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una di quelle pubblicazioni molto diffuse negli Stati Uniti e che godevano di
grande prestigio. Mi ha scioccato e mi ha fatto capire che la foto doveva
staccarsi da una ricerca formale, dagli spazi calcolati e dalle cose astratte.
Quanto ha realizzato Walker Evans con questo suo stupendo documentario non
rifugge dall’essere opera d’arte, ma soltanto rifugge dall’arte come commento.
Scarnificata e rigorosa, senza alcuna compiacenza estetizzante, l’opera di
Evans ci presenta l’aspetto di un’America non contaminata dall’influenza
dell’Europa decadente, un’America innocente e naturale. Non visi, né
grattacieli, né cowboys, Evans ha guardato semplici case e uomini (i volti
impersonali degli americani di ogni colore). Tutta la forma della loro vita,
proprio la sua organizzazione sociale, appare qui chiara fino all’evidenza. […]
Nessun ausilio particolare della tecnica, né taglio né inquadrature speciali, né
romanticismi di sfocature e di soggetti o vignette danno rilievo alla fotografia.
Esse non sono che documenti.
Se questo è l’effetto che fa Evans nel contesto italiano, l’ipotesi di
una sua generale influenza sulla cultura visiva italiana, lanciata alla
riconquista del reale, è intrigante. È come dire che per vedersi e
rappresentarsi veramente, l’Italia del dopoguerra ha dovuto
assumere uno sguardo straniero …. Cesare Pavese aveva detto:
“scoprimmo l’Italia cercando gli uomini e le parole in America”.
Forse, si potrebbe aggiungere, cercando anche le immagini.
l’elemento essenziale del film era e rimane sempre il vagabondo. Tramite lui ho
voluto rappresentare i temi essenziali della mia opera.
Walker Evans
Paul Strand
Visconti
Verga
In conclusione, se queste ipotesi sono vere, siamo di fronte a
un’immagine inconsueta del cinema neorealista, un cinema che ha
saputo guardare in faccia l’Italia, proprio perché l’ha vista con occhi
stranieri. Si dirà che Visconti non è il neorealismo italiano, e anzi ne
è forse la figura più controversa. Eppure il tema dello sguardo
straniero, o vagabondo, così al centro dell’opera viscontiana, è una
chiave che proprio Deleuze riconosce come tipica del neorealismo in
generale.
Nel neorealismo, dice Deleuze riprendendo Bazin, il reale viene
mirato, rappresentato per blocchi dai legami volutamente deboli e
fluttuanti. Si tende a cogliere la sconnessione dal mondo, non la
sua l’unità (che del resto non esiste, ce la mettiamo noi…). In
Ossessione, ad esempio, si registra una sorta di sconnessione
interna alle situazioni, nelle quali oggetti e ambienti non hanno più
una funzione, ma valgono di per se stessi, fluttuano nello spazio, e
dunque, potremmo dire, sei obbligato a guardarli da straniero,
come se non li riconoscessi. Mentre in La terra trema, per cui
Deleuze usa la bella definizione di “romanticismo marxista”, queste
situazioni ottico-sonore pure dividono ricchi e poveri: i poveri
vivono in un’unità sensibile e sensuale con la natura, i ricchi invece
sono esclusi da questo legame.
Ma in generale, appunto anche al di là di Visconti, è come se con il
neorealismo si capisse che per vedere la realtà bisogna
scollegarsene, diventare dei turisti dei mondo, viaggiatori in terra
straniera, come Evans, come i personaggi dei film di Rossellini.
Scrive Deleuze: