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net/publication/308202157
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Renato Nobili
University of Padova
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All content following this page was uploaded by Renato Nobili on 17 September 2016.
Secondo la fisica classica, l'osservazione Nel mondo reale, ogni osservazione fisica
di un fatto o di un oggetto può essere comporta un'interazione tra radiazione,
eseguita perturbando l'osservato tanto osservato e osservatore che non può
poco quanto si vuole. essere resa tanto piccola quanto si vuole.
2 - Determinismo e indeterminismo
Nella meccanica classica gli stati fisici Nella meccanica quantistica gli stati non
rappresentano le cose che si vedono. rappresentano le cose che si vedono ma
le possibilità di osservare delle cose.
Questa corrispondenza tra stati e
fenomeni si mantiene nel corso di tutte le Le operazioni fisiche agiscono in modo
osservazioni e operazioni che si possono deterministico sugli stati, ma, in generale,
effettuare sul sistema. i risultati delle misure e delle osservazioni
sono indeterminati.
uno dei rivelatori di una griglia di rivelatori posti di fronte allo schermo. Pertanto, per
calcolare la velocità che la particella aveva durante il suo passaggio per F basta dividere la
lunghezza del segmento orientato FP per il tempo intercorso tra le due rivelazioni.
C. La posizione e la quantità di moto di una particella quantistica non possono essere misurate
simultaneamente con precisione arbitrariamente grande perché il moto della particella è
governato da una legge probabilistica di carattere ondulatorio. Se si aumenta la precisione
della misura di posizione, si perde necessariamente quella della misura di velocità. Ciò è
dovuto al fatto che una particella localizzata in una piccola regione dello spazio si comporta
come una sovrapposizione di onde di varia lunghezza d'onda che interferiscono
distruttivamente ovunque tranne che nella regione considerata, in modo che quanto più la
regione è ristretta, tanto più lo spettro delle lunghezze d'onda è ampio. Immediatamente
dopo il passaggio della particella per F, una sovrapposizione di onde di probabilità
quantistica di varie lunghezze d’onda prosegue espandendosi in tutte le direzioni.
Conoscendo il punto P nel quale il secondo dispositivo rivela la particella dopo il passaggio
per F e l’intervallo temporale T tra le due rivelazioni si può ottenere una misura di velocità.
Ma questa non può essere considerata la velocità che la particella aveva prima o durante il
passaggio per F perché rifacendo tante volte lo stesso esperimento in identiche condizioni,
si trovano P e T diversi. La relazione di de Broglie p = h/λ, dove p è la quantità di moto di
una particella quantistica, h la costante di Planck e λ la lunghezza d'onda dell'onda di
probabilità quantistica che rappresenta lo stato della particella, è la generalizzazione
relativistica della relazione di Einstein E = hν. Essa stabilisce che le possibili quantità di
moto della particella, quindi le sue possibili velocità, sono rappresentate dalle lunghezze
d'onda di varie componenti ondulatorie. Per assicurare che la particella abbia una data
velocità v, un opportuno filtro diffrattivo D posto di fronte allo schermo forato seleziona la
componente ondulatoria di lunghezza d'onda λ corrispondente a ν. Questo filtro è formato
da un sistema di fenditure parallele ed equispaziate. Per ovvie ragioni, questo dispositivo
non può essere combinato con lo schermo forato in modo da formare un unico strumento
per la misura simultanea di posizione e velocità. Come illustrato in figura, la misura
effettuata dal filtro diffrattivo rende completamente incerto il punto nel quale la particella
sarà segnalata dal secondo dispositivo di rivelazione.
Una particella dotata di carica elettrica si trova inizialmente a riposo nell’origine di un sistema
di riferimento. Si vuole che essa si trovi a un certo istante nel punto indicato dal raggio
vettore r e possieda una quantità di moto p. Più concisamente, si vuole che ad un determinato
istante successivo all’istante iniziale la particella si trovi nello stato (r, p).
