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Workshop

Le nuove relazioni internazionali


e l’azione dell’Italia nel mondo

Fondazione Farefuturo

Roma, 30 giugno 2008

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Il presente documento è stato prodotto dal Gruppo di Lavoro Fare Italia nel Mondo
ed è ad uso interno per il Workshop del 30 giugno. È diviso in 2 sezioni.

a. L’agenda della discussione con alcuni temi attorno ai quali ruoterà il dibattito
b. Spunti per il dibattito con alcune posizioni sviluppate dal Gruppo di Lavoro

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a. Temi per la discussione

o In un contesto internazionale in profondo mutamento, come cambiano i principali


riferimenti della politica estera italiana? Come armonizzare gli impegni nella UE, quelli
nella NATO e le possibili azioni dirette dell’Italia ? Come riuscire a conciliare
multilateralismo e interessi nazionali ?

o L’architettura istituzionale italiana che regola e gestisce la partecipazione statuale italiana


alle relazioni internazionali è adeguata alle esigenze attuali o necessita di riforme ? Dove
deve essere inserita la governance delle relazioni economiche internazionali? E’ ottimale
la situazione attuale (con l’inserimento solo di alcuni ambiti economici internazionali
all’interno del Ministero dello Sviluppo Economico), o esse dovrebbero essere incluse tra le
attività del Ministero degli Affari Esteri? Sarebbe utile immaginare la creazione di un
apposito dicastero?

o Come vanno correttamente impostate le relazioni bilaterali tra Italia e Stati Uniti
d’America ? Su cosa basare la nostra partnership con il Paese più influente del pianeta ?
Quali cambiamenti ci potranno essere in tali relazioni dopo le elezioni del 4 novembre?

o Come influiranno le difficoltà incontrate dall’Unione Europea, tanto nel processo di


allargamento quanto in quello di sviluppo delle istituzioni comuni, sulla politica estera
dell’Italia ? Quale può essere una proposta italiana per superare la crisi di Europeismo
esistente in Europa e in Italia1? Quale il ruolo della UE nel favorire l’apertura dei mercati
internazionali nel contesto delle trattative del Doha Round?

o Come aggiornare la politica estera Mediterranea dell’Italia alla luce del perdurare delle
crisi mediorientali (Libano, Palestina, Iraq, Iran) e dell’iniziativa francese dell’Unione
Mediterranea?

o Come è possibile rilanciare la cooperazione allo sviluppo facendone uno strumento più
assertivo della politica estera italiana e come trasformarla in un volano di sviluppo
economico e di promozione per le aziende italiane ?

o La presenza militare italiana nel mondo si è stabilizzata a livelli molto elevati da diversi
anni a questa parte. Quale politica delle missioni militari all’estero va sviluppata? In quali
contesti inviare nostri soldati e in quali no ? Per raggiungere quali obiettivi politici?

o Il prossimo decennio sarà sempre più egemonizzato dalle questioni energetiche (così come
gli anni della guerra fredda erano caratterizzata dalla divisione ideologica del mondo, gli
anni novanta da quella della globalizzazione economica e gli anni 2000 dalle questioni della
sicurezza). Quali sono i problemi chiave per la sicurezza energetica dell’Italia? Quali
strategie seguire in questo campo ? La sicurezza energetica può essere raggiunta con il
ricorso ad un mix di fonti che comprenda anche le centrali termonucleari? Il nucleare può
essere uno strumento di affrancamento della nostra politica estera da condizionamenti

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Secondo gli ultimi dati dell’Eurobarometro del 24 giugno 2008 solo il 39% degli italiani ritiene un vantaggio
l’appartenenza all’Unione Europea.

