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Polaroid

Massimo Citi

Agnés non urla. Non è una che urla, lo sa, lei.


Anche mentre uno dei portinai la prende a pugni e la tira per i
capelli, lei tiene le labbra strette e si sforza di non guardarlo mentre
lui, un tipo bruno vestito con i pantaloni grigi e il gilé lungo che
hanno quasi tutti loro, la tiene e le urla addosso, come se sputasse o
vomitasse. Nel cortile le ragazze sono in sette, a voler contare anche
la piccola Mordhen. Aspettano. C'è un altro portinaio, più magro e
calvo. È più importante di quello che picchia perché ha la virgola
rossa dell'Arca sul fianco dei pantaloni grigi e perché non si sporca
le mani per una di loro.
– Basta, Tedek! – ordina quando Agnés è caduta e il bruno la sta
prendendo a calci. – Ha imparato, va bene. – Le guarda tutte
ruotando gli occhi e senza muovere la testa – Il prossimo accesso
sarà quando sentirete il suono della sirena. Non prima. Non devono
esserci code né confusione.
Tace all'improvviso, come se aver parlato direttamente a loro sia
stata una concessione eccessiva. – Siamo portinai, non guardiani e
nemmeno padri. – Fa una specie di sorriso storto: – Meno che mai
amanti, chiaro?

– Ci hai fatto perdere l'accesso. Sei una troia idiota.


Agnés non risponde. Zoppica e si tocca il naso. Si è asciugata il
sangue con la manica e ha il labbro superiore spaccato. Forse è
anche per quello che non parla ma deglutisce. Diana non smette: –
Troia idiota. Troia idiota. Dobbiamo aspettare ed è da stamattina.
Nessuna ha voglia di parlare o di aggiungere qualcosa alla rabbia
di Diana che mastica insulti nella bocca larga dalle labbra sottili
mentre gira intorno ad Agnés come una mosca innamorata. Cora
tiene lo sguardo fisso per terra, sull'asfalto spaccato dove crescono
le piante. Aspettare ancora, pensa Cora, dopo aver aspettato per ore.
I portinai scandiscono la loro vita e tutte loro sono aggrappate a
quei pezzi di tempo troppo grossi da maneggiare. Cora si guarda le
mani sporche. Potrà lavarle, tra qualche ora. Potrà prendere l'acqua
e portarla nella loro baracca. Se piovesse... ma non possono bere
l'acqua che scende dal cielo. Fa vomitare e rende la pelle ruvida e
rossa. E non possono vomitare, significa perdere altra acqua e avere
ancora più sete, dopo.
Agnés non ha aspettato il turno della loro baracca e si è
presentata al Palazzo troppo presto. Aspettava che si accendesse la
piccola luce verde della porta. Sarebbe stata la prima e avrebbe
potuto rimanere qualche minuto in più nella Stanza. A bere e
lavarsi.
–Non meriti di bere, Agnés. Salterai un accesso.
Ada, la loro anziana, non parla mai troppo, non è una cretina
come Diana. Anche i portinai hanno rispetto per lei e non l'hanno
mai lasciata nuda sotto la pioggia e soltanto poche volte picchiata.
Stare nel gruppo di Ada è una speranza.
Prima o poi sarebbe arrivato un Amante e l'avrebbe scelta.

Dal grande finestrone con l'armatura di metallo Senex Bernar


guarda il gruppo di ragazze che rientrano verso il Quartiere. Sono
magre e senza curve, adolescenti senza carne addosso, appena più
che bambine che giocano e si azzuffano con la stessa facilità.
Creature senza importanza, almeno prima del loro incontro con un
Amante. Da quel momento diventano simbolicamente la cosa più
importante del mondo, infinitamente di più di vaganti e ordinari e
molto più importanti anche dei Portinai. E di loro Senex Guardiani.
Le ragazze scompaiono oltre la palizzata che protegge il Quartiere e
la strada rimane vuota, desolata. Potrebbe farle richiamare e
permettere loro un turno imprevisto ai bagni. Un Senex Guardiano
può dare anche questo genere di ordini e difficilmente un semplice
portinaio potrebbe discuterlo. I Padri lo verrebbero a sapere, certo, e
potrebbe anche arrivargli una nota o un richiamo, ma nulla di cui
doversi davvero preoccupare. Guarda ancora la strada, vuota e
spaccata da profonde incrinature. La riga gialla che la separa
esattamente a metà è quasi completamente svanita. Una delle tante
tracce del mondo prima del Passaggio delle quali non resterà nulla.
Lui è nato dopo, non ha mai visto automobili in movimento o
qualcosa di diverso dalla Selva che attraversa il cielo. Per un riflesso
automatico solleva lo sguardo. È lì come sempre a navigare nell'aria:
incerta, oscura, nebulosa e intricata. La Selva degli Amanti, nata da
un ricordo vago. C'è chi dice che proviene da una lontana stella o da
qualche dimenticato Inferno rimasto per milioni di anni sepolto
sotto i loro piedi. Comparsa al mattino del giorno del Passaggio,
sorta come una seconda luna di tenebra mentre le terre si
fendevano, la luce scompariva e il morbo del silenzio divorava le
terre e le avvelenava. Quando lui è nato del mondo prima del
Passaggio rimanevano soltanto rovine infette divenute letali e
pallide leggende. Gli avevano detto che erano bastati soltanto una
decina d'anni perché il numero di esseri umani diventasse . forse un
centesimo di quello dei giorni precedenti al Passaggio. «Poi sono
venute le Acque che hanno sommerso centinaia di città» gli aveva detto
un Padre, «poi il gelo, il freddo e infine gli Amanti».
I Padri avevano una risposta alla Domanda, l'unica domanda
davvero importante che loro, i nati-dopo avevano da fare. «Ci ha
tradito. Lui, il Dio Anome ci ha preferito gli Amanti. Le nostre preghiere,
le nostre costruzioni devote, la nostra fedeltà. Tutto inutile. Noi odiamo il
Dio Anome. Noi dobbiamo odiarLo per continuare a vivere».
Il loro mondo è costruito sull'odio per il Dio senza nome.
Ormai l'ha imparato.
Da bambino si aspettava di incontrarlo, sperava di potergli urlare
in faccia tutto il suo formidabile rancore. Non l'aveva mai incontrato
se non nelle vesti di qualche spettro affamato venuto dalle Terre
avvelenate. Adesso che l'infanzia è ormai lontana è certo che i
poveri spettri uccisi a colpi di pietra e a bastonate erano solo
altrettante vittime del Dio Anome. Come lui e tutti gli altri
sopravvissuti che regalavano agli Amanti, i prediletti del Dio
traditore, l'unica cosa che interessava Loro: i grembi ancora inviolati
delle loro figlie.