A questo scopo basta applicare alla particella due forze impulsive di intensità e direzioni
opportune. Un cannoncino impartisce l’impulso iniziale f1 che manda la particella in un campo
elettromagnetico fisso che impartisce l’impulso f2. In linea di principio, regolando
opportunamente f1 ed f2, si riesce a far assumere alla particella qualunque stato si desideri ad
un predeterminato tempo successivo all’istante iniziale. Come si può notare, una volta fissato
uno stato fiduciale iniziale e la procedura da seguire, la coppia di vettori (f1, f2) corrisponde
biunivocamente allo stato (r, p). Ciò significa che, in linea di principio, si può stabilire una
corrispondenza biunivoca tra l’insieme delle operazioni che possono trasformare gli stati del
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sistema e l'intero spazio degli stati. Analoghe corrispondenze possono essere stabilite per
sistemi classici più complessi.
Considerando che vi è una corrispondenza biunivoca anche tra stati e fenomeni, si può
affermare che nella fisica classica gli stati fisici di un sistema sono rappresentati fedelmente
non solo dai fenomeni osservabili ma anche dalle operazioni che possono essere applicate a
uno stato fiduciale iniziale arbitrario per ottenere che il sistema raggiunga ogni altro stato ad
ogni desiderato tempo. Ciò significa che nella fisica classica le descrizioni operazionali e quelle
fenomeniche sono equivalenti e che pertanto non v'è ragione di preferire il punto di vista
operazionale piuttosto che quello osservazionale. Si può dire che nella fisica classica il
soggetto ideale della conoscenza è l'osservatore passivo, che non ha bisogno di manipolare le
cose per comprenderle.
Una particella quantistica carica si trova inizialmente in una zona centrata nell’origine di un
sistema di riferimento con una quantità di moto media nulla (posizione e quantità di moto
sono affette da una certa indeterminazione). Si vuole che essa si trovi ad un certo istante
nello stato rappresentato da un pacchetto d’onde quantistico Ψ di data posizione media e
quantità di moto media.
Per ottenere il risultato desiderato si possono usare gli stessi dispositivi macroscopici che
permettono il controllo della particelle classiche. Basta applicare alla particella due forze
impulsive di intensità e direzioni opportune. Un cannoncino impartisce l’impulso f1 all’istante
iniziale e, in seguito, un campo elettromagnetico fisso impartisce l’impulso f2. Come nel caso
classico, regolando opportunamente f1 ed f2 si riesce a far assumere alla particella uno stato
con le caratteristiche medie desiderate in un intervallo temporale predeterminato.
Usando campi elettromagnetici di forma opportuna (ad esempio una lente elettromagnetica) si
potrà anche modificare la forma del pacchetto d’onde lasciandone inalterate le proprietà
medie. Si potrà per esempio focalizzarlo in una regione più ristretta, ma in questo caso la
quantità di moto sarà più indeterminata.
Lo stato vero e proprio della particella non è osservabile direttamente, ma si possono ottenere
alcune informazioni su di esso usando dispositivi di rivelazione opportuni, ad esempio una
griglia G di rivelatori di particelle. Ripetendo molte volte l’esperimento in identiche condizioni si
ottiene una statistica S di eventi che nel loro insieme descrivono alcune proprietà del pacchetto
d’onde (ma non tutte!). Questa statistica è il fenomeno che si osserva. A differenza dal caso
classico, la corrispondenza biunivoca tra stati e fenomeni è perduta, ma quella tra le operazioni
di trasformazione degli stati e le proprietà osservabili del sistema è mantenuta. Ciò significa
che le descrizioni operazionali non sono equivalenti a quelle fenomeniche ma a quelle delle
osservazioni, anche reciprocamente incompatibili, che sono possibili in circostanze varie.
Questo spiega perché il punto di vista operazionale è più importante nella meccanica
quantistica che in quella classica.