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geopolitici? L’uso degli OGM per la produzione di biocarburanti può essere una via
percorribile ?

o Quale eredità lascia la globalizzazione sulle relazioni internazionali? Ci stiamo avviando


verso una fase di recupero di sovranità da parte degli stati nazionali ? L’esportazione della
democrazia è un principio da perseguire per raggiungere più stabili equilibri internazionali o
la stabilità è invece legata alla non ingerenza negli affari interni? Come conciliare
promozione dei diritti dell’uomo e stabilità internazionale ? In che modo tentare nel nuovo
decennio quella governance economica dei processi di globalizzazione che non è riuscita
negli anni novanta ?

o Quali collegamenti esistono tra interessi economici dell’Italia e politica estera ? Possono
la politica estera e quella di sicurezza produrre dividendi per accrescere la prosperità
economica dell’Italia ?

o Qual è il ruolo dell’industria della difesa italiana e quale quello del sistema bancario nel
contesto della politica estera italiana ?

o Nei prossimi anni ci sarà un crescere delle questioni internazionali legate alla sicurezza
alimentare. Quale dovrebbe essere la posizione dell’Italia in questo campo ?

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b. Spunti per la discussione :

o Il contesto della politica estera italiana sta mutando profondamente. L’Italia deve
attrezzarsi per un periodo medio lungo a svolgere una politica estera maggiormente
basata, pur in una fase di aumento della scarsità delle risorse, sulla propria diretta
azione internazionale e non unicamente sul perseguimento di dividendi ottenibili da
semplici scelte di campo e di appartenenza quali la UE e la NATO. Tali dimensioni pur
costituendo i nostri principali riferimenti internazionali multilaterali, devono essere
affiancati da un’attenta e selettiva “mappatura” e “prioritarizzazione” dei rapporti
bilaterali da privilegiare (anche all’interno dell’Unione Europea) e delle aree geopolitiche
di massimo interesse per il nostro Paese. Il contributo che l’Italia potrà portare alla UE e
alla NATO sarà tanto maggiore quanto più il nostro Paese, al pari degli altri paesi della
grande famiglia euro-atlantica, sarà capace di sviluppare una propria politica estera
nazionale da portare in dote ai propri alleati europei ed americani.

o In un panorama di profondo mutamento delle relazioni internazionali, di ridefinizione delle


regole del gioco internazionale, di ridistribuzione della potenza su scala planetaria, di
emergenza di nuovi poli di influenza esterni al sistema europeo ed atlantico, di
rallentamento della spinta europeista e di riconfigurazione nell’impiego degli strumenti
dell’Alleanza Atlantica, l’Italia dovrà affrontare i mutanti scenari internazionali – nelle more
della stabilizzazione di più chiari scenari – con un atteggiamento di continuità pragmatica:
continuare a credere nei tradizionali pilastri della nostra politica internazionale (europeismo,
atlantismo, americanismo, politica mediterranea) consapevoli però che questi ancoraggi da
soli hanno sempre meno la capacità di garantire – con la nostra semplice appartenenza – la
sicurezza del nostro Paese, il suo sviluppo e la sua prosperità economica. All’interno della
cornice di queste alleanze l’Italia deve avere il coraggio di tentare nuove vie, anche
autonomamente o sviluppando alleanze sui generis su specifici scenari sub-regionali
(Balcani, Mediterraneo orientale, Africa), o impegnandosi in teatri lontani (Afghanistan) con
l’obiettivo di conquistare dividendi da spendere sui teatri principali. Ciò può essere
raggiunto attraverso una politica estera maggiormente consapevole dell’interesse nazionale e
attraverso il perseguimento di un multilateralismo strumentale e non ideologico,
quest’ultimo possibile solo in seguito ad una chiara definizione delle principali priorità
nazionali.