– Siediti. Sul tavolo. Tieni la gonna sollevata, così. – Ada,


l'anziana del gruppo ubbidisce. – Che diavolo avete da guardare,
voialtre? Guardatevi la vostra se ci tenete. – La donna non è né
giovane né vecchia. Ha molti capelli grigi raccolti una treccia spessa.
È brusca ma non è odiosa e crudele come tante altre. Si china tra le
gambe aperte di Ada, la tocca senza troppa grazia ma nemmeno con
l'antipatia rabbiosa delle altre custodi. Le apre le grandi labbra con
delicatezza, osserva e annusa. – Vai bene, tutto bene. Nessuno ti ha
toccato. – Fa una smorfia. – Anche se quelli non hanno poi ...
Cora l'ascolta ipnotizzata. «...quelli non hanno poi». Non hanno
poi, che cosa? Forse... Lo diceva Agnés, ma Ada l'aveva zittita
subito. «Agli Amanti non importa nulla che noi si sia vergini o no. Quello
è importante soltanto per quei fessi dei Padri e dei loro leccapiedi, i
Guardiani».
La donna si alza di scatto: – Va bene. Copri pure il tuo tesorino. –
Le guarda, tutte e sei. – Voialtre come siete messe?
Agnés si stringe nelle spalle: – Ci sono spettri che girano da
queste parti, di notte. Potrebbero anche...
La custode la guarda fisso. Non urla e non la minaccia: – Se ti
prude così tanto vai con un portinaio. Non sono tutti froci. E
neanche tutti sadici. Ma lascia perdere gli spettri. Sono velenosi,
anche se sono quasi tutti sterili. Sai che cosa vuol dire «sterili»?
Agnés annuisce: – Non gli si rizza.
La donna ride forte: – Sei ignorante come lo siete tutte. Non
significa quello. Significa che non possono fecondarvi. – Estrae da
una piccola borsa una bottiglietta e versa qualche goccia di un
liquido azzurro in uno straccio pulito. Si .pulisce la punta delle
dita e guarda Ada: – Non ci vorrà molto perché arrivi un Amante
tutto per te, cara. Lo sanno sempre quando arriva il momento.
Non chiedermi come fanno, ma lo sanno.
Una custode che abbia voglia di parlare con loro è rara come
una distribuzione straordinaria d'acqua. Le ragazze le si
stringono intorno. Non osano ancora parlare ma tutte le
domande possibili sono nei loro occhi.
– Beh, che cosa avete? Volete sapere quando toccherà a voi? E
come sarà? Io non lo so, davvero. Non ero adatta, come tutte le
custodi. Al massimo posso mettere al mondo un cucciolo umano
merdoso e piagnucoloso. Cosa che non ho nessuna voglia di fare.
Le uova degli Amanti sono per le migliori. Per i boccioli di pesco
più delicati. – Ride ancora, – adesso è tempo che vada.
– Perché gli Amanti hanno bisogno di noi?
Ad avere il coraggio di fare proprio quella domanda è stata la
piccola Mordhen. Ada la fulmina con lo sguardo mentre le altre
fanno un passo indietro. Adesso la custode chiamerà un
portinaio e la porteranno via.
Invece no. La custode scuote il testa e ritrae le labbra come se
volesse mangiarsele: – Perché, perché... nessuno lo sa davvero. E
tutti preferiscono non farsi questa domanda. Chissà? Forse gli
Amanti non hanno davvero bisogno di voi, ma noi umani siamo
convinti sia così. E benediciamo il momento nel quale quelli,
come angeli lebbrosi, scendono a fottersi le nostre figlie. Ma
questa non è una risposta, quindi dimenticatevela. A presto.
La donna si alza e si dirige rapidamente alla porta senza
dimenticare la piccola borsa che è il simbolo della sua gilda. Si è
già pentita per aver parlato troppo, probabilmente.