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Una particella è emessa da una sorgente posta in S in una regione dello spazio dove si
trovano tre griglie di rivelatori G, G’, G” parallele e poste a distanze progressive da S. Si
suppone che la particella sia soggetta a lievi perturbazioni casuali che ne alterano
imprevedibilmente la traiettoria. Si suppone inoltre che, in accordo con la visuale classica, i
rivelatori non perturbino apprezzabilmente la particella, cosicché questa si muove nello spazio
come se i rivelatori non esistessero.
Per ottenere la massima informazione sulla dinamica della particella dobbiamo ripetere
l’esperimento moltissime volte e raccogliere le statistiche relative al passaggio della particella
attraverso i vari rivelatori. Se i dati raccolti sono abbastanza numerosi possiamo interpretare
le frequenze statistiche come probabilità. Avremo così tre profili di probabilità P, P’, P” riferiti
ad una medesima particella e caratterizzati da gradi crescenti di sparpagliamento.
Queste tre distribuzioni di probabilità descrivono come lo stato della particella vada soggetto
ad un progressivo aumento d’incertezza durante il tragitto che la porta da G a G”. Questa
perdita d’informazione è irreversibile. Anche se nella regione compresa tra le griglie G’ e G” la
particella non dovesse più subire perturbazioni casuali, non ci sarebbe alcun modo per
diminuire il grado di sparpagliamento delle distribuzioni di probabilità.
A causa della quantizzazione, l’energia della radiazione catturata da un rivelatore non può
essere minore di E = hν (h=costante di Planck, ν=frequenza). Questa significa che la
radiazione luminosa agisce sui rivelatori come se fosse uno sciame di particelle (fotoni).
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Assumiamo che l’intensità della radiazione sia tanto piccola che i rivelatori non possano far
altro che rivelare un singolo fotone alla volta (si noti che quando un fotone rivelato sparisce
dalla radiazione). Dalle frequenze statistiche con cui le griglie rivelano i fotoni possiamo
ricavare tre profili di probabilità P, P’, P”. Ora, come si può facilmente comprendere, la lente
L, facendo divergere la radiazione, determina una distribuzione di probabilità P’ sparpagliata,
mentre la lente L’, facendo convergere la radiazione su una regione ristretta di G”, determina
una distribuzione di probabilità P” concentrata.
In generale, tutti i possibili valori p1, p2, p3... di una distribuzione P di probabilità quantistiche
possono evolvere reversibilmente e con continuità in modi arbitrari nel corso del tempo, purché
siano sempre soddisfatte le relazioni p1 + p2 + p3 + ... = 1, 0 ≤ pi ≤ 1 (conservazione e
positività delle probabilità).
La continuità delle evoluzioni dei profili di probabilità è un residuo della legge di continuità dei
sistemi classici: modificazioni di piccola entità del sistema o degli apparati d'osservazione
producono effetti di piccola entità (natura non facit saltus).
Si pone dunque il problema di capire come le probabilità quantistiche dipendano dallo stato.
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a2 + b2 + c2 = 1, 0 ≤ a2, b2, c2 ≤ 1,
Poste così le cose, un matematico pignolo e bene informato, che possiamo chiamare Cesare,
potrebbe avanzare il seguente dilemma o, meglio, il seguente "trilemma": a quale dei tre
campi numerici logicamente ammissibili appartengono le componenti dei vettori di stato? Al
campo dei numeri reali r, a quello dei numeri complessi z o a quello dei quaternioni q? (vedi
didascalia della figura successiva). In corrispondenza di queste tre diverse possibilità
dovremmo scrivere
La teoria della misura, anticamente fondata da Talete di Mileto (624-547 a.C.) come calcolo
delle proporzioni, rende possibile la rappresentazione delle relazioni tra grandezza
geometriche in termini di operazioni aritmetiche. Ciò deriva dal fatto che, grazie alle proprietà
combinatorie delle addizioni e delle moltiplicazioni e delle loro possibili inverse, l’aritmetica dei
numeri reali costituisce un algoritmo universale. Ciò significa che l’aritmetica è in grado
d’interpretare e rappresentare nel suo formalismo ogni sistema di operazioni geometriche,
fisiche o di qualsiasi altro algoritmo. La moderna teoria dei campi numerici, unitamente a
quella delle possibili rappresentazioni algebriche delle geometrie proiettive N-dimensionali in
questi campi, completa ed esaurisce il problema posto da Talete (Nobili, B-2009).