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o Il ruolo e l’azione dell’Italia nel mondo è la risultante di una serie di delicati compromessi
tra gli elementi strutturali del nostro Paese (capacità e risorse), elementi soggettivi
volontaristici (volontà di occupare un ruolo sulla scena internazionale, storia, tradizione),
vincoli geografici e geopolitici, tendenze e sviluppi della grammatica delle relazioni
internazionali. Inoltre non vanno dimenticati i fattori sistemici, ovverosia l’architettura
istituzionale italiana volta a sorreggere il peso dello sforzo internazionalistico del
nostro Paese. Tale architettura deve riuscire a conciliare e valorizzare i tre principali ambiti
delle relazioni internazionali, quello economico, quello della sicurezza e quello della politica
estera. Solo un’architettura istituzionale integrata ed efficiente consentirà di raccogliere i
dividendi che la politica estera di una media potenza in declino può ancora produrre. Per
massimizzare tali dividendi è necessario puntare all’ “efficientamento” delle strutture
statuali, sviluppando una rinnovata architettura istituzionale che dovrebbe puntare ad
integrare, attraverso una politica estera sempre più nazionale e multidisciplinare (che diventa
una politica delle relazioni internazionali), le due componenti che hanno maggiormente
contribuito a determinare il corso delle relazioni internazionali negli ultimi venti anni: la
dimensione economica e quella della sicurezza.
Sul tema delle relazioni economiche internazionali potrebbe essere utile ripensare l’attuale
assetto in virtù di un maggiore accentramento decisionale in quanto il livello di promozione
e protezione della nostra economia nel mercato globale non è soddisfacente. Su questo
tema si confrontano tre diverse ipotesi, tutte miranti ad attribuire ad un unico soggetto
istituzionale le funzioni di governance nel campo dell’internazionalizzazione.
La prima vedrebbe l’inserimento all’interno dell’attuale Ministero dello Sviluppo
economico di quelle competenze relative all’internazionalizzazione economica ora sparse in
vari Ministeri (quali la promozione del turismo, quella dei flussi di investimenti esteri in
entrata e in uscita tra Italia e mondo, ecc.). Questa soluzione vedrebbe una prevalenza delle
tematiche di politica industriale su quelle commerciali.
La seconda ipotesi si basa su una convergenza di tutte le funzioni di governo
dell’internazionalizzazione verso il Ministero degli Affari esteri, che dovrebbe però
realizzare una sorta di rivoluzione copernicana nella sua natura e struttura per evitare che le
questioni politiche abbiano il sopravvento sulle necessità di promozione economica e
affinché personale diplomatico e personale commerciale possano integrarsi funzionalmente.
Infine, la terza ipotesi prevede la creazione di un unico Ministero per le Relazioni
Economiche internazionali (che comprenda non solo il Commercio internazionale ma la
governance di tutte le relazioni economiche strategiche internazionali, IDE, turismo,

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promozione commerciale, politica commerciale, politica industriale internazionale ecc). Ciò
consentirebbe di valorizzare le peculiarità del sistema Italia che cresce solo e soprattutto
all’estero.

Queste tre soluzioni, pur nelle loro diversità, offrono una risposta alla crescente e impellente
necessità di portare, per la prima volta, tutte le competenze dell’internazionalizzazione
economica in uno stesso ministero, in maniera da potere gestire in modo unico e
coordinato tanto le sfide della globalizzazione quanto i rischi di un declino industriale
dell’Italia. Ciò consentirebbe anche di semplificare il rapporto di coordinamento tra Stato e
Regioni. In questo modo l’Italia potrebbe esercitare, attraverso lo strumento economico e il
sostegno ai campioni nazionali, una più energica politica delle relazioni internazionali,
presupposto per tentare di invertire il declino del nostro paese migliorandone la postura
economica internazionale e tentando anche di risolvere mali interni, con esterni rimedi.

