You are on page 1of 3

9/25/2017 L’altro D’Azeglio: gesuita contro l’Unità

(/)

ANNIVERSARIO. L’altro D’Azeglio: gesuita contro l’Unità


Filippo Rizzi venerdì 21 settembre 2012

Condannato all’oblio per le sue posizioni anti-risorgimentali e rimosso per molti anni dalla storiografia u iciale per aver difeso a
oltranza il magistero di Pio IX (prima e dopo l’Unità d’Italia), ma soprattutto per essere stato il principale «martello delle concezioni
liberali» – secondo una felice definizione di Antonio Messineo. È la storia ma anche l’avventura umana, controversa e avvincente,
del gesuita Luigi (al secolo Prospero) Taparelli D’Azeglio (1793-1862), direttore e co-fondatore assieme a Carlo Maria Curci de La
Civiltà Cattolica; un cognome ingombrante nella storia del Risorgimento e della nobiltà piemontese, perché sarà l’unico dei
D’Azeglio (i fratelli Massimo e Roberto saranno senatori del Regno d’Italia) a contrapporsi con vivaci dibattiti pubblici, libelli, saggi
alla causa nazionale e a simpatizzare solo per un breve periodo della sua vita per il movimento neoguelfo teorizzato da Vincenzo
Gioberti. Ora, a 150 anni dalla morte – che ricorrono esattamente oggi – questo gesuita figlio del suo tempo, imbevuto delle letture
di Joseph De Maistre, profondo assertore dell’assolutismo cattolico e dell’Ancien Regime, rimane vivo per l’attualità del pensiero di
filosofo, giurista e polemista agguerrito («la penna più acuta della Civiltà Cattolica») e anche per le idee realizzate. A lui si deve per
esempio il ritorno nelle università ecclesiastiche dello studio del tomismo e della scolastica (per anni sarà rettore del prestigioso
Collegio Romano, la futura Gregoriana); sempre a lui si deve nel 1843 la pubblicazione di un testo fondamentale, il Saggio teoretico
di diritto naturale appoggiato sul fatto, che farà epoca nel suo tempo e verrà ancora additato da papa Pio XI come libro da
comodino, quasi di culto, raccomandato dal Pontefice brianzolo ai giovani universitari assieme alle opere di Manzoni e di san
Tommaso d’Aquino. Non è forse un caso che, secondo molti studiosi, l’insegnamento di padre Taparelli D’Azeglio come i suoi saggi
filosofici abbiano influenzato, anni dopo, la stesura delle encicliche Aeterni Patris e Rerum novarum di Leone XIII; il termine di
«giustizia sociale» fu infatti coniato per primo dall’austero gesuita torinese, che per la modernità del suo pensiero nel campo del
diritto è stato considerato pure, sul finire degli anni Venti, un «precursore della Società delle Nazioni». Senza omettere di accennare
a una sua invenzione (brevettata nel 1854 e sostenuta economicamente dal fratello, il futuro statista piemontese Massimo
D’Azeglio) nel campo musicale: il violincembalo, uno strumento che – strano a immaginarsi – riscosse le lodi del grande Franz Liszt.
Sarà però la questione del Risorgimento a dividere in fazioni avverse e a incendiare gli animi e a rappresentare – come ha ben
scritto lo storico gesuita Pietro Pirri – una «causa di famiglia»: sacerdoti della "reazionaria" Compagnia di Gesù, negli stessi anni di
D’Azeglio, erano – solo per citare i casi più famosi – Francesco Pellico (fratello di Silvio), Giuseppe Bixio (fratello di Nino) e Luigi
Ricasoli (cugino di Bettino)... Le battaglie polemiche di Taparelli si diressero prima dei fatidici moti del 1848 a duri confronti sul
tema spinoso del liberalismo, della questione nazionale ma anche della religione con grandi personalità del suo tempo: Antonio
Rosmini, il cugino Cesare Balbo e non da ultimo il grande Vincenzo Gioberti; la polemica più dura e accesa sarà quella combattuta
con quest’ultimo, autore tra l’altro di un libro molto critico verso l’amato Ordine e il suo reale potere in Italia: Il Gesuita moderno. A
padre Taparelli, comunque, non mancherà mai la stima e l’onore delle armi del grande filosofo e abate piemontese, che lo definirà
«una delle menti più acute d’Italia». Ma è soprattutto con la sua famiglia di origine che padre Luigi ebbe e in un certo senso coltivò
gli scontri più duri (sia in forma pubblica che privata), seguiti a volte da fraterne riappacificazioni, in particolare con i fratelli
Massimo e Roberto; la loro a ettuosa unione non verrà mai meno, come dimostrano ancora oggi le belle pagine che Massimo
dedica al suo «gesuita» nei Miei ricordi e i loro carteggi. A scatenare la prima frizione in famiglia sarà nel 1846 la dura condanna da
parte di Luigi di un opuscolo a firma di Massimo, Gli ultimi casi di Romagna, inneggiante all’insurrezione contro il potere costituito;
ma ad accentuare le di erenze di vedute politiche nei fratelli D’Azeglio verrà, l’anno dopo, la pubblicazione da parte del gesuita
dello scritto «Nazionalità», letto e interpretato come un atto di compiacenza e di legittimazione alla presenza straniera dell’Austria
sul suolo della Penisola. Amaro sarà il commento di Massimo: «Il padre Taparelli me l’ha fatta grossa». Nello stesso anno 1847, i due
fratelli Massimo e Luigi si incontreranno a Roma e il futuro statista piemontese tenterà invano di avvicinare alla causa nazionale il
religioso, introducendolo nei circoli risorgimentali capitolini, allora animati dal bolognese Marco Minghetti. Strano ad immaginarsi,
https://www.avvenire.it/agora/pagine/altro-dazeglio-gesuita-contro-unita 1/3
9/25/2017 L’altro D’Azeglio: gesuita contro l’Unità