Oltre all’unità reale 1, i numeri complessi possiedono anche un’unità immaginaria, solitamente
indicata con i, il cui quadrato è -1. Ogni numero complesso z può essere scritto nella forma z
= a + ib, i2 = -1, dove a e b sono reali. La moltiplicazione tra due numeri complessi gode
della proprietà commutativa. Il modulo quadrato di z è definito come il numero reale |z|2=
a2+b2.
I quaternioni costituiscono una generalizzazione dei numeri complessi che contiene tre unità
immaginarie, solitamente indicate con i, j, k. Essi furono scoperti da Sir William Hamilton il
16 ottobre 1843 mentre passeggiava lungo un ponte di Dublino. Come per il caso dei numeri
complessi, le unità immaginarie soddisfano alle relazioni i2 = j2 = k2 = -1. Tuttavia, i loro
prodotti non soddisfano alla proprietà commutativa ma a quella anticommutativa:
Pertanto, a differenza delle moltiplicazioni tra due numeri reali o complessi, la moltiplicazione
tra due quaternioni non è in generale commutativa. A parte questo, tutte le altre proprietà
(associativa, distributiva, ecc) sono simili a quelle dei numeri reali. Ogni quaternione q può
essere scritto nella forma q= a + ib + jc + kd, dove a, b, c e d sono numeri reali. Il modulo
quadrato di q è definito come il numero reale |q|2= a2+b2+c2+d2.
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Com’è indicato in A, pij sono i valori del prodotto cartesiano PXP’. Fintanto che i due sistemi
non interagiscono, le proiezioni di questa funzione sugli assi di P e P’ restituiscono le
distribuzioni P, P’. Ora, se i due sistemi sono fatti interagire, la probabilità prs di ottenere la
coppia (mr, m’s) non è più, in generale, il prodotto dei valori proiettati. In altri termini, può
succedere che sia prs ≠ pr p’s.
Ciò dipende dal fatto che gli stati dei sistemi componenti si intrecciano (entangle) in modo tale
che la rappresentazione del sistema composto come prodotto diretto degli stati componenti è
irrimediabilmente perduta. Ciò fa emergere proprietà interamente nuove del sistema
composto che non sono descrivibili in termini di proprietà delle parti. Ad esempio, gli stati di
un elettrone e di un protone si intrecciano in modi tali da generare i livelli energetici
dell’atomo d’idrogeno. Questo fenomeno non ha l'analogo nei sistemi classici (Nobili-A, 2015).
Utilizzando gli argomenti discussi nella didascalia della figura 9, e assumendo senza perdita di
generalità che i vettori di stato siano complessi, otteniamo per S ed S’ non interagenti pr =
|zr|2, p’s =|z’s|2, dunque prs = pr p’s = |zr|2|z’s|2 = |zr z’s|2. Si vede così che i vettori di stato
del sistema composto possono scriversi nella forma zrs= zr z's. Questi numeri complessi a due
indici possono essere interpretati come particolari componenti di uno spazio vettoriale
complesso a NN’ dimensioni. Questo spazio prende il nome di prodotto diretto dei due spazi
vettoriali componenti ed è indicato dal simbolo Z Z’.
Com’è stato chiarito nei passi precedenti, gli stati fisici di un sistema quantistico sono
rappresentati da vettori unitari di uno spazio reale, complesso o quaternionico. Anticipando il
risultato del passo 16, diciamo subito che lo spazio dev'essere complesso. Questo ci
permetterà di semplificare la discussione.
