You are on page 1of 5

Da un punto di vista geografico, il Pakistan si colloca in quel crocevia (strategicamente molto

importante) tra Asia e Medio Oriente e confina con Afghanistan, Cina, India e Iran: tutti paesi che
giocano un ruolo centrale nello scenario politico internazionale moderno. Una collocazione
geografica, quella del Pakistan, estremamente difficile da “occupare” se si considerano le rivalità
geopolitiche degli attori regionali e internazionali, la forte instabilità di quest’area, e le peculiarità
politico-economiche di buona parte dei paesi sopra citati.
Attraverso tutta la sua storia, il Pakistan ha dovuto lottare sia con una propria fragilità interna
(fondamentalmente causata dalle modalità con cui si giunse alla creazione di tale stato) sia con le
frequenti interferenze di attori esterni. La logorante (e, secondo molti osservatori esterni, paranoica)
conflittualità con l’India è un fardello che grava sul Pakistan sin dai suoi primi anni di vita. Il
periodo della Guerra fredda ha visto il paese risucchiato nel conflitto tra USA e URSS (ma questa
non è una peculiarità esclusivamente pakistana). Oggi il Pakistan e il mondo stanno facendo i conti
con le eredità e le logiche di quel periodo: dieci anni dopo l’attentato alle Twin Towers, il Pakistan
si ritrova a ricoprire un ruolo centrale nella cosiddetta “guerra al terrorismo”, un ruolo difficile da
interpretare per questo paese.
A tutte queste sfide che il Pakistan ha affrontato e si trova ad affrontare tutt’oggi, se ne aggiunge
però un’altra che è probabilmente causa ed effetto delle altre viste sopra.
Che paese è oggi il Pakistan? A più di sessant’anni dalla sua nascita il Pakistan sembra un paese
fragile, un “quasi-stato” [Jackson R. H., Quasi-states: sovereignty, international relations and the Third World, Cambridge University
Press, Cambridge, 1990]. Senza aver prima affrontato e risolto almeno una parte dei suoi problemi interni, e
con il ruolo che gioca in un nuovo “Grande Gioco” (vuoi per la sua posizione geografica o per le
sue storiche ambizioni), qual è il futuro del Pakistan?
Cercare di rispondere a questo interrogativo è importante per una serie di motivi [Cohen S. P.].
Perché la storia del Pakistan sin dalla sua fondazione è stata densa di conflitti, perché è un paese in
cui si aggira lo spettro del fondamentalismo islamico militante, perché è un paese dotato di un
arsenale nucleare.

Il Pakistan del XXI secolo fa parte di quei paesi che devono affrontare un boom demografico
interno di notevole importanza. Si calcola che nei prossimi anni questo stato avrà una delle
popolazioni più giovani del mondo. In alcuni aree del mondo, ma principalmente in Africa e nel
Vicino e Medio Oriente, i tassi di natalità di molti paesi rimangono molto più alti di quelli di
mortalità. Ciò fa si che il numero della popolazione raddoppi a ogni generazione [Cohen S.]

Il Pakistan è uno di questi paesi e come ha sottolineato uno studio del British Council del 2009 [30
See the British Council report, Pakistan: The Next Generation], la metà della popolazione pakistana ha meno di
vent’anni, mentre i due terzi hanno già compiuto tredici anni. I tassi di natalità rimangono alti anche
per gli standard regionali. La popolazione è triplicata in meno di cinquant’anni e si suppone che
aumenterà di 85 milioni nel prossimo ventennio.
Oggi il Pakistan ha una popolazione di circa 180 milioni di anime, di cui la media età è di diciotto
anni. Ciò significa che nei prossimi vent’anni la popolazione pakistana, oltre ad aumentare, sarà
anche molto giovane con tutte le conseguenze socioeconomiche che si verificano in questi casi (più
popolazione significa più necessità di cibo, più necessità di energia, più necessità di lavoro, e una
maggiore attenzione dello stato nei campi dell’assistenza sociale, dell’educazione e della sanità).
E sarà proprio la capacità dello stato nel rispondere a tale boom nell’aumento della popolazione, che
può rendere tale fenomeno demografico destabilizzante per il paese.
Un tema strettamente correlato al fattore demografico (e alla giovane età della popolazione
pakistana) è quello dell’educazione. Solo la metà dei bambini pakistani frequenta le scuole
elementari e di questi, solo un quarto prosegue i suoi studi alle scuole medie. Per quanto riguarda
gli istituti superiori la percentuale dei frequentanti scende al 5%. Tali percentuali sono
notevolmente più basse nelle aree rurali, dove dominano ancora le madrasa, le scuole religiose.
Qui la capacità d’intervento statale sopra menzionata è pressoché nulla: non ci sono piani
d’intervento volti migliorare il sistema scolastico e quello educativo.