Funzionale a queste necessità restano le attività di pianificazione strategica a livello


interministeriale. Sicuramente buono è il lavoro fatto nella passata legislatura dal Gruppo
di Riflessione Strategica del Ministero degli Affari Esteri in spirito bipartizan. La
continuazione di tale esperienza dovrebbe essere opportunamente rafforzata con un’unità di
gestione strategica interministeriale delle crisi posta a livello di Presidenza del Consiglio.

o Il rapporto con gli Stati Uniti d’America – che non si riduce all’Alleanza Atlantica ma
che è anche sviluppato su un piano bilaterale – resta un fattore imprescindibile per la
politica estera italiana, indipendentemente dal governo in carica a Washington. Questo
rapporto è al tempo stesso il più grande asset di cui dispone la politica estera italiana ed il
suo più grande vincolo. L’attuale fase di fluidità delle relazioni internazionali consente di
conciliare il rapporto con il nostro principale alleato con una serie di altri scenari e vettori
anche temporaneamente e parzialmente discordanti con interessi non vitali di
Washington. Dal rapporto privilegiato con Washington possono derivare nicchie di
responsabilità geopolitica per l’Italia da sviluppare in funzione di nostri interessi
nazionali e in attuazione di linee di policy regionali o sub-regionali concordate con gli
Stati Uniti d’America. Un’area geopolitica per la quale l’Italia potrebbe ambire a rivestire
questo ruolo potrebbero essere i Balcani e l’Europa Sud Orientale, il Mediterraneo
orientale e alcune selezionate regioni dell’Africa.

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o Per quanto riguarda l’Unione Europea è importante per il nostro Paese sviluppare un
corretto approccio nei confronti dell’integrazione europea, che rappresenta un maestoso
scenario di collaborazione politica, economica ed istituzionale intergovernativo tra i paesi
dello spazio europeo. E’ con preoccupazione che l’Italia, paese fondatore e principale
promotore dell’integrazione europea, assiste alle difficoltà interne all’Unione (nel processo
di maturazione delle sue istituzioni) ed esterne verso il suo spazio ambito naturale di
allargamento (difficoltà di stabilizzazione dei Balcani occidentali in Bosnia Erzegovina,
Kosovo, Macedonia e Serbia, difficoltà al varo della missione Eulex). Due sono le principali
frontiere su cui il progetto di Unione Europea sta incontrando difficoltà: la prima,
attualizzata dal referendum irlandese ma insita già nei comportamenti di numerosi Stati nel
corso degli ultimi anni, è costituita dalla resistenza alle ulteriori cessioni di sovranità
richieste da Bruxelles e in particolare esemplificate nel tentativo di passare da un voto a
doppia maggioranza rispetto a quello all’unanimità. L’altra è rappresentata dalle resistenze
all’allargamento, in special modo verso i Paesi dei Balcani e alla Turchia, resistenze che
nel 2005 già produssero i “no” referendari di Francia e Olanda. Pur restando il
consolidamento e l’allargamento dell’Unione Europea uno dei cardini della politica estera
italiana, è verosimile che nel medio periodo dovremo ragionare di un Unione incompleta
sia quantitativamente che qualitativamente. L’Unione incontrerà crescenti difficoltà sia nel
perfezionamento degli ambiti interni ed interdomestici, sia negli ambiti più tipicamente
internazionalistici quali la cooperazione nel campo della politica estera e della difesa. La
spaccatura avvenuta nell’Unione in occasione del riconoscimento dell’indipendenza del
Kosovo rappresenta una profonda ferita politica, forse più grave di quella avvenuta nel 2003
nel caso della guerra in Iraq in quanto occorsa in un’area che l’Unione ha oramai quasi
enclavizzato nel corso del suo processo di allargamento ad Est. È importante che l’Italia
continui a scommettere sia sulle potenzialità del processo di integrazione europea che su
quello dell’allargamento, ma al tempo stesso è doveroso che sia consapevole del fatto che il
ruolo e il rango internazionale del nostro Paese sarà ancora a lungo funzione delle nostre
capacità o incapacità nazionali. Per quanto concerne le grandi questioni di politica
commerciale, le attuali trattative europee sul Doha round rischiano di essere un punto di
partenza deludente per gli interessi della nostra industria, che ha bisogno di una vera
apertura dei mercati internazionali, possibile solo se l’Europa accetta di fare dei sacrifici in
cambio di una reciprocità che porti all’apertura dei mercati dei paesi emergenti. In funzione
dell’attuale fase di crisi del multilateralismo, l’Unione Europea dovrebbe puntare a
sviluppare una strategia bilaterale (o multi-bilaterale) con partnership privilegiate quali