***

«Siamo vivi grazie al meretricio delle nostre figlie. Questo è soltanto


un segno della perdita della Predilezione. L'Anome ci ha tradito. Noi
dobbiamo odiarlo, dobbiamo opporre la nostra fragilità caparbia alla sua
prepotenza.»
Cancella «Prepotenza» e la sostituisce con «Superbia».
Si alza e attraversa la stanza disadorna fino alla porta chiusa
dall'interno. Appoggia l'orecchio al legno e ascolta. Silenzio.
Oltre lo strato di vecchio legno scuro c'è un lungo corridoio che
conduce fino alla scala. Poi un altro corridoio e un'altra scala. Un
altro corridoio e un'altra scala. Fino a giungere alla porta del
Palazzo dei Padri che soltanto i maggiori tra i Senex Guardiani
possono oltrepassare. Fa freddo, nel vecchio palazzo. E molti di
loro, i Padri, sono ormai disgustosamente anziani. Flette
faticosamente le dita della mano sinistra colpita dall'artrosi. Il
dolore arriva lentamente, come la voce di qualcuno che si
avvicini passo dopo passo alla sua stanza. Sulla scrivania il foglio
scritto solo nelle prime righe è un rimprovero che non ha voglia
di ascoltare. Sempre lo stesso inutile discorso da almeno due
decenni. Molti tra loro Padri non hanno nemmeno più
abbastanza cervello da capire la metà delle parole che lui si
sforza faticosamente di allineare. Qualcuno sorride
scioccamente, altri non riescono ad arrivare al termine della
funzione senza bagnarsi come bambini.
«Serve ancora a qualcosa, tutto questo inutile scrivere e parlare?»
Una domanda, questa, che si fa sempre più spesso, ma che non
avrebbe mai il coraggio di pronunciare ad alta voce. L'Odio per
Lui, il Dio Anome è, insieme alla paura per la Selva degli
Amanti, l'unica forza che tenga uniti gli umani. Dimenticato
l'odio non sarebbero altro che schiavi terrorizzati.
Oltre la finestra la caserma grigia dei Guardiani e i dormitori
dei Portinai nascondono i Quartieri delle donne. A chiudere
l'orizzonte dell'Insediamento le baracche dei soldati e gli alberi,
avvolti nel grigio della foschia e dello stesso colore dei muri delle
baracche.
Il ronzio e l'accendersi della piccola luce gialla del telefono
interrompono i suo, pensien.
– Padre Kalam, sono Senex Bernar.
– Ti ascolto.
– Vengono. Anzi, sono già arrivati.
Il Padre alza lo sguardo verso la fila degli alberi. Gesto inutile, gli
Amanti giungono senza che sia possibile prevedere la loro
comparsa. Un attimo prima c'è uno spazio vuoto, un attimo dopo
tre di loro – sono sempre in tre, mai uno di più né uno di meno –
attendono immobili che qualche umano venga ad accoglierli. Non
parlano, gli Amanti, e nessuno è ancora riuscito a comprendere che
cosa significhino i loro gesti, più simili a scatti e tic che a normali
movimenti.
– Va bene, – sospira il Padre – raggiungimi alla porta, andiamo
ad accoglierli.

***

La fotografia è di piccolo formato ed è stata scattata con poca


luce.
Chi l'abbia scattata è difficile da immaginare. Forse da una
delle ragazze o forse da una custode. Le macchine sono vietate
per loro e probabilmente lo sono anche per le custodi, ma è
impossibile che un portinaio sia entrato nei Quartieri per farla.
– Hai visto? Questo è ciò che ci succede.
Cora scuote la testa, ma soltanto per non dare troppa
importanza ad Agnés e alla sua stupida fotografia, quasi
sicuramente un dannato trucco.
– Non c'è nulla di strano. – Dice a mezza voce Cora.
Agnés ride: – Hai guardato bene? Guarda bene, stupida. Lì,
proprio lì. – Ride ancora: – in mezzo al cespuglio, lo vedi? Che
cosa ti sembra?
– Non mi sembra nulla. È una come noi, fatta come noi tutte.
– E quel bianco, lucido, proprio lucido, che cos'è, secondo te?
Cora inclina la fotografia. Il viso della ragazza è tagliato dal
bordo della foto e tutto quello che si vede sono le sue gambe
aperte e le dita che tengono aperta la fessura tra le gambe. C'è
qualcosa di bianco e lucido in mezzo alle dita, ma è impossibile
capire di preciso di che cosa si tratta.
– È un uovo, idiota. Un uovo degli Amanti.
– Non è possibile. Quando una di noi viene scelta abbandona
il Quartiere, lo sai. – È questo a spaventarle più di ogni altra
cosa. Da quel viaggio le ragazze non ritornano, anche se,
secondo i Padri, si tratta di un semplice passaggio di condizione,
da promesse spose a spose a tutti gli effetti. «Gli Amanti si
prenderanno cura di voi, non dovrete più fare i turni per l'acqua o per il
cibo».
Ma erano in poche a crederlo.
«Sono come ragni, gli Amanti. Depongono le loro uova nel vostro
ventre e i loro piccoli vi divoreranno dall'interno, poco per volta. Un
anno e più di agonia attende le prescelte».
– È un uovo, ti dico. Una delle loro uova.
– Se è così quella ragazza non dovrebbe più essere tra noi. E
poi chi ha fatto la foto? E chi l'ha stampata? Uno di loro?
– Questa è una polaroi. Lo sai che cosa significa?
Cora annuisce: – Che questa foto può essere estremamente
vecchia. E può essere stata scattata chissà quando.