Il Pakistan inoltre sta diventano sempre più un paese urbanizzato. Attualmente la popolazione
urbana è di 56 milioni, con tassi di crescita in aumento. La popolazione rurale è ancora così
socialmente e demograficamente rilevante che si può affermare che alcune centri urbani sono in
realtà “complessi rurali e tribali ammassati in un'unica area definita municipale” [Murtaza and Irteza
Haider (2006). “Urban development in Pakistan” in Urbanization and sustainability in Asia: Case Studies on Best Practice
Approaches to Sustainable Urban and Regional Development (Manila, Philippines: Asian Development Bank)].
Questo processo di urbanizzazione, ha come effetto collaterale il consolidamento di alcune rivalità
tra gruppi sociali o etnici diversi e antagonisti. Questo è il caso, ad esempio, di Karachi la quale
vede un alto livello di tensione etnica tra i mohajir, i sindh e i pashtun.
A Islamabad, invece, alcune moschee (come ad esempio quella di Lal Masjid) fanno da avamposti
urbani di alcune organizzazioni radicali attive nello SWAT o nel Khyber Pakhtunkhwa.
In effetti molte città Pakistane svolgono sempre più il ruolo di habitat (nonché di nascondigli) per
molte associazioni radicaliste, le quali spesso hanno l’appoggio di parte dell’apparato politico e dei
servizi segreti.

Nel Gennaio del 1933, uno studente di Cambridge, Choudhary Rahmat Ali diede alle stampe un
pamphlet intitolato “Ora o mai più”. L’opera di Rahmat Ali (giovane musulmano del Punjab)
sarebbe probabilmente rimasta nell’anonimato se non avesse dato il nome a quella che poco più di
un decennio più tardi sarebbe diventata la “terra dei puri”.
Fu, infatti, in questo libretto che per la prima volta comparve il termine Pakstan (la lettera i sarebbe
stata aggiunta in seguito per semplificare la pronuncia in inglese)1. Tale nome era nient’altro che un
acronimo formato dalle prime lettere di quelle terre che costituivano le regioni a maggioranza
musulmana del subcontinente indiano: Punjab, Afghanistan, Kashmir, Sindh2.
Per un fortunato gioco di parole il termine pak in lingua urdu significa “purezza”, permettendo così
un chiaro riferimento a quella che sarebbe dovuta essere la base dell’identità nazionale del nuovo
paese: l’islam3.
Tre anni prima della pubblicazione del libro di Rahmat Ali, il poeta e leader della Muslim League
(Lega musulmana) Mohammed Iqbal, annunciava pubblicamente la necessità di uno Stato separato

1
Limes, volume n°1, anno 2008, pag.25
2
Dal nome erano dunque escluse le aree, sempre a maggioranza musulmana, del Bengala e dell’Assam, nonché il Belucistan
3
Elisa Giunchi, Pakistan: islam, potere e democratizzazione, Carocci, Roma, 2009
per i musulmani indiani: “Vorrei vedere il Punjab, la frontiera nordoccidentale, il Sindh e il
Belucinstan, amalgamati in un singolo stato […]. La formazione di uno stato musulmano […] mi
sembra il destino finale dei musulmani, almeno nel nord-ovest dell’India.” 4.
Le regioni sopra indicate erano, in effetti, quelle dove vi era la maggior concentrazione di
musulmani indiani. Erano aree in cui, nei secoli, si erano sviluppate strutture sociopolitiche ed
economiche diverse.