ma saranno invece i moti del 1848 ad avvicinare i tre fratelli D’Azeglio lungo una comune direttrice: padre Luigi si troverà assieme ai
confratelli gesuiti nel gennaio di quell’anno a Palermo a soccorrere e solidarizzare con gli insorti contro il potere borbonico. Un
entusiasmo che contagerà – anche se per pochi giorni – l’animo dell’austero figlio di sant’Ignazio: «Il Comitato ci ha dimostrato
gratitudine, e per la strada molta gente grida "Viva i Gesuiti". È la prima volta, io credo, che una rivoluzione comincia con questo
grido…». Ma la fondazione, per volere di Pio IX, a Napoli e poi a Roma della rivista della Compagnia La Civiltà Cattolica segnerà il
vero spartiacque tra i fratelli D’Azeglio. Dalle colonne del prestigioso quindicinale, di cui era diventato direttore, Taparelli si
scaglierà contro gli eccessi del liberalismo e non esiterà a condannare pubblicamente il fratello Massimo, allora presidente del
Consiglio del Regno di Sardegna, per aver sostenuto nel 1850 la promulgazione delle leggi Siccardi che abolivano il foro
ecclesiastico e procuravano la confisca dei beni ecclesiastici. Sono gli ultimi anni di vita di Taparelli D’Azeglio, ormai cieco, spesi per
difendere il papa Pio IX e a stigmatizzare le politiche anti-ecclesiastiche del Piemonte del conte di Cavour. A 150 anni dalla sua
morte viene spontaneo domandarsi se questo ra inato gesuita fu, a detta di molti storici come Pietro Pirri e Marcello Craveri, «un
vinto del Risorgimento», un «monumento anacronistico del suo tempo» o forse – come ha scritto Gabriele De Rosa – un uomo che
«accetta di umiliarsi» per «spirito di ubbidienza». La risposta si può ricavare forse ancora oggi nelle belle e intense parole di
Massimo alla notizia della morte del caro fratello, avvenuta a Roma il 21 settembre 1862: «Sono molto triste; perché, quantunque
gesuita lui e tutto l’opposto io, nonostante ebbimo sempre l’uno per l’altro grande simpatia fin da bambini: e da grandi ci siamo
voluti bene, mentre pure ognuno combatteva nel proprio partito, e faceva al partito contrario il peggio che poteva… Povero frate!
Certo che la sua vita non fu se non il continuo sagrifizio di sé stesso a ciò che egli credeva la verità e il dovere».
© RIPRODUZIONE RISERVATA

https://www.avvenire.it/agora/pagine/altro-dazeglio-gesuita-contro-unita 2/3
9/25/2017 L’altro D’Azeglio: gesuita contro l’Unità

https://www.avvenire.it/agora/pagine/altro-dazeglio-gesuita-contro-unita 3/3

You might also like