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Abstract. Semiotics is maybe the only human science that has two (not only one,
neither many) births, with Peirce and Saussure. The dialogue between the two traditions
often consists of the attempts to incorporate new concepts in our own paradigm. That’s why
the problem of terminology is so important in semiotics: the technical terms, originally
conceived with great carefulness, ‘travel’ from one to the other paradigm, and in so doing
they often become misrepresented or somewhat empty, but sometimes they find new
applications in ‘applied’ semiotics.
To take ‘applied’ semiotics as a starting point has been regarded as a strategy to
overcome the dichotomy Peirce-Saussure. My proposal, instead, is to search (following
some suggestions by U. Eco) some problems in general semiotics, and to analyse the
answers to those problems by Peirce and Prieto, a saussurean semiotician that is close to
Peirce in many respects. This comparison highlights the connection that links
interpretation, knowledge and action seen in a semiotic perspective.
Già dalla fine degli anni ‘60 siamo abituati a considerare che la semiotica
(moderna) abbia avuto un doppio atto di nascita, tanto che nel § 0.5 del suo
Trattato di semiotica generale del 1975 ECO può affiancare Peirce e Saussure
come i due ‘classici’ della disciplina. Il problema è che in seguito ha avuto anche
una doppia vita. Ciò accade perché gli esponenti delle due tradizioni hanno spesso
difficoltà a parlarsi (e soprattutto a capirsi)1. La grande differenza tra le due
tradizioni è che nel caso di Peirce abbiamo una semiotica (e una filosofia)
compiuta, nel caso di Saussure un auspicio di semiotica e diversi tentativi per
rispondere a questa chiamata, realizzati da personaggi che si sono richiamati a
vario titolo al ‘mandato’ del linguista ginevrino. Ciò implica che gli studiosi che si
richiamano all’una o all’altra eredità ‘tradiscano’ i loro ‘maestri’ in maniere
diverse. Ogni sforzo teorico dei semiologi strutturali è una sviluppo di ciò che
Saussure aveva detto: essi si chiedono dunque: ‘ma Saussure avrebbe accettato
questo passo ulteriore?’. Diversa è la situazione del semiotico post-peirceano: le
novità possono consistere solo nella parte ‘applicativa’, dato che le opere di Peirce
delineano (talvolta in diverse versioni anche difficilmente conciliabili tra loro) la
struttura di una semiotica e di una filosofia complete e comprensive. La differenza
(che si trova anche tra i saussuriani, ma in misura minore) sta nell’appoggiarsi di
più a questa o a quella parte dello sterminato (e non sempre coerente) corpus degli
scritti del ‘maestro’. Di questa situazione anomala risentono tutti i tentativi di
confronto tra le due tradizioni. I più interessanti risultano forse quelli di coloro (un
esempio per tutti: Jakobson) che sono stati a contatto con entrambe le tradizioni in
un momento in cui una certa forma di dialogo era ancora possibile.
1
Per un giudizio recente su questa situazione cfr. VOLLI (2000), che parla di una «doppia anima
della semiotica». D’altra parte, la prospettiva di Volli sembra voler ammettere come legittime solo la
linea Saussure-Hjelmslev-Greimas da una parte e l’interpretazione echiana di Peirce dall’altra. Alla
duplicità tra Peirce e Saussure si unisce l’altra, non meno importante, tra semiotica come scienza
sociale (secondo l’idea dei post-saussuriani) e semiotica-filosofia (prospettiva più vicina a Peirce).
2
Vi è anche, ovviamente, chi incorre nell’errore opposto (una sorta di decostruzionismo non
dichiarato), andando a scovare un passo particolare di un autore e decontestualizzandolo, per
sostenere che in realtà l’immagine corrente è totalmente falsa.
3
Ma cfr. anche DELEDALLE 1976.
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Un’eccezione è data da ANTILA-EMBLETON (1994), in cui è il tema specifico — l’iconismo — a
predominare sul riferimento agli autori specifici.
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Una dimostrazione pratica dell’attenersi di Peirce a questa ‘etica della terminologia’ si può
ravvisare nell’adozione del termine ‘pragmatiCIsmo’ — una parola «ugly enough to be safe from
kidnappers» (PEIRCE 1998: 335) — per evitare confusioni tra il proprio pensiero e quello dei
pragmatisti (ormai divenuti gli esponenti ‘ufficiali’ della corrente) James e Schiller.