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quella USA – UE (partnership atlantica). Anche a livello finanziario l’Europa dovrebbe
giocare non solo in difesa ma anche all’attacco. Una politica comune europea va
sicuramente immaginata nel campo dei fondi sovrani, sviluppando anche l’opportunità che
l’Europa come tale potrebbe dotarsi di un fondo sovrano europeo.

o La dimensione mediterranea della politica estera italiana rappresenta un’importante


risorsa geopolitica le cui potenzialità sono state a lungo sacrificate dai numerosi fattori di
instabilità interna di molti Paesi della regione, dal conflitto israelo-palastinese, dalla
guerra al terrorismo e più in generale dal prevalere delle logiche della sicurezza su quella
dell’integrazione regionale. Per l’Italia è fondamentale sviluppare un approccio sub-
regionale all’area Mediterranea, evitando la trappola geopolitica di perseguire macro
progetti geopolitici del tipo Mediterraneo Allargato o addirittura Grande Medio Oriente.
Fondamentale per l’Italia è al contrario lo spezzettamento di questa enorme area di crisi
in tronconi separabili grazie ai quali sia possibile sviluppare politiche asimmetriche nel
bacino Mediterraneo. Particolare rilevanza strategica assume quel segmento del bacino
Mediterraneo compreso tra Egitto, Libano e Turchia, segmento che interseca la diagonale
di politica estera italiana che dai Balcani e dall’Egeo si muove verso il Golfo Persico e il
Mar Rosso mettendo in comunicazione il Mediterraneo con l’Oceano indiano.
Fondamentale è favorire la cooperazione intra-regionale tra piccoli blocchi di Paesi della
sponda Sud del Mediterraneo. In questo contesto l’Italia dovrebbe favorire un approccio
di cooperazione il più possibile sub-regionale e intergovernativo, evitando di proporre
modelli di integrazione sviluppati dall’Unione Europea incentrati sulla creazione di
strutture ed istituzioni sovra-nazionali su scala regionale. La creazione di una Banca di
Sviluppo Mediterranea per costruire, valutare e finanziare progetti trans-nazionali nei
settori strategici chiave (infrastrutture, energia, controllo dell’immigrazione clandestina)
può essere un utile strumento.
Infine, sarà importante per l’Italia approfondire il progetto e le prospettive dell’Unione
Mediterranea che il semestre di presidenza francese si accinge a varare, soprattutto
come possibile quadro mirante ad introdurre l’Europa nel negoziato di pace arabo-
israeliano, tenendo però sempre presente il grado di convenienza e di compartecipazione
dell’Italia in tale processo.

o Tali azioni a livello multilaterale andrebbero affiancate da un ritorno in grande stile della
Cooperazione allo sviluppo bilaterale italiana, ritorno corretto con opportuni

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cambiamenti rispetto al passato. In particolare va tenuto presente che la cooperazione è
sostanzialmente uno strumento di politica estera e in quanto tale va essenzialmente
vissuto come strumento bilaterale. Vanno assolutamente compiuti tutti gli sforzi necessari
per ribaltare lo squilibrio esistente nella ripartizione degli aiuti italiani tra canale
bilaterale e canale multilaterale (sia esso a livello UE o a livello Nazioni Unite).
Attualmente l’Italia destina oltre 4/5 dei suoi fondi al livello multilaterale contro una
media OCSE di circa 1/3 con grave nocumento sia per le imprese italiane che per la
visibilità nazionale della cooperazione italiana. Infine, in funzione degli stretti
collegamenti esistenti tra emigrazione e mancato sviluppo, andrebbero attentamente
studiate forme di incanalamento delle rimesse degli emigrati dirette ai Paesi in via di
sviluppo verso progetti di microcredito concordati a livello bilaterale con i Paesi di
origine dei flussi migratori (visto che il valore delle rimesse supera oramai di gran lunga
il valore totale degli aiuti per lo sviluppo mondiali).