Assumiamo che lo stato del sistema sia descritto dal vettore unitario complesso z. Quando si
effettua una misura di una grandezza osservabile A si ottiene uno dei suoi possibili valori a1,
a2, ..., aN. In generale, nell'istante stesso in cui si produce un risultato della misura, il
processo di misura altera irreversibilmente lo stato z. Precisamente, in corrispondenza del
valore osservato ai si ottiene uno stato associato a tale valore che sarà rappresentato da un
vettore unitario z'i. Per questa ragione z'i è chiamato autostato di A corrispondente al valore
ai ed ai è chiamato autovalore di A corrispondente allo stato z'i.
L'esito del processo di misura è generalmente casuale e prima della misura la conoscenza di z
e degli autostati di A ci permette di fare solo predizioni probabilistiche. Precisamente, se
indichiamo con zi la proiezione ortogonale di z su z'i, la quantità pi=|zi|2 deve essere
interpretata come il valore di aspettazione del valore ai, cioè la probabilità a priori di ottenere il
valore ai insieme al mutamento di stato z → z'i. Se la misura è ripetuta un gran numero di
volte, le frequenze statistiche dei risultati tendono verso i valori delle probabilità a priori pi.
Pertanto, il valore medio <A> di A potrà essere scritto nella forma
Se subito prima della misura fosse stato z = z'i, sarebbe stato pj = 1 e pi = 0 per i ≠ j, e la
misura avrebbe fornito con certezza il valore ai. Questo comportamento caratterizza la natura
inevitabilmente indeterministica dei fenomeni quantistici.
Il fatto che due misure diverse ai, e aj di A siano sempre reciprocamente esclusive, è
rappresentato dal fatto che i corrispondenti autostati z'i, z'j sono ortogonali. Si stabilisce in
questo modo una corrispondenza biunivoca tra gli autovalori a1, a2, ..., aN di A e i vettori a due
a due ortogonali z'1, z'2 ,...,z'N, che formano pertanto un sistema di riferimento ortogonale
nello spazio degli stati. Questa corrispondenza reciproca tra autostati e autovalori permette di
rappresentare l’operatore A come una matrice che agisce sui vettori ortogonali z'1, z'2
,...,z'N nel modo indicato dalle equazioni
A z'i = ai z'i,
vale a dire, come una matrice diagonale con elementi diagonali a1, a2, ..., aN. Un'altra
grandezza osservabile B che abbia autovalori bi e corrispondenti autovettori z''i (generalmente
diversi da z'i) soddisfa alle equazioni B z''i = bi z''i, ma in generale essa agisce sui vettori
unitari z'i nel seguente modo
Ciò significa che nel sistema di riferimento degli autostati di A, l'operatore B è rappresentato
da una matrice quadrata non diagonale con elementi bij. Si dimostra facilmente che la
condizione che gli autovalori di B siano reali impone la condizione bij = b*ji, dove l'asterisco
indica il valore complesso coniugato. Gli operatori che hanno questa proprietà si dicono
hermitiani.
Se le matrici A e B possiedono gli stessi autovettori z'i allora esse possono essere poste
entrambe in forma diagonale. In tal caso si ha
Pertanto, data la completezza e l'indipendenza dei vettori z'i, si deduce che vale con tutta
generalità l'equazione BA = AB (prodotti righe per colonne); in altri termini, gli operatori A e
B commutano. Se invece gli autovettori di B sono diversi da quelli di A, otteniamo
A B z'i = bi1 A z'1+ bi2 A z'2+ ...+ biN A z'N = bi1 a1 z'1+ bi2 a2 z'2+ ...+ biN aN z'N;
B A z'i = Bai z'i = aiB z'i = ai bi1 z'1+ ai bi2 z'2+ ...+ ai biN z'N,
14 - Il dualismo operare-osservare
Com’è stato argomentato nei passi 4 e 5, uno stato fisico di un sistema può essere considerato
in due modi diversi:
In generale, le trasformazioni che operano sullo stato iniziale modificano i risultati delle
osservazioni. Poiché gli stati si trasformano linearmente e con continuità (vedi i passi 8 e 9),
possiamo assumere che le trasformazioni dipendano da un insieme di parametri continui reali
e che si riducano a trasformazioni identiche quando i parametri sono nulli. Senza perdita di
generalità, possiamo fare in modo che le trasformazioni inverse si ottengano cambiando i
segni dei suddetti parametri. Possiamo dire che due grandezze osservabili sono indipendenti se
esistono operatori di trasformazioni di stato che modificano i risultati delle osservazioni di una
senza alterare quelli dell'altra.