6
È prevista per gennaio 2002, da Gallimard, la pubblicazione di tutti gli scritti di Saussure
riguardanti la linguistica generale, compresi i mss. dell’Orangérie ritrovati nel 1996 e ancora inediti.
7
Cfr. spec. i testi numerati da ENGLER 3310.11-3312.1 e 3313.2-3315.1.
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Anche l’operazione compiuta da Barthes, del resto, non era certo esente da pecche: come ho
cercato di mostrare in una comunicazione al VII Congresso SIFL, infatti, egli mette indebitamente
sotto lo stesso titolo — tradito probabilmente dalla lingua francese — due entità semiotiche dalle
questo caso, sarebbe causata non solo (e non tanto) dalla moltiplicazione
esponenziale del corpus degli autori e delle opere che a qualche titolo si sono
occupati di semiotica, ma soprattutto dall’arricchimento (non sempre coerente)
della terminologia medesima (pensiamo solamente alle nozioni di ‘testo’ e
‘discorso’ e a tutte quelle che sono state concepite come strumenti per l’analisi del
testo e del discorso).
Attraverso alcuni esempi, possiamo cercare di definire in qualche modo alcune
delle ‘modalità di circolazione’ — per dir così — dei termini nell’ambiente dei
semiologi.
Alcuni termini hanno un uso così vasto e indeterminato che praticamente tutti
gli studiosi (per quanto differenti siano gli ambiti e i metodi di ricerca), interrogati
sull’importanza del termine medesimo, risponderebbero che si tratta di un che di
fondamentale. Questo mi sembra il caso della parola ‘interpretazione’ (e, forse, del
termine ‘segno’): quasi tutti, credo, sono disposti a consentire sulla definizione
della semiotica come teoria (o pratica) dell’interpretazione, ma alcuni
considererebbero forse riduttiva una definizione della semiotica come teoria (o
pratica) dei segni.
Una seconda eventualità può essere quella in cui un termine venga sottratto al
contesto originario, e inserito magari in un’opposizione superficiale, che faccia
perdere le finezze presenti nelle accezioni date originariamente ai termini dagli
autori che li hanno ‘messi in circolo’. Questo mi sembra il caso di ‘iconismo’,
spesso adoperato in passato come semplice contrario di ‘arbitrarietà’, in
un’opposizione polare (del tipo ‘tutto o niente’) che ha fatto perdere di vista a
molti le sfumature che il termine ‘icona’ ha in Peirce e quelle che il termine
‘arbitrarietà’ ha in Saussure.
Infine — ma il mio elenco non pretende di essere esaustivo — possiamo
considerare il caso del ‘corto circuito’ cosciente, dichiarato e spesso positivo; il
caso, cioè, in cui un autore ‘prenda in prestito’ un termine da un altro autore per
vedere ‘come funziona’ in un altro ambito — o in un ambito più vasto o più
ristretto. Per avere un esempio, basta pensare all’utilizzo, da parte di Derrida, del
termine peirceano ‘simbolo’ per parlare di cinema, di cui si è occupato, in questo
stesso convegno, F. Denunzio.
caratteristiche diverse: indice e indizio. D’altra parte, ritengo sia possibile costruire delle ‘griglie’
servendosi del criterio inverso, e cioè partendo dal concetto (e dal ruolo che esso svolge
nell'architettura teorica di una semiotica generale) per arrivare ai termini che sono scelti dai vari
autori per designare queste nozioni. Un esempio è dato dal confronto tra Peirce e Prieto cui si accenna
qui infra al § 5.
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l’unico esponente della tradizione saussuriana che abbia realizzato, a mio avviso,
un progetto compiuto di semiotica dell'interpretazione: Luis Prieto. Ecco dunque la
“griglia” che risulta dal confronto sistematico delle nozioni sviluppate dai due
autori:
1. L’oggetto della semiosi Terzità Struttura semiotica
2. L’inferenza semiotica Abduzione Interpretazione di indizi
3. La catena semiotica Semiosi illimitata Connotazione (‘di Barthes’)
4. L’agire umano Habit Norma
5. I soggetti della semiosi a) (Quasi-)mente a) Soggetto
b) Persona (uomo-segno) b) Identità simbolica
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