La pianura del Punjab si estende a cavallo tra l’attuale Pakistan e l’India. Solcato dal fiume Indo e
dai suoi affluenti (la parola punjab significa cinque fiumi), tale territorio ha da sempre rappresentato
un’importante funzione agricola. Già al tempo della colonizzazione inglese era da questa regione
che proveniva buona parte del grano che sfamava gli abitanti del subcontinente. La società punjabi è
da sempre stata strutturata secondo uno schema di relazioni sociali improntati sui rapporti di
parentela e sulle necessità della collettività, piuttosto che su quelli individuali (gli individui sono
infatti spinti a condividere i frutti di un eventuale successo o ricchezza). Unità base della società
punjabi era (e nelle zone rurali è tuttora) la suddivisione della popolazione in quam, ossia una sorta
di casta basata non tanto su connotazioni religiose quanto sulla discendenza di una persona e sulla
sua occupazione.
La conquista inglese del Punjab avvenne nel 1849 (quando gli inglesi già avevano sottomesso
buona parte del subcontinente). “Chi domina Zam-Zammah, il "drago dal soffio di fuoco", domina
il Punjab, perché il grande pezzo di bronzo verde è sempre il primo bottino dei conquistatori. Del
resto Kim, che aveva buttato giù a calci dai perni del cannone il figlio di Lala Dinanath, qualche
giustificazione l'aveva: gli inglesi infatti dominavano il Punjab e Kim era inglese. ”5. Così scriveva
Kipling nel suo Kim, e in effetti quest’area aveva agli occhi dei britannici, un notevole valore di tipo
strategico. Rappresentava infatti un territorio di frontiera fra i principati/protettorati indiani e quella
che sarà la perenne minaccia del Raj: l’espansione imperialista russa. Anche per questo gli inglesi
decisero di investire nello sviluppo delle infrastrutture in questa regione e si lanciarono nella
costruzione di strade, ferrovie e avamposti militari.
Dai colonizzatori britannici, i punjabi, venivano considerati una “razza marziale” e pertanto
predisposta all’arruolamento nell’esercito di sua maestà. La convinzione inglese verso tale presunta
predisposizione di tipo razziale avrà le sue conseguenze nella fase dell’indipendenza (così come
tutte le eredità lasciate dagli imperi coloniali). In effetti, i punjabi, costituirono già dalle fasi
successive alla Partition, l’etnia dominante dell’esercito pakistano. Inoltre, sempre a causa delle
politiche (in questo caso educative) dei colonizzatori, la popolazione di quest’area vantava un
livello d’istruzione superiore a quello delle altre regioni che poi sarebbero andate a formare il nuovo
stato pakistano. Tale “vantaggio culturale” permetterà ai punjabi un maggiore inserimento nelle
strutture amministrative del Raj prima e del Pakistan poi e sarà fondamentale per la costruzione di
quella egemonia (numerica e politica) che caratterizzerà la società pakistana6.
Immediatamente a sud del Punjab, divisa dalla pianura superiore dell’Indo, troviamo la regione del
Sindh. Questa è circondata a est dal deserto del Thar, a ovest dalla catena dei monti Kirthar e a sud
dal Mar Arabico. La popolazione autoctona di questa regione è costituita dall’etnia sindhi, alla
quale va però aggiunta quella che molti autori hanno definito una “quinta nazionalità pakistana”:
quella dei mohajir . Questo termine denota gli indiani musulmani di lingua urdu che, in seguito alla
4
Elisa Giunchi, ibidem.
5
Rudyard Kipling, Kim, Garzanti, 1980
6
http://www.global.ucsb.edu/punjab/14.1_Talbot.pdf
Partition, emigrarono dall’India verso i territori occidentali del nuovo stato musulmano. E non è un
caso, infatti, che tale nome richiami il termine hijra (il viaggio compiuto nel 622 da Maometto e dai
suoi seguaci verso Medina). I mohajir appartenevano in buona parte alla classe media urbana del
Punjab orientale (e quindi in territorio indiano), dell’Uttar Pradesh e del Bihar. E proprio grazie a
questa loro “caratteristica sociale” e alle loro ricchezze poterono sostituire i professionisti e i
mercanti indù che fecero il viaggio opposto. Tale afflusso di milioni di emigranti cambiò
radicalmente la composizione demografica ed etnica del Sindh. Dopo il 1947 le principali città di
questa regione, Karachi, Sukkar e Hyderabad, divennero a maggioranza mohajir, mentre i sindh
rimanevano padroni delle aree rurali. In altre zone del neonato Pakistan, come ad esempio nel
Punjab e nella NWFP, i mohajir vennero assorbiti dalla società locale, ma nel Sindh tale processo di
assimilazione non prese piede. Ciò fu dovuto principalmente al fatto che la società sindh era
dominata da strutture di tipo feudale che trovavano la propria collocazione nelle aree rurali, mentre i
centri urbani erano sottopopolati. Così gli emigrati di lingua urdu, una volta stanziatisi nelle città, si
ritrovarono a dominarle demograficamente. Questa alta concentrazione e disparità nella
distribuzione della popolazione delle diverse etnie in diversi contesti, ebbe delle ripercussioni anche
dal punto di vista culturale: i mohajir non sentivano la necessità di imparare la lingua dei sindh, ne
si ponevano le basi per una assimilazione negli schemi socio-culturali autoctoni.
Il risultato fu un aumento delle tensioni sociali. Karachi, che al momento dell’indipendenza del
Pakistan divenne la capitale del nuovo paese (con una conseguente importanza sia a livello politico
che economico), era dominata dai mohajir. I quali, a loro volta, grazie ai loro capitali e alla loro
capacità negli affari,si trovarono a tirare i fili dell’economia regionale e nazionale. Ciò non poteva
che far aumentare il risentimento dei sindh. Ma le cose cambiarono a partire dai primi anni del
1970, quando Zulfiqar Ali Bhutto (che proveniva da una famiglia di latifondisti di etnia sindh)
formulò alcune politiche volte ad agevolare il gruppo etnico a cui apparteneva. Innanzitutto fissò al
60% la quota di posti riservati alla popolazione sindh nell’amministrazione pubblica, lasciando ai
mohajir il restante 40%. In secondo luogo promosse una campagna di scolarizzazione nelle aree
rurali. Lo scopo di questa politica era di migliorare gli standard socio-economici della popolazione
sindh, ma ebbe come conseguenza anche la ricerca, da parte dei mohajir, di una maggiore tutela
politica.