***

Gadd'Erd, portinaio scelto, osserva il piccolo gruppo che entra


nel Quartiere Nord. Camminano come piace agli Amanti che,
quando appaiono, non utilizzano mai altro mezzo di
locomozione se non le loro gambe. O qualsiasi altra cosa
nascondano sotto i grandi mantelli che li coprono
completamente. In testa camminano un paio di guardiani che
non conosce. Li segue Senex Bernar, piccolo e grassoccio e
Kalam, il Padre Oratore, sottile e pallido come il suo cadavere.
Poi i tre Amanti che procedono dando la sensazione di
sfiorare soltanto il suolo, come se nuotassero in un'aria troppo
densa per loro.
Nessuno di loro parla, meno che mai gli Amanti che solo
molto raramente emettono qualche parola con la voce ansante
e roca tipica della loro razza.
Gli Amanti si fermano presto, davanti a una delle prime
porte del Quartiere.
Lei è qui? – Chiede Kalam.
Uno dei tre annuisce con uno scatto secco del capo nascosto
sotto la stoffa. Il loro viso, se di viso si tratta, è nascosto da
una sorta di maschera che potrebbe essere un respiratore, una
semplice maschera o parte del capo scuro e lucido di un
gigantesco insetto. Gli Amanti non gradiscono, comunque,
essere guardati e lo fanno capire con quei loro movimenti
improvvisi e taglienti dei quali tutti gli umani hanno timore.
Girano infinite voci sulla forma reale degli Amanti , ma
nessuna di queste è mai stata suffragata da una prova. Molti
anni prima gli umani hanno sparato agli Amanti ma non è
mai stato trovato un cadavere di uno di loro né è mai stato
possibile capire come si nutrissero, si spostassero o che cosa
facessero sulla loro nave, sempre che nave fosse,
perennemente sospesa nel cielo.
Kalam, il Padre bussa alla porta. Una ragazza si affaccia,
guarda il gruppo e i tre avvolti nei loro mantelli e spalanca la
bocca senza parlare.
Senex Bernar pronuncia qualche parola e le ragazze escono
e si schierano davanti alla porta. La paura sui loro volti non
riesce a nascondere completamente la curiosità. Una di loro,
Agnés, una ribelle abbassa lo sguardo cercando di spiare il
viso degli Amanti. Questi non si muovono e non reagiscono
ma è Senex Bernar a urlare qualcosa. Agnés alza il viso di
scatto e si stringe impercettibilmente nelle spalle.
Passa qualche secondo, poi uno degli Amanti indica la
prima della fila.
«Ada», gli pare si chiami. La ragazza, alta e castana, fa un
passo avanti. Non trema e non barcolla. Un vero gioiello. Il
Padre le parla, poi le accarezza il capo e la spinge verso i tre
Amanti. Il gruppo si allontana, esce dal Quartiere. Ada
cammina in mezzo a loro, rigida come una sonnambula.

***

– Perché piangi?
– Non piango.
Seraphine scuote il capo: – Piangevi, ti ho sentito.
– Non piangevo, ti ho detto. Togliti dai piedi!
Cora si sveglia ma non dice nulla. Agnés può tollerare gli
insulti, le botte, le minacce, ma non che qualcuna possa pensare
che lei sia una debole.
Involontariamente si volta verso la branda di Ada. Alla luce
senape dei fanali al sodio che illuminano il loro Quartiere ha per
un attimo la sensazione di vederla ancora al suo posto, a dormire
supina, il viso nascosto tra le braccia. Ma è una semplice
illusione. Adesso è là con uno di loro. O con tutti loro. A bordo
della loro nave o in qualche angolo nascosto della Terra. Forse le
hanno permesso di lavarsi. Prima di... Probabilmente le hanno
dato da mangiare. L'immagine che Agnés le ha mostrato non se
ne vuole andare dai suoi pensieri. Che cosa nascondeva dentro di
lei, quella ragazza. Che cosa nutriva nel suo corpo?

***

Come gran parte di loro Guardiani darebbe qualsiasi cosa per


entrare nel Palazzo dei Padri, arrivare fino alla Porta del
Tradimento, dove i Padri conservano alcune tracce della Vita
prima che il dio Anome dimostrasse così impudicamente di
prediligere gli Amanti. In ogni Palazzo dei Padri in ogni angolo
della Terra non avvelenato c'è una Porta e oltre la Porta. ..
Le voci che giravano anche tra loro, i fedelissimi Guardiani,
raccontavano di inimmaginabili ricchezze e soprattutto di
immagini lascive raccolte in libri e non solo, in dischi, pellicole e
nastri che soltanto le apparecchiature dei Padri potevano leggere.
Ma secondo altri oltre le Porte vi era soprattutto la spiegazione
del Tradimento, la testimonianza del Peccato definitivo compiuto
dagli uomini e dalle donne che il dio Anome non aveva
perdonato.
La pena per chi tentava di oltrepassare la Porta era la morte.
Morte per soffocamento, preceduta dal taglio della lingua e delle
mani. Nei molti anni passati dall'arrivo degli Amanti fino alla
situazione di relativa pace nella quale ora sopravvivevano non
aveva mai avuto notizia di tentativi di penetrare i segreti dei
Padri. Ma le Arche dei Padri come quella dove anche lui viveva
erano separate da lunghe distanze, isolate da grandi aree
avvelenate o da antiche zone un tempo densamente abitate dove
in qualche modo vivevano ancora i poveri esseri che loro – i
Salvati – chiamavano spettri. Fantasmi di esseri umani regrediti a
una barbarie folle e animalesca, al cannibalismo e all'idolatria .
Qualche volta erano state organizzate battute contro gli spettri,
soprattutto quando capitava di avvistarne nei dintorni dell'Arca.
A occuparsene erano i soldati, ma gli spettri erano astuti, elusivi
e feroci. Qualche volta disponevano delle antiche armi
dell'umanità perduta e avevano capi in grado di guidarli.
«Un giorno o l'altro gli spettri attaccheranno. Saranno migliaia
e migliaia e sarà la fine».
Il vecchio Padre che si era lasciato sfuggire quella frase
durante una Cerimonia dell'Odio era stato portato via dai
Guardiani più anziani e dopo di allora non gli era più capitato di
vederlo.
Junex Taggart scuote la testa violentemente e picchia più volte
il pugno contro la parete, sino a provare dolore. Oggi è un giorno
di pensieri torbidi e immondi.
«L'Odio per il dio Anome è il nostro rifugio. Le Arche la nostra
speranza
Le nostre donne, ampolla e custodia, la nostra Via»
L'Odio.
Taggart si sente stanco e nauseato. Quella parola – Odio – è stata
ripetuta troppe volte da tutti loro per riuscire ancora a risvegliare
qualche emozione in lui.
Eppure l'odio è il solo fondamento della vita. La scintilla ,
l'inizio e la fine di ogni cosa. Questo, secondo i Padri, era ciò che
gli uomini non avevano voluto comprendere, ammettendo il Dio
Traditore alla loro fiducia e alla loro confidenza. E ammettendovi
con Lui le donne, la caricatura e l'imitazione maldestra e maligna
di ciò che vi è di più sacro nell'Umano. L'odio per il Dio Anome
deve venire prima di ogni altra emozione, ma subito dopo – gelido e
incrollabile – deve venire l'odio per le femmine. Il corpo maschile,
debole e imperfetto, le cerca e le desidera. Bisogna saper fare di
tale immondo desiderio uno strumento di potere e di possesso.
Le donne sono proprietà degli Amanti. Una volta possedute e
fecondate dai prediletti del Dio Anome possono esserlo dagli
uomini, che non possono né debbono dimenticare che esse sono
parte del Nemico. Perché a Lui appartengono.
Così ripetono i Padri, assolvendolo dalla colpevole sensazione
di lascivia che la vista delle donne risveglia in lui.
Dalla piccola finestra della sua cella gli capita talvolta di
vederle. Passano lungo la strada di corsa quando suona la sirena
per l'acqua. Ridono tra loro, qualche volta, scuotono i capelli,
mostrano volti sorridenti, occhi scintillanti, piedi veloci. Si
spingono, si accarezzano i fianchi, si sfiorano i seni nascosti sotto
i corpetti rigidi e scomodi. Quasi impossibile per i molti che le
guardano passare, non provare il desiderio morboso di
accarezzarle, togliere loro gli abiti pesanti e sgraziati che le
nascondono. Baciarle, sapere finalmente che quei sorrisi sono
rivolti a loro.
Adesso la sua finestra è vuota e scura. Riflette la luce
puntiforme della piccola lampada che è concessa a loro junex
per studiare il Libro dell'Odio, scritto da Padre Denzae Tweenn
già quasi vent'anni prima.
Ma lui non riesce a leggere. Pensa alle immagini femminili
contenute oltre la Porta e ai corpi delle ragazze – corpi bianchi,
morbidi, delicati – sfiorati, toccati, presi dagli Amanti. La sua
erezione, alla quale non vuole dare sfogo, è dolorosa e pulsa
desolata e solitaria come il suo cuore.

