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Enea Pietro aveva reso nuove dichiarazioni il 9.05.2000, nelle quali precisava di
aver riconosciuto senza ombra di dubbio, tra le persone presenti a bordo della
Fiat 124 (indicata come di colore beige) che aveva visto nei pressi del villaggio
bungalow verso le 7.30 del mattino del giorno in cui il padre era stato ucciso,
Bruno Francesco, all'epoca latitante, il quale lo aveva salutato; indicava il
movente dell'omicidio nelle attività imprenditoriali del padre, che aveva rifiutato
la proposta dell'imputato di diventare suo socio occulto per consentirgli di
investire denaro nell'edilizia, nonché nel contrasto insorto con la società BBP,
costituita da Bruno Giuseppe, Bruno Pietro (entrambi parenti dell'imputato) e
Pomerio Giuseppe, proprietaria di un fabbricato denominato Costa Corsara
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Anche Naimo Rosario aveva riferito informazioni apprese in diverse occasioni e
da diversi soggetti sulla causale dell'omicidio, dovuto a motivi di costruzioni, di
terreni e di soldi, e sulla sua riconducibilità a una decisione della famiglia mafiosa
locale, capeggiata dal Riccobono, persona con la quale l'imputato, molto
considerato nell'ambito di cosa nostra, era a diretto contatto; la decisione di
uccidere Enea era stata presa senza avvertire il vertice dell'organizzazione
mafiosa, come il Nainno aveva appreso direttamente da Riina Salvatore in
occasione di un incontro nel 1985; il collaboratore aveva altresì appreso da Troja
Antonino che questi aveva ucciso l'Enea, insieme al Bruno e ad altri soggetti, per
ordine del Riccobono.
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nonchè il giudizio di affidabilità attribuito alle dichiarazioni di Enea Pietro, autore
di propalazioni deliranti; rileva che la sentenza impugnata non aveva precisato
quali fossero le interessenze tra l'imputato e la società B.B.P., lamentando il
travisamento della prova sul preteso sconfinamento territoriale (smentito anche
documentalmente) nell'edificazione del complesso turistico Costa Corsara,
indicato come causa della controversia con la vittima alla quale i soci della B.B.P.
erano invece estranei, riguardando la lite esclusivamente i rapporti tra Enea
Vincenzo e i proprietari (gli eredi Cardinale) del terreno confinante col lotto,
edificato dall'Enea, interessato dal frazionamento e da permuta parziale, lite che
era stata definita in epoca antecedente il delitto così da consentire alla vittima di
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L
261839; Sez. 6 n. 48428 dell'8/10/2014, Rv. 261248).
In particolare, è stata ritenuta legittima da questa Corte la motivazione per
relationem della sentenza di secondo grado che recepisca in modo critico e
valutativo quella della sentenza impugnata, limitandosi a ripercorrere e
approfondire alcuni aspetti del complesso probatorio oggetto di contestazione da
parte dell'appellante, omettendo di esaminare quelle doglianze dell'atto di
appello che avevano già trovato risposta esaustiva nella sentenza di primo grado
(Sez. 2 n. 19619 del 13/02/2014, Rv. 259929), specie se le censure formulate
nell'atto di impugnazione non contengano elementi di sostanziale novità rispetto
a quelle già condivisibilmente esaminate e disattese dalla sentenza richiamata
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quelle del GIP, l'affidabilità complessiva delle dichiarazioni dei collaboratori di
giustizia Mutolo, Onorato e Naimo, già validata in altri processi, provenienti da
soggetti organicamente inseriti nell'organizzazione mafiosa di "cosa nostra", con
specifico riguardo all'autonomia reciproca delle rispettive propalazioni de relato
(frutto di informazioni e confidenze ricevute in tempi e contesti diversi, da fonti
primarie - quantomeno parzialmente - differenti) e alla sussistenza del requisito
della convergenza del molteplice sul nucleo essenziale del narrato concernente il
coinvolgimento dell'imputato nella decisione e nell'esecuzione dell'omicidio, le
causali del delitto e l'indicazione dei relativi mandanti negli esponenti della
famiglia mafiosa locale, capeggiata da Riccobono Rosario, alla quale apparteneva
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piena e completa testimonianza su tutto ciò che aveva effettivamente visto la
mattina dell'omicidio, ivi inclusa la presenza in loco dell'imputato, persona che
egli non avrebbe avuto ragione di accusare falsamente a così tanti anni di
distanza dall'episodio criminoso.
L'esistenza, all'epoca dell'omicidio e subito dopo di esso, del clima di omertà e
delle condotte intimidatorie - descritte da Enea Pietro - che avevano riguardato
tanto Enea Vincenzo, che aveva dovuto subire danneggiamenti e incendi nei
propri cantieri prima di essere ucciso, quanto gli stretti congiunti della vittima,
ha trovato riscontro, secondo la conforme ricostruzione delle risultanze
probatorie operata sul punto da entrambe le sentenze di merito, sia nelle
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nell'omicidio di Enea Vincenzo è stato individuato e argomentato da entrambe le
sentenze di merito, sia pure con una diversa accentuazione dell'importanza
dell'una rispetto all'altra fonte dimostrativa, nella convergenza fondamentale
delle propalazioni de relato dei collaboratori di giustizia, da un lato, e delle
dichiarazioni testimoniali - frutto di scienza diretta - del figlio della vittima,
dall'altro, e nella capacità dei rispettivi narrati di riscontrarsi reciprocamente sui
dati essenziali della partecipazione del Bruno al delitto e sulla causale mafiosa (di
tipo locale) dell'omicidio, idonea a spiegare il concorso dell'imputato alla relativa
commissione in qualità di appartenente alla famiglia mafiosa (allora capeggiata
dal Riccobono) i cui interessi illeciti erano entrati in conflitto con le attività della
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padre e il Bruno, precedenti l'omicidio, nello sconfinamento immobiliare del
complesso turistico di proprietà di una società - la B.B.P. - partecipata (anche)
da parenti dell'imputato in danno del lotto limitrofo edificato da Enea Vincenzo,
che aveva pregiudicato le successive operazioni di frazionamento catastale, di
permuta e di vendita degli appartamenti delle palazzine costruite dalla vittima,
determinando l'insorgenza di una lite e il fallimento della sua impresa;
l'accertamento della reale dinamica della relativa vicenda, di natura civilistica, e
del ruolo del Bruno nella società coinvolta (B.B.P.), riveste infatti un obiettivo
ruolo secondario, e non decisivo, nella ricostruzione complessiva degli elementi
di prova acquisiti e valorizzati dai giudici di merito a carico dell'imputato.