o Il decennio che si sta per chiudere è stato caratterizzato per l’Italia dall’emergere sulla scena
delle relazioni internazionali della componente della sicurezza militare attiva, frutto del
confronto originato dagli attentati dell’undici settembre e della reazione militare americana
intrapresa, a torto o a ragione, in Iraq ed in Afghanistan. In questi anni le nostre Forze
Armate hanno sostenuto gran parte del peso della nuova tendenza delle relazioni
internazionali e la nostra presenza nei teatri iracheno ed afgano ha consentito all’Italia il
mantenimento di un ruolo internazionale che avremmo altrimenti perduto. Il peso della
politica estera italiana nel corso dell’ultimo decennio è stato in gran parte sostenuto dallo
strumento militare, ma l’estensione nel tempo e nello spazio dell’impiego all’estero di
contingenti numerosi di militari deve divenire oggetto di attente riflessioni. In particolare è
necessario constatare che:

È oramai consolidato il fatto che la tutela degli interessi nazionali italiani e degli obblighi
verso i nostri principali alleati all’estero possa essere perseguita anche attraverso l’uso dello
strumento militare. Tale utilizzo può essere realizzato autonomamente, inquadrato in
contesti politici internazionali e/o inserito in strutture militari integrate internazionali. Caso
per caso possono essere privilegiate coalitions of the willing a guida nazionale stile “Alba”,
partecipazione a coalitions of the willing tipo Enduring Freedom, anche nella versione
“Nibbio”, missioni a guida NATO o UE. In altre parole, il potere politico deve poter
disporre di missioni militari all’estero full spectrum utilizzando i contingenti in tutte le

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gamme di operazioni possibili, dal “peace keeping” al “peace enforcing” alle missioni
“combat” a seconda dell’obiettivo politico da raggiungere.

Nonostante la possibilità di variare il framework politico-decisionale, resta inteso che lo


strumento militare internazionale integrativo per eccellenza per l’Italia dovrà continuare ad
essere visto nella NATO. Nella pianificazione delle missioni è fondamentale anche la
determinazione degli obiettivi per il disimpegno. Individuazione di chiari e realistici
obiettivi di disimpegno commisurati con le nostre capacità è necessaria fin dalla
pianificazione iniziale al fine di evitare missioni sine die o senza prospettiva temporale e
politica. In caso di disimpegno, è da evitare il ricorso a forme di esternalizzazione degli
impegni a contractors et similia come è stato fatto in Iraq. La missione finisce quando
rientrano i nostri soldati.

Pur nelle difficoltà sperimentate dal contesto delle Nazioni Unite nella applicazione dei
principi di diritto internazionale, resta una priorità di sicurezza per il nostro Paese il fatto che
le Nazioni Unite continuino a conservare un importante ruolo di legittimazione delle
missioni internazionali all’estero, in particolare per le missioni coalitions of the willing.
L’Italia dovrebbe essere estremamente prudente a partecipare a missioni militari all’estero
in assenza di copertura delle Nazioni Unite.

o Prestare massima attenzione agli scenari energetici e in particolare alla questione della
sicurezza energetica. Verosimilmente nel prossimo decennio le relazioni internazionali
saranno contraddistinte da un acuirsi delle tematiche energetiche, della sicurezza degli
approvvigionamenti e da possibili crisi nell’area mediorientale-euroasiatica legate allo
sfruttamento delle risorse di idrocarburi e al loro trasporto. È necessario comprendere da
subito che la politica energetica è anche politica estera e la politica estera è anche politica
energetica, e tutte e due producono la politica di sviluppo. Oltre a perseguire le opportune
strategie di riduzione della dipendenza dell’Italia da Russia e OPEC sarà fondamentale
lavorare sul piano interno dell’Unione Europea nel campo dell’integrazione energetica e
della politica degli approvvigionamenti. Pur con gradi diversi di autosufficienza, i 27 paesi
europei riescono in media a coprire meno del 40% del proprio consumo interno di energia,
dipendendo dall’estero, e in particolare dalla Russia, per la sostenibilità energetica.
Qualunque sia la strategia verrà perseguita per ridurre la dipendenza energetica del nostro
Paese, non sarà possibile trarne risultati se non in tempi medio-lunghi. In tale lasso di