***

È il vento e un lungo brivido a svegliarla.


È sola. I tre Amanti sono scomparsi. O forse si sono nascosti.
Hanno camminato stretti intorno a lei senza toccarla o
parlarle. Per tutta il resto della mattina e per tutto il pomeriggio,
fino a sera.
L'hanno fatta sdraiare su una vecchia coperta, «ecco, questo è
il momento», ha pensato Ada chiudendo gli occhi. Ma non ha
sentito il freddo del ventre scoperto né l'alito del loro respiro sul
volto.
«Riposa, ora» hanno mormorato, non avrebbe saputo dire
quale di loro.
Si alza a sedere e solleva lo sguardo al cielo. Il vento ha
spazzato le nubi e nel cielo brillano nitide e lontane le stelle. Il
fantasma della luce del giorno esita ancora a Occidente ma gli
uccelli tacciono in attesa la luna. Rovescia indietro il capo alla
ricerca della Selva degli Amanti, come sempre immobile allo
zenit, confusa e inafferrabile come una fotografia sfocata, ma il
cielo è vuoto e sgombro.
Chiude le palpebre e le riapre, incredula. L'oggetto celeste è
sempre stato nella stessa posizione da quando lei riesce a
ricordare. È nata nei Quartieri Esterni, dove vivono gli ordinari
come lei e i suoi genitori e i genitori delle altre ragazze destinate
agli invasori, a poca distanza dal Palazzo dei Padri ed entro i
confini dell'Arca. Non si è mai allontanata da li. Fuori ci sono gli
spettri, le terre avvelenate e le rovine affondate nell'acqua. Un
mondo inospitale, freddo d'estate e gelido d'inverno. Guarda e
guarda ancora. Cerca la Selva in ogni angolo del cielo, inquieta. È
come se fosse scomparsa la luna o il Palazzo dei Padri. Non ha il
coraggio di alzarsi né di muoversi. Gli Amanti l'hanno
abbandonata e il silenzio è diventato qualcosa di tangibile e
innaturale. È colpevole, indegna di loro e dei loro corpi freddi e
rigidi, del loro amore oscuro, muto e singhiozzante. Sente un
terribile vuoto in petto: hanno ragione i Padri che non perdono
mai tempo né sprecano parole con loro, le donne. Mentre
l'oscurità conquista lo spazio intorno a lei avverte leggeri
movimenti e intuisce, più che vedere, l'oscillare di minuscole luci
gialle che gradualmente si avvicinano. È circondata da un vasto
cerchio di alberi alti e il suo abito, decorato di fettucce colorate,
nella luce di cenere del crepuscolo è diventato grigio e
stropicciato. Non ha il coraggio di parlare né di gridare aiuto,
nemmeno quando i primi spettri appaiono tra i tronchi oscuri
degli alberi. Camminano verso Ada che li guarda, atterrita: sono
lenti, feroci, superbi.

