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(Ttl, 13.09.2003)
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stiamo in tal modo seguendo la storia del martirio del santo dal momento
iniziale in cui viene scuoiato a quello finale in cui viene portato in trionfo.
Ugualmente, in moltissime Annunciazioni vediamo riprodotti nella
medesima immagine sia la comunicazione dell’angelo (che accade prima)
sia le reazioni della Vergine (che hanno luogo in un secondo momento). Si
tratta di convenzioni usate dall’artista, e perfettamente comprese
dall’osservatore, mediante cui si traduce la temporalità in spazialità, allo
stesso modo in cui la descrizione verbale di un’immagine traduce la
spazialità in temporalità.
Dal problema del linguaggio dell’arte si arriva così a quello della
traduzione fra diversi linguaggi, tema su cui oggi si lavora moltissimo:
sono appena stati pubblicati la seconda edizione dell’Elogio di Babele di
Paolo Fabbri (Meltemi) e Il cinema come traduzione di Nicola Dusi (Utet),
entrambi interamente dedicati all’argomento. E lo spostamento non è
indifferente: mettere in campo la nozione di traduzione (impossibile a
priori, ma ala fine sempre realizzata) permette di ragionare più che su
elementi di principio su dati di fatto. Quel che importa non è più il
“linguaggio” delle immagini, artistiche e non, ma il “discorso” che esse in
effetti conducono, ossia il modo in cui esprimono dei particolari significati
usando i loro strumenti specifici, spesso superando le loro presunte barriere
comunicative. Un calabrone ha ali troppo piccole rispetto al suo peso, e in
linea di principio non potrebbe volare. Eppure vola. Allo stesso modo si
comportano i testi, andando spesso al di là delle loro sostanze espressive.
Lo sapeva bene Leonardo – nota Segre – che riusciva perfettamente a
descrivere le battaglie che, poi, rappresentava nei suoi quadri: oltre che col
pennello, dipingeva già con le parole.
Gianfranco Marrone
Cesare Segre
La pelle di San Bartolomeo. Discorso e tempo nell’arte
Einaudi, pp. 134 + 47 tavole fuori testo, € 19,50