Un insieme di grandezze osservabili si dice completo se ogni grandezza osservabile è una
funzione delle grandezze che appartengono all'insieme. Un insieme di grandezze osservabili
costituisce una base di grandezze reciprocamente indipendenti se la soppressione di una
grandezza dell'insieme rende l'insieme incompleto. Una volta trovata una base di grandezze
osservabili, in corrispondenza a ciascuna grandezza della base, ad esempio X, potremo trovare
un operatore di trasformazione di stato TX(λ), dipendente dal parametro continuo λ, che
modifica le osservazioni di X ma non quelle delle altre grandezze. La derivata rispetto a λ di
TX(λ), per λ=0, è un operatore che varia gli stati in modo da modificare soltanto i risultati
delle osservazioni di X e che pertanto commuta con tutte le grandezze tranne X. Questo
operatore, che indicheremo con GX è definito a meno di una costante di proporzionalità ed è
chiamato generatore della trasformazione. La costante di proporzionalità può essere scelta in
modo che GX sia hermitiano e abbia pertanto autovalori reali e autostati a due a due ortogonali
(vedi passo precedente).
Nella meccanica classica, dove le grandezze fisiche sono rappresentate da semplici variabili
numeriche, le leggi che governano l'evoluzione di un sistema possono essere derivate da un
principio variazionale, comunemente noto come principio di azione stazionaria. In
conseguenza di questo principio, si dimostra che le grandezze fisiche si ripartiscono in coppie
coniugate. Tali sono ad esempio la variabile di posizione x e la variabile quantità di moto p. In
questo caso, il generatore dell'operazione che trasforma x è semplicemente la derivata di x e
quello che trasforma p è la derivata di p. In questa sede, il fatto che gli stati di un sistema
siano rappresentati da coppie di grandezze coniugate del tipo {x, p} si presenta come un
mistero.
Ora, nella meccanica quantistica, si scopre che il generatore Gx della trasformazione che
agisce sulla grandezza osservabile x coincide con la grandezza osservabile p, e che il
generatore Gp della trasformazione che trasforma p coincide con x; in altri termini abbiamo
GX = p e Gp = x. In questa sede, tutte le grandezze osservabili e i generatori di trasformazioni
sono rappresentati da operatori hermitiani che agiscono linearmente sui vettori di stato, come
è stato descritto nel passo precedente. Questa sostanziale identità dell’insieme dei generatori
di trasformazioni e quello delle grandezze osservabili evidenziano l’inscindibile carattere
dualistico dell’operare e dell’osservare.
In generale, i sistemi fisici sono divisibili in parti e componibili per aggregazione di parti. I
sistemi che non sono divisibili in parti si dicono elementari (tali sono le particelle elementari).
Conoscendo come le parti di un sistema si trasformano sotto l’azione di operazioni esterne, e
come le parti interagiscono tra loro (cioè come "operano" le une sulle altre) si può risalire alle
proprietà di ogni sistema composto. Infatti, è una legge generale delle fisica che ogni
trasformazione che un sistema può subire per l'azione di operazioni esterne può essere
descritta come una combinazione di variazioni di stato delle sue parti. Questo principio, che
non è mai menzionato forse perché sembra scontato, è in realtà essenziale per stabilire le
proprietà generali degli spazi degli stati.