***
La luce verde si accende oltre il piccolo diaframma di
materiale plastico graffiato e opaco. Sulla plastica c'è una vecchia
scritta stampata: MadTosh Co. che nessuno nell'Arca sa che cosa
significhi. La stessa scritta, formata da caratteri con la medesima
curiosa forma (una «M» molto stretta e con le cuspidi molto
acute e la «T» di Tosh con le braccia tanto lunghe da tagliare le
cuspidi della M) compare accanto alla porta del Palazzo dei
Padri.
– Avanti, vai – dice qualcuno dietro di lei.
Il piccolo bagno è giù stato usato almeno da una trentina di
altre ragazze. Non c'è più acqua calda e la tazza è sporca.
Qualcuno ha lasciato una salvietta appallottolata sporca di
sangue mestruale nell'angolo dietro la porta. Male, i portinai
sono superstiziosi e dimostrano un orrore invincibile – misto a
un'attrazione cieca e balbettante – per tutto ciò che riguarda il
corpo femminile. Dovrebbe denunciare l'incidente ma
rischierebbe di essere la prima delle sospette. Ma se nessuno
denuncerà la presenza di quell'orrore a essere punite saranno
tutte le ragazze che hanno usato il bagno quella mattina. Cora
impreca a voce bassissima. Ha un paio di minuti per potersi
lavare e ha già sprecato diversi secondi cercando una soluzione
al problema creato da una cretina. «Se fossi Ada, che cosa farei?», si
chiede. Si stringe nelle spalle: Ada era tanto stimata da non
rischiare nulla. Ma lei, Cora, è una senza infamia e senza lode,
una qualunque che non è affatto certo che un giorno gli Amanti
vorranno. Con un'ispirazione improvvisa afferra la salvietta
sporca, sale in piedi sulla tazza e la fa passare tra le pale della
piccola elica sistemata all'inizio del condotto che, probabilmente,
un tempo serviva ad areare il locale ma che ora non funziona più
da chissà quanto tempo.
Scende e dà un'occhiata. Allunga il collo: per vedere la
salvietta sporca bisogna salire sulla tazza e guardare bene. Poco
probabile che una custode o un portinaio abbiano occasione o
voglia di farlo.
– Allora, hai finito? – grida qualcuno fuori dalla porta. Cora
bestemmia ad alta voce, orina e si bagna appena il viso e le mani.
Dovrà aspettare fino al mattino dopo per riuscire a usare di
nuovo il bagno.

***

Essere ricevuti da uno dei Padri il più delle volte non è un onore
ma una responsabilità gravosa, una frattura nella vita di tutti i
giorni che rischia di non essere più ricomposta.
Junex Taggart è seduto sulla bassa panca davanti alla Porta dal
primo turno mattutino. Ha ricevuto la convocazione per il
colloquio la sera precedente e ha dormito sonni tormentosi e
inquieti. Ai visi immobili e grigiastri dei Padri che si rifiutavano
di rispondere alla sue domande si sostituivano troppo spesso le
ombre lascive dalla pelle color dell'ambra illuminata dal fuoco
delle ragazze del Quartiere. Sogni bagnati i suoi, ha scoperto al
mattino, e ha cercato affannosamente di nascondere la vergogna
che gli impediva anche soltanto di guardare i suoi compagni, gli
altri junex.
La sua attesa è via via scolorita a un senso di allarme che gli
morde lo stomaco e un'ansia che, non appena si impadronisce
dei suoi pensieri, lo fa profusamente sudare e gli rende possibile
rispondere ai cenni di saluto di chi passa per il lunghissimo
corridoio soltanto con uno scatto secco da giocattolo o da insetto.
Mentre attende che la piccola luce posta accanto alla porta passi
dal giallo al verde si rende conto che anche l'ansia l'ha ormai
abbandonato e che ora si sente svuotato e incredibilmente stanco.
Dev'essere la tattica preferita dai Padri per incontrare loro, i
giovani. Smorzare la loro naturale irruenza, farli sentire deboli,
vinti ancor prima che l'incontro abbia inizio.
La piccola luce è ancora gialla.
Non può essere sicuro di nulla, nemmeno che il Padre gli
aprirà e lo riceverà davvero. O che abbia qualcosa da chiedergli o
da dirgli. Forse, semplicemente, vuole misurare la sua umiltà,
quanto lui – Junex Taggart – è disponibile a dimenticare se stesso
per un Bene più grande.
Bene, se questa è la prova riuscirà a superarla.
Per quanto si senta stanco e il suo stomaco, vuoto dalla sera
precedente, gli lanci sempre più spesso segnali di sofferenza.
Nel corridoio non passa quasi più nessuno. Sono tutti nella
grande «Sala Mensa», come recita la scritta azzurra alla fine della
scala che conduce nei sotterranei. Una scritta di prima del
Passaggio, tracciata con i caratteri squadrati ed eleganti della
gente di prima.
Fortunatamente il profumo del cibo non arriva fin lì.

***
– Da dove arrivano?
Le altre ragazze sono ancora fuori, forse a giocare. Nella
baracca la luce dell'ultima pomeriggio è grigia e nera e loro due
sono nell'angolo più scuro.
Agnés scuote il capo e fa scorrere con un dito una foto sopra
l'altra.
Le cosce di una ragazza e quelle più scure e pelose di un
ragazzo, probabilmente uno Junex. Le gambe di lei sono aperte e
spiccano candide sulla coperta color tabacco, lui è sopra con le
cosce serrate. Ha natiche magre e nervose e mani sottili e lunghe
che tiene aperte accanto al busto di lei. Il corpo del ragazzo la
nasconde quasi completamente e, come sempre in quelle foto, le
polaroi, i volti e le teste sono fuori dall'inquadratura.
– Già, da dove arrivano, lo sai? – ripete Agnès, come se la
prima domanda non sono stata nemmeno pronunciata. Non
guarda verso di lei ma non riesce nemmeno a staccare lo sguardo
dalle immagini. Ha il respiro corto e tiene la voce bassa: – No,
non lo sai come non so lo io. Semplice. Noi siamo soltanto... bah,
non importa. – La fissa: –Allora, Cora. Chi siamo noi?
Si stringe nelle spalle: – Non lo so. – Afferra le foto e le
raccoglie una ad una: – Le ho trovate rovesciate sul fondo di uno
dei cassetti di Ada. Chiuse dentro una busta con la scritta : «Foto
sparse». Ma sarei pronta a giurare che ognuno dei nostri cassetti
contiene le stesse... le stesse «cartoline». – Si interrompe e ripesca
una foto delle gruppo: – Guarda questa. .. guardala bene. – dice
mostrandola .
– Ma che... stai scherzando?
Cora annuisce e muove la foto: – Infatti! Dai, dì, dì!
Agnés inizia un sorriso divertito ma non lo conclude: – È una
porcheria, ecco cos'è. Tipo uno spettacolino per junex un po'...
insomma ...
– Giusto. E questo?
– La pianti?
– No, – insiste – ti prego, dai.
– Che cosa vuoi che ti racconta? È troppo magrolina, troppo
pallida... – Si interrompe improvvisamente... – No, aspetta in
attimo... – Agnés scuote la testa e parla lentamente . – Aspetta,
aspetta. .. Non c'era. ..
– No, è molto semplice. Le abbiamo già viste tutte, è tutto qui.
Le abbiamo già viste. Tutte. E non possiamo cancellarle. Né
ricordarle ... Né dimenticarle .. .
***