Fra le popolazioni indiane di religione musulmana, l’idea di una nazione islamica indipendente
aveva cominciato a prendere piede già dai primi anni del ‘900.
Già nel 1906 a Shahbagh (Dacca), veniva fondata la Lega panindiana musulmana, il cui programma
si basava sulla tutela degli interessi musulmani indiani. Gli esponenti di questo partito (la cui base
sociale era rappresentata dal ceto medio urbano) provenivano in buona parte dall’Università
Musulmana di Aligarh7. Questi erano largamente influenzati dalle concezioni politiche europee e
ritenevano che l’islam vero fosse compatibile con alcuni concetti politici di derivazione occidentale.
In realtà lo scopo originario della Lega non era tanto la costruzione di uno stato musulmano
indipendente dall’India (sotto il controllo inglese o non) quanto piuttosto la difesa degli interessi
politico-economici della minoranza musulmana che viveva in un mare indù.

7
Fondata nel 1875 da Sayyed Ahmed Khan, si distinse per l’insegnamento delle materie religiose in chiave modernista. Per un più completo
resoconto si veda Elisa Giunchi, ibidem; Ian Talbot, Pakistan: a modern history, Hurst&company, Londra 1998
Lo sviluppo della Lega verso posizioni maggiormente indipendentiste fu il frutto dell’esigenza e
della volontà di dare una patria a un gruppo che sarebbe stato probabilmente marginalizzato in un
nuovo Stato indipendente a maggioranza indù. Uno Stato, quello indiano, che nascendo sulla base
di un sistema politico democratico, sarebbe stato probabilmente dominato dalla maggioranza della
popolazione di religione indù.
Queste idee e questi timori furono ripresi sul finire degli anni ’30 da Mohammed Ali Jinnah, un
avvocato che aveva iniziato la propria carriera politica tra le file del Congresso nazionale indiano e
che aderì alla Lega solo nel 1913.

You might also like