Come si è detto in precedenza (passi 4, 5, 14), nella meccanica quantistica ogni grandezza
osservabile è rappresentata da un operatore algebrico che funge anche da generatore di una
trasformazione unitaria continua. Viceversa, ogni generatore di trasformazione unitaria
continua può essere interpretato come una grandezza osservabile. Pertanto, come esiste un
insieme minimale di grandezze osservabili, di cui ogni altra grandezza osservabile è funzione,
così esiste un insieme minimale di generatori di trasformazioni unitarie continue di cui ogni
altro è funzione. Ciò significa che tutte le operazioni che si possono eseguire per governare gli
stati di un sistema si possono idealmente ottenere combinando generatori di trasformazioni.
Naturalmente, queste proprietà valgono anche per i sistemi composti. Le grandezze
osservabili di un sistema composto sono funzioni delle grandezze osservabili delle parti.
Equivalentemente, i generatori di trasformazioni del sistema composto sono funzioni di quelli
delle parti.
Siano GA e GB gli insiemi di generatori delle trasformazioni unitarie continue dei sistemi A e B.
L'insieme GA&B dei generatori del sistema composto A&B si possono ottenere combinando in
tutti i modi possibili GA e GB: questi operatori agiscono simultaneamente, il primo su A, il
secondo su B. Ogni generatore di trasformazione del sistema composto sarà allora una
funzione queste coppie.
L’insieme delle coppie che si possono formare combinando gli elementi di due insiemi I1 e I2 si
chiama prodotto cartesiano di I1 e I2 e si indica con I1XI2. Possiamo pertanto scrivere GA&B =
GAXGB. Non è difficile dimostrare che, se GA e GB contengono rispettivamente MA e MB
operatori di variazione elementari indipendenti, allora il numero di operazioni di variazione
elementari indipendenti contenute in GA&B è MA&B= MAMB.
Nel seguito, utilizzeremo questo risultato per rispondere al quesito: a quale campo numerico
appartengono i vettori di stato della meccanica quantistica?
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- MR = N(N-1)/2, per R,
- MZ = N2, per Z,
- MQ = 2N2+N, per Q.
Siano ora (R, R’ ), (Z, Z’ ), (Q, Q’ ) tre coppie di spazi unitari definiti nei tre diversi campi
numerici, con R, Z e Q di dimensione N, e R', Z' e Q' di dimensione N’. Allora, come spiegato
in figura 13, i prodotti diretti RXR’, ZXZ’, QXQ’ rappresentano gli spazi degli stati dei sistemi
composti di due parti. Proviamo a calcolare i numeri MR&R', MZ&Z', MQ&Q' di operazioni unitarie
elementari che permettono di governare questi tre sistemi composti. Poiché gli spazi hanno
dimensione NN’, per quanto è stato affermato sopra, ci aspettiamo di trovare
MR&R' = NN’(NN’-1)/2,
MZ&Z' = (NN’)2,
MQ&Q' = 2(NN’)2+NN’.
D’altronde, ricordando quanto è stato detto nel passo 15 a proposito della composizione di due
sistemi fisici, dovremmo avere MR&R' = MRMR', MZ&Z' = MZMZ', MQ&Q' = MQMQ'. In realtà,
effettuando i calcoli, si trova:
- Caso reale: [N(N-1)/2] [N’(N’ -1)/2] < NN’(NN’ -1)/2, cioè MR MR' < MR&R'
Come si vede solo lo spazio unitario dei vettori complessi soddisfa all'uguaglianza attesa. In
altri termini solo gli spazi unitari complessi permettono di rappresentare i sistemi quantistici
come sistemi composti di parti (R.Nobili, C-2009).
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Bibliografia
3). Birkhoff, G. e von Neumann, J. (1936) The Logic of Quantum Mechanics. Annals of
Mathematics, 27:823-843.
4) Nobili, R. (B, 2009) Talete e la logica quantistica. Rubrica di Filosofia Scientifica. Sito Web
Ticonzero, Filosofia scientifica.
4) Nobili, R. (C, 2009) Le logiche della fisica. Rubrica di Filosofia Scientifica. Sito Web
Ticonzero, Filosofia scientifica.