Annusa profondamente l'aria ancora fredda del primo


mattino. Non si sente bene, come è ormai divenuto normale per
lui.
È da molto tempo che non si sente più bene al mattino e
trascinare la giornata fino alla sera è un incubo , lento e
interminabile.
Nel Palazzo dei Padri c'è ancora poco movimento. Un paio di
junex stanno spingendo fuori da una porta un carretto di
immondizia. Respirano in silenzio e si scambiano poche parole.
Dalla sua posizione non è possibile carpire le loro frasi.
Parleranno di nulla, come capita sempre alla loro età? O delle
loro posizione nel gruppo, schierando se stessi da una parte e
tutti gli altri dall'altra? O di sesso? Capita spesso di parlare di
sesso a quell'età, un'abitudine che alla sua età è divenuta
nascosta, vergognosa. Tengono la testa bassa e si parlano
inclinando il capo accanto all'orecchio del compagno. Forse
sorridono. O sogghignano. Scuote il capo. Fosse uno dei Padri si
sarebbe già fatto sentire, avrebbe alzato la voce e minacciato. Ma
non è uno di loro e non ha voglia di farsi maledire. Sarebbe felice
di poterli udire. Poter partecipare alla loro possibile e breve
parentesi, immaginando e desiderando ciò che le ragazze
nascondono.
Ha due o forse tre figli. Non saprebbe dirlo nemmeno lui. Le
donne chiudono le porte dei loro quartieri quando diventano
pregne. D'altro canto come potrebbe distinguere i suoi figli?
Loro, i senex, non possono scegliere come non possono scegliere
le donne. Una mezz'ora alla settimana, un incontro frettoloso e
anonimo. La donna con il volto coperto che alza la gonna e si
sdraia sul letto. Penetrare dove sono già penetrati gli Amanti e
sbrigarsi rapidamente, senza poter toccare né ancor meno
abbracciare la sua partner. Col tempo ha gradualmente rarefatto
gli incontri fino a rinunciarvi completamente, nonostante i
brontolii dei Padri. Il sesso è diventato qualcosa di assurdo e
insopportabile per molti di loro, un obbligo penoso desiderato a
lungo e consumato in un attimo di assenza subito dimenticata.
Soltanto i giovani hanno ancora desiderio – vago e nebuloso –
ma anche per loro non resterà nulla, anzi meno di nulla.
I due giovani si sono allontanati. Un dolore sottile, ancora
vago e incerto, si fa sentire al lato sinistro del petto. Lo accarezza
dolcemente, in attesa di un segnale, un dolore, una fitta. Se ne va
come è venuto, lasciandogli addosso soltanto una vertiginosa
sensazione di vuoto.
E gli Amanti? Per quanto tempo ancora dovranno continuare a
fingere che provino desiderio per le loro donne? La Selva è
immobile nel cielo, oscura e silenziosa come sempre. Senex
Bernar abbassa lo sguardo e fissa un punto di una pozzanghera
dove un frammento del palazzo si riflette, più scuro e
inafferrabile. Prova per un istante il desiderio di lanciarsi ma non
lo fa. Il resto della sua giornata, immobile, lo attende.

