giorni e li facciamo vivere.
In quella stessa piazza IV novembre, la piazza degli arresti, una piazza cittadina
normale, con giochi discorsi risate chiacchiere bevute, seppur circondat* da
telecamere e agenti in borghese, noi come pesci in un acquario, ci riprendiamo la
piazza e la trasformiamo dall'acquario che è diventata, dalla zona rossa che l'hanno
fatta diventare con divieti paure controlli restrizioni, nella piazza della nostra città,
la nostra piazza.
Quel sabato è successo a tre persone le cui reti di amicizia e di relazioni hanno
provocato una risposta immediata, ma sappiamo anche che questo tipo di
comportamento da parte delle forze di polizia è all'ordine del giorno, tollerato, quando
non deliberatamente richiesto, dal governo della città in nome della sicurezza.
Domenica mattina a Perugia ci siamo svegliat* con tre ragazz* arrestati ed una città
molto diversa da come l'abbiamo sempre pensata e desiderata. L'ideologia della
sicurezza sembra avere conquistato una completa egemonia culturale e una completa
agibilità politica, tanto da giustificare forme di pervasivo e ossessivo controllo e di
repressione della vita sociale. Il securitarismo è un'ideologia che si basa sulla
costruzione sociale della paura. Mentre le statistiche rilevano nella nostra regione i
più bassi tassi di criminalità registrati a livello nazionale, la stampa locale e molte
forze politiche si affannano a costruire un'idea di Perugia come luogo di invivibilità e
di degrado, che va curato con i loro progetti di sicurezza.
Quale sicurezza?
Decine di posti di blocco ogni sera sulle strade del centro storico, poliziotti in
borghese, vigilanti e pattuglie a presidiare le piazze e le vie principali, ordinanze
comunali che, limitando l'orario di apertura dei locali del centro, credono di rendere la
città sicura mandando tutti a letto presto.
Non è la città deserta dopo l'una di notte, a renderci sicuri. Non è la città svuotata di
spazi di socialità e di cultura a renderci sicuri. Non è la città vetrina per turisti a
renderci sicuri.
Perugia puzza di deserto. Un deserto che mira ad entrare nelle nostre esistenze per
saccheggiarle e svuotarle.
La sicurezza, invece viene dalla tranquillità di poter vivere la propria città a seconda
dei bisogni e desideri di ciascuno. Tutto questo non può prescindere da un'agibilità
sociale che naturalmente avviene in uno spazio cittadino che è e deve rimanere
comune!
Al contrario in questi ultimi anni gli spazi cittadini, dai parchi alle piazze del centro e
non solo, sono stati sottratti alle persone, svenduti agli interessi privati e di
conseguenza posti sotto controllo.
In quanto persone che vivono la città rivendichiamo il diritto a riprenderci gli spazi
comuni per poter vivere liberamente le nostre vite!
A questo punto pensiamo sia doveroso interrogarsi su che tipo di città vogliamo essere
e costruire. La nostra città è un luogo ricco di soggettività, di idee, di intelligenze, di
esperienze, di capacità creative che possono dettare la strada verso una nuova
trasformazione urbana. Vogliamo che questa realtà abbia voce, vogliamo costruire un
modo comune e condiviso di vivere e fare città.