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tempo è necessario operare per evitare la destabilizzazione dei nostri principali Paesi
fornitori, prioritarizzando la regolarità e la sicurezza delle forniture ad altri aspetti dei
rapporti bilaterali.

o I processi di globalizzazione che sono stati innescati negli anni ‘70 e ‘80 e che sono
culminati nelle politiche dell’ultimo decennio dello scorso secolo hanno sprigionato
un’enorme serie di forze che agiranno a lungo nella scena internazionale anche se non
sappiamo quali di esse prevarranno e dove il sistema troverà nuovi equilibri statici. Tuttavia,
è chiaro che le forze della globalizzazione sono inarrestabili, soprattutto perché si basano su
logiche che uniscono, al di là delle frontiere statuali, interessi di soggetti estremamente
diversi tra loro, che vanno dagli stati alle multinazionali, dalla grande finanza fino alle
masse diseredate dei Paesi in via di sviluppo. L’inevitabilità di tale processo non deve però
essere scambiata con la totale assenza di governabilità del fenomeno e soprattutto è vitale
per l’Italia contribuire a regolamentare e determinare i processi della globalizzazione, dando
tempo al sistema statale e sociale di adeguarsi ai tumultuosi cambiamenti. Tali azioni
possono essere intraprese su scala nazionale ed internazionale solo attraverso un processo di
rafforzamento delle strutture statuali e per mezzo di un’attenta politica di preservazione e
tutela della sovranità nel seno delle legittime strutture di rappresentanza, parlamento e
governo nazionale in particolare. Dal punto di vista economico e degli scambi commerciali
internazionali è importante evitare l’alternarsi di politiche di tipo ideologico, ora basate
sull’eccesso di mercatismo ora improntate ad un rigido protezionismo. Per l’Italia resta un
elemento strategico fondamentale la regolamentazione dei processi di globalizzazione
economica a tutela e vantaggio del nostro made in italy e del sistema industriale nazionale.
Nel campo degli scambi internazionali l’Italia, come importante Paese esportatore, deve
perseguire – favorendole all’interno del contesto europeo – politiche basate sui principi del
libero mercato, facendo però ben attenzione al fatto che non è sempre utile applicare con la
stessa ai mercati internazionali le regole vigenti nei mercati interni (liberalizzazione,
concorrenza, deregulation ecc.) ed occorre essere consapevoli che non è sempre una
contraddizione se il grado di libertà del domestic free trade è superiore a quello
dell’universal free trade. Ciò è coerente con il principio che nel campo delle relazioni
economiche internazionali non esiste una scelta ideologica da compiere una volta e per tutte,
ma può essere più utile continuare a sviluppare, come alcuni grandi Paesi hanno sempre
fatto e continuano a fare, un mix asimmetrico di politiche mercantiliste e liberoscambiste in
funzione della massimizzazione del proprio interesse nazionale e soprattutto della propria

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posizione industriale nel sistema-mondo in uno specifico momento temporale. In tale logica
possono essere spiegate alcune apparenti oscillazioni tra liberismo e protezionismo e
l’affacciarsi di tentazioni protezioniste in molti paesi europei (tipico il caso della Francia in
cui lo spirito liberista della Commissione Attalì sembra a tratti essere oscurato da esigenze
di protezionismo e di tutela dei campioni nazionali). E’ probabilmente necessario riflettere
sul fatto che le richieste di neo-protezionismo nascono da una troppo debole e soprattutto
parziale governance della globalizzazione, che è stata tentata – in maniera incompleta – solo
sugli ambiti commerciali. Una vera governance della globalizzazione dovrebbe invece
includere al tempo stesso le politiche monetarie, quelle ambientali, quelle sociali e quelle
delle migrazioni.