***

È entrato.
– È permesso? Posso entrare? – chiede. Silenzio.
Incerto tra il dubbio e il timore procede lentamente,
appoggiando un piede dietro l'altro. La stanza è vuota, ben
illuminata dalla grande finestra alle spalle delle scrivania e con il
fuoco nel caminetto sonnacchioso e pigro. Ovunque libri, carte,
opuscoli, frammenti. Taggart guarda senza vedere, combattuto
tra il desiderio bruciante di entrare e la paura profonda di essere
sorpreso e scacciato tra gli spettri. Afferra frammenti di
immagine – disegni, immagini, schemi – senza riuscire a
riconoscerli e ricordarli, mentre con la voce continua come un
demente a compitare: «maestro ... maestro».
La stanza è grande e altre due porte si aprono sul fondo, una
di seguito e una di fianco. Il maestro deve trovarsi oltre una delle
porte, una socchiusa e l'altra ben serrata.
– Maestro, sono lo Junex Taggart! – ripete ad alta voce.
Silenzio.
Più lontano, quasi inafferrabile, il suono costante e vago che
proviene degli altri piani, che soltanto i suoi sensi sovralimentati
gli permettono di afferrare. Potrebbe essere reale o essere
soltanto un sogno o un'illusione o, forse, il ricordo ormai perduto
della gente che tanti e tanti prima viveva e lavorava in quel
palazzo.
Non ripete più il suo messaggio e spinge la porta.
Vede due cose insieme. Il maestro, riverso a terra, con l'abito
alzato sino al ventre pallido e canuto e un grande armadio
semiaperto dove è appeso una lunga serie di grandi abiti scuri.
Lo junex si immobilizza incapace di capire. Senza pensare
avanza fino all'armadio e afferra uno degli abiti per una manica.
L'abito oscilla lentamente, con una gravità assorta. Li ha sempre
visti sempre e soltanto da lontano ma non può sbagliarsi: è uno
degli abiti degli Amanti. Si volta verso il maestro quasi volesse
illudersi che il suo sia soltanto un sonno temporaneo, una breve
assenza dalla quale ritornerà presto. Vorrebbe chiedere, capire.
Trovare una spiegazione pulita e normale a tutti i dubbi che
improvvisamente gli affollano la mente. «Se loro sono gli
Amanti ... » tutti i suoi pensieri partono da li e vanno in ogni
direzione. «Loro sono gli invasori» oppure «Loro sono i successori
degli invasori» o anche, «Sono loro i sostituti degli Amanti»... Certo,
tutto è possibile e ragionevole, se non fosse che per i Padri gli
Amanti sono il Nemico, coloro contro i quali ogni giorno
scagliano le loro maledizioni.
Dà un'altra scossa all'abito per vederlo oscillare ancora come
un grande pesce preso all'amo. Vorrebbe non essere mai entrato
lì dentro. Si guarda intorno. Per terra, accanto al corpo del
maestro ci sono piccole foto dal margine più alto in basso. Si
china e ne afferra una. Una donna, una ragazza nuda sdraiata su
un letto con le gambe aperte, il capo tagliato fuori dall'immagine.
Le altre immagini sono sullo stesso tema. Una rassegna
monocolore di nudi uguali, tristi e vuoti come ricordi di nessuno.
Li guarda uno dopo l'altro cercando stupidamente di
riconoscerle, mentre il maestro giace silenzioso, con un sorriso
vuoto che ride del suo smarrimento. Ci sono altre scatole, lì
intorno. Contengono altre immagini molto simili. Nessuna di
essa permette di riconoscere il soggetto della foto. Tante,
interminabili polaroid di corpi femminili nudi e anonimi.
Scaglia il pacchetto di foto lontano e si alza in piedi, la testa
che rimbomba per l'improvviso salto di pressione. Nessun
rumore. Esce dalla stanza e ritorna allo studio. Non può
chiamare aiuto né cancellare quell'ultima mezz'ora trascorsa lì
dentro. Esce di corsa. Nel corridoio non c'è nessuno. Fugge, più
veloce che può, verso i quartieri degli junex.

***

– Un altro. Ha fatto la prova.


– Taggart, lo so. Dov'è?
– A tremare, immagino. – sogghigna – È ritornato ai quartieri
degli junex.
Il senex e il Padre sono immobili, seduti nella penombra di
uno studio illuminato dal caminetto acceso.
– Quanto tempo... ? – chiede il senex.
Il Padre si stringe nelle spalle: – In genere entro una settimana
capiscono. Si rendono conto che la Selva è soltanto una
proiezione, che gli Amanti siamo noi, che… beh, il resto lo sai.
Qualcuno, uno su cento o qualcosa del genere, si ribella e
comincia a raccontare a tutti... Non gli crede nessuno, per
fortuna. Il Padre morto si rivela ben vivo. Il ribelle entro pochi
giorni scompare. Gli altri si adattano. Passano alcune notti
d'inferno, poi vengono qui, da noi. Capiscono, per dirla tutta.
– Lo so bene, ormai. Ho sempre avuto la curiosità di sapere se.
.. Ci sono stati altri casi?
Il Padre storce la bocca. – Pochi. Qualche suicidio. Malattie
mentali destinate alla confusione e all'angoscia e, infine, alla
completa demenza. Vent'anni fa o giù di lì uno junex riuscì in
apparenza a non reagire in alcun modo. Ma fu una semplice
impressione. Fuggì. Probabilmente presso gli Spettri, o chissà
dove.
Il senex annuisce. Conosce bene la storia e sa quanta
sconosciuta e insondabile paura può nascere da quell'incontro.
La paura è l'unica cosa che tiene insieme la loro comunità, lo sa
da tempo.
Il Padre allunga le gambe e ruota i pollici fingendo di
fischiare. È un atteggiamento molto liberale per uno di loro. – Le
ragazze sanno che non possiamo perdonare il loro sesso, anche
se non possono ricordarlo. I maschi, gli junex, lo scoprono
gradualmente. Tutti coloro che vivono qui non possono né
vogliono più allontanarsi. Rimangono per sempre tra queste
mura, per costruire insieme il nuovo mondo. – Si interrompe e lo
ripete: – Il Nuovo Mondo.
Il senex annuisce con espressione educatamente compunta. Il
Nuovo Mondo è nulla, basato sull'insondabile, interminabile
rancore tra i due sessi. Al vertice del loro mondo i Padri, i
superstiti – così si dice e si ripete – del Vecchio Modo di vivere,
pronti a guidarli in un mondo freddo e complesso, dove gli
Amanti dominano silenziosamente la realtà. Gli Amanti. Il sogno
d'amore incompreso e misterioso. Che i Padri incarnano con gioia
colpevole fino a quando non abbandonano una ragazza al mondo
degli spettri. O la eliminano, senza pietà.
Chi sarà la prossima? Ci sono ancora giorni e giorni per
sceglierla.
Il Padre continua a fingere di fischiare, beato e soddisfatto come
uno junex che ha appena preso una nota di merito. Potrebbe
sparargli. O strangolarlo. Basterebbe scivolare alle sue spalle e fare
scorrere le mani intorno al collo. Un minuto o due e finalmente il
Padre sarebbe davvero, definitivamente morto.
Scuote la testa. Sente un dolore ancora impreciso e incerto nel
petto. Potrebbe farsi visitare, invocare una cura. Ma i Padri non
hanno bisogno di senex malati e stanchi. E la vita media è diminuita
in quegli ultimi anni, lo sa bene. Non resta che attendere. E rubare
ancora qualche altra polaroid tra quelle che i Padri fanno scattare
alle ragazze. Smarrirla nei quartieri delle donne. Fino a quando,
finalmente, non cominceranno a capire.

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