o Per quanto riguarda un importante aspetto politico della globalizzazione, quello legato al
principio dell’esportazione della democrazia, pur condividendo il valore morale e ideale di
tale principio, nonché l’utilità di lungo periodo di creare una comunità internazionale di Stati
costruiti sui valori liberaldemocratici, nel breve periodo l’Italia dovrebbe astenersi dal
praticare attivamente tale politica, a meno che queste azioni non siano valutate
indispensabili al fine di evitare minacce o comportamenti aggressivi ed ostili nei nostri
confronti o nei confronti di nostri alleati. Nel prossimo decennio la priorità per l’Italia resta
il mantenimento della stabilità e della sicurezza nell’area mediorientale ed euro-asiatica,
nel rispetto delle differenti culture e tradizioni statuali.

o Da diversi anni l’Italia e l’Europa sono alle prese con una difficile fase di rallentamento
dello sviluppo economico e con seri problemi di crescita. Tali difficoltà sono in buona parte
dovute a problemi interni di economie mature alle prese con cambiamenti epocali nelle
regole del funzionamento economico del sistema mondo. La delocalizzazione produttiva è
stata una risposta a questi problemi mirante a mantenere la competitività spostando
all’estero – ed in particolare nel cosiddetto “estero vicino” – una parte dei cicli produttivi
industriali. Il bilancio di tale processo è in prevalenza positivo, con la tenuta e la crescita del
made in italy su numerosi mercati mondiali. Tuttavia si assiste ad un paradosso per cui la
tenuta o l’aumento dell’export si abbina con una riduzione della nostra produzione
industriale. Aumentiamo le esportazioni ma al tempo stesso ci avviamo ad essere un Paese
sempre meno industriale. Sono chiari segnali del livello di integrazione tra Italia e sistema
economico mondiale. La competitività economica dell’Italia dipenderà sempre più dal grado
di internazionalizzazione delle nostre imprese. Questa situazione porta a due considerazioni.

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Da un lato è sempre più necessario iniziare a ragionare in termini di stock di assets
economico-industriali italiani all’estero, al fine della loro salvaguardia e del loro sviluppo.
Progressivamente sarà necessario affiancare ad una politica industriale nazionale una
politica industriale all’estero, che abbia come oggetto lo sviluppo delle migliori condizioni
produttive per le aziende italiane concentrate in particolari aree geografiche del mondo.
Anche a questo scopo sarà sempre più necessario coordinare la presenza industriale italiana
nel mondo con la politica estera italiana classica e quella di sicurezza. Una maggiore
circolarità tra i tre ambiti fondamentali delle relazioni internazionali, politica-economica–
sicurezza, è quanto mai necessaria al fine di produrre vantaggiose economie di scala nella
nostra politica internazionale. In un periodo di contemporanea scarsità di risorse economiche
da destinare alla politica estera e di aumento dell’intensità e della velocità dei rapporti
internazionali diviene fondamentale riuscire ad identificare i dividendi – anche economici –
della politica estera e di sicurezza dell’Italia nel mondo, al fine di garantire un corretto e
crescente flusso di risorse per le attività internazionali del nostro Paese. Nel campo
industriale va fornito maggiore supporto all’industria della difesa nazionale, grande
comparto industriale di riconosciuto e rispettato successo internazionale. L’industria della
difesa italiana presenta ancora molti margini di ulteriore crescita nelle possibilità di
esportazione, cosa che può contribuire sia allo sviluppo di economie di scala utili per i
fabbisogni nazionali, sia alla crescita dell’influenza del nostro Paese nei confronti di alleati e
partners.

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